Eneide
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EneideDa Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Nota disambigua - Se stai cercando altri significati, vedi Eneide (disambigua).
Virgilio con l'Eneide tra Clio e Melpomene
L'Eneide (in latino Aeneis) è un poema epico della cultura latina scritto dal poeta e
filosofo Virgilio nel I secolo a.C. (più precisamente tra il 29 a.C. e il 19
a.C.),considerato uno dei più rappresentativi dell'epica latina.Il poema narra la
leggendaria storia di Enea, un principe troiano fuggito dopo la caduta della città, che
viaggiò fino all'Italia diventando il progenitore del popolo romano. Alla morte del poeta
il poema, scritto in esametri dattilici e composto da dodici libri, restò incompiuto. Nel
suo testamento il poeta aveva chiesto di farlo bruciare, nel caso non fosse riuscito a
completarlo, ma Ottaviano decise di tenerlo lo stesso e pubblicarlo così com'era stato
lasciato. I primi sei libri raccontano la storia del viaggio di Enea da Troia all'Italia,
mentre la seconda parte del poema narra la guerra, alla fine dall'esito vittorioso, dei
Troiani contro i Latini, sotto il cui nome in seguito Enea e i suoi seguaci finiranno per
essere conosciuti.
Enea era una figura già presente nelle leggende e nella mitologia greca e romana,
dato che si tratta di uno dei personaggi dell'Iliade; Virgilio mise insieme i singoli e
sparsi racconti dei viaggi di Enea, la sua vaga associazione con la fondazione di Roma
e soprattutto un personaggio dalle caratteristiche non ben definite tranne una grande
religiosità (pietas in latino), e ne trasse un avvincente e convincente "mito della
fondazione", oltre ad un'epica nazionale che allo stesso tempo legava Roma ai miti
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Omerici, glorificava i valori romani tradizionali e legittimava la dinastia Giulio-Claudia
come discendenti dei fondatori comuni, eroi e dei, di Roma e Troia.
La trama [modifica]
Un ritratto di Virgilio
La divisione in 12 libri esprime la volontà di conciliare due esigenze, quella della
brevitas alessandrina (i 4 libri delle Argonautiche) con la maggior lunghezza del poema
classico omerico (Iliade e Odissea, composti da 24 libri ciascuno).
L'orientamento alessandrino verso il poema breve risalta ancor di più se si pensa che i
12 libri di Virgilio rivaleggiano con entrambi i poemi omerici: i primi sei libri rinviano
infatti al modello dell'Odissea (il viaggio avventuroso) ; i secondi sei al modello
dell'Iliade (la guerra). L'ordine delle vicende, rispetto ad Omero, viene rovesciato e
l'avventura viene trattata prima della guerra. Col suo modello Virgilio instaura un
rapporto di raffinata competizione innovativa. il viaggio di Ulisse era un viaggio di
ritorno, quello di Enea un viaggio di rifondazione proiettato verso l'ignoto; la guerra
nell'Iliade era una guerra di distruzione, quella di Enea è rivolta alla costruzione di una
nuova città e di una nuova civiltà; l'Iliade si concludeva con la disfatta troiana, l'Eneide
con la vittoria del troiano Enea, che risarcisce il suo popolo della patria perduta.
Il viaggio verso l'Italia (Libri I-VI) [modifica]
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Enea fugge mentre Troia brucia Federico Barocci - 1598 - Galleria Borghese - Roma
Virgilio nel proemio che precede la narrazione, dichiara l'argomento del suo
romanzo (Arma virumque cano…, "Canto le armi e l'uomo…") con un'invocazione alla
Musa (Musa, mihi causas memora…"O Musa, ricordami le cause…"). Di seguito,
spiega l'origine del conflitto più importante della trama, ovvero il rancore di Giunone
nei confronti dei Troiani. Questo tipo di incipit mantiene lo stile di quelli dei poemi
omerici, tranne per il fatto che Virgilio prima dichiara il tema del poema e poi invoca la
Musa, mentre in Omero è l'inverso.
Libro II [modifica]
Durante il banchetto che viene dato in onore dei Troiani , Enea racconta la sua storia e
le sue vicende e i fatti che hanno provocato il fortuito arrivo della sua gente da quelle
parti. Comincia la sua narrazione da poco dopo gli eventi descritti dall'Iliade. L'astuto
Ulisse aveva trovato il modo di riuscire ad entrare a Troia: aveva fatto costruire un
enorme cavallo di legno, che avrebbe racchiuso nascosti al suo interno lui e alcuni
guerrieri greci. I Troiani, all'oscuro di tutto, spinti dall'Acheo Sinone che li aveva
informati della partenza dai Greci, poi rivelatasi falsa, e incuriositi dal cavallo, avevano
deciso di trasportarlo dentro le mura della città, incuranti degli avvertimenti di
Cassandra e dall'orribile fine di Laocoonte che a sua volta aveva cercato di avvertirli
del pericolo.
Usciti nottetempo dal cavallo, i guerrieri greci avevano cominciato a mettere
Troia a ferro e fuoco. Enea, svegliato all'improvviso dal fantasma di Ettore aveva visto
con orrore che cosa stesse succedendo alla sua amata città natale e la morte del re
Priamo, ferocemente sgozzato. Imbattutosi nella bella Elena, causa prima di tutta
quella rovina, fu preso dal desiderio di ucciderla, ma fu fermato dalla madre Venere,
che gli aveva detto invece di fuggire e di uscire dalla città insieme alla sua famiglia.
Enea aveva quindi capito che la sua famiglia stava correndo un grave pericolo ed era
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corso da loro. Enea racconta quindi la sua fuga con il figlio Julo e portando sulle sue
spalle il vecchio padre Anchise, mentre sua moglie Creusa non era riuscita a
rimanere con loro ed era rimasta uccisa nella catastrofe generale, venendo poi
trasformata in una semidea. Eneide - libro secondo Eneide - libro secondo Premessa di Enea (1-13): Enea si rivolge ai
Cartaginesi dicendo che sicuramente non riuscirà a trattenere le lacrime ricordando le tristi vicende che hanno portato alla distruzione di Troia.
L'incombere della rovina (14-30): i greci, esausti dalla guerra, costruiscono un cavallo di legno di abete, al cui interno si nascondono degli
uomini estratti a sorte e lo lasciano sulla spiaggia con un voto per il ritorno. I troiani pensavano che i greci avessero lasciato il campo ed
escono dalle mura. Pareri opposti (31-39): alcuni vogliono portare il cavallo all'interno della città, altri gettarlo in mare, bruciarlo, o trapassare i
nascondigli del ventre. Laocoonte (40-56): Laocoonte diffida i troiani dal portare il cavallo nella città in quanto non si fida dei greci né dei loro
doni e staglia un'asta contro il cavallo. Il greco Sinone convince i troiani (57-198): nel frattempo i troiani fanno prigioniero un giovane greco.
Racconta di essere odiato da Ulisse perché il padre e i suoi amici non volevano guerra. Aggiunge che, durante la costruzione del cavallo,
l'oracolo di Apollo chiede un sacrificio umano e Calcante, costretto da Ulisse, indica nel ragazzo la vittima. Durante la notte fugge ora chiede
asilo ai troiani che, inteneriti, lo liberano. Questi gli chiedono poi il significato del cavallo e Sinone risponde che da sempre i greci hanno avuto
l'aiuto di palla de Atena, ma ora l'hanno perso perché Diomede e Ulisse hanno osato scappare dal tempio sacro il fatale Palladio Appena
arrivati al campo è scoppiato un incendio negli occhi della statua, sul corpo è sceso sudore salato e la statua si è sollevata dal suolo brandendo
lo scudo e l'asta. Subito Calcante spiega che devono fuggire per mare che devono riportare la statua e il cavallo deve esser innalzato per
placare la dea. Morte di Laocoonte (199-227): mentre Laocoonte sacrifica un toro a Nettuno, compaiono dal mare due draghi che uccidono i
suoi due figli e poi lo stesso sacerdote. Il cavallo entra in città (228-249): di fronte a questo prodigio i troiani pensano che palla de Atena abbia
voluto punire Laocoonte per aver lanciato la asta contro il cavallo. Così per placare l'ira della dea, aprono le porte, rompono la cinta e
introducono il cavallo nonostante per quattro volte abbiano sentito rumori di armi provenire dal suo interno. Anche Cassandra, non mai creduta
dai troiani; cerca di opporsi, ma inutilmente. I greci escono dal cavallo (250-267): durante la notte la flotta greca ritorna e ad un segnale Sinone
apre il cavallo e ne escono gli eroi greci, tra i quali Ulisse e Menelao, l'ideatore del cavallo che massacrano le guardie, spalancano le porte con
l'ariete e fanno entrare i compagni, afferra i merli. I troiani lanciano tegole e travi. Apparizione di Ettore (268-297): intanto Ettore appare in
sogno ad Enea e lo invita fuggire portando con se le cose sacre e i penati della città. Enea e i disperati (298-402): nonostante la casa di Enea
sia lontana e
Libro IV [modifica]
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Mercurio ordina ad Enea di lasciare Cartagine - Giambattista Tiepolo - 1757 - Villa
Valmarana "Ai Nani" - Vicenza
Didone si rivolge alla sorella Anna, ammettendo i sentimenti per Enea, che ha
riacceso l'antica fiamma d'amore, il solo per cui violerebbe la promessa di
fedeltà eterna fatta sulla tomba del marito Sicheo. Anna riesce a persuaderla: la
sorella è infatti sola e giovane, non ha prole ed ha troppi nemici intorno. Didone,
così, felice, immola una giovenca al tempio e riconduce Enea nelle mura. È
notte. Giunone allora propone a Venere di combinare tra i due giovani il
matrimonio. La dea, che capisce il fine di Giunone di sviare il figlio dall'Italia,
accetta, pur chiarendole la probabile avversità del Fato. L'indomani stesso,
Didone ed Enea partono a caccia ma una tempesta li sconvolge: si rifugiano
così in una spelonca, consacrando il rito imeneo. Ma Fama, un mostro alato,
avverte del connubio Iarba, che invoca Giove. Il padre degli dei invia il suo
messaggero Mercurio a ricordare al figlio del compito di fama e gloria per
grande discendenza latina che lo attende. Spaventato, chiama i suoi compagni,
arma la flotta e si appresta a partire, pensando al modo più agevole di
comunicare la decisione a Didone. Ma la regina, già informata da Fama, corre
infuriata e angosciosa da Enea, biasimandolo di aver cercato di ingannarla e
ricordandogli del loro amore e della benevolenza con cui l'aveva accolto, per poi
pregarlo di rimanere per coronare il loro sentimento con un figlio. Enea, pur
riconoscendole i meriti, spiega che non può rimanere, perché è obbligato e
continuamente sollecitato dagli dei e dall'ombra del defunto padre Anchise a
cercare l'Italia. Ritornato alla flotta, rimane impassibile alla rinnovata richiesta di
trattenersi mossa da Anna e alle maledizioni di Didone, che è perseguitata dal
dolore con continue visioni maligne. Riferita la decisione di dedicarsi alle arti
magiche per alleviare tante pene, la regina ordina quindi alla sorella di mettere
al rogo tutti i ricordi e le armi del naufrago nella sua casa e invoca gli dei. Così,
nella notte, mentre la regina escogita il modo e il momento del suicidio per porre
fine a tanti affanni, Enea, avvertito in sonno, fugge immediatamente da quella
terra pericolosa. All'aurora, con la vista del porto vuoto, Didone invoca gli dei,
maledicendolo con odio, sventure, persecuzioni e guerra eterna tra i loro popoli.
Giunta sulla pira funeraria, si trafigge con una spada, mentre le ancelle e la
sorella invocano disperate il suo nome. Giunone poi invia Iride a sciogliere la
regina dal suo corpo e a recidere il capello biondo della sua vita. Prima di
morire, predice che tra il popolo di Enea e il suo ci sarà eterna guerra.
Voltandosi indietro dal ponte della sua nave, Enea vede il fumo della pira di
Didone e ne comprende chiaramente il significato: tuttavia il richiamo del destino
è più forte e la flotta Troiana fa vela verso l'Italia.
Libro VI [modifica]
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Enea e i suoi seguaci sbarcano a Cuma, in Campania, dove Enea, memore dei
consigli di Eleno, si reca nel tempio di Apollo, oracolo celeberrimo nell'Italia di
quel tempo. La somma sacerdotessa di Apollo ed Ecate, la Sibilla Deifobe di
Glauco, invasata dal dio durante il vaticinio, gli rivela che riuscirà ad arrivare nel
Lazio, ma la nuova patria potrà essere conquistata solo a prezzo di lotte e
guerre. Su sua richiesta, la Sibilla guida Enea nel regno del dio Ade, ovvero
l'Aldilà secondo la religione greca e romana. Sulle rive del fiume Stige tra le
anime dei morti insepolti incontrano Palinuro, e la Sibilla gli promette che presto
avrà il suo giusto rito funebre. Caronte, dato che sono vivi, rifiuta di prenderli a
bordo del suo traghetto, sostenendo che i vivi, come ad esempio Ercole sono
per lui solo fonte di problemi. Quando però gli mostrano il ramo d'oro, chiave
degli inferi, che portano con loro acconsente a trasportarli. Incontrano molte
anime e, tra quelle dei suicidi per amore, anche Didone, che non reagisce in
alcun modo al loro passaggio, offrendo però con questa occasione uno degli
episodi più intensi e umani del poema. Giunti alla diramazione tra la via per il
Tartaro e quella per i Campi Elisi, incontrano lo spettro del poeta Orfeo che
porta Enea dal padre Anchise: Enea è turbato dal non poterlo riabbracciare per
la sua incorporeità, ma il padre lo conforta. In seguito Anchise, partendo da
premesse filosofiche pitagoriche e platoniche (quelle di Virgilio...) mostra al figlio
i grandi uomini che nasceranno dalla città che Enea stesso con la propria
discendenza contribuirà a fondare, ovvero i grandi personaggi di Roma, come
Catone, o Fabio Massimo: altri - afferma Anchise in un passo celeberrimo -
otterranno gloria nelle belle arti, nella scienza o nel foro, ma i Romani
governeranno i popoli con la sapienza delle leggi, perdonando ai vinti e
annientando i superbi sediziosi: Tu regere imperio populos, Romane, memento /
(hae tibi erunt artes) pacique imponere morem / parcere subiectis et debellare
superbos (Aen. VI, 851-53). Dopo che Anchise ha profetizzato la prematura
morte del nipote di Augusto, Marcello, Enea e la Sibilla risalgono nel mondo dei
vivi.
a
ENEIDE - libro VIdi
VIRGILIO
Introduzione
l'Oltretomba
Riassunto
7
Enea approda sulle coste italiche dopo aver perso Palinuro e si reca verso l'antro della
Sibilla, sacerdotessa di Apollo, che lo invita a sacrificare sette giovenchi e sette pecore.
Enea la prega di accompagnarlo nell'Averno, ma prima deve seppellire Miseno e trovare un
ramo d'oro sacro a Proserpina. Lasciata la Sibilla, viene trovato il corpo di Miseno al quale
si danno onorate esequie; quindi si osserva il volo delle colombe che si dirigono verso il
punto del bosco dove si trova il ramo d'oro che viene colto. Ritornano dalla Sibilla ed Enea
immola un'agnella nera e una vacca sterile alla dea Notte e a Proserpina.
La Sibilla invoca gli dèi che hanno dominio sulle anime ed entra nel Tartaro insieme ad
Enea; entrano nel Vestibolo, dove si trovano Lutto, Affanni, Malattie, Vecchiaia, Paura,
Fame, Dolore, Morte, Sonno, Guerra, le Eumenidi e Discordia. Da un'altra parte si trovano i
Centauri, le Scille biformi, Briareo, l'Idra, la Chimera, le Arpie e Gerione. Si avviano quindi
verso l'acheronte, incontrano il custode Caronte che guida la nave con le anime da portare
oltre il fiume, presso il quale si trovano le anime di coloro che non hanno avuto sepoltura e
devono vagare per cento anni prima di passare l'Acheronte. Enea incontra Palinuro, che
racconta la sua morte, avvenuta ad opera di un popolo crudele, e non nel mare come si
credeva.
Trasportati da Caronte al di là del fiume, Enea vede Cerbero, mostro con tre bocche e
Minosse, l'inquisitore e giudice infernale. Qui incontra per prime le anime morte per amore,
tra cui Procri, Erifile e soprattutto Didone, alla quale si rivolge, ma che resta immobile e
silenziosa. Proseguendo il cammino Enea vede gli eroi troiani, tra cui Partenopeo, Adrasto, i
figli di Antenore e di Priamo e soprattutto Deifobo, orrendamente mutilato da Menelao nella
notte suprema di Troia, dopo il tradimento di Elena che aveva sposato alla morte di Paride.
Intanto il tempo stringe e i due arrivano a un bivio: a sinistra si va verso il Tartaro e a
destra verso l'Eliso. La città di Dite è circondata dal Flegetonte, un fiume di fuoco e a sua
guardia è posta Tisifone. La Sibilla svela ad Enea che nessuno si può fermare sulla porta del
Tartaro, di cui Radamanto ha il governo, ascolta le colpe e assegna le pene. Nel Tartaro si si
incontra prima l'Idra dalle cinquanta teste, i Titani guardati da Tisifone. Qui si trovano
coloro che odiarono i fratelli e percossero i padri o commisero altri gravi peccati.
Arrivano quindi sulla porta di Dite, sulla quale viene appeso il ramo d'oro. Dentro
trovano Orfeo e la stirpe di Dardano. Ai Dardani la Sibilla chiede dove si trova Anchise; il
poeta Museo li guida verso la meta. Raggiungono Anchise e dopo il saluto si portano sul'alto
di una collina dalla quale il vecchio padre mostra al figlio gli eroi che faranno la storia di
Roma, dai primi re di Alba Longa, ai sette re di Roma, ai primi consoli della Repubblica e
agli uomini più illustri di questa. Infine Enea torna fra i suoi e si dirige con le navi verso
Gaeta.
Il personaggio
Il personaggio centrale è indubbiamente la Sibilla, nella sua doppia funzione di
veggente e sacerdotessa di Apollo e contemporaneamente di guida di Enea nell'oltretomba,
verso la quale l'eroe prova sempre un atteggiamento di sottomissione, di umile ubbidienza ai
8
suoi ordini. La Sibilla non sembra comunque mai agire in prima persona, ma in ossequio a
norme, di Ecate e di Apollo, che sono le sue guide. Per questo rimprovera aspramente
Palinuro: le norme che lei stessa osserva alle quali sono sottomesse tutte le anime
dell'Averno.
La Struttura
Possiamo dividere il secondo libro in tre macrosequenze, che hanno come elemento
centrale: la Sibilla, il Tartaro, l'Eliso
macrosequenze libro VI
1 -
vv.1-235
la Sibilla
Enea arriva in Italia sulle coste cumane e si dirige dalla Sibilla, pregandola
di accompagnarlo nell'Averno per incontrare il padre. Tutto può avvenire dopo
aver dato sepoltura a Miseno e aver trovato il ramo d'oro sacro a Proserpina.
2 -
vv. 236-636
l'oltretomba
il Tartaro
Entrati nell'Averno incontrano nel vestibolo tutti i mali dell'uomo e i
mostri della fantasia umana, quindi al bivio la Sibilla svela chi si trova nel Tartaro,
nel quale è proibito entrare, dove si trovano le anime che hanno commesso
gravi colpe nella vita.
3 -
vv.
637-901
l'oltretomba
l'Eliso
Nell'Eliso incontrano Anchise, che dall'alto di un poggio mostra ad
Enea le anime di coloro che si incarneranno per far grande Roma, dai
primi re di Alba Longa ai sette re di Roma e infine ai più importanti
personaggi della Repubblica.
microsequenze libro VI
1 -
vv. 1-
13
Cuma e il
tempio di
Apollo
Piangendo la morte dell'amico Palinuro, Enea approda sulle coste di
Cuma e, mentre i suoi uomini perlustrano il territorio, si avvia verso la rocca
protetta da Apollo e verso l'antro immane dell'orrenda Sibilla, alla quale il dio
Apollo infonde la sua volontà e la sua conoscenza del futuro che la profetessa
rivela agli uomini.
2 -vv. 14-33
Dedalo e le
porte del
tempio
Dedalo, fuggendo da Creta con ali di cera, volò verso settentrione e toccò
per la prima volta terra vicino a Cuma e consacrò a Febo-Apollo le ali che lo
avevano aiutato a fuggire ed eresse un tempio: sulla porta c'erano queste
raffigurazioni:
- la morte di Androgeo,
- l'urna adoperata dagli Ateniesi per l'estrazione dei nomi dei giovani da avviare
a Minosse come tributo per il sacrificio al Minotauro,
- l'unione di Pasifae col toro donato da Poseidone a Minosse,
- Arianna e Teseo aiutati da Dedalo.
9
- Anche Icaro avrebbe avuto un posto sulla porta se il padre fosse riuscito a
raffigurarne la morte.
3 -
vv. 33-
41
davanti
all'antro della
Sibilla
Avrebbero guardato attentamente ogni cosa, se non avessero visto Acate
già di ritorno con la Sibilla Deifobe, figlia di Glauco, sacerdotessa di Apollo, che
invita Enea a non perdere tempo e a sacrificare sette giovenchi e sette pecore
tratte da una mandria mai toccata. Quindi la sacerdotessa invita i Teucri ad
entrare nel suo antro.
4 -
vv. 42-
53
la Sibilla
invasata
Il fianco della rupe Euboica s'apre in un antro dove si entra per cento
porte dalle quali escono con altrettante voci i responsi della Sibilla. Giunti sulla
porta la Sibilla annuncia la presenza del dio Apollo, mentre all'improvviso si
trasfigura in volto, diventa ansante e la sua voce non ha più nulla di mortale, e
invita Enea a non indugiare in voti e preghiere.
5 -
vv. 53-76
la preghiera
di Enea
Dopo aver detto queste parole, tace ed Enea innalza la sua preghiera a
Febo che ha sempre avuto pietà dei destini di Troia, ha guidato la mano di Paride
contro Achille ed Enea stesso su tanti mari, fra i Massili, fino in Italia. Prega che
tutti gli dei risparmino i suoi Penati e quelli di Troia e i Teucri possano finalmente
stanziarsi in Italia, così come dicono i Fati, e allora innalzerà un tempio e indirà
feste in onore di Apollo. Prega la Sibilla, alla quale innalzerà un sacrario nella
città che costruirà, di non rilasciare il suo vaticinio scritto su foglie che possono
essere scompigliate dai venti, ma di pronunciarlo lei stessa.
6 -
vv. 77-
97
il responso
della Sibilla
La Sibilla, infuria nell'antro non ancora completamente posseduta dal dio
Apollo, finché è resa docile: allora si aprono le cento porte dell'antro e portate
dal vento si ode il suo vaticinio su Enea, scampato ai pericoli del mare ma non
ancora a quelli di terra; è approdato nel regno Lavinio, ma qui troverà una
guerra feroce come quella già sostenuta contro i greci e causa di tanto male sarà
ancora un matrimonio con una donna straniera. La Sibilla invita Enea, infine, a
combattere con coraggio predicendogli che la prima via di salvezza gli sarà
offerta da una città fondata da un greco.
7 -
vv. 98-
123
Enea chiede
alla Sibilla di
poter
scendere nel
Tartaro per
vedere il
padre
Appena finisce il furore e la Sibilla, ispirata dal dio Apollo si calma, Enea le
rivolge una preghiera, chiedendole di portarlo nell'Averno, poiché lei può aprire
le porte che conducono nel regno dei morti, per poter vedere il padre che aveva
salvato dalle armi nemiche nella notte di Troia e che tante pene aveva dovuto
sopportare per mari e per terre, cercandola di convincerla dicendole che anche
lui è figlio di un dio e può vedere l'oltretomba come Teseo o come Orfeo e
Polluce
10
8 -
vv.
124-155
la Sibilla
acconsente
il ramo d'oro
La Sibilla risponde ad Enea che la porta dell'Averno è sempre aperta: il
problema non è entrare, ma uscire; a pochi Giove lo ha concesso. Il Tartaro è
composto da una selva circondata dal fiume Cocito. Per portare a termine il suo
folle amore per il padre e traversare due volte lo Stige e il Tartaro, deve
comunque cogliere prima un ramo d'oro, consacrato a Giunone, da portare alla
bella Proserpina, da strappare con le sole mani, cosa che gli sarà facile se così
vorranno gli dei; deve, poi, seppellire un compagno morto, Miseno, e quindi
condurre nere pecore per il primo sacrificio: così potrà vedere lo Stige e il
Tartaro inaccessibile ai vivi.
9 -
vv.
156-174
la storia della
morte di
Miseno ad
opera di
Tritone
Enea lascia l'antro della Sibilla insieme ad Acate, parlando con lui e
chiedendosi chi fosse il compagno morto; e parlando giungono alla spiaggia, e lì
vedono il corpo di Miseno figlio di Eolo, grande trombettiere, che col suono della
sua tromba eccitava gli animi dei soldati in battaglia, oltre a combattere con
l'asta che sapeva maneggiare bene, già al servizio di Ettore, e dopo la morte di
questi per mano di Achille, passato fra i compagni di Enea. Un giorno sfidò,
pazzo, a una gara gli dèi e Tritone punì la sua superbia afferrandolo di sorpresa e
sommergendolo nei flutti vicino agli scogli.
10 -
vv.
175-189
Funerali di
Miseno:
preparativi
Ritrovato il corpo di Miseno, piansero tutti e si affrettarono ad innalzare la
pira per bruciare il cadavere raccogliendo legna in una selva antica, rifugio di
fiere; lavorarono tutti, anche Enea, che col cuore afflitto, rivolge un pensiero
all'amico unendolo alle parole della veggente e alla speranza di trovare il ramo
d'oro così come aveva trovato il suo corpo.
11 -
vv.
190-211
Ritrovamento
del ramo
d'oro
similitudine
Appena ebbe finito di parlare, due colombe da cielo si posarono sul prato
davanti ad Enea che riconobbe gli uccelli sacri alla madre e prega di essere
guidato da loro e di non essere abbandonato in questo momento difficile dalla
madre. Quindi osserva il volo delle colombe e dove queste si vanno a posare: le
segue e scopre il ramo d'oro, simile al vischio che nel freddo invernale circonda
verdeggiante con aurei frutti i tronchi rotondi nelle selve: subito lo svelle e lo
porta nella grotta della Sibilla.
12 -
vv.
212-235
Funerali di
Miseno
Intanto i Teucri preparavano i funerali di Miseno piangendo. Innalzarono
una grande pira con pini resinosi e querce e ponendovi sopra le sue armi
risplendenti mentre il corpo viene lavato e unto, deposto sul feretro e ricoperto
con le sue vesti; infine, tenendo il capo volto all'indietro, avvicinano fiaccole
ardenti alla base della pira. Quando tutto fu compiuto le ceneri vennero
spruzzate con vino e i resti raccolti in un'urna di bronzo da Corineo che
pronunciò anche l'estremo saluto. Infine Enea fece innalzare un grande sepolcro
sul quale furono posate le sue armi, un remo e la tromba sotto un monte che
11
porta il suo nome e lo mantiene eterno nei secoli.
13 -
vv.
236-254
il sacrificio
notturno
Quindi Enea esegue gli ordini della Sibilla. Esiste un'immensa grotta,
protetta dal lago Averno, dalla quale escono esalazioni dannose che non
permettono il volo degli uccelli sopra di essa; qui la Sibilla dispone quattro
giovenchi dal dorso nero, taglia loro dei peli dalla fronte fra le corna e li getta sul
fuoco e invoca Ecate mentre altri immergono il coltello nella gola degli animali
raccogliendo il caldo sangue. Enea immola un'agnella nera alle dee Notte e Terra
e una vacca sterile a Proserpina; poi innalza a Plutone delle are notturne e getta
sul fuoco intere membra di tori versando olio sulle viscere in fiamme.
14 -
vv.
255-267
l'entrata nel
Tartaro
Alle prime luci dell'alba si sente arrivare Ecate circondata dalle cagne
infernali dello Stige. Allora la veggente grida a tutti di lasciare il bosco e ad Enea
di intraprendere il cammino, sguainando la spada e facendo appello al suo
coraggio: s'incammina seguita da Enea.
15 -
vv.
264-267
invocazione
Invocazione: il poeta invoca gli dèi Caos e Flegetonte e tutti quelli che
hanno dominio sulle anime di concedergli di raccontare ciò che ha udito e
rivelare ciò che ha visto nella terra profonda e oscura.
16 -
vv.
268-281
il vestibolo
del Tartaro
i mali
dell'uomo
La Sibilla ed Enea andavano nelle tenebre attraversando i degni delle
anime morte all'incerto lume della luna. Davanti al vestibolo, vicino al primo
ingresso del Tartaro, si trovano i mali dell'uomo:
- Lutto,
- Affanni vendicatori,
- Malattie pallide,
- Vecchiaia triste,
- Paura,
- Fame, cattiva consigliera,
- Miseria turpe,
- Morte,
- Dolore,
- Sonno, fratello della Morte,
- Piaceri malvagi dell'animo,
- Guerra portatrice di Morte,
- le Eumenidi (Erinni o Furie) su letti di ferro,
- Discordia pazza con capelli viperini cinti di bende sanguinanti.
17 -
vv.
282-294
In mezzo un olmo stende i suoi enormi rami ombrosi, sede dei Sogni
fallaci, attaccati sotto ciascuna foglia. Nel vestibolo si trovano:
12
il vestibolo
del Tartaro
i mostri
- Centauri,
- Scille biformi,
- Briareo dalle cento braccia,
- Idra di Lerna, che stride orribilmente, uccisa da Ercole
- Chimera armata di fiamme,
- Gorgoni,
- Arpie,
- Gerione dai tre corpi ucciso da Ercole.
Enea, preso da paura, sfodera la spada e avanza contro quei fantasmi e si sarebbe
precipitato contro di loro se non l'avesse avvisato la Sibilla che erano vuote
immagini senza corpo.
18 -
vv.
295-316
Caronte
similitudini
Dal vestibolo comincia la via che porta all'Acheronte, un gorgo di fango
che erutta la sua melma nel Cocito, dove incontra il custode Caronte, il
nocchiero che trasporta le anime al di là del fiume, un vecchio dalla barba bianca
e dagli occhi di bragia. Caronte spinge la nave e la guida con le vele, dopo aver
scelto a caso le anime da trasportare tra quelle radunate sulle rive, dove si sono
precipitate pregando di essere subito trasportate, e aver allontanato quelle non
scelte.
Similitudini: le anime si raccolgono sulla riva come le foglie cadono numerose
staccandosi al primo freddo dell'autunno o come gli uccelli raggiungono
numerosi dal mare la terra dopo aver abbandonato nella fredda stagione i
luoghi d'origine in cerca di caldo.
19 -
vv.
317-336
l'attesa delle
anime
insepolte
Enea, meravigliato e commosso, chiede alla Sibilla chi sono le anime che
s'affollano presso il fiume, perché alcune vengono traghettate ed altre invece
vengono respinte. La Sibilla gli risponde che dove si trova Enea può vedere la
palude Stigia e le anime di coloro che traghettate hanno ricevuto sepoltura sulla
terra, quelle che invece si affollano sulla riva e sono respinte da Caronte sono
rimaste insepolte e devono vagare per cento anni prima di passare l'Acheronte.
Fra le anime in attesa Enea riconosce Leucaspi ed Oronte, annegati nella
tempesta che aveva spinto la flotta Troiana sulle sponde libiche.
20 -
vv.
336-371
Enea incontra
Palinuro
la storia della
morte di
Fra queste anime Enea incontra Palinuro, riconosciuto a stento
nell'oscurità e gli chiede quale dio lo abbia fatto morire visto che Apollo, che non
aveva mai mentito nei suoi responsi, gli aveva profetizzato che sarebbe giunto
sano e salvo in Italia. Palinuro, allora, racconta la storia della sua morte, che non
era stata causata da nessun dio: quando era precipitato in acqua, stretto al
timone di cui era custode e preoccupato per le sorti della nave di Enea priva di
13
Palinuro
la richiesta di
Palinuro
timone e di nocchiero, per tre notti tempestose era stato sbattuto dalle onde, e
alla quarta alba finalmente aveva visto la terra; ma quando ormai stava per
toccare colle mani adunche le rocce sporgenti, una gente crudele lo aveva
assalito ed egli non aveva nemmeno potuto difendersi a causa della veste
bagnata: ed ora il suo corpo giaceva insepolto. Per questo chiede ad Enea che o
provveda a seppellirlo o gli dia una mano trasportandolo con sé sulla livida
palude in modo che in sedi più tranquille possa almeno in morte riposare.
21 -
vv.
372-383
la Sibilla
rimprovera
Palinuro
A Palinuro risponde la Sibilla, rimproverandogli l'empio desiderio di
essere trasportato altre le acque Stigie andando contro i decreti degli dèi; ma
Palinuro può trovare conforto nel fatto che i popoli della località dove è stato
ucciso placheranno le sue ossa erigendogli una tomba sulla quale porteranno
vittime sacrificali. La Sibilla placò l'anima di Palinuro che per un poco si rallegrò
del nome dato alla terra su cui era morto.
22 -
vv.
384-397
Caronte ad
Enea
Enea e la Sibilla proseguono il cammino e, mentre si avvicinano alla riva,
da lontano vengono visti da Caronte che grida contro Enea di fermare i passi e
dire perché viene armato nel regno delle Ombre, del Sonno e della Notte,
precisando che non era stato lieto di accogliere nemmeno Ercole, che aveva
legato e trascinato via il cane Cerbero per portarlo da Eusristeo, e la coppia
Teseo e Piritoo che avevano tentato di rapire Proserpina, la regina di Dite.
23 -
vv.
398-416
la risposta
della Sibilla
il passaggio
del fiume
La Sibilla, (detta Anfrisia) rassicura Caronte dicendogli che Enea non porta
violenza con le armi, per cui possono stare tranquilli sia Cerbero che Proserpina,
ma vuole semplicemente andare ad incontrare il padre tra le ombre del
profondo Erebo, e lo prega almeno di riconoscere il ramo d'oro. Si calma Caronte
vedendo il ramo d'oro e s'avvicina con la nave, allontanando le anime che vi
avevano già preso posto. Gemette la navicella sotto il peso di Enea che infine
insieme alla Sibilla venne trasportato al di là del fiume e depositato sull'erba
verdeazzurra.
24 -
vv.
417-425
Cerbero
Cerbero, l'enorme mostro con tre bocche, rintrona col suo latrato
l'inferno giacendo davanti all'ingresso dell'antro; la Sibilla gli getta una focaccia
soporosa e il mostro, mangiandola ingordo, si stende smisurato in tutto l'antro
sdraiato per terra; mentre il mostro è addormentato, Enea oltrepassa l'ingresso
allontanandosi dalla riva della palude Stigia che nessun'anima può riattraversare.
25 -
vv.
426-439
Minosse
Subito si sentono voci e lamenti e anime piangenti di bambini colti da
morte immatura, vicini ai quali si trovano le anime dei condannati a morte per
accuse ingiuste: Minosse è l'inquisitore infernale che convoca i morti silenziosi e
apprende la loro vita e le loro colpe. Infine si trovano in quel luogo le anime dei
suicidi, che vorrebbero ora godere dell'aria del mondo e dei duri affanni, ma la
14
legge si oppone ed essi sono racchiusi dallo Stige che scorre loro intorno per
nove volte.
26 -
vv.
440-466
L'incontro con
Didone
Non lontano vengono indicati i campi del Pianto, dove occulti sentieri
nascondono quelli che sono morti consumati da un amore crudele e soffrono
anche nella morte, come Fedra, Procri, Erifile, Evadne, Pasifae, Laodamia, Cene
che pregò Poseidone di essere mutata in maschio e alla sua morte riassunse la
forma femminile. Tra esse si trova Didone e appena la vede Enea, le rivolge la
parola, addolorato per essere stato la causa della sua morte e giurandole che ha
lasciato le sue spiagge solo perché spinto dagli ordini degli dei, gli stessi ordini
che ora lo conducono fra le ombre dei morti e la invita a fermarsi, a non fuggire,
perché questa è l'ultima volta che il Fato gli concede di parlarle.
27 -
vv.
467-476
il silenzio di
Didone
Così Enea ha cercato di lenire il dolore di Didone, che rimase col volto
immobile e impietrito come il marmo della ripa Marpesia, cogli volti a terra.
Infine Didone si allontana nella selva dove si trova l'antico marito Sicheo che
uguaglia il suo amore e soffre le stesse pene: Enea allora si allontana provando
dolore per la sorte di Didone.
28 -
vv.
477-493
i Dardanidi
Enea prosegue il cammino nei campi che accolgono gli eroi guerrieri:
Tideo, Partenopeo e il pallido Adrasto; i Dardani caduto in guerra: Glauco,
Medonte, Tersiloco, i figli di Antenore, Polibete, Ideo auriga di Priamo, mentre
gli eroi Greci al vederlo nelle sue armi splendenti fuggono trepidanti, come
fecero già in vita, mentre un grido strozzato esce dalla loro gola.
29 -
vv.
494-508
Enea parla a
Deifobo
Qui vede Deifobo, figlio di Priamo, sposo di Elena alla morte di Paride, col
corpo tutto straziato, con le mani, le orecchie e le narici tagliate e lo riconobbe a
stento, così sfigurato e tremante di paura e gli si rivolse con la sua voce
conosciuta, chiedendogli chi era stato a sottoporlo a un così crudele supplizio e
assicurandolo che gli aveva innalzato una tomba prima di partire dopo che gli
era giunta notizia che era caduto stanco dell'uccisione di molti pelasgi su un
mucchio confuso di cadaveri.
30 -
vv.
509-534
il racconto di
Deifobo
Il figlio di Priamo racconta la sua morte, riconoscendo prima di tutto che
ogni cosa per lui fu fatta da Enea: il suo Fato dipese dalla scelleratezza di Elena;
trascorsa la notte suprema nella falsa gioia della vittoria, nella notte uscirono gli
armati dal cavallo mentre Elena simulando un coro di baccanti agitando la
fiaccola faceva segnali dall'alto delle mura. Intanto Deifobo, vinto dalla
stanchezza e dal sonno, si getta sul letto in una quiete simile alla morte ed Elena
porta via dalla casa tutte le armi e la stessa spada che teneva sotto il capo e
chiama l'antico marito, cui si unisce Ulisse.
Infine chiede ad Enea come mai si trova nelle tristi dimore dell'Averno.
15
31 -
vv.
535-547
Deifobo e la
Sibilla
Intanto l'Aurora aveva raggiunto la metà del suo cammino e la Sibilla
invita Enea ad affrettarsi, indicandogli che la strada a quel punto si biforca: a
destra va verso le mura della città di Dite e verso l'Eliso, a sinistra va invece verso
il Tartaro dove si trovano i malvagi. Intanto Deifobo si volta e torna verso le
ombre augurando ad Enea destini migliori dei suoi.
32 -
vv.
548-561
Tisifone
Enea si volta a guardare e vede sotto una rupe grandi mura circondate da
tre file di bastioni lambite dal Flegetonte, il fiume di fuoco che trascina massi
rimbombanti: di fronte una enorme porta con colonne di acciaio che né uomini
né dèi avrebbero potuto abbattere: a guardia si trova Tisifone avvolta in una
veste insanguinata; si odono intanto rumori e strepiti di ferro ed Enea chiede
spiegazioni alla Sibilla.
33 -
vv.
562-627
Sibilla
descrive il
Tartaro
vv.562-572
Tisifone
La Sibilla rivela ad Enea che a nessuno è lecito soffermarsi sulla porta del
Tartaro, anche se a lei da Ecate è stato concesso di vedere tutto, le anime e i
luoghi. Radamanto ha il governo del luogo: ascolta le colpe commesse tra i vivi
delle quali qualcuno ha rimandato l'espiazione a dopo la morte e assegna il
castigo; le anime sono prese poi in consegna da Tisifone che le sferza armata di
un flagello e agitando minacciosa i contorti serpenti e chiamando la schiera delle
sorelle ad aiutarla.
34 -
vv.
562-627
Sibilla
descrive il
Tartaro
vv. 573-607
gemelli Aloidi
Salmoneo
Tizio
Lapiti
Issione
Pirìtoo
Solo allora davanti alle anime si aprono le porte del Tartaro e la prima
figura che si incontra è l'Idra dalle cinquanta teste; poi il Tartaro si apre in un
enorme precipizio due volte più grande di quanto la vista del cielo si stende fino
all'Olimpo: qui i figli della Terra e di Crono, la gioventù dei Titani si voltola dopo
essere stata scaraventata dal fulmine di Giove, qui si trovano i gemelli Aloidi Oto
ed Efialte, che tentarono di rovesciare il cielo e di cacciare Giove; qui si trova
Salmoneo che si credeva simile a Giove imitandone i tuoni e i fulmini girando per
le contrade e le città dell'Elide su un carro trainato da quattro cavalli, ma fu
scaraventato da un fulmine nel Tartaro; qui si trova Tizio grande quanto nove
jugeri mentre un immane avvoltoio gli rode il fegato che ricresce sempre; qui si
trovano i Lapiti, Issione e Pirìtoo sotto una nera rupe in bilico che sembra stia per
cadere mentre davanti a loro è imbandita una ricca mensa regale che non
possono toccare colle loro mani perché impediti da Tisifone, la più vecchia delle
Furie, che agita una fiaccola ed urla con voce tonante.
35 -
vv.
562-627
Sibilla
descrive il
Tartaro
Qui si trovano coloro che
- odiarono i fratelli
- e percossero i padri
- e ingannarono un protetto
- o ammassarono ricchezze senza dividerle,
16
vv. 608-627
tipi di dannati
nel Tartaro
- o furono uccisi per adulterio
- o non esitarono a tradire giuramenti fatti.
Inutile sapere a quali pene sono stati condannati: rotolano un sasso o pendono
legati ai raggi d'una ruota; siede l'infelice Teseo e Flegias ammonisce tutti a non
disprezzare gli dèi. Qui si trovano coloro che
- vendettero per oro la patria,
- per denaro fecero le leggi o le abrogarono
- o penetrarono nel letto della propria figlia per un amore illecito.
Non basterebbero cento lingue e cento bocche per descrivere tutti i delitti ed
enumerare tutte le pene.
36 -
v. 628-
639
i preparativi
sulla porta di
Dite
Finito di parlare, la Sibilla invita Enea a completare il suo compito e ad
affrettarsi: vede già le mura costruite dai Ciclopi e le porte dove depositare le
offerte dei doni. Avanzano e raggiungono le porte; Enea si asperge con acqua
lustrale e affigge sulla porta il ramo d'oro. Possono quindi raggiungere i luoghi
beati e i boschi fortunati.
37 -
vv.
640-647
l'Eliso
Orfeo
Un ampio cielo, con stelle e sole proprio, copre con luce purpurea i campi.
Una parte dei beati esercitano i propri corpi o lottano sull'arena, altri ritmano
danze coi piedi. Orfeo, il sacerdote Tracio, con una lunga veste, suona una lira
con sette corde con le dita o col plettro.
38 -
vv.
648-659
eroi Troiani -
fiume Eridano
Qui si trova la stirpe di Teucro: Ilo, Assaraco e Dardano, il fondatore di
Troia, mentre in disparte si trovano le armi e i carri vuoti; anche sotterra
provano l'amore per le armi e per i carri; da un'altra parte alcuni cantano un
peana in onore di Apollo in mezzo a un bosco di lauro dal quale scorre il fiume
Eridano.
39 -
vv.
660-678
Museo
Qui si trovano quelli che furono feriti combattendo per la patria e coloro
che hanno vaticinato in nome di Febo Apollo o hanno reso più civili gli uomini
colle arti o hanno meritato di essere ricordati: tutti hanno le tempie fasciate con
bende bianche. A loro si rivolge la Sibilla chiedendo dove si trova Anchise, e le
risponde il poeta Museo dicendo che nessuno ha un luogo fisso, ma se lo
seguono potrà metterli sulla giusta via dopo aver superato il crinale della collina.
40 -
vv.
679-702
incontro tra
Anchise ed
Enea
Intanto Anchise guarda le anime racchiuse in una valle verdeggiante: sono
gli amati nipoti che avranno nelle mani il futuro, le vicende e i costumi di Roma.
Quando vede Enea, gli si rivolge con ansia, contento che finalmente può
rivederlo, sentirlo e parlargli, vedendo avverato ciò che aspettava contando i
giorni; e accoglie il figlio che tanti pericoli ha affrontato per tante terre e tanti
mari, soprattutto temendo l'amore di Didone che avrebbe potuto trattenere il
17
figlio. Ed Enea gli risponde chiedendogli di poterlo abbracciare. Tre volte tenta di
abbracciare il padre e per tre volte risulta vano il tentativo.
41 -
vv.
703-723
la valle del
Lete
similitudine
Intanto Enea vede un bosco isolato e il fiume Lete, che scorre vicino alle
dimore delle anime, vicino al quale si assiepa genti e popoli numerosi, come le
api numerose in estate si posano sui fiori. Lo stupito Enea chiede chi sono e il
padre gli rivela che sono le anime destinate a tornare sulla terra e può vedere
anche i suoi discendenti che avranno nelle mani i destini che possono farlo
rallegrare di aver raggiunto l'Italia. Enea chiede allora come possono le anime
essere così misere da desiderare di tornare sulla terra.
Similitudine: le anime si affollano leggere vicino al fiume Lete come in estate le
api si affollano sui fiori
42 -
vv.
724-751
l'origine della
vita terrena e
delle pene
infernali
Uno spirito vivifica ogni cosa: cielo, terra, mare, luna , sole e tutte sono
mosse da un'unica anima che si mescola al grande corpo universale. Di qui ha
origine la vita degli uomini, degli animali, dei volatili e degli esseri che sono
generati in fondo al mare.
Gli esseri, particelle del grande corpo universale, hanno un'energia ignea e
un'origine celeste, finché il male li rende ottusi e mortali: per questo le anime
temono e gioiscono, bramano e provano dolore, chiusi nelle tenebre della
mancanza di conoscenza e nel carcere rappresentato dal corpo.
Quando la vita nell'ultimo giorno abbandona le anime, queste sono ancora
gravate dai mali terreni, ormai induriti negli anni: per questo nell'aldilà esse
devono pagare la pena dei mali commessi;
solo dopo aver pagato le pene e lavato la macchia contratta per cui lo spirito
torna puro e celeste, le anime, dopo mille anni, sono chiamate da un dio al fiume
Lete affinché comincino di nuovo a desiderare di tornare sulla terra nei corpi.
43 -
vv.
752-776
ROMA
Albalonga
Quindi Anchise conduce il figlio in mezzo a una folla di anime e raggiunge
un'altura dalla quale può passare tutte le anime in rassegna, per spiegargli la
gloria che raggiungerà la stirpe di Dardano e indicargli i discendenti italici. Per
primo gli fa vedere un giovane che si appoggia a un'asta senza punta di ferro: è
Silvio, che sarà re e padre di Re e nascerà da lui dopo aver sposato Lavinia; vicini
gli sono Proca, Capi, Numitore e Silvio Enea, alcuni dei re Albani, che
conquisteranno terre e città come Nomento e Gabii, Fidene e Pomezia, Bola e
Cora.
44 -
vv.
777-787
le origini
Romolo, figlio di Marte, che sarà allevato da Acca Laurenzia di sangue
Troiano discendente di Assaraco: da lui nascerà la Roma che eguaglierà il suo
impero alla vastità delle terre e circonderà con le sue mura sette colli e sarà
rappresentata dalla corona a forma di torre come quella di Cibele che sul suo
18
cocchio corre per le città della Frigia.
45 -
vv.
788-807
la potenza
romana
Allora invita il figlio a guardare i futuri Romani: Giulio Cesare e Cesare
Augusto, nipote del primo, che riporterà nel Lazio l'epoca d'oro dei tempi di
Saturno ed estenderà il suo impero da Oriente ad Occidente. Già ora, attraverso
i responsi dei veggenti, tremano i regni del Caspio e le sette foci del Nilo.
Nemmeno Ercole ha percorso tanta terra nel corso delle sue dodici fatiche, come
quelle della cerva dai piedi di bronzo o dell'Idra di Lerna, né Libero col suo carro
guidato con redini intrecciate di pampini: come può Enea avere ancora dubbi sui
destini che lo attendono in Italia?
46 -
vv.
808-825
i re romani
i primi uomini
della
Repubblica
Anchise mostra Numa Pompilio, della città di Curi, che fonderà
nuovamente la città con leggi e costumi, e Tullo Ostilio che spingerà alle armi un
popolo tranquillo, e Anco Marzio e i due re Tarquinii, il Prisco e il Superbo, e
vicino l'anima di Bruto il vendicatore che farà cacciare l'ultimo re e verrà eletto
primo console della nuova Repubblica insieme a Tarquinio Collatino, e durante il
suo consolato avrà il doloroso compito di mandare a morte i suoi figli ribelli per
amore della bella libertà; e mostrerà i Decii, i Drusi e Tito Manlio Torquato e
Camillo.
47 -
vv.
826-853
gli uomini
illustri della
Repubblica
E mostra le anime di coloro che, ora in pace, in futuro saranno dilaniate
da una feroce guerra civile: il suocero Giulio Cesare e il genero Pompeo, e invita
a non abituare i cuori a queste lotte e non rivolgere le armi contro la patria.
Quindi mostra Lucio Mummio che distruggerà Corinto e Lucio Emilio Paolo che
sconfiggerà i Greci vendicando gli avi di Troia e il tempio di Minerva due volte
profanato (da Ulisse e da Aiace). E mostra Catone, Cossa e Fabio Massimo che
sconfisse Annibale: quindi ricorda ai Romani che loro compito è quello di
governare il mondo, di perdonare i popoli sottomessi e debellare i superbi.
48 -
vv.
854-866
Claudio
Marcello
Infine mostra Claudio Marcello che nel 222 vincerà contro i Cartaginesi e i
Galli Insubri e sarà il terzo ad appendere spoglie nemiche nel tempio del padre
Romolo Quirino. Allora Enea chiede chi è quel giovane che lo accompagna: è
figlio o nipote?
49 -
vv.
867-892
Marcello il
Giovane
Allora Anchise che quel giovane vivrà troppo poco, perché il Fato non lo
permetterà e agli dèi sarebbe sembrata eccessiva la potenza romana con tutti
questi doni: dolorosi pianti accompagneranno le sue esequie: egli è Marcello,
degno di compianto. Infine Anchise mostra al figlio ogni cosa, incendiando il suo
animo di amore per la futura gloria, e lo informa sui popoli con cui farà guerra e
come potrà superare ogni difficoltà.
50 -
vv.
893-901
Due sono le porte del sonno: una è quella di corno attraverso la quale le
anime fanno arrivare agli uomini sogni veraci; l'altra è d'avorio, attraverso la
19
l'uscita quale arrivano sogni fallaci. Anchise conduce il figlio e la Sibilla presso le due
porte e li fa uscire attraverso la porta d'avorio. Una volta fuori Enea torna alle
navi e si dirige verso Gaeta e una volta arrivato nel porto getta l'ancora e si
ferma: stanno immobili le poppe sulla spiaggia.
Biblioteca indice Progetto Dante Fausernet
© 1997 - by prof. Giuseppe Bonghi
- E-mail: [email protected]
La storia dell'Eneide [modifica]
Lo stile poetico dell'Eneide è raffinato e complesso: la leggenda vuole che Virgilio ne
scrivesse solo tre versi al giorno. L'opera è probabilmente incompleta, dato che
sebbene si ispiri all'Iliade e all'Odissea consta solo 12 libri invece dei 24 dei poemi
omerici, e si presenta come un lavoro non portato a termine. Vi sono 58 versi scritti
solo a metà, i cosiddetti "tibicines" o puntelli e, generalmente, si ritiene che la sua
conclusione sia troppo brusca per essere quella effettivamente prevista dall'autore. È
abbastanza comune che il testo dei poemi epici si presenti incompleto o con alcune
parti di discutibile attribuzione o chiaramente modificate a posteriori ma l'Eneide, grazie
al fatto di essere stata concepita direttamente in forma scritta e non adattata da una
precedente tradizione orale, è nel complesso giunta a noi molto più integra di quanto lo
siano le opere classiche dello stesso genere. Inoltre, è comunque dubbio se Virgilio
intendesse effettivamente completare questi versi, data sia l'evidente difficoltà che si
riscontrerebbe nel tentare le modifiche, sia il fatto che spesso la brevità ne aumenta e
favorisce l'effetto drammatico.
Tuttavia una leggenda vuole che Virgilio, temendo di morire prima di aver terminato la
stesura finale del poema, abbia affidato all'amico Vario il compito di bruciarla dopo la
sua morte, motivando quest'ordine con il suo stato di incompletezza e asserendo che il
passo del libro VII sui rapporti matrimoniali di Venere e Vulcano non gli piaceva più.
Presumibilmente aveva intenzione di modificare quella scena per adattarla meglio ai
valori morali romani. L'amico però non esaudì il desiderio di Virgilio ed Augusto stesso
ordinò che non fosse tenuto in considerazione: l'Eneide finì così per essere pubblicata
dopo aver subito soltanto modifiche di modestissima entità.
20
Nel XV secolo vi furono due tentativi di scrivere un'aggiunta all'Eneide. Il primo fu
quello di Pier Candido Decembrio, ma non fu mai portato a termine. Il secondo, del
poeta Maffeo Vegio, ebbe invece maggior successo e fu spesso incluso nelle edizioni
rinascimentali del poema con il titolo di Supplementum.
Il contesto dell'opera [modifica]
Il poema è stato composto in un periodo in cui a Roma stavano avvenendo grandi
cambiamenti politici e sociali: La Repubblica era caduta, la guerra civile aveva
squassato la società e l'inaspettato ritorno ad un periodo di pace e prosperità, dopo
parecchi anni durante i quali aveva regnato il caos, stava considerevolmente mutando
il modo di rapportarsi alle tradizionali categorie sociali e consuetudini culturali. Per
reagire a questo fenomeno, l'imperatore Augusto stava tentando di riportare la società
verso i valori morali tradizionali di Roma e si ritiene che la composizione dell'Eneide sia
specchio di questo intento. Enea è tratteggiato come un uomo devoto, leale verso il
suo paese e attento alla sua crescita, piuttosto che preoccupato dei propri interessi.
Egli ha iniziato un percorso che ha portato alla fondazione ed alla gloria di Roma.
Con l'Eneide, inoltre, si tenta di legittimare l'autorità di Giulio Cesare e, per estensione,
di suo figlio adottivo Augusto e dei discendenti : il figlio di Enea Ascanio, chiamato Ilo
(da Ilio, nome alternativo di Troia) viene rinominato Iulo e presentato da Virgilio come
antenato della gens Iulia, la famiglia di Giulio Cesare. Quando Enea compie il proprio
viaggio nel mondo sotterraneo dei morti riceve una profezia riguardo alla futura
grandezza dei suoi imperiali discendenti. Più in là riceve in dono da Vulcano
un'armatura e delle armi. Tra le quali uno scudo decorato con immagini del futuro di
Roma che nuovamente pongono l'accento sugli imperatori, tra i quali Augusto.
Si può inoltre rivolgere l'attenzione al rapporto tra Troiani e Greci che si riscontra
all'interno dell'Eneide. I Troiani secondo il poema furono gli antenati dei Romani,
mentre gli eserciti greci, che avevano assediato e saccheggiato Troia, erano i loro
nemici: tuttavia, all'epoca in cui l'Eneide è stata scritta, i Greci facevano parte
dell'Impero romano e, pur essendo un popolo rispettato e considerato per la sua
cultura e civiltà, erano pur sempre un popolo sottomesso. Questo problema viene
risolto sostenendo che i Greci avevano battuto i Troiani solo grazie ad un trucco, il
cavallo di legno, e non con una battaglia in campo aperto: in questo modo l'onore e la
dignità dei Romani restavano salvi.
Temi trattati nel poema [modifica]
Il testo dell'Eneide è quasi interamente dedicato alla presentazione del concetto
filosofico della contrapposizione. La più facile da riscontrare è quella tra Enea che,
guidato da Giove, rappresenta la pietas intesa come devozione e capacità di ragionare
21
con calma, e Didone e Turno che, guidati da Giunone, incarnano il furor, ovvero un
modo di agire abbandonandosi alle emozioni senza ragionare. Altre contrapposizioni
possono essere facilmente individuate : il Fato contro l'Azione, Roma contro Cartagine,
il maschile contro il femminile, l'Enea simile ad Ulisse dei libri I-VI contro quello simile
ad Achille dei libri VII-XII ecc.
La pietas era il valore più importante di ogni onesto cittadino romano e consisteva nel
rispetto di vari obblighi morali: gli obblighi verso gli dei, verso la patria, verso i propri
compagni, e verso la propria famiglia, specialmente nei confronti del padre. Per questo
motivo un altro dei temi del poema è l'analisi delle forti relazioni presenti tra padri e
figli: i legami tra Enea e Ascanio, Anchise ed Enea, Evandro e Pallante, Mesenzio e
Lauso sono tutti in vario modo degni di essere attentamente valutati. Questo tema
riflette gli intenti della riforma morale intrapresa da Augusto e per mezzo di esso si
intendeva, forse, presentare degli edificanti esempi alla gioventù romana.
Il principale insegnamento dell'Eneide è che, per mezzo della pietas, si deve accettare
l'operato degli dei come parte del destino. Virgilio, tratteggiando il personaggio di Enea
allude chiaramente ad Augusto e suggerisce che gli dei realizzano i loro piani
attraverso gli uomini: Enea doveva fondare Roma, Augusto deve guidarla, ed entrambi
devono sottostare a quello che è il loro destino.
Lo stile [modifica]
L'Eneide, come gli altri poemi epici classici, è scritta in esametri dattilici, che significa
che ogni verso ha sei piedi composti da dattili e spondei. La metrica del poema ricopre
la stessa funzione delle rime usate dai poeti moderni: è un modo per rendere la
composizione più gradevole all'ascolto. Virgilio fa inoltre ampio uso di figure retoriche
come l'allitterazione, l'onomatopea, la sineddoche e l'assonanza.
Il tempo nell'Eneide [modifica]
Diversamente da quanto accade nell'Odissea di Omero, gli eventi narrati nell'Eneide
non presentano una chiara scala temporale. Neppure l'età del figlio di Enea, Ascanio,
si rivela utile per fornire un indizio sulla sequenza temporale dei fatti: nel 4° libro, ad
esempio, viene presentato sia come in età sufficiente a partecipare ad una battuta di
caccia, sia mentre, impersonato da Cupido, se ne sta come un bambino molto piccolo
tra le braccia di Didone a scagliare frecce nel suo cuore. Alcuni studiosi suggeriscono
che questo uso "nebuloso" del tempo nell'Eneide sia una precisa scelta di Virgilio.
Tradizioni filosofiche [modifica]
Virgilio per la stesura dell'Eneide si ispira alla teoria orfico-pitagorica