Emporium - specimen antologico

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Così, ti dài da fare. La situazione è difficile e precaria. E tuttavia. Non vuoi lasciare nulla d’intentato. Inondi scrivanie col tuo CV. Leggi le inserzioni ed i tuoi estremi lasci all’agenzia che gli sia chiaro, infine, chi sei tu. Colloqui e concorsi e selezioni. Spendi fortune in posta prioritaria. Vivi nell’attesa e non respiri ché ti manca l’aria. Ma un giorno ti raggiunge la notizia! Così, tu entri in azienda e finalmente che ormai non ci speravi quasi più tu sei assunto! AS-SUN-TO! Come il sole peral poker, quando fuori piove e sei servito (rallegramenti, congratulazioni e pacche sulla spalla e telegrammi sostengono il tuo rito il tuo entusiasmo… ma si festeggia, dimmi, con l’orgasmo la morte psicologica di un uomo?) Sono ottocento dindi al mese (quando mille non ti bastano a campare) e in cambio, ecco, gli dài il fritto: tutto il tuo tempo, da mattina a sera Oh, il tempotutto quel che hai ma soprattutto tutto quel che sei - vero, Heidegger? …È la tua vita presa in un sequestro per? Ottocento sporchi dindi ad ogni mese che al massimo tu ci sopravvivi riscatto quotidiano in busta paga con un contratto a termine capestro ché te lo danno come un gran favore il precariato. Flessibile. Mobile. Disposto.

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Così, ti dài da fare. La situazione è difficile e precaria. E tuttavia. Non vuoi lasciare nulla d’intentato. Inondi scrivanie col tuo CV. Leggi le inserzioni ed i tuoi estremi lasci all’agenzia che gli sia chiaro, infine, chi sei tu. Colloqui e concorsi e selezioni. Spendi fortune in posta prioritaria. Vivi nell’attesa e non respiri ché ti manca l’aria. Ma un giorno ti raggiunge la notizia! Così, tu entri in azienda e finalmente che ormai non ci speravi quasi più tu sei assunto! AS-SUN-TO! Come il sole per… al poker, quando fuori piove e sei servito (rallegramenti, congratulazioni e pacche sulla spalla e telegrammi sostengono il tuo rito il tuo entusiasmo… ma si festeggia, dimmi, con l’orgasmo la morte psicologica di un uomo?) Sono ottocento dindi al mese (quando mille non ti bastano a campare) e in cambio, ecco, gli dài il fritto: tutto il tuo tempo, da mattina a sera Oh, il tempo… tutto quel che hai ma soprattutto tutto quel che sei - vero, Heidegger? …È la tua vita presa in un sequestro per? Ottocento sporchi dindi ad ogni mese che al massimo tu ci sopravvivi riscatto quotidiano in busta paga con un contratto a termine capestro ché te lo danno come un gran favore il precariato. Flessibile. Mobile. Disposto.

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Come un ingranaggio bene oliato un pezzo a incastro, un mozzo nel suo posto funzionale a tutto il meccanismo. Così ha deciso devi essere qualcuno che precario non è affatto attaccato con la colla alla poltrona e non la molla mica ché guadagna ottantamila volte più di te. L’ho visto l’altro giorno con la Fica che gli stava accanto in Maserati (mentre la tua al massimo è una Skoda) guidare col suo stile prepotente lo sguardo misterioso e trincerato dietro un bel paio di lenti blé, modello ultima moda. Sarà poi un caso, ma da quel giorno la tua vita si trasforma e non in meglio. Testa d’aglio, sale, crocifisso e paletto in frassino appuntito tu mettere dovrai nella tua borsa. Ma oggi - ne sei fiero - è il primo maggio ed hai finito appena di giocare. Da domani si comincia e fai davvero. Sei uomo. Sei grande. Sei forte. E con coraggio affronti la tua sorte. Sei stato punzonato per la corsa la grande maratona delle fate didietro al pifferaio direttore che tiene tutti quanti con le briglie incontro alle migliori meraviglie per le più dolci ore - che è, questo, o non è il bel paese splendido del sole? Basta con i sogni e le menate sproloqui da idealisti e sciocche fole! Serietà. Sicurtà. Respònsabilità. Tu non esisti più, quello di prima. Devi scordarti di te stesso quello che sei stato e che tu sei.

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Sei un altro. Sei sposo del padrone: è il porco del tuo corpo è il tuo signore cui devi dedicarti culo e cuore finalizzarti tutto al suo progetto identificarti col suo sogno essere ingranaggio funzionale, che il tuo bene è diventato il suo e non può farti male: gli devi la speranza e la tua luce - solo Lui ti porta alla salvezza! Sei chiamato, insomma, a scegliere una cosa: o il padrone o mammona; o meglio: il padrone di mammona; o meglio ancora: immolarti alla mammona del padrone che è una grassa puttanazza cremolosa e ti vuole bendisposto a tutte l’ore per le sue voglie, per le sue viltà. E la tua anima? E la tua luce vera? E le esigenze dello spirito interiore? E le energie che ti fanno uomo? Niente, non hai tempo più per niente. Ti succhiano, ti spremono a limone. Quando torni a casa sei distrutto confuso, obnubilato ti addormenti e spegni sul cuscino i tuoi tormenti. Non leggi più. Non pensi più. Solo un pocolino di TV quel tanto di serale disimpegno le cosce sgambettanti al varietà e la pubblicità - che ti consiglia mentre tua figlia chiede le istruzioni per vivere la vita e non rispondi perché da un po’ di tempo tu hai già smesso di farti le domande d’esser vivo tragicamente inconscio, piano piano. Sei come in trance. Ti blocca l’aporia l’opposto sentimento ambivalente ché odi ma anche ami i tuoi aguzzini: non ne puoi fare a meno.

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Dov’è la verità? Dov’è la giusta via? Tu non capisci più. Così, nel giro di sei mesi o un anno, male che gli vada il gioco è fatto: sei reso inoffensivo automa, inerte, addormentato un pesce incappiolato nella rete. Ci son riusciti anche con te. E i tuoi occhi infine sono spenti come pozzi vuoti e inespressivi. Ma un giorno all’improvviso ti risvegli come Belluca al fischio del vapore. Capisci che ogni giorno lavori praticamente solo per… mantenere la macchina! che ti serve per… andare ogni giorno a lavorare! La macchina! Ah! L’ipostasi-emblema del sistema! L’invenzione più geniale e redditizia. La scatola infernale che ammorba col fetore viscerale che scappa dal suo tubo inverecondo e fonde con l’usura la frizione mentre il motore va in ebollizione. È il petroliere che accende e mantiene il semaforo rosso e gode dell’ingorgo procurato perché ogni attimo che tu rimani là inscatolato come una sardina con l’occhio strabuzzato ed impotente sognando il tuo bel pieno di benzina che lentamente in fumo se ne va, per lui è un affare grosso un bucintoro di milioni che gli piovono addosso senza muovere dito e la tua macchina, pur quando utilitaria è una gallina d’oro. Ogni mattina due ore di traffico e altre due la sera per tornare. L’aria irrespirabile che appesta, di piombo avvelenata e di furore. Ma si può campare in questo modo?

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Cos’è questa spirale? Chi è che l’ha inventata? E quale soluzione? Realizzi che così non può più andare: devi uscirne, devi migliorare. E allora chiedi un colloquio e Lui te lo concede franco paterno liberale abbronzato anche a gennaio e sorridente. Bello. Ti abbraccia, ti accoglie col suo viso da porcello, da salvadanaio senza una ruga liscio come un bimbo reduce dal sole di Cancun. Sigaretta, wiskino - no grazie. Si adagia nella valva che lo accoglie prezioso ripieno imbottito della sua Chesterfield nera la classica poltrona in pelle umana. È a tua disposizione - Dimmi pure. “Scusi, My Tycoon pregiato dirigente mio dottore o grande chiarissimo capo di buona speranza, non vorrei sembrarle inopportuno se ardisco addivenire alla sua stanza…” “Dimmi, caro, dimmi…” “Recarle disappunto ma io sono un uomo e la prego di degnarmi in quanto tale”. “Ma carissimo, che cosa non ti va… Hai bisogno di un ritocco, un rinforzino? Ti aumento lo stipendio di tre dindi!” “Non è questione di danari”. “Suvvia, facciamo trentatre. Per trenta si convinse pure Giuda”.

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“Ho bisogno di più tempo a realizzarmi” (e la mia fronte suda) “per diventar me stesso, che io sono venuto al mondo - ho un compito assegnato il mio ruolo evolutivo, la creazione che mi vuole ancora pronto, ancora vivo: sono uscito dal mio corso, ho deragliato: io devo ritornare alla missione sono artista”… Pausa, caduta, buco del discorso. Silenzio imbarazzato e controverso. Ops. Guai in vista. Si è spento lievemente il suo sorriso come quando il sole che splendeva di bruma un po’ si vela e non convince e l’occhio suo di lince si fa cupo. Un’ombra di pensiero, un nuovo caso? “Ne hai parlato con il referente preposto per l’appunto alla gestione delle risorse umane?” “Ne ho parlato, sì, non serve a niente: del resto risorse certamente, ma non Le chiami umane per piacere - e infine non sono un caso che si può gestire facilmente”… È sorpreso, più che deluso. “Che ti sei messo in testa, lascia stare. Vuoi farmi concorrenza? Vuoi metterti in affare?”. “Mi dica che cos’è questo rumore questa potenza immane che involve al meccanismo e ci fa male”. “È il build, è il bit, è il cip è il plinto costruttore, l’impulso della macchina mondiale. È la vita, è la gioia, è la natura!

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Non hai orgoglio a farne parte?”. “Direi che è storia, altro che natura! Preferisco giocare a carte. Io tento la mia sorte”. “Tu tenti, sciocco, la tua morte. È una signora ad ore”. “Di spirito le parlo, mio signore”. “Di spirito? Soccorso? Infermeria? Un sorso di liquore?”. Ti guarda strano, come dalla luna… Non ti capisce più - ma che gli dici? Sei una frana in un massiccio di saldezze Tu sei solo un mezzo, non un fine, tanto meno gli puoi essere d’impiccio: la tua spinta è necessaria alla catena e l’olocausto delle tue energie è sacro sulla pira dell’Idea di cui a godere i frutti sarà Lui. Così, dopo una vita spesa in nome di quel fuoco che ti brucia ma non ti appartiene al sacrificio immane dei tuoi giorni di rinunce, di grame apostasie di vie che non hai scelto ma hai percorso ti guarderai allo specchio e dirai “Fui”. Arbeit macht frei. È questo il tuo discorso. Si meraviglia inquieto e innaturale e a questo punto, poi mi chiede il nome per conoscere chi è che gli fa male… Ma come? Ingrato! Sputo dentro il piatto dove mangio?

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Così, così gli rendo fede del bene che mi fa da diciassette mesi mi dà il pane che ha creduto in me e addirittura! mi ha dato un numero nella sua struttura mi ha reso matricola, particola di un cuore così grande… “Il glande io non succhio del suo pene ché non gradisco il sesso, e nato non son fatto a portar pesi… Bruttura di abbrutiti è la struttura la macina che pesta e che tritura la strada senza uscita, e non ne faccio parte io non gioco da questo punto lascio la partita che in cesso ha trasformato la mia vita”. “Ma tapino, sciagurato, impertinente: perché la storia non t’insegna niente? Cos’è quest’Aventino? Non ricordi Menenio Agrippa?” “Ricordo che la trippa vi s’ingrassa a dismisura, mentre a noi, noi non bastano i passanti alla cintura”. “Lascia fare, che a star magri si sta bene… Voglio dire, stammi un pochino a sentire: siamo membra dello stesso corpo! Ci siamo mutuamente necessari… Ma forse è questione di orari?” “Peccato voi siate la testa e in testa c’è la bocca e il grimaldello, e gli occhi

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e tutto quel che gode e che decide e alle altre membra niente resta, o pressappoco: è un corpo servitore è un brutto gioco”. “Ah, lo capisti… Da quanto?” “Da un po’ di tempo: non avrei dovuto?” “Ammetto. È questo purtroppo il mondo. E non le puoi cambiare certe cose: c’è chi nasce testa e chi vil piede… E allora che vuoi fare?” “Fra testa e croce vince solo questa e gliela rendo piena di interessi i passi barcollanti e traditori sotto lo strazio acuto del mio corpo le spine, le frustate, i machiavelli e quindi senza odi né rancori Le dico che è un gran porco dentro e fuori: voi siete sempre quelli e la mia testa non l’avrete mai: vi mando tutti quanti a quel paese”. Poi l’ho schiaffeggiato brutalmente. Licenziato su due piedi. Polizia. Condannato, con la condizionale. Ma prima gli ho lasciato i quattro chiodi sulla scrivania.