Emotions Magazine - Aprile

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Il nostro numero di aprile

Transcript of Emotions Magazine - Aprile

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3Sommario

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DOGON i misteri del popolo delle stelletesto di Anna Maria Arnesano e Giulio Badini

GIORDANIA un millenario set cinematograficotesto di Marco De Rossi

MAR MORTO il paradiso terrestre non è una leggendatesto di Marco De Rossi

BELGIO le Fiandre e i capolavori della pittura fiammingatesto di Romeo Bolognesi

La lanterna di Charles - Dickens and London a tale of one man and his citytesto di Michela Perinot

CittàMilano - dalla storia all'Expo 2015testo di Luisa Chiumenti

"Festa della fioritura" a Lanala montagna incantata amata da Sissitesto di Mariella Morosi

Gallipoli città fortificata del Mediterraneotesto di Mariella Morosi

Salento: Dimora di Mare B&B di charme a Gallipolitesto di Anna Maria Arnesano

Querceto un sogno, una storia, una famigliai Marchesi Ginori Liscitesto di Giuseppe Garbarino

Montecosaro un borgo marchigiano tra i più belli d'Italiatesto di Mariella MorosiKaleidoscope

Musica per viaggiare

Libri

Antiche Capitali Regalitesto di Pamela McCourt Francescone

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Cina del Sudle minoranze etniche di Yunnan e Guangxi

Kamchatkaterra di fuoco e ghiaccio

Okinawale isole della giovinezza

testo di Anna Maria Arnesano e Giulio Badini

testo di Romeo Bolognesi

testo diPamela McCourt Francescone

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Calendimaggio di Assisiun balzo nel XIII secolo tra cultura cortese e spirito popolare

testo di Mirella Sborgia

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55La stessa malìa dell’Oriente che ha sempre dominato favole e fan-tasie esotiche fatte di veli, pagode e luccichii, ora percorre la strada della storia di grandi civiltà anti-che che hanno lasciato un alone diverso di quella stessa magia. Un viaggio nelle capitali di importanti regni del passato in Laos, Vietnam e Cambogia, per esempio, con lunghe tradizioni buddhiste, tra le destinazioni più autentiche e af-fascinanti dell’Indocina. E che dire

della nota saggezza orientale che ha fatto del Giappone, e soprattutto di Okinawa, il custode del segreto della longevità? Sempre in Orien-te, l’esperienza antropologica si arricchisce nello Yunnan, la provincia cinese con il mag-gior numero di minoranze, ben 26, senza con-siderare le differenze a livello tribale. E par-lando di popoli, meritano un discorso a parte i Dogon, nel Mali, a buon motivo chiamati “il popolo delle stelle” per via delle loro intuizioni astrologiche straordinarie e misteriose, spro-porzionate all’inesistente informazione scien-tifica e al livello di vita primitiva. Nulla di tutto questo toglie bellezza alle nostre coste, come quelle della Puglia punteggiate da perle del barocco come Lecce e avamposti della storia come Gallipoli. Lo stimolo dell’arte per viag-giare è sempreverde, anche per un week-end: alle Fiandre per respirare la suggestione della pittura fiamminga o a Londra per il duecen-tesimo anniversario dalla nascita di Dickens.•

Editoriale

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ANTICHE CAPITALI REGALI - INDOCHINA’S GLITTERING CITIES OF GOLD

ANTICHE CAPITALI REGALI Un viaggio alla scoperta di tre affascinanti città in Indocina, in passato capitali di possenti regni

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Luang Prabang, Hue, Phnom Penh. Nei secoli capitali sfavillanti di importanti regni in Laos, Vietnam e Cambogia, che oggi hanno in comu-ne molto di più di un passato dinastico. Perché queste tre città si trovano tutte su grandi fiumi

– Hue sul Fiume di Profumo e le altre due sul grandioso Mekong –tutte hanno storici palazzi reali, poi si trovano in paesi con lunghe tradizioni buddhiste, e sono tra le destinazioni più autentiche e affascinanti dell’Indocina. Da cosa dipende questo loro fascino? La prima impres-sione, che dura nel tempo, è che in questi luoghi il tem-po sembra dilatarsi e rallentare. Poi tutt’intorno c’è un’ abbondanza di maestosità, storia e spiritualità che an-cora oggi è una parte integrante del tessuto sociale C’è la bellezza impareggiabile dell’architettura, dei palazzi e dei templi. E poi è impossibile non meravigliarsi di come, nonostante l’intrusione del mondo moderno, la gente di queste città abbia saputo conservare pressoché intatti le loro usanze ancestrali e il loro antico stile di vita. Questa fedeltà al passato si manifesta nei loro costumi e rituali, mestieri e svaghi e anche nelle tradizioni gastronomiche. Il cibo è un elemento onnipresente. A tutte le ore sui marciapiedi si possono gustare ciotole fumanti di mine-

Luang Prabang, Hue, Phnom Penh. Once glittering capitals of powerful kingdoms in Laos, Vietnam and Cambodia, they have a lot more in common than just their colourful dynastic pasts. They are all on rivers (Hue on the Perfume River and the other two

on the mighty Mekong), all three have royal palaces, they are all in countries with strong Buddhist traditions, and they are three of Southeast Asia’s most unspoiled and charming desti-nations.On what does their charm depend? The first impres-sion, and it is a lasting one, is that time seems to move at a delightful slow pace. Then you find yourself surrounded by the majesty, history and spirituality that is interwoven into their social fabric, and by the unparalleled beauty of their tradi-

Testo di - Words by Pamela McCourt FrancesconeFoto di - Photos by Pamela McCourt Francescone / Archivio

INDOCHINA’S GLITTERING CITIES OF GOLDA journey to three fascinating cities that were once the dazzling capitals of ancient kingdoms

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I templi di Luang Prabang sono patrimonio UNESCO

tional architecture, palaces and temples. And by how, despite the intrusion of tourism, the people of these former kingdoms have resolutely held on to their age-old style of life and prac-tices. You find this anchoring to the past in their customs and rituals, their crafts and pursuits and in their gastronomic tra-ditions. Food is omnipresent. At all hours of the day steaming bowls of soup, grilled meats and fish, mounds of vegetables and the ubiquitous noodles can be found on every street cor-ner. Visiting local markets is another way to feel the heartbeat of these cities. In Luang Prabang’s downtown morning market fresh produce is artfully piled on the roadside with a liberal sprinkling of edibles that may not be for all tastes such as grilled frogs, serpents, bats, crickets and worms. Hue’s Dong Ba market spills over with food stalls and is a great place for picking up Vietnamese conical hats, pottery and artisan bam-boo crafts and in the Russian market in Phnom Penh you can find anything from diamonds to chainsaws and the smiles that greet you along the narrow alleyways are worth more than any bargain! A good reason for rising at dawn in these cities is to see the alms processions of Buddhist monks who walk barefoot through the streets in their orange robes ac-cepting offerings. This mystical moment gains further depth when seen through the swirling morning mists of Luang Pra-bang in the mountains of central Laos. Originally a series of small settlements built around temples, in 1867 the French arrived and introduced their own elegant brand of colonial architecture. But the true soul of this former independent kingdom is to be found in its temples, the Xieng Thong being the most exquisite example of the characteristic architecture with its elegantly sweeping roofs and mosaic-decorated ga-bles. Journey up the Mekong to the Pak Ou caves to marvel at hundreds of Buddha statues. Laos was once called the Kingdom of the Million Elephants, so an elephant ride through

stre, carne e pesci grigliati, montagne di verdure e gli spaghettini senza i quali la vita si fermerebbe o quasi. Una maniera eccellente per cogliere l’essenza di queste città è di tuffarsi nell’attività animata di un mercato loca-le. Ogni mattina all’alba nel mercato di Luang Prabang vengono stesi ordinatamente lungo i marciapiedi pro-dotti di ogni tipo, comprese prelibatezze che non neces-sariamente coincidono con i gusti occidentali come rane, serpenti, pipistrelli, ratti e lumache allo spiedo. Il mercato Dong Ba a Hue offre il meglio della produzione locale e anche i tradizionali cappelli a cono vietnamiti e oggetti di artigianato in ceramica e bambù. A Phnom Penh il Mercato Russo è un labirinto di vicoletti dove si vende di tutto, dai diamanti alle motoseghe, e dove i sorrisi dei venditori ambulanti valgono molto di più di un buon af-fare! Un ottimo motivo per alzarsi all’alba in queste città è assistere alle processioni dei monaci buddhisti i quali, incamminandosi scalzi per le vie, raccolgono le offerte e gli omaggi dei cittadini. Un momento mistico reso an-cora più suggestivo quando è osservato attraverso la leggera foschia svolazzante mattutina di Luang Prabang che si trova nelle montagne centrali del Laos. Sorta come una serie di piccoli insediamenti intorno ai templi, nel 1867 si arricchì dell’elegante architettura coloniale grazie ai francesi che arrivarono qui. Ma l’anima più profonda di Luang Prabang, nei secoli un regno indipendente, risiede nei suoi templi. Il Xieng Thong ne è l’esempio più spet-tacolare. Uno scrigno della splendida architettura locale, caratterizzata da lunghi tetti spioventi e frontoni incasto-nati di coloratissimi mosaici. Si può salire il Mekong in barca fino alle grotte di Pak Ou e, in cima alle ripide scale che portano all’ingresso, scoprire centinaia e centinaia di statue di Buddha. Storicamente il Laos era chiamato il

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ANTICHE CAPITALI REGALI - INDOCHINA’S GLITTERING CITIES OF GOLD

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9Regno del Milione di Elefanti, e una passeggia-ta attraverso la foresta lussureggiante a dorso di elefante è un momento di grande fascino. Come è il rilassarsi in uno dei tanti piccoli bar e ristoranti lungo le sponde del Mekong, conta-giati dall’andatura lenta e spensierata di Luang Prabang, per degustare l’appetitosa cucina lo-cale e un bicchiere di eccellente Lao Beer. Hue, capitale dei re Nguyen per più di 250 anni è, dopo Hanoi, la destinazione più culturalmen-te ricca del Vietnam, una città dove la poesia ha il sopravvento sul commercio. Il retaggio lasciato dai Nguyen comprende splendidi tem-pli, centinaia di pagode, e un complesso regale all’interno di un fossato che, a sua volta, si trova all’interno di tre città fortificate. Da non man-care una tappa alla magnifica Tomba di Minh Mang nelle campagne non lontano dalla città. Il modo più efficace per visitare la Città Proibi-ta di Porpora, il complesso che fu la residenza della famiglia Nguyen, è di prendere un cyclo, la versione locale di un taxi, e tenersi forte mentre l’autista-ciclista si insinua nel traffico fermando-si sotto le mura arcigne della Cittadella. Phnom Penh, la capitale cambogiana, fonde secolari influenze orientali e occidentali e, a differenza di molte altre città asiatiche, non è stata schiac-ciata dalla globalizzazione.

shady forests is an experience not to be missed. And adopting Luang Prabang’s laid-back pace, relax at the small cafes and restaurants along the Mekong and enjoy the delicious local cuisine and excellent Lao Beer. Hue, which was the capital of the Nguyen kings for over 250 years is, after Hanoi, Vietnam’s most culturally profound destination where poetry, not commerce, rules the day. The heritage left by the Nguyens include munificent temples, hundreds of pagodas and a royal compound within a moat within three walled cities. Not to be mis-sed are the tombs of the Nguyen kings, the most magnificent being the Tomb of Minh Mang. And the best way to visit the Forbidden Purple City, the former residence of the imperial fa-mily, is to hop onto a cyclo, the local version of a taxi, and hold on tight as the driver weaves in and out of traffic up to the looming walls of the Citadel. Phnom Penh, the Cambodian capital, is a blend of influences from East and West and unlike many other Asian cities has not been flattened by globalization. The French built wide boulevards and han-dsome monuments like the Town Hall and the ochre-tinted Central Market with its huge domed roof. The ancient Khmer era is

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Il palazzo reale a Phnom Penh

La tomba di Minh Mang a Hue

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11reflected in the Independence Monument which echoes the temples at Angkor Wat, while many examples of “New Khmer” architecture date to the post-Independence 50s and 60s. But the secret of Phnom Penh’s unique charm is its people who have preserved their identity as the “Latins” of Asia. They like to joke and chat with visitors, always leading with a really ge-nuine smile. The city is a big onion. Peel back one layer with a visit to Sisowath Quay’s restaurants and bars. And then more layers discovering narrow alleyways packed with shops and street vendors, the promenade along the Mekong and Bassac rivers, and the Phnom Hill which are all part of its remarkable heritage. The Royal Palace, where King Norodom Sihamoni resides, attracts visitors who come to admire the Silver Pa-goda, the floor of which is covered with 5,000 one-kilo tiles. The Tuol Sleng Prison, where prisoners were held for inter-rogation during the dark days of Pol Pot’s genocidal Khmer Rouge regime, and the Choeung Ek Killing Fields cast a dark shadow over today’s cheerful city. Tragic though they are, they are fundamental for understanding Cambodia’s more recent history: pages the Cambodians can not forget and are a les-son to the world of how the tenacity and fortitude of a people can combine to create a new world. These are places for con-noisseurs and lovers of nature who cherish uncontaminated environments, ocean depths that are among the most breath-taking and spectacular in the world, and palm-fringed tropical islands where the passing of time is marked by the glimmer of dawn and the golden hues of sunset. Difficult to beat, we think you’ll agree!•

I francesi qui hanno costruito larghi boulevards e bei monumenti come il Municipio e il Mercato Centrale, un grande edificio color ocra con una magnifica cupola. Il periodo Kmer viene ricordato nel monumento dell’Indi-pendenza che richiama i templi di Angkor Wat, mentre sono molteplici gli esempi di architettura “New Khmer” risalenti agli anni ‘50 e ‘60. Ma il vero segreto del fasci-no di Phnom Penh è la sua gente, che ha conservato la sua identità come i “Latini” dell’Asia. Amano scherzare e chiacchierare con il visitatore, e ogni approccio inizia con un bellissimo sorriso. Questa città è come una grande cipolla. Si può tirar via uno strato visitando i ristoranti e bar sul Sisowath Quay, e poi toglierne altri scoprendo stradine stracolme di negozi e venditori ambulanti, e sa-lendo la collina di Phnom dalla quale la città ha preso il nome. Infiniti tasselli del fascinoso patrimonio storico di questa ridente capitale. Si visita il Palazzo Reale, dimora di Re King Norodom Sihamoni, per ammirare il Pagoda d’Argento e il magnifico pavimento di 5.000 piastrelle del peso di un kilo l’una. Gettano ombre scure sulla città la prigione di Tuol Sleng, dove venivano interrogati i prigio-nieri durante i giorni bui del regime brutale di Pol Pot, e i campi di sterminio di Choeung Ek. Ombre nefaste e pe-nose che sono fondamentali per capire la storia recente della Cambogia: pagine che nessun cambogiano potrà mai dimenticare. Sono una lezione per il mondo su come la forza d’animo e la tenacia di un popolo siano in grado di creare un nuovo mondo.•

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Le minoranze etniche di Yunnan e Guangxi

Testo e foto di Anna Maria Arnesano e Giulio Badini

Inutile negarlo: nonostante le sue macroscopiche contraddi-zioni, e forse anzi proprio per questo, la Cina attrae ed invo-glia a visitarla. Per scoprire gli

ultimi resti della più antica e raffina-ta civiltà del mondo tuttora attiva, vecchia di seimila anni e artefice di gran parte delle acquisizioni tec-niche e scientifiche dell’umanità, e per cercare di intuire i meccanismi che ne faranno a breve la nazione leader della terra, almeno sul piano economico. Per capire come pos-sano coabitare marxismo e libero mercato, per comprendere come si possa convivere con il maggior diva-rio al mondo tra la ricchezza urbana e la povertà rurale, come conciliare il maggior tasso di sviluppo con ri-spetto per l’ambiente. Sarebbe però un errore pensare di visitare questo paese come qualsiasi altra nazione, perché in realtà non si tratta di una nazione, bensì di un continente. Per le sua enorme estensione, per la sua estrema varietà geografica, climati-ca, ambientale e umana che si possa incontrare in un unico stato, capace di spaziare dalle vette hinalayane alle steppe e taighe del nord, dalle foreste di mangrovie lungo le coste del Mar Cinese e dalle foreste tro-picali del sud ai deserti occidentali, non esiste una sola Cina, ma piutto-

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CINA DEL SUD

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CINA DEL SUD, le minoranze etniche di Yunnan e Guangxi

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sto tante Cine una diversa dall’altra. Non si può visitare Pechino, Xian e Shanghai in otto giorni e pensare di aver visto la Cina. Per visitare que-sto paese occorre scegliere quale si vuole vedere, tra le tante possibili; occorre compiere una scelta, ge-ografica o tematica che sia. Tra le varie opzioni possibili, una delle più interessanti riguarda gli stati meri-dionali del Guangxi e dello Yunnan, verso i confini con Vietnam, Laos, Myanmar e Tibet, che assieme a sto-ria, arte e cultura sono in grado di offrire alcuni dei paesaggi più vari e affascinanti del paese, le zone di maggior pregio naturalistico, non-ché la maggior concentrazione di minoranze etniche con tutto il loro corollario somatico, di costumi, di stili di vita e di artigianato che ne fanno mondi a sé stanti, purtroppo ogni giorno minacciati da un inelut-tabile processo di globalizzazione.

Come si sa la Cina rappresenta uno dei principali luoghi di origine dei vegetali esistenti sul pianeta: possie-de infatti oltre 30 mila specie diver-se di piante, delle quali ben 17.300 endemiche e 2.500 di alberi. Molte piante presenti nei nostri giardini o che fanno ormai parte del nostro paesaggio, come azalee, camelie, orchidee, rododendri, loto, magno-lie, ginkgo, bambù, acero, betulla, pioppo e abete, sono originarie di questa terra. Orbene, oltre la metà provengono dallo Yunnan, una delle poche regioni cinesi dove sia ancora possibile osservare in libertà anche animali come scimmie bianche e dorate, antilopi, panda, tigri, cervi, bufali, elefanti e una grande varietà di uccelli. Non tutti gli abitanti della Cina sono cinesi, vale a dire di etnia han. Nelle enormi regioni di frontie-ra e in diversi territori acquisiti con le armi all’impero vivono infatti nume-

rose minoranze etniche e linguisti-che caratterizzate dalle loro diverse tradizioni, dagli antichi costumi, dai peculiari stili di vita, non ancora as-similate alla cultura cinese. Vengono riconosciuti ufficialmente 56 gruppi etnici per un totale di 96 milioni di individui, capaci però di occupare oltre la metà del territorio nazionale, spesso in regioni di frontiera di no-tevole importanza strategica. Alcune sono diffuse in tutto il paese, altre concentrate in determinate aree, come nel caso del Tibet. La provin-cia con il maggior numero di mi-noranze è rappresentata dallo Yun-nan, che ne possiede ben 26, senza considerare le differenze a livello tribale, e costituiscono la metà del-la popolazione. Spesso sono molto diverse le une dalle altre, per dove e come vivono, per gli abiti, i gioielli e le acconciature delle donne, per le credenze e le pratiche religiose, ma

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a volte offrono anche denominatori comuni come le dif-fuse strutture matriarcali che non prevedono il matrimo-nio o forme analoghe; società tutte al femminile dove le donne praticano il libero amore, si accoppiano senza impegno quando e con chi vogliono e allevano da sole i figli, senza padri né mariti, dove gli uomini contano poco, ma sono anche sgravati da ogni responsabilità.Il Guangxi rappresenta la provincia più meridionale dell’est, affacciata sul golfo del Tonchino e confinante con il Vietnam, con il quale ha però sempre avuto pes-simi rapporti. Terra aspra e isolata e di difficile accesso, presenta spettacolari risaie a terrazze, veri capolavori di ingegneria rurale, tranquilli villaggi solcati da canali e le migliori spiagge della Cina meridionale. E’ popolata da un mosaico di etnie (il 75 % degli abitanti non appartie-

ne agli han cinesi) dove prevalgono gli Zhuang, seguiti da Dong, Yao e Miao, questi ultimi ancora piuttosto in-tegri. Il capoluogo Nanning possiede uno straordinario giardino botanico di erbe medicinali, una delle specialità della regione, il maggiore della Cina con 2.400 specie sulle 5.000 del Guangxi. La località più bella e famosa, meta ambita in tutto il paese, è costituita da Guilin sul fiume Li, una delle città più verdi e scenografiche resa celebre da generazioni di pittori, poeti e letterati per i suoi incredibili pinnacoli carsici erosi in mille forme bizzarre, immersi nel verde di parchi ben curati, e per le numerose grotte naturali adattate a templi buddisti con statue e decorazioni millenarie. Meno nota ma non meno bella appare Yangshuò, raggiungibile in barca, per le sue risaie incastonate in mezzo a rilievi carsici. Lo Yun-

CINA DEL SUD, le minoranze etniche di Yunnan e Guangxi

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nan costituisce l’estrema provincia meridionale al confine con Vietnam, Laos, Myanmar e Tibet. Paese mon-tuoso, offre un’estrema varietà pae-saggistica in grado di spaziare dalle foreste tropicali alle vette tibetane ammantate di neve. Regione anar-chica e ribelle, di non facile acces-so, ha sempre dato filo da torcere al governo centrale. Chiamato per il suo clima mite Regno delle Piante, Giardino dei Fiori e Terra dei Profu-mi, in Yunnan vivono oltre la metà di tutte le specie animali e vegeta-li cinesi: delle 800 varietà di azalee

esistenti nel mondo, tutte originarie della Cina, ben 650 sono nate qua. Qui vive anche un terzo di tutte le minoranze etniche cinesi: oltre metà della popolazione non appartiene agli han; quasi tutte hanno resistito al processo di sinizzazione e conser-vano identità ben radicate. Possiede parecchie attrattive turistiche. Il ca-poluogo Kunming, definita la città dell’eterna primavera per il suo clima gradevole, è una città moderna ma offre anche antiche pagode, templi, moschee e parchi. Dali, antica capi-tale dell’etnia bai sulle montagne,

dentro l’antica cinta muraria possie-de una città in miniatura dalla piace-vole atmosfera d’altri tempi. Lungo la strada per il Tibet la città vecchia di Lijiang presenta un labirinto di viuz-ze acciottolate, scricchiolanti vetusti edifici in legno e canali gorgoglianti scavalcati da scenografici ponticelli e il mercato delle donne naxi in abi-to tradizionale, tanto caratteristici da spingere l’Unesco ad inserirla nel Patrimonio dell’Umanità. La cittadi-na di Zhongdian costituisce invece un avamposto della cultura tibeta-na; da non perdere tra i tanti nelle

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vicinanze il monastero buddista di Songzalin Si, il maggiore della Cina meridionale, arroccato sulle pendici himalayane. Una delle attrattive na-turali più spettacolari della Cina è costituita dalla Gola del Salto della Tigre, sul fiume Yangzi, il maggior canyon del mondo con una lunghez-za di 16 chilometri e un’altezza di ben 3.900 metri. Rimarchevoli anche le Foreste di Pietra di Shilin e Naigu, selve di pinnacoli e di pilastri naturali di roccia carsica modellati dall’ero-sione in mille forme curiose.•

I Viaggi di Maurizio Levi (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it)

CINA DEL SUD, le minoranze etniche di Yunnan e Guangxi

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KAMCHATKA

Se non fosse per il gioco del Risiko, dove co-stituisce una fondamentale pedina territoriale per la conquista di Asia o Nordamerica, della Kamchatka non conosceremmo probabilmen-te neppure l’esistenza. Troppo lontana da noi:

10 mila km in linea d’aria e ben 11 ore di fuso ora-rio; insomma un altro mondo. Si tratta di una penisola

dell’estremo oriente russo, nell’est della Siberia, prote-sa da nord a sud nell’alto dell’oceano Pacifico. Al suo largo si trova la fossa delle Kurili, - 10.500 m, una delle maggiori profondità oceaniche. Territorio montuoso, possiede due catene parallele che si spingono fino a 4.750 m di altezza, 14 mila fiumi, 100 mila laghi tra grandi e piccoli, 414 ghiacciai perenni. L’inverno si pre-

Testo e Foto di Romeo Bolognesi

KAMCHATKA Terra di fuoco e di ghiaccio

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senta rigidissimo, con temperature fino a – 40°C, otto metri di neve e fiumi e laghi ghiacciati per sette mesi all’anno. Una terra di ghiaccio, dunque? Non esattamente, perché nella breve estate le foreste di be-tulle, che coprono un terzo del ter-

ritorio, si popolano incredibilmente di animali e di piante, e poi anche il fuoco vi gioca una parte non se-condaria, sotto forma di vulcani e di manifestazioni geotermiche di vario genere come pozze ribollenti di fango, fumarole, geyser e sor-

genti termali terapeutiche, grazie alla presenza di vari tipi di minerali, dallo zolfo al boro. Trovandosi nel punto di frizione tra la zolla tettoni-ca continentale eurasiatica e quella nordamericana noto con il nome di “Anello di fuoco del Pacifico”, l’ener-

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KAMCHATKA Terra di fuoco e di ghiaccio

gia sotterranea si scarica attraverso un numero rilevante di vulcani: ol-tre 160 quelli in quiescenza e una trentina ancora attivi. Ma i nume-ri non vanno presi alla lettera: nel 2007 vi è stato scoperto un vulca-no inattivo da 1,5 milioni di anni, con un diametro di ben 35 km, tra i maggiori del mondo. Quindi una terra di fuoco e di ghiaccio al tem-po stesso, dominata da una natu-ra preponderante quasi per nulla

intaccata e alterata dall’uomo, un museo ecologico all’aperto con 60 specie di mammiferi, dall’alce all’orso bruno, dalla pecora delle nevi al gallo cedrone, dalle lepri alle volpi rosse e polari, e 160 di uccelli terrestri, rapaci e marini, con in mare leoni marini, foche, lontre, delfini, balene e orche, un ambien-te dove si fondono gli ecosistemi della tundra artica e della taiga siberiana, con laghi acidi dai mille

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23irreali colori, sorgenti termali calde in mezzo ai ghiacciai, imponenti cascate, brune colate pietrificate di lava e incredibili sculture di pietra create dalle eruzioni. E poi il 27 % del territorio protetto con 5 parchi nazionali e due naturali e il territo-rio dei vulcani tutelato dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità. Può sembrare strano, ma questa penisola estrema è anche una terra di curiosità e di primati, a comin-ciare dalla densità, con meno di un abitante per kmq, tra le più basse del pianeta, e dalla bellezza delle sue donne, cantata da stornellatori e poeti, non ultimo quel donnaio-lo del D’Annunzio. La penetrazione russa cominciò soltanto nella se-conda metà del 1600 ad opera di cacciatori, pescatori e avventurieri che iniziarono un lento processo di russificazione, cristianizzazione e poi di sovietizzazione, trovando questi ultimi terreno facile nei na-tivi che per loro indole atavica non riuscivano proprio a concepire l’i-dea della proprietà privata. Anima-sti convinti, essi vivevano infatti da sempre in armonia con l’ambiente, capace di fornirgli tutto ciò di cui avevano bisogno, sia che fossero pescatori, cacciatori o allevato-ri di renne. Le prime esplorazioni per terra e per mare risalgono al 1725 e furono opera di Vitus Jo-hannes Bering, incaricato dallo zar Pietro il Grande di verificare se vi fosse un collegamento tra Siberia e Nord America. Per ben due vol-te la Kamchatka è stata sul punto di diventare uno degli Stati Uni-ti d’America: nel 1867, quando la Russia vendette l’Alaska agli USA, anche lei era in vendita, poi Stalin per fare cassa tentò di venderla ad un miliardario americano, ma con la clausola che dovesse però rimanere comunista, e non se ne fece nulla. Poi fino agli anni 90 è stata interdetta a stranieri e russi per motivi strategici militari, e un timido turismo ecologico di sco-perta è iniziato soltanto in questi ultimi tempi. I luoghi incantevoli e gli spettacoli affascinanti non man-cano. Come la Valle dei Geyger, un canyon di non facile accesso sco-

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perto soltanto nel 1951, percorsa da un torrente termale d’acqua cal-da disseminata da caldere ribollenti di fango e da 20 grandi geyger che sputano ritmicamente colonne di vapore acqueo alte fino a 12 metri, oppure il cratere del vulcano attivo Mutnovsky, dove si penetra nell’im-mensa caldera attraverso uno stret-to canyon tra fumarole di zolfo, ac-que ribollenti e ghiacciai fumanti, in un ambiente fantastico e inquie-tante degno di “Viaggio al centro della Terra”. Oppure percorre in barca la baia di Avacha, di fronte al capoluogo Petropavlovsk, tra mi-gliaia di uccelli (pulcinelle di mare, pulcinelle dai ciuffi, urie, fulmari,

aquile di mare e gabbiani siberiani) che nidificano su isole e scogliere, mentre nelle fredde acque, dove si specchiano i ghiacciai circostanti, nuotano leoni marini, foche, lon-tre marine, delfini balene e orche. Abbiamo parlato di primati della Kamchatka. I suoi fiumi e i suoi la-ghi costituiscono uno dei principali luoghi al mondo per la riproduzio-ne dei salmoni. Ogni anno 2 milioni di quei pesci ritornano in queste acque per il loro perenne rito di amore, riproduzione e morte, attesi regolarmente al varco sulle sponde da una miriade di orsi bruni, pronti a farne una bella scorpacciata e ad offrire uno degli spettacoli superbi

della natura. L’orso locale, che qui registra la più alta concentrazione, è il maggiore della terra: supera i 3 metri di altezza, per un peso di 350 kg. Anche l’alce di queste contrade è da primato, con una tonnellata di peso e un palco di corna ampio 170 cm. Infine pure i rapaci raggiungo-no da queste parti una delle mag-giori densità del pianeta: aquile di mare, aquile dalla coda bianca e aquile dorate.•

I Viaggi di Maurizio Levi (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggi-levi.it)

KAMCHATKA Terra di fuoco e di ghiaccio

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OKINAWA

OKINAWA’S SECRET RECIPE

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OKINAWA le isole della giovinezza - OKINAWA’s secret recipe

Nel bel mezzo del Pacifico, su una manciata di piccole isole, si nasconde il segreto della longevità. Un segreto che, a quanto pare, consiste soprattutto nel combattere i radicali liberi, quelle fastidiose molecole che recano

danni irreparabili ai nostri tessuti e al nostro DNA. Sono le isole di Okinawa, dove gli abitanti vivono più a lungo degli altri giapponesi i quali, si sa, sono i più longevi al mondo. Perché su questa collana di isole tropicali, che si trovano alla stessa latitudine della Florida, ci sono ben 34 centenari per ogni 100.000 abitanti, mentre ne-gli Stati Uniti il rapporto e di 10 centenari per lo stesso numero della popolazione. Poi c’è l’aspettativa di vita che è di 81.2 anni, la più alta al mondo. E tra gli abitanti dell’arcipelago le incidenze di cancro, diabete e malat-tie cardiache sono sensibilmente più basse della media.Ma non finisce qui. Gli anziani di Okinawa sono sor-prendentemente arzilli e in forma grazie alle lunghe passeggiate, al giardinaggio e al tai chi, attività alle quali dedicano molte ore della giornata. E sono in grado di affrontare i momenti difficili della vita con encomiabile auto-controllo grazie alla loro dedizione alla spirituali-

A scattering of islands in the Pacific would seem to hold the secret to longevity. A secret, it se-ems, that lies in fighting free radicals, those troublesome molecules that damage and break down our tissues and our DNA. They are the

islands of Okinawa where the inhabitants live longer than other Japanese - and we all know that the Japanese live longer than anyone else. Because, on this tropical neckla-ce of islands, lying at roughly the same latitude as Florida, there are 34 centenarians for every 100,000 inhabitants while in the USA the ratio is only 10 centenarians for the same number of the population. Then the islanders’ life

Testo di - Words by Pamela McCourt FrancesconeFoto di - Photos by Pamela McCourt Francescone / Archivio

Isole tropicali giapponesi dove lo stile di vita e la gastronomia

sono i segreti di una sorprendente longevità.

On Japan’s tropical islands the life-style and diet add up to a long and

healthy life.

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tà. Ma il vero segreto della loro longevità risiede nella dieta. Un’alimentazione fatta di cereali, pesce e verdure, con minime quantità di carne, uova e latticini. Inoltre è ricca di tofu e altri prodotti a base di soya che conten-gono flavonoidi, quei nutrienti che combattono alcuni tipi di cancro e malattie cardiache. Anche il pesce gio-ca un ruolo fondamentale, soprattutto il tonno, il mac-carello e il salmone che sono ricchi in omega-3, grassi polinsaturi che aiutano a combattere i danni al cuore e i tumori al seno. Niente di strano, quindi, se la gente di Okinawa, parlando del cibo, lo chiama nuchigusui che significa “medicina per la vita”. Altri alimenti nella loro dieta sono il maiale, il cetriolo di mare e il melone ama-ro. Si, il maiale! Che viene lessato per lunghe ore - un procedimento che rimuove i grassi nocivi - e poi servito con salse saporitissime, sciogliendosi in bocca. Il cetrio-lo di mare è un tipo di riccio, chiamato hai sen che vuol dire “ginseng del mare”. E’ considerato afrodisiaco, ma essendo ricchissimo in vitamine e condroitina solfato, serve per alleviare i dolori delle articolazioni e dell’ar-trite. Mentre il melone amaro, che somiglia a un cetrio-lo spinoso, è un ingrediente essenziale nella specialità locale chiamata Champuru, un saporitissimo piatto di verdure saltate. E’ stato uno specialista giapponese il dottor Makado Suzuki a documentare in un libro best-seller, scritto in-sieme ad altri due medici geriatri Craig e Bradley Will-

expectancy of 81.2 years is the highest in the world, and they also have dramatically lower incidences of cancers, diabetes and heart disease. But that’s not all. Okinawa’s elders are also amazingly fit as walking, gardening and tai chi are a vital part of their daily rituals. Spirituality too plays a major role, helping to explain why they are ma-sters at facing life’s difficulties with remarkable control. But the real secret could be how they eat. Their traditional diet is based on grains, fish and vegetables, with very little meat, eggs and dairy foods, and lots of tofu and other soy products that contain flavonoids, nutrients known to fight certain types of cancer and heart disease. Fish are another element, particularly cold-water varieties such as tuna, mackerel and salmon which are rich in omega-3 fatty acids and help reduce the risk of heart disease and breast cancer. So it comes as no surprise that Okinawans refer to food as nuchigusui which means "medicine for life." Other staples in their diet are pork, sea cucumbers and bitter melon Yes, pork! But it is slow-boiled for hours to remove harmful fats and then served, meltingly soft and smothered in flavoursome sauces. Sea cucumbers, which are distantly related to sea urchins are called hai sen in Chinese which means sea ginseng, and are consi-dered aphrodisiacs. They are also packed with vitamins and chondroitin sulphate which alleviates joint pain and arthritis. And bitter melon, which looks more like a prickly cucumber, is an essential ingredient in the delicious local

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cox, l’approccio degli isolani non solo alla longevità ma ad uno stile di vita sano e al mantenimento del peso giusto. Secondo Suzuki la dieta di Okinawa è la migliore e più sana al mondo, anche se il sorridente dottore non nasconde la sua grande stima per la dieta Mediterranea. L’isola principale di Okinawa è Okinawa Honto dove si arriva all’aeroporto internazionale di Naha con All Nip-pon Airways o Japan Airlines che operano voli giornalie-ri dall’aeroporto Haneda di Tokio, con coincidenze per le altre isole dell’arcipelago. E’ un’ isola gaia e facile da girare grazie alla strada principale, la Highway 58, che parte dal sud a Naha City il capoluogo della prefettura, e arriva a Nago al nord, passando vicino a molti dei siti di più forte interesse turistico. Un’isola vacanziera con acque cristalline, ottimi siti per le immersioni, lunghe spiagge bianche e siti storici, alcuni dei quali sono patri-monio dell’UNESCO. Poi ci sono campi da golf di livello

Champuru stir-fries. So Okinawans certainly have a lot to smile about. And a local expert, Dr. Makado Suzuki, toge-ther with two American geriatricians Craig and Bradley Willcox, has written a best-seller documenting Okina-wans’ unique approach not only to longevity, but also to healthy living and weight loss. Suzuki maintains that the Okinawa islands’ foods are the best and healthiest in the world, although he does not hide his admiration for the Mediterranean diet. Okinawa’s main island is Okinawa Honto and access is through Naha’s International Airport, with All Nippon Airways and Japan Airlines flying daily from Tokyo’s Haneda Airport, and connecting flights to other islands in the archipelago. The island has a relaxed atmosphere and is user friendly as the main thoroughfa-re, Highway 58, runs from Naha City the capital of the prefecture in the south, to Nago in the north, passing through most of the areas of interest. It is a holiday island with crystal-clear waters, top-notch scuba diving, endless stretches of beach and historical sites, many of which are UNESCO World Heritage branded. There are also excel-lent golf courses and quality hotels like the Busena Terrace

Lo chef al Busena Terrace Beach Resort

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Il Dr Makado Suzuki

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30 Il Castello Shurijo

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31Beach Resort, a handsome white colonial-style property, with luxury accommodations on a perfect half-moon sandy bay. Newcomers soon to debut on the scene are the Hoshinoya Okinawa, a contemporary approach to the ryokan experience with 48 villas and dining options featuring Okinawa’s high-vegetable, low-fat cuisine. And the new Ritz-Carlton, which will be located on neighbo-ring Ishigaki Island, the main hub for the Yaeyama Islands which are also in the Okinawa prefecture, and will have 97 guest rooms, a spa, and an 18-hole golf course. Okinawa is famous for its dragon dances and dragon boat racing which were influenced by the Chinese culture and its five UNESCO heritage sites, of which the most impressive is the Shuri-jo castle which dominates the hills above Naha. Until 1879 Okinawa and its islands were the Ryuku king-dom which was abolished when Japan annexed them as a prefecture, suppressing the local language, customs and culture. One of the traditions the Japanese banned was the possession of arms. To which the inhabitants quickly replied by inventing their own unique form of defence, the martial art of karate, the name of which means “empty hands,” and can be as lethal as any weapon.•

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internazionale e alberghi di qualità come il Busena Ter-race Beach Resort, in stile coloniale con camere e suite lussuose, ubicato su una piccola baia di sabbia bianca a forma di mezzaluna. Mentre sono di prossima apertura l’ Hoshinoya Okinawa, un approccio contemporaneo al tradizionale ryokan con 48 ville e ristoranti dedicati alla sana e squisita cucina locale. E il nuovo Ritz-Carlton, che sorgerà sulla vicina isola di Ishigaki capoluogo delle Iso-le Yaeyama che fanno parte della prefettura di Okinawa, con 97 camere, una spa e un campo da golf a 18 buche. Le isole di Okinawa sono famose anche per le loro dan-ze e per le gare sull’acqua con barche a forma di drago, tradizioni arrivate dalla Cina. Dei cinque siti dell’Umani-tà dell’UNESCO il più imponente di gran lunga è il Ca-stello Shuri-jo che domina le collina sopra Naha. Fino al 1879 l’arcipelago di Okinawa era il Regno Ryuku, poi fu annesso all’Impero del Sol Levante dai giapponesi che soppressero la lingua, le usanze e la cultura secolare Ryuku. Tra le tradizioni messe al bando, il possesso delle armi. Un divieto al quale gli isolani risposero pronta-mente inventando un letale arte marziale: il karate, che significa “a mani vuote”.•

www.okinawastory.jp/en

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Nel cuore del Mali, a sud del grande delta interno for-mato dal fiume Niger, vive in un contesto ambientale assai affascinante una delle

più interessanti tra le venti etnie che compongono questa nazione sahe-lo-sahariana. Secondo gli etnologi i Dogon costituirebbero una delle popolazioni più interessanti dell’Afri-ca occidentale. Non a caso nel 1989 l’Unesco ha inserito il territorio Do-gon nella lista del Patrimonio dell’U-manità.Questa etnia, circa 250 mila individui, abita la vasta e arida regione di Ban-diagara, un altopiano di roccia di are-naria che precipita improvvisamente sulla pianura sottostante con una scenografica falesia verticale alta di-verse centinaia di metri e lunga oltre 150 chilometri. Ignoriamo l’origine di questo popolo e sappiamo soltanto che tra il XIII e XVI secolo coloniz-zarono questa regione inospitale, forse per sfuggire all’espansionismo islamico degli imperi medievali sorti a quell’epoca sulle sponde del Niger. Al loro arrivo la zona era abitata dai Tellem, popolazione locale descritta come di bassa statura e pelle rossic-cia (forse pigmei o boscimani), che abitavano in villaggi di roccia e di fango letteralmente abbarbicati sul-la falesia, e seppellivano i loro morti nelle grotte aperte a notevole altez-

za in verticale assoluta. I Dogon, che continueranno ad abitare i villaggi sulla falesia, collegati tra di loro da sentieri aerei da vertigine, e ad usare le caverne naturali come necropo-li (issando però i defunti con funi), sostengono che i Tellem sapessero volare oppure che usassero poteri magici per raggiungere simili altezze. Forse, ma è soltanto un’ipotesi, pa-recchi secoli fa il clima più umido po-teva favorire la crescita sulla scarpata di piante rampicanti, tali da poter essere usate come scale naturali per individui di peso ridotto. Imparando dai loro predecessori a colonizzare le rupi verticali e a celarsi nelle grot-te, i Dogon riuscirono a sottrarsi per secoli alle incursioni degli schiavisti, agli attacchi di altri popoli aggressivi e poi ai colonialisti francesi. Ma, so-prattutto, riuscirono a conservare la loro religione animista, che fa perno su una complessa cosmogonia tra-mandata solo oralmente e attraver-so gli iniziati, e le antiche tradizioni, vivendo secondo un complesso si-stema sociale ben organizzato, con un’economia di sussistenza basata su agricoltura, allevamento, caccia, arti-gianato e piccoli commerci di scam-bio con le popolazioni vicine.Grazie al loro isolamento, fino al 1930 dei Dogon non si sapeva quasi nulla. Dal 1931 al 1952 l’etnologo francese Marcel Griaule e l’antropologa Ger-

DOGONTesto di Anna Maria Arnesano e Giulio Badinie Foto di Anna Maria Arnesano, Giulio Badini e Archivio

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maine Dieterlen vissero per lunghi periodi nei diversi villaggi per studia-re le loro abitudini e gli stili di vita, scoprendovi una visione religiosa e metafisica complessa e assolutamen-te inimmaginabile per un popolo che viveva ancora nella protostoria. Ma furono soprattutto le rivelazioni di un vecchio hogon, un capo religio-so e spirituale cieco e ottantenne, a svelare le loro incredibili conoscenze scientifiche, in particolare in campo astronomico. La divulgazione delle conoscenze di questo popolo con-tenute nel libro Dio d’acqua, pubbli-cato da Griaule nel 1948, determina-rono un vero shock per l’Occidente e pongono ancora oggi inquietanti interrogativi tutt’altro che risolti.I Dogon sono un popolo pacifico e

laborioso, che in un territorio arido sono riusciti a creare delle vere oasi di verde con coltivazioni a terrazze e piccole dighe in pietra per la rac-colta dell’acqua. Vivono essenzial-mente di agricoltura, producendo miglio, sorgo, tabacco, spezie e le migliori cipolle del Mali, e la farina di miglio, dalla quale ricavano an-che una diffusa birra locale, è alla base dell’alimentazione. La scelta di vivere in scomodi villaggi arrampi-cati sulla falesia si lega sicuramente ad un fattore di sicurezza, ma finisce anche per lasciare la sottostante pia-nura sabbiosa a disposizione della coltivazione, dell’allevamento e della caccia. Vige la poligamia, in funzio-ne delle disponibilità economiche maschili, ma il matrimonio è sempre

subordinato al consenso da parte della donna, la quale possiede pro-prietà personali. Per potersi sposare molti giovani debbono lavorare per parecchio tempo gratuitamente per la famiglia dei futuri suoceri. Essen-do il compito primario delle donne quello di generare figli, non è affatto richiesta la verginità, tanto che una precedente maternità viene apprez-zata quale garanzia di fecondità. Ne consegue una certa libertà nei costumi sessuali, soprattutto prenu-ziale. La donna può essere ripudiata anche senza motivo, soprattutto se sterile. La famiglia, formata da per-sone dello stesse sangue o acquisite per matrimonio, viene rigidamente guidata dal più anziano. L’uomo abi-ta al primo piano della casa in una

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stanza dove riceve a turno le mogli, ognuna delle quali vive in una pro-pria camera. Le figlie femmine nubili abitano una stanza comune, mentre i maschi dopo la circoncisione van-no a vivere fino al matrimonio con i loro coetanei a formare l’importante associazione di classe d’età, guidata da un apposito anziano. La circonci-sione avviene in età prepuberale con fastose cerimonie e i ragazzi acqui-stano il diritto di partecipare alla vita sociale e religiosa della comunità. La circoncisione femminile, ufficialmen-te bandita dal governo, risulta tutto-ra abbastanza diffusa, ma in privato. Uomini e donne lavorano in ugual misura per produrre di che vivere, ad esempio nei campi. Le donne si de-dicano anche alla produzione di ter-

racotta, alla filatura di lana e cotone e alla tinteggiatura, gli uomini invece alla tessitura e alla produzione di og-getti di vimini, ferro, legno e cuoio, dando vita ad un artigianato di ele-vata qualità come le maschere rituali, le statuette votive e le porte e fine-stre istoriate di abitazioni e granai.Capo politico, religioso, spirituale e sociale di ogni comunità è l’hogon, il quale ha anche il compito di tra-mandare oralmente le tradizioni e il sapere comunitario, che presiede un consiglio di otto anziani ed abita in solitudine a spese del villaggio in un’abitazione utilizzata anche come tempio. Oltre alle abitazioni private in fango e in pietra ed ai caratteristi-ci granai cubici con il tetto conico di paglia, ogni villaggio presenta strut-

ture comuni caratteristiche: il togu-na, una bassa costruzione aperta ret-ta da 8 pali istoriati e sormontata da uno spesso strato di fascine di miglio, che sorge nel punto più alto e serve ad ospitare le riunioni del consiglio, la casa-tempio dell’hogon, gli altari a forma fallica per i sacrifici e numerosi tempietti per i feticci, gli omolo, oltre ad una casa fuori dal villaggio dove vanno a risiedere temporaneamente le donne mestruate. Animisti convin-ti, i Dogon vedono il mondo come una cosa unica dove convivono in armonia il mondo delle cose, degli animali e degli uomini, dove l’uomo non è il padrone assoluto ma sol-tanto un elemento che come gli altri partecipa al mondo. Essi hanno co-struito una complessa cosmogonia,

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dove il tutto risulta contenuto in germe in ogni sua parte, con simbolismi e rituali presenti in ogni gesto della loro vita quotidiana. Semplificando al massimo, essi credono nella sopravvivenza dell’anima e in un unico dio, Amma, creatore dell’universo, il quale si accoppiò con la terra generando i Nommo, due gemelli ermafroditi e anfibi, metà uomo e metà pesce, i quali a loro volta generaro-no otto esseri umani, quattro maschi e quattro femmine, gli antenati dei Dogon, che si sparsero per la terra inse-gnando le diverse arti. Tutti suonano, cantano e danzano, usando tamburi, flauti e fischietti, e la danza costituisce un’espressione liturgica del sacro, dove si rivive tutta la

mitologia con l’uso di maschere, ognuna con un proprio significato. I danzatori si muovono compiendo gesti ri-tuali, noti solo agli iniziati, che raccontano la storia delle proprie origini e il divenire del mondo. La loro vita è co-stellata di feste e cerimonie, riservate esclusivamente agli uomini, di cui la più importante è il Segui, che si celebra ogni 60 anni per festeggiare la fine e l’inizio di un ciclo di vita, quando la stella Sirio compare in un punto preciso del cielo. Assai complessi anche i riti funebri, capaci di durare una settimana per rievocare le diverse fasi del-la vita del defunto. La salma viene poi avvolta in stoffe variopinte, portata in processione in posizione eretta at-

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traverso il villaggio e quindi sollevata con funi per essere tumulata in una qualche grotta della falesia. I Dogon sono anche istintivamente ottimi ar-tisti, soprattutto nella scultura; la loro arte si fonda sul simbolismo e dà for-ma ad idee e concetti cosmologici. Anche stilisticamente risponde ai ca-noni dell’arte africana: tende cioè alla deformazione delle figure, semplifica i corpi e i volti, sintetizza i volumi. Essa ha influenzato non poco parec-chi artisti europei del secolo scorso,

quali Picasso, Modigliani, Brancusi e i cubisti, dando origine alla corrente definita “primitivismo” per la grande forza espressiva delle forme semplici e stilizzate e per le proporzioni de-formate. Ma dove veramente i Do-gon seducono e stupiscono risiede nell’incredibile bagaglio di cono-scenze astronomiche, inimmagina-bili in una popolazione ancora oggi priva dei più elementari strumenti scientifici, che si cura con le erbe e gli stregoni. Da sempre i Dogon san-

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39no, ad esempio, che l’universo risulta composto da un’infinità di stelle, che la Luna è un satellite “morto e dis-secato”, conoscono la rotazione della Terra attorno al proprio asse in 24 ore e l’orbita attorno al Sole di 365 giorni, sanno che i pianeti ruotano attorno al Sole, che Giove possiede 4 lune principali, che Saturno dispo-ne di anelli concentrici e che la Via Lattea ha una struttura a spirale. Tutti fenomeni che non si possono certo osservare ad occhio nudo. Come fa questo popolo semiprimitivo a pos-sedere tali conoscenze scientifiche? Mistero! Ma il mistero, ahinoi, si spin-ge ben oltre, lasciandoci davvero at-toniti. Fin dalle più antiche civiltà co-nosciamo Sirio come una delle stelle

più luminose del firmamento, in quanto una delle più vicine alla Terra. Anche i Dogon co-noscono Sirio, perché si vede ad occhio nudo, e celebra-no la loro più importante festa ogni 60 anni, quando essa compare in un punto preciso del cielo, che ov-viamente sanno ben pre-vedere. Come fanno senza strumenti? Altro mistero. Con i Dogon conviene fare

l’abitudine a domande senza risposta, perché sostengono

infatti e da sempre che Si-rio non

è una stella singola, ma fa parte di una costellazione, con una seconda stella assai più piccola e decisamente meno luminosa, ma con una massa enormemente superiore “più di tutto il ferro della Terra messo assieme”. E per aggiunta sanno pure che la se-conda compie una rotazione attorno alla prima con un’orbita ellittica del-la durata di 50 anni. Per la scienza astronomica la sorella minore di Sirio, chiamata Sirio B e secondo elemen-to della costellazione del Cane Mag-giore, venne scoperta per deduzione soltanto nel 1862, riconosciuta come nana bianca (vale a dire una delle forme più piccole di stelle percepi-bili nell’universo, con debole emis-sione di luce ma con enorme potere gravitazionale dovuta alla composi-zione di materia degenerata super-densa con gli atomi ultracompressi) nel 1925 e fotografata soltanto nel 1970, per le difficoltà ad osservarla anche con telescopi potentissimi per la grande quantità di luce emessa dall’astro principale, il quale possie-de una massa superiore di 2,35 volte quella del Sole. La luce di Sirio B è infatti 10 mila volte inferiore a quella di Sirio A, compie in effetti attorno ad essa un’orbita ellittica della durata di 49,9 anni e secondo gli astronomi ha una tale massa per cui un metro

cubo di superficie potrebbe pesare 20 mila tonnellate; una densità 65 mila volte superiore a quella del Sole. Come facevano i Dogon a saperlo? Ovviamente un ennesimo mistero, ma che non finisce ancora qui perché essi sostengono che esista una terza Sirio, infinitamente più piccola, dove si formano e dove ritornano tutte le anime dei mortali. Nel caso di Sirio C la scienza non può intervenire a confermare, ma neppure a smentire, perché la controversia al riguardo tra gli astronomi risulta ancora aperta: nessuno finora è riuscito a veder-la, ma complessi calcoli matematici compiuti nel 1997 ne attesterebbero la presenza. Non ripetetevi ancora l’oziosa domanda di come facciano i Dogon a saperlo, perché la risposta sarebbe sempre la stessa di prima: mistero!!! Ovviamente tanti interrogativi e tan-te mancate risposte hanno attirato l’attenzione di numerosi studiosi, e tra questi non potevano manca-re gli ufologi. Nel 1976 l’americano Robert Temple pubblicò con ampio successo il libro Il mistero di Sirio, giustificando tali conoscenze con un contatto avvenuto tra Dogon ed extraterrestri sbarcati nella loro terra. Senza tralasciare l’assoluta ascientifi-cità di tale ipotesi, non si può tuttavia ignorare come la tradizione dogon narri di un’Arca rotonda dei Nommo, proveniente da Sirio B e atterrata in una nuvola di sabbia e con grande fragore, mentre nel cielo era com-parsa una nuova stella, la quale sparì quando l’Arca se ne andò. Da questa sarebbero scesi esseri metà uomo e metà pesci, che per prima cosa cer-carono un luogo dove vi fosse acqua per potersi immergere, ma che por-tarono agli uomini la conoscenza. Ed esseri a forma di pesci venuti dallo spazio sono presenti anche nella mi-tologia di Babilonesi, Accadi, Sumeri ed Egizi. Se vi capiterà di visitare la terra dogon, e ne vale sicuramente la pena, di notte scrutate il cielo e cer-cate Sirio: non si sa mai.•

I Viaggi di Maurizio Levi (tel. 02 34 93 45 28, www.deserti-viaggilevi.it )

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GIORDANIA - un millenario set cinematografico

Vaso di coccio tra vasi di ferro, la Giordania an-cora non è stata conta-giata dalle rivolte della primavera araba, e al

momento è l’unico paese medio-rientale visitabile in totale sicurezza. Stretta tra vicini molto irrequieti o inaccessibili, Siria, Iraq, Israele, Egit-to, Arabia Saudita, la Giordania ha molti assi nella manica per attirare turisti, soprattutto quelli in fuga dal nord Africa e dalla Siria: luoghi da

set cinematografico, come il deserto del Wadi Rum, meraviglie archeolo-giche come Petra e Jerash, spa da sogno, cibo delizioso, accoglienza eccellente. Si sbarca ad Amman di-rettamente da Roma con la Royal Jordanian. La capitale si può saltare a piè pari. A parte una fugace visita a quello che rimane dell’acropoli, il resto è un disordinato agglomerato urbano privo di qualsiasi attrattiva. Meglio dirigersi subito verso sud, destinazione Petra. L’antica capita-

le dei Nabatei è uno dei siti arche-ologici più famosi del mondo, reso ancor più popolare per essere stato il set di uno dei film della saga di Indiana Jones. Bisogna percorrere il Siq, la stretta fenditura fra le rocce che conduce al Tesoro, di notte. E’ “Petra by night”. Le guide preparano il percorso segnandolo con lumi di cera incartocciati d’arancione, che conferiscono al luogo, già di per sé estremamente suggestivo, un look quasi onirico. Arrivare alla spianata

Testo e foto di Marco De Rossi

GIORDANIAun millenario set cinematografico

Jerash

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del Tesoro, accompagnati dal suo-no di un flauto e dai versi recitati da attori che si perdono nel buio, con la facciata del monumento che risplende d’arancio, è un’esperienza che dovrebbe essere resa obbligato-ria per legge. Poi si torna, la mattina dopo, a visitare l’antica necropoli, percorrendo i quattro km del canyon fra le tombe scolpite e scavate nella roccia, senza curarsi del caldo e della fatica. C’è da scarpinare, ma la pigri-zia può essere vinta con passaggi a dorso di cammello o su carrozzi-ni trainati da muli. Dell’antica città rimane ben poco, un terremoto nel IV secolo dopo Cristo ha buttato giù quasi tutto. Tanta meraviglia toglie il respiro. Appena si riprende fiato, subito in marcia verso il Wadi Rum, il deserto più grande del Paese, area protetta dall’Unesco, un’altro luogo da apnea, descritto da T.E. Lawren-ce nel suo romanzo “I sette pilastri della saggezza (“Il tramonto cremisi infuocava le stupende rocce e get-tava lunghi fasci di luce sul muro del viale principale”). E’ proprio nel Wadi Rum che si trovano le sorgenti di Lawrence d’Arabia e la montagna dei sette pilastri della saggezza. Lo scrittore gallese e ufficiale dell’eser-cito di sua Maestà, Lawrence, che proprio nel Wadi Rum stabilì la sua base operativa per guidare la rivolta araba nel 1917-18, ha definito il de-serto “immenso, echeggiante, simile ad una divinità”. Perché quelle rocce circondate da sabbia hanno vera-mente qualcosa di mistico e fanno realmente pensare al soprannatura-le. Il tramonto è il momento miglio-re per apprezzare i picchi di grani-to che spuntano dalla sabbia come pinnacoli e toccano altitudini ina-spettate (il Jabal Rum tocca i 1750 metri). Eppure, nonostante le sue bellezze risplendano al sole, il Wadi Rum è chiamato anche “la valle della Luna”, perché anche di notte, sotto il cielo stellato, è in grado di offrire spettacoli di una suggestione unica. Dune, distese di sabbia, lingue di terra bruciata, antiche piste carova-niere, oasi millenarie, piccole comu-nità beduine, sono le quinte di un teatro che dà il meglio di sé quando si alza e quando cala il sipario, all’al-Petra

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ba e al tramonto, quando la luce bassa e angolata mette in evidenza i contrasti e delinea i contorni di un paesaggio assolutamente straordi-nario. Il modo migliore per apprez-zarne l’essenza è percorrere a piedi le sue antiche piste, dormendo nelle tende beduine. Terminata l’esperien-za mistica del Wadi Rum, si riparte verso nord, destinazione Mar Morto, la depressione più profonda del pia-neta, - 470 sotto il livello del mare. Vale la pena di fare una puntata sul Monte Nebo, a due passi dal mar Morto, dove la leggenda vuole che Mosè abbia visto per la prima volta la terra promessa. Poi via, di nuovo on the road, alla volta di Jerash, nella terra biblica di Gilead, una delle città che formavano la Decapoli romana, definita la Pompei dell’Asia, uno dei siti archeologici meglio conserva-ti dell’area mediorientale. Il sito è enorme, la pianta della città, la sua struttura urbanistica, il viale princi-pale, le porte d’ingresso, i due teatri stanno lì a testimoniare la sapienza costruttiva dei Romani, che avevano un ineguagliabile senso dell’esteti-ca e della vivibilità urbana. L’antica Jerash ospita ogni anno, a fine lu-glio, un grandioso festival di musica etnica, durante il quale le rovine si rianimano e diventano vive. Per di-mostrare che il nostro passato non muore mai. •

GIORDANIA - un millenario set cinematografico

Petra

Petra - Bimba beduina

Wadi Rum

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Il Mar Morto è probabilmente il luogo dove si trovava il Pa-radiso Terrestre, e Adamo ed Eva, una volta cacciati, non si sono neanche potuti suicidare nelle sue acque, visto che si galleggia. Già, incredibile dictu. Non si va giù neanche con i piombi da subacqueo. L’alta salinità dell’acqua, 9 volte quella

di un oceano, fa sì che in questo enorme specchio d’acqua (è il posto più basso del pianeta, - 408 metri sotto il livello del mare) sia privo di vita animale e vegetale (da cui il nome) e che consenta il galleggiamento agli esseri umani. Ma attenzione, non più di venti minuti, sennò si finisce dritti in salamoia. La bellezza del luogo è mozzafiato. Il sale fa risplendere d’argento l’acqua, il cui colore spazia da un celeste chiaro ad un bianco antartico. Le acque e i fanghi del Mar Morto, un vero concentrato di minerali, hanno ineguagliabili proprietà terapeutiche, già conosciute dagli antichi Egizi, e adesso costituiscono la principale industria della zona. Qualche giorno di relax in uno dei resort del posto è quanto ci vuole per riprendersi dallo stress e dall’inquinamento delle nostre metropoli. Il Movenpick Resort spa è uno splendido paradiso ar-tificiale in stile villaggio, con accesso diretto al mare. Trattamento cinque stelle, appartamenti rustici a due piani, splendida piscina interna, alberi di datteri, fiori d’ibisco, servizio extraterrestre, e

una spa, “Zara”, considerata una delle migliori del Medio Oriente. Ce n’è abbastanza per ribadire il sospetto che il Paradiso terrestre stava proprio sul Mar Morto. Se poi l’idea è quella di dedicarsi ad uno “spa tour”, lasciato il Movenpick basta inerpicarsi (in auto) per qualche chilometro all’interno. Come d’incanto, in fondo ad uno stretto canyon dai colori western, c’è un resort da fantascienza, l’E-vason Ma’in. Non solo per il luogo inconsueto, isolato dal mondo, di fronte ad una cascata, “hot spings”, che sputa acqua a 70°, ma per la struttura, tutta ecologica (legno e materiali bio-compatibili), per il servizio, da mille e una notte, per la fornitissima enoteca, e per la spa da sogno, “Six senses”, che rivaleggia alla grande con quella del Movenpick. Anche qui: fanghi, trattamenti, massaggi, terapie rinvigorenti e curative. L’acqua calda non è un problema, arriva direttamente dalla montagna.•

Movenpick Resort & spa Dead Sea+962 5 356 11 11www.moevenpick-deadsea.comEvason Ma’in+962 5 324 5500www.sixsenses.com

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Testo e foto di Marco De Rossi

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BELGIO - Le Fiandre e i capolavori della pittura fiamminga

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Anche quanti non si occupano espressamente di arte conoscono, almeno per sentito dire, l’importanza della pittura fiamminga, che si sviluppò all’inizio del 1400 (quindi in concomi-tanza con la nascita del Rinascimento italiano,

e di quello toscano in particolare, con il quale vi furono non poche reciproche influenze) per la geniale opera di Jan Van Eyck. Essa dominò incontrastata la scena della pittura nelle Fiandre, la regione settentrionale del Belgio, per ben tre se-coli, ma con pesanti influenze su tutta la produzione artistica europea, fino a raggiungere il proprio acme nel 1600 e poi concludersi poco dopo, con i capolavori di Pierre Paul Ru-

bens, l’insuperato maestro della pittura figurativa dove seppe mischiare sapientemente luce, forme e colori. In estrema sin-tesi la pittura fiamminga deve la propria fortuna ad una serie di innovazioni tecniche, capaci di modificare profondamente la pittura del tempo e quella successiva, quali l’uso dei colori ad olio, le figure in posa di 3/4 e l’introduzione della tridi-mensionalità. La pittura ad olio, rispetto a quella a tempera e all’affresco usate fino ad allora, permetteva con la tecnica delle velature diversi gradi di sfumature e un maggior cro-matismo, con una varietà infinita di colori e di toni, renden-do i dipinti brillanti e luminosi e aumentando la profondità prospettica. Fino al 1400 i personaggi venivano infatti ritratti

Testo e Foto di Romeo Bolognesi

BELGIO

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BELGIO - Le Fiandre e i capolavori della pittura fiamminga

di fronte o di profilo: i maestri fiamminghi cominciarono a ritrarli invece di 3/4, consentendo di cogliere maggiormen-te particolari fisici e psicologici. Per la prima volta poi viene evidenziata la potenza espressiva della luce, di fondamentale importanza soprattutto nella pittura decorativa di interni, con un effetto quasi fotografico. Con la tridimensionalità infine colori, prospettive e luminosità fanno sentire chi le guarda all’interno della scena ritratta. La pittura fiamminga, che in-fluenzò positivamente altre forme d’arte come oreficeria, ce-ramica, vetro e arazzi, non sorse a caso. Essa fu l’espressione culturale più tangibile del benessere economico e mercantile delle Fiandre in quell’epoca, legato alla produzione e al com-mercio delle stoffe: non più quindi una committenza esclu-siva da parte di nobili ed ecclesiastici, ma una produzione per i ricchi borghesi che vedevano nella pittura un simbolo di potere da ostentare. Le località delle Fiandre, la regione costiera settentrionale del Belgio, dove maggiormente si svi-luppò l’arte fiamminga e dove ancora oggi se ne possono riscontrare consistenti tracce sono le città di Anversa, Bruges e Gand, tutte a breve distanza ed a nord di Bruxelles. Anversa (Antwerpen in fiammingo) è la seconda città del Belgio e il secondo porto europeo dopo Rotterdam, centro industriale e primo al mondo per quantità di lavorazione dei diamanti. Nel XV e XVI sec. era considerata il più attivo mercato del-le Fiandre, specializzata in tessuti, spezie e pietre preziose, mentre nel suo porto approdavano i galeoni spagnoli carichi di tesori provenienti dal Nuovo Mondo. Sorge nell’estuario del fiume Scheda, ad 88 km dal Mare del Nord. Presenta la città medievale a ridosso del porto e quartieri moderni a

raggiera autosufficienti, separati da ampi spazi verdi. Poche città riescono ad unire così mirabilmente l’antico e il moder-no: eclettiche residenze art nouveau fronteggiano infatti ville neorinascimentali, mentre la circonvallazione è stata ricavata abbattendo le mura medievali. Terra natia di Rubens, possie-de parecchi capolavori architettonici, dalla cattedrale di Notre Dame del XIV sec., la maggior chiesa gotica del Belgio, al ri-nascimentale Hotel de la Ville del XVI, nonché l’antico castello ora trasformato in museo con opere di Rubens, Van Dick e al-tri maestri fiamminghi. Bruges (Brugge), centro di grandi tra-dizioni storiche e artistiche, in età medievale era famosa per la lavorazione dei merletti e il commercio della lana, mentre nel XIII-XIV sec. era una delle piazze commerciali e finanziarie più importanti d’Europa. Antico porto della Lega Anseatica, oggi costituisce la città medievale meglio conservata del con-tinente, un vero museo vivente rimasto fermo a 7 secoli fa. Composta da due distinti nuclei storici, un tempo fortificati, ora le mura sono state sostituite da canali ellittici, ma resta-no a testimonianza quattro antiche porte. Importante meta turistica, il centro storico gotico-rinascimentale presenta numerosi edifici di gran pregio, come la piazza del mercato affacciata da case e torri medievali, il municipio trecentesco (il più antico in stile gotico del Belgio), la cappella del Sacro Sangue, la cattedrale (più antica chiesa gotica belga in la-terizio) e quella gotica di Notre Dame, ricca di opere d’arte. Bruges è stata sede della celebre scuola dei fratelli Van Eyck e di numerosi altri maestri della pittura fiamminga. Infine Gand (Gent), secondo porto belga molto attivo nei traffici con l’In-ghilterra, rappresenta la seconda più grande città medioevale

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in Europa dopo Parigi. Il suo centro storico ruota attorno al castello dei conti di Fiandra, risalente al lontano 940; non ha una piazza principale come le altre città fiamminghe, ma di-verse piazze sedi di antichi mercati, affiancate da edifici delle varie corporazioni, da torri, ponti e case lungo i canali, non-ché da un pregevole granaio romanico duecentesco. Fuori città da non perdere l’antico Bèguinage, convento femminile tipico delle città fiamminghe con chiesa del 1242, famoso per la lavorazione a mano del merletto. Strano paese il Belgio, una delle nazioni più piccole d’Europa, con una storia breve ma piuttosto travagliata (nasce nel 1830 con la separazio-ne dai Paesi Bassi formati da Olanda e Lussemburgo), teatro reiterato di guerre sanguinose combattute da eserciti di al-tre nazioni confinanti e non, malgrado la propria neutralità (basti ricordare Waterloo fatale a Napoleone nel 1815, Jeper nel 1915-18 con 300 mila soldati caduti e Bastone tra Ame-ricani e Tedeschi nel 1944), soggetto a ripetute variazioni nei propri confini, ma oggi sede dell’Unione Europea a Bruxelles, l’unica capitale bilingue al mondo. La popolazione belga si divide nettamente in due, Valloni e Fiamminghi, separati da origini, lingua, cultura e carattere; ad un osservatore esterno

risulta difficile capire come due popoli così diversi vogliano e possano convivere in un unico stato, pur se federativo. I Valloni, di origine celto-romana, sono allegri ed estroversi, di lingua e cultura francese e abitano le colline a sud della Mosa. I Fiamminghi invece, discendenti dai Germani, sono più timidi e riservati, di lingua e cultura olandese e abitano la piatta pianura a nord della Mosa fino alla costa affacciata sul Mare del Nord. Bruxelles si trova quasi al centro ed è abitata dagli uni e dagli altri, ma è soprattutto una città cosmopoli-ta per la sua funzione di capitale dell’Europa Unita. Le città fiamminghe del nord, con i loro porti mercantili, già in epoca tardomedievale furono le prime nel continente a conoscere un grande sviluppo economico grazie ai commerci e alla la-vorazione dei tessuti, seguito da una fioritura artistica e cul-turale di cui la pittura rappresentò la massima espressione. Nel secolo scorso il Belgio fu anche una potenza coloniale: governò sul Congo, prospero paese centroafricano grande ben 80 volte la madre patria.•

Adenium – Soluzioni di viaggi (tel. 02 69 97 351, www.adeniumtravel.it)

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Frequentato fin dalla Belle Époque dall’aristocrazia, dall’intellighenzia della finanza e della cultura e da nume-rosi Premi Nobel, il Royal Hotel Sanremo, che quest’anno festeggia i suoi 140 anni di attività, mostra invariati il suo prestigio e la sua eleganza. Nel 1931 venne fondato presso l’albergo il Rotary Club Sanremo, il 26° in Italia. Dopo la seconda guerra mondia-le l’hotel venne ristrutturato e riportato agli antichi splen-dori; nel 1947 fu inaugurato il Ristorante Fiori di Murano mentre l’anno successivo fu aperta, nell’incantevole parco subtropicale, una delle prime piscine d’albergo d’acqua di mare d’Europa, progettata dall’architetto Giò Ponti. Una tradizione di stile e raffinatezza imprescindibile fin dal suo fondatore, Lorenzo Bertolini, e poi proseguita dai discendenti fino ad oggi, giustificando appieno l’apparte-nenza dell’esclusivo hotel come membro di The Leading Hotels of the World, di JDB Fine Hotels & Resorts e dei Locali Storici d’Italia. Nell’ottica di offrire sempre un servi-zio impeccabile e di eccellenza, così da poter garantire la soddisfazione della propria clientela, il Royal Hotel San-remo ha sempre avuto un’attenzione costante al miglio-ramento del proprio look. Gli ultimi cinque anni hanno visto la realizzazione del Royal Wellness e il continuo rin-novamento delle camere e suite, delle sale riunioni e degli spazi comuni. In occasione del suo glorioso anniversario l’albergo offre una speciale proposta di soggiorno di tre notti in camera vista mare con upgrade a junior suite, se-condo disponibilità, un massaggio Nuvola, accesso alla zona umida no prescription del Royal Wellness dotata di vasca idromassaggio, docce emozionali, hammam, vita-rium, area relax con angolo tisaneria, oltre all’uso della sala fitness. Prestigiosa anche la ristorazione. Raffinata e creativa cu-cina ligure, mediterranea ed internazionale accompagna-

ta da un’accurata selezione di vini pregiati nei Ristoranti: Fiori di Murano con vista sul parco e sul mare e con scelta dal menu del giorno o à la carte (la sera è consigliata la giacca), da fine maggio a fine agosto apertura solo se-rale; Salad Bar delle Rose per una pausa pranzo light, da fine maggio a fine agosto; Corallina con Pool-Bar a bordo piscina per snack e pranzi informali con scelta dal menu à la carte, ricco buffet, grigliate di pesce e carne (aprile-ottobre), apertura serale da metà giugno a fine agosto con speciale menu per i più piccoli e pizzeria nei medi di luglio e agosto; Il Giardino per una cena gourmet al lume di candela sulla terrazza, da giugno a settembre; Gazebo dell’Amore per celebrare un’occasione speciale nell’intimi-tà del parco, da giugno a settembre, su richiesta.Numerose sono le iniziative in serbo per il 2012, fra cui serate a tema ed eventi legati allo sport, in particolare alla vela in collaborazione con lo Yacht Club Sanremo, che, unite all’offerta gastronomica e al benessere d’eccellenza del Royal Wellness, ne fanno la meta ideale per una va-canza nella Riviera dei Fiori.

Per informazioni e prenotazioni: Royal Hotel SanremoCorso Imperatrice, 80 - I-18038 Sanremotel. 0184 5391 - fax 0184 661445reservations@royalhotelsanremo.comwww.royalhotelsanremo.com

Per ulteriori informazioni stampa:AIGO - Ufficio stampa Royal Hotel SanremoDebora Agostini/Alessia Tresolditel. 02 6699271 - fax 02 6692648mailto: [email protected], [email protected]

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I 140 anni del Royal Hotel Sanremo

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nella City dell'età vittoriana, allora la più grande metro-poli del mondo, alle prese con gli straordinari impulsi

di crescita e le dolorose contraddi-zioni di una società in trasforma-zione che prendono forma le trame e i personaggi di uno degli scrittori più amati della letteratura inglese. Charles Dickens si trasferì a Londra con i genitori all'età di dieci anni e vi avrebbe vissuto buona parte della propria esistenza, diventando il pri-mo autore a descrivere la città del XIX

secolo. Il profondo legame con la sua “lanterna magica”, come egli stes-so la definì, è il filo conduttore della mostra che il Museum of London de-dica al romanziere nell'ambito delle celebrazioni per i duecento anni dalla sua nascita. Curato da Alex Werner, responsabile della History Collec-tions del museo, il percorso esposi-tivo richiama sin dal primo impatto le atmosfere della Londra vittoriana. Insieme alla rara opportunità di ve-dere i manoscritti originali e le bozze di opere quali David Copperfield e

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Portrait of Charles Dickens 19 th century © Museum of London

Testo di Michela Perinot

Dickens and Londona tale of one man and his city

Nel duecentesimo anniversario dalla nascita di Dickens il Museum of London presenta la più importante mo-stra dedicata al grande romanziere dagli anni '70.

La lanterna di Charles

La lanterna di Charles - Dickens and London - a tale of one man and his city

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Bleak House, il visitatore viene guidato at-traverso sezioni tematiche che documen-tano vari aspetti della vita e della cultura dell’epoca. A cominciare dal rapporto del-lo scrittore con il teatro: libretti, locandine, un teatrino per bambini e naturalmente costumi di opere di Shakespeare - autore che Dickens amava moltissimo, tanto da contribuire economicamente al recupero della sua casa a Stratford upon Avon. La riproduzione della porta della prigione di Newgate rievoca un doloroso momento dell'infanzia dello scrittore, costretto a la-vorare all'età di 12 anni quando il padre venne imprigionato per debiti: esperienza che avrebbe lasciato un segno profondo nella sua personalità, ispirando personaggi come David Copperfield e Oliver Twist. La sezione Home and Heart indaga sulla con-dizione femminile e il ruolo della famiglia nella società vittoriana, mentre poco più in là il modellino di una carrozza postale a cavalli (il mezzo su cui il giovane Char-les percorse l’intero paese nei primi anni della sua carriera di giornalista) preannun-cia l’imminente salto verso la modernità, rappresentato dalla costruzione della Me-tropolitan District Railway che a partire dal 1850 avrebbe completamente stravolto l’assetto urbano.L’omaggio a Dickens non poteva trovare contesto più indicato della moderna sede museale situata nel cuore di Londra, a pochi passi dalla cattedrale di Saint Paul: sullo stesso piano di 'Dickens and London' il visitatore potrà compie-re un altro giro di giostra immergendosi nell'avvincente sezione dedicata al secolo XIX che propone ricostruzioni, installazio-ni, fotografie e oggettistica varia.•

Cosa: ‘Dickens and London - a tale of one man and his city’Dove: Londra, Museum of LondonQuando: fino al 10 giugno 2012Info: tel. 0044(0)20 70019844, www.museumoflondon.org.uk, [email protected], orario apertura 10/18. L'ingresso al museo è gratuito, la visita alla mostra tempora-nea ‘Dickens and London’ ha un costo di 8 sterline.Nota bene: L'ingresso alla mostra deve essere prenotato an-ticipatamente attraverso l'apposita sezione del sito Internet del museo, scegliendo il giorno e l'orario di visita. Il biglietto potrà essere ritirato direttamente presso le casse della sede espositiva; è consigliabile pertanto arrivare con almeno 15 minuti di anticipo rispetto all'orario prescelto.Per arrivare: Il Museum of London dista pochi minuti a piedi dalle fermate Barbican, Saint Paul's e Moorgate della metropolitana.

Dickens with his daughters Mary and Kate in the garden at Gad's Hill Place, 1865 © Charles Dickens Museum

Portrait of Charles Dickens 19 th century © Museum of London

Many happy returns of the day © harrogate Museums and Arts (Mercer Art Gallery) Bridgeman Art Library

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Milano dalla storia all'Expo 2015 - MILAN from the history to the 2015 Expo

MILANO dalla storia all’Expo 2015

Città

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Testo di Luisa ChiumentiFoto di Archivio

MILAN Charles Dickens al suo ingresso a Milano in una giornata fitta di nebbia, raggiungendo quella che é da sempre l’icona della città più nota nel mondo, annotava fra l’altro...”la nebbia era così fitta che il pinnacolo del famosissimo

Duomo, per quel che si riusciva a scorgerne, poteva anche trovarsi a Bombay” . Egli faticò non poco infatti, in quella atmosfera così ovattata, a riconoscere il profilo “di quella gran macchina del Duomo “sola su un piano”, come se non sorgesse al centro di una città, ma in mezzo ad un deserto.E uno strano commento, solo qualche decennio più tardi, sarà quello del francese André Suarès, che definiva Milano come “una città a forma di ruota...un tondo formicaio, la città più cinese d’Europa”....la stazione é un tunnel di vetro splendente ...L’intera città non è che una stazione. Il tumul-to, il movimento secco dei binari si ritrova ovunque nelle strade; e quel duomo di marmo é una stazione, di marmo”. E ancora Henry James visitando il Duomo nel 1877, lo men-ziona come “la pagina più densa e interessante” del volume che narra la storia di Milano. Tutti i viaggiatori stranieri comunque hanno fatto grandi descrizioni del Duomo, affa-scinati dalla sua imponente facciata dal “taglio triangolare”

When Charles Dickens entered Milan on a fog-gy day, coming to the most famous and eter-nal icon of the city, he noted, among other things….”it was so foggy that given what one could see of the spire of the famous Cathedral,

it could easily have been in Bombay.” In fact it was not easy, in that muffled atmosphere to recognize the silhouette of “that great machine of the Cathedral “just on one plain, as it if were not standing in the centre of a city but in the middle of a de-sert.” It a strange remark, dating to some centuries later, is that of Frenchman André Suarès, who called Milano “a city shaped like a wheel…a round anthill, more a Chinese than a European city…..the station is a splendid glass tunnel……The city centre is one big station. The turmoil, the dry movement of the tracks are everywhere in the streets: and that marble cathedral is a marble station.” And then there was Henry James, who visited the cathedral in 1877, referring to it as “the most dense and

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culminante con gli infiniti pinnacoli. E la Madonnina, pro-tettrice dei milanesi continua a destare interesse e a solle-citare studi ed esposizioni che ne narrano la nascita, come quella che ha mostrato il busto ligneo originario da cui è stata forgiata la sua statua dorata e la struttura in ferro che la sosteneva, poi sostituita da una più resistente struttura in acciaio. Molte sono le parti della Cattedrale che necessitano

interesting page” of the book that tells the story of Milan. But many international travellers have given great descriptions of the cathedral, falling under the spell of its striking “triangular-cut” facade culminating with the endless spires. And the statue of the Madonnina, the patron of the inhabitants of MIlan, still attracts attention and continues to be the subject of studies and exhibitions that tell the story of how it came to be, of how

Milano dalla storia all'Expo 2015 - MILAN from the history to the 2015 Expo

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di un restauro urgente e, per questo, la Fabbrica ha attuato una strategia per la ricerca delle risorse, dando vita a diverse iniziative artistiche e culturali, nell’ambito di “VivilDuomo”, in cattedrale e sulle terrazze, per sensibilizzare l’opinione pub-blica e ricreare la partecipazione attiva alla vita del monu-mento, simbolo di Milano nel mondo. Di grande attrattiva é stata ad esempio l’iniziativa di accogliere i concerti fra le gu-glie (ben 134 e tutte numerate in senso orario), per sostene-re i restauri di alcune parti del Duomo e anche di una delle guglie. Ma sono tanti gli Eventi che legano Milano alla gran-de Storia, dall’anniversario dell’Editto di Costantino (2013) all’Expo 2015. E la città si prepara a quest’ultimo evento a cominciare dal raffinato restauro della Stazione Centrale, rimasta con la sua poderosa facciata a stigmatizzare tanti storici arrivi in città, ma completamente rinnovata in tutto il suo apparato ricettivo e funzionale. Nell’ambito del proget-to nazionale “Grandi Stazioni” il nuovo concept, nel pieno ri-spetto dell’identità storica e architettonica della stazione, ha posto al centro un modello innovativo di gestione dei flussi. Sono state riorganizzate le percorrenze interne e il sistema dell’accessibilità, riposizionando e riconfigurando un piano di interventi basato sull’utilizzo di tecnologie avanzate in re-lazione alle aspettative della clientela attuale, per innalzare il livello di qualità, comfort e sicurezza. Ma ecco anche una

the person who showed the original wooden bust from which his golden statue was forged and the iron structure on which it stood, which was then replaced by another, stronger steel base. Many parts of the cathedral are urgently in need of renova-tion and this is why the Fabbrica has launched a drive to find funding, through various artistic and cultural initiatives which are part of the “VivilDuomo” project in the cathedral and on the terraces, the aim being to sensitize public awareness and get people involved once again in the reality of this monu-ment which the world sees as the symbol of Milan. One idea that has attracted a lot of attention is the idea of organizing concerts high up among the spires (there are 134 of them and they are all numbered anticlockwise) to fund the restoration of some parts of the cathedral and the spired themselves. But many events link Milan to history from the anniversary of the Edict of Constantine (2013) to the 2015 Expo. And the city is getting ready for the Expo, starting with some refined resto-ration on the main railway station, the Stazione Centrale, the powerful facade witness to so many historical arrivals to the city, and which has been given a real facelift with regard to passenger services and facilities. In the framework of the new “Grandi Stazioni” project the new concept, while respecting the historical and architectonic identity of the station, has given priority to an innovative model of traffic management. The in-

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Milano letteraria, attiva da tanti anni ad esempio attorno al “Bagutta”, il ristorante frequentato da artisti, scrittori e gior-nalisti e “citato” su testi e dizionari, come in quello di Alfredo Panzini (Dizionario Moderno), che lo menziona per essere stato la sede del Premio fondato nel 1927 da giornalisti ed artisti, per aiutare il parto di geni giovanili”. Primo istituito in Italia, il premio é annualmente assegnato ad un’opera di scrittore italiano contemporaneo da una qualificata giuria e viene considerato un “premio aristocratico”, assegnato d’in-verno e cioé “quando Milano ha la nebbia o la neve e la piccola via parallela alla Montenapoleone consente qualche rapido transito di fantasmi come Panzini o Pirandello..” Ma i Milanesi frequentano anche i locali caratteristici della città sull’acqua, lungo gli storici Naviglio Grande e Naviglio Pave-se, testimoni di una Milano che si é sviluppata a suo tempo su una rete di corsi d'acqua, che consentiva il trasporto fra il Ticino, l'Adda e il Po e, quindi, il mare Adriatico. E oggi i laboratori artigianali e gli antichi lavatoi, coperti di tetti di legno vivono nei locali caratteristici che l’Associazione Na-viglio Grande tutela nelle caratteristiche storiche e ambien-tali, con milioni di visitatori e turisti. Ma come non fermar-ci sull’altra, storica “icona” di Milano: il Teatro alla Scala, che l’architetto Botta ha ristrutturato fra il 2002 e il 2004, pur lasciandone inalterata la facciata, e non dare un rapido sguardo alla città del futuro, la grande metropoli del “dopo 2015” . Eccola, già svettante, la Torre Garibaldi di Cesar Pelli, che, con i suoi 230 metri ha superato la sede della Regione di I.M.Pei, alta “soltanto” 161,3 metri, ma che vedrà presto erigersi la torre del CityLife dell’americano Libeskind, con i suoi 150 metri, cambiando totalmente il profilo urbano della vecchia Milano.•

ternal passageways have been reorganized as have the access areas, repositioning e reconfiguring a plan based on the use of cutting-edge technology in relation to the expectations of current users, with an aim to then boosting the levels of quality, comfort and security. And then there is literary Milan, which as been alive for many years, for example around the Bagutta, the restaurant which has long been a haunt for artists, writers and journalists and is mentioned in many texts and dictiona-ries like the Alfredo Panzini (Dizionario Moderno), which men-tions it as having been the seat of the Prize founded in 1927 by journalists and artists to help the birth of “youthful geniuses.” Launched in Italy the prize is awarded every year by a jury to the work of a contemporary Italian writer, and is considered an “aristocratic prize,” awarded during the winter months when Milan has snow and fog and along the little street parallel to Via Montenapoleone ghosts like those of Panzini or Pirandel-lo flit past....” But the Milanese also frequent the typical bars and club of the water city along the historical Naviglio Grande and Naviglio Pavese, which bear witness to a Milan that, in the past, developed on a network of waterways which made it possible to navigate between the Ticino, the Adda and the Po and then also the Adriatic. And today the old artisan shops and ancient washhouses, with their wooden roofs, are now part of the Naviglio Grande Association, which protects historical and environmental premises, and attract millions of visitors and tourists. And then there is that other historical icon of MiIan, the La Scala Opera House which the architect Botta rebuilt between 2002 and 2004 leaving the façade as it was, and then there is the Milan that looks towards the city of the future and the great post-2015 metropolis. And, of course to Cesar Pelli’s Garibaldi Tower which, with its 230 metres, soars higher than I. M. Pei’s building which is the headquarters of the Region, and stands at a mere 161.3 metres but will soon see the CityLife To-wer, designed by the American architect Libeskind, soar to 150 metres, totally transforming the urban silhouette of old Milan.•

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Calendimaggio di Assisi

gni anno, la prima settimana di maggio, nell’incantevole cit-tadina di Assisi, culla del francescanesimo

e patrimonio culturale dell’umanità,

abitanti e visitatori sono trasporta-ti in un’epoca remota, nella quale i gonfaloni dei fieri Comuni italiani sventolavano sui palazzi turriti e i loro raffinati manufatti raggiunge-vano terre per allora lontanissime.

E’ la festa del Calendimaggio, che per tre intense giornate farà rivivere ad Assisi un Medioevo sognato, im-maginato e ricostruito con una stra-ordinaria partecipazione e capacità d’identificazione da parte di tutti

Testo di Mirella Sborgia e Foto dell’Ente Calendimaggio

un balzo nel XIII secolo tra cultura cortese e spirito popolare

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gli assisani, che trasformano in quei giorni la loro città in un museo vi-vente dell’immaginario storico.Festa popolare, sopravvissuta attraverso i secoli, il Calendimaggio affonda le sue radici nelle tradizioni e nei riti ancestrali dei festeggiamenti per il ritorno della bella stagione, ma an-che nella peculiare storia di questa straordinaria città e delle sue genti, che decisero molti secoli or sono

di ‘sublimare’ una sanguinosa lotta intestina tra fazioni in una “singolar tenzone”, che contrappone ancora oggi le due “parti”, Parte de Sopra e Parte de Sotto, attraverso sfide canore, bandi goliardici, giochi ca-vallereschi e di tradizione popolare e sofisticate e coloratissime rievoca-zioni storiche. Così l’appuntamento è in piazza, nei vicoli, nel quartier generale e nelle

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taverne della Magnifica Parte de Sotto e del-la Nobilissima Parte de Sopra, dove dal pri-mo giovedì di maggio, fino alla notte fonda del sabato successivo quando verrà indicato il vincitore, la sfida procede tra gare di de-strezza, balestrieri, sbandieratori, corse con le “tregge” (sorta di antiche slitte contadi-ne), cortei e sfilate in costume. Ma ciò che fa diversa questa festa dalle tante rievocazioni medievali che si svolgono in molti luoghi d’I-talia è il carattere quasi “intimo” della festa: in una città che vive una forte pressione turi-stica per gran parte dell’anno, il Calendimag-gio si caratterizza come una festa autentica e di forte partecipazione popolare, pensata soprattutto per la gente di Assisi. Persone di tutte le età ed estrazione sociale lavora-no per mesi, tutte le sere, con l’abnegazione del tifoso, ma anche con la competenza dello storico, del costumista, del musico o dell’ar-tista, esperti tutti di Medioevo. Così durante le sere d’inverno ci si riunisce nelle case per ritrovare e provare antichi spartiti, per studia-re scenografie e costumi ispirati agli affreschi ed ai dipinti che impreziosiscono la città. E soprattutto per inventare i racconti che cia-scuna Parte, ogni anno, proporrà come filo conduttore delle proprie “sfilate” e delle “sce-ne”. Ricostruzioni storiche che si svolgono nelle serate di giovedì e venerdì nei vicoli e

Calendimaggio di Assisi

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Visitatore, se mi chiedessi cos’è questa festa, comince-rei parlando di amore e di amicizia. Il Calendimaggio è di uno spirito tutto assisano, sanguigno, rissoso, beone, leale, goliardico, poetico, come non se ne trova in tutta l’Umbria. Ma guai a chi dice che gli assisani ritrovano le proprie consapevolezze o le radici solo a Calendimag-gio, noi rispolveriamo i nostri costumi medievali non la nostra identità, che sopravvive così marcata e unica da definire il carattere stesso della festa: perché sono gli assisani a fare Calendimaggio e non il Calendimaggio a fare gli assisani!Nel luogo magico che vince sull’archetipo spazio tempo ritroviamo quell’anima latente che ci vive dentro, istin-tiva e primordiale, che ogni volta si manifesta potente. Quell’anima è poesia, è amicizia, è amore e odio, che sono le due facce di una stessa medaglia; è cosi il Calen-dimaggio: non può esserci una Parte senza l’altra, non c’è la torre senza il mammone, non c’è blu senza rosso, la competizione insieme all’amore di parte sono il mo-tore che tiene insieme le due facce, e ti fa fare le due di notte a scrivere, a segare, a inchiodare, a intrecciare, a cucire, a sognare e immaginare, a litigare con la moglie o con l’innamorato... se è dell’altra parte! Vallo a spiegare, che per la “parte” faresti quasi tutto, che per quel brandello di stoffa….Se l’assisano, di natura schivo e riservato, si aprisse e ti raccontasse, ascolta vi-sitatore, le storie: storie d’amore, di amicizia, di passioni che nascono complice il Calendimaggio. A incantare e sedurre con il suo prodigio, a fermare il tempo e dis-solvere la realtà, e regalare ogni volta un sogno. Quel sogno tutti lo possono vivere, forestieri, visitatori, viag-giatori e nuovi arrivati in città: perché assisani si nasce ma partaioli si diventa!

nelle piazzette dei quartieri più suggestivi, ove una mol-titudine di ogni età recita con trasporto e perizia la parte assegnatagli, tra performance ilari e momenti tragici, ri-costruzioni di mercati e bordelli e taverne (animate per davvero!). Mentre il piccolo gruppo dei giurati – storici, musicologi e registi di fama, chiamati dall’Ente Calen-dimaggio – procede lungo il percorso stabilito (rigida-mente chiuso al pubblico), tra fiaccole, cavalli ed eventi inattesi di un mondo medievale che improvvisamente prende vita. Un mondo magico dal sapore erudito e po-polare insieme, che uno storico chiamato come giurato in una delle edizioni del Calendimaggio, ha così descrit-to: “tutti gli attori e i figuranti dei cortei come delle “sce-ne di parte” son riusciti a farmi percepire un ‘profumo’ di Medioevo e a donarmi emozioni che nessun film in costume e nessun libro di specialisti son mai riusciti a procurarmi. La felicissima ambientazione delle “scene medioevali” in vicoli, stradine e scalette contribuisce indubbiamente ad ottenere tale effetto, e così le inse-gne, le armi, gli arnesi e gli strumenti di lavoro, i costu-mi curatissimi nelle stoffe e nei colori, ispirati con ogni evidenza a quadri, affreschi e miniature. Ma è lo spirito con il quale i partecipanti vivono questa ricostruzione che dà come risultato un magico profumo di autenticità, di storia assimilata e rivissuta, anche se in chiave di so-gno o di fiaba”. I tre giorni della festa sono preceduti da mesi di lavoro dei partaioli per la confezione degli abiti e delle scenografie, per le prove delle scene, del coro, dei tamburini, degli sbandieratori. Ma anche di sfottò nelle piazze, nelle scuole e nelle case, dove può accadere che uno sia “de Sotto” e l’altro “de Sopra”. Poi ha ini-zio la gara, il giovedì, con la “consegna delle chiavi della città al Maestro de Campo da parte del Sindaco (“che essendo de Parte, deve farsi da parte”). Dopo i giochi e le sfide, l’attesa dei partaioli, la notte del sabato, fino al momento annunciato dallo squillo delle chiarine del Co-mune, in cui il Maestro de Campo aprirà il cofanetto con il fazzoletto di uno de colori delle Parti, rosso per i de

“Prima di tutto partaiolo” Il Calendimaggio nelle parole di Leonardo Paoletti, Assessore alla Cultura del Comune di Assisi

Calendimaggio di Assisi

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“Quest’anno, la 58° edizione della Festa del Ca-lendimaggio sarà da ricordare” annuncia con en-tusiasmo il magistrato dell’Ente Calendimaggio, Salvatore Ascani. La Festa prenderà il via giovedì 3 maggio con la simbolica consegna delle Chiavi della città da parte del Sindaco Ricci al Maestro de Campo. Poi il via alla gara dei balestrieri ed in sera-ta le scene rievocative di vita medioevale per i vicoli della Parte de Sopra. Venerdì 4 maggio nel pomeriggio si darà avvio alla gara di destrezza per eleggere Madonna Primavera: tiro con l’arco, corsa con le “treggie” e tiro alla fune. In serata le scene della Parte de Sotto. Sabato 5 maggio, nel pomeriggio, la festa ripren-derà il corteo storico della Parte de Sopra, seguito da quello della parte de Sotto, dagli spettacoli di piazza e dalla lettura dei bandi di sfida. In serata, la sfida tra i due cori di musica medievale e le sfilate notturne. A tarda notte, l’assegnazione dell’agogna-to Palio! Per informazioni ed acquisto dei biglietti, si può visitare la pagina www.calendimaggiodiassisi.it o chiamare all’Ente Calendimaggio al telefono 075 816868

Sotto e blu per i de Sopra, annunciando così il vincito-re del Calendimaggio di quell’anno: ovvero la Parte che per un anno riceverà e potrà esibire l’agognato Palio, uno stendardo con i colori della città che sarà portato dai vincitori in processioni festose per la città nei giorni successivi alla festa. Dopo il fatidico annuncio i sosteni-tori di ciascuna Parte si ritirano nelle rispettive taverne. In silenzio e spesso tra le lacrime i perdenti, che “affo-gheranno nelle lacrime e nel vino” il proprio dolore e la propria frustrazione. Tra grida di gioia, rulli dei tamburi e canti i vincitori, che nella propria taverna conclude-ranno la notte con tante brocche di vino, l’immancabile porchetta, i canti, balli e rievocazioni dei momenti più salienti dell’edizione appena conclusa e magari…qualche nuovo amore che la festa pagana della primavera porta sovente tra i vicoli. Sarebbe tuttavia in errore chi voles-se vedere una contrapposizione tra la religiosità asce-tica dell’Assisi francescana e la celebrazione gaudente e paganeggiante del Calendimaggio. Con questa festa collettiva Assisi, che in tempi recenti ha ospitato tanti in-contri religiosi di riconciliazione e pace, mostra come si possa trasformare una antica tradizione di aspre e san-guinarie contese cittadine, che l’hanno a lungo carat-terizzata nel basso medioevo, in una gara di ingegno e passioni; in una competizione incruenta e partecipativa che ha ritualizzato il conflitto e lo ha tradotto in un gioco della rinascita e del rinnovamento. Insomma fraternità e convivenza, semplicità e profondità e, soprattutto, lo spirito allegro che caratterizza tanto il messaggio reli-gioso francescano, quanto quello laico della tolleranza e dell’inclusione.•

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65LA GROTTA DI SALE: ambiente unico e suggestivo per depurare le vie respiratorieL’haloterapia è il trattamento che Halecenter permette di fare all’interno delle proprie Grotte di Sale, utilizzando le tecniche della società leader mondiale AEROMED-HALOMED

Nelle Grotte di Sale Halo Center si eseguo-no delle sedute basate sulla respirazione di cloruro di sodio, cioè microparticelle di sale di miniera puro al 100%. All’inter-no di un ambiente confortevole e sugge-stivo – La Grotta di Sale – in cui pareti e pavimento sono completamente rivestiti di puro sale di miniera, si riproduce il na-turale processo che si ha con la speleote-rapia (terapia all’interno di caverne di sale). Oltre al rivestimento salino delle pareti e del pavimento, per ottenere un micro-clima perfetto all’interno della Grotta di Sale Halo Center, viene installato un Ha-logeneratore prodotto dall’azienda leader mondiale nell’haloterapia : AEROMED-HA-LOMED GROUP. Aeromed Halomed è sta-ta le prima al mondo (1991) ad utilizzare la tecnologia di micronizzazione del sale ed ha iniziato a gestire in modo efficace, all’interno delle Grotte di Sale, il grado di concentrazione del sale micronizzato. Gli Halogeneratori Aeromed-Halomed sono gli unici a controllare la concentrazione del sale all’interno della Grotta di Sale tramite un sensore laser. Il sensore laser permet-te di misurare in tempo reale la quantità di sale micronizzato presente all’interno della Grotta di Sale. La micronizzazione del sale, la concentrazione controllata tramite laser e le pareti e pavimento ri-coperte di sale, riproducono un ambiente

naturale nella Grotta del Sale, il tutto per produrre benefici sui polmoni, bronchi e vie respiratorie. Respirare per 40 minuti all’interno della Grotta del Sale equivale ad una permanenza di 3 giorni in riva al mare. Le piccole particelle di sale micro-nizzato sono in grado di raggiungere le ciglia bronchiali sulle quali scorre il muco bronchiale. Un efficiente movimento delle ciglia ed il conseguente spostamento del muco (clearance muco-ciliare) rappresen-tano un importante meccanismo di difesa del sistema respiratorio, contribuendo a rimuovere germi ed inquinanti che pene-trano con l’aria inspirata. La respirazione dell’aria nella Grotta del Sale intensifica il processo di depurazione dell’intero tratto respiratorio. Dopo un ciclo di sedute le persone risultano meno sensibili all’azio-ne di tossine e sostanze ecologicamente dannose. Un altro fattore importante di questo trattamento è l’elevata presenza di ioni negativi: durante la frantumazione, le particelle di sale, a causa della forte azione meccanica, acquistano una carica negativa ed un’energia superficiale elevate. Gli ioni negativi hanno un effetto benefico sul si-stema cardiovascolare, sul sistema nervoso e su quello immunitario, oltre a contribuire alla purificazione dell’aria nella grotta del sale. Durante le sedute, ascoltando musi-che rilassanti, i suoni del mare, del vento e

della pioggia, le persone vengono avvolte da sensazioni di relax e benessere, mentre attraverso la normale attività respiratoria inalano le particelle di sale polverizzate ed introdotte nell’’ambiente dall’ haloge-neratore. La Grotta di Sale Halo Center è un ambiente unico nel suo genere per quanto riguarda l’attenzione al comfort ed all’igiene degli utenti. La Grotta di Sale non rappresenta un’alternativa alle terapie farmacologiche tradizionali ma è da con-siderarsi ad uso di benessere psicofisico e non terapeutico. La Grotta di Sale, indicata per tutti, viene utilizzata come rimedio na-turale per svariate malattie. In alcuni pa-esi del nord Europa, nei quali la grotta è utilizzata da oltre 20 anni, l’Haloterapia è consigliato per: tosse , raffreddore , bronchiti , otiti , ton-silliti , laringiti, dolori artritici , insonnia in-fezioni virali ricorrenti , stress , instabilità nervosa , rafforzamento del sistema im-munitario , asma , riniti , sinusiti , faringiti , raffreddori allergici , malattie polmonari ostruttive malattie broncopolmonari , ma-lattie da raffreddamento , eczemi e derma-titi , psoriasi ,tosse del fumatore. Nel 2011 HALOCENTER, partner ufficia-le AEROMED-HALOMED, ha realizzato oltre 15 grotte di sale di altissima qua-lità.

www.halocenter.it

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In Alto Adige la primavera re-gala mille emozioni quando i delicati bucaneve spuntano dalla coltre bianca e segnano il risveglio della natura. A Lana,

piccola località a due passi da Me-rano, tra le più amate dall'impera-trice Sissi, il benvenuto alla stagione più bella si dà tradizionalmente con la "Festa della Fioritura" dal 9 al 22 aprile. Per due settimane, quando i meleti in fiore colorano le vallate di bianco e di rosa, si svolge un'al-legra kermesse, articolata tra luo-

ghi storici, masi e frutteti con visi-te guidate, itinerari in bicicletta e percorsi enogastronomici. Tutta la popolazione è coinvolta in questa festa tanto attesa, dopo i mesi del freddo e del riposo della natura. E' una posizione geografica invidiabile quella di cui godono il comune di Lana e gli altri piccoli centri limitrofi di Foiana, Cermes, Postal e Gargaz-zone. Situati nella piana del fiume Adige, tra Merano e Bolzano, sono protetti dal gelo del Nord dalle vette alpine di oltre 3.000 metri. Il

sole del Sud invece regala tempe-rature relativamente miti, quasi un clima mediterraneo che fa persino crescere le palme in un contesto di montagna. E' un paradiso mutante di stagione in stagione che affasci-na per le più incredibili declinazioni di colori e di profumi. In primavera si vedono sbocciare i fiori di campo e quelli delicati dei ciliegi, dei peri e dei meli, l’estate si protrae anche fino a fine settembre e ad ottobre l'autunno copre tutto con un man-to d'oro. L’inverno, poi, offre agli

Testo di Mariella MorosiFoto di Dolomiti.it

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"FESTA DELLA FIORITURA" A LANA

la montagna incantata amata da Sissi

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appassionati dello sci e degli sport invernali tanta buona neve. Domina su tutto il Monte San Vigilio, 1.486 metri di altitudine, raggiungibile da Lana in funivia, la seconda più antica al mondo. Il paesaggio, da qualsiasi scorcio, è incontamina-to ed è ancora lo stesso ammirato dalla bella imperatrice Elisabetta d’Austria, in cerca di quiete. Mera-no per ricordarla le ha dedicato un monumento di marmo bianco. La natura è rispettata da sempre: non è un caso che proprio qui sia stata costruita la prima Casa-Clima d’Ita-lia con balle di paglia, che sia stata

realizzata l’unica piscina naturale in Alto Adige e che infine sia stato cre-ato un fiabesco Giardino-Labirinto di due ettari. La Casa-Clima è l’a-griturismo Esserhof, un progetto di architettura realizzato senza angoli e spigoli utilizzando solo materiali naturali quali paglia, argilla, legno e vetro. Le balle di paglia trasmetto-no calore e protezione e la famiglia Esser e l’architetto svizzero che l’ha aiutata a idearla hanno realizzato questo prototipo di casa secondo natura che ha ricevuto il Premio Ar-chitettura dell’Alto Adige nel 2007. Ha tre unità abitative di forma se-

micircolare completamente aperte verso sud, senza angoli che posso-no ostacolare il flusso delle energie, mentre la vetrata a tutta parete che si affaccia sul giardino esprime il perfetto inserimento nella natura. A Lana si può anche fare il bagno nell'unica piscina pubblica natura-le dell'Alto Adige. E' a Gargazzone, una località vicinissima. Ha 2.200 metri quadrati di superfice d’acqua ed è tutta circondata da prati su cui ci si può distendere per prendere il sole e dove i bambini possono fare le capriole. Si tratta di un progetto ecologicamente sostenibile perché

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"FESTA DELLA FIORITURA" A LANA

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l'area di rigenerazione vegetale ha piante autoctone in grado di prov-vedere alla naturale depurazione dell’acqua senza l’uso di cloro o additivi chimici. La piscina ospita per l’estate anche concerti, letture di poesie e proiezioni di film sotto le stelle. Infine sempre vicino Lana, a Cermes, c'è il Labirinto di Kränzel, un giardino di due ettari tutto da scoprire. All’interno si trovano ter-razze, stagni, ruscelli, un anfiteatro, sculture e installazioni. C'è anche una tenuta medievale del 1530 con 6 ettari di vigneti, dove vengono organizzate visite e degustazioni di vini. E' un luogo che invita alla riflessione e si può anche essere coinvolti in una seduta di medita-zione guidata. Non mancano le of-ferte golose: all'interno della tenuta padronale c'è il Ristorante Miil dove nella bella stagione si può mangia-re in giardino. La cucina si ispira ai prati ed ai boschi dell’Alto Adige e la specialità sono i gnocchi di pa-tate e ortiche con salsa di formag-gio di malga e tartufo. L’annuale appuntamento con la fioritura dei meli è un'occasione imperdibile per una full immersion nella natura, tra i profumi che aleggiano ovunque. Nelle vie pedonali della cittadina viene organizzato il 14 aprile uno speciale percorso enogastrono-

mico chiamato "Sapori del maso", dedicato ai prodotti tipici locali. In 30 stand i masi dei contadini della zona propongono il latte, i formag-gi, le spezie, le erbe aromatiche, lo speck, il vino e i distillati della pro-pria produzione. Le specialità sono preparate seguendo vecchie ricette contadine come la zuppa d’orzo, i canederli di fegato e i krapfen ri-pieni. Per vivere in pieno l’atmosfe-ra rurale, una contadina del posto guida l’escursione da maso a maso seguendo il percorso culinario "De-liziosamente buono". E' una pas-seggiata che porta con un servizio navetta fino a Foiana, per poi prose-guire a piedi a raggiungere il maso “Lechnhof” dove viene servito un assaggio di golosità locali. Si prose-gue lungo il sentiero didattico dedi-cato al castagno dell’Alto Adige,con una sosta al Museo degli Usi e Co-stumi. Dopo un pranzo con piatti ti-pici anche a base di mela, il viaggio continua verso il maso “Kirchtalhof” dove si possono degustare dolci e biscotti. Uno dei punti forti della cucina locale dei ristoranti di Lana è il menu a base di erbe selvatiche, frutto di un’antica sapienza culina-ria e dell’amore per la natura. Lana vanta inoltre un campo da golf a 9 buche posizionato sotto i ruderi del Castel Brandis, un maniero medie-

vale abitato fino all'Ottocento e poi caduto in rovina. Bellissima la Chie-sa Parrocchiale Lana di Sotto, eretta dove ne sorgeva una romanica. Di particolare interesse artistico è l'al-tare gotico di Hans Schnatterpeck con le figure in legno, di cui alcune in grandezza naturale. L'altare è il più grande di tutta la zona alpina, con i suoi 14 metri di altezza. Anche la Chiesa gotica di Sant'Agatha ha origine romanica, con affreschi del XII secolo. Da vedere anche Santa Croce e la Chiesa dei Cappuccini, oltre ai piccoli luoghi di culto che capita di incontrare un po' dovun-que. Nei pressi del sentiero d’acqua Brandis c'è anche St.Margherita che ha una struttura a tre absidi di forma circolare ricca di dipinti. In pochi minuti a piedi, anche i non sportivissimi possono raggiungere il Castello Braunsberg, nato come rocca nel 1231 e ampliato nei se-coli successivi dai Conti Trapp, che ancora lo possiedono. Ha un muro di cinta con merli che circonda un cortile, una torre e un palazzo con una cappella dedicata San Blasio. Sul muro esterno si possono vedere gli stemmi dell’Austria, del Tirolo e dei blasonati proprietari. Il Castello Braunsberg si trova proprio al bor-do della Gola del Ronzino, tra altis-simi cipressi. Sotto passava il vec-chio sentiero che portava da Lana in Val d’Ultimo. Poco più in su, se non si è stanchi, si può arrivare alla chiesetta di San Magno a Gagers, nell'ex tenuta dei Benedettini, con statue di santi a grandezza naturale. Per la Festa della Fioritura, come per gli altri eventi dell'estate, sono sta-ti predisposti interessanti pacchetti turistici.•

Info: Comune di LanaVia Maria-Hilf, 5I-39011 Lana (BZ)Tel. +39 0473 567 756www.gemeinde-lana.bz.it

Associazione turistica Lana e dintorniVia Andreas Hofer, 9/1I-39011 Lana, Alto Adige, ItaliaTel. +39 0473 561 770www.lana.info

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GALLIPOLI - città fortificata del Mediterraneo

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Gallipoli, la perla del Salento protesa nell'azzurro dello Jonio, continua a tener fede al suo antico nome greco:"kalè polis", città bella. E' divisa in due parti, il centro storico edificato su uno sco-glio calcareo e il borgo, collegati da un ponte

seicentesco ad archi. La sua strategica posizione geografi-ca per i commerci nel Mediterraneo e la fertilità delle sue terre ne hanno fatto una preda ambita fin dalla preistoria: vi hanno dominato Messapi, Goti, Bizantini, Spagnoli, Nor-manni, Angioini, Aragonesi. Assediata e conquistata, sac-cheggiata e ricostruita più volte durante turbolente vicende dei secoli oscuri, la città sembra raccontarsi più con la pietra delle sue fortificazioni che con i libri di storia. Ma oltre alla mole delle strutture difensive colpisce la quantità e la bel-

lezza delle sue chiese, quasi a bilanciare con la forza della fede la sua vocazione di potenza militare e marinara rivolta verso l'Oriente. I gallipolini seppero difendersi dagli assalti dei nemici, soprattutto dei pirati saraceni che alla fine del Seicento seminarono il terrore nel Salento e fronteggiarono anche le mire espansionistiche della potente Serenissima. Lo testimoniano i possenti bastioni e le torri di guardia sul mare e soprattutto il Castello Angioino, esempio di ardita tecnologia ingegneristica del XIII secolo. Completamente circondato dal mare, era unito alla terraferma da un ponte levatoio in legno, consolidato e stabilizzato nei secoli suc-cessivi. Nel castello e nell'adiacente massiccia torre detta Ri-vellino erano di stanza guarnigioni militari dotate di cannoni e catapulte utili alla difesa. Con i Borbone la città entrò a far

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Testo di Mariella Morosi e foto di Annamaria Contenti

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parte del Regno di Napoli, conoscendo una relativa stagione di pace. Fu Ferdi-nando I ad avviare la costruzione del porto che assunse grande importanza nel Settecento per i traffici del Medi-terraneo. Fiorirono i commerci anche con il lontano Oriente e nacquero potenti corporazioni. Non tutti sanno che proprio da qui partivano navi ci-sterna cariche d'olio lampante, cioè di bassa qualità, destinato ad alimentare le lampade di tutt'Europa: un prezioso sbocco per la fin d'allora ricca produ-zione olivicola pugliese. Si dice che per

secoli l'olio di Gallipoli abbia acceso i lampioni di tutta Londra. Ne fanno fede i tanti frantoi ipogei della città, dove muli bendati giravano notte e giorno le molazze per macinare le oli-ve, scaricate nella botola da processio-ni di carretti. Una visita al Frantoio di Palazzo Granafei, aperto al pubblico, fa comprendere come in quei sotterranei lavorassero alla pari uomini e animali, tra il calore infernale e i miasmi della fermentazione delle olive. Per consen-tire il carico delle navi Papa Gregorio XIII con un suo provvedimento del

1581 acconsentì che gli operai impe-gnati nel carico delle navi di Gallipoli si astenessero dal santificare la domeni-ca e le altre festività. Il provvedimento sarà poi confermato dal papa Sisto V. Oggi Gallipoli è una città viva, meta tu-ristica culturale e balneare privilegiata non solo per i monumenti religiosi e civili della città vecchia, ma per la bel-lezza delle sue spiagge, intervallate da scogliere e calette e dominate da tor-rioni. Ricca è l'offerta enogastromica di una terra generosa che vanta eccellen-ze come ortaggi, frutti, legumi, carni soprattutto ovine e deliziosi latticini. I vini sono famosi fin dal tempo dei Romani e l'olio extravergine, ottenuto con moderne tecnologie, è oggi molto apprezzato. La cucina quasi dovunque è quella di tradizione e alcune ricette conservano ancora tracce della cultura di antichi popoli dominatori. Da non perdere una visita al Mercato del pe-sce nella grande Piazza della Dogana dove il sole riflette l'argento dei pesci e i colorati frutti di mare e crostacei tra cui il pregiatissimo gambero rosso di Gallipoli. Nei mesi canonici trionfano cataste di ricci di mare, dai temibili aculei neri e dall'interno dolcissimo. La tradizione di consumare crudo, con al massimo una goccia di limone il Paracentrotus lividus -questo il nome scientifico del succulento dono del mare- è così forte che la città gli de-dicò anni fa un monumento. Ma la co-lorata e iperrealista scultura del "Riccio di Gallipoli" di Enrico Muscetra pro-vocò violente polemiche nonostante l'appassionata difesa di Vittorio Sgar-bi. Era stata collocata dinnanzi al Tea-tro Schipa, ma i contestatori riuscirono a farla rimuovere e trasferire. Ora è in posizione defilata su uno scoglio, pres-so il ponte di accesso al borgo antico. Una passeggiata nel centro storico della città consente di scoprire tra i vi-coli numerosi capolavori d'arte, come la Fontana Greca a due prospetti, forse la più antica d'Italia, e le tante chiese edificate dalle corporazioni e arricchite nei secoli da statue e ornamenti. Sul punto più alto domina la Cattedrale, dedicata a Sant'Agata, patrona della città. Al barocco leccese si richiamano sia la facciata che l'interno a croce la-tina, arricchito da opere di artisti gal-lipolini e napoletani. Il coro settecen-

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tesco in legno di noce è intagliato fastosamente. Adiacente è il Museo Civico, con reperti messapici, romani, medievali insieme ad antiche ceramiche, armi e costumi d'epoca. Me-ritano una visita anche la chiesa di Santa Maria del Canne-to, San Francesco, la bizantina San Pietro dei Samari, quelle del Santissimo Crocifisso, del Rosario, della Trinità e delle Anime del Purgatorio. La chiesa della Purità racchiude un bell'affresco di Luca Giordano. Tutta la fede profonda della gente salentina si manifesta nelle feste religiose. Corale è la partecipazione alle liturgie della Settimana santa, dal dolore più gridato fino all'esplosione della gioia per la Resurrezio-ne. Attesissime e coinvolgenti anche per i turisti le ricor-renze più importanti che si svolgono a luglio: quelle delle Madonne del Carmelo, del Carmine e di Santa Cristina, con processioni in mare, alberi della cuccagna e tanta musica. Grande entusiasmo è riservato anche agli appuntamenti più pagani come il Carnevale, celebrato con trionfi di dolci e maschere tradizionali. La più antica è "Lu Titoru" alias Teo-doro: un giovane che amava tanto le polpette fino a morirne per indigestione. Tutta la costa a sud di Gallipoli, da Torre del Pizzo, è un paradiso di spiagge e verso nord, in direzione di Santa Maria al Bagno, Santa Caterina e Portoselvaggio, si fa rocciosa e bellissima. Il comune di Gallipoli compren-de anche il Parco naturale regionale Isola di Sant'Andrea, fino a Punta Pizzo. Per questo negli ultimi anni quando la cittadina ha iniziato la sua parabola ascendente di località turistica di forte richiamo si sono moltiplicate le strutture alberghiere anche non convenzionali, come residence o bed & breakfast, spesso dislocati in belle palazzine, sia nel cen-tro storico che nel borgo nuovo, oppure lungo il litorale di San Giovanni o alle spalle della Baia Verde.•

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Avete intenzione di trascor-rere le vacanze in Puglia? Ottima scelta, perché que-sto estremo lembo meri-dionale della penisola, il

tacco d’Italia incastonato tra due mari, il basso Adriatico e lo Jonio, ha parec-chio da offrire al turista. Si tratta infatti di una delle regioni più intatte dal pun-to di vista ambientale, assai varia nel mutare del paesaggio da nord a sud e dalla costa all’interno, decisamente ricca di capolavori d’arte: un perfetto binomio tra storia e natura, senza di-menticare altri importanti aspetti come gastronomia e folclore. Da ricordare in particolare il Salento con le sue bel-le spiagge punteggiate da splendide insenature, i capolavori barocchi di

Lecce, la cattedrale di Otranto, gli an-gusti vicoli di Gallipoli, tutte mete per altrettante interessanti escursioni per quanti decidono di villeggiare in que-sto lembo di meridione. Ogni angolo di territorio ha una storia da raccontare: come Gallipoli, definita la “Perla dello Jonio”, vero paradiso e luogo ideale per le famiglie, per i giovani e per chi è giovane nel cuore, dove poter tra-scorrere le vacanze tutto l’anno. Questa affascinante cittadina, nata come città fortezza, è famosa soprattutto perché formata da due zone distinte: la parte nuova e quella antica collegate da un ponte secentesco. Dire quale sia la più bella delle due entità è difficile perché entrambe racchiudono delle peculia-rità interessanti, dovute proprio alla

sua particolare posizione geografica. La città vecchia ospita gioielli come la Cattedrale del 1600 di straordinaria bellezza, dedicata a Sant’Agata, nonché chiese che sembrano pinacoteche che si affacciano sul mare lungo il periplo. Lo scenario mozzafiato lo completa il castello Angioino - Aragonese con il Rivellino che, nel 1622, fu un avampo-sto per salvaguardare in maggior misu-ra la città. Grazie al suo clima, Gallipoli offre temperature miti Avete intenzio-ne di trascorrere le vacanze in Puglia? Ottima scelta, perché questo estremo lembo meridionale della penisola, il tacco d’Italia incastonato tra due mari, il basso Adriatico e lo Jonio, ha parec-chio da offrire al turista. Si tratta infatti di una delle regioni più intatte dal pun-

Testo di Anna Maria Arnesano e foto di Annamaria Contenti

Dimora di Mare B&B di charme a Gallipoli

GALLIPOLI - città fortificata del Mediterraneo

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to di vista ambientale, assai varia nel mutare del paesaggio da nord a sud e dalla costa all’interno, decisamente ricca di capolavori d’arte: un perfetto binomio tra storia e natura, senza di-menticare altri importanti aspetti come gastronomia e folclore. Da ricordare in particolare il Salento con le sue belle spiagge punteggiate da splendide in-senature, i capolavori barocchi di Lec-ce, la cattedrale di Otranto, gli angusti vicoli di Gallipoli, tutte mete per altret-tante interessanti escursioni per quanti decidono di villeggiare in questo lem-bo di meridione.Ogni angolo di territorio ha una storia da raccontare: come Gallipoli, defini-ta la “Perla dello Jonio”, vero paradiso e luogo ideale per le famiglie, per i giovani e per chi è giovane nel cuore, dove poter trascorrere le vacanze tutto l’anno. Questa affascinante cittadina, nata come città fortezza, è famosa so-prattutto perché formata da due zone distinte: la parte nuova e quella antica collegate da un ponte secentesco. Dire quale sia la più bella delle due entità è difficile perché entrambe racchiudono delle peculiarità interessanti, dovute proprio alla sua particolare posizione geografica. La città vecchia ospita gio-ielli come la Cattedrale del 1600 di stra-ordinaria bellezza, dedicata a Sant’A-

gata, nonché chiese che sembrano pinacoteche che si affacciano sul mare lungo il periplo. Lo scenario mozzafiato lo completa il castello Angioino - Ara-gonese con il Rivellino che, nel 1622, fu un avamposto per salvaguardare in maggior misura la città. Grazie al suo clima, Gallipoli offre temperature miti tutto l’anno, sole e relax anche in au-tunno quando altrove l’estate è ormai un lontano ricordo. Non solo. Le sue temperature consentono, infatti, di go-dere delle magnifiche spiagge durante tutte le stagioni dell’anno.

Dove dormireIl soggiorno ideale è al nuovo Bed &Breakfest di charme Dimora di mare, ricavato dalla ristrutturazio-ne di un grande appartamento al terzo piano di un palazzo di quat-tro, situato sullo splendido lungo-mare di scirocco, poco prima del Lido San Giovanni, posto emblema e imprescindibile di Gallipoli, con-siderato a cavallo degli anni 50 e 70 una specie di Cotton Club del Salento. Per le sue caratteristiche si tratta di una dimora capace di allie-tare i propri ospiti, circondandoli di premurose attenzioni. Le camere, in tutto 4, sono ampie, dotate dei più moderni comfort e finemente

arredate. Vantano tutte una vista emozionante dai terrazzini panora-mici dai quali è possibile ammirare tutto il golfo fino a Torre Pizzo e incantarsi al tramonto, davanti allo spettacolo naturale del mare che si tinge di rosa. Le colazioni vengono servite sui balconi da Cristina e Totò, affiatata coppia di gestori cinquantenni. La struttura funziona tutto l'anno.

Dove mangiareLa vasta scelta di ristoranti a Galli-poli alcuni dei quali convenzionati con il B&B Dimora di mare, per-mette di cambiare locali tutti i gior-ni della settimana con possibilità di mangiare all’esterno o al coperto. Tra questi: LA PURITATE, via Sant’E-lia 18, cucina raffinata, ottimi in particolare i gamberi al sale, prezzo medio.Tel.0833 264205,Trattoria da Olga, consigliabili: frittura e zuppa di pesce, prezzo medio-basso,Viale Giovanni Bovio 4, tel. 0833 261982,Ristorante Marechiaro, lungomare Marconi, dove è di rigore trovare il pesce freschissimo tutti i giorni. Superlativi i frutti di mare crudi. Prezzo medio-alto. Tel.0833 266143Ristorante La Giudecca, lungomare G. Galilei 9, cucina raffinata e pesce freschissimo. Prezzo medio. Tel. 0833 261967Grotta Marinara, via C, Battisti 13, ottimi i frutti di mare e i piatti tradizionali tipici. Pesce freschissimo, prezzo medio-basso Tel. 0833 264030

INFO: Il Bed and Breakfast, Dimo-ra di Mare, si trova sul lungomare G.Galilei,99 a Gallipoli (Lecce) tel. 349/1806427 – 338/7424373;[email protected], www.dimoradimaregallipoli.com

Come si arriva: Stazione di Lecce – KM 36; Aeroporto di Brindisi – Km 70; Autostrada A14; Superstrada Brindisi- Lecce – Gallipoli.

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QUERCETO, un sogno, una storia, una famiglia - I Marchesi Ginori Lisci

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Testo diGiuseppe Garbarino

Percorrendo la strada che da Cecina sale all’antica Volterra viene spesso la voglia di cambiare strada e seguire l’istinto, di cer-

care con lo sguardo un punto lon-tano e raggiungerlo.Lo skyline delle colline all’interno della Costa degli Etruschi è motivo di continue scoperte, piccoli borghi le cui case sembrano scavate nel-

la roccia, castelli ai quali mancano solo cavalieri e draghi, boschi che sembrano guardarci con mille occhi nascosti. Luoghi dove perdersi.Una torre verso l’orizzonte si na-sconde a malapena sul profilo di una collina verdeggiante, è Quer-ceto, un nome semplice, legato alle fitte foreste della zona, un luogo dove la bellezza e il panorama sulla val di Cecina sorprende ogni volta.

Tralasciamo la sua storia più anti-ca, non parliamo di quei vescovi di Massa Marittima che ne de-tenevano i diritti nell’anno mille, non ricordiamo quando nel 1430 fu oggetto di razzie delle truppe di Giangaleazzo Visconti di Milano o quando fu Alfonso d’Aragona re di Napoli a capirne l’importanza strategica e a volerlo conquistare. Facciamo un salto temporale fino

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ad oggi e ascoltiamo dalle parole di Cristina Sannazzaro Natta, giovane linfa nata dalla famiglia Ginori Lisci cos’è Querceto oggi. Da baluardo di frontiera conteso per il suoi metalli preziosi a luogo prediletto da chi è alla ricerca di quel raro spirito che si trova nascosto dentro ognuno di noi e si consuma lento all’ombra delle millenarie pietre di questo autentico piccolo borgo toscano, magari con un bicchiere di buon vino e l’orec-chio che cerca di catturare le note di un musicista che prova la sua parte eternamente.“E’ dal 1543 che questo luogo ma-gico è dei miei antenati, da quando diventò proprietà della famiglia Lisci di Volterra e, per matrimonio, dei Gi-nori Lisci.”Un nome che ha certamente lasciato un segno indelebile nel tempo; or-goglio e tradizioni, ma oggi come un tempo con lo sguardo rivolto al futuro.“Possiamo ben dirlo, la Manifattu-

ra Ginori di Sesto Fiorentino è sta-ta un’impresa che segnò la nascita industriale nel territorio fiorentino, ma i Ginori, nelle varie diramazioni familiari devono essere ricordati an-che per quella curiosa impresa della Cecina, un paese nato dal nulla per realizzare un’attività legata alla pe-sca del corallo, oppure per le ricer-che per l’estrazione dell’acido borico a Larderello, per la prima automobile a girare per Firenze. E oggi con l’in-novazione troviamo il giusto spirito per rivolgerci alla natura e cercare di affermarci sul mercato enologico con prodotti di qualità. Guardando indietro nel tempo, ai miei antenati c’è da chiedersi se si possa fare me-glio; mio zio Lionardo Ginori Lisci mi ha coinvolta insieme ai miei cugini per gestire questa forte eredità e tutti danno sempre il meglio di se stessi.”Ricordi ed aneddoti?“Carlo Benedetto Ginori, ad esem-pio, era molto amico di Giacomo

Puccini e in archivio abbiamo una sua lettera nella quale gli chiedeva se poteva dedicargli la Boheme! E poi il rapporto tra il Collodi, autore di Pinocchio, e la famiglia Ginori, una storia nella storia.”Torniamo a Querceto e ai suoi pri-mati.“Dagli anni ottanta l’azienda agri-cola ha subito grandi cambiamenti, il vento non è solo quello ricordato da Gabriele D’Annunzio che parlò di Volterra come "città di vento e di macigno", ma anche quello del rin-novamento e oggi siamo ben fieri di asserire che Querceto ha vinto la sfi-da e si pone tra le più brillanti azien-de enoturistiche della zona.Il turista che arriva nelle nostre terre sembra bisognoso di cure, atten-zioni, si aspetta qualcosa di più del semplice soggiorno; la ricerca del fascino discreto, della buona cucina e di un vino ben strutturato, come quello che viene prodotto nei nostri vigneti. Questa è la formula vincen-

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te, la migliore pubblicità viene da chi ritorna.” Querceto è anche musica, eventi, mostre; il 2012 sarà l’anno della sesta edizione del “Querceto International Piano Festival & Ma-sterclasses”, che si tiene a cavallo tra il mese di luglio ed agosto. Qualche anticipazione? “L’attività culturale di Querceto è una delle piccole eccellenze ospi-tate al castello ed è organizzata dall’Accademia Libera e Natura che ha sede proprio nel nostro luminoso

borgo. In estate vengono organiz-zati eventi di vario genere: concerti, mostre, corsi di varia tipologia come quello di musica classica, chiamato appunto Piano Festival e che ormai è diventato un appuntamento fisso e per un paio di settimane riempie di musica e di persone l’intero pa-ese.”Lo sguardo che corre a 360° intorno alla torre di Querceto incontra l’etru-sca Volterra, lo sperone della Sassa e il borgo minerario di Montecatini

Val di Cecina, le boscaglie inconta-minate. Emozioni affacciata alla finestra? “I tramonti, l’odore del salmastro che a volte arriva dal litorale, i tempora-li che si avvicinano e quelle nebbie mattutine che trasformano la valla-ta sottostante in un finto mare co-stellato di isolette; sono momenti e sensazioni uniche che quando torni a Firenze ti rimangono sulla pelle e ti fanno capire quanto ti manca que-sto angolo di Toscana.”

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Il periodo più bello a Querceto?“La primavera, con il suo verde intenso e il profumo del-la macchia mediterranea che diventa sempre più forte. Però anche l’autunno ha il suo fascino, quando il ram-picante sulla torre del castello diventa rosso come i tra-monti.”Dalle porcellane al vino, oggi la famiglia Ginori si dedica quindi con profitto e soddisfazione alla produzione di alcuni ottimi vini sotto il marchio Marchesi Ginori Lisci, ottenuti da una selezione di vitigni autoctoni come il Sangiovese, oltre a Merlot e Cabernet Sauvignon che, come dice Lionardo Ginori Lisci, sono stati la scelta natu-rale dell’azienda, poiché sono vitigni che in questa zona hanno dato ottimi risultati con il Macchion del Lupo e Campordigno, vini rossi dai nomi rudi, legati alla storia di queste terre, ma allo stesso tempo abbiamo Virgola, un vino bianco aromatico e fresco grazie alle leggere presenze degli uvaggi Vermentino e Viognier.Per accogliere il vino è stata realizzata nel 2003 una nuova cantina che oggi appare come uno dei fiori all’oc-chiello dell’azienda dove, tra l’altro, si nota la barriccaia ricavata nel vecchio teatro del paese, un vero e proprio palcoscenico per le degustazioni.

Un’ultima cosa Cristina, uno sguardo sul futuro di Querceto?“Per noi il futuro è già arrivato, lo abbiamo incontrato con la realizzazione dell’impianto di biomassa che dal 2010 produce 5,6 milioni di KWh all’anno di energia rin-novabile, grazie al mais e altri cereali raccolti negli et-tari destinati al funzionamento dell’impianto, nonché i prodotti di scarto dei vigneti. L’energia sviluppata viene utilizzata in parte dall’azienda e nel borgo di Querceto, mentre l’eccedenza entra nella rete elettrica nazionale per fornire elettricità a 1281 famiglie e devo ammettere con sincerità che questo ci rende molto orgogliosi.”Chiudiamo con le parole di Luigi Malenchini, cugino di Cristina Sannazzaro Natta, dalle quali si capisce tutto l’a-more per questa terra:“La terra deve vivere e per vivere deve essere inserita nel sistema economico, un sistema che oggi vede tra le ma-terie prime più preziose proprio l’energia. Finora in To-scana l’oro della terra è sempre stato il vino, che special-mente sulla costa arriva a risultati eccellenti … Il nostro obiettivo è essere un’ impresa agricola contemporanea e propositiva …e dimostrare che un nuovo equilibrio è possibile, e senza rinunciare alla crescita..”•

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Testo diMariella Morosi

un borgo marchigiano tra i più belli d'Italia Montecosaro

Montecosaro è uno dei Borghi Più belli d'Italia, tra i più piccoli del Mace-ratese, stretto su un colle che domina la Valle del

Chienti. E' Bandiera Arancione, marchio di qualità turistico-ambientale asse-gnato dal Touring Club Italiano, e non dista che 9 km dal mare di Civitanova Marche. Il paesaggio è dolce, senza dissonanze, e i suoi abitanti -appena poco più di 5.000 tra centro storico e la pianura- vivono di agricoltura e dell'ar-tigianato calzaturiero. Solo da pochi anni un turismo non frettoloso ha sco-perto i suoi monumenti della fede, le pievi romaniche, le torri medievali di avvistamento e la bellezza di una cam-pagna verdissima. Ma Montecosaro ha qualcosa in più dei tanti borghi immo-bili che vivono di rendita su un grande passato, e non solo nelle Marche. I suoi abitanti mostrano con orgoglio il sette-centesco Teatro delle Logge, poco più

di una bomboniera con tre ordini di palchetti ma dalle grandi stagioni liri-che, e il Museo del Cinema a Pennello, dedicato alla grafica pubblicitaria cine-matografica. Unico al mondo e visita-tissimo anche dagli stranieri, ospita bozzetti originali della settima nello storico Palazzo Marinozzi. In più le isti-tuzioni locali, pur nella ristrettezza dei bilanci e con l'aiuto determinante di giovani e volontari, promuovono inizia-tive culturali, molte dedicate a ripro-porre rievocazioni storiche e tradizioni contadine con sagre e feste a tema. Per cominciare a conoscere Montecosaro si varca la Porta di San Lorenzo, acces-so al nucleo fortificato trecentesco, un tempo dotata di una pesantissima gra-ta in ferro che veniva gettata dall'alto in caso di pericolo. Trasformato nei secoli, l'attuale centro storico conserva l'im-pianto urbanistico seicentesco, domi-nato dalla Torre Civica, riedificata nel Settecento sulle rovine di quella me-

dievale. La campana però è la stessa, quella che chiamò la piazza all'insurre-zione anti-feudale del 1568, repressa nel sangue. Una curiosità: per anni la torre e la cittadinanza ne furono private perché i dominanti la ritennero un peri-coloso "soggetto insurrezionale". Da visitare la Chiesa del Santissimo Croce-fisso dei Sassi e quella dedicata a San Rocco per ringraziarlo di aver guarito una pestilenza. A pianta ottagonale, ospitò San Nicola da Tolentino per un anno. Bellissime nel loro impianto ori-ginario anche se rimaneggiare nei se-coli, la Collegiata, ex Pieve di San Lo-renzo, Sant'Agostino e la Chiesa delle Anime. Non dimostra i suoi 700 anni di storia il Convento Agostiniano, ora Pa-lazzo Comunale e sede museale di an-tichi reperti. Al centro del chiostro un pozzo-cisterna che serviva a filtrare l'acqua piovana con un ingegnoso si-stema di strati di ghiaia e carbone per renderla potabile. Il Cassero, punto più

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MONTECOSARO un borgo marchigiano tra i più belli d'Italia

alto del paese, oggi parco urbano, era un tempo un'imponente fortezza ma oggi ha la funzione di belvedere sulla vallata verdissima e fertile, punteggiata da chiese romaniche. Un tempo malsa-na e paludosa fu bonificata dai monaci farfensi e restituita all'agricoltura. An-cora oggi è coltivata a cereali, frutteti, oliveti e vigneti con i confini segnati da file di querce, lecci, aceri e da siepi di alloro e agrifoglio. La testimonianza storica più importante è la Basilica di S.Maria a Pié di Chienti, definita nei do-cumenti farfensi S.Maria in Insula per evidenziare le caratteristiche del terri-torio, soggetto alle esondazioni del fiu-me. Su due piani, conserva la solennità di monastero altomedievale, mediazio-ne tra lo stile lombardo e borgognone. La luce entra morbida, filtrata dalle pic-cole bifore in alabastro, Da molti anni, come in tutta la parte collinare medio-adriatica all'attività agricola si è ag-giunta quella dell'artigianato delle scarpe. Qui nascono le griffes più fa-mose che si vedono nelle vetrine del lusso, e c'è ancora qualche vip che vie-ne apposta per averle su misura. Molti

laboratori aprono volentieri le porte ai visitatori ed è difficile sottrarsi al rito dello shopping agli outlet. Ma ci sono altri buoni motivi per visitare il centro storico e i dintorni di Montecosaro. Parliamo dell'enogastronomia, un seg-mento turistico che cresce ogni anno con numeri a due cifre e che riveste una grande importanza economica. Capofila di una nuova generazione di promotori turistici intelligenti sono Da-niela e Fiorenzo, bresciani, a cui una laurea tardiva a Urbino, con figli già cresciuti, ha fatto scattare l'amore per questa terra. Oggi la loro country hou-se è un modello di ospitalità e la pro-messa comincia dal nome: si chiama "Il dolce far niente". Totale il relax, confor-tati e coccolati, ma soprattutto inseriti nella vita locale. A pranzo e a cena con gli ospiti siedono a tavola vignaroli e allevatori, si mangiano i maccheroncini di Campofilone, fatti in casa poco pri-ma, magari dando una mano alla bra-vissima Catia, il ciauscolo e i robusti Vincisgrassi, immancabile e complicato piatto della festa a base di ragù di varie carni e tanta besciamella. Soprattutto si

entra in armonia con la gente del luogo ed è inevitabile scoprirsi subito amici. Qui la conoscenza vera del territorio e delle sue tradizioni è fatta senza filtri. Collaborano in tanti a questa formula, che dovrebbe essere estesa ad altre re-altà rurali. C'è Roberta che fa indimen-ticabili coppe, salami e salsicce di fega-to solo con i suoi maiali ben allevati e ben nutriti. Si lamenta di non poterli stagionare i salumi più a lungo perché vanno a ruba e la quantità è solo quella concessa dalla grufolante e apparente-mente felice materia prima. Ci sono i tre fratelli Castignani -una grande fa-miglia allargata che a tavola conta 25 persone tra grandi e piccoli- che fanno vino e olio privilegiando le cultivar au-toctone, e Aldo, di professione geome-tra, che alleva i suoi vitigni con un oc-chio al passato ma completamente votato al bio. Alla country house arriva-no anche i ristoratori anconetani per parlare della loro idea di cucina tradi-zionale, ma perché no, con una punta di innovazione. Altre strutture locali si stanno ispirando a questa nuova for-mula turistica innovativa dei coniugi

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bresciani, sicuramente l'unica in grado di far vivere un terri-torio. A dare grande visibilità anche internazionale a questo piccolo centro marchigiano è stato il Museo del Cinema a Pennello, da visitare con la guida del sempre disponibile Pa-olo Marinozzi che ha voluto mettere a disposizione di tutti la sua personale collezione che occupa due piani del suo palaz-zo di famiglia. In un percorso espositivo di 400 metri quadra-ti, articolati su due piani comunicanti, sono esposti oltre 130

bozzetti originali divenuti poi manifesti pubblicitari che do-vevano riprodurre l'intensità espressiva degli attori per sti-molare il pubblico a vedere il film. Venne Claudia Cardinale a inaugurare il museo che ospita quelli dipinti fin dagli anni Trenta da cartellonisti come Martinati, Brini, Ballester, Capita-ni, De Seta e negli anni successivi da Olivetti, Ciriello, Nano, Manno, Cesselon. Gli ultimi a praticare l'arte del bozzetto furono i fratelli Nistri, Simeoni, Iaia, Putzu, Casaro, Avelli, Bif-

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fignandi, Mos e Gasparri perché negli anni Settanta le nuove tecniche grafiche fecero decadere la pratica artistica. Tanti bozzetti hanno come protagonisti Totò, Ornella Muti, Abbe Lane, Gina Lollobrigida, Stefania Sandrelli e gli scanzonati personaggi degli Spaghetti-Western, ma sono talmente nu-merosi -circa 750- che verranno esposti a rotazione. Pezzi storici sono gli abiti delle dive e una curiosissima sedia a forma di Marilyn, dalla quale, sedendo, ci si illude di essere abbracciati. Le Marche sono state a lungo fuori dai circuiti turistici, private della possibilità di far conoscere la sua bel-lezza artistica e naturale. Per questo Montecosaro negli ulti-mi tempi ha saputo diversificare la propria offerta intrapren-dendo iniziative originali, ma ha anche dato visibilità ai paesi vicini come Montelupone, anch'esso compreso tra i borghi più belli d'Italia, e ai tanti altri piccoli centri agricoli che spes-so regalano soprese artistiche, come Morrovalle, Montegra-naro, Sant'Elpidio a Mare. Coltivare la terra qui è un'attività vissuta non come ripiego ma con la soddisfazione di ottene-

re prodotti di qualità e vere eccellenze enogastronomiche. Il paesaggio, modellato nel tempo dalle mani degli uomini, è rispettato nonostante l'impiego delle più moderne tecniche agricole perché la terra -qui lo hanno capito più che ai sum-mit internazionali- va protetta e non sfruttata. Lo dimostrano le molte realtà socio-economiche che operano nel biologico, contro la chimica e la manipolazione genetica. C'è sempre qualcosa di bello da fare e da vedere a Montecosaro, da gennaio a dicembre: feste patronali e sagre, processioni reli-giose, teatro in piazza, concerti, rievocazioni storiche e gare sportive. Fortunata anche la sua posizione geografica: dista 16 km da Recanati, 20 da Macerata, 30 da Tolentino, altret-tanti dalla Riviera del Conero e 53 dall'aeroporto di Ancona.

Riferimenti:www.comune.montecosaro.mc.itwww.aldolcefarniente.com

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Il favoloso treno Eastern & Oriental Express

Un treno da sogno, l’Eastern & ORIENTAL EXPRESS (E&O), offre un modo unico e spet-tacolare di visitare la peniso-la malese con lo stile, il lusso

ed i ritmi di altri tempi. E’ la YTL Hotels, società specializzata in Ho-tel e Resort prestigiosi con base in Malesia, che ha trasferito la propria rinomata esperienza nell’accoglien-za alberghiera nella realizzazione di questo progetto esclusivo. Si tratta di un treno ispirato al mitico Orient-Express, che permette di rivivere

l’atmosfera romantica e nostalgica dell’epoca coloniale seguendo un itinerario e visitando luoghi difficil-mente raggiungibili in altro modo, da Singapore a Bangkok, toccando tre dei più affascinanti paesi del Sud Est Asiatico – Singapore, la Malesia e la Thailandia. Partendo dalla sta-zione di Singapore, L’ E&O si dirige verso nord attraversando l’isola e lo stretto di Johor che la separa dallo stato di Johor Baru sulla terraferma malese. Il paesaggio è piatto con piccoli villaggi lungo la linea ferro-

viaria alternati con una vegetazio-ne lussureggiante. Dopo due ore di viaggio lo scenario cambia radi-calmente lungo i binari mostrando linee ordinate di alberi da gomma con colline in lontananza, pianta-gioni di banane, di palme e alberi da cocco. Il tramonto ai tropici arriva presto ed il cielo inizia a dipingersi di rosa intorno alle 18,30 mentre il treno si dirige verso Kuala Lumpur. Da KL il treno viaggia durante la notte risalendo la penisola malese attraversando una giungla impene-

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87trabile, montagne e una vegetazio-ne lussureggiante. Nella tarda matti-nata il treno raggiunge Butterworth, dove è prevista una sosta di qualche ora per consentire ai passeggeri di effettuare una breve escursione all’i-sola di Penang. Il treno riparte nel pomeriggio per raggiungere la città di Padang Besar, che si trova al con-fine con la Thailandia, e immediata-mente i passeggeri si rendono conto di essere entrati in un paese molto diverso. I templi buddisti sostitui-scono le moschee e la caratteristica architettura Thai è subito ricono-scibile. Al terzo giorno di viaggio è prevista una gita in barca sul fiume Kwai ed una visita la cimitero della seconda guerra mondiale, quindi dopo il pranzo a bordo nel pome-riggio il convoglio arriva a Bangkok. Il viaggio di ritorno da Bangkok a Singapore è stato prolungato ad un itinerario di 4 giorni, includendo una deviazione per passare sul famoso ponte di legno del viadotto di Tham Kasae in uno dei più spettacolari tratti di ferrovia prima di raggiun-gere i fiume Kwai. E’ previsto anche un altro itinerario: Bangkok - Chiang Mai – Bangkok, che attraversa per 4 giorni le regioni settentrionali del-la Thailandia toccando città come Chian Mai, Si Satchanalai, cittadel-la appartenente all’antico impero Khmer con un interessante Tempio Buddista del XIII secolo, e Lampang, una delle più attraenti capitali pro-vinciali della Thailandia. Tanto per vivere il fascino dell’antico regno Tai-landese. Questo itinerario consente di partecipare a tre diverse escursio-ni: Giro della Città di Chiang; Visita al campo di elefanti di Mae Sa Valley; Tour di shopping e laboratori arti-gianali. La cucina ed il servizio a bor-do dell’Eastern & Oriental Express sono di altissima qualità, assicurati da uno staff di 40 elementi, di varie nazionalità, tutti con esperienza al-berghiera in hotels di lusso. Le cabi-ne sono di tre tipi: Presidential, Sta-te e Pulman, tutte dotate di bagno privato con doccia. Ciascun vagone letto dispone di personale a disposi-zione per 24 ore. jg•

www.ytlhotels.com

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CINQUE STELLEtra le nuvole

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Oriente e Occidente. Da sempre due mondi agli opposti, e non solo geograficamente parlando. Che ora si avvicinano elegante-mente, lussuosamente grazie a Hong Kong Airlines, la prima compagnia a lanciare

un servizio tutto Club Class tra Londra e Hong Kong. Un modo di viaggiare che non concede spazio all’ordinario. Un viaggiare che va oltre i soliti livelli di comfort. Un comfort rosso lacca cinese, il colore simbolo della Cina, che parte dal fiore di Bauhinia stilizzato sulla livrea dei tre nuovi A330-200 per proseguire negli interni, configurati per chi ama viaggiare con stile. A bordo 116 poltrone: 82 quelle Club Classic con ampio spazio tra le file e reclinabili a 155° grazie alla scelta di poltrone “culla”. E poi 34 lussuose poltrone Club Premium che diventano letti, completi di piumini e cuscini, pigiama e pantofole. E per chi al sonno preferisce passare le ore ad alta quota con piacevoli momenti conviviali ci sono due

bar, uno nella parte anteriore dell’aeromobile per i pas-seggeri in Club Premium, e uno nella zona in fondo, per i viaggiatori nella classe Club Classic.Di grande raffinatezza il servizio di bordo con menu che fondono il meglio della cucina orientale e occidentale, elaborati dallo chef Michelin Jason Atherton. Nella clas-se Club, porcellane, un carello di formaggi, grandi vini, ma anche spuntini veloci e popcorn. E per i passeggeri nella classe superiore caviale, champagne, e uno sfizioso ventaglio di prelibatezze accompagnate da vini di grande pregio. Hong Kong Airlines, fondata nel 2006, opera dalla base di Hong Kong con ventuno aeromobili A330 e B737 su 9 pa-esi e ventisette destinazioni tra le quali Bangkok, Maldive, Manila, Okinawa, Singapore e Tokyo, nonché Hong Kong e dodici altri scali in Cina. pmf•

www.hongkongairlines.com

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Svetta elegantemente di fronte al porto, nel distret-to centrale di Wanchai, il Grand Hyatt Hong Kong. Una sinfonia di marmi e ve-

tri argentati, che nulla cede al design futuristico più audace e che, ubicato su Hong Kong Island, si affaccia su Hong Kong Harbour e su Kowloon, la vivace seconda anima della gran-de e popolosa città asiatica. In forte contrasto con l’architettura il design degli interni che, dall’atrio in stile Art Deco con enormi colonne di marmo nero e mobilio d’epoca, trova riscon-tro nelle 549 camere e suite, molte delle quali hanno viste mozzafiato sul porto e su Kowloon. Di raffinato lusso le camere che sono dotate di ogni comfort, e gli spaziosi bagni in marmo. Per gli ospiti più esigenti i cinque piani dedicati al Grand Club-

di cui gli ultimi tre pianisono riservati alle suite - e il lussuoso Grand Club Lounge sul 30° e 31° piano. Men-tre, per venire incontro alle esigenze degli ospiti VIP, l’albergo dispone di due Suite Presidenziali. Ricca e per tutti i gusti la scelta dei ristoranti. Da One Harbour Road, il fiore all’oc-chiello che ricorda una delle vecchie case tipiche Taipan degli anni 1930, dove si gusta il meglio della cucina cantonese tradizionale. Alla Steak House che serve non solo ottime carni ma anche specialità di pesce, compreso ostriche e frutti di mare. Poi c’è Grissini, uno dei ristoran-ti italiani più in voga a Hong Kong, e Kaetsu per gli amanti del sushi e del sashimi, che vanta una cantina con oltre 40 diversi tipi di sakè. Su 7.000 mq e con ventitré sale per i trattamenti, Plateau è l’unica spa

residenziale di Hong Kong, permet-tendo all’ospite - senza dover uscire dal guscio privilegiato di questa oasi di benessere - di soggiornare in una delle dieci camere dotate di grandi letti futon matrimoniali. E di pran-zare e cenare nel ristorante The Grill accanto alla piscina riscaldata, dove il menu offre una ricca carrellata di specialità salutistiche che riflettono la filosofia orientale del benessere totale per la mente e per il corpo. Grand Hyatt. Hong Kong: un pon-te che fonde il cosmopolitismo del mondo occidentale con il misterioso universo orientale, facendo proprio l’eleganza di ieri e la sofisticazione del 21° secolo. pmf

www.hongkong.grand.hyatt.com90

IL GRAND HYATT HONG KONG

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Giovani, bravi e carini. Sono questi gli assi che i Macca-bees, da South London, hanno calato sul tavolo dello showbiz inglese, e non è un caso che siano in testa alle

classifiche d’Oltremanica con il loro terzo album, “Given to be wild”, sul quale hanno lavorato di fino per oltre un anno. La musica di questi cinque ragazzi, catalogati nel cosiddet-to “indie-rock”, sono lontani anni luce dall’impatto abrasivo della categoria di riferimento. Nel loro sound si sovrappon-gono la raffinatezza dei primi Roxy Music, la vocalità impal-pabile di Kate Bush, l’approccio futuribile del Bowie di Odis-sea nello spazio, l’impatto sonoro degli Stone Roses. Non è un album per neofiti, “Given to the wild”, nonostante qualche verniciata pop. Di fatto è un lavoro cinematico, la colonna sonora ideale per un film ancora da scrivere, per ammissione dello stesso leader, Orlando Weeks. Evoca at-mosfere oniriche e paesaggi in campo lungo, quelli dall’orizzonte sconfinato, lasciando spesso il discorso sospeso nel vuoto, e che ognuno si giri il proprio finale. I Maccabees di fatto hanno creato un suono molto cerebrale e poco cardiaco, sono impegnativi e per niente leggiadri, ma perfetti per ogni personale rassegna d’essai. •

Testi di Marco De Rossi

MUSICA per viaggiare

Bruce SpringsteenWrecking Ball (Sony)

The Maccabees Given to the wild(Fiction)

Torna Bruce Springsteen, più rabbioso che mai. Il suo nuovo album, “Wrecking Ball”, è un pugno nello stomaco della sua America, quella del sogno fallito e del tradimento nei confronti dei propri figli. Se “The

rising” era l’album del dopo 11 settembre, della riscossa e dell’orgoglio pa-trio, “Wrecking ball” è la colonna sonora della grande crisi, delle macerie lasciate dalla speculazione finanziaria, che ha polverizzato le poche certez-ze della società americana. Aggrapparsi al fatto che gli Stati Uniti fossero sempre il paese delle tante opportunità è stato l’appiglio al quale gli americani si sono attaccati nei tanti momenti duri della loro storia. Altro che “Land of hope and dreams”, brano già sentito dal vivo durante il tour del ‘99, reinserito in “Wrecking Ball” per omaggiare l’amico di sempre, il sassofonista Clarence “big man” Clemons, il compagno fedele di tante battaglie, scomparso da poco. Per rappresentare la sua America lace-rata, Springsteen ha usato un pout-pourri di tutte le sue musiche, fuse in un unico magma ribollente di rabbia. C’è il county-folk celtico delle Seeger sessions, c’è il rock stradaiolo degli inizi, ci sono i fiati ed i violini, le melodie sudiste e il gospel, c’è una spruzzata di hip hop, c’è

il chitarrista dei Rage Against the Machine, Tom Morello, c’è una parte della sua E Street Band. “Wrecking Ball”, la palla che deve distruggere la casa (l’America) per poterla ricostrui-re, è un’opera complessa, non la migliore del Boss, ma sicuramente la più bella degli ultimi anni.•

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Lana Del Rey è nata per morire. Come tutti, d’altronde, solo che normalmente si evita di pensarci. “Born to die” è il feno-meno discografico del 2012, nato sul web e poi catapultato

nel mondo reale. Lei, la ragazza, all’anagrafe fa Elisabeth Grant, 25 anni, newyorkese, padre miliardario e bellezza da pupa del gangster. Con tanto di ritocchi al silicone, sui quali i tabloid inglesi hanno spettegolato un bel po’. Lana Del Rey canta come una dark lady degli anni 60’, e “Born to die” è perfetto come colonna sonora per una versione “nuovo millennio” di Twin Peaks. La ragazza scim-miotta la Shirley Bassey di “Goldfinger”, è furbetta al punto giusto, cattura l’ascolto ed evoca gli istinti torbidi alla Laura Palmer, che piacciono molto agli uomini e intrigano le femminucce. Al di là della lucidatura da marketing, “Born To Die” è un “pantone” di bella musi-ca, sensualmente decadente, fra il pop di Madonna e il rock funereo di Marianne Faithfull, il trip-hop dei Portisdhead e il nero assassino di Gaetano Badalamenti. Lana Del Rey canta con la voluttà di Jessica Rabbitt, e promette peccato come la Lolita di Nabokov. •

Mark Lanegan, ex-leader degli Screaming Trees, band grunge di Seattle, prima di cantare fuma un pacchetto di Gauloises, scioglie del catrame

nel bourbon e poi manda giù tutto. “Con quella voce potrebbe asfaltare le strade”, disse di lui uno in vena di complimenti. Per rendere l’idea, siamo a metà strada tra Nick Cave e Tom Waits. Per completare i riferimenti, ci aggiungeremmo un bel Leonard Cohen. Insomma, Mark Lanegan non è certo un comico da avanspettacolo. Ama il grigio e il nero, la notte meglio del giorno, le ombre delle luci, l’alcol della Coca Cola (“se le lacrime fossero liquore/ mi sarei ubriacato fino alla morte”, canta in “St. Louise Elegy”). Il nuovo album, “Blues Funeral”, racconta dell’esistenza sofferta di uno che nella sua vita ha sem-pre camminato sul “wild side” della strada, indagando sui lati oscuri dell’esistenza, sui mostri nascosti nel profondo dell’anima. Dentro al “funerale del blues” c’è una sapienza musicale dotta, quasi d’altri tempi, una capacità di scrittu-ra fuori dal comune, una attenzione maniacale ai suoni ed agli arrangiamenti. Gran cantautorato, per quanto maledetto. Inaspettate, invece, le aperture colorate al pop sintetizzato degli anni ’80, uno di quei mondi paralleli dove nessuno avrebbe mai sospettato che Lanegan andasse a ravanare.•

Lana Del ReyBorn To Die(Polydor)

Mark LaneganBlues funeral(4 cd)

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La stanza è invasa dalla polvere e dalla luce. Sono passati tanti anni, ma a casa della nonna Elsa non è cambiato nulla: la bambola, il caval-lo a dondolo e poi il vecchio arma-

dio. Ad Anna basta aprirlo per tornare di colpo bambina, quando insieme a lei gio-cava a vestirsi da grande. Gli abiti ci sono ancora tutti, li riconosce. Ma tra le stoffe che sanno di feste dell'infanzia, di ricordi e di risate, c'è un abito di uno stile tan-to diverso da quello della nonna -gonna ampia e un nastro alto in vita- che chiede con forza di tornare ad un passato che si è voluto oscurare ma che non si ha avuto il coraggio di distruggere. Apparteneva a una donna che la protagonista del roman-zo non mai sentito nominare e di cui non esiste una foto, e neppure una traccia, un ricordo. Quel vestito nasconde un segreto,

una storia d'amore e di perdono, di bugie e tradimenti, tenuta nascosta tenacemen-te per decenni. E qui la narrazione diventa emozionante e coinvolgente, quasi un gial-lo ricco dei colpi di scena. Anna lo indos-sa, spinta da uno strano istinto. Basta quel semplice gesto perché il suo mondo, la sua normalità, cambino per sempre. Quando sua nonna la vede con quell'abito, bella come non mai, capisce che è giunto il mo-mento che ha temuto per tutta la vita. Ora che le rimane poco da vivere, non può più mentire. Lo deve a sé stessa ma anche a sua nipote: deve dirle la verità. Deve con-fessare a chi appartiene quell'abito, deve pronunciare quel nome taciuto da anni: Eeva. Sullo sfondo le atmosfere rarefatte e le luci del Nord, ma si coglie anche un'i-ronia narrativa senza compiacimenti che fa sorridere. La protagonista dovrà da sola

dare un'identità alla donna del vestito fino a scoprire la storia di un amore unico come quello che lega una madre e una figlia, nel bene e nel male. Un sentimento forte in cui tutto può essere perdonato. "L’armadio dei vestiti dimenticati" della giovane scrittrice finlandese Riikka Pulkkinen incontra un grande successo alla Fiera di Francoforte del 2010 e pochi mesi dopo è tra i sei fina-listi del Finlandia Prize, il maggior premio letterario nazionale. Ma è con questo libro che la Pulkkinen raggiunge il vero suc-cesso, scalando le classifiche dei bestsel-ler in patria e diventando un’autrice nota e pubblicata in tutto il mondo. Mentre il libro continua ad essere tra i più venduti, al teatro Kom di Helsinki viene messo in scena uno spettacolo teatrale tratto dal romanzo che presto diventerà anche un film poiché ne sono appena stati acqui-stati i diritti cinematografici. La scrittrice riesce a raccordare sentimenti e traumi di tre generazioni tra realtà e sogno, verità ed immaginazione coinvolgendo il lettore in un percorso intimista e rivelatore con uno stile asciutto, senza compiacimenti. Riikka Pulkkinen è nata nel 1980 a Tampere, Fin-landia, e fin dalla più giovane età ha avu-to una grande passione per la scrittura. Il suo romanzo di esordio,"Raja", inedito in Italia, fu pubblicato nel 2006 quando era poco più che ventenne. Accolto come uno dei migliori dell’anno fu subito candidato al Premio letterario Helsingin Sanomat per poi ottenere nell'anno successivo il ricono-simento dell'Academic Bookstore. E’ auspi-cabile che dopo il travolgente successo de "L’armadio dei vestiti dimenticati" anche il suo primo libro possa essere letto anche in Italia. Il nostro paese è da tempo attento alla nuova creatività del Nord.•

"l'ARMADIO DEI VESTITI DIMENTICATI" di Riikka Pulkkinen

312pagine 16,00 euro

Garzanti-Collana Editori Moderni

Testo di Mariella Morosi

da leggere

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Ogni donna ha scritto una pagina e, come dice Concita de Gre-gorio, ”la bellezza é sempre nella diversi-

tà” ..”nell’essere ciascuna un mondo, proprio quello e nessun altro, un mondo che non somiglia a nessuno”. E ancora “le donne che ci guardano da queste foto sono davvero 365 persone incontrate per caso, avvi-cinate per strada, chiamate a far da apristrada se amiche, invitate a por-tare altre donne nello studio del fo-tografo in una catena imprevedibile, sorprendente e magnifica” dapprima dieci, poi cento, poi cinquecento con un contributo di vita scaturito infine in una mostra e in un libro. I raccon-ti sono molto diversi l’uno dall’altro: curiosi e romantici come “La scar-pa nera” di Arzu Volkan, con la sua piccola scarpa persa nella neve alta andando a scuola in un giorno peral-tro in cui le scuole erano state anche chiuse per troppa neve, ma lei non

aveva fatto in tempo a sentire la noti-zia. Ed ecco apparire quel paesaggio in quella che era allora una delle pri-me città “moderne” di Istanbul, Leva-zim. Ed ecco i sogni, gli entusiasmi, i progetti, le emozioni che scaturi-scono da molti altri racconti, alcuni dei quali appaiono anche come do-cumenti di eventi storici o culturali, come quello con cui Franca Zoccoli sa avvicinare il lettore ad una istitu-zione che sa dare valore alla donna nella sua creatività artistica. Si tratta del National Museum of Women in the Arts a Washington, in cui tuttora trovano spazio le più prestigiose col-lezioni d’arte al femminile nel mon-do. E Franca Zoccoli descrive amabil-mente la grande emozione provata “ad un tè” “a un’ora canicolare: le tre e trenta del pomeriggio”, nella villetta vittoriana” della ottantottenne fon-datrice di quel Museo: Mrs Holladay, che continua ancora, nella bella sede di Washington, ad accogliere gli en-tusiasmi creativi delle migliori artiste

nel mondo. Ed é bello leggere, una per una, le esperienze più originali vissute da queste donne, come quel-la tenera “condivisione di sentimenti all’interno di una sala d’attesa” così semplicemente descritta da Alessan-dra Mattei (“Tutti i benedetti giovedì, 28 gennaio) o ancora le confidenze di Margherita Magnani che, ascol-tando “Mad World” di Gary Jules (poiché le piace scrivere con la mu-sica di sottofondo), riesce a dimenti-care “le cicatrici del corpo e del cuo-re” e sentire di avere “dietro le spalle una vita intera, che ricomincia, tutta nuova, da quel giorno” (17 aprile “Un vulcano”). •

365 D trecentosessantacinque giorni da DONNAUn propgetto realizzato da Marzia Messina, Sham Hunchey, Claudio Conti

GEd. Silvana Editoriale

Testo di Luisa Chiumenti

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A buon motivo il Consiglio d’Europa ha dichiarato la Via Francigena "Itinerario Culturale Europeo",

come il cammino di Santiago de Compostela in Spagna. E, grazie al lavoro del Comitato Scientifico Internazionale, oggi siamo in grado di ricostruire questo itinerario che fa parte della storia del pellegrinag-gio ai Luoghi Santi della religio-ne cristiana. La Via Francigena è proprio la via maestra percorsa nel Medioevo da migliaia di pellegrini in viaggio per Roma ed oggi ha una valenza non solo storica ma

anche culturale, alla riscoperta di un territorio poco conosciuto. In particolare, la Via Francigena del Lazio, specie nei tratti intorno alla meta principale Roma, che tutto-ra viene percorsa come itinerario religioso, può essere vista anche sotto un aspetto turistico più ampio, in considerazione del fatto che si possono prevedere soste in luoghi che vantano monumenti di alto valore storico o architettonico, chiese, castelli e borghi medievali. Un itinerario, quindi, che può e deve essere promosso come meta del mercato turistico culturale del Lazio, anche da pubblicazioni e li-

bri. Cesano – Borgo fortificato sulla Via Francigena, è un libro scritto da storici, architetti ed archeologi, che aggiunge un’altra identità alle loca-lità che si trovano lungo il famoso percorso, nell’area che si estende da Baccano a Isola Farnese attra-verso le tracce delle civiltà etrusca, romana e medievale, ancora visibili nell’Agro Veientano. Cesano, un borgo medievale costruito sui resti di un antico insediamento romano, sorge tra i Parchi Regionali di Veio e di Bracciano-Martignano. “Uscen-do dalla porta nord-ovest di Veio, in area archeologica Campetti, il pellegrino può calpestare l’incrocio di basolato romano, percorrere il vicolo Formellese (-tagliata- di evidente origine etrusca) fino alla provinciale Formellese. Un tempo si trovava poi a un importante bivio: una strada scendeva dritta al fosso (resti di un antico ponte) verso Vul-ci, un’altra portava alla via Formel-lese, già Veientana, con ingresso alla notevole Tomba dei Leoni (sec. VIII a.C.)”. Così descrive nel libro un tratto del collegamento tra Isola Farnese, Veio e Cesano, l’architetto giornalista Luisa Chiumenti. Una ricostruzione del percorso antico della Via Francigena che, insieme a molti altri contenuti nel libro, è finalizzato alla conoscenza, alla valorizzazione e alla custodia di un patrimonio di inestimabile valore storico, religioso e culturale.•

CesanoBorgo fortificato sulla Via Francigena

A cura di Adelaide Trezzini e Luisa Chiumenti

Gangemi Editorewww.gangemieditore.it

Testo di Viviana Tessa

da leggere

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Direttore ResponsabileTeresa Carrubba

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Progetto Grafico, impaginazionee creazione logo Emotions

Ilenia [email protected]

CollaboratoriAnna Maria Arnesano, Giulio Badini, Romeo Bolognesi, Luisa Chiumenti, Marco De Rossi, Giuseppe Garbarino,

Josée Gontier, Pamela McCourt Francescone, Mariella Morosi, Mirella Sborgia, Viviana Tessa

FotoAnna Maria Arnesano, Giulio Badini, Romeo Bolognesi,

Annamaria Contenti, Marco De Rossi, Dolomiti.it, Ente Calendimaggio, Pamela McCourt Francescone

Responsabile Marketing e ComunicazioneMirella Sborgia

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CollaboratoreMarianne Dorsch

[email protected]

TraduzionePamela McCourt Francescone

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TipografiaSograf Srl - Litorama Group

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EditoreTeresa Carrubba

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Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma il 27.10.2011 - N° 310/2011

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Cina - Donna Naxifoto di Giulio Badini

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