Emanuele Mastrangelo(Intervista a DI rIENZO)
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« E la prima globalizzazione affondò il Sud
Governo Monti. Gli atenei del Nord strappano lo scettro alla Sapienza »
L’Inghilterra, il Regno delle due Sicilie e l’unità d’Italia: come
provare a creare uno stato satellite
di Emanuele Mastrangelo
Secondo la «logica della scacchiera», un’Italia unita faceva comodo a Londra come contraltare a Parigi. Ma prim
occorreva demolire il Regno delle Due Sicilie, non disposto a fare «l’ascaro» di Sua Maestà Britannica. Protesa
Mediterraneo, con migliaia di chilometri di coste da difendere, l’Italia unita voluta e sostenuta da Londra sareb
stata sempre sotto ricatto della potente flotta inglese. Un progetto che non andò però sempre per il verso gius
(per gli inglesi). Questa è l’immagine che emerge dal colloquio di Eugenio Di Rienzo, ordinario di Sto
contemporanea all’Università di Roma «La Sapienza» e direttore della «Nuova Rivista Storica». Di Rienzo s
occupato dei problemi relativi ai rapporti fra le potenze europee e lo Stato italiano pre-unitario dalla posizione p
strategica: il Regno delle Due Sicilie. Per questo con lui verranno esaminati in questa intervista argomenti c
sono più ampiamente trattati nel suo volume Il Regno delle Due Sicilie e le Potenze europee, 1830-18d’imminente pubblicazione per i tipi di Rubbettino.
* * * * *
Durante il XVI e il XVII secolo l’Italia esercita un grande fascino sull’Inghilterra. Questa fascinazione continua
secoli successivi e si estende anche al Mezzogiorno. Per tutti i viaggiatori inglesi, l’Italia del Sud appare come
museo a cielo aperto abitato, però, da popolazioni incivili. Nasce allora un pregiudizio anti-italiano e in particola
anti-meridionale? Un pregiudizio fondato?
«Anche se l’espressione un “paradiso abitato da diavoli” riferita a Napoli e alla Campania fu coniata,
come ricordava Benedetto Croce, da Daniele Omeis, professore di morale presso l’Università di Altdorf
in Germania che, nel 1707, pronunciò una prolusione accademica, intitolata appunto “Regnun
Neapolitaum Paradisus est, sed a Diabolis habitatus”, questo giudizio ritorna come un motivo ricorrentenei diari e nelle corrispondenze dei gentlemen inglesi. Lo spettacolo delle meraviglie artistiche e
naturali del Mezzogiorno era, infatti, oscurato dall’arretratezza, dalla povertà, dal degrado morale delle
popolazioni e dall’inadeguatezza delle classi dirigenti. Se nel passato quelle regioni erano state la culla
della civiltà classica, ora, esse apparivano il terreno di coltura di una plebe indocile, ignorante,
superstiziosa, tendenzialmente delinquente: i lazzaroni di Napoli e i briganti della Calabria. Ricordiamo,
però, che questo giudizio, pur basato su dati di fatto, era potentemente rafforzato da un pregiudizio
religioso e anti-cattolico. Il culto di San Gennaro a Napoli e la fastosa e paganeggiante processione in
onore di Santa Rosalia a Palermo apparivano, infatti, la testimonianza vivente di come il Papato e il
clero avessero mantenuto volutamente le masse del Sud in una situazione di soggezione e di
subalternità, utilizzando nel modo più spregiudicato, il precetto di Machiavelli, soprannominato dagli
inglesi Old Nick (Vecchio Diavolo), secondo il quale la religione doveva essere instrumentum regni .
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Aggiungiamo, però, che i rapporti tra Regno di Napoli e Gran Bretagna non si limitarono a questi
aspetti. Nel 1842, come illustrava un denso articolo, pubblicato sull’autorevolissimo “Journal of the
Statistical Society of London”, una quota rilevante della bilancia commerciale britannica era
rappresentata dall’importazione di materie prime provenienti dalla Sicilia. L’ingente traffico era
costituito da vino, olio d’oliva, agrumi, mandorle, nocciole, sommacco, barilla e soprattutto dallo zolfo
(utilizzato per la preparazione della soda artificiale, dell’acido solforico e della polvere da sparo), che
copriva il 90% della richiesta mondiale e di cui venti ditte inglesi avevano ottenuto, di fatto, la
prerogativa esclusiva, per l’estrazione e lo sfruttamento, grazie al pagamento di un modico
compenso».
Quando i Borbone furono ridotti al possesso della sola Sicilia dall’invasione napoleonica (1805) si trovarono sot
una pesante tutela inglese. Quanto durò l’influenza britannica su Napoli dopo il Congresso di Vienna, e come
manifestò?
«Dopo il 1815, Londra non prese in considerazione la possibilità di un intervento indirizzato a
guadagnarle una presenza politico-militare nella Penisola. Il principio della non ingerenza negli affari
italiani registrò, tuttavia, una clamorosa eccezione per quello che riguardava il crescente interesse
inglese a rafforzare la sua egemonia nel Mediterraneo e quindi a riguadagnare quella posizione di
vantaggio, acquisita nel 1806 e ulteriormente incrementatasi poi, tra 1811 e 1815, grazie al
protettorato politico-militare instaurato da William Bentick in Sicilia. Protettorato che aveva portato ad
ampliare la colonizzazione economica dell’isola già avviata dalla fine del XVIII secolo, poi destinata a
irrobustirsi nei decenni seguenti grazie all’attività delle grandi dinastie commerciali dei Woodhouse,degli Ingham, dei Whitaker e di altri mercanti-imprenditori angloamericani. Molto indicativa, a questo
riguardo era la presa di posizione del primo ministro, Visconte Castlereagh che, il 21 giugno 1821,
aveva ricordato che il dominio diretto o indiretto della Sicilia costituiva, ora come nel passato, un
“indispensabile punto d’appoggio” per rendere possibile il controllo dell’Inghilterra sull’Europa
meridionale e l’Africa settentrionale. Come, infatti, avrebbe sostenuto Giovanni Aceto, nel volume del
1827, “De la Sicile et de ses rapports avec l’Angleterre”, “quest’isola non rappresenta per l’Inghilterra
soltanto un importante avamposto strategico, da preservare, ad ogni costo, da una possibile
occupazione della Francia che la minaccia dalle sue coste, ma costituisce anche il centro di tutte le
operazioni militari e politiche che il Regno Unito intende intraprendere nell’Italia e nel Mediterraneo”».
Il controllo del Mediterraneo centrale fu tra i principali motivi di conflitto tra Napoli e Londra: prima l’occupazio
britannica di Malta, strappata a Napoleone (che a sua volta l’aveva tolta ai Cavalieri di San Giovanni, criconoscevano la sovranità siciliana sull’isola) ma mai restituita ai Borbone, poi l’incidente dell’Isola Ferdinande
infine la questione degli «Zolfi». Furono solo questioni geopolitiche o contarono anche altre considerazioni?
«Sicuramente interessi strategici e geopolitici dominarono la politica della Corte di San Giacomo verso
le Due Sicilie dalla metà dell’Ottocento al 1860. Nel 1840, Palmerston usò tutta la forza della gunboat
diplomacy per mantenere il monopolio inglese sugli zolfi siciliani, ordinando alla Mediterranean Fleet di
catturare il naviglio napoletano e di condurlo nelle basi di Malta e di Corfù con un vero e proprio atto di
pirateria. Nel 1849, sempre Palmerston, sostenne la rivoluzione separatista siciliana con l’obiettivo di
fare dell’isola uno Stato autonomo retto da un principe di Casa Savoia. Nel corso della Guerra di
Crimea, ancora Palmerston, propose più volte agli Alleati di effettuare azioni intimidatorie contro il
Regno di Ferdinando II, il quale aveva mantenuto una neutralità indulgente e più che benevola verso la
Russia. Soltanto l’opposizione della Regina Vittoria impedì nel settembre del 1855 una “navaldemonstration” nel golfo di Napoli che, nelle intenzioni del primo ministro, avrebbe dovuto favorire
un’insurrezione destinata a rovesciare i Borbone. Il ricorso alla politica delle cannoniere, per ridurre o
azzerare la sovranità delle Due Sicilie, trovò, invece, il pieno consenso dell’opinione pubblica del Regno
Unito. Un editoriale del “Times” sostenne, infatti, che la visita della flotta britannica doveva ottenere gli
stessi risultati delle missioni in Giappone guidate dal Commodoro Matthew Calbraith Perry, nella baia di
Edo, tra 1853 e 1854, per ridurre a ragione la resistenza dello shogun, Ieyoshi Tokugawa, che si era
opposto alla penetrazione commerciale statunitense. Così come gli Stati Uniti in Estremo Oriente,
terminava l’articolo, anche la Gran Bretagna non poteva tollerare l’esistenza di “un Giappone
mediterraneo posto a poche miglia da Malta e non eccessivamente distante da Marsiglia”.
Naturalmente l’ingerenza inglese si ammantava di pretesti umanitari: la volontà di smantellare il
regime dispotico di Ferdinando II e di sostituirlo con un sistema costituzionale e liberale nel quale
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fossero garantiti i diritti politici e civili. Prendendo a pretesto la denuncia di Gladstone che, nelle “Two
Lettersto the Earl of Lord Aberdeen” del 1851, aveva definito il regime di Ferdinando II “la negazione
di Dio”, Palmerston si servì di fondi riservati del Tesoro britannico, per finanziare una spedizione
destinata a liberare Luigi Settembrini (autore, nel 1847, della virulenta “Protesta del popolo delle due
Sicilie”), Silvio Spaventa e Filippo Agresti condannati a morte nel 1849, la cui pena era stata
commutata nel carcere a vita da scontare nell’ergastolo dell’isolotto di Santo Stefano. L’operazione,
progettata per la tarda estate del 1855, non arrivò a compimento ma il Secret Service Fund sarebbe
stato utilizzato negli anni successivi e fino al 1860 per destabilizzare il Regno delle Due Sicilie».
Quale ruolo ebbe l’Inghilterra nella caduta del Regno di Napoli?
«Rosario Romeo nella sua biografia di Cavour definì l’azione inglese di sostegno allo sbarco dei Mille e
alla campagna di Garibaldi come una “leggenda risorgimentale”. Si tratta però di un’interpretazione
sbagliata. Il supporto militare, economico, diplomatico del Regno Unito fu, invece, indispensabile alla
cosiddetta “liberazione del Mezzogiorno”. Come rivelò il dibattito, svoltosi nella Camera dei Comuni, il
17 maggio 1860, la presenza delle fregate inglesi nella rada di Marsala, che impedì la reazione della
squadra borbonica, non fu una semplice coincidenza ma un atto deliberato deciso con piena cognizione
di causa dal gabinetto britannico. Il sostegno di Londra non si esaurì in questo episodio. In aperta
violazione al Foreign Enlistment Act del 1819, che proibiva appunto il reclutamento di sudditi inglesi in
eserciti stranieri, Palmerston e il ministro degli Esteri Russell tollerarono e incoraggiarono “the
subscription for the insurrectionists in Sicily” promossa dal pubblicista italiano Alberto Mario, alla quale
aderirono esponenti del partito whig e alcuni ministri tutti egualmente disposti a elargire “ingentisomme da utilizzare nella guerra contro il Regno delle Due Sicilie” e quindi a sostenere
economicamente una campagna di arruolamento destinata a ingrossare le fila dei ribelli in camicia
rossa. Inoltre la flotta inglese collaborò tacitamente con quella piemontese nella protezione dei
convogli che trasportarono rinforzi di uomini e materiali destinati a raggiungere Garibaldi. E non basta!
Dalla corrispondenza tra Cavour e l’ammiraglio Persano dei primi del luglio 1860, apprendiamo, infatti,
che alla preparazione del “pronunciamento” contro Francesco II, che sarebbe dovuto scoppiare a
Napoli per prevenire un’insurrezione mazziniana, doveva fornire un apporto fondamentale “il signor
Devicenzi, amico di Lord Russell e di Lord Palmerston, che avrà mezzo d’influire sull’ambasciatore di
Sua Maestà britannica Elliot e l’ammiraglio comandante della squadra inglese”. Fu solo, poi, grazie al
veto posto da Londra che Napoleone III rinunciò ad attuare un blocco navale nello stretto di Messina
che avrebbe potuto impedire a Garibaldi di raggiungere le coste calabre. Non si trattava
evidentemente di favori disinteressati. Alla fine di settembre del 1860, Palmerston avrebbe ricordato,infatti, all’esule italiano Antonio Panizzi (divenuto direttore della biblioteca del British Museum) che “se
Garibaldi aveva potuto occupare Napoli ed esser causa che il Re scappasse a Gaeta, ciò fu dovuto
all’Inghilterra che, invitata dalla Francia a impedire che dalla Sicilia si venisse ad attaccare gli Stati di
terraferma, vi si rifiutò”, aggiungendo che “l’aiuto morale e l’influenza britannica non furono meno utili
all’Italia delle armi francesi e che sarebbe stata mera ingratitudine per parte dell’Italia lo
scordarselo”».
E’ possibile dire, quindi, che con l’unità il Regno d’Italia eredita sostanzialmente la stessa posizione di debolez
geopolitica delle Due Sicilie e che Londra acquista, dopo il 1861, una sorta di protettorato sulla polit
mediterranea del nostro Paese?
«Sicuramente sì. Anche se forse il termine “protettorato” rappresenta un’espressione troppo forte, nonsi può non riconoscere che gli argomenti con i quali Palmerston giustificava l’azione inglese a favore
della conquista piemontese delle Due Sicilie miravano proprio a quest’obiettivo. E credo che valga la
pena di ricordarli alla fine di questa intervista. Nella lettera inviata alla Regina Vittoria, il 10 gennaio
1861, Palmerston sosteneva che, considerando “la generale bilancia dei poteri in Europa”, uno Stato
italiano esteso da Torino a Palermo, posto sotto l’influenza della Gran Bretagna ed esposto al ricatto
della sua superiorità navale, risultava “il miglior adattamento possibile” perché “l’Italia non parteggerà
mai con la Francia contro di noi, e più forte diventerà questa nazione più sarà in grado di resistere alle
imposizioni di qualsiasi Potenza che si dimostrerà ostile al Vostro Regno”. Parole profetiche che, se si
esclude l’intervallo della politica estera fascista, la Storia, fino ai nostri giorni, non ha mai
completamente smentito. Il Trattato d’alleanza con gli Imperi Centrali, firmato dal governo italiano nel
maggio del 1882, non modificò a nostro favore lo status quo mediterraneo che si era venuto creando
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con l’insediamento francese in Tunisia e di conseguenza rafforzò la nostra situazione di dipendenza dal
Regno Unito. Considerato che, nei problemi mediterranei, Germania e Austria non si ritenevano
impegnati ad alcuna solidarietà con il suo alleato, l’Italia, per arginare l’espansionismo di Parigi, si
trovò obbligata ad orbitare nella sfera d’influenza di Londra, la quale si mostrava desiderosa di
stringere un patto di collaborazione con il nostro Paese che le avrebbe consentito, ad un tempo, di
mettere in minoranza le forze francesi e di impedire una possibile intesa franco-italiana, il cui effetto
avrebbe potuto rendere difficili le comunicazioni tra Gibilterra, Malta e l’Egitto. Il 12 febbraio del 1887
veniva firmato così un accordo con il quale il governo britannico e quello italiano s’impegnavano a
“mantenere l’equilibrio mediterraneo e a impedire ogni cambiamento che, sotto forma di annessione,
occupazione, protettorato, modifichi la situazione attuale con detrimento delle due Potenze
segnatarie”. Con questa convenzione, se l’Italia s’impegnava ad appoggiare la penetrazione inglese in
Egitto, la Gran Bretagna si dichiarava disposta “a sostenere, in caso d’ingerenza di una terzo Stato,
l’azione italiana su qualunque punto del litorale settentrionale africano e particolarmente in Tripolitania
e Cirenaica”. Rinnovato, nel 1902, questo accordo ci avrebbe consentito di portare a termine l’impresa
libica nel 1911. Anche dopo questo successo, l’Italia rimase, comunque, per Londra un “volenteroso
secondo”, destinato a svolgere un ruolo di sostegno al suo sistema marittimo, ma al quale non poteva
essere consentito una più ampia espansione nell’area mediterranea. Che questo fosse il ruolo riservato
alla nostra Nazione lo dimostrava, in tutta evidenza, nel 1913, la ferma di presa posizione del Regno
Unito che escludeva in linea di principio “la possibilità della conservazione delle isole dell’Egeo, già
appartenenti ai domini turchi, da parte del governo di Roma, perché una simile soluzione
minaccerebbe di rompere l’equilibrio politico nella parte orientale del Mediterraneo”. Una dichiarazione,
questa, che conteneva in nuce le linee maestre della politica inglese successive alla fine della Prima
guerra mondiale, quando Londra, d’intesa con Parigi, operò instancabilmente per impedire la
realizzazione integrale delle aspirazione italiane sull’Adriatico, appoggiando e fomentando le ambizioni
della Iugoslavia, dellAlbania e della Grecia in questo cruciale settore strategico».
(Pubblicato in «Storia in Rete» - numero 73-74, Novembre-Dicembre 2011, pp. 30-35)
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Questo articolo è stato pubblicato il martedì, 15 novembre 2011 alle 11:09 e classificato in Galleria.
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