Elisabetta Mauroni L’ordine delle parole nei romanzi storici italiani … · 2015-01-28 ·...

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Elisabetta Mauroni L’ordine delle parole nei romanzi storici italiani dell’Ottocento

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Elisabetta Mauroni

L’ordine delle parolenei romanzi storici italianidell’Ottocento

Mauroni-fonte 24-02-2006 15:22 Pagina 1

Mauroni E.
L'ordine delle parole nei romanzi storici italiani dell'Ottocento
Queste pagine sono tratte da un volume pubblicato da LED Edizioni Universitarie. Cliccando su questo frontespizio si accede alla pagina web dedicata al volume.

I

SOMMARIO

Abbreviazioni

Introduzione1. La genesi della ricerca e l’ambito d’indagine: verso una prosa ‘moder-na’ (p. 15) – 2. Indicazioni di metodo (p. 21) – 3. Presentazione del cor-pus (p. 26)

I. Il romanzo storico e la questione linguistica1. Un esordio difficile (p. 37) – 2. La consapevolezza critica (p. 47) – 3. Ilproblema della lingua (p. 49) – 4. Una prosa ‘media e discorsiva’: il nu-cleo latente dell’oralità (p. 51) – 5. Un nucleo di oralità latente: una pro-sa non proprio ‘media e discorsiva’ (p. 66)

II. Inversioni e tmesi del verbo1. Inversioni del verbo (p. 81) – 2. Tmesi del verbo (p. 88) – 3. Tipologiadelle tmesi (p. 89) – 3.1. Tmesi per avverbio (p. 90) – 3.2. Tmesi per sog-getto e per complemento indiretto (p. 95) – 3.3. Tmesi per complementod’agente (p. 106) – 3.4. Tmesi per compresenza di due o più elementi (p.106) – 3.5. Tmesi per subordinata (p. 109) – 4. Correzioni di edizione (p.110) – 4.1. Manzoni (p. 111) – 4.2. Tommaseo (p. 112) – 4.3. Verga (p.113) – 5. Conclusioni (p. 114)

III. La posizione dell’aggettivo1. La posizione dell’aggettivo (p. 117) – 2. Determinazione e qualificazio-ne (p. 119) – 3. Gli aggettivi qualificativi: le posizioni ‘A+N’ e ‘N+A’ (p.121) – 4. Distingue frequenter (p. 125) – 5. Le diverse tipologie di agget-tivi anteposti: ‘AL1’/‘AL2’ e ‘AΦ’ (p. 140) – 6. Gli aggettivi AL1/AL2(p. 142) – 6.1. Gli aggettivi AL1/AL2: diegesi e dialogo (p. 162) – 7. Gia-

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8 SOMMARIO

citure complesse (p. 165) – 8. Gli aggettivi in posizione ‘N+A’ (p. 167) –8.1. Giaciture complesse (p. 175) – 8.2. Giaciture marcate (‘N+A deter-minativi’) (p. 177) – 8.2.1. I dimostrativi di identità stesso e medesimo (p.181) – 9. La posizione del possessivo (‘Poss+N’ e ‘N+Poss’) (p. 184) –9.1. La posizione del possessivo in cooccorrenza con altri aggettivi (p.198) – 9.2. Casi di singenionimi con articolo e possessivo (p. 206) – 9.3.Possessivo analitico postnominale (p. 208) – 10. Correzioni di edizione(p. 210) – 10.1. Grossi (p. 210) – 10.2. Guerrazzi (p. 211) – 10.3. Tom-maseo (p. 211) – 10.4. Manzoni (p. 212) – 11. Conclusioni (p. 213)

IV. Enclisi e proclisi1. Enclisi e proclisi con i modi finiti del verbo (p. 226) – 2. I modi nonfiniti del verbo (forma affermativa) (p. 234) – 2.1. ‘Fare + Infinito’ (p.243) – 2.2. ‘Si + Infinito affermativo’ (p. 245) – 3. I modi non finiti delverbo (forma negativa) (p. 246) – 4. L’imperativo affermativo (p. 247) –5. L’imperativo negativo (p. 248) – 6. L’ordine dei pronomi combinati(p. 252) – 6.1. Il clitico ne (p. 254) – 6.2. Forme apocopate (nol, mel, tel,vel) (p. 256) – 6.3. Mancata univerbazione dei nessi glielo, glieli, gliela,gliele (p. 259) – 6.4. Combinazioni letterarie sive ‘marginali’ (p. 259) – 7.Correzioni di edizione (p. 268) – 7.1. Guerrazzi (p. 269) – 7.2. Manzoni(p. 269) – 7.3. Tommaseo (p. 270) – 8. Conclusioni (p. 271)

V. La posizione del soggetto1. La posizione del soggetto (p. 277) – 2. La giacitura diretta SV(O)/S°V(O) (p. 281) – 3. La posposizione del Soggetto (p. 296) – 3.1. Condi-zioni di posposizione del Soggetto (p. 298) – 3.1.1. Condizioni gramma-ticalizzate: le tipologie frasali (p. 300) – 3.1.2. La frase interrogativa (p.303) – 3.2. Casi grammaticalizzati: tipologie verbali (verba dicendi) (p.305) – 3.3. Casi grammaticalizzati: tipologie verbali (verbi inaccusativi)(p. 307) – 3.4. Casi facoltativi (p. 309) – 3.4.1. La presupposizione narra-tiva (p. 309) – 3.4.2. La sequenza XVS (elementi avverbiali, locativi, tem-porali, complementi indiretti preverbali) (p. 312) – 3.4.3. Soggetto tema-tico parentetico (p. 313) – 3.4.4. Soggetto pesante (p. 314) – 3.4.5. Sog-getto in focus / deittico (p. 315) – 4. La frase relativa (p. 318) – 4.1. Lefrasi ‘r-VS’ e ‘r-SV’ (p. 320) – 4.2. L’ordine preminente SV(O) in fraserelativa (p. 322) – 5. La posizione dell’Oggetto (p. 325) – 6. Correzionidi edizione (p. 331) – 6.1. Grossi (p. 331) – 6.2. Manzoni (p. 331) – 6.3.Tommaseo (p. 332) – 7. Conclusioni (p. 335)

VI. Ordini di sintassi marcata1. Segnali di ‘modernità’: dislocazioni, frasi scisse, temi sospesi (p. 340) –2. Segnali di ‘modernità’: la posposizione del soggetto per enfasi pragma-tica (p. 352) – 3. Correzioni di edizione (p. 353) – 3.1. Grossi (p. 353) –3.2. Manzoni (p. 354) – 3.3. Tommaseo (p. 355) – 4. Conclusioni (p.355)

VII. SilhouettesGuerrazzi (p. 357) – Tommaseo (p. 362) – Rosini (p. 370) – Ranieri (p.

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9SOMMARIO

375) – D’Azeglio (p. 380) – Verga (p. 386) – Manzoni (p. 390) – Nievo(p. 394) – Rovani (p. 401) – Grossi (p. 408)

Conclusioni

Riferimenti bibliografici

Indice degli autori dei romanzi

Indice dei nomi

415

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453

455

Mauroni E.
L'ordine delle parole nei romanzi storici italiani dell'Ottocento
SEGUE

26 INTRODUZIONE

3. PRESENTAZIONE DEL «CORPUS»

Il nostro corpus risulta composto di dieci romanzi storici 37 scelti tra i nu-merosi appartenenti al genere 38 apparsi nel corso dell’Ottocento. La va-stità di produzione romanzesca di fronte alla quale ci si è trovati ha impo-sto la necessità di un criterio o meglio di una combinazione di criteri se-lettivi che individuassero una rosa di testi su cui eseguire lo spoglio lin-guistico. Tenendo saldo il criterio basilare della rappresentatività, oltre aquello preliminare della omogeneità dei testimoni costitutivi del corpus, siè data importanza soprattutto ai seguenti tre parametri individuativi: cro-nologico, geografico, tematico. A questi se ne aggiunge un quarto, quellodel successo editoriale dell’opera, che ne testimonia una maggiore diffu-sione e conseguentemente una più ampia ricezione da parte del pubblico.

Il primo criterio, cronologico, oltre ad essere quello di ragione piùimmediata e più facilmente giustificabile in un’indagine che costitutiva-mente si propone uno scandaglio di taglio diacronico (ben congeniale, cipare, alla dimensione sintattica), e che per certi aspetti si lascia guidaresulle sottili e pur presenti tracce di una ricerca ‘orientata’ 39, appare ulte-riormente significativo se correlato al periodo storico preso in esame (da-gli anni ’20 al 1870 circa), in cui appare imprescindibile intrecciare le vi-cende linguistiche squisitamente letterarie – ma di un nuovo tipo di lette-ratura – a quelle sempre più emergenti delle necessità civili e politicheunitarie. I romanzi del corpus, quindi, si distribuiscono lungo tutto l’arcocronologico prescelto (dall’anno cardine 1827 40 al 1868-1869, anno del-l’edizione definitiva dei Cento Anni di Rovani).

Il criterio geografico, invece, ha voluto dare spazio e voce ad autoriche rappresentassero il più possibile le differenti ‘varietà’ 41 linguistiche e

37 Per la scelta del sottogenere storico si veda l’Introduzione; quanto, invece, alla li-mitazione dell’indagine ai soli romanzi di tematica storica si è ritenuto che il criteriodell’omogeneità fosse opportuno e determinante per il successivo raffronto dei dati.

38 Per qualche dato relativo alla consistenza dei romanzi storici pubblicati nell’Ot-tocento si vedano Pagliano 1988, p. 48 e Di Fazio 1988, pp. 58-59.

39 Per questo aspetto cfr. supra, Introduzione.40 Anno in cui compaiono, come si è già avuto modo di rilevare, vari romanzi storici.41 Ovviamente non si vuole alludere con questo termine alle ‘varietà’ sociolinguisti-

camente intese in senso contemporaneo, ma alla possibilità di eventuali diversità lingui-stiche determinate dalle differenti provenienze regionali degli scrittori o, più latamente,‘areali’ (e quindi anche culturali: si pensi per esempio al dominio culturale esercitatodalla scuola puotiana a Napoli). Naturalmente, il pigmento geografico-culturale potràfar parte di una valutazione linguistica finale se corretto e problematizzato sia dalla con-sapevolezza che ogni elemento di giudizio non è mai pienamente autonomo e può sem-mai contribuire a delineare una tendenza, sia dalla percezione ben viva del carattere diparzialità dei risultati stessi, parallela all’inevitabile limitatezza della consistenza del cor-

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culturali della Penisola. Il risultato finale della scelta, però, come apparefin da un primo sguardo, si dimostra negli effetti più rappresentativo dialcune aree rispetto ad altre, non avendo potuto ovviare pienamente allostorico, e quindi ineludibile, squilibrio che caratterizza la produzione ro-manzesca del periodo; di qui una presenza più cospicua di autori setten-trionali (Grossi, D’Azeglio, Nievo, Rovani) e ‘toscani’ (tali per nascita oper scelte linguistiche spiccate: Guerrazzi e Rosini, Manzoni e Tomma-seo) rispetto a quelli meridionali (Ranieri e Verga).

Il parametro che ho chiamato tematico, infine, ha suggerito una di-versificazione, la più ampia possibile, dei soggetti storici trattati e soprat-tutto delle loro ambientazioni (in un remoto o recente passato), ponendo-lo come un possibile elemento di variazione (tutta da verificare) che possacoinvolgere (o, viceversa, non condizionare) anche il piano linguistico42.

Prima di passare all’elenco dettagliato dei romanzi del campione ènecessario però accennare, anche se brevemente, alla ‘questione filologi-ca’ che si è dovuta affrontare prima della scelta definitiva delle edizionisu cui condurre lo spoglio. Lo stato delle condizioni testuali dei romanziottocenteschi è cosa fin troppo nota a chiunque si sia occupato di operepiù o meno celebri del periodo. La prassi editoriale assolutamente caoti-ca, preindustriale e spesso ‘piratesca’ 43 dell’editoria ottocentesca, nonsolo agli esordi del secolo ma anche successivamente ad essi, determinaun ‘sospetto’ continuo nei confronti del testo stampato, non sempre se-gno presumibile dell’ultima volontà dello scrittore anche laddove il fron-tespizio rechi la spesso abusata dicitura di «edizione rivista e corretta dal-l’autore» 44.

Altrettanto notoria è poi la scarsità di edizioni critiche di cui si puòdisporre per i testi del periodo in questione: non sempre è stato possibileavvalersi di un testo filologicamente ineccepibile e si è dovuto ricorrerealla scelta dell’edizione che lo stato degli studi indicava come più attendi-bile. In altri casi, invece, la scelta tra le edizioni non è dipesa dalla solacorrettezza del testo, quanto da ragioni di ordine più ampio, come l’alle-

pus, sia dal riconoscimento che la lingua di ogni prova narrativa (intendiamo quindi diuna lingua veicolo e segno letterario) non riecheggia solo e semplicemente un habitusscrittorio più o meno diffuso, ma ambisce, il più delle volte, portare i segni di uno ‘sti-le’, di una individualità.

42 Esemplare in questo senso il caso del Duca d’Atene di Tommaseo che coinvolgein un esperimento personalissimo e originale di ricostruzione trecentesca anche la ma-teria linguistica.

43 Si vedano anche solo Di Rienzo 1995, gli accenni in Di Fazio 1988, p. 58; Cadioli2001, pp. 51-52, 214; i rilievi puntuali di Andreoli 1926, pp. XXXVI-XXXVIII.

44 Spesso editori spregiudicati utilizzano tale formula sulle copie clandestinamentemesse in circolazione per dotarle di un crisma di autorità.

PRESENTAZIONE DEL «CORPUS»

28 INTRODUZIONE

stimento programmatico e volontario dell’autore di una nuova edizionedifferente da quella approntata in precedenza. Emblematico il caso diManzoni, a cui si aggiungano, per esempio, quello di Grossi o di Guer-razzi. L’analisi del percorso scrittorio relativo ad ogni opera non sempreha determinato la scelta di riferirsi all’edizione più recente o comunquesuccessiva alla prima per le ragioni che di volta in volta verranno esposte.

Presento, infine, i romanzi del corpus 45 in forma di scheda sintetica(che riporterà le edizioni principali del testo, eventuali edizioni significa-tive, la scelta dell’edizione di riferimento, una brevissima sintesi della tra-ma, la caratterizzazione sociologica dei personaggi):

Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi (1840), ed. critica a cura di A. Chiari e F.Ghisalberti, Milano, Mondadori, 1954.

Fermo e Lucia, 1821-1823.I Promessi Sposi, Milano, Ferrario, 1827.I Promessi Sposi, Milano, Guglielmini, 1840-1842.

La scelta è caduta sul testo della quarantana, nell’edizione di Chiari e Ghisalber-ti 46, in attesa di quella che si sta approntando per l’Edizione Nazionale delle Ope-re. Segnaliamo altre edizioni notabili: quella curata da L. Caretti per i tipi di Ei-naudi (1971), quella di A. Stella - C. Repossi (Einaudi - Gallimard, 1995) e quellauscita presso i Meridiani di Mondadori (2002) che presenta la ristampa anastaticadella «parte sana» 47 della edizione del 1840-1842 (Milano, Guglielmini) costituitada solo alcuni dei fascicoli allora stampati e messi in circolazione.

Data la fondamentale importanza linguistica della revisione manzoniana nelpassaggio dalla ventisettana alla quarantana sono stati compiuti, per i fenomeniindagati in questo lavoro, riscontri puntuali.

Per il testo dell’edizione del 1827 si è fatto riferimento a quello approntatocriticamente da Chiari e Ghisalberti (Milano, Mondadori, 1954).

L’azione romanzesca è ambientata nel Seicento (l’esordio del racconto si col-loca nel novembre del 1628) tra la zona lacuale di Lecco e quella di Monza e Mi-lano.

Nel romanzo vengono rappresentate differenti fasce sociali anche le più mo-deste da cui sono tratti i due personaggi principali di Renzo e Lucia.

45 Li presento in ordine cronologico di apparizione o composizione.46 Sui problemi filologico-testuali dell’edizione del testo manzoniano definitivo ri-

mando a Ghisalberti 1941.47 Per la questione rimandiamo alle pagine introduttive dell’edizione mondadoria-

na e alla menzione del costante e continuo processo correttorio manzoniano proseguitoanche in fase di stampa avviata; correzioni in fase di stampa che però coinvolgono es-senzialmente aspetti interpuntori, ortografici e di correttezza tipografica (per la que-stione si veda anche Ghisalberti 1941).

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Francesco Domenico Guerrazzi, La Battaglia di Benevento, Firenze, Le Mon-nier, 1852.

La Battaglia di Benevento, Livorno, Bertani, 1827.La Battaglia di Benevento, Firenze, Le Monnier, 1852 48.

La scelta è caduta sulla seconda edizione di questo primo romanzo guerrazzianoperché si tratta di un’edizione rivista dallo stesso autore a distanza di venticinqueanni, nella quale intervengono correzioni di tipo linguistico 49; per il taglio di que-sto lavoro, quindi, assolutamente interessanti. L’altezza cronologica di questa se-conda edizione, inoltre, legittima ulteriormente la scelta compiuta imponendo unconfronto con lo spirito della prassi correttoria manzoniana che si era concretiz-zato tempo addietro nella quarantana. Un esempio e un modello di cui Guerrazzipoté, quindi, disporre ma che eluse completamente 50.

Significativo è parso, dunque, il raffronto con la prima edizione del 1827 inmerito ai fenomeni legati all’ordine delle parole. L’edizione utilizzata è la stessaindicata più sopra: Livorno, Bertani, 1827.

L’azione romanzesca è ambientata in un medioevo lontano, alla corte svevadi Manfredi, figlio di Federico II, sconfitto e ucciso nella finale battaglia di Bene-vento (1266) dal francese Carlo D’Angiò.

I personaggi principali appartengono all’entourage della corte sveva.

Giovanni Rosini, La Monaca di Monza, Pisa, Capurro, 1829.

La Monaca di Monza, Pisa, Capurro, 1829 51.

La scelta dell’edizione di riferimento è caduta inevitabilmente sulla princeps del1829 52.

48 Ringrazio Giovanna Rosa che mi ha messo a disposizione la sua copia.49 Si vedano gli studi di Falaschi 1972 e 1975.50 Falaschi 1972 parla esplicitamente di ‘occasione mancata’: «si tenga presente che

il Guerrazzi aveva davanti le correzioni del Manzoni; il nostro, perciò, è lo studio di unagrande occasione presentatasi allo scrittore e, come si vedrà, mancata» (p. 308).

51 Addito solo la princeps seguendo le indicazioni di Romagnoli 1971.52 Come si riscontra nella «Nota al testo» di Romagnoli 1971, benché siano apparse

moltissime edizioni successive a quella del ’29 pare non ci siano tracce di correzioni ri-levanti da parte dell’autore se non qualche adeguamento ammodernante relativo allapunteggiatura e alla concordanza tra soggetto/oggetto e participio. La scelta del Roma-gnoli di riprodurre, per l’edizione Vallecchi del 1971, quella originaria (con l’aggiunta,in realtà, di una Conclusione apparsa nell’edizione Le Monnier del 1857) mi ha ulterior-mente indotta a basare lo spoglio sulla prima edizione pisana. In realtà, però, consul-tando non sistematicamente alcune edizioni successive (Milano, Francesco di Omobo-no Manini, 1840, e Milano - Napoli, Francesco Pagnoni, 1876, entrambe presso la Bi-blioteca Nazionale Braidense) si sono riscontrate invece differenze significative proprioin merito all’ordine delle parole – il che in genere avviene raramente – e a scelte lessicali

PRESENTAZIONE DEL «CORPUS»

30 INTRODUZIONE

L’ambientazione è naturalmente secentesca, e si svolge tra la Lombardia,l’Emilia e la Toscana, punto di approdo (Firenze) dei due protagonisti principali:Geltrude ed Egidio.

I personaggi principali sono di alto lignaggio (Geltrude, Egidio, Barbara Al-bizzi), benché ne compaiano altri di condizioni più modeste e dai tratti furfante-schi (Anguillotto, Carafulla).

Massimo D’Azeglio, Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, Milano, Ferra-rio, 1833.

Ettore Fieramosca o la disfida di Barletta, Milano, Ferrario, 1833 53.

Si è imposta la scelta della prima edizione in quanto è stata licenziata direttamen-te dall’autore ed è anche la più integra, non avendo subito quei tagli e quelle mo-difiche che l’azione censoria ha esercitato su altre 54.

e fonomorfologiche; non ultima differenza lo stesso titolo divenuto La Signora di Monzain entrambe le edizioni sopra citate. Se però nella prima esso compare sia sulla coperti-na sia nel frontespizio, nella seconda (del Pagnoni) la copertina riporta il titolo origina-rio, il frontespizio la variante. Ecco qualche esempio puntuale di discordanza, già nelleprime righe dell’incipit: la promessa che avevale estorto (Pisa, Capurro, 1829); la promes-sa ch’estorto aveale (Milano, Francesco di Omobono Manini, 1840); la promessa ch’estorto avevale (Milano - Napoli, Francesco Pagnoni, 1876). E ancora, sempre in aper-tura di romanzo: l’infelice Donzella (Pisa, Capurro, 1829); la sventurata fanciulla (Mila-no, Francesco di Omobono Manini, 1840); la sventurata fanciulla (Milano - Napoli,Francesco Pagnoni, 1876). Oppure, qualche pagina dopo: che sol pronunzia il vero do-lore (Pisa, Capurro, 1829; Milano - Napoli, Francesco Pagnoni, 1876); che sol pronun-zia il dolor vero (Milano, Francesco di Omobono Manini, 1840). Varianti d’autore o ti-pografiche? Le note condizioni editoriali del periodo non consentono un’immediata ri-sposta (cfr. anche l’accenno in Romagnoli 1971, p. 6), né il tipo di lavoro intrapresoconcede lo spazio per una verifica della tradizione testuale, che potrebbe portare in ef-fetti a risultati interessanti in merito ad alcune oscillazioni topologiche. Basti l’aver toc-cato e reso noto un problema che in questo caso si limita ad avvalorare maggiormentela scelta definitiva di basarsi sulla I edizione pisana, che è ritenuta corretta e seguita dal-lo stesso autore presso la stamperia Capurro di cui era direttore (cfr. Introduzione inRomagnoli 1971), rimandando ad altri ambiti di studio la soluzione dell’ancora apertaproblematicità del testo.

53 Le vicende testuali del romanzo in realtà sono più complesse di quanto non risul-ti dalla singola indicazione: intervengono a complicare il quadro ragioni legate alla cen-sura che ha portato alla pubblicazione di edizioni ritoccate o mutilate. Il piano delle‘correzioni’, quindi, nulla ha a che vedere con processi correttori autoriali volontari o ditipo espressamente linguistico. Per questi motivi, dato il taglio del lavoro, mi limito a ri-mandare a quanto esposto in Andreoli 1926 e a De Rubertis 1919 (a cui si fa riferimen-to in Andreoli 1926, p. XXXV).

54 La ripubblicazione del romanzo in Toscana ebbe svariate difficoltà e necessitò dimolte pratiche presso il Governo granducale. L’esito finale fu una ristampa fiorentinauscita sempre nel 1833 ‘riveduta’ e mutata perfino rispetto alla seconda edizione torine-

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In questo caso per lo spoglio vero e proprio ci si è serviti di un’altra edizio-ne 55, quella uscita presso la Società Editrice Unitas di Milano (1926), che «ripro-duce fedelmente il romanzo quale apparve la prima volta in pubblico» 56. L’edi-zione più recente del romanzo (Roma, Studio Tesi, 1992) non esplicita in alcunmodo quale edizione faccia da riferimento per il testo presentato 57, di qui la scel-ta di escluderla.

L’azione si svolge in Puglia all’inizio del Cinquecento (1503) intorno all’epi-sodio storico della sfida avvenuta tra Italiani e Francesi in merito ad una questio-ne d’onore.

I personaggi sono quasi tutti di elevata condizione sociale ma non mancanofigure vivaci di più modesti natali. I protagonisti, però, sono immancabilmentepresi dalle schiere nobiliari o esercitanti il nobile «mestiere delle armi».

Tommaso Grossi, Marco Visconti. Storia del Trecento cavata dalle cronache diquel secolo e raccontata da Tommaso Grossi, Milano, Borroni e Scotti, 1840.

Marco Visconti. Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel secolo e racconta-ta da Tommaso Grossi, Milano, Vincenzo Ferrario, 1834.Marco Visconti. Storia del Trecento cavata dalle cronache di quel secolo e racconta-ta da Tommaso Grossi, Milano, Borroni Scotti, 1840.

La scelta della seconda edizione del Quaranta è apparsa naturale e inevitabile perl’esplicito intento correttorio di Grossi (al di là degli effettivi esiti) 58, condottosulle tracce del suo maestro dichiarato Alessandro Manzoni 59.

Lo spoglio è stato condotto direttamente sulla seconda edizione ottocentesca

se dell’Ettore Fieramosca (Torino, tipografia G. Pomba, 1833) che era già stata rivista ecorretta. Tale edizione poi servì di modello alle successive fiorentine uscite dal ’34 al’38 e perfino a quella del 1850 di Le Monnier. Pare inoltre, secondo le riprovazioniesplicite di De Rubertis 1919, che la tradizione testuale così «corrotta» sia proseguitaben oltre «perfino nelle moderne ristampe dei Successori Le Monnier, di Gaspero Bar-bèra, Adriano Salani, Edoardo Sonzogno ed altri!».

55 Ragioni di più facile reperibilità hanno in qualche caso indotto ad eseguire con-cretamente lo spoglio su edizioni più recenti (cfr. le Abbreviazioni). In questi casi natu-ralmente per le parti analizzate è stato fatto un riscontro puntuale tra il testo ottocente-sco e quello dell’edizione più moderna.

56 Andreoli 1926, p. XXXV.57 Stesso problema presentano anche altre edizioni consultate (Milano, Mursia &

C., (To, Soc. ed. Subalpina), 1966; Milano, Fabbri, 1991) che non possiedono alcunaNota al testo.

58 Per questo si veda il lavoro di Dramisino 1996 che riporta i risultati del confron-to puntuale (di tipo prevalentemente lessicale e morfologico, ma con cenni sintattici)tra le due edizioni, mettendo in evidenza la prassi spesso discontinua e non sempre coe-rente delle correzioni.

59 Come indica la stessa dedica del romanzo: «Ad / Alessandro Manzoni / colla ri-verenza d’un discepolo / coll’amore d’un fratello / candidamente offre / l’autore».

PRESENTAZIONE DEL «CORPUS»

32 INTRODUZIONE

che attua le correzioni dell’autore. Naturalmente esistono varie edizioni moder-ne 60, tra cui, più recente, quella curata da Mario Barenghi (Milano, ArcipelagoEdizioni, 1994) che, però, in mancanza di un’edizione critica, avverte di basarsisul testo di quella curata da Ettore Janni per i tipi di Rizzoli (Milano, Bur, 1953),senza altra aggiunta riguardo alla motivazione della scelta. Si è dunque preferitoricorrere all’originale che è stato riprodotto e riversato su supporto elettronico(cd-rom).

Data l’esplicita volontà correttoria in materia di lingua si è fatto un confron-to puntuale tra le due edizioni 61: quella del 1834 e quella del 1840, relativamentealle parti e ai tratti spogliati per il nostro lavoro.

Come si deduce dal sottotitolo del romanzo la storia è ambientata nel Tre-cento nella zona lombarda del lago di Lecco e delle città di Monza e Milano.

I personaggi principali sono di illustre casata ma compaiono anche figure diestrazione più modesta con parti di un certo rilievo.

Antonio Ranieri, Ginevra o l’orfana della Nunziata, Milano - Torino, Guigoni,1862.

Ginevra o l’orfana della Nunziata, Napoli, 1837 62.Ginevra o l’orfana della Nunziata, Capolago, Tipografia Elvetica, 1939 (I edi-zione).Ginevra o l’orfana della Nunziata, Milano - Torino, Guigoni, 1862 (II edizione).

L’edizione di riferimento è rappresentata dalla seconda edizione per i tipi diGuigoni in quanto licenziata dall’autore come definitiva.

Anche in questo caso lo spoglio vero e proprio è stato condotto su un’altraedizione, più recente, il cui testo è stato approntato da Edoardo Villa per i tipide La Quercia Edizioni di Genova (1981). Il curatore si è basato sia sull’edizionedel 1862, sia sulle correzioni approntate con la puntuale collazione dell’edizionedel ’39, di cui sono riportate alcune varianti. Del 1986 è un’altra edizione dellaGinevra (a cura di Riccardo Reim, Roma, Lucarini) ugualmente esemplata suquella guigoniana del 1862 ma disdicevolmente piena di refusi e filologicamentemeno accurata di quella genovese.

60 Si vedano i cenni in Barenghi 1994, p. 42.61 Ringrazio sentitamente Ilaria Bonomi per avermi messo a disposizione la sua co-

pia della prima edizione del 1834.62 Di questa prima edizione napoletana definita dallo stesso Ranieri «nitida e cor-

rettissima» in opposizione a quella di Capolago «grossolana e scorretta» (di qui la vo-lontà di approntare la «terza edizione ordinata e corretta dall’autore» del ’62), non siha più traccia materiale (cfr. Villa 1981, p. XXIX) ma se ne conosce l’esistenza attraver-so la Notizia aggiunta all’edizione di Guigoni e la menzione fatta da Leopardi in unalettera ad Antonietta Tommasini del 15 maggio 1837.

33

L’ambientazione è contemporanea (gli anni ’30 dell’Ottocento) e si svolgeprevalentemente tra le mura della Nunziata (ricovero per i fanciulli esposti) aNapoli, la città di Roma e l’agro circostante, e infine il napoletano convento diSan Gennaro.

La protagonista, Ginevra, è una fanciulla di natali miserrimi e disperati, che(de)scrive in prima persona la storia della propria vita, su richiesta del padre con-fessore a cui Ginevra si rivolge prima di morire ed averne l’assoluzione; compaio-no poi altri personaggi di livelli sociali differenti (cuochi, accattoni, monache epreti di condizione molto modesta, religiosi con più alte cariche prelatizie, fun-zionari della Polizia, alcune Autorità).

Niccolò Tommaseo, Il Duca d’Atene, ed. critica a cura di F. Michieli, Roma -Padova, Editrice Antenore, 2003.

Il Duca d’Atene. / Narrazione / di / N. Tommaseo, Parigi, Baudry, 1837 [A].Il Duca d’Atene. / Narrazione / di / N. Tommaseo, Milano, Francesco Sanvito,1858 [B].Il / Duca d’Atene / narrazione / di / Niccolò Tommaseo / con sue correzioni inedi-te / e aggiuntovi / Il Sacco di Lucca e L’Assedio di Tortona, Firenze, coi Tipi di M.Cellini e C., 1879 [C].

La scelta dell’edizione di riferimento, data la recente uscita di un’edizione criticada tempo attesa, è ricaduta naturalmente su questa.

L’importanza e la cospicuità delle differenze 63 che segnano la distanza tral’edizione del 1837 e quella del 1858 ne hanno sollecitato il confronto puntuale.Per un confronto con la prima edizione si è fatto riferimento ad una ristampamoderna (Niccolò Tommaseo, Tutti i racconti, Milano, S. Paolo, 1993) curata daGino Tellini.

L’ambientazione è fiorentina, medioevale, e si situa tra il luglio e l’agosto del1343, mese della cacciata popolare del Duca Gualtieri di Brienne dalla città.

I protagonisti si dividono tra i congiurati, avversi al Duca e ai fiorentini «tra-ditori», fedeli al tiranno, appartenenti alle diverse fazioni fiorentine e il popolo,visto come folla disordinata o «animale faticante» 64, senza discernimento e biso-gnoso di una guida.

63 Sui complessi rapporti tra le edizioni rimandiamo agli interventi di Puppo 1958;Cataudella 1968; Tellini 1993 e Michieli 2003.

64 Niccolò Tommaseo, Il Duca d’Atene, a cura di F. Michieli, Roma - Padova, Edi-trice Antenore, 2003, p. 125.

PRESENTAZIONE DEL «CORPUS»

34 INTRODUZIONE

Giovanni Verga, I Carbonari della Montagna, ed. critica a cura di R. Verdira-me, Edizione Nazionale delle Opere di G. Verga, vol. I, Firenze, Le Monnier,1988.

I Carbonari della Montagna, Catania, Vincenzo Galatola, 1861, voll. I-II / Cata-nia, Tipografia dell’Ospizio di Beneficenza, 1862, voll. III-IV.

Data l’esistenza di un’edizione critica la scelta è ricaduta naturalmente su questa,la quale riporta in apparato tra le varianti anche un ripensamento (l’unico per laporzione da noi spogliata) di ordine topologico.

L’ambientazione è ottocentesca e si svolge prevalentemente nelle Calabrie(con qualche puntata fino alla Sicilia e alla Lombardia) all’epoca delle guerre na-poleoniche e della lotta dei napoletani per liberarsi del dominio francese.

I protagonisti, carbonari, sono scelti dalle diverse classi sociali, dalle file no-biliari (per es., Giustina e Francesco di S. Gottardo) alle schiere contadine (An-gelo e Rita).

Ippolito Nievo, Le Confessioni d’un Italiano, ed. critica a cura di S. Casini, Par-ma, Edizioni Pietro Bembo / Guanda, 1999.

Le Confessioni d’un Ottuagenario, a cura di Erminia Fuà Fusinato, Firenze, LeMonnier, 1867.Le Confessioni d’un Italiano, ed. critica a cura di Sergio Romagnoli, Napoli, Ric-ciardi, 1952.Le Confessioni d’un Italiano, a cura di Elena Spagnol Vaccari, Milano, Feltrinelli,1963.Le Confessioni d’un Italiano, a cura di Folco Portinari, Milano, Mursia, 1967.Le Confessioni d’un Italiano, a cura di Geno Pampaloni, Milano, Garzanti, 1973.Le Confessioni d’un Italiano, a cura di Marcella Gorra, Milano, Mondadori, 1981.Le Confessioni d’un Italiano, ed. critica a cura di Sergio Romagnoli, Padova,Marsilio, 1990.Le Confessioni d’un Italiano, ed. critica a cura di Simone Casini, Parma, ed. Fon-dazione P. Bembo / Ugo Guanda Editore, 1999.

Per l’edizione di riferimento si è scelta l’edizione critica approntata da SimoneCasini per Guanda, la più recente 65.

65 Come in altri casi, la scelta è stata frutto di una riflessione meditata ma necessa-riamente limitata dai tempi e dalle reali esigenze del lavoro. Il piano dell’ordine delleparole, infatti, appare, già dai primi riscontri, quello meno coinvolto dalle varianti.L’esclusione della prima edizione del 1867 ci è parsa piuttosto naturale in quanto uscitapostuma, quindi non rivista ed approvata dall’autore. Il testo critico di Romagnoli(1952), invece, su cui si basano parimenti le edizioni di Spagnol Vaccari, Portinari eGorra (con alcune differenze), è il primo testo edito con vero rigore filologico. Gli fa

35

L’ambientazione è contemporanea e si estende dal 1780 al 1855, con parten-za dalla friulana Fratta percorrendo l’Italia intera in un periodo storico cruciale.

Il personaggio principale si presenta subito come socialmente e culturalmen-te ‘dimesso’, benché orfano adottivo di una famiglia nobiliare di consanguinei;i personaggi comprimari e le comparse appartengono poi a svariati ambienti so-ciali.

Giuseppe Rovani, Cento Anni, Milano, presso lo Stabilimento Redaelli dei F.lliRechiedei, 1868-1869.

Cento Anni, prima apparizione a puntate sulla «Gazzetta di Milano», 1857-1863.Cento Anni, Milano, Wilmant, 1859, voll. I-II-III / Milano, Daelli, 1864, voll. IV-V.Cento Anni, Milano, presso lo Stabilimento Redaelli dei F.lli Rechiedei, 1868-1869.

La scelta è ricaduta sull’ultima edizione curata dall’autore apparsa in volume trail 1868 e il 1869, «che si può ben dire definitiva» 66.

Lo spoglio è stato invece condotto su un’edizione moderna che riproduce iltesto di quella del 1868-1869, per cura di Silvana Tamiozzo Goldmann (Giusep-pe Rovani, Cento Anni, Milano, Rizzoli, 2001, 2 voll.).

L’ambientazione è contemporanea e raccoglie le vicende italiane dalla metàdel Settecento alla metà dell’Ottocento attraverso la storia di alcune famiglie edella loro discendenza. L’azione si svolge principalmente a Milano con alcune in-cursioni a Venezia e Roma.

seguito, però, a vari anni di distanza una nuova edizione, mutata nei criteri ecdotici ecritici, condotta sempre da Romagnoli che ha ritenuto di approntare un testo che diapiù spazio al fondo di oralità dialettale o semidialettale della lingua nieviana, determi-nando «degli eccessi conservativi [rispetto al manoscritto autografo], che rendono talo-ra difficile la lettura della nuova edizione» (Casini 1999, p. 1525) e rispecchiano il temacritico, sostenuto da Romagnoli appunto, della «finzione totale» secondo cui «lo scrit-tore avrebbe inteso cioè dare pienamente vita al suo personaggio Carlo Altoviti e allasua autonoma fisionomia, al punto da attribuire a lui, narratore illetterato, anche le de-ficienze ortografiche, derivanti dalle inflessioni dialettali e dalle peculiarità espressivetipiche di un parlante veneto-friulano di primo Ottocento» (ibidem). Nella sua edizioneCasini, al quale «sembra che tale ipotesi, valida sul piano critico e narratologico, costi-tuisca un’indebita invadenza in quello filologico» (ibidem), dichiara di muoversi nellastessa direzione comunque indicata da Romagnoli (data l’importanza attribuibile alle«abitudini linguistiche ed espressive del testo» in quanto segno sia dell’ultima volontàautoriale sia di una lingua che pur scritta si avvicina sensibilmente a quella parlata inuna certa area culturale e geografica di metà Ottocento) ma senza obbedire «al criterioassoluto del manoscritto, della cui lezione il lettore e lo studioso possono in ogni casoprendere visione grazie all’Apparato critico» (ivi, p. 1526).

66 Così la definisce nella recente edizione per Rizzoli (2001) la curatrice TamiozzoGoldmann (p. 53).

PRESENTAZIONE DEL «CORPUS»

36 INTRODUZIONE

I personaggi sono di svariata condizione sociale ed economica, tratti dallefile nobiliari, mercantili, artistiche della Milano dell’epoca.

Occorre, infine, avvertire che la consistenza del campione preso in esamenon è omogenea per tutti i fenomeni indagati; ragioni di ordine diversocome l’alta o bassa reperibilità del fenomeno, la necessità di un amplia-mento dell’indagine al contesto linguistico e quindi la conseguente mag-giore onerosità della raccolta e dell’interpretazione dei dati, hanno porta-to a stabilire una differenziazione nelle porzioni di testo indagate. Quan-to ai fenomeni trattati nei Capp. II, III, IV (inversioni e tmesi, la posizio-ne dell’aggettivo, la clisi) per ogni romanzo sono state analizzate 100 milabattute. Per il Cap. V, data la natura del fenomeno indagato (la posizionedel pronome personale soggetto) e la frequenza di rilevamento, si è rite-nuto sufficiente basarsi su un numero di battute di molto inferiore: circa20 mila 67. Infine per i fenomeni di sintassi marcata (Cap. VI), data la loronatura sintattica ad ampio raggio (coinvolgono infatti la struttura perio-dale e non più solo quella proposizionale) e la relativa minore frequenzadel loro reperimento, si è pensato invece di estendere l’indagine a 200mila battute.

Sia durante la fase di spoglio sia in quella di rielaborazione, presenta-zione e commento dei dati, quando significativo, sono stati tenuti distintie separati i due piani della narrazione (NR) e del dialogo (DL).

67 Ulteriore conferma alla scelta di 20 mila battute, confortata del resto dalle centi-naia di esempi raccolti, viene dalle consimili indicazioni quantitative di Palermo 1997nel suo lavoro sulla espressione del pronome soggetto nella storia dell’italiano. Se è benvero che il corpus di Palermo è costituito da un centinaio di testi, quindi molto più am-pio di questo, il lavoro dello studioso è di tipo monografico, mentre in questa indaginela posizione del pronome personale soggetto rappresenta solo uno dei diversi tratti pre-si in considerazione.

Mauroni E.
L'ordine delle parole nei romanzi storici italiani dell'Ottocento
SEGUE

Presentiamo in questa iniziale sezione una serie di tratti riuniti sotto la di-citura di Inversioni e Tmesi del Verbo che possono definirsi e valutarsicon minore incertezza e maggior riscontro 2 come sostanzialmente con-servativi e tradizionalistici, propri della tradizione classicistica3: inversio-ne dell’ordine ‘Ausiliare+Participio’; inversione dell’ordine ‘Verbo Reg-gente+Infinito’; inversione dell’ordine ‘Verbo Servile+Infinito’.

Si tratta di fenomeni che denotano la loro appartenenza alla tradizio-ne letteraria alta 4, di origine latineggiante, alla linea cioè della prosa boc-

II

INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

ANIMA: onde avien proprio a lei [lingua toscana] come auna donna bella, che, credendosi far più bella con il lisciar-si, più si guasta.GIUSTO: O come può avvenire questo?ANIMA: Dirottelo. Mentre che e’ cercano, per farla più or-nata, di fare le clausole simili a quelle della latina, e’ ven-gono a guastare quella sua facilità e ordine naturale nelquale consiste la bellezza di quella.

G.B. Gelli, Capricci del Bottaio, V, 64 1

1 In G.B. Gelli, Dialoghi, ed. critica a cura di R. Tissoni, Bari, Laterza, 1967.2 Riscontri presenti sia in testi ottocenteschi di varia natura (giornali, scritti saggi-

stici, orazioni e opere normative come le grammatiche), sia negli studi linguistici dedi-cati al periodo.

3 Per i concetti di tradizionalismo e classicismo si rimanda ai noti e fondamentaliinterventi di Vitale 1986a; per l’utilizzo delle categorie di tradizione, innovatività, mo-dernità rimandiamo alla trattazione preliminare fattane nell’Introduzione e nelle Indica-zioni di metodo.

4 In realtà anche i primi testi italiani antichi presentano spesso le giaciture con in-versione, proprio per la diretta filiazione e la vicinanza cronologica ai testi tardo-lati-ni (si vedano a questo proposito Rohlfs 1969, § 981 e Tekavc∨ic 1972, p. 690; Maiden1998, p. 203); a questi casi, naturalmente, non può applicarsi nello stesso modo la valu-tazione espressa sopra riguardo alle giaciture inverse rinvenibili da una certa altezzacronologica, essendo queste frutto di un recupero consapevole della tradizione latinaclassica e pertanto stilisticamente connotate.

80 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

cacciano-bembiana 5, che, come è noto, tenterà di imporsi come modellopiù accreditato 6 per tutto il Cinquecento (soprattutto nell’ambito «deglioperatori di stamperia» 7), si stabilizzerà nelle scritture di fede classicisti-ca, e non decadrà mai definitivamente lungo tutto l’arco della tradizionenostrana, fino alle battute d’arresto più notevoli e finalmente conclusivetra la fine del Settecento e la fine dell’Ottocento 8.

Seguiranno poi i dati relativi ad altri tratti riuniti sotto l’etichettatura diTmesi del Verbo, che devono il loro maggiore o minore valore di tradizio-nalismo e di sostenutezza stilistica 9 alle particolari tipologie riscontrate divolta in volta e alla quantità e diversità degli elementi interposti 10 tra il

5 Della tradizione classicistica, dunque, a cui il fenomeno dell’inversione è partico-larmente legato. Si veda Vitale 1986a, pp. 217, 498; Bozzola 1999, 2004.

6 Con un’espressione che attenua in qualche modo il giudizio sulla conclamata su-premazia classicistica della prosa boccacciano-bembiana, si è voluto rendere giustizia omeglio far venire alla luce quei filoni non ancora pienamente valorizzati, e pur compre-senti, che rappresentano e hanno voluto rappresentare un’alternativa e una reazione aquesta linea: si veda ad esempio l’antagonistico paradigma castiglionesco-tassiano chesi propone come lingua letteraria «di livello medio, non realistica, contrapposta da unlato alle scritture pratiche e cancelleresche, dall’altro ai modelli di simulazione del par-lato, o di riproduzione letteraria dei dialetti» (Bozzola 1999, p. 110). E ancora si veda ildrappello degli autori censiti nel più recente studio di Bozzola 2004 sulla prosa tra Cin-quecento e Seicento (Bartoli, Brignole, Castiglione, Contarini, Della Casa, Frugoni, Ga-lilei, Guicciardini, Machiavelli, Magalotti, Sarpi, Speroni, ecc.), e l’esperienza del se-centista Malvezzi in Piotti 2001.

7 Bozzola 2004, p. 26.8 Patota 1987: «Separazione e inversione della sequenza normale sono l’eredità,

ampiamente fruita, di una prosa antica di tono elevato. […] Solo nell’Ottocento questiusi, benché ancora codificati dai testi normativi [il riferimento è a Fornaciari 1881, p.443], andranno scemando. Se la lingua di SPM [Stampa Milanese] si presenta, per que-sto tratto, come una zona di transizione fra l’uso antico e l’uso moderno, il modello of-ferto dal Manzoni è già quello dell’italiano contemporaneo, in cui la sequenza servile +infinito può essere interrotta da alcuni tipi di avverbio (per es. devo assolutamente parti-re, devo già partire) o da alcune congiunzioni coordinative (per es. devo quindi partire,devo anzi partire)» (p. 152).

9 L’utilizzazione di elementi della tradizione classicistica, di origine, come si è giàdetto, latina, che influiscono sull’ordine basico (a grandi linee cioè l’ordine progres-sivo SVO) delle lingue romanze va spesso di pari passo con intenzioni di sostenutez-za stilistica. Si vedano, a questo proposito, le considerazioni in Vitale 1986b, p. 500 sulfenomeno della «distanziazione», corrispondente alla nostra dicitura di tmesi (per lascelta terminologica si vedano Patota 1987 e Serianni 1989b, p. 89, di contro a Bozzola1999).

10 Non sarà forse inutile precisare infatti che non tutte le tmesi sono indice di unaprosa tradizionalistica o paludata, né che di per sé esse sono in assoluto avvertibilicome ‘marcate’ in senso stilistico e quindi volutamente lontane dalla lingua d’uso o dauna prosa media; si veda infatti anche nell’italiano contemporaneo la permanenza ditmesi per nulla connotate in senso ricercato ed anzi in qualche caso grammaticalizzate

81

verbo e l’elemento ad esso strettamente legato: tmesi di ‘Ausiliare+Par-ticipio’; tmesi di ‘Participio+Ausiliare’; tmesi di ‘Verbo Reggente+Infi-nito’ 11; tmesi di ‘Infinito+Verbo Reggente’; tmesi di ‘Servile+Infinito’;tmesi di ‘Infinito+Servile’.

1. INVERSIONI DEL VERBO

I nostri autori sono caratterizzati per lo più dalla tendenza ad evitare leclassiche inversioni, secondo la prassi modernizzante già inaugurata conconsapevole programmaticità da Foscolo 12 in contrasto con la tendenzaancora viva della prosa della seconda metà del ’700 ad indulgere alla gia-citura inversa (cfr. Patota 1987, pp. 137-138), che è tipico aspetto di unaprosa culta di stampo tradizionale e classicistico 13. Sono moduli e aspetti

(per la trattazione di questo aspetto cfr. infra, II.1.3.). Si vedano rispettivamente i se-guenti esempi: questa località turistica è abitualmente frequentata da famiglie; Maria hagià mangiato. Rimandiamo inoltre anche alle considerazioni e ai raffronti sui testi gior-nalistici contemporanei fatti in Patota 1987, pp. 137-152.

11 Avvertiamo fin d’ora che sotto questa etichetta rientrano sia i casi di reggenza di-retta dell’infinito (ti faccio vedere; ti voglio parlare) sia quelli in cui l’infinito è introdottoda una preposizione richiesta obbligatoriamente dal verbo reggente (spero di vederti; fi-nisco di leggere).

12 ‘Inaugurata’ massicciamente e più sistematicamente; in realtà, infatti, Bozzola1999 e 2004 retrodata già al XVI secolo la scelta, consapevole e programmatica, dell’or-dine diretto in contrapposizione a quello di stampo bembiano fortemente latineggiante.Una conferma anche in alcuni testi secenteschi di Malvezzi, Ritratto del privato politicocristiano e Davide perseguitato (cfr. Piotti 2001). Le analisi di Bozzola sui testi cinque- esecenteschi mettono in evidenza, quindi, la forte progettualità polemico-alternativa del-le scelte linguistiche in questione proprio in virtù della contemporaneità dei due mo-delli in lotta nella battaglia per l’imposizione di una norma; ci chiediamo, però, se aquesta altezza cronologica l’utilizzo di certi moduli non sia a volte un tratto, benchéconsapevolmente culto, indebolito di quel valore programmatico di recupero intenzio-nale della struttura sintattica latina; una testimonianza per tutte: «Merita una sosta spe-ciale il problema dell’ordine delle parole. È in quest’ambito che la sintassi nieviana[dell’epistolario] si distacca maggiormente dal piano del parlato, e direi ancor più peruna preoccupazione generica e quasi automatica di letterarietà che per intenzioni stili-stiche via via precise» (Mengaldo 1987, p. 107) e a questo proposito tra i tratti coinvoltiin questa «generica e automatica» preoccupazione di letterarietà sono chiamati in cau-sa: l’anticipazione dell’aggettivo, anche di relazione, sul sostantivo, l’anticipo dell’av-verbio rispetto al verbo, l’inversione del complemento sul verbo, l’inversione fra l’infi-nito e il verbo servile, ecc.

13 Per la distinzione dei due termini, che rimandano a due diversi atteggiamenti cul-turali spesso però attigui quanto a risultati linguistico-stilistici, il rimando obbligato è aVitale 1986a. Altre valutazioni analoghe sul valore letterario tradizionale e classicisticodelle inversioni (e tmesi) si ritrovano in Rodinò 1870, pp. 140-141; Fornaciari 1881, III

INVERSIONI DEL VERBO

82 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

sintattici che già in varie esperienze cinquecentesche (il Tasso dei Dialo-ghi, il Machiavelli del Dialogo dell’arte della guerra, lo Speroni del Dialo-go d’amore, ecc.) 14 sono elusi o semmai ‘normalizzati’ in sede correttoria,ma che informano ancora la prosa secentesca di un Frugoni15, lontanadalla ricerca di una lingua letteraria media, e quella del napoletano DiCapua, attento e tenace fautore di un recupero della tradizione toscanistatrecentesca dopo le intemperanze barocche. Sono inoltre elementi sintat-tici che già diversamente costellano, con minore insistenza e affiancati dasoluzioni più innovative, la prosa settecentesca del letterato veronese Be-celli, benché propugnatore di un conservatorismo linguistico rigorosoparticolarmente avverso alle pur caute aperture dei programmi dell’Acca-demia della Crusca durante i lavori della IV edizione del Vocabolario 16.

Da un primo sguardo panoramico ai dati percentuali si può notareche ben cinque autori (Manzoni, Grossi, Guerrazzi, Verga e Rovani) pre-sentano come assoluta la giacitura ordinaria di ‘Ausiliare+Participio’, eche altri quattro romanzieri (D’Azeglio, Tommaseo, Nievo e Ranieri)presentano per lo stesso fenomeno valori che non scendono sotto la per-centuale del 95%, lasciando quindi all’inversione (‘Participio+Ausiliare’)uno spazio episodico. Spicca invece come un unicum il caso di Rosini(22% di inversioni). L’episodicità generale è poi confermata anche dalleesigue ma pur presenti occorrenze riscontrate nell’uso giornalistico, comeindicano gli spogli di Bonomi 1974 e Masini 1977, con il fine di conferireun più accentuato tono letterario. Inoltre, se si analizzano più nel detta-glio del testo le occorrenze di giacitura inversa trovate, si può ben affer-mare che essa è un fenomeno in via di sparizione, tanto più evidente inconsiderazione del fatto che se ne rileva l’assenza anche nei due romanzidel nostro corpus che più si collocano, sia per programma sia per risultati,a notevole distanza da una via ‘media’: Il Duca d’Atene di Tommaseo eLa Battaglia di Benevento di Guerrazzi. Per quel che riguarda il Ducatommaseiano occorre tenere in particolare conto la programmaticità e laconsapevolezza dell’esperimento di una riproduzione fedele dell’ambien-tazione trecentesca della vicenda, che coinvolge anche il piano linguisti-co. Quest’ultimo presenta «un impegno espressivo assai diverso da quel-lo, più corrente e spesso più opaco, dei romanzi storici coevi» 17. CircaGuerrazzi, invece, sullo stile alto e teso della sua prosa e sulla sua fede

parte; Rohlfs 1969, §§ 982-983; Tekavc∨ic 1972, pp. 683-693; Bonomi 1974; Masini1977; Patota 1987; Maiden 1998.

14 Bozzola 2004, p. 39.15 Bozzola 1996.16 Vitale 1986a, pp. 173-271; Vitale 1986b, pp. 383-506.17 Petrocchi 1988, p. 36. Sull’esperimento linguistico e narrativo del Duca riman-

diamo inoltre a Duro 1942, Puppo 1948 e Cartago 2000.

83

puristica in materia di lingua 18 sono ben nota testimonianza i suoi inter-venti e le sue dichiarazioni programmatiche (si scorra per esempio il suogiovanile Su la lingua 19) nonché la maggior parte dei suoi romanzi 20. An-che sul fronte grammaticografico le indicazioni relative alla precessionedel participio rimandano ad un utilizzo in ambito esclusivamente poe-tico 21.

Ma vediamo i casi di inversione trovati: si tratta esclusivamente (aparte i casi di Rosini) di una formula di espressione temporale (il tipo: ar-rivato che fu) che forse oggi risulta un po’marcata 22, ma che è contempla-ta senza particolari commenti sia nella grammatica di Fornaciari sia inquella di Morandi - Cappuccini 23. Si ritrova infatti in passi – dialogici ediegetici – ora piani, ora sostenuti (enfatici e solenni), ora più spigliati:

Arrivati che fummo in sulla piazza, donna Mariantonia vide da sé labotteguccia, e torreggiarvi entro l’immensa corporatura della padrona;(G 1862, pp. 42-43)

– Senza metter tempo in mezzo, vado, ed ottenuto che l’abbia, ritorno.(EF 1833, p. 33)

Finito ch’ebbe l’Oricellai, sorse il Bordoni, e traendo la spada, senzafar parola s’avventò sopra Tile, il qual non trasse la sua. (DA 1858, p.47)

Ma parve che il gusto dei viaggi le passasse presto, perchè di lì a quat-tro mesi tornò senza marito, abbronzata dal Sole di Smirne, e per dipiù gravida. Detto fatto, partorito che la ebbe 24, mi mandò senza com-plimenti a Fratta in un canestro; (CdUI 1858, p. 92)

18 Si vedano soprattutto gli studi critici di Falaschi 1972 e 1975 e Rosa 1990. Per laquestione, inoltre, cfr. supra, I.5.

19 Guerrazzi 1826.20 Almeno fino all’altezza cronologica del 1854; si vedano a questo proposito le pa-

gine di Constable 1966.21 «I verbi ausiliarii che formano i tempi composti […], si antepongono sempre al

respettivo participio; […] Nella poesia è lecito anteporre il participio» (Fornaciari1881, p. 442). Oppure, quando la trattazione dell’ordine delle parole è presente, si in-dica come normativa solamente la giacitura progressiva di ‘Ausiliare+Participio’: «IlParticipio se sta con l’ausiliario, si mette dopo di esso, come - È DETTO - HA DETTO -»(maiuscoletto del testo; Rodinò 1870, p. 145).

22 A questo proposito Serianni (1989a, p. 607) avverte che è un modulo tipicamen-te narrativo e cita due esempi tratti da Pinocchio di Collodi; ancor più esplicitamente lodefiniscono di «lingua letteraria» Dardano - Trifone (1997, p. 418) pur utilizzando dueexempla ficta, e «forma di stile alto» lo etichetta la GGIC, II, p. 727; di diverso orienta-mento Rohlfs 1969, § 990 che definisce il costrutto come attuale ma cita esempi trattidal Decamerone, dallo Straparola, dal Manzoni.

23 Fornaciari 1881, p. 370; Morandi - Cappuccini 1897, p. 231.24 Si noti l’immissione, nella formula temporale, del pronome atono soggetto (la) di

marca toscana ma anche dialettale settentrionale (Mengaldo 1987 e Dramisino 1996).

INVERSIONI DEL VERBO

84 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

La vera eccezione, si diceva, nella rosa dei nostri dieci autori è costituitadalla prosa del toscano Rosini che viceversa presenta un alto numero diinversioni (40, pari al 22%), che per molta parte esulano dal tipo vistopiù sopra. Tutte, eccetto una, si ritrovano nel piano della diegesi.

– Geltrude, risposele Egidio: e a me pur duole di quella sventurata; magli ordini erano imperiosi. Se obbedito non avessi, dove mi resterebbeun asilo? (MM 1829, pp. 20-21)

Udì Geltrude con sorpresa, che tornata era Agnese (MM 1829, p. 9)

Tali inversioni, veri pimenti di letterarietà, hanno però anche il compitodi mettere in rilievo il participio e quindi il suo contenuto semantico25.Nel caso del dialogo, infatti, l’inversione viene utilizzata come un espe-diente per focalizzare l’imperiosa necessità dell’obbedienza; nel secondocaso si potrebbe invece intravedere un tentativo di spartire la rematicità,e quindi l’informazione nuova e ‘sorprendente’ per Geltrude, tra il sog-getto Agnese (posto significativamente dopo il verbo) e il fatto stesso delritorno (inaspettato) di Agnese al convento di Monza.

La necessità di simular tutto giorno per nascondere gli effetti d’unafiamma senza pari, dato aveano a Geltrude l’abitudine di atteggiare ilviso a sua posta. (MM 1829, p. 10)

Si procurò le opere tutte d’Ovidio: e vi imparò di buon’ora i precettidella seduzione. Le sue prime prove fatte furono su vittime volgari, chevendendo il silenzio e il disonore per prezzo, assuefanno i potenti aporre tutte le cose del mondo a tariffa. (MM 1829, p. 14)

E il sospetto si accrebbe quando Agnese, che assisa si era in un canto(seguitando pur a piangere tutta sola, e a rammaricarsi), alzatasi ad untratto … (MM 1829, pp. 11-12)

Egli non insegnava apertamente l’eresia, (chè corso avrebbe troppograve pericolo), ma trovato avendo nella mente del discepolo disposi-zioni straordinarie ad imbeversi di quelle opinioni, seppe con tale arte(MM 1829, p. 15)

Chiamato nel suo letto di morte da Rizio, e fatto inteso di quel che pas-sava tra Egidio e la sua sorella […], vantato si era di vendicarsi. (MM1829, pp. 19-20)

Per questi nuovi esempi proposti risulta più difficile ipotizzare ragioni dimessa in rilievo per fini comunicativi particolari; tali casi paiono, dunque,nel contesto referenziale in cui sono inseriti, un vero e proprio relitto tra-

25 Si veda Rohlfs 1969, § 990, che si riferisce precipuamente alla posizione antepo-sta del participio in posizione abruptiva. Fornaciari 1881, p. 442 invece, come si è espo-sto in precedenza, lo indica in realtà solo come modulo poetico.

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dizionale della prosa di stile ‘alto’, nonché un usus dell’autore 26.Tornando ad un prospetto generale dei dati percentuali, minori risul-

tano in termini assoluti le occorrenze invertite per le stringhe ‘VerboReggente+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’, che esibiscono quindi l’ordine li-neare più comune e meno connotato di posposizione dell’infinito27; ma aben guardare, risultano più presenti dei casi di inversione del participio(che abbiamo visto neutralizzarsi, quasi, nella formula temporale illustra-ta più sopra), se teniamo separati, come riteniamo utile fare, gli esempirosiniani. Questa tendenza appare pienamente in accordo con una prassiancora in vigore – limitatamente – nella scrittura giornalistica: Masini(1977, pp. 110 ss.) rileva, infatti, nei suoi quotidiani milanesi una maggio-re frequenza di occorrenze di infiniti preposti al verbo reggente, rispettoai casi riscontrati di precessione del participio sull’ausiliare; ancora, Sca-vuzzo 1988, p. 95 e Sboarina 1996, pp. 153 ss. parlano dell’inversionedell’infinito additandola come uno degli espedienti più facili e immediati«per elevare il registro».

Qualche episodio sporadico di inversione di ‘Infinito+Verbo Reggen-te’ si ha in Tommaseo (2 casi), Nievo (1 caso) e Rosini (6 occorrenze).Presentiamo gli esempi del Duca:

– Tante grazie dalla larghezza del duca in voi versate, tante inimicizieconciliate, tante turbolenze che […] sarebbero pullulate, voi teneteadunque, o Fiorentini improvvidi, per niente? Che se gravezze sono, equando non furono? Ma poiché a pagarle siete bastati finora, di che vidolete? Perché guaite? (DA 1858, p. 83)

Quel dell’Antella guardava al Buonaccorsi: e volevan parlare, e non sa-pevano che. Andarsene non osavano: e tra i Borgognoni qua e là schie-rati passeggiavano la piazza, come oziosi aspettanti. (DA 1858, p. 79)

Fornaciari 1881 e Rohlfs 1969 commentano l’anteposizione come unamessa in rilievo dell’infinito a fini enfatici. Certamente il risultato ottenu-

26 Inversioni di questo tipo (‘ausiliare/participio’, ma anche ‘infinito/verbo reggen-te’ e ‘infinito/verbo servile’) si riscontrano anche in altri scritti di Rosini, come peresempio nell’orazione proemiale alle lezioni di Eloquenza Italiana tenuta nell’Universi-tà pisana nel 1806 (cfr. Rosini 1808): «parmi di averlo presentato in un aspetto, nel qua-le forse altri riguardato non l’aveva» (p. IV); «e le avvertenze che far vi potessero tutticoloro che professano o coltivano le lettere» (p. VI); «chi più di me temer dovrebbe lataccia d’imperdonabil temerità» (pp. 4-5); «Invano si accorsero essi che richiamar piùnon poteasi, e far riviver sulle labbra dei Guelfi e dei Ghibellini, la lingua d’Augusto edi Mecenate» (p. 8).

27 Significativo infatti, a questo proposito, che nell’intero romanzo manzoniano ledue uniche occorrenze di inversione (dell’infinito retto da verbo servile) compaianonell’Introduzione «a caratterizzare la goffaggine ambiziosa dell’anonimo secentista»(Patota 1987, p. 152).

INVERSIONI DEL VERBO

86 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

to è quello, ma può non essere inutile a volte riconsiderare questa prassiin termini informativi. Nel primo esempio, infatti, la posizione dell’infini-to appare quasi ricoprire un ruolo tematico (tanto più avvalorato dallapresenza del clitico, anaforico di gravezze) mentre l’accento è posto sullaiterata (e quindi iterabile) accettazione da parte del popolo fiorentino diun modo di governare ritenuto legittimo dall’arringatore. Nel secondoesempio, invece, più sfumata ci pare la divisione dei ruoli informativi ri-coperti dalle due parti (infinito e verbo reggente), che accorperemmo inun’unica unità rematica messa maggiormente in rilievo, questa volta sì,dalla semplice inversione topologica dell’ordine usuale.

L’isolata occorrenza nieviana 28, anch’essa dialogica, appartiene inve-ce a tutt’altra ambientazione e tempra stilistica:

– Come non resta nulla? […] – Sappi, o disgraziato, che gli infedeli ri-conquistarono la Terra Santa e che ora che parliamo un bascià del Sul-tano governa Gerusalemme, vergogna di tutta Cristianità.– Pregherò il Signore che cessi una tanta vergogna; soggiunse Orlando.– Che pregare! Fare, fare bisogna! – gridò il vecchio Conte. (CdUI1958, p. 25)

È un passo di consumata perizia mimetica che asseconda l’emotività e-splosiva 29 della risposta finale del Conte di Fratta (qui a colloquio con ilfiglio Orlando destinato alla carriera militare secondo l’avita tradizionefamiliare) deluso dal suo placido rampollo per gli inaspettati desideri pre-latizi espressi. L’anticipazione dell’infinito, un po’ per attrazione omote-leutica dell’infinito esclamativo precedente, ha buon gioco a scardinarel’ordine normale sia come contraltare immediato e ossimorico all’iracon-do Che pregare! con cui esordisce fuori di sé il vecchio Conte, sia prag-maticamente creando una sorta di topicalizzazione contrastiva appenasconnessa sintatticamente e ben presto ricondotta alla regolarità dall’ag-giunta, dopo l’iterazione dell’infinito, di un verbo reggente (bisogna).

I sei esempi presenti in Rosini (di cui 1 solo in DL) paiono, invece,piuttosto inerziali e solo in qualche caso lievemente enfatizzati:

[…] la quale uscita per un’incombenza dal monastero, tornar non sivedea da tre ore. (MM 1829, p. 10)

Con tanti pregi molte donne avea già sedotte, molte a sedurne si appre-stava; (MM 1829, p. 17)

28 Ma altrove («l’Epistolario […] appare più togato delle Conf.[essioni] e delle altreopere narrative dell’autore») Nievo vi ricorre con maggiore frequenza «più per unapreoccupazione generica e quasi automatica di letterarietà che per intenzioni stilistichevia via più precise» (rispettivamente Mengaldo 1987, pp. 108 e 107).

29 Si veda anche Gossen 1954, pp. 81-82.

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Nulla saper fece a Geltrude; nè (quantunque gli dolesse) lasciò lettereper lei, onde impedire che, anco dopo la sua morte, potesse mai venireoffesa nell’onore. (MM 1829, p. 42)

Passando, ora, ai casi di inversione dell’infinito con i verbi servili, si notaun’ulteriore accentuata sporadicità del fenomeno, viceversa ancora pre-sente nei quotidiani con finalità di innalzamento del livello stilistico30. Aparte la prosa di Rosini che ne contempla un discreto numero (pari al23%), si ha una sola occorrenza in Tommaseo.

– Non ubbidite, padre mio; non andate. Le vie di fuggire non mancano.– Fuggire non posso, figliuola; e sarebbe o vano, o più dannoso, forse ame, forse a molti. (DA 1858, p. 37)

L’esempio tommaseiano, dialogico, si inserisce in un momento dramma-tico della storia, quando Antonio degli Adimari, sospettato di esser acapo della congiura, è richiamato a Palazzo dal Duca d’Atene Gualtieridi Brienne; l’ora è estrema per l’Adimari e il saluto alla figlia Matilde sicarica implicitamente dell’incertezza del ritorno. Ancora una volta, pos-siamo considerare che a livello pragmatico l’infinito anteposto ha qui va-lore tematico (si noti che il concetto di fuga era già stato espresso e pro-posto dalla figlia Matilde nella battuta precedente) e ciò che conta (l’in-formazione nuova e decisiva) è la negazione della possibilità o della con-venienza della fuga, quindi il modulo tradizionale si piega proficuamentead un fine comunicativo-informazionale particolare.

Gli esempi di Rosini (di cui 1 solo in sede di mimesi), pur cospicui,appaiono ancora una volta come tratti tradizionali, utilizzati o inerzial-mente o con funzione latamente ‘stilistica’ nel loro rimandare ad uno stileprosastico consolidato in testi ampiamente modellizzati.

La buona donna si arrestò per un momento (chè comprendere nonpuò chi nacque in umile stato, come unir si possa col delitto una sì cru-dele tranquillità) (MM 1829, p. 10)

[…] attendendo con impazienza straordinaria la notte stabilita, nellaquale trovar si dovea con Egidio. (MM 1829, p. 13)

– Nella prossima notte recherò meco quanto abbisognar può pel rima-nente del tuo abbigliamento. (MM 1829, p. 22)

Appena più enfatizzata semanticamente qualche occorrenza:

30 Si vedano ancora Masini 1977; Scavuzzo 1988; Sboarina 1996. Dalle concordan-ze di SPM, inoltre, risulta che la precessione dell’infinito con i modali volere, potere, do-vere è attestata su percentuali che oscillano da un 3% (con volere) ad un 4,3% (con po-tere), e ad un 5,7% (con dovere). Infine, anche Telve 2004 rileva la presenza, all’internodei libretti di Boito, della giacitura diretta ‘potere+infinito’, come segnale di un anda-mento ‘dialoghista’.

INVERSIONI DEL VERBO

88 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

Le minacce […] si partivano dalla pienezza del cuore, per l’offesa chepervenivane alla sua famiglia. Vendicar voleva l’ingiuria; (MM 1829, p.19)

2. TMESI DEL VERBO

Un primo sguardo ai dati emersi dallo spoglio ci consente di constatareche i valori percentuali del fenomeno oscillano in media approssimativa-mente tra i 10 e i 30 punti percentuali, con isolati picchi massimi per al-cune tipologie (52% in Nievo per le tmesi di ‘Verbo+Infinito’) e minimiper altre (4,5% in Verga per le tmesi di ‘Servile+Infinito’). Una prassiche si contrappone a quella ancora viva sia nella prosa della seconda me-tà del ’700 31:

[…] hanno di questi segnali instituito un commerzio (Parini)

Ho due volte con mie lettere pregato quel signore (Muratori)

[…] fu loro dalle Signore aperto il Castello (G. Gozzi)

Io dunque non voglio a questa mia Vita far precedere né deboli scuse,né false o illusorie ragioni (Alfieri)

sia in quella dei giornali 32 ottocenteschi (benché più sporadicamente chenella prima) in cui in realtà i costrutti tradizionali sono spesso novella-mente ‘reinterpretati’ in linea con le esigenze di sintesi espressiva tipichedella scrittura giornalistica. Si vedano, per esempio, i seguenti casi 33:

[…] 120 emigrati furono stamane, da quella città, colla prima corsadella ferrovia, traslocati a Torino («Il Pungolo»)

[…] il Diritto di jeri fu all’ufficio postale di Milano, per ordine dellaregia procura, sequestrato («La Perseveranza»)

[…] il ministro ha creduto di poterlo, senz’aspettare i risultati del giu-dizio, destituire («La Perseveranza»)

in cui l’elemento interposto, spesso tra due virgole che ne enfatizzano ilcarattere di inciso informativo, addensa in sé determinazioni di luogo,tempo e circostanza, funzionali ad una informatività il più possibile com-pleta e sintetica (come si nota soprattutto nel primo esempio).

Il secondo dato di spoglio, inoltre, che appare con evidenza è la vera

31 Il riferimento obbligato è a Patota 1987, pp. 38 ss. da cui traiamo gli esempi.32 Si vedano Bonomi 1974, p. 246; Masini 1977, p. 110; Scavuzzo 1988, p. 95 e

Sboarina 1996, p. 154.33 Masini 1977, p. 111.

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e propria episodicità del fenomeno della tmesi in concomitanza con quel-lo dell’inversione 34, di per sé già poco frequente, se si eccettua, come si èvisto, il caso di Rosini (cfr. supra, I.1). Quest’ultimo, infatti, è l’unico au-tore che presenti contemporaneamente inversione e tmesi, pur sporadica-mente; la sua prassi scrittoria si caratterizza, quindi, per l’accoglienza ditratti fortemente tradizionali e conservativi senza una complessiva preoc-cupazione di volgere l’elemento letterario in lezione di stile o di preziosi-smo linguistico consapevolmente finalizzato. Mi pare, invece, che talitratti, relitti di una consuetudine letteraria avita, assorbita qui senza trop-pe pretese ricreative, ben si attaglino a quel carattere erudito che dominaanche la ‘costruzione’ dell’intera sua narrazione, basata più sull’affastella-mento descrittivo della società e dell’ambiente culturale toscano secente-sco, che su un vero intreccio narrativo 35. Qualche esempio:

Due figliolini, che nell’assenza dello sposo recati ell’erasi a dormirseco. (MM 1829, p. 68)

[…] ma non le cadde nè pure in pensiero, ch’esser questa potesse lamaggiore per lei. (MM 1829, p. 68)

[…] onde annunziare ad un padre snaturato, che questo non era senon il primo sorso della coppa di morte, che inghiottir egli dovea sinoalla feccia. (MM 1829, p. 70)

3. TIPOLOGIA DELLE TMESI

Al di là dei dati numerici generali, che pur possono fornire in prima istan-za qualche informazione significativa, maggiori indicazioni fornisce l’anali-si della natura e della quantità degli elementi interposti nelle tmesi: da unsemplice avverbio (come già, mai, allora, ecc.), a un complemento indiret-to (tipico il caso del complemento d’agente con una forma passiva), a unavera e propria subordinata; giacché, come è stato precedentemente av-vertito, solo alcune tmesi possono assumere quel valore di increspaturasintattica che le renda ‘marcate’ rispetto ad un ordine più lineare36, dipen-dendone la diversa complessità dalla natura logico-grammaticale e dal-la funzione ora retorica ora testuale degli elementi linguistici frammessi.

Ad una prima generale analisi dei dati riscontrati possiamo avvertireche gli elementi più frequentemente interposti sono quelli che potremmo

34 Se ne riporta, in Patota 1987, p. 151, un solo esempio di Maffei (immaginare egliallor non sapeasi) all’interno, però, di una sezione che tratta della sola inversione.

35 Si vedano per questo giudizio anche le pagine introduttive di Romagnoli 1971 el’intervento di Cordiè 1981.

36 Per la questione della marcatezza rimandiamo alle Indicazioni di metodo.

TIPOLOGIA DELLE TMESI

90 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

riunire sotto la dicitura di area avverbiale (avverbi semplici, avverbi conterminazione in -mente 37, locuzioni o espressioni avverbiali più estese), eche coincidono, quindi, con gli usi ancora attuali del fenomeno dellatmesi 38. Mentre in merito alla differenziazione tra piano dialogico e nar-rativo, si rileva un andamento piuttosto chiaro: in sede mimetica per ledue giaciture di ‘Ausiliare+Participio’ e ‘Verbo+Infinito’ la percentualetotale delle occorrenze delle tmesi è sensibilmente minore (circa un terzoscarso) di quella riscontrabile in diegesi; lievemente più alta la percentua-le per la sequenza ‘Servile+Infinito’ (poco più di un terzo). In linea, dun-que, con una più moderna ma anche più naturale differenziazione tra lescelte linguistico-espressive dei due piani. Ma vediamo più analiticamen-te i risultati.

3.1. Tmesi per avverbio

La separazione tramite avverbio risulta nel nostro corpus la più frequente:quasi il 60% della totalità delle tmesi riscontrate per la stringa ‘Au-siliare+Participio’, ed in quella di ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’ ri-spettivamente il 30% e il 44% circa; a questi dati si aggiungano inoltrequelli relativi ai casi degli avverbi in -mente e delle locuzioni avverbialiche abbiamo tenuti divisi (come indicato più sopra).

La tipologia di queste tmesi, che si allinea fortemente con quelle an-cora possibili nell’italiano contemporaneo, e il loro dato numerico metto-no dunque in rilievo, per questo aspetto, il carattere già di prevalentemodernità della prosa dei nostri romanzi. Sulle occorrenze contempora-nee, infatti, Serianni evidenzia la limitatezza delle escursioni dal modulocorrente (‘Servile+Infinito’), attraverso l’interposizione di alcuni tipi diavverbio e di alcune congiunzioni coordinative (assolutamente, probabil-mente, quindi, anzi, ecc.) 39. Parallelamente già Fornaciari 1881 contem-plava come usuali solo le interposizioni, tra ausiliare e participio e traverbo reggente e infinito, di «avverbii e frasi avverbiali, purchè non deb-ban esser messi in molto rilievo» (p. 442). GGIC, II, nell’ampia trattazio-ne del sintagma avverbiale (della cui impostazione generale si è tenutoconto) distingue più ampiamente le diverse possibilità di collocazione

37 L’opportunità di una differenziazione dagli avverbi semplici viene dalla constata-zione che il corpo fonico degli avverbi in -mente, più percepibile, genera in qualchecaso una maggiore distanziazione degli elementi separati.

38 A parte il filone classicistico della prosa boccacciano-bembiana, la separazioneper avverbio è quella più frequente già in certa prosa secentesca (cfr. Piotti 2001).

39 Serianni 1985, p. 127.

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dell’avverbio in base alla sua funzione 40: gli avverbi di grado, che sonosempre in -mente, possono trovarsi ora inframmessi tra ausiliare e partici-pio, ora dopo quest’ultimo (mi ha terribilmente disturbato / mi ha distur-bato terribilmente), e in posizione interausiliare si possono anche ritrova-re gli avverbi focalizzanti (p. 355) e restrittivi (p. 360).

I dati da noi raccolti mostrano per la stringa ‘Ausiliare+Participio’una tendenza ad evitare nei dialoghi tmesi elaborate. Le tmesi riscontrate,infatti, compaiono nel dialogato di tutti gli autori 41 e riguardano soprat-tutto, come al solito, la frammissione degli avverbi 42 (per lo più semplici,rari invece quelli in -mente). Ma per meglio comprenderne il valore nonsarà inutile operare delle distinzioni in base al tipo di avverbio presenta-to: alcuni avverbi, infatti, possono trovarsi più o meno indifferentementein posizione inter-ausiliare o post-participiale (molti avverbi in -mente, aseconda della loro funzione), altri invece hanno collocazione topologicaoggi grammaticalizzata (già 43, mai 44, bene 45, quasi, forse 46). Anche Forna-ciari 1881 indica tra gli avverbi più frequentemente interposti tra ausilia-re e participio quelli come «più, mai, bene, solamente, ecc.» (p. 444). Letmesi ottenute quindi attraverso questa tipologia di avverbi risultano dav-vero poco incidenti sul dettato prosastico e rappresentano anzi degli ele-menti ascrivibili agli usi consolidati della langue in coincidenza con quellicontemporanei:

– […] quando ha ben pranzato 47 e meglio cenato gl’importa di noi piùche del cuero de sus zapatos. (corsivo del testo; EF 1833, p. 7)

– […] penso al buon cavallo che quel barone m’ha quasi ammazzato

40 Per le funzioni (specificatori del sintagma avverbiale; avverbi di predicato tipo com-plementi; avverbi di predicato tipo specificatori; avverbi esterni al predicato) rimandiamoa GGIC, II, pp. 341 ss.

41 Fa eccezione la Ginevra di Ranieri in cui non si sono rilevate occorrenze di tmesiper avverbio nelle sporadiche tracce di discorso diretto riportate nel romanzo (e quindiancor più sporadiche nel campione analizzato), in quanto esso è costituito prevalente-mente dal resoconto diaristico in prima persona della protagonista.

42 Frapposizioni che Manzoni spesso eliminerà nel processo correttorio (cfr. Men-cacci 1995, pp. 150-151).

43 Il DISC così riporta per già: «di norma è posposto (raramente anteposto) al v. ointerposto alle forme composte o perifrastiche».

44 Nel DISC di mai viene detto: «con non, a eccezione che nel l. lett., è pospostoalla negazione o al verbo o al solo ausiliare […]: non mi saluta mai; non è mai soddisfat-to; non l’ho mai sentito protestare».

45 In qualità di avverbio risultativo lessicale (cfr. GGIC, II, p. 354).46 Il DISC non riporta un’indicazione rigida o significativamente distintiva della

collocazione di forse, ma negli esempi interrogativi in cui compare con valore frasale èsempre posto tra ausiliare e participio.

47 Qui ben è un avverbio risultativo lessicale (GGIC, II, p. 354) la cui posizione in-fra-ausiliare è normalmente contemplata.

TIPOLOGIA DELLE TMESI

92 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

seguitando a menar le mani da pazzo (EF 1833, p. 17)

– […] d’un dritto che so io? … d’una certa roba che non ho mai senti-to menzionare. (MV 1840, p. 9)

Un po’ più connotati i seguenti esempi:

– […] debbo in nome della mia setta, alla quale altre parecchie si sonounanimemente congiunte […] rendere grazie (DA 1858, p. 60)

“Gismonda! […] perché mi ha lasciato mia madre? Le son forse dive-nute troppo gravoso incarico le membra di sua figlia?” (BdB 1852, p.39)

Sebbene, nel primo caso, trattandosi di un avverbio di maniera risultati-vo la scelta inter-ausiliare o post-participiale sia comunque lecita (cfr.GGIC, II, pp. 354, 356-357), e, nel secondo, sia usuale e frequente l’in-terposizione di forse, soprattutto in interrogativa retorica, ci pare che icontesti mimetici di questi due romanzi generalmente caratterizzati dauna tensione espressiva e stilistica incontestabili, possano farci propende-re per una valutazione della scelta dell’interposizione come una strategiastilistica, funzionale anzi al tono già altamente letterario ed enfatico (so-prattutto nella seconda citazione) delle battute dialogiche.

Similmente possiamo commentare le tmesi di ‘Verbo+Infinito’ e ‘Ser-vile+Infinito’ ottenute sempre per inserimento di un avverbio. Esse sonopresenti in tutti gli autori (con la solita eccezione di Ranieri 48) e persisto-no anche nella prassi correttoria di Manzoni, nella quale si hanno sia del-le eliminazioni di tmesi sia qualche aggiunta ex novo 49. Molti avverbi, an-cora una volta, sono interposti non per frutto di una scelta stilistica o co-municativa particolari ma per scelta adiafora:

– […] mi muove un certo sentimento, che nemmeno io posso ben capi-re (EF 1833, p. 22)

– […] forse non è lontano l’ora in cui questi stranieri orgogliosi e ferocisaranno costretti a ripassare le Alpi, in cui l’Italia tutta leverà un solgrido, e i suoi re dovranno finalmente 50 sentire la voce del suo popolo.(CdM 1861-2, p. 46)

o per grammaticalizzazione:

«e, appunto perchè lei non vuol mai dir la sua ragione, siam ridotti asegno che tutti vengono, con licenza, a …» (PS 1840, p. 24)

48 Si veda supra, nota 41.49 Cfr. Mencacci 1995, p. 153.50 Su finalmente il DISC riporta: «può essere anteposto, interposto o posposto alla

frase a cui appartiene».

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– È il signor Amorevoli che non vuole più cantare … (CA 1868-9, p.82)

– Non vorrete già pretendere che qui il nostro bimbo faccia da sè solouna crociata. (CdUI 1858, p. 25)

Altri casi, pur rappresentati da avverbi di grado e maniera la cui posizioneinter-ausiliare o post-participiale è parimenti adottabile (cfr. GGIC, II, p.347), contribuiscono ad un dettato più prezioso, meno consono alla me-dietas espressiva, proprio perché la scelta della collocazione che forma latmesi appare in concomitanza con un contesto scrittorio decisamente ela-borato quanto a scelte lessicali, fonomorfologiche, microsintattiche (si ve-dano i successivi obliare, ridotta nella tua segreta cameretta, nella memoriadegli anni che furono, donami un sospiro un sospiro … una lagrima 51):

“Ora tanta mi recano esultanza le parole vostre, che ogni sconfortodella passata mia vita mi fanno interamente obliare.” (BdB 1852, p. 32)

“Ma quando lontana da tutti, ridotta nella tua segreta cameretta, potrailiberamente trattenerti nella memoria degli anni che furono, oh! allora,mia cara Gismonda, allora donami un sospiro un sospiro … un pensie-ro … una lagrima …” (BdB 1852, p. 16)

Altri casi ancora, in cui compaiono più propriamente delle locuzioni av-

51 In realtà all’alternanza di lagrima/lacrima, come ben riassume Serianni 2001, nonsi può assegnare distintamente un discrimine stilistico; infatti, benché la lezione con lasonora appaia preponderante nei poeti ottocenteschi, la forma lacrima/e è costante nonsolo in Giusti (in cui potrebbe essere tratto colloquiale), ma anche in Leopardi. Al difuori dell’ambito prettamente poetico, inoltre, l’oscillazione presente nei testi letterariottocenteschi, spesso in un medesimo passo, può essere il semplice risultato di una ne-cessità di variatio (cfr. Serianni 1986); per la seconda metà del secolo precedente, invece,la forma con la sonora è costante (cfr. Patota 1987, p. 57). Anche la lingua giornalisticatestimonia per la prima metà dell’Ottocento (cfr. SPM) una prevalenza della forma so-norizzata (considerando sia lagrima sia il plurale lagrime, si sono riscontrate 62 occorren-ze di contro alle sole 4 con la sorda), mentre negli spogli giornalistici di Masini 1997, chegiungono fino alla fine del XIX secolo si hanno, per l’oscillazione in questione, dati qua-si paritari (si veda quanto riportato in Cartago 2000, p. 721), con un aumento, quindi,della forma con la sorda. Quest’ultimo rilievo, lungi dal volere tracciare un sicuro per-corso statistico in merito alla questione, ci è parso però significativo alla luce dell’effetti-vo prevalere poi, nel corso del tempo, della forma lacrima, per noi oggi la sola comune(se il Tommaseo - Bellini, infatti, rimanda dal lemma lacrima a quello con la sonora, ilBattaglia ormai giudica lagrima come ‘letteraria’). Ci pare dunque, pur con le dovutecautele, che la presenza della forma lagrima nell’esempio guerrazziano possa essere valu-tata come non del tutto adiafora, anzi forse connotata in qualche modo: innanzitutto perl’insistenza della variante con la velare sonora nel passo citato (compare ben tre voltenella stessa pagina), in secondo luogo considerando la divergenza dagli esiti della corre-zione manzoniana, che vedono la quasi totale scomparsa del tipo sonoro (con un’unicasopravvivenza). Dai dati LIZ 4.0 si ricava che alle 25 occorrenze di lagrime presenti nel-l’edizione del 1827 fanno riscontro i corrispettivi 24 casi di lacrime della II edizione.

TIPOLOGIA DELLE TMESI

94 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

verbiali (di tempo), presentano una collocazione più marcata:

– Ma se posso una volta veder questa razza di là dall’Alpi … (EF 1833,p. 36)

– Più d’una volta l’ho visto sul tardi entrare in un battello solo, allonta-narsi e girare dietro il castello. (EF 1833, p. 22)

Sul piano narrativo prevalgono ancora una volta in termini assoluti i valo-ri delle tmesi per avverbio, con una percentuale del 45% per la sequenza‘Ausiliare+Participio’ e del 23-27% per ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infi-nito’, a cui si aggiungono i dati relativi agli avverbi in -mente, che com-paiono più copiosamente proprio in diegesi, data la loro maggiore possi-bilità di assumere rilevanza distanziatrice (come si vedrà più oltre). Qual-che esempio è assolutamente grammaticalizzato:

[…] così si chiamava il falconiere, il quale fino a quel punto non aveamai aperto bocca. (MV 1840, p. 11)

[…] vide tutte le sue damigelle confuse di vergogna, e la gentile Gi-smonda in tale stato da non potere più intendere tanto disperate paro-le. (BdB 1852, p. 16)

Ella non aveva mai veduto sì bello suo cugino. (CdM 1861-2, p. 38)

[…] e sotto i tigli de’ pubblici giardini abbiam sostenuto del braccioquando non poteva più soddisfare al suo orgoglio di camminare isola-to; (CA 1868-9, p. 69)

E’ correva per la via con in cuore una smania rabbiosa, simile alla sma-nia del traditore che riconosce sé stesso; e il nome di traditore, non glipareva tuttavia meritarlo. (DA 1858, pp. 33-34)

L’ultimo, di Tommaseo, appare senza dubbio più marcato dei preceden-ti. Ma a ben guardare la sensazione della minore ‘normalità’ espressiva at-tribuibile al passo è data non tanto dall’inframmissione di un elemento, ametà tra avverbio e congiunzione coordinativa avversativa, collocabile,condivisibilmente anche oggi, tra verbo reggente e infinito retto (per es.non gli sembrava però di meritarlo), quanto piuttosto dalla presenza dellacongiunzione avversativa più scelta (tuttavia e non il però del nostro e-xemplum fictum), dall’assenza della preposizione di, usuale invece tra ilverbo parere e l’infinito da esso dipendente, nonché dalla forte anticipa-zione dell’oggetto (il nome di traditore). Ancora più a monte, poi, la scel-ta del lessico e delle immagini: correva per la via con in cuore una smaniarabbiosa, simile alla smania del traditore. In qualche altro caso la posizio-ne infra-ausiliare calca sulla funzione semantica dell’avverbio coadiuvata,come nei seguenti esempi, dalla presenza di un più evidente corpo fonicodell’avverbio stesso (in -mente):

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[…] di conoscere l’uomo, che aveva sì fortemente legato il cuore diGeltrude. (MM 1829, p. 13)

[…] onde nasceva tra questa turba una mirabile varietà e vaghezza nel-le fogge, ne’ colori e nel portamento, dal quale si poteva facilmente co-noscere a qual nazione appartenesse ogni individuo. (EF 1833, p. 5)

[…] allora finalmente cominciai a comprendere il senso della scena av-venuta, la quale fino a quel momento io aveva stupidamente guardatasenza intendere. (G 1862, p. 16)

3.2. Tmesi per soggetto e per complemento indiretto

Ritornando al commento delle percentuali complessive ottenute dallospoglio, riscontriamo un secondo dato di rilievo dopo quello delle tmesiper avverbio: la separazione attraverso interposizione di un soggetto (15-20%; per es. aveva egli aspettato lungo tempo; volevano i suoi genitori par-tire l’indomani; riuscirono le compagne a sottrarle la lettera) seguita daquella ottenuta attraverso un complemento indiretto; quest’ultimo piùspesso rilevabile tra verbo reggente o verbo servile e il relativo infinito di-pendente (circa il 22% in entrambi i casi; per es. sentì per fine udito con-versare al di là della porta; voleva con gran furore mettere mano alle carte),che non tra ausiliare e participio (9% circa; per es. fu con gioia rispedito alluogo di origine).

A livello dialogico, la percentuale relativa all’inserimento del soggettotra Ausiliare e Participio è rappresentata per lo più 52 da casi che possonorientrare in quelli tradizionali e ben noti di posposizione del soggetto infrase interrogativa 53. Gli autori in cui il fenomeno compare sono signifi-cativamente Rosini, Tommaseo, Guerrazzi, la cui prosa accoglie quei trat-ti definibili come più conservativi.

– Oh, quale esclamazione avete voi fatta? (MM 1829, p. 79)

– Ho io portate le grosse fibbie e il puntale alla foggia francese, percompiacergli? (DA 1858, p. 31)

“Che! Avreste voi intese tutte le mie parole?” (BdB 1852, p. 30)

Un’occorrenza, in realtà, anche in Rovani:

– […] e ho conosciuto la madre dell’abate.– Sua madre, ha ella conosciuta? (CA 1868-9, p. 64)

52 Non tutti i contesti sono infatti rappresentati da frasi interrogative ma, per esem-pio, anche da proposizioni di valore ottativo o esclamativo.

53 Per il fenomeno si rimanda a Patota 1987, pp. 80-82 e Patota 1990, nonché alcommento dei dati relativi alla posposizione del soggetto (cfr. infra, V).

TIPOLOGIA DELLE TMESI

96 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

La battuta dialogica rovaniana, però, si inserisce nella parte incipitariadel romanzo quando il giovane cronista, che sarà la fondamentale vocenarrante, si rivolge al vecchio Giocondo Bruni, fonte diretta e viventedelle vicende narrate, con modi piuttosto ossequiosi e forse un po’ palu-dati, motivati dalla vetustà e venerabilità del vecchio.

Per quel che concerne l’inserimento di un complemento indiretto, in-vece, esempi già più connotati presenta il piano dialogico di Tommaseo,sempre tesissimo sia nella ricerca stilistica sia nella concentrazione emo-tiva:

– Noi siam qui per riprendere di forza la potestà che il duca d’Atene hacon tradimento usurpata sopra il comune e popolo di Fiorenza: e a voipiù che a me sono chiare le cagioni perché ci è forza ribellarci dalla co-stui signoria. (DA 1858, pp. 63-64)

– […] fo manifesto a voi come in altra parte della città gli animi eranoall’impresa medesima apparecchiati (DA 1858, p. 59)

si tratta, infatti, non solo di precessioni di complementi indiretti che risul-terebbero più normalmente collocati dopo il participio, dipendendo se-manticamente da questo, ma anche della loro frapposizione all’interno diun verbo composto. Soprattutto nell’ultimo esempio si avverte uno spo-stamento stilisticamente piuttosto forte, dato che il sintagma all’impresamedesima ha statuto di complemento argomentale del verbo 54; la tensio-ne espressiva e la ricercatezza del dettato, del resto, sono ben evidenti an-che attraverso altre scelte compiute dall’autore: per esempio la perifrasianalitica 55 (fo manifesto) o l’ulteriore enfasi ottenuta attraverso la sceltadel pronome tonico postverbale (a voi) invece di una più piana proclisi.

È meno connotato e più motivato, sia pragmaticamente sia testual-mente, l’unico esempio manzoniano costituito da un complemento diluogo dal valore tematico messo, non a caso, in inciso tra ausiliare e parti-cipio:

Arrivati alla porta, il conduttore tirò il campanello, fece chiamare il pa-dre guardiano; questo venne subito, e ricevette la lettera, sulla soglia.[…] Convien poi dire che il nostro buon Cristoforo avesse, in quellalettera, raccomandate le donne con molto calore, e riferito il loro casocon molto sentimento, perchè il guardiano, faceva, di tanto in tanto atti

54 Sulla rilevanza dello spostamento dei complementi argomentali rimandiamo aBozzola 1999, p. 119.

55 La scelta della perifrasi in luogo dell’espressione verbale sintetica è quasi sempreconnotata in senso formale se non addirittura aulico (Mengaldo 1987, pp. 224-225) se-condo una gradazione che muta, naturalmente, col mutare del tipo di perifrasi di voltain volta riscontrata. Per l’utilizzo delle perifrasi nei romanzi storici e il loro valore nobi-litante si veda Bricchi 2000, p. 66.

97

di sorpresa e d’indegnazione (PS 1840, p. 147)

Per il piano narrativo 56, invece, il ventaglio degli autori che presentano latmesi di ‘Ausiliare+Participio’ per inserimento di un soggetto o di uncomplemento indiretto comprensibilmente si allarga un poco coinvolgen-do la prosa di Rosini (che presenta i valori più alti: 16 occorrenze di frap-posizione del soggetto sulle 28 dell’intero corpus e 7 del complemento in-diretto sulle 17 totali), Tommaseo, Grossi, Guerrazzi, Ranieri e infineD’Azeglio (solo per l’interposizione del soggetto) e Nievo (solo per quelladi un complemento indiretto).

Relativamente al soggetto inframmesso, nella prosa di Rosini, si puònotare il carattere di modulo narrativo di alcuni degli esempi che, intro-ducendo o una scena nuova o una considerazione generale sulla vicenda,assumono un valore quasi testuale:

Avrebbe Egidio potuto rimirar con occhio fermo il pericolo di perderla vita: ma non potea nè anco di volo arrestarsi sopra l’idea di doverperder Geltrude. (MM 1829, p. 19)

Era ella stata da prima tenerissima amica di Geltrude. (MM 1829, p.26)

Erano le religiose pervenute all’infermeria. (MM 1829, p. 31)

Per altri esempi, invece, la ratio di utilizzo ci pare meno facilmente perce-pibile e individuabile, cosicché li annovereremmo tra quelle tracce di let-terarietà inerziale che ancora riaffiorano nella prosa del periodo e soprat-tutto in quella dell’erudito professore di Eloquenza Italiana Giovanni Ro-sini:

Ma Federigo in quel mentre vibrò il ferro sì disperatamente, che loavrebbe passato da banda a banda, se, con un movimento felice, nonavesse Egidio ricevuta la punta nella parte carnosa del lato destro, fe-rendolo al tempo stesso nel braccio sinistro. (MM 1829, pp. 44-45)

Intanto il romore del fiume indicava ch’erano le acque abbassate d’as-sai. (MM 1829, p. 60)

Si erano quelli affrettati, come veduto abbiamo, con istraordinaria dili-genza (MM 1829, p. 67)

Ma vediamo qualche esempio di altro autore:

[…] ed avendo questi ribenedetto lo stato; la città capitale, le altre cittàminori e i borghi più considerabili riapersero le chiese; (MV 1840, p. 6)

56 Per la questione, in diegesi, si rimanda anche più oltre alla trattazione della posi-zione del soggetto (cfr. infra, V).

TIPOLOGIA DELLE TMESI

98 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

Ma essendo l’arcivescovo fuggito dalla Diocesi, molti beni della mensasulla riviera di Lecco e nella Valassina, e fra questi la corte di Bellano,erano stati occupati da un Cressone Crivello … (MV 1840, p. 7)

Appena fu ella uscita dall’ospizio, la sua cera si compose naturalmenteal brusco ed al crudele. (G 1862, p. 37)

In interrogative retoriche gli esempi di Guerrazzi, che seguono la consue-tudine, già trecentesca ma mai veramente interrotta nella nostra tradizio-ne 57, di posporre il soggetto nelle interrogative dirette, o, in caso di verbocomposto, di frapporlo:

Non l’ho io nominata? Non sono passi di uomo questi che si allontana-no? (BdB 1852, p. 7)

Forse non aveva Yole sopportato fin qui la più grave battaglia, chefemmina al mondo voglia e possa sostenere? (BdB 1852, p. 35)

Circa l’interposizione di un complemento indiretto (per lo più comple-menti di luogo, tempo e mezzo) ecco qualche caso:

Era questa una tacita dichiarazione di simpatia al partito prussiano, ebenchè le guerre di Germania fossero da lungo tempo quietate, eglinon avea cessato dal minacciare agli imperiali il disfavore de’ suoi stiva-li. (CdUI 1858, p. 16)

Forse questo fuoco avrebbe da gran tempo consumato la sorgente del-la vita, dove una forma di celesti sembianze non gli sorgesse nell’anima,e ne acquietasse alcuna volta le tempeste. (BdB 1852, p. 5)

Due esempi, quindi, piuttosto neutri di inframmissione, ancor oggi moltocomune, di un elemento temporale. Lo stesso Manzoni opterà, in qualchecaso, per una tale frapposizione, ex novo, nelle correzioni della quaranta-na: «quel compenso qualunque, non si sarebbe potuto, in quei tempi,aspettarlo da nessun’altra forza» 58.

Quelli che seguono, invece, sono più notabili:

E vedendosi, per guiderdone, creato dal duca suo delatore, sentì l’odioribollire. (DA 1858, p. 34)

[…] rivolgendosi con signorile degnazione al menestrello, si scusòd’avergli colla sua venuta rotto il canto, e pregollo di seguitare. (MV1840, p. 32)

a causa dell’inserimento o di informazione nuova (per guiderdone, di cuisi noti anche l’isolamento in inciso) o di un complemento di causa (colla

57 Si vedano Rohlfs 1969, § 758; Freedman 1983, pp. 181-182; Patota 1987, pp. 80-82.

58 Mencacci 1995, p. 177.

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sua venuta) che rispetto al participio da cui dipende (rotto) rappresenta ildeterminante; la sequenza risulta marcata, quindi, rispetto a quella basicaitaliana di ‘determinato+determinante’.

Infine un esempio di anticipazione enfatica del complemento indiret-to con funzione, qui, di semplice rafforzamento dell’asserzione (in un’e-spressione tra l’altro stereotipata):

Più volentieri avrei creduto che mi volesse un cane, s’io non avessi conquesti orecchi udito agonizzare e morire quel mio primo e solo amico(G 1862, p. 34)

Gli esempi di Rosini (7 sui 17 totali) sono quasi tutti rappresentati da unsemplice complemento di tempo, e non assumono, dunque, alcuna con-notazione particolare:

Dopo avere per qualche tempo abitato Mantova, pose in Milano la suastanza, dove molti erano i seguaci del Terenziano, benchè nascosti eprudenti. (MM 1829, p. 16)

[…] e tenendosi colle mani le tempie, dopo aver per pochi istanti pen-sato, animosamente si alza, prende la carta e scrive (MM 1829, p. 36)

Per le giaciture di ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’ l’inserimento delsoggetto compare solo nel dialogato di Rosini, Tommaseo e Guerrazzi, inlinea per lo più con il modulo già osservato per la sequenza ‘Ausilia-re+Participio’ in frase interrogativa: modulo della tradizione e abitudinelinguistica ancora ben presente nella prosa della seconda metà del Sette-cento, che rientra nella prassi della posposizione del soggetto in contestointerrogativo diretto 59:

– Come puoi tu lasciarmi?– Come posso io restare? fu la risposta d’Egidio. (MM 1829, p. 22)

– Se danaro chiedeva cotesta voragine, non potev’io andar mendicandodanaro, e gittarglielo; e porre per te la mia vita? (DA 1858, p. 12)

– Che potreste voi fare per esso, che Dio non possa? (DA 1858, p. 85)

– Può la nepote della Imperatrice Gostanza convenientemente ascol-tarle? (BdB 1852, p. 34)

più marcato, però, quest’ultimo data l’interposizione di un soggetto ‘pe-sante’ e non pronominale.

Oppure la frammissione del soggetto compare, con collocazione gram-maticalizzata, in frase esclamativa o ottativa 60:

TIPOLOGIA DELLE TMESI

59 Rimandiamo ancora a Patota 1987, pp. 80-82.60 Nelle ottative il soggetto si pospone infatti normalmente: cfr. Herczeg 1955, p.

119; Serianni 1989a, p. 78; per le esclamative Dardano - Trifone 1997, p. 237.

100 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

– Tu del vicino agitarsi non sbigottire; i miei ti difenderanno, e ti difen-derà, meglio d’ogni cosa, la stretta in cui saran posti i nemici.

– Potess’io combattere! (DA 1858, p. 57)

“[…] e possa questa giovare alla sua anima, come quella non fregeràmai la sua fronte” (BdB 1852, p. 14)

Altri esempi invece, in Tommaseo, compaiono in concomitanza con unverbo di percezione 61:

– […] e ad ogni ora mi pareva vedere una parte del caro corpo disfarsi;e sentivo le membra del corpo mio staccarsi e marcire con esso, e ilcuor mio vivo battere tra le costole del petto scarnato del figliuol mio.(DA 1858, p. 14)

– Non vedete il popolo accorrere 62 da tutti i lati? (DA 1858, p. 85)

– Già sento il tuono muggire (DA 1858, p. 84)

Un po’ più marcata la seguente citazione, sempre da Tommaseo:

– Ben fa. Quando città già franche lo gridano signore, ben fa egli a usa-re del titolo. (DA 1858, p. 4)

La marcatezza in senso enfatico avrebbe potuto, in un contesto più ‘mo-derno’ e meno stilisticamente teso verso l’alto, divenire anche marcatezzapragmatica attraverso un più spregiudicato utilizzo dell’alternanza egli/lui che non è solo alternanza di registro ma di funzione anaforica/deitti-ca. Già Fornaciari così si esprimeva: «la forma oggettiva (lui, lei, loro) sisostituisce alla soggettiva (egli, ella, elleno) quando la persona operantedebba avvertirsi di più e mettersi in rilievo maggiore. Ciò accade […] ingenerale, quando il soggetto sia posposto al verbo» 63. Una possibilità cheManzoni ‘intuì’ e sfruttò in più passi della quarantana 64.

Nel piano diegetico, le tmesi per soggetto nelle sequenze ‘Verbo+In-finito’ o ‘Servile+Infinito’ compaiono in Rosini, D’Azeglio, Tommaseo,Grossi, Manzoni, Guerrazzi e Nievo. Commentiamone qualche esempio.Guerrazzi ne presenta due che sono grammaticalizzate ricorrendo in fra-se ottativo-esclamativa 65:

61 In questi casi la collocazione, libera, del soggetto che è duplicemente oggetto delverbo reggente e soggetto dell’infinito (per es. ho visto la palla rotolare sul prato / ho vi-sto rotolare la palla sul prato) può spesso rappresentare una scelta stilisticamente adiafo-ra, cfr. GGIC, II, p. 511.

62 In realtà qui l’inframmissione del soggetto tra verbo di percezione e infinito daesso dipendente è motivata anche dal contesto sintattico interrogativo.

63 Fornaciari 1881, pp. 49-50.64 Si vedano, a questo proposito, infra, V, 3.4.6. e 6.2.65 Si veda supra, nota 60.

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Possano questi secoli non essere rammentati nella Storia! (BdB 1852,p. 3)

Possano i posteri lasciarci il retaggio che solo aneliamo … l’oblio!(BdB 1852, p. 3)

Dello stesso tenore l’occorrenza di Tommaseo in frase ottativa:

O città de’ miei desiderii, poiché non tu per la mia parola, possa la miaparola essere illustre per te (DA 1858, p. 53) 66

mentre gli altri casi tommaseiani occorrono per lo più in presenza di ver-bi di percezione:

Tra i quali era Francesco Brunelleschi; a cui, veggendo le forze dellacittà crescere, sempre più pareva diventar cittadino (DA 1858, p. 45)

Allo strepito delle turbe incalzanti, e al suono delle cennamelle e delletrombe e delle campane incitanti i cittadini a combattere, sentì Rinaldid’Altavilla serrarsi il pericolo addosso a’ suoi. (DA 1858, p. 85) 67

come anche gli ultimi due esempi tratti da Grossi:

Appena fu visto il suo cappuccio bruno spuntare sulla piazzetta, tutti simisero a gridare (MV 1840, p. 18)

[…] ma quando ebbe vista Bice procedere in tutta la bellezza della suapersona, gli si attutò ad un tratto ogni sdegno (MV 1840, p. 31)

L’isolato caso manzoniano 68:

[…] e l’Adda ricomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, al-lontanandosi di nuovo, lascian l’acqua distendersi e rallentarsi in nuovigolfi e in nuovi seni. (PS 1840, p. 7)

tratto dalla pagina descrittiva incipitaria, coinvolge invece una particolarereggenza verbale, quella del verbo causativo lasciare, il quale ammetten-do anche la costruzione percettiva 69 è qui costruito con l’interposizione,

66 In quest’apostrofe alla città natale, in uno dei momenti di presa della parola daparte del narratore, emerge lo spirito accorato dell’esule, retoricamente ben orchestratonel chiasmo finale di ‘Sogg. - compl. di vantaggio / compl. di vantaggio - Sogg.’ (non tu- per la mia parola / la mia parola - per te).

67 In questo caso, però, diversamente dal precedente alla sequenza ‘verbo di perce-zione+infinito’ è stato frapposto il soggetto del verbo reggente e non quello dell’infi-nito.

68 Isolato, ovviamente, nelle nostre pagine di spoglio. Per la presenza del soggettoall’interno delle tre giaciture qui analizzate si veda anche Cernecca 1963, pp. 81-82, chene dà, per molti casi, un’interpretazione di messa in rilievo enfatico del soggetto e di in-nalzamento del tono espressivo.

69 Si veda GGIC, II, p. 499.

TIPOLOGIA DELLE TMESI

102 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

quasi obbligata in questo caso, del soggetto dell’infinito70 (l’acqua): la po-sposizione, infatti, dopo una successione di due verbi coordinati (disten-dersi e rallentarsi) e di natura riflessiva avrebbe creato una durezza ritmi-ca poco naturale (*lascian distendersi e rallentarsi l’acqua in nuovi golfi ein nuovi seni).

I casi di Rosini, come quelli di Nievo, enfatizzano il soggetto portandolomaggiormente in primo piano:

Solevano essi ritrovarsi insieme in certe notti determinate (MM 1829,p. 20)

[…] sì che fosse tristo presentimento, o vergogna, sperò Geltrude disfuggire a’ suoi sguardi. (MM 1829, p. 31)

Mi sbaglierò forse, ma meditando dietro essi potranno alcuni giovanisbaldanzirsi dalle pericolose lusinghe, e taluni anche infervorarsi nel-l’opera lentamente ma durevolmente avviata (CdUI 1858, p. 8)

Un’altra asseveranza deggio io fare (CdUI 1858, p. 9)

Credeva la castellana disavvezzarmi così dalla sua Pisana immischian-domi coi fanciulletti del Santese (CdUI 1858, p. 99)

Piuttosto complessa la giacitura dell’intera frase nell’esempio di D’Aze-glio, con l’inframmissione del soggetto all’interno del sintagma ‘erano in-fiammati a+Inf.’:

[…] vedeva che da’ suoi discorsi erano spesso infiammati gli animi de’compagni a mostrarsi italiani, e sentì quanto poteva a quest’ora aiutarecoll’esempio. (EF 1833, p. 33)

Per le sequenze di ‘Verbo+Infinito’ e di ‘Servile+Infinito’ i casi di inter-posizione di un complemento indiretto, sempre in ambito dialogico, si ri-trovano in misura limitata in D’Azeglio; per lo più sono complementi ditempo:

– […] con certe strette al petto che mi levavan l’anelito, e mi parevaogni tratto di soffocare (EF 1833, p. 41)

– Ma per questo convien che giuriate di non entrare da oggi al dì dellabattaglia in alcun’altra impresa, onde non porvi a rischio di riportar fe-rite, o d’incontrare impedimento che potesse quel giorno togliervi d’es-sere a cavallo (EF 1833, p. 34)

– Il magnifico Consalvo, dovendo con forze minori sostenere i dirittidel re cattolico, non consentirebbe che il sangue de’ suoi soldati sispargesse per altre cagioni. (EF 1833, p. 33)

70 Per questa costruzione cfr. supra, nota 59.

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Mentre nel primo esempio la percezione della tmesi è piuttosto sottile,nel secondo l’interposizione ha valore pragmatico di ripresa, quasi fosseun inciso, di un elemento che nel contesto è tematico: la sfida appuntodel titolo, che è stata poco prima sottoposta all’interlocutore, il gran con-dottiero Prospero Colonna, da cui ci si aspetta il consenso. Nell’ultimo,infine, si ripresenta in qualche modo la volontà di sottolineare sempre ininciso, riassuntivamente, la ragione, più distesamente esposta in battuteimmediatamente precedenti, per la quale Prospero Colonna acconsenteche partecipino alla sfida non più di dieci uomini, pena il possibile dinie-go dell’altro condottiero Consalvo all’accettazione della sfida stessa. Que-sti, infatti, non avrebbe probabilmente acconsentito, potendosi altrimentitrovare con minori forze a sostenere i diritti del re cattolico.

Altre occorrenze, poi, in Tommaseo (che ne presenta il numero mag-giore) e una in Guerrazzi:

– Se non altro giuravi, io potevo con pari diletto aprire il mio segretoagli scopeti del fiume. (DA 1858, p. 8)

«L’Adimari de’ loro? Ed io posso con una parola aprirgli sotto i piedila terra che lo ingoi. (DA 1858, p. 30)

– […] tolse in casa lo straniero vorace, sperando per sua soperchianzafrancarsene (DA 1858, p. 47)

“Sant’Agata benedetta! che dite mai, Adelasia? Io ho inteso le millevolte narrare dal Marchese Pier Corrado mio nonno, di buona memo-ria, la famiglia di Gismonda discendere da linea bastarda della casanormanna” (BdB 1852, p. 21)

A parte l’ultimo esempio guerrazziano, di poco spicco (se non fosse perl’utilizzo per noi ormai desueto dell’articolo davanti a quell’espressionetemporale), quelli relativi al Duca appaiono ricercati stilisticamente e let-terariamente; forse appena più marcato anche semanticamente il secondoin cui l’interlocutore ribadisce con più violenza e minor scampo perl’Adimari la possibilità di provocarne la fine.

Nel piano diegetico le tmesi di ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’provocate da un complemento indiretto, si ritrovano un po’ in tutti gli au-tori tranne in Grossi: si tratta soprattutto di complementi di tempo, diluogo, di modo, anticipati ora per una funzione pragmatica puntuale, oraper dare un maggior rilievo semantico, ora come stilema letterario perpiù evidente nobilitazione. Vediamone qualche caso piuttosto usuale eneutro o appena semanticamente più rilevato (ultimo esempio):

[…] mi pare debba in alcun modo riflettere l’attività comune e nazio-nale che la assorbe (CdUI 1858, p. 8)

[…] e questi da giovanetto credette il mestier dell’arme il solo degno di

TIPOLOGIA DELLE TMESI

104 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

sè, nè potè per molti anni aver pensieri superiori ai tempi in cui viveva(EF 1833, p. 27)

[…] dopo aver respinti sempre più debolmente i nuovi e più incalzantiassalti di lei, dopo averle fatto più d’una volta giurare che non fiatereb-be, finalmente, con molte sospensioni, con molti ohimè, le raccontò ilmiserabile caso. (PS 1840, p. 23)

Più connotato in senso pragmatico il seguente, nel quale si noti l’isola-mento dell’inciso informativo attraverso l’utilizzo delle virgole:

Così, a trent’anni, si ravvolse nel sacco; e, dovendo, secondo l’uso, la-sciare il suo nome, e prenderne un altro, ne scelse uno che gli rammen-tasse, ogni momento, ciò che aveva da espiare: e si chiamò fra Cristofo-ro. (PS 1840, p. 66)

Di sensibilità più letteraria le dislocazioni attuate nei seguenti casi per lagratuità da cui ci paiono caratterizzate:

Quindi, solo di nuovo, comincia con gran forza d’animo a pensar seria-mente a’ suoi tristi casi. (MM 1829, pp. 36-37)

[…] seppe con tale arte gettarne le semenze in terreno preparato a ri-ceverle, che non vi fu mai pianta così fortemente abbarbicata nel suolo,come le dottrine dei Protestanti lo furono per entro alla mente di Egi-dio. (MM 1829, p. 15)

Lo raccolse da terra, e volle con dolce forza abbracciarlo. (DA 1858, p.68)

[…] sicchè nella sua condizione niuno poteva meglio di lui paragonarsiall’illustre Greco, passato in proverbio pel senno, e come altri dice perla furberia. (MM 1829, p. 39)

forse con un po’ più di rilievo semantico l’ultimo esempio nel quale ilcomplemento di paragone (meglio di lui) è diviso dall’elemento reggente,un ormai poetico e ricercato niuno 71, attraverso lo spostamento in avantie la collocazione tra verbo servile e infinito. Ancora:

Lo prese costui con ambedue le mani, e, postolo sulla tavola del taber-nacolo, lasciò con dura percossa cadersi prostrato innanzi di quello(BdB 1852, p. 43)

abbastanza marcato in senso aulico questo caso, in cui si avverte come de-

71 Sempre più desueto nella prosa e nell’uso comune dell’Ottocento, riservato or-mai alla poesia o alle scritture paludate. Sulla vicenda di niuno/nessuno rimandiamo aSerianni 1982b: «nell’Ottocento la ricerca d’un lessico culto, lontano da quello corrente[…] comporterà una larga accettazione di niuno, appunto come variante meno trita eusuale rispetto a nessuno» (p. 37).

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sueta l’enclisi pronominale sull’infinito retto da un verbo fattitivo72 (lasciò… cadersi), e come ricercata l’eliminazione dell’articolo indeterminativodal sintagma formato dal complemento indiretto dislocato (con dura per-cossa).

[…] e questo pensiero apparve così chiaro all’esterno, che un di loro, ilpiù vecchio di tutti, uscì con asprissima voce a ricacciarlo indietro (CA1868-9, p. 97)

Potevano di appena venti passi avere trapassata la porta, allorchè le da-migelle, gettando via quella mentita sembianza di afflizione, si mosserofestose qua e là per la sala, alternando mille lieti ragionamenti. (BdB1852, p. 18)

Un rimbombo forte e crescente si faceva udire sempre più vicino, fa-cendo in quelle gole vibrare echi potenti. (CdM 1861-2, p. 12)

La monaca che mi aveva raccolta dalla buca, mi condusse per manoadagio adagio per molti corridoi, dove io camminava quasi brancolan-do, sentendomi ad ogni passo mancare. (G 1862, p. 28)

L’avresti veduta a queste parole deporre ogni timore, e volgersi piace-volmente a Franciotto quasi in atto di chieder perdono. (EF 1833, p.50)

[…] e gli pareva avere da’ propri affanni acquistato diritto a aggravarefino alla disperazione gli altrui affanni. (DA 1858, p. 50)

Di qualche valore informativo le precedenti frapposizioni, connotateperò anche sul piano stilistico.

[…] e quantunque provasse un leggier senso di umiliazione di non po-tere per la sua povertà offrire un pegno di battaglia di valore uguale aquello di La Motta, pure, scossa quella vergogna, disse francamente(EF 1833, p. 24)

[…] poichè per allora, appena fui in grado di pronunciar parola mi in-segnarono per suo comando a chiamarla la Signora Contessa (CdUI1858, p. 98)

72 Nelle costruzioni fattitive moderne, infatti, «i clitici stanno accanto al verbo reg-gente, qualsiasi sia la loro funzione» (GGIC, II, 501). La possibilità di trovare la sequen-za, oggi agrammaticale, di ‘verbo causativo+infinito+clitico’ (per es. *faccio muoverlo)nell’italiano antico, per quanto remota, è presente (cfr. gli spogli di Robustelli 1996).Ma più che alla presenza fin troppo rarefatta di questi esempi antichi, l’uso guerrazzia-no dovrà essere ricondotto ad un’eventuale espansione posteriore del costrutto. Nellagrammatica di Buonmattei, infatti, trattando della posizione dei clitici e presentandocome possibili le due varianti topologiche, preverbale e postverbale, vengono allegativari esempi: «Il chiamava, chiamavalo; la lavò, lavolla» a cui si aggiunge anche un «sifece chiamare, fece chiamarsi» (Buonmattei 1807, pp. 196-197), che ci pare possa essereun segno di una frequenza non così trascurabile come quella rilevata da Robustelli perla lingua delle origini. Per un’ulteriore trattazione della questione cfr. infra, IV.

TIPOLOGIA DELLE TMESI

106 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

[…] né potendo, in alcuna operazione o materiale o mentale, spenderequella virtù attiva che il Creatore ha posto in tutto l’essere nostro per lapropria nostra conservazione (G 1862, p. 33)

Ma siccome v’eran poi finalmente al mondo, e vicino a lui, personech’egli conosceva ben bene per incapaci di far male, così poteva conquelle sfogare qualche volta il mal umore lungamente represso (PS1840, p. 20)

Pragmaticamente il più notabile ci pare l’ultimo esempio, manzoniano,che, con il rilievo dato ad un complemento indiretto di valenza tematica,intende specificare che soltanto con quelle persone, dichiaratamente e si-curamente innocue, don Abbondio nella sua pusillanimità osa sfogarsi evendicarsi di soprusi in altre occasioni accettati e subiti per incapacità diribellarsi.

3.3. Tmesi per complemento d’agente 73

Pochissime sono le occorrenze: 6 di cui 2 in sede mimetica.

[…] e di sì fu da lui risposto (MM 1829, p. 61)

Fu allora dai compagni consigliato a ritirarsi da Milano (MM 1829, p.40)

– Questi miei amici se ne ricordano: fu da noi veduta al nostro passag-gio in Roma del 92 (EF 1833, p. 20)

– Fu da lui brevemente informato di quanto era occorso la sera innanzi(EF 1833, p. 29)

Un’altra asseveranza deggio io fare […]; e questa è, che la vita fu da mesperimentata un bene (CdUI 1858, p. 9)

[…] il qual rolò fu parimenti da noi trovato aperto. (CA 1868-9, p.101)

3.4. Tmesi per compresenza di due o più elementi

Dopo questa disamina delle occorrenze delle tmesi più significative, an-che numericamente, concludiamo col notare una presenza non del tutto

73 Di matrice boccacciana e di diffusione bembiana la frapposizione del comple-mento d’agente con la forma passiva del verbo è tratto tipico della prosa classicistica: diqui la sua sporadicità già nell’antagonistico filone castiglionesco-tassiano, in vari autoritra Cinque e Seicento (Bozzola 1999, 2004) e in un autore secentesco come Malvezzi(Piotti 2001). Trova invece ancora vari riscontri nella prosa della seconda metà del Set-tecento (cfr. Patota 1987).

107

trascurabile di casi in cui le frapposizioni sono costituite da due o più ele-menti. Il fenomeno è meno evidente tra ‘Ausiliare+Participio’ (4,6%) epiù cospicuo nelle altre due giaciture (10-12% circa).

Per il piano mimetico soltanto il dialogato di Tommaseo presentatmesi di ‘Ausiliare+Participio’, ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’ perfrapposizione di due o più elementi. È un fattore che, in alcuni casi, ac-centua quel carattere di sostenutezza stilistica e tensione espressiva cheidentifica questa particolare prova narrativa, ma che in altri casi non de-termina ulteriore complessità topologica.

– Ho io mai piaggiata la costui villania? (DA 1858, p. 31)

– Potrebbe dunque Gualtieri tenermi per alcun tempo (DA 1858, p.37)

Il primo esempio, quasi neutro, vede l’interposizione, piuttosto usuale infrase interrogativa, del soggetto che è qui accompagnato da un avverbiola cui infraposizione è grammaticalizzata; nel secondo, invece, l’infram-missione del soggetto come variante di una sua posposizione assume in-sieme alla presenza della congiunzione conclusiva (dunque) il valore diuna ripresa perentoria dell’informazione nota, a chiusura di un dialogodrammatico tra Antonio degli Adimari, sospettato di tradimento e richie-sto a palazzo dal Duca Gualtieri, e la figlia Matilde. Mentre il seguente:

– […] perché non ricorriamo all’oracolo della sede apostolica, e, intan-to che la risposta viene, non lasciam libera al duca l’autorità che gli ab-biamo, per vallate carte e di mano di molti notai, confidata? (DA 1858,p. 84)

rimane in bilico tra la funzione di inciso informativo (in effetti tra duevirgole) e la predisposizione autoriale alla complicazione topologica, cheallontani anche il parlato da un’espressione più naturale e piana. E anco-ra, con intenzione programmaticamente stilistica:

– […] già veggo la folgore con ispaventevole suono scendere. (DA1858, p. 84)

– Non piangere, figlia mia: non potrebb’egli, Dio, domani, quest’oggi,ora, togliermi a te? (DA 1858, p. 38)

Nell’esempio finale gli elementi interposti (due soggetti e tre omologhedeterminazioni temporali), non provocano una distanziazione particolar-mente marcata della giacitura, ma si allineano alla tecnica retorica let-terariamente convenzionale e collaudata del tricolon – avverbiale in que-sto caso – in concorrenza con un’esigenza di espressione dell’enfasi emo-tiva.

TIPOLOGIA DELLE TMESI

108 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

Del piano diegetico riportiamo solo alcuni degli esempi 74 di frapposi-zione di due o più elementi all’interno delle consuete stringhe di ‘Au-siliare+Participio’, ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’. Sono casi infattiche compaiono quasi in tutti gli autori (esclusi sono Grossi e Verga) enon sempre hanno una valenza significativa, o meglio, il loro valore non èparticolarmente sottolineato o accresciuto dalla pluralità degli elementiinterposti. Si vedano infatti:

Torna Egidio allora a riaprir la porta (MM 1829, p. 35)

Parve allora a Fieramosca di seguir la parte di Spagna, per opporsi inqualche modo all’altra di troppo crescente potenza (EF 1833, p. 28)

Di poi ritornammo al parlatorio: ed avendo donna Maria Antonia, donGaetano e don Gennaro preso amorevolmente commiato dalla religio-sa, me ne menarono via con loro. (G 1862, p. 52)

[…] e dovevano certamente quelle carte contenere qualche strano av-venimento (MM 1829, p. 75)

Avevano negli scorsi giorni le genti Savojarde sbaragliato i francesi, chesi portavano al soccorso di Casale (MM 1829, p. 74)

In altri casi la presenza di due o più elementi è funzionale alla concentra-zione informativa (spesso sottolineata dalle virgole) e quindi all’aspettopragmatico:

[…] gli uomini credono che l’esser in sul primo vagito gittata dalla mi-seria o dalla paura nella buca de’ reietti, sia un’infamia che debba per-petuamente, sino alla morte e dopo la morte, pesare sul capo della vit-tima. (G 1862, p. 76)

Aveva quindi, assai di buon grado, ubbidito ai parenti, che lo volleroprete. (PS 1840, p. 19)

[…] Lodovico non aveva mai, prima d’allora, sparso sangue (PS 1840,p. 65)

[…] costringendo, a forza d’inchini e di rispetto gioviale, anche i piùburberi e sdegnosi, a fargli un sorriso, quando gl’incontrava per la stra-da (PS 1840, p. 19)

Altri concorrono ad arricchire l’elaborazione retorico-stilistica:

[…] ond’ella balzando, scese animosa, ansiosa, quasi lieta, ad aprire(DA 1858, p. 53)

[…] già veggo la folgore con ispaventevole suono scendere. (DA 1858,p. 84)

74 Tralasciamo, tra gli altri, i casi che contengono un complemento d’agente accom-pagnato da altro elemento, poiché già citati nella sezione relativa (cfr. supra, II.3.3.).

109

o a meglio accentuare il tono enfatico di un passo:

[…] potrà una volta il sangue italiano scorrere a miglior fine che a sem-pre difendere gli stranieri invasori. (EF 1833, p. 34)

o a riprodurre un genere testuale diverso, come quello giuridico degliStatuti friulani nieviani:

[…] il legislatore soggiunge a motivo di questa sua disposizione: perchèuna persona non può contemporaneamente in più luoghi stare. (corsivodel testo; CdUI 1858, p. 45)

3.5. Tmesi per subordinata

Gli esempi non sono molti né particolarmente complessi; si tratta infattio di subordinate al gerundio (di valore modale) o di subordinate parente-tiche o incidentali che servono a spiegare, delimitare, informare sulle cir-costanze dell’azione o della situazione psicologica descritta:

[…] il quale cominciava una vita d’espiazione e di servizio, che potes-se, se non riparare, pagare almeno il mal fatto (PS 1840, p. 66)

Qual altra persona fuorché l’Innominato potrebbe, conoscendoli, darasilo ad una monaca e al suo seduttore? (MM 1829, p. 35)

[…] e prossima a morire del freddo, cercava, quanto più poteva, di ri-scaldarmi col suo alito. (G 1862, p. 22)

[…] e dandomi qualche strappata pei capelli e chiamandomi figliuoladi mala femmina, cercava di farmi, com’egli diceva, spoltronire. (G1862, p. 45)

Con più chiaro fine retorico, a maggiore valorizzazione della parola comemarca di stile, un esempio di Tommaseo che segue le pause e gli allenta-menti del ritmo in direzione di un’elocutio solemnis che in qualche modotradisce per reminiscenze tonali la formazione epico-classica del Dalmata:

[…] io vengo, fidato nella magnanimità vostra, e più nel mio pentimen-to, a confessarvi un peccato che mi fa insopportabile l’aspetto vostro edel sole, e la vita. (DA 1858, p. 61)

A questo ne aggiungiamo ancora uno, sempre tratto dal Duca d’Atene:

Propose, ormai che n’aveva la chiave, penetrare ne’ consigli della con-giura; e, incerto qual via terrebbe (segno non era mutato che a mezzo),osservare. (DA 1858, p. 34)

particolarmente distante da una sintassi media e comunicativa, sia per ilduplice inserimento e di una incidentale (ormai che n’aveva la chiave) tra

TIPOLOGIA DELLE TMESI

110 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

il verbo reggente e il suo infinito, e di una incidentale seguita da una pa-rentetica tra la congiunzione coordinativa (e) e l’infinito da essa retto; siaper le frequenti ellissi (di preposizioni, congiunzioni, verbi reggenti).Tuttavia non si può disconoscere anche un valore pragmatico alla secon-da tmesi (e [propose], incerto […] osservare), che accentua l’idea della ne-cessità da parte dell’osservatore di temporeggiare e di tentennare e insie-me evidenzia il carattere nascosto di tali pratiche.

Altri due esempi, infine, dal romanzo verghiano:

[…] si vedeva quando il tempo era cattivo un uomo, giovane ancora ebello, guardare con malumore il tempo e le nuvole (CdM 1861-2, p.10)

– […] quando questo braccio della sovranità lascia senza pensarvi cal-pestare le sue leggi e la sua patria, non vi è allora più nobiltà, ma vi èuna generazione sciagurata di superbia e di nullità. (CdM 1861-2, p.22)

Il primo, con inframmissione della subordinata temporale e il soggettodell’infinito retto dal verbo di percezione (si vedeva), introduce una lievepausa narrativa che prepara alla descrizione, non priva di grazia, del gio-vane in contemplazione del cielo, resa appena più insolita dalla sequenzadegli attributi giovane ancora e bello (con più marcata posposizione del-l’avverbio ancora), secondo il modulo ‘A+e+A’ 75 che consuona con la pri-ma parte del noto «biondo era e bello e di gentile aspetto» (Purg, III, v.107). Il secondo, in armonia con il movimento oratorio del discorso poli-tico, sottolinea con picco focale la modalità, aggravante, dell’abdicazionedelle responsabilità regie.

4. CORREZIONI DI EDIZIONE

In relazione ai fenomeni fin qui analizzati riportiamo ora i casi di cambia-mento dell’ordine delle parole che compaiono all’interno di un più gene-rale e programmatico intento correttorio attuato da alcuni dei nostri au-tori sui loro romanzi. Ricordiamo (come già segnalato nella Presentazionedel corpus) che sono stati presi in considerazione i processi correttori (li-mitatamente ai nostri fenomeni) di Manzoni, Guerrazzi, Grossi e Tom-maseo. Si è poi fatto qualche raffronto anche sui romanzi di Nievo e Ver-ga, prendendo in esame le eventuali varianti di lezione riportate in appa-

75 Sulla ricercatezza di questa disposizione aggettivale e il suo perdurare in certaprosa ottocentesca rimandiamo a Serianni 1989b, p. 95, nota 23.

111

rato critico. Tra i vari livelli del testo coinvolti nella prassi correttoria, ingenerale, l’ordine topologico è quello a cui gli autori poco mettono manose non addirittura trascurano. Fa eccezione Manzoni che attua anche inquesto settore molteplici interventi 76. Qualche dato, comunque, ha forni-to anche l’indagine sulle edizioni di Tommaseo (edd. 1837-1858), e sul-l’apparato critico dell’edizione verghiana; nessun cambiamento topologi-co, invece, si è potuto riscontrare, per i fenomeni trattati in questo capi-tolo, nelle diverse edizioni di Guerrazzi (edd. 1827, 1852) e Grossi (edd.1834, 1840) o nell’apparato dell’edizione critica di Nievo.

4.1. Manzoni

Limitatamente alle parti da noi spogliate e ai fenomeni qui trattati si sonorilevati alcuni spostamenti che coinvolgono casi di attenuazione dellaportata della separazione tra gli elementi (si veda l’esempio qui sotto):

[…] s’era dunque, quasi all’uscire dall’infanzia, avveduto d’essere inquella società come un vaso di terra cotta (PS 1827, p. 17) > […] s’eradunque accorto, prima quasi di toccar gli anni della discrezione, d’es-sere, in quella società come un vaso di terra cotta (PS 1840, p. 19)

oppure concernono la soppressione tout court delle tmesi:

Se avessi mo 77 pensato di suggerir loro che andassero (PS 1827, p. 19)> Se avessi pensato di suggerir loro che andassero (PS 1840, p. 21)

[…] qualche erba, di cui la fame aveva insegnato che gli uomini pote-vano pur vivere. (PS 1827, p. 55) > […] qualche erba, di cui la fameaveva insegnato che anche gli uomini potevan vivere. (PS 1840, p. 57)

[…] fe’ loro assegnare una stanza (PS 1827, p. 143) > […] fece asse-gnar loro una stanza (PS 1840, p. 146)

Alcune eliminazioni sono poi dovute ad una diversa distribuzione deipronomi personali soggetto, spesso espunti in direzione di uno snelli-mento sintattico e di una maggiore naturalezza espressiva:

[…] avendola egli consigliata per lo migliore di non palesar nulla (PS1827, p. 69) > […] avendola consigliata, per il meno male, di non pale-sar nulla (PS 1840, p. 71)

E perchè, al primo avviso, s’era egli mosso così sollecitamente, come a

76 Rimandiamo soprattutto a Cernecca 1963 e Mencacci 1995.77 L’eliminazione dell’avverbio temporale mo rientra, inoltre, nella prassi di espun-

zione degli idiotismi lombardi. In altri passi della quarantana a questa voce subentra ilpiù comune e più diffuso ora (Vitale 1992a, p. 18).

CORREZIONI DI EDIZIONE

112 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

una chiamata del padre provinciale? (PS 1827, p. 55) > E perchè, alprimo avviso, s’era mosso con tanta sollecitudine, come a una chiamatadel padre provinciale? (PS 1840, p. 57)

Quest’ultimo esempio, inoltre, si allontana significativamente da unaprassi ancora in auge ma piuttosto tradizionale della posposizione delsoggetto (o infraposizione, qualora il tempo verbale sia composto) in fra-se interrogativa diretta. Ancora un caso, infine, di carattere pragmatico:

[…] le chiedesse in suo nome perdono dell’esser egli stato la cagione,quantunque ben certo involontaria di quella desolazione (PS 1827, p.62) > […] le chiedesse in suo nome perdono d’esser stato lui la cagio-ne, quantunque ben certo involontaria di quella desolazione (PS 1840,p. 64)

l’eliminazione dell’inframmissione del pronome soggetto e il suo cambiocon la forma accusativale qui posposta (lui) attribuisce al soggetto quelvalore deittico che manca alla foma egli e che meglio accoglie, attraversouna più forte marcatezza tonale, la frequenza espressiva della voce.

4.2. Tommaseo

È difficile segnalare per Tommaseo una prassi correttoria di assoluta coe-renza. In linea generale si avverte un relativo abbassamento delle sceltetonali e una certa volontà di appianare l’espressione (cfr. anche Puppo1958, p. 317 e Cartago 2000) 78. Relativamente ai nostri fenomeni la scar-sità delle correzioni e la diversità di ciascun esito non ci consentono diipotizzare una direzione precisa, ma semmai di avallare quella più gene-rale. Non ci resta, pertanto, che commentare i nostri tre casi singolar-mente:

[…] e son qui venuto (DA 1837, p. 223) > […] e son venuto qui (DA1858, p. 62)

Anelava egli a pascere (DA 1837, p. 212) > Anelava a pascere (DA1858, p. 50)

[…] e parevagli da’ propri dolori aver acquistato diritto ad aggravaresino alla disperazione i dolori altrui. (DA 1837, p. 212) > […] e gli pa-

78 Anche per Fede e bellezza, di altra tematica ed impostazione, Danelon avvertedella stessa tendenza all’appianamento linguistico-stilistico operata da Tommaseo: findalla seconda edizione del romanzo (Venezia, Il Gondoliere, 1840), apparsa a ridossodella prima uscita nel medesimo anno per i medesimi tipi, e ancor più in quella, ultima,del 1852 «preoccupato (quasi) esclusivamente com’è dalla finalità didascalica» (Dane-lon 1996, p. 62).

113

reva 79 avere dai propri affanni acquistato diritto (DA 1858, p. 50)

Come si può vedere, si va da una prima eliminazione di tmesi tra ‘Ausi-liare+Participio’, attraverso una collocazione postverbale meno marcata epiù usuale dell’avverbio locativo (qui), ad un altro caso di eliminazioneper espunzione del pronome soggetto secondo una prassi forse più mo-dernizzante (cfr. infra, V). Di tutt’altro segno l’ultimo esempio, che vededa un lato l’eliminazione della tmesi tra servile e infinito ma dall’altro,con uno spostamento del complemento indiretto (da’ propri dolori) tral’ausiliare (avere) e il participio (acquistato) dell’espressione verbale se-guente, la creazione di una distanziazione, nell’economia del passo, forseanche più marcata della precedente.

4.3. Verga

Veramente episodiche le varianti riportate in apparato relative ai nostrifenomeni. Le pochissime riscontrate seguono la direzione di una norma-lizzazione espressiva e di una semplificazione lineare evidenti, nonché, avolte, di un’eliminazione di moduli tipicamente letterario-libreschi:

[…] tale, che sembra potersi discendere collo sguardo fino al fondodella sua anima; allora si è quasi costretto a pensare agli angioli. > […]tale, che sembra potersi discendere collo sguardo fino al fondo dellasua anima; allora si è costretto a pensare agli angioli. (CdM 1861-2, p.16)

[…] sotto la magnifica trina delle maniche luccica, direi quasi, in unalieve mezza tinta, il contorno perfetto delle sue bianche braccia > […]sotto la magnifica trina delle maniche luccica, in una lieve mezza tinta,il contorno perfetto delle sue bianche braccia (CdM 1861-2, p. 17) 80

Un ultimo esempio:

[…] erano ora aperte ogni giorno per lasciare penetrare i raggi splendi-di di un bel sole di primavera negli appartamenti. > […] erano oraaperte ogni giorno per lasciare penetrare negli appartamenti i raggisplendidi di un bel sole di primavera. (CdM 1861-2, p. 10) 81

79 Quanto all’eliminazione dell’enclisi pronominale si vedano le correzioni relativeal settore pronominale (cfr. infra, IV.7.3.).

80 In realtà questo esempio esula dai fenomeni trattati in questo capitolo, ma lo ag-giungo come forma di semplificazione di una tmesi (che pur permane) tra il predicatoverbale (luccica) e il suo oggetto (il contorno perfetto). Semplificazione che coinvolge siala misura della distanziazione, sia il tono letterario-libresco dell’attenuazione stereoti-pata che compare in inciso (direi quasi), priva di reale funzione espressiva o descrittiva.

81 Anche questo esempio, come il precedente, riporta una tmesi tra il verbo e il suo

CORREZIONI DI EDIZIONE

114 INVERSIONI E TMESI DEL VERBO

paradossalmente lo spostamento del complemento locativo, pur creandoex novo una tmesi tra il predicato e il suo oggetto, lo riporta ad una collo-cazione semanticamente naturale, dato il suo statuto argomentale. Lafunzione, infatti, di completamento del predicato che l’elemento locativoassume rende la versione primitiva lievemente sconnessa anche in ragionedella presenza di un complemento oggetto esteso e ‘pesante’ che relegaeccessivamente fuori dalla portata verbale il complemento di luogo.

5. CONCLUSIONI

La tendenza generale degli autori è di evitare le inversioni e le tmesi dipretto stampo classicistico e di chiaro valore letterario e nobilitante, se-condo la linea ‘ammodernante’ inaugurata più nettamente da Foscolocon le correzioni all’Ortis (in netta contrapposizione alla tendenza dellaprosa della seconda metà del ’700), e convalidata dai riscontri della prosagiornalistica ottocentesca, che fa uso molto parco di tali moduli (soprat-tutto l’inversione di participio e ausiliare, dal panorama grammaticografi-co confinata all’ambito prevalentemente poetico).

Statisticamente l’incidenza delle inversioni è bassa: assenti tra ausilia-re e participio (se non per il modulo temporale del tipo arrivato che fu);sporadiche tra infinito e verbo reggente; un poco più numerose tra infini-to e verbo servile. In questo quadro piuttosto compatto rappresenta unanotevole eccezione la prosa di Giovanni Rosini che accoglie ancora unabuona presenza di inversioni soprattutto di participio e ausiliare e di infi-nito e verbo servile (oltre il 20%), ma anche di infinito e verbo reggente(circa 6%) per fini prevalentemente stilistici. Se, dunque, la precessionedel participio è modulo in chiara decadenza, quella dell’infinito è un po-co più presente, ora per fini di innalzamento del tono, ora per fini prag-matico-informativi o di enfasi semantica.

Per quel che riguarda le tmesi: sono un poco più rilevanti statistica-mente (oscillano in media dai 10 ai 30 punti percentuali), ma non tutte ri-sultano connotate in senso letterario o particolarmente marcate. Tra lediverse tipologie riscontrate (tmesi per avverbio, per soggetto, per comple-mento indiretto, per complemento d’agente, per presenza di due o più ele-menti e per subordinata) decisamente prevalente è la tmesi per avverbio(60% nella stringa ausiliare/participio, 30% in quella verbo/infinito e

oggetto (fenomeno qui non indagato). Mi è però parso indicativo di una sensibilità lin-guistica attenta alla naturalezza sintattico-topologica dell’espressione, che in questospecifico caso si sovrappone completamente ad un esito perfettamente contemporaneo.

115

44% in quella servile/infinito): ancor oggi, infatti, alcuni avverbi possonotrovarsi più o meno indifferentemente in posizione inter-ausiliare o post-participiale (molti avverbi in -mente), altri invece hanno collocazione to-pologica oggi grammaticalizzata (già, mai, quasi, bene).

La tipologia di queste tmesi, dunque, che si allinea fortemente conquelle che sono ancora possibili nell’italiano contemporaneo, e il lorodato numerico mettono in rilievo, per questo aspetto, il carattere già diprevalente ‘modernità’ della prosa dei nostri romanzi. Non mancano,però, casi più marcati e sotto il segno del preziosismo.

Una significativa differenza si riscontra, poi, nell’uso della tmesi tra idue piani narrativi: nel dialogo la sua presenza è di circa un terzo inferio-re a quella riscontrata in diegesi.

La tmesi per soggetto occupa il secondo posto di rilievo: più diffusain diegesi (Rosini, D’Azeglio, Tommaseo, Grossi, Manzoni, Guerrazzi eNievo); in sede mimetica (Rosini, Tommaseo e Guerrazzi) combacia piùspesso con il modulo tradizionale della posposizione del soggetto in fraseinterrogativa (posposizione che diviene interposizione nei tempi compo-sti e nelle stringhe ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’).

La tmesi per complemento indiretto è presente solo nel dialogato suigeneris di Tommaseo, mentre ricorre più diffusamente in sede diegetica(soprattutto tra ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’, meno tra ausiliare eparticipio). Si ritrova, infatti, un po’ in tutti gli autori (tranne in Grossi),ma si tratta per lo più di complementi di tempo, di luogo, di modo, anti-cipati ora per una funzione pragmatica puntuale, ora per dare un mag-gior rilievo semantico; più raramente ricorre come stilema letterario a finievidenti di nobilitazione del dettato.

L’interposizione di un complemento d’agente, invece, appare sporadi-ca (6 casi); mentre non del tutto trascurabile è quella costituita da due opiù elementi (meno evidente tra ausiliare e participio: 4,6%; più cospicuanelle altre due giaciture di ‘Verbo+Infinito’ e ‘Servile+Infinito’: 10-12%).A ben guardare, però, i casi riscontrati nel piano mimetico appartengonotutti alla prosa del Duca d’Atene e hanno forte connotazione di sostenu-tezza stilistica e tensione espressiva. I restanti casi, diegetici, distribuitivariamente tra gli altri autori, non hanno particolari valenze espressive oletterarie ma sono funzionali alla concentrazione pragmatico-informativa.

Ancora più esigui gli esempi di tmesi per subordinata (per lo più ge-rundive, parentetiche, incidentali): servono a spiegare, delimitare, infor-mare sulle circostanze dell’azione o della situazione psicologica descritta.Di più chiaro fine retorico alcune occorrenze (Tommaseo, Verga).

Veramente episodici, infine, a parte il romanzo di Rosini, i casi diconcomitanza di una inversione con una tmesi.

CONCLUSIONI

Mauroni E.
L'ordine delle parole nei romanzi storici italiani dell'Ottocento
SEGUE

Nella sua indagine sulla sintassi del parlato attraverso la tradizione scrittadella lingua italiana D’Achille appone ad essa un terminus ad quem:

Mi è parso che il traguardo della ricerca si potesse fissare alla fine delsec. XVIII, senza allungare il passo fino all’epoca romantica e alla fati-dica svolta manzoniana perché ho voluto limitare il campo di indaginealla produzione scritta influenzata da un clima culturale genericamenterinnovato, ma non ancora propriamente elaborata sulla base di unesplicito programma di ‘recupero del parlato’ come quello romantico epiù specificamente manzoniano. 1

I testi presi in esame vanno proprio al di là di quella soglia, e si fannoportatori o testimoni (ora muti ora più eloquenti) di quel clima linguisti-co (e contenutistico) rivoluzionario, o diversamente innovativo rispetto aimovimenti del passato, tanto da venirne escluso dall’ampio excursus dia-cronico succitato e renderlo bisognoso di una trattazione a sé. Epoca cru-ciale, quindi, il XIX secolo che esordendo con le preoccupazioni cultu-rali esposte in primis nelle pagine azzurrine del foglio del Conciliatore,dalla vita così breve e ostacolata, trovò finalmente un autore come Man-zoni che per primo diede avvio ad una meditazione linguistica di diversostampo.

Ma i nostri autori – ‘il lettore se n’è già avveduto’ – non furono tuttimanzoniani, anzi. In questo capitolo, una piccola appendice, tratteremodi alcuni di quei fenomeni di sintassi marcata, riscontrati nel campione,

VI

ORDINI DI SINTASSI MARCATA

Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contenetrenta anni le possette parte Sancti Benedicti

Placiti capuani

1 D’Achille 1990, p. 20.

340 ORDINI DI SINTASSI MARCATA

che sono ritenuti segni di una accondiscendenza ad una medietas lingui-stica maggiore e di una maggiore vicinanza tra i due poli di scritto e par-lato. Tra questi la dislocazione (a sinistra e a destra), la frase scissa, iltema sospeso 2.

1. SEGNALI DI ‘MODERNITÀ’: DISLOCAZIONI, FRASI SCISSE, TEMI SOSPESI

La virgolettatura dell’attribuzione di modernità ai costrutti più sopra ac-cennati è inevitabile: diacronicamente presenti fin dalle prime testimo-nianze scritte della nostra tradizione, non si possono chiamare moderninel senso letterale-cronologico del termine, ma possono rappresentare unindice, un segnale di ‘modernità’, in quanto elementi di una comunicazio-ne in cui oralità e scrittura si avvicinino, mediate da un’idea (da un’esi-genza vera e propria) di maggiore naturalezza comunicativa. Una natura-lezza e una medietà comunicativa (in cui è in gioco la stessa comprensibi-lità e possibilità di uno scambio) ricercate anche per quelle scritture chela super-norma bembiana e il perpetuarsi di una tradizione di modellizza-zione formale molto forte avevano alienato sia dall’evolversi continuo deitempi (e quindi della lingua come uso), sia dalle nuove esigenze culturali(che imponevano ormai oltre ad un accoglimento dell’uso una sua omo-geneizzazione e comunione). La presenza di questi fenomeni nei nostritesti (in passato troppo spesso valutati essenzialmente come fatti di stile),va dunque segnalata, ma valutata di volta in volta: la scarsità dei dati rac-colti lo impone. Sicuramente le occorrenze trovate possono essere vistecome indizio o di un programmatico avvicinamento ad una lingua di piùcordiale colloquialità, o di una più attenta comprensione dei meccanismipragmatici della comunicazione, o almeno come segnale di un uso co-munque in atto che a volte trapela anche dalle maglie più strette di prosedi più austera linea.

Le occorrenze non sono molte: un drappello costituito da una sessan-tina di casi in tutto su un totale di 200 mila battute per autore3. I dati,

2 Per una definizione dei fenomeni, ormai fin troppo noti, rimandiamo all’ampiabibliografia esistente, tra cui indichiamo i contributi di Sornicola 1981; Berruto 1985a,1985b, 1986a, 1986b; Benincà 1986; Stammerjohann 1986; GGIC, I; Berretta 1994,1995a, 1995b, 1996. Per quel che riguarda la trattazione (spesso ignorata) dei fenomeniin questione nel panorama delle opere grammaticali a noi meno vicine segnaliamol’excursus in D’Achille 1990, pp. 93-113. Qui basterà ricordare che Fornaciari 1881parla a più riprese delle dislocazioni (duplicazioni; pp. 311, 327, 353), segnalandolecome tratto espressivo del parlare familiare.

3 Per rendere maggiormente l’idea, cioè più percepibile, sebbene meno precisa sta-

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benché limitati, sono dotati però di una certa chiarezza: nessun autore vaescluso da qualche traccia di sintassi marcata; gli autori che ne presenta-no di più sono Grossi 4 (16 occorrenze), Manzoni (12), Nievo (10), eD’Azeglio 5 e Rovani (7); mentre minori o episodici sono quelli di Guer-razzi 6 (4), Tommaseo, Ranieri (3), e infine Rosini e Verga (2).

Di Manzoni, Sabatini 1987 ricorda che le costruzioni tematizzate piùcomuni erano già presenti nella ventisettana e perfino nel Fermo e Lucia,ma che l’edizione del Quaranta innesca una vera e propria «impennata»del fenomeno che si allarga fino alla zona più ‘compromettente’ deglianacoluti. Pieno riscontro, in proposito, dai dati di spoglio dell’intero ro-manzo (Bonomi 2001-2003) 7 tra i quali si contano ricorrenze di disloca-zioni a sinistra che superano il centinaio, un manipolo non trascurabile didislocazioni a destra «quasi esclusivamente nel piano dialogico, come co-strutti dal forte carattere oralizzante», temi sospesi (soprattutto nei dialo-ghi ma anche in diegesi) 8.

Una prassi, dunque, pienamente consapevole in Manzoni; e forse isuoi ‘colleghi’ più prossimi ne recepiscono il movimento: Grossi (soprat-tutto) e D’Azeglio.

Quanto a Nievo e Rovani non è difficile immaginare (e tra i due an-cor più nel primo) qualche inserimento di tale genere; Mengaldo 1987 cene dà testimonianza anche per l’epistolario nieviano, indicando nella ma-trice parlata ed informale l’anticipo o la ripresa di un complemento conpronome atono pleonastico.

tisticamente, i 65 casi trovati sono da distribuirsi su una media di 120 pagine per auto-re, quindi circa milleduecento pagine totali.

4 Riscontri in questo senso anche in Zangrandi 2004, pp. 115 ss.5 Cfr. nota precedente.6 Anche in Zangrandi 2004, p. 115, se ne rileva la quasi totale assenza.7 Quanto alla loro distribuzione si vedano le indicazioni di Bonomi: «Il presuppo-

sto, scontato per tale analisi, della maggior concentrazione dei diversi tipi di costruttimarcati nel dialogo, può essere meglio definito osservando alcuni dati. Innanzitutto laloro più fitta presenza nelle battute dei personaggi più vivaci, come Renzo, Agnese, donAbbondio, Perpetua: la caratterizzazione appare più in senso diafasico che diastratico,come mostra la ricorrenza di dislocazioni anche nelle battute di personaggi socialmenteelevati, impegnati in dialoghi animati e fortemente espressivi […]. Ma anche la diegesiè investita, a tratti anche molto fittamente, dalla sintassi marcata, soprattutto quando lanarrazione interessa più da vicino gli avvenimenti relativi ai personaggi principali delromanzo, e quando si fa più serrata […] o nei punti in cui l’ironia dell’autore è più ac-centuata» (Bonomi 2001-2003, pp. 274-275).

8 «Il tema sospeso, che rappresenta in certo modo l’estrema realizzazione della di-slocazione a sinistra, è largamente presente nei diversi piani narrativi già dalla Ventiset-tana: nel dialogo, in bocca a Renzo, soprattutto, e don Abbondio, ma anche a Lucia,Agnese, e occasionalmente ad altri personaggi come Gertrude e la moglie del sarto»(ivi, pp. 282-283).

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Quanto alle tipologie, la più rappresentata è decisamente la disloca-zione e, delle due varianti, quella a sinistra (come sempre) 9. Nello scritto,soprattutto, la dislocazione a destra è infatti la meno frequente, come di-mostrano gli studi relativi 10 e l’ampia casistica di D’Achille 1990. Ma ve-diamone come al solito gli esempi che si trovano quasi tutti, eccetto novecasi (4 in Rovani, 2 in Grossi, 2 in Ranieri, 1 in Tommaseo), all’interno dibattute dialogiche:

MV 1840Dislocazioni a sinistra– Ditelo a me! Che queste cose io le ho sulle dita. (p. 10)

– Già, la sete dà buon bere, ma la sua parte però bisogna lasciarla an-che al vino (p. 39)

Il capo lo portava scoperto, e si vedevano i capelli neri, divisi sullafronte ampia e maestosa (p. 89)

Le battute appartengono ad ogni sorta di personaggi (dal conte Del Bal-zo, al giullare Tremacoldo, ai popolani di Limonta) e mimano ben conve-nientemente il rapido intercalare dei turni dialogici, l’espressività del-l’oralità, la necessità del locutore orale di tenere saldo il tema (dato) eproseguire per aggiunta di informazione nuova; ma Grossi ci dà prova inuna occasione (ultimo esempio) di un inserimento del costrutto perfinoin una sede, quella descrittiva (e non di un personaggio tra gli ultimi: sitratta infatti del protagonista Marco Visconti) che generalmente rappre-senta per il narratore una sorta di carta da visita delle sue qualità narrati-ve e che concentra spesso la ridda dei moduli letterari collaudati.

Dislocazioni a destra– Dunque per provarla questa discrezione, tirava innanzi Michele, il no-stro avvocato mise fuori anche lui i suoi bravi testimonj (p. 10)

9 D’Achille 1990, p. 123 riporta il dato di 1:3 secondo gli studi di Berruto 1985a,1986b. Può costituire parziale e peculiare eccezione la prosa di scrittori di area meri-dionale: Testa 1997 (pp. 153-154), a proposito di Verga, mette infatti in luce che, con-trariamente ai dati noti per il fenomeno della dislocazione, quella a destra prevale suquella a sinistra, forse solo, però, per un probabile riflesso sintattico di origine dialet-tale.

10 Si veda in particolar modo l’intervento di Rossi 1999 che insiste sul valore mag-giormente dialogico della dislocazione a destra e quindi sulla sua maggiore frequenzanel parlato; Berruto 1986b, inoltre, mette in luce che la maggior parte delle dislocazionia destra riscontrate sono più che altro forme di «ripensamento» (es. le ho mangiate, lemele; diversamente la forma canonica: le ho mangiate le mele), segnate intonativamenteda una pausa.

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– Bravo, bravo! – ripigliava il fornajo sorridendo – se te l’ho detto chesei giovane! (p. 27)

– Via, fatela finita, tornava a dirle la figliuola: ditela su voi se volete unaqualche orazione, ma fatela finita. (p. 99)

– […] io le so tutte queste cose, che ho sulle dita le Consuetudini delloStato di Milano raccolte per ordine del Podestà Brunagio Porca. (p.36)

– Se appena confessati, – gridò uno, – noi li facciam freddi, in tempoche si confessano si può ben dire che sono in punto di morte, mi pare ame. (p. 17)

Le battute appartengono tutte (eccetto la penultima del conte Del Balzo)a personaggi di bassa estrazione socio-culturale (il barcaiolo, il fornaio,Lauretta ancella di Ginevra, ecc.) e appartengono a contesti situazionali,come ognuno può vedere, dimessi e spontanei. Soprattutto l’ultimo, incui la formulazione pleonastica (mi pare a me) mima un uso piuttosto fre-quente del parlato spontaneo, motivato dalla presenza sia di un pronomepersonale deittico sia di un verbo psicologico 11.

Frasi scisse

Quanto appena asserito vale anche per gli esempi sottostanti: la primafrase scissa con focalizzazione del soggetto prorompe dalla reazione spon-tanea ed emotiva dell’ancella Lauretta al racconto della madre, pieno dicolpi di scena, della storia d’amore tra Marco Visconti e Ermelinda (sposapoi del conte Del Balzo); la seconda è pronunciata da Michele, il barcaio-lo, che riporta, con enfasi indignata, una sorta di testimonianza-calunniadetta da terzi a danno dei Limontini.

– Guardate un’ [sic] po’ che impostore! – scappò su Lauretta; – è pro-prio stato lui a rifiutarla, dopo tante promesse e tante smanie! (p. 82)– […] e venne a dire una perfidezza di questa fatta, che vi sono testi-monj che noi di Limonta si fu sempre servi alti del monastero.»– Aldj, avrà detto. –– Sì, altri, e per tal segnale, che si portava la testa rasa, e che è da poco

11 «Una maggior frequenza della ripresa pronominale si osserva inoltre se l’espe-riente è un pronome personale deittico, cioè di I e II pers. sing. e plur.: ci riferiamo allefrasi, comuni nel parlato spontaneo, come A me mi piace, A te ti sembra, e anche A menon mi convince. In queste frasi convergono gli effetti delle regole di spostamento com-binati con le proprietà sintattiche dei pronomi liberi deittici e dei verbi psicologici»(GGIC, I, p. 134); per la frequenza del costrutto in Grossi rimandiamo agli esempi cita-ti in Dramisino 1996, p. 150.

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tempo che ci siam lasciati crescere i capelli. Si può dare un’infamitàpeggio 12 di questa? (p. 9)

Infine è da aggiungere un ultimo esempio:

Chi potesse averlo ai nostri giorni quel volume sarebbe un tesoretto.(p. 74)

Esso coniuga ad una dislocazione a destra (averlo … quel volume) un te-ma sospeso (Chi): il pronome iniziale, infatti, mal si integra con il verbodella proposizione successiva e rimane isolato in posizione iniziale (rein-tegrabile, al contrario, con un *Per chi).

PS 1840Dislocazioni a sinistra«In somma, figliuol caro, io non ci ho colpa; la legge non l’ho fatta io.»(p. 29)

«Non ci sarà niente, così spero; ma, non ostante, queste ricerche noi ledobbiam fare.» (p. 30)

«Il giovine che mi discorreva […] lo prendevo io di mia volontà» (p.153)

«E io ho sempre veduto che a chi sa mostrare i denti, e farsi stimare, glisi porta rispetto» (p. 24)

«In quanto alla giustizia me ne rido: prove non ce n’è» (p. 194)

«[…] tre figure come le vostre, e che vanno per i fatti loro, chi vuoi chenon sia contento di lasciarle passare?» (pp. 200-201)

Nei primi due passi don Abbondio ‘arranca’ e accampa le scuse delle for-malità ancora da espletare prima di potere celebrare il matrimonio: eccoallora la legge e queste ricerche in primo piano, ben salde, ribadite comeimpedimenti, già note come tali, dinanzi alle quali convien retrocedere; laprima, da un lato, toglie responsabilità a don Abbondio (la legge non l’hofatta io), la seconda, dall’altro, dà modo di procrastinare (queste ricerchenoi le dobbiam fare). Nel terzo caso appare in prima posizione il tema di-scorsivo (l’elemento noto; più che noto, al cuore di Lucia) seguito daun’espansione relativa che rende ancor più giustificabile la ripresa con ilclitico, aggancio saldo dell’oggetto al suo distante predicato; stessa dina-mica nelle parole di Perpetua del quarto esempio. Il penultimo, pronun-ciato da don Rodrigo l’indomani del fallito tentativo di rapimento di Lu-

12 Si noti, a maggior colloquialità e spontaneità, l’uso dell’avverbio (peggio) al postodell’aggettivo concordato (*peggiore).

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cia, in realtà presenta due tematizzazioni: la prima ottenuta con la locu-zione tematizzante in quanto a seguita poi da una ripresa clitica (me nerido) grammaticalizzata, però, dallo stesso verbo (riderne); la seconda conla dislocazione a sinistra del partitivo a cui è omessa la preposizione (di)come spesso accade nelle varietà basse o spontanee (cfr. Berretta 1994,pp. 81-82); da rimarcare anche il mancato accordo col verbo (al singola-re: non ce n’è). L’ultimo, infine, è una battuta ancora di don Rodrigo chevuole dissipare le paure del Griso, ricercato nel territorio monzese, a fareindagini su Lucia nella cittadina alle porte di Milano, calcando sul timoreche lui incuterebbe insieme ai due bravi più fidati.

Dislocazioni a destra«Ma! Io l’avrei bene il mio povero parere da darle; ma poi …» (p. 24)

«Ma non le ha già fatte queste ricerche?» (p. 30)

«L’ho detto io, che c’era mistero sotto, – pensò Renzo» (p. 31)

«State zitta voi: già lo so che i parenti hanno sempre una risposta dadare in nome de’ loro figliuoli!» (p. 152)

La condivisione immediata del vissuto comunicativo tra locutore e inter-locutore è lo sfondo necessario a queste due prime battute dialogiche diestrema familiarità; ancor più la terza, discorso interiore di Renzo. L’ulti-mo caso, poi, riflette una consapevolezza amara che Gertrude significati-vamente esprime con uno scatto repentino che adombra il suo vissutodoloroso. Infine:

«Lei sa che noi altre monache, ci piace di sentir le storie per minuto»(p. 151)

Un tema sospeso per una delle battute più spontanee e significative del-l’intero romanzo.

CdUI 1858Dislocazione a sinistraChe tutti intendessero il toscano io non lo credo (p. 35)

Che in quelle conferenze preliminari avessero voce anche i Giurecon-sulti del Foro Udinese, io non m’attento di negarlo (p. 36)

Cosa fosse davvero, sarebbe un intruglio a volerlo capire (p. 65)

La indifferenza di Lucilio per le alte occhiate del Partistagno e per leburlate dei fanciulli, io la sentiva per quei tiri principeschi della Pisana.(pp. 177-178)

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Qualche esempio diegetico: si tratta di anticipazioni di proposizioni og-gettive (con sottolineatura del tema del discorso) seguite da una ripresaanaforica clitica attraverso il pronome neutro lo; l’ultimo esempio, inve-ce, riporta un’anteposizione dell’oggetto.

– Son tribolazioni queste che bisogna offerirle al Signore per farsi sem-pre più degni di lui (p. 29)

Qui, più che una vera e propria dislocazione a sinistra si ha una strutturache ricalca i moduli di costruzione della relativa dell’italiano popolarecon la ripresa clitica dell’oggetto, assolutamente pleonastica, pur dopopronome relativo con la stessa funzione.

Ecco la morale della mia vita. E siccome questa morale non fui io ma itempi che l’hanno fatta, così mi venne in mente, che descrivere inge-nuamente quest’azione dei tempi sopra la vita d’un uomo potesse reca-re qualche utilità a coloro, che da altri tempi son destinati a sentire leconseguenze meno imperfette di quei primi influssi attuati. (p. 4)

Ancora un esempio che assomma due strutture marcate: la dislocazione asinistra («questa morale … l’hanno fatta») e una frase scissa («non fui ioma i tempi che …»). Il doppio ‘fuoco’ (‘non X ma Y’) e soprattutto laforma esplicita della pseudorelativa rendono appena ambigua la proposi-zione (il che complementatore pare, ad una prima lettura, più un prono-me relativo soggetto il cui immediato antecedente sono i tempi).

Dislocazioni a destraE finalmente vi è l’ultimo [capitolo] della locazione delle case, nel qua-le, con paterna provvidenza per la sicura abitazione dei sudditi, è stabi-lito, che chi ha locazione minore d’anni cinquanta debba avere l’intima-zione dello sfratto almeno un mese avanti allo spirar della stessa. – Nelquale spazio di tempo egli possa provvedersi per altri cinquant’anni; eche il Signore gli conceda la vita di Matusalem, acciocchè possa ripe-terne molte di tali locazioni. (p. 43)

Il commento ironico del narratore-personaggio si indirizza al passo pre-cedente degli Statuti friulani sul tema delle locazioni; queste, dunque, nel-la critica del narratore (snella e ammiccante), possono essere ripresecome elemento già noto, parentetico-chiarificatore.

Dio mi venne in mente anche a me (p. 191)

A udirlo lui, quando aveva vuotato il quarto bicchiere, non era stataguerra dall’assedio di Troja fino a quello di Belgrado dove non avessecombattuto come un leone. (p. 30)

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Due esempi, questi ultimi, di ancora più evidente modulazione orale conenfasi sul soggetto (il primo ‘psicologico’, il secondo grammaticale).

EF 1833Dislocazioni a sinistra– […] sì, sì, è lui sicuramente; ma il nome non me lo domandate. (p.21)

– Questi li conosci, Inigo (p. 30)

«Queste ferite le toccai presso Velletri» (p. 39)

– Vedete per chi avete sprezzato l’amore del vostro Dio! Per uno che,quella fede mondana e colpevole che v’avea data, neppure ve l’ha sapu-ta serbare; che ad un soffio s’è volto altrove senza curarsi di voi. (IItomo, p. 73)

Le occorrenze, tutte dialogiche, appaiono in battute di personaggi più emeno modesti: uomini d’arme di varia provenienza sociale e geografica(spagnoli, francesi), Fieramosca stesso (nel terzo esempio mentre raccon-ta le sue vicissitudini amorose a Brancaleone). L’ultimo esempio ci pareun po’ più notabile: la situazione discorsiva è ben più drammatica delleprecedenti (chi parla è fra Mariano confessore in extremis di Ginevra,l’amata di Fieramosca) e se da un lato la ripresa pronominale avvienedopo la relativa (che v’avea data), dall’altro evita una ‘cruda’ (e più lette-raria) 13 anticipazione dell’oggetto, messo comunque in primo piano co-me focus discorsivo.

Dislocazioni a destra– Lo dicevo io che era mal d’amore! (p. 22)

– In vita mia ne ho conosciuti dei bravi giovani, e alla corte di Spagna edi Francia (p. 22)

Ancor più colloquiali i contesti di queste due dislocazioni a destra.

CA 1868-9Dislocazioni a sinistra– Il tarocco l’ho io, rifletté, e bene io fui destro né a cederlo né ad ab-bruciarlo, ed è riposto in tal luogo, che sfido il diavolo a scovarlo fuori(p. 269)

E una tal gioia non possiamo che gustarla per intuito, dal momento che

13 Cfr. supra, V.5.

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non abbiam mai avuto, non sappiamo se la disgrazia o la fortuna, d’an-dare in prigione (p. 277)

Il numero dei convitati l’aveva dato Zampino, che in quel giorno fu ca-meriere soprannumerario e sovrintendente. (p. 281)

L’effetto che fece la prima volta una tale notizia sull’anima di donnaClelia, che non aveva saputo mai nulla di quelle sei sere di recite straor-dinarie, ognuno se lo può immaginare. (p. 302)

Diegetici gli esempi (sebbene il primo sia una sorta di discorso diretto in-teriore), testimoni di una prosa ‘andante’ e mossa che sa cavalcare conmezzi sintattici adeguati e spregiudicati ora le movenze del dialogo inte-riore e meno sorvegliato, ora la freschezza dell’ironia autoriale, ora unamedietas senza enfasi e distinzione, infine l’occasione allocutiva dell’ap-pello al lettore.

Dislocazioni a destra[…] perché, se il lettore non lo sa, lo sappia adesso, che [il tenoreAmorevoli] prima di abbandonare il Capitano di giustizia, condotto aguardar la faccia di Galantino, protestò di non ravvisarlo affatto (p.283)

– Che ve ne pare delle nostre milanesi? (p. 72)

L’ultima battuta è pronunciata da uno spettatore ad un altro, forestiero,durante uno spettacolo teatrale: l’aggiunta finale, parentetica, a scoposolo di maggiore chiarezza, si fonda sulla condivisione del contesto daparte dei due, e Rovani utilizza bene questa consapevolezza pragmatica.

Frasi scisse– E dove lasciate Egiziello, il grande, l’unico Egiziello, il re dell’espres-sione? fu egli che nell’opera Artaserse fece piangere tutta Roma perquesto solo accento:E pur sono innocente. (p. 76)

Una frase scissa per porre in focus il soggetto, pur già noto; Rovani mancaperò qui l’occasione di utilizzare un più pragmatico lui.

BdB 1852Frasi scisse“Chi è che osi contrastare al grido della natura?” (p. 15)

“Chi è che geme qui dentro?” (p. 28)

“Chi è che piange?” (p. 39)

“Chi è che passa?” (p. 53)

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Quattro esempi, tutti ricalcati sullo stesso modello di frase scissa con ele-mento interrogativo wh; l’enfasi e la messa in focus ricadono sul pronomechi, quindi sul soggetto. La frase scissa spesso enfatizza e focalizza l’atten-zione sul soggetto, che di per sé, nella più parte dei casi, è tematico e ne-cessita quindi di una struttura così marcata per acquisire enfasi e visibili-tà. La struttura Chi è che, oggi quasi una formula fissa, appare infatti, se-condo gli studi e i riscontri, più tipica del parlato conversazionale chedello scritto 14. Ricordo che gli esempi guerrazziani appartengono comun-que al piano del dialogo, e che funzionano da catalizzatori di enfasi.

DA 1858Dislocazioni a sinistra– […] forse la vita stessa del nemico mio la faranno salva il suo nome, ilterrore del duca. (p. 31)

[…] e il nome di traditore, non gli pareva tuttavia meritarlo. (pp. 33-34)

– E cotesto duca io l’aborro (p. 31)

Da questi esempi verrebbe quasi da dire che nella prosa di Tommaseoperfino le strutture meno sorvegliate, più ‘orali’ si riverberano della ten-sione stilistica, emotiva e narrativa che contraddistinguono il Duca. Il ten-tativo di una ‘normalizzazione’ e di una ricerca di diminuzione di lettera-rietà e di enfasi va però segnalato: i primi due esempi, infatti, nella prin-ceps presentavano solo la più letteraria anteposizione dell’oggetto, senzaripresa clitica (cfr. infra, VI.3.3.), che, soprattutto nel secondo, potrebbeesser stata incoraggiata dalla distanza dal proprio antecedente (il nome ditraditore). Nell’ultimo passo la ripresa clitica potrebbe anche servire damaggiore appoggio acustico ad un verbo di ‘esecrazione’ iniziante per vo-cale dopo un pronome soggetto (io) interamente vocalico.

G 1862Dislocazioni a sinistraQualcuno che andava loro a grado, lo toglievano in braccio e portava-no via senza più. (p. 15)

Sopra ognuno di questi era una donna con tre bambini, brutti per lopiù e malaticci, perché i belli li prende quasi tutti la gente di fuori, chiper divozione, chi per l’utile fine della donna di Sant’Anastasia e chiper altro. (p. 28)

SEGNALI DI ‘MODERNITÀ’: DISLOCAZIONI, FRASI SCISSE, TEMI SOSPESI

14 Cfr. Berretta 1994, pp. 94-95.

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Ma se tu guardi un poco più in là, tu t’accorgerai che questi ceci, chinon se l’è faticati, non li mangia. (p. 97)

Tre dislocazioni a sinistra: nella prima, l’espansione relativa potrebbe a-vere giocato un ruolo non marginale nella successiva ripresa pronomina-le; nella seconda, invece, la vicinanza tra l’oggetto nominale e la sua ri-presa non ammette deroghe a considerare la costruzione un vero e pro-prio tratto oralizzante forse sfuggito alla penna del Ranieri: si veda, diconverso, l’inizio del periodo con l’eliminazione dell’elemento locativoormai formulare di esserci (era al posto di c’era) motivato dalla presenzainiziale di un altro elemento locativo (Sopra ognuno di questi). Quanto alterzo passo, con evidente eccesso potremmo considerare la battuta dialo-gica pronunciata da una delle perfide suore che vigilano nel conventopresso la Nunziata un piccolo ‘capolavoro’ (in una prosa come quella diRanieri) di oralità mimetica 15: innanzitutto i due pronomi di seconda sin-golare (tu) deittici e martellanti, poi l’inserimento del tema del discorso,l’oggetto in questione (i ceci che Ginevra, stremata e digiuna da giorni,vorrebbe mangiare), poi ancora l’immissione improvvisa, tipica di unascarsa pianificazione, ma fortemente caratterizzante la psicologia di chiparla, della fatica come condizione preliminare e inderogabile al soddisfa-cimento di un bisogno che è comunque naturale; e in fondo, da ultimo, laparte più rematica, e crudele (non li mangia): una sorta di dulcis in fundorovesciato, ultima stoccata tirata all’infelice Ginevra non prima dell’accu-sa di una sua naturale «scioperataggine» 16.

MM 1829Dislocazioni a sinistra e a destra– […] mi ricevè senza guardarmi, e mi prese al servizio senza parlarmi.Le istruzioni me le diede poi donna Maria Caterina governante. (p.143)

– […] mia figlia, le disse, io lo so bene quanto è paurosa (p. 12)

Nel primo esempio, una battuta di dialogo del servitore Carafulla, si hauna tematizzazione del complemento oggetto (noto perché inferibile dal-

15 Accanto ad una battuta come quella riportata nel corpo del testo, compaiono an-che interventi come: «[…] e facendomi dal posto dove quelle così squisitamente man-giavano, dissi con un filo di voce che m’avanzava: O sorelle, darestene un cucchiaio an-che a me, acciocché io non muoia al tutto di fame?» (G 1862, p. 97); «Come! sog-giuns’io, non è cotesto il nutrimento comune di tutte le mie compagne?» (G 1862, p.97).

16 Accusa che spesso vien fatta alla protagonista dalle impietose e malevole suoredella Nunziata.

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la frase precedente: e mi prese a servizio senza parlarmi) con ripresa pro-nominale successiva; mentre nel secondo caso la breve battuta racchiudein prima posizione un’anticipazione del soggetto della subordinata (in ne-retto), emotivamente centro focale del discorso di Agnese, con cui con-trasta l’inserimento esplicito di un io, soggetto della frase principale, spiaegocentrica del legame viscerale e della dimestichezza con la figlia di cuisi conosce bene l’indole e la disposizione timorosa, tanto da generarel’acredine mal celata di Agnese verso la Signora di Monza, responsabiledell’uscita di Lucia dal monastero e del suo relativo rapimento; a ciò siaggiunge l’anticipazione cataforica del pronome neutro lo seguito dalladichiarativa esplicativa (quanto è paurosa).

CdM 1861-2Dislocazioni a destra– E l’hai ucciso sui monti quella volpe? (p. 36)

Una dislocazione a destra per questa battuta pronunciata dal conte diSan Gottardo al nipote Francesco (il barone di San Gottardo), in meritoal racconto di una misteriosa (perché fantomatica) volpe (tema condivisoquindi dai due interlocutori). Il mancato accordo col participio (l’hai uc-ciso … quella volpe), poi, può essere o un semplice refuso o una delle fre-quenti incertezze grammaticali che ancora assediano la scrittura verghia-na (cfr. Verdirame 1988, Introduzione) 17.

Frasi scisseGiustina provò un movimento di esitazione prima di sorpassare la so-glia, ma esclamò:– È Dio che lo vuole! (p. 59)

Chiaramente enfatico questo caso di frase scissa.

17 Nel caso specifico si potrebbe azzardare la seguente ipotesi: che Verga, come ri-vela di frequente la prassi correttoria insistita visibile sul manoscritto di copia ‘in pulito’per la stampa, abbia commesso una normalizzazione ‘eccessiva’ nell’accordo del parti-cipio. Ovvero, se, come segnala Verdirame 1998, p. XXI, circa una pagina prima delnostro esempio si trova nella copia manoscritta una correzione che destituisce l’omolo-gazione del participio all’oggetto successivo (Egli ha uccisa la volpe > Egli ha ucciso lavolpe, CdM 1861-2, p. 35), è probabile che Verga, costruendo una frase consimile macon struttura sintattica diversa («E l’hai ucciso sui monti quella volpe?»), che richiede,invece, di necessità l’accordo oggetto-participio (in quanto il primo precede, attraversoil pronome clitico, la forma verbale implicita), abbia commesso una ‘iper-correzione’ insenso moderno, incorrendo, però, in un errore sintattico. Per la desuetudine, nell’italia-no contemporaneo, dell’accordo del participio con l’oggetto seguente si vedano Serian-ni 1989a, pp. 463-465 e Dardano - Trifone 1997, p. 326.

LA POSPOSIZIONE DEL SOGGETTO PER ENFASI PRAGMATICA

Mauroni E.
L'ordine delle parole nei romanzi storici italiani dell'Ottocento
SEGUE