Elettrochimica2-ELETTROLISI

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PAVIA – DIPARTIMENTO DI CHIMICA A. Marini, Capitolo VI – Chimica Fisica. Anno Accademico 2012/2013 ELETTROLISI Abbiamo visto che una pila è un apparecchio che trasforma l’energia chimica prodotta da reazioni redox spontanee in energia elettrica. Una cella elettrolitica è un apparecchio in cui, verificandosi il passaggio di corrente elettrica continua attraverso un conduttore elettrolitico, avvengono trasformazioni di energia elettrica in energia chimica. L’elettrodo collegato direttamente al polo negativo della sorgente di fem continua si chiama catodo. Il catodo rappresenta quindi il polo negativo di una cella elettrolitica. Sotto l’influenza del campo elettrico stabilito nella soluzione dall’applicazione della sorgente di fem continua agli elettrodi, i cationi (carichi positivamente) migrano verso il catodo (polo negativo). Qui i cationi assorbono gli elettroni provenienti dalla sorgente di fem e si 136 V A anod o catod o

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ELETTROLISI

Abbiamo visto che una pila è un

apparecchio che trasforma l’energia

chimica prodotta da reazioni redox

spontanee in energia elettrica. Una cella

elettrolitica è un apparecchio in cui,

verificandosi il passaggio di corrente

elettrica continua attraverso un

conduttore elettrolitico, avvengono

trasformazioni di energia elettrica in

energia chimica.

L’elettrodo collegato direttamente al polo negativo della sorgente di fem

continua si chiama catodo. Il catodo rappresenta quindi il polo negativo di

una cella elettrolitica. Sotto l’influenza del campo elettrico stabilito nella

soluzione dall’applicazione della sorgente di fem continua agli elettrodi, i

cationi (carichi positivamente) migrano verso il catodo (polo negativo). Qui i

cationi assorbono gli elettroni provenienti dalla sorgente di fem e si riducono.

Al catodo di una cella elettrolitica si verifica quindi una reazione di

riduzione.

L’anodo costituisce evidentemente il polo positivo di una cella elettrolitica.

Gli anioni (carichi negativamente) migrano verso l’anodo e qui cedono gli

elettroni di cui sono dotati, ossidandosi. All’anodo di una cella elettrolitica si

verifica quindi una reazione di ossidazione.

I termini catodo e anodo sono stati coniati in relazione al processo di

elettrolisi ed abbiamo già osservato che è preferibile evitare di utilizzare

questi termini per designare gli elettrodi di una pila. Vediamo perché.

Si potrebbe scegliere di associare la designazione dell’elettrodo al tipo di

reazione che su di esso si verifica.

136

V

A

anodo catodo

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In questo caso, sia in una pila, sia in una cella elettrolitica, si dovrebbe

chiamare catodo l’elettrodo sul quale si verifica la reazione di riduzione. In

questo modo tuttavia, lo stesso termine catodo, verrebbe usato per designare

l’elettrodo positivo di una pila e l’elettrodo negativo di una cella

elettrolitica.

Si potrebbe alternativamente scegliere di associare la designazione

dell’elettrodo alla sua polarità

In questo caso, sia in una pila, sia in una cella elettrolitica, il catodo

costituirebbe l’elettrodo negativo. In questo modo tuttavia al catodo si

verificherebbero processi opposti: una reazione di riduzione nel caso di una

cella elettrolitica, una reazione di ossidazione nel caso di una pila.

Per evitare ambiguità è bene quindi limitare l’uso dei termini CATODO e

ANODO ai processi di ELETTROLISI.

FENOMENOLOGIA DEL PROCESSO DI ELETTROLISI

Abbiamo visto, alla pagina precedente, uno schema di cella elettrolitica.

Poniamo che la cella contenga una soluzione di acido cloridrico ad attività

unitaria di ioni H+. Ci proponiamo di applicare agli elettrodi una d.d.p. via via

crescente e di analizzare i processi che si verificano all’atto della chiusura del

circuito. Allo scopo sostituiremo l’amperometro inserito nel circuito con un

oscilloscopio che, essendo in grado di fornire una risposta rapida, consente di

misurare l’intensità di corrente in funzione del tempo. Poiché l’elettrolita è una

soluzione di acido cloridrico, i processi che si possono verificare agli elettrodi

sono:

1) CATODO ():

2) ANODO (+) :

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Iniziamo l’esperimento imponendo agli

elettrodi una d.d.p. di 0.2 V. Il grafico

dell’intensità di corrente i contro il tempo t

è del tipo riportato in figura. All’atto della

chiusura del circuito i raggiunge (in pratica

istantaneamente) il suo valore massimo,

dopo di che essa diminuisce fino ad un

valore piccolo ma non nullo. Agli elettrodi

non si nota sviluppo di prodotti gassosi.

Andamenti in tutto simili a quello appena descritto si registrano per tutte le

d.d.p. applicate minori di 1.36 V. L’unica differenza è che all’aumentare della

d.d.p. applicata aumentano il valore massimo e quello minimo della corrente.

Per valori di d.d.p. applicata maggiori di

1.36 V, l’andamento di i vs t cambia

sostanzialmente. L’intensità di corrente

raggiunge in modo praticamente istantaneo

un valore (che dipende dalla d.d.p.

applicata) che poi rimane costante nel

tempo. Se si riportano i valori di i ottenuti a

seguito della applicazione delle diverse

d.d.p. in funzione delle d.d.p. medesime, si

ottiene un grafico del tipo mostrato in

figura.

138

i

t

i

V

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SCARICA DEGLI IONI AGLI ELETTRODI E CONTRO f.e.m.

Anche quando la d.d.p. applicata è di soli 0.2 V si verifica, sebbene in misura

assai modesta, un processo di elettrolisi. Sugli elettrodi si formano piccole

quantità di H2 e Cl2 che rimangono adsorbite sugli elettrodi stessi. Il catodo

della cella elettrolitica, su cui si è sviluppato ed è stato adsorbito idrogeno,

diventa un elettrodo a idrogeno. In modo del tutto analogo, l’anodo della

cella elettrolitica, su cui si è sviluppato ed è stato adsorbito cloro, diventa un

elettrodo a cloro. Si viene di conseguenza a formare una pila il cui

funzionamento (vedi i valori dei potenziali standard di riduzione) prevede

evidentemente riduzione di Cl2 e ossidazione di H2: l’esatto opposto cioè di

quanto si verifica nel corso dell’elettrolisi che detta pila genera. In altri termini

la f.e.m. della pila generata si oppone alla ddp imposta dalla sorgente esterna.

Avremo:

(VI-1)

(VI-2)

Ben presto la contro f.e.m. della pila generata uguaglia la d.d.p. imposta dalla

sorgente esterna. Ci si potrebbe attendere che al realizzarsi di questa

condizione la corrente nella cella si annulli. In realtà abbiamo visto che rimane

una debole corrente residua la cui persistenza è interpretabile su base statistica.

All’aumentare della d.d.p. applicata, nuovi ioni H+ si riducono al catodo della

cella e nuovi ioni si ossidano all’anodo. Le attività del cloro e dell’idrogeno

adsorbiti sugli elettrodi ( ; ) aumentano. E’ facile vedere,

osservando le (VI-1) e (VI-2) che all’aumentare di , EH diminuisce,

mentre ECl aumenta all’aumentare di . In altri termini ECl - EH, cioè

la fem della pila in opposizione, aumenta fino ad uguagliare la d.d.p. della

sorgente esterna e a provocare l’arresto del processo di elettrolisi.

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CONTRO f.e.m. E POTENZIALE TERMODINAMICO DI

ELETTROLISI

La contro f.e.m. di cui si è discusso non può tuttavia crescere indefinitamente.

Quando infatti la d.d.p. applicata tramite la sorgente esterna è tale da far sì che

la quantità di ioni scaricati agli elettrodi abbia prodotto

= 1, le pressioni parziali del cloro e dell’idrogeno gassosi sui rispettivi

elettrodi non possono ulteriormente aumentare in una cella che operi a

pressione atmosferica, in quanto l’ulteriore scarica di ioni H+ e

produrrebbe evoluzione di cloro e idrogeno gassosi dagli elettrodi. Dunque

quando = diventano unitarie, la contro forza elettromotrice

della pila generata è massima e non può ulteriormente aumentare a seguito di

un aumento della d.d.p. imposta agli elettrodi tramite la sorgente esterna. Se la

d.d.p. viene aumentata al di sopra del valore della contro fem massima, si ha un

aumento della corrente di elettrolisi in accordo con la legge di Ohm che, per

conduttori di seconda specie, può essere scritta:

V = R I + cost (VI-3)

cost = contro forza elettromotrice massima.

La contro f.e.m. massima può essere calcolata con facilità. Nel caso del nostro

esempio:

(VI-4)

poiché 1 atm; 1, si ha:

V (VI-5)

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Il valore ottenuto di 1.36 V viene definito tensione di soglia o potenziale

termodinamico di elettrolisi e rappresenta, come abbiamo visto, il valore

minimo di d.d.p. da imporre agli elettrodi per far scaricare su di essi, in modo

irreversibile, l’elettrolita.

SOVRATENSIONE

In realtà la d.d.p. da imporre agli elettrodi di una cella per far avvenire

irreversibilmente l’elettrolisi è maggiore della tensione di soglia. Esistono, in

altri termini, in una cella elettrolitica “resistenze” di diversa natura, il cui

superamento impone l’applicazione di una sovratensione.

SOVRATENSIONE DA CONCENTRAZIONE

Riferiamoci nuovamente all’elettrolisi di una soluzione acquosa di HCl. Nel

corso dell’elettrolisi la concentrazione di H+ nel compartimento catodico e

quella di nel compartimento anodico diminuiscono (nel determinare il

potenziale di un elettrodo sono importanti le concentrazioni all’interfaccia

elettrodo - elettrolita). Ne segue che:

diminuisce

aumenta

se ne conclude che la contro f.e.m. della pila generata E = ECl - EH aumenta.

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Dunque affinché l’elettrolisi si verifichi in modo irreversibile e in misura finita,

è necessario applicare agli elettrodi una sovratensione da concentrazione (che

può essere considerata come somma delle sovratensioni anodica e catodica).

SOVRATENSIONE DA RESISTENZE AI FENOMENI ELETTRODICI

Esistono altre cause di sovratensione oltre la già citata sovratensione da

concentrazione. Quando l’ambiente (natura chimica degli elettrodi, superficie

etc.) è tale che i fenomeni elettrochimici incontrano delle resistenze a

verificarsi, si deve aumentare la tensione applicata per spingere ad avvenire i

processi soggetti ad impedimento. Gli esempi più importanti sono:

1) resistenze che si oppongono alla scarica e allo sviluppo dei gas;

2) inettitudine a trasmettere gli elettroni che alcuni elettrodi metallici

presentano in certe condizioni.

Per quanto riguarda il punto 2) si fa osservare che i metalli si scaricano sugli

elettrodi in forma atomica, quindi molto reattiva. In queste condizioni il

solvente tende a combinarsi col metallo formando complessi (comuni sono i

complessi acquosi). Per i metalli Fe, Co, Ni l’impedimento alla conduzione

degli elettroni conseguente alla formazione di acquocomplessi è tale che la

sovratensione raggiunge valori di 0.3 - 0.4 V.

La sovratensione connessa al meccanismo di scarica dei gas agli elettrodi

(punto 1) è la più comune ed importante. Per esempio, nel caso dell’idrogeno,

gli stadi che devono realizzarsi perché esso passi dallo stato di ione ossonio in

cui è presente in soluzione a quello di gas sono:

I II III IV2 H3O+ 2H+ + 2 2 H H2(aq) H2(gas)Perché si abbia resistenza allo sviluppo di idrogeno è sufficiente che uno solo

degli stadi esemplificati sia lento. nel caso specifico si ritiene che gli stadi più

lenti siano il II e III. Una conferma di ciò sta nel fatto che gli elettrodi costituiti

da metalli in grado di agire come catalizzatori nelle reazioni di idrogenazione

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( e quindi in grado di adsorbire facilmente idrogeno) presentano una bassa

sovratensione da idrogeno (esempio Pt, Ni). Al contrario, metalli non adatti

a adsorbire idrogeno (Hg, Pb, Zn etc) presentano una elevata sovratensione

da idrogeno.

TENSIONE DI SOGLIA, DI DECOMPOSIZIONE E DI ELETTROLISI

A REGIME

Abbiamo visto che la tensione di soglia o potenziale termodinamico di

elettrolisi (V0) è definita come la contro f.e.m. della pila che si genera a seguito

della formazione dei depositi elettrodici. Nel caso dell’elettrolisi di una

soluzione di HCl questa vale:

V0 = ECl - EH

Tuttavia, come abbiamo già osservato, per stabilire la d.d.p. minima necessaria

a scaricare un elettrolita agli elettrodi della cella occorre tenere conto dei

fenomeni di sovratensione che interessano il processo di scarica di ciascuno

ione dell’elettrolita. Aggiungendo alla tensione di soglia V0 la sovratensione

anodica (a) e quella catodica (c) relative al processo di elettrolisi in questione

si ottiene la tensione di decomposizione dell’elettrolita (Vd):

Vd = V0 + a + c = ECl - EH + a + c (VI-6)

Poiché, però, la soluzione elettrolitica presenta una resistenza R, il passaggio

attraverso la cella di una intensità di corrente finita ( I ) comporta una caduta

Ohmica pari a RI. Ne segue che la d.d.p. da applicare agli elettrodi di una

cella elettrolitica per ottenere il passaggio di una corrente di intensità I vale:

V = Vd + RI = ECl - EH + a + c + R I (VI-7)

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V viene definita TENSIONE DI ELETTROLISI A REGIME.

LEGGI DI FARADAY

Gli aspetti quantitativi dei processi di elettrolisi sono governati dalle leggi di

Faraday, che furono enunciate come segue:

i pesi delle sostanze trasformate agli elettrodi sono proporzionali alla

quantità di elettricità che ha attraversato la cella;

la stessa quantità di elettricità, passando per celle elettrolitiche diverse,

trasforma agli elettrodi pesi di sostanze proporzionali ai pesi equivalenti.

Si definisce FARADAY o costante di FARADAY la quantità di elettricità,

espressa in Coulomb, necessaria per trasformare all’elettrodo (catodo o anodo)

un equivalente di qualunque elettrolita. Poiché un equivalente di elettrolita

rappresenta la quantità di elettrolita portatrice di un numero di Avogadro di

cariche elementari, risulta chiaro come:

1. sia necessaria la medesima quantità di elettricità (1 F) per trasformare

all’elettrodo di una cella elettrolitica un equivalente di qualunque

elettrolita;

2.

Sulla base delle leggi di Faraday, si definisce equivalente elettrochimico (z)

di una data sostanza, il peso in grammi della sostanza trasformata da 1

Coulomb. Dalle definizioni di peso equivalente e costante di Faraday, segue

immediatamente che:

(VI-8)

Pf = Peso formula;

n = numero di moli di elettroni necessarie per la scarica di una mole di

sostanza;

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F = costante di Faraday

Se si indica con I l’intensità di corrente (costante) che fluisce nella cella per

un tempo t, la quantità di elettricità che attraversa la cella (Q) è data

evidentemente da:

(VI-9)

Indicando con G la massa in grammi della sostanza trasformata all’elettrodo,

dalle 164) e 165) si ottiene:

(VI-10)

La (VI-10) può essere considerata l’espressione matematica della legge di

Faraday.

RENDIMENTO DI CORRENTE

Si definisce rendimento di corrente il rapporto tra la quantità di elettricità che

ha effettivamente provocato trasformazione dell’elettrolita agli elettrodi (QF) e

la quantità totale di elettricità impiegata (Q):

(VI-11)

Il rendimento di corrente può essere definito in modo più pratico facendo

riferimento al rapporto tra la quantità di elettrolita effettivamente trasformata

agli elettrodi e la quantità di elettrolita che avrebbe dovuto essere trasformata

in base alla legge di Faraday. Ponendo:

g = peso in grammi di sostanza effettivamente trasformata agli elettrodi;

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G = peso in grammi di sostanza che avrebbe dovuto essere trasformata sulla

base della legge di Faraday;

Si ottiene dalla 167):

(VI-12)

Il rendimento di corrente è abitualmente minore di uno a causa delle reazioni

elettrodiche parassite che avvengono assieme a quelle principali.

RENDIMENTO ENERGETICO

Il rendimento energetico è definito come:

(VI-13)

(VI-14)

V0 = Tensione di soglia o potenziale termodinamico di elettrolisi;

QF = quantità di elettricità prevista dalla legge di Faraday;

(VI-15)

V = Tensione di elettrolisi a regime;

Q= quantità di elettricità che ha effettivamente attraversato la cella (se si

verificano reazioni elettrodiche parassite, Q > QF).

Dalle 169), 170) e 171) segue immediatamente:

(VI-16)

146

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Il rendimento energetico tiene conto non solo delle reazioni parassite agli

elettrodi, ma anche dei fenomeni di sovratensione.

SPECIE CHE PRENDONO PARTE AL PROCESSO DI ELETTROLISI

Tra tutte le reazioni elettrodiche possibili, la più favorita è quella che comporta

il minor consumo di energia. Di conseguenza:

al catodo di una cella elettrolitica si ridurranno per prime le specie più

ossidanti;

all’anodo di una cella elettrolitica si ossideranno per prime le specie più

riducenti.

ELETTROLISI DI SALI FUSI

Il magnesio viene preparato per elettrolisi di cloruro di magnesio fuso a circa

700 °C. È da osservare che dall’elettrolisi di soluzioni acquose di sali di

magnesio al catodo si otterrebbe idrogeno a causa del valore molto basso del

potenziale standard di riduzione dello ione magnesio .

ELETTROLISI DELL’ACQUA

Durante l’elettrolisi dell’acqua si verificano i seguenti processi elettrodici:

CATODO ():

ANODO (+):

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L’anodo diventa quindi un elettrodo ad ossigeno e il catodo un elettrodo a

idrogeno. La contro f.e.m. della pila che si genera a seguito dell’elettrolisi

vale:

I valori dei potenziali standard di riduzione sono:

La tensione di soglia o potenziale termodinamico di elettrolisi dell’acqua vale

dunque 1.23 V. Ci si dovrebbe attendere, su questa base, che qualunque

elettrolisi effettuata in soluzione acquosa con d.d.p. > 1.23 V debba

comportare sviluppo di idrogeno al catodo e di ossigeno all’anodo. In realtà,

a causa della sovratensione da idrogeno e ossigeno che molti elettrodi

presentano, è possibile effettuare elettrolisi di soluzioni acquose con d.d.p. >

1.23V (vedi per esempio il caso della soluzione acquosa di HCl con elettrodi

di grafite o il caso della produzione di zinco per elettrolisi di soluzione

acquosa di solfato di zinco).

ELETTROLISI DI SOLUZIONI ACQUOSE DI ACIDI E BASI

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Nel caso di elettrolisi di soluzioni acquose di acidi e basi, le reazioni

elettrodiche possono non essere quelle prevedibili a prima vista.

Abbiamo già visto che elettrolizzando una soluzione acquosa di acido

cloridrico si ha sviluppo di cloro all’anodo e di idrogeno al catodo: in questo

caso entrambi i prodotti elettrodici sono quelli prevedibili.

Se si elettrolizza una soluzione acquosa di idrossido di sodio, solo all’anodo

avviene il processo previsto:

In vicinanza del catodo vengono a raccogliersi, per migrazione ionica, ioni

Na+ e H+. Questi ultimi sono presenti nell’assai piccola concentrazione

comportata dall’equilibrio di autoprotolisi dell’acqua e, una volta scaricati, si

rigenerano immediatamente per effetto del medesimo equilibrio. Al catodo

possono quindi verificarsi due diverse reazioni di riduzione:

Come già sappiamo, tra più reazioni elettrodiche possibili avviene quella che

comporta il minor consumo di energia. Dunque, nel caso dell’elettrolisi di una

soluzione acquosa di idrossido di sodio, al catodo si ha sviluppo di idrogeno.

ELETTROLISI DI SOLUZIONI ACQUOSE CONCENTRATE DI

CLORURO DI SODIO

L’elettrolisi di soluzioni acquose concentrate di cloruro di sodio è un processo

di grande importanza industriale. Il catodo è abitualmente di ferro, l’anodo di

grafite (la sovratensione dell’ossigeno sulla grafite è di circa 1.2V ). La

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soluzione di cloruro di sodio è circa al 28% in massa, cioè quasi satura. I

processi che si verificano agli elettrodi sono:

CATODO ():

ANODO (+):

Al catodo si sviluppa idrogeno, all’anodo si sviluppa cloro. Nel comparto

catodico si formano ioni che diffondono nella soluzione. Nel comparto

anodico, il cloro formatosi si scioglie nella soluzione e dà luogo a reazione di

disproporzione:

Se la temperatura è sufficientemente elevata, gli ioni disproporzionano

rapidamente:

In definitiva, dall’elettrolisi condotta nel modo descritto si ottengono idrogeno

e cloro come prodotti primari, ipoclorito di sodio e clorato di sodio come

prodotti secondari.

Se i compartimenti anodico e catodico vengono separati da un diaframma

poroso (che consente il contatto elettrico ma evita il miscelamento delle

soluzioni) gli ioni prodotti al catodo restano nel compartimento catodico

e verso questo migrano gli ioni , con la conseguenza che la soluzione

catodica diventa una soluzione sempre più concentrata di idrossido di sodio.

Dall’elettrolisi condotta in questo modo si ottengono H2, Cl2 e NaOH.

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RAFFINAZIONE ELETTROLITICA DEI METALLI

Esempio tipico di raffinazione elettrolitica dei metalli è la raffinazione del

rame che, quando usato come conduttore elettrico, deve avere purezze

dell’ordine del 99.98%.

La purificazione consiste nel far passare corrente attraverso una cella con

anodo costituito dal rame da purificare e catodo costituito da una sottile lastra

di rame purissimo (99.999%). L’elettrolita è una soluzione acquosa di solfato

di rame acidificata con acido solforico. Le reazioni che si verificano agli

elettrodi sono:

ANODO (+):

CATODO ():

Le impurezze del rame sono costituite sia da metalli più nobili (per esempio

Ag: ), sia da metalli meno nobili (per esempio Ni:

). Al potenziale necessario perché si verifichi l’ossidazione

anodica del rame ( ) non si verifica ossidazione dell’argento e

delle altre impurezze più nobili del rame. Queste, a mano a mano che l’anodo

si disgrega, cadono sul fondo della cella e costituiscono i fanghi anodici, dai

quali è spesso conveniente separare argento e oro.

Le impurezze meno nobili del rame vengono ossidate assieme al rame. Esse,

tuttavia, non si riducono al catodo e rimangono nella soluzione che va quindi

arricchendosi di impurezze. La soluzione va periodicamente purificata proprio

per evitare che la concentrazione delle impurezze cresca fino al punto da

rendere possibile la loro riduzione catodica.

CONDUTTORI DI SECONDA SPECIE

Le soluzioni elettrolitiche sono conduttori di seconda specie: la loro

conducibilità cresce all’aumentare della temperatura.

Si definisce resistenza specifica o resistività di un conduttore, la resistenza del

conduttore di lunghezza e sezione unitarie (in pratica la resistenza di un cubo

del conduttore di spigolo 1 cm)

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(VI-17)

R = resistenza (si misura in )

l = lunghezza del conduttore (in cm)

S = sezione del conduttore (in cm2)

= resistenza specifica o resistività (si misura in cm)

Si definisce CONDUCIBILITÀ SPECIFICA o CONDUTTIVITÀ, e si indica con , il

reciproco della resistività:

( si misura in -1cm-1) (VI-18)

Si definisce CONDUTTANZA (e si indica con ) il reciproco della resistenza:

( si misura in -1) (VI-19)

La conduttanza dipende dalla concentrazione degli ioni, dalla loro carica, dalla

temperatura.

Il rapporto che appare nella (173) è costante per una determinata cella

elettrolitica e si chiama costante di cella:

(VI-20)

La costante di cella viene determinata misurando la resistenza che offre la cella

quando contiene un elettrolita di conduttività nota. Nota C, dalla misura di R si

risale facilmente a .

Si definisce conducibilità equivalente (e) il prodotto della conduttanza

specifica per il volume in cm3 in cui è disciolto un equivalente di elettrolita.

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Poiché la conduttanza specifica rappresenta la conduttanza che si misura in una

cella con elettrodi di 1 cm2 posti alla distanza di 1 cm (quindi la conduttanza di

1 cm3 di elettrolita), la conducibilità equivalente rappresenta la conduttanza che

si potrebbe misurare tra due elettrodi paralleli, distanti 1 cm, e di superficie tale

che tra essi sia contenuto un volume di soluzione in cui è disciolto un

equivalente di elettrolita. È ovvio da quanto detto che la conduttanza

equivalente non si misura direttamente, ma si calcola da . Vediamo perché.

Esempio

Si voglia determinare e di una soluzione di elettrolita 110-3 N.

Sono necessari di detta soluzione per avere un equivalente

di elettrolita. Se la distanza tra gli elettrodi è 1 cm, si ha:

Per misurare direttamente e sarebbero dunque necessari elettrodi con

superficie di 100 m2.

Se indichiamo con N la normalità della soluzione di elettrolita, rappresenta

il volume in litri in cui è disciolto un equivalente e il volume in cm3

in cui è disciolto un equivalente. Si ha allora:

(VI-21)

Poiché le unità di misura di sono -1cm-1, quelle di e risultano

-1cm2equiv.-1.

MISURE DI CONDUTTANZA

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Le misure di conduttanza vengono eseguite con il ponte di Kohlrausch,

alimentato a corrente alternata. Z è lo strumento di zero costituito, per esempio,

da un oscilloscopio. La misura consiste nel regolare le resistenze variabili R1,

R2, R3 in modo che l’oscilloscopio non registri passaggio di corrente. In queste

condizioni deve essere (leggi di Kirchoff):

(VI-22)

(VI-23)

Dalle (178) e (179) segue:

(VI-24)

Tuttavia, se tra B e D non passa corrente, deve essere:

(VI-25)

(VI-26)

Segue dalle (180), (181), (182):

; (VI-27)

È dunque evidente che la grandezza effettivamente misurata è la resistenza.

B

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Schema diPonte diKohlrausch

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C’ Rx

R1 Z

A C R2 D R3

DIPENDENZA DELLA CONDUCIBILITA’ EQUIVALENTE DALLA

CONCENTRAZIONE

Kohlrausch trovò empiricamente che la conducibilità equivalente degli

elettroliti forti è legata alla concentrazione dalla seguente relazione:

(VI-28)

dove rappresenta la conducibilità equivalente a diluizione infinita.

La spiegazione di questa relazione è semplice. Per gli elettroliti forti, al

diminuire della concentrazione, diminuiscono le interazioni tra gli ioni mentre

(per il calcolo della conducibilità equivalente) rimane identico il loro numero,

sempre tale da costituire un equivalente di elettrolita. Dunque, per gli

elettroliti forti è possibile determinare 0 per estrapolazione a zero della (VI-

28).

Il discorso è naturalmente diverso per gli elettroliti deboli. In questi, al

diminuire della concentrazione, aumenta il grado di dissociazione e quindi

aumenta e. Tuttavia, neppure a diluizione infinita il grado di dissociazione di

un acido o una base deboli raggiunge valori unitari. Ne segue che è

impossibile, per gli elettroliti deboli, determinare sperimentalmente 0.

Per comprendere come il grado di dissociazione di un elettrolita debole possa

avere, a diluizione infinita, valori diversi, consideriamo il caso di un acido

debole.

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Z

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È evidente che se Ca aumenta, restando Ka costante, deve aumentare ,

cioè deve diminuire . L’opposto accade naturalmente quando Ca diminuisce:

in questo caso il grado di dissociazione aumenta.

A diluizione infinita potremo porre:

Allora:

Esempi

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LEGGE DELLA MIGRAZIONE INDIPENDENTE DEGLI IONI

(KOHLRAUSCH)

Studiando l’andamento della conducibilità a diluizione infinita per diverse

serie di sali aventi uno ione in comune, Kohlrausch arrivò a formulare la

seguente legge che porta il suo nome:

La conducibilità equivalente a diluizione infinita è una proprietà additiva

degli ioni dell’elettrolita ed è data dalla somma di due costanti

caratteristiche di tali ioni (mobilità ioniche)

La base sperimentale della legge di Kohlrausch può essere compresa

facilmente analizzando i valori della conducibilità a diluizione infinita di sali

aventi uno ione in comune.

Sale 0 (-1cm2) Differenza

KF 111.231.2

LiF 80.0

KCl 130.131.2

LiCl 98.9

KI 131.131.2

LiI 99.9

NaI 1101

NaCl 109

KI 131.11

KCl 130.1

NH4I 130.91

NH4Cl 129.9

È chiaro che la differenza tra i valori di 0 di due elettroliti aventi lo stesso

anione e catione diverso è costante. Lo stesso dicasi per due elettroliti aventi

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identico catione e diverso anione. Ne segue che ogni ione fornisce un

contributo definito e costante alla conducibilità equivalente a diluizione

infinita, contributo indipendente dalla natura dell’altro ione. Possiamo quindi

scrivere:

(VI-29)

dove e sono le mobilità ioniche del catione e dell’anione

rispettivamente.

Catione Anione

350 198.5

73.5 159.6

73.4 78.4

127.2 76.8

62 76.3

106 71.4

50 68.9

38.7 110.5

26 41

Appare evidente dall’osservazione della tabella che, eccettuati e ,

tutti gli altri ioni hanno valori piuttosto simili di mobilità ionica, pur

differendo considerevolmente per carica e dimensioni. La vicinanza dei valori

di mobilità ionica può essere spiegata considerando che:

a. le dimensioni che contano sono quelle degli ioni solvatati. A parità di

carica, gli ioni di dimensioni minori si solvatano di più di quelli di

dimensioni maggiori, con il risultato che le dimensioni degli ioni solvatati

risultano simili;

b. all’aumentare della carica aumenta il grado di solvatazione. Ciò comporta

livellamento delle mobilità di ioni aventi cariche diverse (lo ione con

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carica più piccola compensa questo svantaggio di carica solvatandosi di

meno).

LEGGE DELLA DILUIZIONE DI OSTWALD

Si consideri un elettrolita debole. Si è visto che la legge di Kohlrausch sulla

migrazione indipendente degli ioni consente di calcolare il valore di 0 di

detto elettrolita. Poiché la conducibilità, a parità di temperatura, dipende dal

numero degli ioni presenti tra gli elettrodi, potremo scrivere:

(VI-30)

con = grado di dissociazione.

La (VI-30) può essere utilizzata proficuamente in relazione ad un generico

elettrolita HA.

Sostituendo otteniamo:

(VI-31)

La (VI-31) indica che da una misura di conducibilità specifica eseguita su una

soluzione a concentrazione nota dell’elettrolita debole è possibile ricavare Ka

e . La (VI-31) viene generalmente indicata “legge della diluizione di

Ostwald”.

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