Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

25
Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990 Scritto da Giuseppe Artusi Venerdì 17 Luglio 2015 21:41 Electric Muse Storia del folk-rock britannico e celtico (1965/1990) 1 / 25

Transcript of Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Page 1: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Electric Muse

Storia del folk-rock britannico e celtico (1965/1990)

1 / 25

Page 2: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

di Giuseppe Artusi

Dei molti generi, sottogeneri, correnti e scene che hanno composto e animato la musica negliultimi cinquant’anni, la storia della scena del folk britannico (o comunque lo si voglia definire – enon è semplice) è a suo modo piuttosto singolare.

Negli anni ’70, artisti come Fairport Convention, Lindisfarne e Steeleye Span, persino gli stessiChieftains, erano nomi da classifica che riempivano tanto le pagine delle più popolari rivistemusicali di tutto il mondo quanto le arene in cui si esibivano; altri, come Alan Stivell, l’IncredibleString Band, i Pentangle, l’Albion Band di Ashley Hutchings per citarne alcuni, godevano digrande rispetto e i loro dischi si trovavano facilmente negli scaffali di tutti i negozi di dischi. Altriancora avevano un seguito più di nicchia, e tuttavia erano comunque in qualche modoconosciuti al grande pubblico: Amazing Blondel (molto popolari però in Italia), Lyonesse (chi liricorda?), i Gryphon, i francesi Malicorne, gli Horslips, senza certo dimenticare la grande scenairlandese che dalla metà degli anni ’70 portò alla ribalta artisti come Planxty, Bothy Band,Clannad e De Danann… E ancora, i grandi gruppi scozzesi, i Tannahill Weavers, gli Ossian, iSilly Wizard, i Runrig o i Five Hand Reel di Dick Gaughan. Come nacque, come avvenne tuttociò? Chi ne ha memoria? Che importanza ha avuto?

Eppure, la rilevanza e l’influenza di questa vasta scena non fu certo secondaria, visto che toccòmolto da vicino artisti quali i Led Zeppelin (che trassero esplicitamente le loro ispirazioni tantodal blues quanto da Bert Jansch e l’Incredible String Band, per tacer del fatto che il solomusicista esterno ad aver preso parte ad una loro incisione è Sandy Denny), Van Morrison,Donovan (ovviamente),  i Traffic di “John Barleycorn Must Die”, i Jethro Tull, Mike Oldfield, gliStrawbs (peraltro nati come gruppo bluegrass e folk), Cat Stevens, John Martyn e Nick Drake,Elvis Costello, Rod Stewart, Steve Howe degli Yes, gli stessi Gentle Giant; persino David Bowiecollaborò ad un disco degli Steeleye Span… E in seguito, negli anni ’80, Kate Bush, iWaterboys, i Silencers e gli Adventures, i Dexys Midnight Runner, Sinead O’Connor, Enya (cheper la verità è un membro della famiglia dei Clannad), i Corrs e i Big Country, il Mike Knopfler di“Local Hero”, gli Hothouse Flowers (sempre per far qualche nome),  discendono variamente maa pieno titolo da quei modelli e quelle suggestioni, così come tanto il nostro Branduardi quanto iPogues di Shane MacGowan semplicemente non sarebbero esistiti senza il folk-rock britannico:e si possono immaginare due esiti così lontani eppure così intimamente vicini? Persino i Clashhanno qualche piccolo debito nei confronti della scena folk…

2 / 25

Page 3: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Tutto ciò giustifica la domanda iniziale, e quindi val la pena ripecorrere, sia pure per sommicapi, le vicende e i destini di questo peculiare genere.

DALLA TRADIZIONE AL REVIVAL

Il folk-rock britannico nasce alla fine degli anni ’60, come del resto moltissimi altri generi;curiosamente, si tratta però di uno dei pochissimi casi di genesi non-post beatlesiana. Dicocuriosamente perché trattandosi di un fenomeno tipicamente britannico, è quantomenosorprendente che esso prescinda dai Beatles. Semmai è il contrario, giacché John Lennon ePaul McCartney iniziano la loro collaborazione nell’ambito dello skiffle, il corrispondentebritannico dell’hillbilly, che prende le mosse tanto dai vari esempi della musica americanaquanto dalla musica popolare inglese…

In effetti, la scena folk è un tratto caratteristico e fondamentale della cultura delle isolebritanniche: il folk revival in Gran Bretagna e Irlanda ha percorso la cultura di quei paesi lungotutto il Novecento, in Inghilterra grazie soprattutto all’azione dell’English Folk Dance and SongSociety di Cecil Sharp e Ralph Vaughan Williams e poi, dal secondo dopoguerra, di quella diEwan MacColl. Il periodo tra la fine degli anni ’50 e la metà degli anni ’60 è quello cruciale: neifolk clubs iniziano ad emergere figure come quelle di Bert Jansch, John Renbourn, MartinCarthy, Shirley Collins, Davey Graham, Roy Harper, Sandy Denny, Anne Briggs, Al Stewart (sì,quello di “The Year of the Cat”), che contaminano il linguaggio duro e puro della tradizione consuggestioni, linguaggi e modelli provenienti da oltreoceano, country, jazz e blues su tutti.

3 / 25

Page 4: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Ed è a questo punto che avviene un curioso cortocircuito. Il personaggio di riferimento, la guidadel movimento folk revival è Ewan MacColl, un comunista a tutto tondo, per cui sulla sua scortai folk clubs hanno una impronta marcatamente sociale se non francamente politica (può esserealtrimenti?); del resto, negli anni ’50 il direttore dell’English Folk Dance and Song Society è unaltro marxista convinto, Douglas Kennedy. Ma si tratta comunque di un fenomeno a suo modocircoscritto.

4 / 25

Page 5: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

In America si fa più sul serio, o quantomeno gli esiti hanno una risonanza su ben più vastascala: già negli anni ’30 la Carter Family aveva una impostazione e degli intenti dichiaratamentepolitici (democratici, naturalmente);  Woody Guthrie e Pete Seeger radicalizzano concetti emodelli, e il passo successivo è naturalmente Bob Dylan. I talentuosi giovanotti dei folk club diSoho inizialmente si muovono in modo molto più timido, un po’ perché la parte piùtradizionalista del loro pubblico stenta a seguirli, un po’ perché i loro ispiratori americani sonooggettivamente artisticamente assai più avanti (e famosi). Ed è qui che scatta il cortocircuito: undecisivo impulso al recupero e rivitalizzazione del patrimonio popolare britannico viene da unmusicologo americano, Alan Lomax. Cultore delle musiche popolari di tutto il mondo, Lomax sitrasferisce in Inghilterra negli anni ’50, iniziando a collaborare con la BBC. Le sue trasmissionihanno un impatto enorme presso il pubblico, ma ancor più lo hanno i suoi contatti con imusicisti, Ewan MacColl su tutti, al quale lo lega la comune militanza marxista. Per la scena folkinglese, la visione universale di Lomax è il lievito, e i giovani musicisti del circuito la pasta diquella che sarà la nuova scena del revival. La riprova della fertilità di quel terreno viene da ungiovane ed emergente cantautore americano, Paul Simon; reduce dal deludente risultato dellasua prova d’esordio discografico col suo socio Art Garfunkel (“Wednesday Morning, 3AM”), nel1964 Simon si trasferisce in due riprese e per quasi due anni a Londra, alla ricerca delle radici,di una fonte di ispirazione più originale e pura, e di modelli attraverso cui miglioraretecnicamente ed artisticamente, e naturalmente il suo punto di riferimento sono i folk clubs. Irisultati, al di là della sua prima prova solistica (“The Paul Simon Songbook”, pubblicato in realtàin seguito), si vedranno dapprima nei grandi album con Garfunkel (e l’arrangiamento dellacelebre “Scarborough Fair”, più o meno ‘rubato’ a Martin Carthy, non ne è che la riprova piùevidente) e poi in tutta la sua carriera solistica sino ad oggi.

NUOVI ORIZZONTI

Ma ai giovanotti inglesi tutto ciò non basta. Del resto, le suggestioni abbondano: viaggi eincontri spingono la ricerca più in là, verso che quella che oggi chiameremmo world music,come nel caso dell’Incredible String Band o del duo Shirley Collins e Davey Graham; e dall’altraparte c’è chi radicalizza il discorso acustico, come Martin Carthy, nume tutelare degli anni avenire, tanto da ricevere la nomina, nel 1998, di MBE. Martin fa da modello a tutta la suagenerazione di musicisti traditional, e non solo. Di Paul Simon s’è detto, ma Carthy influenzapersino lo stesso Bob Dylan, che all’inizio carriera lo conosce a Londra. Da Carthy, Dylanprende le melodie di diversi brani di “Freewheelin’”: “Girl From The North Country” viene da“Scarborough Fair”; “Lord Franklin” diventa “Bob Dylan’s Dream” (riconoscendo a Carthy icrediti nelle note di copertina), e la melodia di “Masters Of War” è quella di “Nottamun Town”.

5 / 25

Page 6: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Il nome chiave del successo del nuovo folk-rock è quello di un produttore americano, Joe Boyd,già collaboratore di Bob Dylan. Nel ’65 Boyd si trasferisce a Londra, e mentre da una parte dàun impulso al movimento underground, aprendo l’UFO e promovendo Pink Floyd (produce illoro primo singolo) e Soft Machine, dall’altra guarda al revival: mette la sua esperienza alservizio di Martin Carthy e di Shirley Collins, ma soprattutto scopre e lancia l’Incredible StringBand, i Fairport Convention, John Martyn, Nick Drake e Vashti Bunyan.

Nomen omen, l’Incredible String Band di Mike Heron e Robin Williamson è la cosa piùpiuttoresca e a suo modo geniale dell’intero universo del folk. Provenienti dal circolo dei clublondinesi, è in realtà un gruppo angloscozzese, quantunque interessi e visione trascendanoogni confine e classificazione. L’ISB nasce nel ’66 come trio, ma perso quasi subito ClivePalmer, dal secondo album Heron e Williamson si fanno aiutare dalle rispettive compagneLicorice e Rose Simpson dando vita ad una autentica comune hippy che produce un bizzarrocollage di mantra indiani, medievalezze, dadaiste filastrocche infantili,  inni religiosi e marcemilitaresche, music hall, traditional di qualunque posto, e qualunque altra cosa possa risultareinteressante: il tutto, naturalmente, tutto insieme

6 / 25

Page 7: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

– il bello è quello, ma in modo sempre rigorosamente acustico. Nel 1967 la nuova formazionesforna subito due dischi magistrali, “The 5000 Spirits Or The Layers Of The Onion” e soprattutto“The Hangman’s Beautiful Daughter”, disco amatissimo tanto al tempo quanto oggi,indubbiamente un capolavoro assoluto; i due album scalano le classifiche e hanno unainfluenza notevole anche sui Led Zeppelin, per esplicita ammissione di Robert Plant. Gli albumsuccessivi consolidano la formula, pur se via via con minor creatività e impatto; una sfortunatapartecipazione al festival di Woodstock, l’adesione a Scientology (secondo il loro produttore JoeBoyd, la vera causa di tutti i guai), un elefantiaco progetto teatrale fatalmente abortito a metà, esoprattutto l’ispirazione in calo a cavallo del 1970 minano la fama del gruppo, che però l’annosuccessivo riesce a produrre un altro grandissimo album, “Liquid Acrobat As Regards The Air”,dai toni più malinconici e drammatici, musicalmente più focalizzato e soprattutto per la primavolta moderatamente elettroacustico. Ma è il canto del cigno della band che sprofonda in dischida dimenticare; l’ispirazione che non c’è più e la storia del gruppo sfocia in una separazioneinevitabile e rancorosa.

I due leaders si dedicano a carriere soliste che iniziano sotto i migliori auspici, ma che subitorilevano i diversi atteggiamenti dei due: terreno, concreto, ameno e ironico quello di Heron;mistico, visionario, trascendentale quello di Williamson; la carriera di Mike Heron si rivela peròpresto erratica e in definitiva poco consistente, mentre di altro livello è quella di RobinWilliamson, della quale però parleremo più avanti.

Ilare e profondissima, carnale e metafisica, libera e strutturatissima (seppure secondo canonitutt’altro che di immediata comprensione), la musica dell’Incredible String Band richiede unmood, un atteggiamento mentale davvero aperto per essere apprezzata nella sua interezza, maanche a distanza di tanti anni si rivela un progetto solidissimo, profondo e meditato, una visioneculturalmente superiore alla media di almeno un paio di spanne.

7 / 25

Page 8: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

E poi ci sono i Pentangle. John Renbourn e Bert Jansch sono due tra i più dotati e quotatichitarristi del circuito dei club, innamorati tanto della tradizione britannica quanto del blues, dellamusica antica (Renbourn in particolare) e aperti al jazz. Iniziano a collaborare pubblicando unodegli album seminali del folk-blues, “Bert & John”; il passo successivo, naturale, è dare corso alnuovo linguaggio. Arruolano Jacqui McShee, cantante folk di buona fama, purissimo sopranoleggero dalla straordinaria voce, e poi una sezione ritmica jazz-blues, il contrabbassista DannyThompson e il batterista Terry Cox, provenienti dall’accademia del blues inglese, la band diAlexis Corner. Il riscontro di pubblico e critica è immediato ed entusiastico: tra il ’68 e il ’69 trealbum rigorosamente acustici (“The Pentangle”, “Sweet Child”, “Basket of Light “) mischianovariamente antiche ballads britanniche, standards jazz, danze medievali e blues rurale, eresteranno nella storia. I tre successivi (“Cruel Sister”, “Reflection”  e “Solomon’s Seal”) apronotimidamente all’elettrificazione, ma dopo il 1970 il gruppo sembra segnare un po’ il passo einfine decide di sciogliersi. La storia successiva racconta di carriere soliste altalenanti(soprattutto quella di Bert Jansch, perennemente segnata dai problemi con l’alcool), riformazioniin tono minore da parte di Renbourn e Jacqui McShee, collaborazioni importanti (quella diDanny Thompson con John Martyn è fondamentale) e almeno un progetto di spessore, il JohnRenbourn Group, ancora con la presenza di Jacqui, che nella seconda metà degli anni ’70realizza tre pregevoli album (su tutti il primo, “A Maid In Bedlam”) in equilibrio tra musica anticae rinascimentale, folk alla Pentangle e suggestioni etniche.

LA NASCITA DEL FOLK-ROCK

A tutti questi musicisti il linguaggio del folk risulta dunque sempre più stretto, e la svolta elettricadi Dylan del ’65 rappresenta l’alba della nuova era. Quello di cui si sente l’urgenza è soprattuttoun linguaggio giovane, nuovo, attuale. Occhi e orecchi di pubblico e dei nuovi artisti si orientanodapprima verso la West Coast dei Jefferson Airplane, dei Byrds, dei Grateful Dead e dellapsichedelia – a suo modo un frutto originale e in linea coi tempi delle originarie radici folk: ilcorrispettivo inglese è rappresentato dai Fairport Convention. Non sono musicisti folk, è ungruppetto di giovanissimi musicisti espressione della Swingin’ London e dei suoi localiunderground; musicisti rock in sostanza, del tutto estranei al circuito della musica popolare. Illoro omonimo album di debutto, nel ’68, è una imitazione incerta e un po’ confusa di quel che iJefferson Airplane facevano con ben altro spessore al di là dell’Atlantico, ma già col secondoalbum (“What We Did On Our Holydays”) la proposta si focalizza e si fa più personale.

L’ingresso nel gruppo di Sandy Denny dà la marcia in più: Sandy proviene dai club, nei quali siè fatta una certa fama anche come collaboratrice di Alex Campbell e poi degli Strawbs. È una

8 / 25

Page 9: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

interprete sensibilissima e acuta, e soprattutto è una cantante straordinaria, dalla voce forte epurissima: la più bella e importante dell’intera storia del folk, e anche più in là. Non solo, è pureuna eccellente songwriter. Il suo limite è il carattere; ambiziosa ma anche eternamente insicuradi sé, è umorale e incline alla depressione: ha il timore di non riuscire a mettere a frutto le suestraordinarie doti. Un limite che l’accompagnerà per tutta la sua (un po’ contraddittoria, maahimé troppo breve) carriera.

Per i Fairport il vero momento topico è l’ascolto di un album seminale, ancora una voltaamericano. Nel ’68 esce “Music From The Big Pink” della Band; il bassista e co-fondatore deiFairport, Ashley ‘Tyger’ Hutchings, ne è frastornato e inizia a cercare una via britannica a quelloche di lì a poco verrà universalmente chiamato il folk-rock. In quel secondo album e ancor piùnel terzo, Unhalfbricking, sempre del ’69, iniziano a comparire i primi traditionals riarrangiati, eper buona misura viene chiamato a collaborare un altro protagonista della scena folk, ilviolinista Dave Swarbrick, già collaboratore di Ian Campbell e di Martin Carthy. Un drammaticoincidente d’auto di ritorno da un concerto, in cui uno dei membri del gruppo muore e altrirestano seriamente feriti, è il detonatore: sotto shock, incerti se continuare o smettere, i seiFairport si ritirano in campagna, in quella che nelle intenzioni di Hutchings deve essere la loroBig Pink. Il risultato è “Liege & Lief”, autentica e riconosciuta pietra miliare del nuovo generemusicale, di cui segna di fatto anche l’inizio: 1969, è nato il folk-rock inglese.

9 / 25

Page 10: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

L’originalità della proposta, la sua suggestione e il suo fascino, e non ultimo il suo grande eimmediato successo di vendite, crea ben presto imitatori e soprattutto inizia ad influenzare altriartisti e persino case discografiche, la Island in primis. Ma sono i Fairport che faticano a vedersiconfinati nel recinto del genere, e dopo il capolavoro il gruppo esplode in tutte le direzioni: non ètanto la storia successiva dei Fairport ad interessarci (complessa, a volte erratica) quanto gliesiti della diaspora ad essere assai rilevanti per la nostra narrazione. I primi ad andarsene sonoproprio ‘Tyger’ Hutchings, insoddisfatto per la piega troppo rock che sta prendendo il gruppo, eSandy Denny, al contrario insoddisfatta per l’ambito comunque folk in cui esso si muove.Curioso ma significativo contrappasso: Tyger viene dal rock ma è attratto dal mondo del folk, dacui invece proviene e ne vuole definitivamente uscire, per coronare le sue ambizioni, Sandy.

I restanti membri (su tutti l’altro co-fondatore Simon Nicol) continueranno sino ad oggi ilmarchio, tra continui cambi di formazione e di assetti, con pause e ripensamenti, sfornandoinnumerevoli album dagli esiti artistici più vari: buoni, dignitosi, deludenti e qualcuno anchefrancamente scadente.

10 / 25

Page 11: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Sandy Denny dapprima forma un suo gruppo, i Fotheringay, col quale realizzerà un altrocapolavoro (ancora una volta prodotto da Joe Boyd), “Fotheringay”, per poi insoddisfatta daisuoi esiti commerciali tentare la strada di una carriera solistica che non le darà mai il successosperato, pure se impreziosita da album tutt’altro che disprezzabili (“The North Star And TheGrassman”, “Sandy” e il live postumo “Gold Dust” sono ottimi lavori). Nel mezzo, tra il ’74 e il’75, un rientro nei Fairport che produrrà due ottimi album, “Fairport Live Convention” el’eccellente “Rising For The Moon”, ma che si rivelerà ancora una volta commercialmentedeludente; la tragica scomparsa della cantante nel 1978, in seguito ad un banale incidentedomestico, porrà fine alla sua tormentata storia e darà inizio al mito. Da ricordare poi almeno altre due delle carriere soliste dei membri storici della band: quella diDave Swarbrick, che negli anni ’70 e gli inizi degli ’80 pubblica una serie di album a proprionome, “Swarbrick”, “Swarbrick 2”, “Lift The Lid And Listen”, sono i primi tre e i più significativi,acustici ma molto vari e piacevoli; bello anche “Smiddyburn”, con alcuni brani elettrici cheriprongono la formazione storica dei Fairport. Quella di Richard Thompson è decisamente rilevante, dapprima con un album solo (’72) assaiacclamato dalla critica, “Henry The Human Fly”, quindi prosegue in duo con la moglie LindaPeters con cui produce album di grande valore quali “I Want To See The Bright Lights Tonight”(un capolavoro), “Hokey Pokey”, “Pour Down Like Silver”. La carriera del grande chitarrista (ecompositore) prosegue alternando prove solistiche e dischi con la moglie, sino alla separazioneda quest’ultima nell’82, dopo di che Thompson si trasferisce per un lungo periodo negli States,allontanandosi dal folk-rock a cui ritorna sporadicamente nelle periodi riunioni annuali deiFairport o per occasionali collaborazioni. Dal canto suo, Ashley Hutchings dà vita ad un nuovo complesso, gli Steeleye Span, coldichiarato intento di avvicinarsi maggiormente alle fonti originali della musica popolarebritannica. Dopo un iniziale tentativo di lavoro con gli Sweeney’s Men (gruppo del qualeparleremo in seguito), si ritrova a lavorare con due quotate coppie di artisti della scena folk, TimHart e Maddy Prior e i coniugi Gay e Terry Woods (che degli Sweeney’s era uno dei membrioriginali). Tim e Maddy sono un affiatato duo, autore di un paio di album, “Folk Songs Of OldeEngland, volumi 1 e 2”, che hanno riscosso un certo interesse nell’ambiente. Con le due coppieHutchings realizza un disco, “Hark! The Village Wait”, dal sapore più marcatamente british e piùlontano dalle suggestioni americane. Ma la formazione non dura: troppe le tensioni e la rivalitàtra le due coppie, e i coniugi Woods se ne vanno subito dopo la pubblicazione dell’album. TerryWoods troverà poi negli anni ’80 fama mondiale come membro dei Pogues.

11 / 25

Page 12: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

A subentrare sono altri protagonisti della folk scene, il violinista Peter Knight e soprattutto MartinCarthy, a segnare una virata ancor più decisa verso l’ambito squisitamente folk ma suonato construmenti elettrici; lo sconcerto e il disappunto dei puristi del folk è grande, perché gira e rigira,la questione è sempre quella: acustico versus elettrico. Va bene la scrittura di nuovo materialesullo stile della tradizione, e passi la commistione con altri linguaggi e altri mondi (coi puristi iPentangle non hanno di questi problemi), ma l’elettrico no, mai. Certo non da Martin Carthy. Ma i tempi sono definitivamente cambiati e comunque i risultati dei nuovi Span sonoartisticamente eccellenti. Tra il ’71 e il ’72 la formazione registra due album, “Please To SeeThe King” e “Ten Map Mop or Mr Reservoir Butler Rides Again”: i brani suonano in modo oraieratico, ora maestoso, ora coinvolgente e appassionato, ora leggero e insinuante; l’intreccioelettroacustico è mirabile, la maestria delle voci è sublime, con la purezza cristallina di quella diMaddy Prior a dialogare e intrecciarsi con quelle forti e sicure di Carthy e Tim Hart. Sono duecapolavori, che rappresentano in modo compiuto il senso del nuovo genere folk-rock: rivitalizzazione e attualizzazione della tradizione.

12 / 25

Page 13: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

“Ten Man Mop” è però un insuccesso commerciale, reso ancor più bruciante dai costi dellaproduzione (la lussuosissima e costosa copertina serviva anche da spinta promozionale); ilmanager Jo Lustig spinge per una semplificazione della proposta musicale. Tyger Hutchingsnon può certo condividere, e lo stesso Martin Carthy preferisce tornare al suo territorio preferito,così i due lasciano. Privi dei loro numi tutelari, gli Span dall’album successivo (il memorabile“Below The Salt”) iniziano un cammino di progressivo avvicinamento al rock che a metà deglianni ’70 li porterà ad essere delle vere superstars globali con album come “Now We Are Six”(prodotto da Ian Anderson e con un cameo di David Bowie al sax), “Commoner’s Crown” (con lapartecipazione in un brano di Peter Sellers) e “All Around My Hat”, il loro maggior successocommerciale, che li porterà in testa alle classifiche di vendita di 33 e 45 giri. Il folk a quel puntoè poco più che un pretesto, ma la proposta è vincente, tanto che lo stesso Ian Andersonricorrerà a questa formula per rilanciare i Jethro Tull, con gli album “Songs From The Wood” e“Heavy Horses”, dopo aver al tempo stesso prodotto anche il primo album solista di MaddyPrior e averla chiamata a collaborare a “Too Old To R’n’R Too Young to Die”. Senzadimenticare gli innesti nel gruppo - in tempi, per periodi e con rilevanza diversi - di vari membridei Fairport Convention: Dave Pegg, Gerry Conway, Martin Allcock, Ric Sanders e persinoDave Mattacks. Forse per compensare gli eccessi rock e la banalizzazione delle radici tradizionali, alla metàdegli anni ’70 Maddy Prior inizia una carriera parallela che subito produce, nel ’76, un album digrande rilevanza: in coppia con la grande June Tabor (e un gruppo di musicisti folkd’eccellenza, tra i quali Martin Carthy, Danny Thompson, Andy Irvine, Johnny Moynihan e NicJones: la crème de la crème…) realizza “Silly Sisters”, che al di là del titolo e della copertinasciocchini è uno dei migliori album di revival mai realizzati. L’interplay delle due voci èaffascinante, l’affiatamento perfetto, i brani memorabili e il disco riscuote universale consenso.

13 / 25

Page 14: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Tornando al ’71, Ashley Hutchings lascia dunque anche gli Steeleye Span, sposa ShirleyCollins e fonda la terza grande istituzione del folk-rock britannico: l’Albion Country Band (ecuriosamente, tutte e tre sono ancora in un modo o nell’altro sulla scena). L’indirizzo musicale èancor più radicale, sempre muovendosi però nella dimensione della musica elettrica, oquantomeno elettroacustica. In origine, è una etichetta che raggruppa i numerosi musicisti cheaccompagnano Shirley Collins nel capolavoro “No Roses”, ma ben presto il marchio diventagruppo che sotto varie denominazioni (Albion Country Band, Albion Dance Band e poisemplicemente Albion Band) pubblica vari lavori, diversi tra loro ma tutti assai apprezzabili eimportanti, almeno relativamente agli anni ’70 (“Battle Of The Field”, “The Prospect Before Us”,“Rise Up Like The Sun”), con l’aggiunta di altri fondamentali progetti e collaborazioni collaterali -su tutti l’ilare e seminale “Morris On” e il curioso concept “The English Dancing Masters”, storiadella danza in Inghilterra dal medioevo ad oggi, con una pletora di musicisti del giro dell’AlbionBand e co-firmata da Hutchings col grande fisarmonicista John Kirkpatrick (a sua voltaprotagonista di una interessante e articolata carriera solista). Se inizialmente la ricerca di Hutchings si focalizza sulle morris dances, la più tipica forma didanza popolare collettiva, ben presto l’ambito si allarga alle songs, alla musica antica, alle altredances sino alla canzone d’autore e al teatro. Con lui, alcuni dei più importanti e bei nomi delfolk revival, del folk elettrico e persino della musica colta, dagli antichi sodali dei FairportConvention (Simon Nicol, Richard Thompson, Dave Mattacks), a Martin Carthy, Phil Pickett,John Kirkpatrick e naturalmente la moglie Shirley Collins, oltre a decine d’altri. OLTRE IL FOLK-ROCK A ben guardare dunque, la storia del folk-rock inglese è scritta nelle vicende originate daiFairport Convention e dai musicisti che ne hanno fatto parte, anche se naturalmente non silimita ad esse. Nessun dubbio però sul fatto che le intenzioni, il linguaggio, le sonorità delfolk-rock inglese, i suoi canoni insomma, si ritrovino tutti in questa sorta di sacra trimurti. Da quiprende le mosse una miriade di altri artisti, a partire dai protagonisti della scena acustica, comeCat Stevens, John Martyn (peraltro proveniente dal circuito dei folk clubs) e Nick Drake, non acaso tutti e tre appartenenti alla scuderia Island, l’etichetta dei Fairport Convention; i secondidue poi, accompagnati da musicisti e produttori del giro degli stessi Fairport e prodotti, come giùricordato, da Joe Boyd.

14 / 25

Page 15: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Ma la rosa dei nomi è ampia: Vashti Bunyan, Allan Taylor, Nic Jones, June Tabor, RalphMcTell, Roy Harper, Steve Ashley, fino ad Al Stewart e Gerry MacRafferty, per dirne alcuni.Stabilire cosa poi sia folk, cosa sia cantaurorato o cosa altro ancora, è questione di complicatadecifrazione e tutto sommato di secondaria importanza. E poi ci sono altri gruppi, per i quali vale in ogni caso lo stesso discorso; dai Lindisfarneall’Oyster Band, dai Fiddler’s Dram ai ricercati Pyewackett, dai Dando Shaft agli Home Servicefino ai Blowzabella, la lista è lunga e presenta, com’è logico che sia, curiose particolarità, comegli Amazing Blondel, con loro pittoresco e un po’ naif recupero di sonorità e linguaggielisabettiani (nei loro album più famosi almeno, “Evensong”, “Fantasia Lindum”, “England”).Inoltre c’è una serie di gruppi che possono essere considerati folk solo in un senso allargato,presentando semmai analogie con le contigue scene pop, progressive, psicheledica o chissàche altro: i Gryphon, che con la loro curiosa commistione di musica folk, musica medievale erinascimentale, progressive e avanguardia colpirono talmente Steve Howe da volerli dapprimacome supporter in un tour degli Yes e quindi come collaboratori nel suo primo disco solista. Folkin senso piuttosto lato era quello dei Trees (pure se con soluzioni stilistiche vicine a quelle deiFairport Convention), dei Forest o dei Magna Carta, così come avvicinabili alla scena folk,senza tuttavia farne parte, sono altri artisti dal tratto spiccatamente acustico come i TudorLodge, i Mellow Candle, gli Spirogyra, per arrivare, volendo estremizzare, sino allaraffinatissima avanguardia della Third Ear Band… Ma a questo punto siamo già in un territoriodiverso, percorrendo il quale troviamo gli Strawbs, i Gentle Giant, i più volte ricordati Jethro Tulle naturalmente Mike Oldfield, che del resto esordì con la sorella Sally come duo folk, e i cuiprimi album sono intrisi di suggestioni popolari; in particolare “Ommadawn” è in molte parti e nelsuo stesso intento, un disco di musica etnica a tutti gli effetti (per tacer dei suoi primi singoli…).Tra i collaboratori dei suoi primi lavori troviamo peraltro almeno un paio tra i nomi più importantidel folk, Maddy Prior e Paddy Moloney dei Chieftains, passando per Clodagh Simonds deiMellow Candle. Ora però, occorre sottolineare come l’etichetta folk-rock identifichi normalmente un generespiccatamente inglese, ma se parliamo più ampiamente di folk britannico, al di là dei confiniinglesi le cose stanno in modo alquanto diverso. Per quanto gruppi come gli irlandesi Horslips ogli scozzesi Five Hand Reel e Runrig siano in sostanza band di folk-rock (quantunque dilevature artistiche diversissime), gli orizzonti del folk revival scozzese ed irlandese sonociascuno a suo modo unici. Per farla breve, parlare di folk-rock e parlare di musica celtica non èaffatto la stessa cosa, quantunque sempre di folk revival si tratti.

Certo, Ewan Mac Coll e Ian Campbell sono scozzesi, così come John Martyn (e se vogliamo,anche Ian Anderson) e gli artisti del circuito dei clubs interpretano ballate e songs di origineindifferentemente inglese, scozzese e persino irlandese, ma se si parla di musica celtica siintende qualcos’altro; e poi, se pure gli Steeleye Span e i Fairport Convention eseguono spessodanze di origine scozzese o irlandese (generalmente gighe e reels), è anche vero che l’AlbionBand ha come ragione sociale il recupero di materiale specificamente inglese. Come che sia, il folk revival irlandese e quello scozzese presentano origini, peculiarità ed esitiloro propri, partendo dal fatto che il patrimonio musicale di quei paesi è – per ragioni facilmenteintuibili – parte fondamentale della loro identità culturale. I musicisti della scena folk tra gli anni’60 e ‘70 si muovono in un contesto ben più vitale, attuale e vissuto di quanto facciano i loroomologhi inglesi nel chiuso dei loro clubs. A ben vedere, in effetti, una differenza emerge inmodo plastico: gli artisti del folk-rock (o folk revival, o quel che è) inglese sono sostanzialmenteestranei a questioni politiche (i soli Steeleye Span mantengono un vago orientamentoprogressista); il che è paradossale, vista la radicalizzazione politica del circuito dei clubs che insostanza è la loro provenienza. Le loro istanze sono più particolarmente generazionali, quindisociali sì, ma in un senso completamente diverso. In Irlanda invece, soprattutto a causa dellaquestione nordirlandese che nei decenni in esame raggiunge l’acme della sua asprezza, lapoliticizzazione – rigorosamente di sinistra radicale – è alquanto più diffusa: Christy Moore,Andy Irvine e i Planxty (e i Moving Hearts in seguito) sono spesso impegnati in prima persona inquesto senso, sino al caso limite dei Wolfe Tones, dichiarato braccio musicale dell’IRA. Allostesso modo, artisti e gruppi scozzesi hanno sempre fermamente rivendicato l’indipendenzaculturale (più raramente francamente politica) della Scozia, da Dick Gaughan e i Five HandReel, dai Tannahill Weavers ai Silly Wizard. In ogni caso, è fuor di dubbio che i temi socialisiano sempre stati assai più presenti nelle scelte e negli orientamenti dei musicisti irlandesi escozzesi di quanto non lo siano stati per i loro omologhi inglesi.

15 / 25

Page 16: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

NELL’ISOLA DI SMERALDO In Irlanda non esiste l’istituzione dei clubs né un corrispondente della English Folk Dance andSong Society; il ruolo di conservazione e promozione del patrimonio popolare dal secondodopoguerra venne svolto (ed è svolto tuttora) dalla Comhaltas Ceoltóirí, con le sue sedi sparsein tutto la nazione nelle quali ci si ritrova, si fa musica, si danza, si raccoglie materiale, si discutee si insegna, insomma si fa cultura musicale a tutto tondo, però in un modo un po’ diversorispetto ai club inglesi. La figura fondante il folk revival irlandese è quella di Seán O Riada, musicista, direttore,compositore e musicologo, che tra gli anni ’50 e ’60 diede un impulso fondamentale allaconservazione e rivitalizzazione della musica tradizionale irlandese. Alla fine degli anni ’50, ORiada fonda una sua orchestra tradizionale, i Ceoltóirí Chualann: a farne parte viene chiamatoun talentuoso piper ventenne, Paddy Moloney, che quasi subito, nel giro di pochissimi anni,forma con altri membri dell’orchestra un suo gruppo, i Chieftains. L’idea è quella elaborata da ORiada: un ensemble quasi cameristico, rigorosamente acustico, che esegua arie e danzestrumentali (con sporadiche incursioni vocali rigorosamente non accompagnate, come datradizione), con qualche innovazione, come l’introduzione nell’ambito di una band di strumentiquali il bodhran – il caratteristico tamburo irlandese – e in seguito l’arpa e altri strumenti diorigine classica (oboe, cembalo, pianoforte e altro ancora).

16 / 25

Page 17: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

L’ambito è comunque semiprofessionale: tra il disco d’esordio del ’63 e il secondo albumintercorrono sei anni, e altrettanti ne servono per passare definitivamente al professionismo,sull’onda del montante successo internazionale; i cambi di formazione si susseguono: qualcunolascia per età, qualcuno perché già dottore (il flautista Michael Tubridy abbandona nel ’77preferendo il lavoro di ingegnere: sua è la mirabile sistemazione della Merrion Square diDublino, così come i lavori di ampliamento dell’aeroporto sempre di Dublino), ma col quintoalbum i Chieftains diventano stars internazionali, veri ambasciatori della cultura musicaleirlandese e molto più di questo. Nel ’79 suonano davanti ad un milione di persone per papaWoytila e a partire dagli anni ’80 iniziano una serie di esplorazioni e collaborazioni con musichee musicisti di tutto il mondo, dalla Cina a Cuba, dalla Galizia al country, dalla Bretagna al rock.Su tutte, strepitosa è la collaborazione con Van Morrison che dona (è l’88) un frutto bellissimo esuccoso, l’album “Irish Heartbeat”. L’infaticabile motore è sempre lui, Paddy Moloney, unautentico genio musicale, folletto vitalissimo, curiosissimo e umile. La lezione, il modello dei Chieftains (e di O Riada, ricordiamolo) diventa presto lo standard; illoro modo di far musica, di arrangiarla e di proporla per il grande pubblico diventa tout court lamusica irlandese, esempio perfetto di cosa si intenda con folk revival: innovazione nel solcodella tradizione. E ricordiamolo: a differenza di tutti gli altri gruppi di folk revival, i Chieftainsalmeno sino agli anni ’80 (quando però l’età media degli appassionati e del pubblico del rock sisarà inevitabilmente alzata…) non si rivolgono espressamente al pubblico giovane, benchépartecipino anche a festivals e occupino le pagine delle riviste rock più o meno specializzate.Non tanto per l’età dei componenti del gruppo, quanto per estrazione musicale, interessi e indefinitiva per l’orientamento della loro proposta musicale: niente chitarre o plettri nei dischi deiChieftains...

Prima degli anni ’70, l’altro grande riferimento della musica irlandese sono i Dubliners, cheincarnano lo spirito più roboante, irruento, chiassoso, diremmo popolaresco dell’animoirlandese. Nati curiosamente nello stesso anno dei Chieftains, il ’62, raggiungono però quasisubito il successo, tanto da apparire nel ’68 addirittura al Top of the Pops inglese. Molto menoraffinati e ricercati dei Chieftains, del tutto lontani da sonorità e suggestioni della musicaclassica, resteranno sempre fedeli al loro cliché e loro pubblico. L’ondata del nuovo folkirlandese negli anni ’70 li manderà un po’ in ombra, ma sapranno produrre uno scattomemorabile nella seconda metà degli anni ’80, quando collaboreranno con i nuovi idoli, iPogues, per alcuni aspetti loro alunni ed epigoni; i risultati saranno un paio di singoli clamorosi,“Irish Rover”, con tanto di travolgente passaggio televisivo, ed il curioso “Jack’s Heroes”, innodella nazionale irlandese di calcio ai mondiali del ’90 (dove Jack era naturalmente JackieCharlton, ct della nazionale). LA NUOVA TRADIZIONE IRLANDESE Ma negli anni ’60 c’è ben altro a bollire in pentola. L’inquitudine giovanile tocca anche i giovaniirlandesi che quantunque parte di una società ancora rurale e arretrata, come i loro coetaneieuropei ed inglesi non sono certo indifferenti alle suggestioni americane. La linea è indicata dagli Sweeney’s Men: Andy Irvine, Johnny Moynihan e Terry Woods, nellaloro formazione più importante. Nati nel ’66, due anni dopo pubblicano un album (Sweeney’sMen) contenente già tutti gli elementi che caratterizzano il folk revival irlandese degli anni ’70:traditionals irlandesi ma anche generalmente britannici e americani, interpretati su un tappeto diplettri con qua e là uno strumento tradizionale, whistle o concertina. È già evidentissima ladistanza con l’approccio dettato da O Riada e dai Chieftains, pressoché unicamentestrumentale e basato sugli intrecci strumentali di violino, whistle e uillean pipes; approccio cheper così dire istituzionalizza il modo di far musica delle cèilidh band, i gruppi musicali tipici delfolk irlandese (e scozzese) del ‘900. Non solo, nello stile tradizionale, il sean-nós, il canto è nonaccompagnato; gli Sweeney’s invece replicano e adattano il modello dei folk singers americani:Andy Irvine è un appassionato di Woody Guthrie e di skiffle, e del resto la sua storia e la suaformazione lo portano ad approcci eterodossi, creativi ed originali. Nato e cresciuto a Londra dapadre scozzese e madre – attrice – irlandese, sin da piccolo recita in piccoli ruoli in tv, studia alconservatorio e come tutti i suoi coetanei si appassiona alle novità musicali del momento e,caso abbastanza raro, per tutta la carriera collaborerà indifferentemente con colleghi tantoirlandesi quanto inglesi.

17 / 25

Page 18: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Altrettanto importante e decisiva è poi un’altra novità introdotta dal trio. Moynihan usa comeaccompagnamento uno strumento che assolutamente nulla ha che fare con la tradizioneirlandese: il bouzouki, strumento balcanico accordato secondo le necessità della musicabritannica. In senso stretto, anche banjo e mandolino non appartengono alla tradizione, masono strumenti in uso alle cèilidh band dagli anni ’20, e del resto anche la semplice chitarraacustica è uno strumento estraneo alla tradizione musicale irlandese; il bouzouki è peròqualcosa di davvero nuovo e sorprendente. Il senso ritmico, le sonorità dello strumentoattecchiscono immediatamente e il bouzouki diventerà uno strumento caratteristico del nuovofolk irlandese, soprattutto grazie anche all’uso che ne farà un altro dei grandi mentori del nuovostile, Dónal Lunny. Gli Sweeney’s Men non hanno vita lunga: Andy Irvine lascia presto, intraprendendo un lungoviaggio nell’Est Europa, soprattutto nei paesi balcanici, che porterà i ritmi e le melodiebalcaniche nel mondo del folk irlandese. Ritornato in Irlanda, conosce Dónal Lunny che lo invitaalle session di un disco solista del suo sodale Christy Moore. Christy e Dónal sono amicid’infanzia e poi compagni in un gruppo – gli Emmet Spiceland – sorta di boy band irlandese chenel ‘68 ha l’onore del numero 1 nelle classifiche irlandesi con un singolo. È il 1971 e il disco cosìprodotto, “Prosperous”, segna un punto di svolta. Tra i vari altri musicisti impegnati, spicca ilpiper Liam O’Flynn, nome emergente del folk revival. I quattro, Irvine, Lunny, Moore e O’Flynndecidono di proseguire la loro collaborazione dando vita ad un gruppo: i Planxty, il nomecapitale del nuovo corso del folk irlandese.

18 / 25

Page 19: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

I primi due album (“Planxty” e “The Well Below The Valley”) sono un trionfo, così come i loroconcerti, e definiscono il genere. Il gruppo suona in modo furibondo ed estensivo per quasi dueanni: non può durare. Il primo a decidere di lasciare è Lunny, che continua però a collaborare instudio; il suo posto è preso dall’ex Sweeney’s Moynihan, con cui i Planxty incidono il terzoalbum, “Cold Blow And The Rainy Night”. Quindi è Christy Moore a voler continuare la suacarriera solista e il suo posto è preso da Paul Brady; col nuovo assetto, i Planxty suonano intour per un anno, senza però incidere alcuna traccia, per poi sciogliersi definivamente, in modonaturale. La separazione è del tutto amichevole, e i vari membri continueranno a collaborare nei rispettiviprogetti, due dei quali rappresentano un vero botto. L’anno seguente, il ’76, Irvine e Bradyrealizzano un album a loro nome, “Andy Irvine Paul Brady”, ed è un disco di rara bellezza; dueanni dopo Paul Brady realizza il suo primo solo, “Welcome Here Kind Stranger”, nominato FolkAlbum Of The Year dal prestigioso Melody Maker. Dónal Lunny intanto ha iniziato a prendere in mano le redini del folk irlandese: fonda una suacasa discografica, la Mulligan Records, collabora con numerosi artisti e inizia una carriera diproduttore musicale. In uno di questi progetti, nel ’75 collabora con i due fratelli O’Dhomnhaill,Triona e Michael, collaborazione che presto sfocia nella nascita di un nuovo gruppo: la BothyBand; a completare l’organico altri nomi prestigiosi o emergenti della scena folk, come MattMolloy, Paddy Keenan e Tommy People, in seguito rimpiazzato da un giovane fiddler, KevinBurke. Il sestetto pubblica nel giro di tre anni tre album fondamentali: “The Bothy Band”, “OldHag You Have Killed Me” e “Out Of The Wind Into The Sun”, e suona senza risparmio.Interpretazioni rutilanti, calde, coinvolgenti: la Bothy Band è la massima espressione del nuovofolk irlandese, che fonde la tradizione delle cèilidh band con lo spirito dei Planxty; stremata peròdai debiti, la band si scioglie nel ’79, con un’ultima testimonianza, stavolta live, della suagrandezza: “Afterhours”. I membri si disperdono per vie diverse: Molloy entra nei Chieftains asostituire Michael Tubridy; Burke e i fratelli O’Dhomhnaill vanno a cercar fortuna in America. Maè Lunny che in qualche modo lenisce lo scoramento dei fans: nello stesso anno a sorpresa siriformano i Planxty. Il quartetto originario stavolta arruola un quinto membro, Matt Molloy, e tra il ’79 e l’80 producedue album. Il primo, significativamente intitolato “After The Break”, riprende dove avevanolasciato, ed è strepitoso, grazie anche al flauto di Molloy che arricchisce la palette sonora dellaband. Il secondo, “The Woman I Loved So Well”, lascia più interdetti per le sue sonorità piùatmosferiche, aggiornate al gusto degli entranti anni ’80: non c’è più Molloy, rimpiazzato dallaviolinista Nollaigh Ní Chathasaigh, dal duo Noel Hill e Tony Linnane, e soprattutto dalle tastiereelettroniche di Bill Whelan, primo strumento non acustico in un disco del gruppo. Il gruppocomunque ancor oggi la considera la loro prova più matura e soddisfacente, ed èoggettivamente un gran disco. Ancora due anni ed esce il terzo capitolo, “Words And Music”, intono un po’ minore: i Planxty hanno terminato la loro lezione. A margine, una sorprendentepartecipazione all’Eurofestival con un brano, “Timedance”, che darà lo spunto per il progetto“Riverdance”.

19 / 25

Page 20: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Ancora una volta, lo scioglimento prelude ad una miriade di progetti e di dischi, alcuni anche digrande bellezza, come il primo disco solista di Lunny, intitolato semplicemente col suo nome, inrealtà un live tratto da concerto dell’87. Lunny è poi il curatore dell’album “Common Ground”,che raccoglie diverse voci della musica irlandese con l’intento di mostrare per l’appunto i puntidi contatto tra i diversi linguaggi della tradizione, del revival e del pop. Ci sono poi i due gruppi di Andy Irvine, a lato della sua importante carriera solista: con JackieDaly (De Danann), Kevin Burke (Bothy Band) e Arty McGlynn (presto rimpiazzato da GedFoley) forma i Patrick Street, supergruppo che per quasi due decenni darà lustro al folkirlandese in giro per il mondo anche attraverso una decina di album di ottimo livello (il primo,omonimo e il secondo, “No.2 Patrick Street” i migliori); e poi i Mozaik, gruppo multietnico autorenegli anni 2000 di due soli ma pregevoli album. E poi i Moving Hearts di Christy Moore e Dónal Lunny, che gruppo folk non è se non in sensolato, ma di enorme impatto culturale e sociale, pur se di non lunga vita. Ascrivibile in qualche modo al giro dei Planxty come detto è poi il celebre spettacolo“Riverdance”, curato da Bill Whelan. Ma la storia dei Planxty non è ancora finita: all’inizio del nuovo millennio ha una coda originatada un documentario commemorativo sulla band realizzato dalla RTE, la tv di stato irlandese.L’interesse per il gruppo si risveglia e i quattro sono spinti a tornare sulle scene per un concerto,cui poi ne seguono altri, sino a che, nel 2004, da uno di questi la band trae un dvd e il relativocd, “Live 2004”, ed è una grande esibizione. Con ogni probabilità, il loro commiato. Alla lista dei grandi gruppi del folk revival irlandese vanno poi aggiunti due altri nomi. Il primo naturalmente è quello dei Clannad, forse il più popolare dopo i Chieftains. Sono unaband di familiari: i tre fratelli Brennan, e i due gemelli Duggan, loro zii; provengono dal remotoDonegal e sono autori di una proposta musicale davvero originale. Solo gruppo originariamentedi lingua gaelica, negli album degli anni ’70 mischiano sapientemente tradizione irlandese e jazzacustico con risultati evocativi e suggestivi, il cui vago riferimento sono i Pentangle: chitarre,flauti, arpa, accompagnati da un contrabbasso eterodosso e una vocalità raffinata chetrascende i canoni tipici del genere e che raggiunge i vertici espressivi in “Clannad 2”,“Dúlamán” e “In Concert”. L’avvento degli anni ’80 li vede però impegnati nella ricerca di unpubblico più vasto; il look hippy sparisce, lasciando il posto ad abiti alla moda, e dopo “Fuaim”(’82) le sonorità si fanno via via più vicine dapprima al rock (con la partecipazione di Bono algrande hit “In A Lifetime”, in “Macalla”) e quindi addirittura alla new age. Il successo di vendite ègarantito, l’interesse del pubblico specializzato ovviamente molto meno. Per stare al genere,ricordiamo che Enya ha fatto parte dei Clannad, essendo la sorella minore di Pól, Máire eCiáran Brennan (o Bhraonáin, secondo la grafia gaelica utilizzata agli inizi: Enya stessasarebbe in realtà Eithne).

20 / 25

Page 21: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Destino per certi aspetti analogo è quello dei De Danann (in seguito, chissà perché, DeDannan). Nati alla metà degli anni ’70 e originari della zona di Spiddal, nel Connemara,inizialmente propongono una rivisitazione della tradizione curata e fedele, anche con lacollaborazione  (nell’album “The Mist Covered Mountain”) di anziani cantanti seán-nos. Imembri del gruppo – Frankie Gavin, Alec Finn, Johnny ‘Ringo’ MacDonagh, Jackie Daly (poinella Bothy Band), Charlie Piggott – sono valenti musicisti, e ad essi si affiancano altri interpreticome Johnny Moynihan (ancora lui) e Martin O’Connor, o le cantanti Dolores Keane, MaryBlack e Maura O’Connell. Il passaggio agli anni ’80 li vede allargare gli orizzonti, soprattuttoverso il repertorio della music-hall americana e irlandese (davvero gradevoli e coinvolgentisoprattutto “The Star Spangled Molly” e “Ballroom”). È in questo periodo che Mike Scott dei Waterboys si trasferisce a Spiddal, eleggendolo a buenretiro in cui ritrovare l’origine, le radici della sua musica. La collaborazione coi De Dannan vienenaturale, così Gavin, Finn e O’Connor prendono parte ad alcune delle sessions da cui scaturirà“Fisherman’s Blues”. Alla lunga però il nuovo orientamento dei De Dannan mostra la corda e scema per qualità einteresse, sino all’improbabile “Welcome To The Hotel Connemara” (!), col quale ritentano –malamente – il colpo riuscito con la rilettura irish-style di “Hey Jude” dei Beatles. La storia ciracconta come finisce la corsa: il nuovo millennio vede Frankie Gavin rifondare il gruppo comeNew De Dannan, che tra lustrini e abbigliamento in stile Las Vegas e avvenenti fanciulle aiviolini gira gli States proponendo uno repertorio irlandese molto addomesticato per un pubblicoverosimilmente di una certa età e certo di bocca buona. Dopotutto deve trovare anche lui unmodo per campare… Se Bothy Band e De Dannan in sostanza aggiornano, attualizzano e modernizzano il modellodelle cèilidh band, sono molte altre le band che a loro fanno riferimento: Oisín, Altan, Stockton’sWing, In Tua Nua, Cherish The Ladies (band completamente femminile), i più tardi Arcady o iGaelic Storm resi celebri da Titanic… la lista sarebbe lunga e un po’ ripetitiva, con gruppi comegli Anúna, ensemble vocale di una certa fama mondiale, che calcando sull’aspetto evocativo emitico del celtismo, finisce in territori pericolosamente contigui alla new age; così sono ascrivibilipiù al facile pop di consumo colorato di celtismo che al revival i già citati Corrs o le CelticWoman o ancora Loreena McKennitt.

Qualche parola va però spesa per gli Horslips, se non per qualità, almeno per la popolarità dicui godono negli anni ’70 e per la loro espressa militanza politica assai vicina all’IRA. Gruppo inrealtà più di rock-folk, assimilabile stilisticamente ai Jethro Tull (ovviamente con infinita minorgrazia, originalità e spessore musicale), all’inizio carriera realizzano però qualche albuminteressante (“Happy To Meet Sorry To Part”, dalla elaboratissima ed originale copertina, “TheTain” e “Drive The Cold Winter Away”, acustico e composto). Più complesso invece fare un discorso sulle figure e sulle produzioni dei vari solisti: innanzituttoe fondamentalmente perché risulta spesso molto difficile e arbitrario il discernere tra tradizione e revival (che è il tema di questo articolo); in secondo luogo perché è di conseguenza èaltrettanto difficile dare una valutazione di merito tra i vari artisti e i relativi album; in terzo luogoperché le collaborazioni in duo o trio tra i vari artisti renderebbero estremamente complicata (enoiosa) l’esposizione; infine, per il gran numero di artisti che si dovrebbero citare e le relativenote biografiche, carriere e partecipazioni a gruppi e progetti. IL REVIVAL SCOZZESE Se Inghilterra e Irlanda segnano le due diverse vie del folk revival (tendenzialmente elettrica eorientata al rock, la prima; quasi esclusivamente acustica la seconda), pur partendo entrambeda stimoli, modelli e suggestioni americane, la Scozia si limita ad andare al traino. Non chedifettino cultura musicale, seguito di pubblico, motivazioni sociali, tratti di forte originalità odorganizzazione dei clubs, tutt’altro. Dal dopoguerra esiste in Scozia una istituzione analogaall’English Folk Dance and Song Society, la School of Scottish Studies; inoltre, non mancanocerto la documentazione storica e le fonti cui attingere, a partire dalla grande raccolta di FrancisJames Child, The English and Scottish Popular Ballads cui fanno sovente riferimento i colleghianglosassoni. Per non parlare delle produzioni dei due grandi cantori dell’identità scozzese,Robert Burns e Sir Walter Scott. Infine, le terre più remote della Scozia – Highlandsettentrionali, l’isola di Skye e le Ebridi – sono gaeltacht, cioè territori a lingua celtica, in cui lamemoria e le tradizioni storiche sono vivissime. In effetti, al di là dei riferimenti e delle ricerchestoriche, anche in Scozia la musica è una manifestazione fondamentale e attuale dell’identitàcollettiva, sia nelle feste popolari che nei momenti di ritrovo più familiari. La scena dei cantantipopolari  nei decenni ’50 e ’60 è vitalissima e assai popolata, tra chorus groups, entertainers evocalists generalmente intesi.  Ancora: uno dei simboli scozzese è uno strumento musicale, labagpipe – la cornamusa –, che però ha uno status troppo rigido, codificato, e se vogliamoesclusivo, tradizionalista, per riguardare veramente un movimento di folk revival. Non chemanchi nemmeno un interesse in questo senso, anzi, ma nonostante tutte le condizioni iniziali,il movimento del folk revival in Scozia stenta a prender corpo e a decollare, e di fatto nasce solonegli anni ’70, senza peraltro assumere mai le dimensioni, l’importanza ed anche la qualitàcomplessiva dei due movimenti vicini. Come mai?

21 / 25

Page 22: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Le ragioni non sono facili da indovinare e da cogliere. Manca innanzitutto la spinta iniziale; gliscozzesi per cominciare sono interessati più che ad elaborare la loro identità, a distinguerla daquella inglese, verso cui nutrono sentimenti di ostilità e di sotterranea inferiorità. Certo, EwanMacColl è scozzese, ma è soprattutto un comunista, cui interessa più l’unione dei popoli(oppressi) che le loro rivendicazioni nazionalistiche. Inoltre, rispetto all’Irlanda gli scozzesi nonhanno nemmeno la ferita aperta della divisione nazionale da sanare; anzi, è bene ricordarlo,nella questione nordirlandese gli scozzesi presbiteriani stanno dalla parte “sbagliata” dellabarricata. Per cui, se da una parte musicisti e giovani scozzesi vivono le pulsioni, le spinte innovatricicomuni alle altre parti delle isole britanniche (e del resto del mondo), dall’altra sono frenati dalrifiuto di aderire a modelli provenienti da Londa e dall’Inghilterra, per quello che se vogliamo èalla fine puro spirito di contraddizione. E rispetto all’Irlanda, non hanno né la necessità nél’interesse di aderire a modelli musicali che veicolano protesta sociale e politica, come quelli diWoody Guthrie o Bob Dylan, per intenderci. Forse è solo come conseguenza di tutto ciò cheinfine manchino figure guida, innovatori, modelli e ispiratori per una operazione di revivaloriginale e innovativa. Ora, se un musicista scozzese vuole far carriera (negli anni ’60-’70, ma anche oggi) deveandare a Londra, non ci sono santi. È così per Ian Anderson così come per John Martyn, ed èun atteggiamento cantato in modo splendido da Rod Stewart (peraltro nato già a Londra) in“Farewell”, nell’album “Smiling”, del ’74. Fieri del loro isolazionismo, i musicisti del folk revival siguardano bene dal farlo, né hanno alcun interesse (e perché no? motivo) per pensarci. En passant, è la ragione principale per la quale oggi è estremamente difficile trovare gli albumdi questi musicisti: quasi nessuno di loro è entrato nella scuderia di una casa discograficainglese, e i cataloghi delle etichette specializzate locali se non sono stati distribuiti al tempo orilevati in seguito da una casa statunitense (Shanachie, Green Linnet), sono semplicementedestinati all’oblio; anche quelle che sono sopravvissute arrivando a pubblicare i loro titoli in cd,non hanno poi avuto né la forza né l’interesse economico per ripubblicarli: l’unica risorsa resta ilvinile nel mercato dell’usato (di ripubblicazioni in vinile, neanche a parlarne). Ai musicisti del revival scozzese, scartato dunque l’approccio elettrico in voga nella capitale,non resta che guardare all’Irlanda: del resto le cèilidh band sono un fenomeno assai diffusoanche in Scozia. Le istanze politiche e sociali che muovono i colleghi irlandesi sono peròabbastanza estranee ai musicisti scozzesi: le loro rivendicazioni non vanno oltre allo stabilire eil marcare la differenza tra loro e gli inglesi. I vari artisti del folk revival scozzese sono tuttifieramente nazionalisti, e si capisce, ma le loro posizioni politiche raramente andranno più in làdi questo. Non è molto, specie per un movimento che, volendo esprimere dal basso ilsentimento e le istanze di un popolo, in qualche modo di fatto pone e suggerisce azioni politichee di cambiamento. Per farla breve, gli artisti del folk revival scozzese artisticamente non sono che fratelli minori deicolleghi irlandesi. Ciononostante, la Scozia alcune band di rilievo riesce a produrne. LA SCOTTISH WAVE Tra tutte, la più rilevante è quella dei Silly Wizard, dei fratelli John e Phil Cunningham (violino efisarmonica) e del cantante Andy M. Stewart; a supporto, una ritmica costituita da basso echitarra acustica. Il repertorio è misto, traditional scozzesi (danze e ballads) e composizionioriginali, perlopiù songs scritte da Stewart, il quale oltre ad essere un eccellente cantante, dallavoce calda, matura e pacata, è anche una gran bella penna; il resto lo fa la maestria dei fratelliCunningham.

Niente di particolarmente innovativo, il modulo come è detto è quello canonico delle bandirlandesi, ma tra la metà degli anni ’70 e quella degli anni ’80 una manciata di album tutti digrande suggestione e bellezza, dall’aria sempre malinconica e struggente; su tutti “So ManyPartings” e “Kiss The Tears Away”. Lo scioglimento del gruppo avviene per naturaleesaurimento: Stewart continuerà una carriera solista già intrapresa nell’82, con una bella seriedi album, alcuni dei quali in società con Manus Lunny, fratello di Dónal: “By The Hush” e “SongsOf Robert Burns” (acclamatissimi), e “The Man In The Moon” i migliori. I Cunningham vanno inAmerica, mercato al quale il gruppo si è già rivolto con discreto successo nell’ultima parte dellasua storia, anche qui secondo uno schema già visto in molti artisti irlandesi. E si capisce:dopotutto, negli States ci sono molti più irlandesi e scozzesi di quanti non ce ne siano inpatria… Lì, i Cunningham incontrano i fratelli O’Dhomnhaill della Bothy Band. I quattro dannovita ad una formazione, Relativity, dalla breve vita: solo due album ma di buonissimo valore,“Relativity” e “Gathering Pace”, che aggiornano appena ai tempi le sonorità di un repertorioscoto-irlandese più logico e conseguente di quanto si possa pensare. Dopotutto, da duedecenni le varie band di revival interpretano brani di provenienze diverse senza troppi problemi.Del resto, non mancano precedenti illustri. I Boys Of The Lough dagli anni ’70 danno vita ad unprogetto che potremmo chiamare “pangaelico” di riunione delle culture musicali di Scozia,Irlanda, Shetland, Ebridi e della Northumbria, l’estremo nord inglese, con una miriade dimusicisti di gran levatura e fama provenienti da tutti questi paesi che si alternano in formazione.I dischi di Silly Wizard, Andy M. Stewart e Relativity sono facilmente reperibili in cd; quelli deiBoys of the Lough solo in parte. Altrettanto importante quanto piuttosto singolare è il caso dei Five Hand Reel, pregevolissimaband attiva nella seconda metà degli anni ’70. Intanto è un gruppo di folk-rock elettrico e non direvival, il cui modello sono chiaramente i Fairport Convention (Simon Nicol non a caso produrràil loro terzo e migliore album, “Earl O’Moray”); ma ancor più di questo, è un gruppoanglo-scozzese e questa è una vera rarità. Formati da tre musicisti inglesi (tra cui un ex-Tree,Barry Lyons) e da due scozzesi, a rimpiazzare ben presto uno di questi ultimi è Dick Gaughan,pure scozzese, già affermato come solista e poi membro dei Boys Of The Lough; la formazioneregistra tre notevoli album prima che nel ’78 Gaughan lasci, tornando alla sua importantecarriera solista che ne fa il cantante più importante di Scozia, voce di posizioni politiche e socialipiuttosto radicali. A rimpiazzarlo è il nordirlandese Sam Bracken col quale i Five Hand Reelregistrano nel ‘79 il quarto e ultimo album, “A Bunch Of Fives”, sempre di ottimo livello. La altre due band scozzesi più importanti del folk revival sono gli Ossian e i Tannahill Weavers. Se i Silly Wizard, pur essenzialmente acustici, ricorrono ad un moderatissimo usodell’elettrificazione (basso e qualche sporadica tastiera), gli Ossian sono invece più integralisti.Il loro approccio non è in fondo molto diverso benché, rispetto ai Silly Wizard, più pacato,composto e quasi cameristico, con l’uso di un vasto range di strumenti, compresi arpa celtica,cornamusa scozzese, irlandese e della Nurthumbria. Evoluzione di un gruppo elettrico difolk/rock/jazz fusion di non grande successo, i Contraband, gli Ossian sono attivi nel decenniotra la fine degli anni ’70 e degli anni ’80 (con una coda di altri dieci anni successiva). Gli albummigliori sono sostanzialmente i primi quattro (“Ossian”, “St.Kilda Wedding”, “Seal Song”, “DoveAcross The Water”), nei quali al canto si succedono Billy Ross e Tony Cuffe, cantanti dinotevole spessore. Cuffe, già membro di Alba e Jock Tamson’s Bairn, purtroppo è mancato nel2001, a soli 47 anni, dopo essersi trasferito negli USA; oltre che cantante era anche valentestrumentista ed autore, e firmò un pregevole album solo, “When First I Went To Caledonia”.

22 / 25

Page 23: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

I Tannahill Weavers, forse il gruppo della cosiddetta scottish wave emersa alla fine degli anni’70 più celebre in Italia e molto popolare anche in tutta Europa, del terzetto sono i più esuberantie se vogliamo caratteristici, grazie anche all’uso fondamentale e sistematico delle bagpipes, dalsecondo album in poi. Le prove migliori sono quelle degli anni ’70: “The Old Woman’s Dance” (illoro secondo lavoro), “The Tannahill Weavers” e “IV” sono dischi trascinanti, vari e vitali. Algirare degli anni ’80, il gruppo sembra dapprima smarrire la direzione, in cerca di un pubblicopiù ampio e meno specializzato, per poi assestarsi su modi espressivi più pacati e di maniera,per un verso o per l’altro non distanti dal modo di far musica di Silly Wizard e Ossian. Pressoché inutile cercare in cd i titoli degli Ossian e quelli ricordati dei Tannahill Weavers. Quanto al resto della scena scozzese degli anni ‘70/’80, si deve dar conto innanzitutto dellaBattlefield Band, più eterogenea nelle interpretazioni e nella scelta del repertorio; la Battlefield èla prima delle grandi band a introdurre la bagpipe in un gruppo di revival e ad usare le tastiereelettroniche in modo sistematico. I lavori migliori sono quelli a cavallo del 1980, “At The Front”,“Stand Easy” e “Home Is Where The Van Is”, comunque mai ripubblicati in cd. Tra gli altri nomi, val la pena ricordare gli Alba, di cui fanno parte il talentuoso piper AlanMacLeod, al tempo ragazzo prodigio, e il violinista Mike Ward: entrambi passano quasi subito aiTannahill Weavers. Gli intenti e gli esiti della band sono non a caso del tutto analoghi a quellidei Tannahills, ma con minor grazia e maturità. Degli Alba, autori di un solo omonimo album, faparte anche il già ricordato Tony Cuffe, che poco dopo – al volgere degli anni ’80 – entra neiJock Tamson’s Bairns, un ensemble autore di due album acclamati dalla critica (RichardThompson li saluta in modo entusiastico). Si tratta in sostanza di una cèilidh band più cantato,dall’impianto molto tradizionalista; una formula che mostra comunque presto la corda. Curiosal’etimologia del nome, una locuzione scozzese dal significato di “uomini qualunque”, o se sipreferisce “il signor Rossi”. Gli anni ’80 vedono in effetti una certa vivacità nella scena scozzese, da cui emergono propostee gruppi originali ed interessanti, dagli Easy Club, fondati da due membri dei Jock Tamson’sBairn, con l’intento dichiarato di “esplorare nuove possibilità nella musica scozzese, portandoviinfluenze di musiche più moderne, come il jazz o il pop degli inizi”. I risultati si vedono in trealbum, davvero godibili, curiosi, originali e diversi tra loro (“Skirlie Beat” è il migliore dei tre); perqualche anno la band gira intensivamente l’Europa, destando interesse e consenso, per poisciogliersi, esausta.

Intenti simili sono quelli che muovono la House Band di Ged Foley (poi coi Patrick Street diAndy Irvine): unire la musica scozzese con jazz, world music, country, pop e insomma ognisorta di contaminazione. Attivi dalla metà degli anni ’80 al 2000, hanno pubblicato otto album,tra i quali almeno i primi due, “The House Band” e soprattutto “Pacific” meritano senz’altrol’ascolto. La più popolare band in Scozia è però quella dei Runrig (Run Rig fino al 1979) la cui storiacontinua tuttora, contando su un seguito fedele e successo pressoché immutato anche aldilàdei patri confini. Sorti nel ’73 come band folk-rock gaelica, registra i primi due lavori solo tra il’78 e il ’79; “Play Gaelic” (per l’appunto cantato completamente in gaelico) e “The HighlandConnection” sono pacati e decisamente gradevoli, pure se non particolarmente originali. Con“Recovery” e “Heartland” inizia il momento di grazia del gruppo: salgono volume, intensità edenfasi delle esecuzioni (più o meno equamente divise tra traditionals e brani originali in stile), lapopolarità pure, complici alcuni concerti come spalla degli U2. La band firma per la Chrysalis e ilsuccesso si allarga ben oltre i confini scozzesi, successo che in patria assume i connotati difenomeno di costume, anche per le posizioni indipendentiste apertamente espresse: i concertidiventano manifestazioni politiche e momento di espressione di identità collettiva. L’albumsuccessivo, “The Cutter And The Clan” (siamo nell’85) è una conferma del loro stato di grazia;certo, la proposta non è particolarmente originale, di folk ci sono poco più che le suggestioni,ma intanto è servita da modello (mai dichiarato però evidentissimo) ai Big Country di StuartAdamson. Gli album e la storia successiva sono in sostanza maniera, né il pubblico chiedealtro, assicurando alla band posizioni in classifica alte e costanti (“The Big Wheel” nel ’91raggiunge i vertici delle vendite in tutta la Gran Bretagna). Qualche cambio di formazione (ilcanadese Bruce Guthro rimpiazza lo storico cantante Donnie Munro, entrato in politica), uscitediscografiche più rarefatte (su tutte, il bel “The Stamping Ground” del 2001, che riporta la bandsu territori più folk), una grande celebrazione live per i quaranta anni di carriera (in dvd e cd)accompagnano i Runrig sino ad oggi, tra l’immutato affetto dei loro fans. Altre band negli anni ’70 seguono la strada dell’elettrificazione più o meno moderata, ma conmolta minor fortuna commerciale, come i New Celeste, con un interessante tentativo di fonderetradizione scozzese, rock e jazz. E per la verità, la prima vera band di scottish music, la J.S.D.Band, formata all’estremo limitare degli anni ’60 e poi attiva per tre album lungo qualche anno,si muove in direzioni analoghe. Non che manchino un certo seguito e un discreto successo (laband registra anche per John Peel e partecipa all’Old Grey Whistle Test), ma la proposta nonattecchisce granché e il gruppo si scioglie senza lasciare grandi eredità (e grandi ricordi).

23 / 25

Page 24: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

L’altro grande fenomeno commerciale della musica scozzese, emerso nella seconda metà deglianni ‘80, sono i Capercaillie di Manus Lunny e Karen Matheson, vocalist dalla forte personalitàe dalle doti interpretative non comuni, con una timbrica purissima paragonabile a quella diJacqui McShee e Kate Bush. Formatisi all’inizio degli anni ’80, realizzano la prima incisione,“Cascade”, nell’84; ma è solo nell’87 che, dopo alcuni cambi di formazione, arrivano allamaturità, pubblicando il loro secondo lavoro: “Crosswinds”. Il risultato è miracoloso e sorprendecritica e pubblico: in effetti si tratta probabilmente del più bel disco di revival scozzese,suggestivo ed evocativo. Certe soluzioni vagamente jazzate, la levità degli arrangiamenti, lavocalità raffinata fanno paragonare i Capercaillie ai Clannad, ma l’alternanza tra songs eballads (tutte cantate in gaelico), con un uso essenziale e moderatissimo dell’elettrificazione(basso e tastiere) fanno semmai propendere per una versione aggiornata ed originale dellalezione dei Silly Wizard. Strumentalmente, “Crosswinds” mostra una buona band, coesa, agile,lieve ed elegante, tradizionale eppur attuale e moderna; su tutto spicca però la voce di KarenMatheson, eterea ed affascinante, vero segno distintivo del gruppo. I lavori successivi(“Sidewaulk” e la colonna sonora di un documentario tv, “The Blood Is Strong”) confermano ilsuccesso ed il valore del gruppo. Ma la popolarità e il desiderio di non restare legati al clichéspingono i Capercaillie ad accelerare sulla strada della modernizzazione: il basso si fa piùpulsante, quasi funky; i brani sono cantati anche in inglese, lo spazio delle tastiere si allarga egli arrangiamenti occhieggiano alla musica più di consumo. Dapprima la formula funziona:“Delirium” è una prova matura, che conquista le classifiche (anche in Italia, grazie al brano“Breisleach”, usato nello spot pubblicitario di una marca di whisky), ma poi il gruppo calca lamano, arrivando a ritmi e sonorità disco e il consenso si trasforma in disappunto. Unaretromarcia porta ad un parziale ritorno alle origini con la produzione di una serie di album dibuon livello anche se alla fine un po’ ripetitivi, per una carriera ancora in essere. Migliori sono gli esiti della carriera solista di Karen Matheson: la sua prima prova, “TheDreaming Sea”, e la terza, “Downriver” (cui collabora Dónal Lunny) sono davvero interessanti. ALAN STIVELL E IL PANCELTISMO “Musica celtica” è una locuzione di vastissima diffusione e grande successo, prima di tutto per ilsuo fascino e le suggestioni che evoca, ma anche per la sua genericità che permette di indicareun po’ tutto quel che viene prodotto nell’ambito del folk revival britannico, Inghilterra esclusa (ea volte, ovviamente in modo erroneo, inclusa). Una formula di comodo che consentel’identificazione di un genere di cui dare una precisa definizione semplice non è, come abbiamovisto. Ma è un fatto che indicare come “artisti di musica celtica” indifferentemente tanto iClannad quanto i Runrig non serve a granché, e semmai confonde più di quanto chiarisca. Eppure un musicista per il quale l’etichetta “musica celtica” calza a pennello e chiarisce allaperfezione il genere musicale interpretato, tanto da non esisterne una migliore, c’è, ed è AlanStivell. Cantore, o forse piuttosto creatore stesso del panceltismo, è una figura di assolutorilievo e riferimento della scena folk: è il padre riconosciuto di quel che dagli anni ’70 vienechiamato “il rinascimento celtico”, il collante che tiene insieme e dà senso all’intera scena delfolk revival globalmente intesa. La sua storia è nota: bretone (il suo vero cognome, Cochevelou, è la maldestra trascrizionefrancese del cognome originale di famiglia, Kozh Stivellou, che quindi Alan in parte recupera nelnome d’arte), ragazzo prodigio, si appassiona alla musica grazie al lavoro di recupero del padreJord dell’antica cultura musicale bretone, soprattutto con la ricostruzione dell’arpa celtica,strumento perduto da secoli.

A 11 anni si esibisce all’Olympia, a 14 è già leader di uno dei più importanti bagad, caratteristicaorchestra bretone di fiati tradizionali. Dopo una prima scolastica incisione del 1963, per tutti glianni ’60 si esibisce in tour e matura il proprio stile e le proprie convinzioni culturali e politiche:convinto sostenitore dell’indipendenza della Bretagna, fautore della rinascita e dell’unione deipopoli celtici, quel che in sostanza vagheggia Stivell è una rinascita culturale dell’Occidente (senon ingenuamente dell’umanità intera) partendo dalle radici antiche. Il messaggio è potente eattecchisce, meglio divampa ovunque. La musica fa il resto: sonorità, ritmi, melodie mai sentite;Stivell reinventa letteralmente la musica folk, mescolando musiche bretoni, irlandesi, scozzesi einglesi interpretate indifferentemente in modo acustico, elettrico ed elettroacustico con strumentidi tutte le origini: è un progressive folk seconda la definizione che lo stesso Stivell ne dà nelretro di copertina de “A L’Olympia”. E i dischi, almeno sino al 1975, sono tutti capolavori: ilmeditativo “Reflets”; il delicato e suggestivo “Renaissance De La Harpe Celtique”; il trionfale live“A L’Olympia”, il suo capolavoro; il potente e variegato “Chemins De Terre”; l’altro live “InDublin”, con l’emozionante manifesto “Delivrance”; l’austero e tradizionale “E Langonned”,dedicato interamente alla tradizione bretone. Poi la qualità cala, forse inevitabilmente. Ilmessaggio si fa più radicale, le istanze storiche e filosofiche si fanno più pressanti e man manoche sale il tono del discorso politico, scema l’interesse dei lavori; sino al 1980, anno che vede lapubblicazione della tanto agognata e promessa “Symphonie Celtique” che si rivela però, traalcuni buoni sprazzi, anche discretamente piena di noia e di pretenziosità. Il nuovo decenniomostra le ferite della disillusione; ancora un paio di album, discreti o poco più, “Terre DesVivants” e “Légende”, che già nei titoli mostrano lo stato delle cose: la rivoluzione celtica non haavuto luogo, e gli ideali svaporano in vagheggiamenti utopici che danno il la alla montanteinconsistenza culturale e musicale della new age. Segue un silenzio prolungato, rotto solo ametà decennio da un album tanto prolisso quanto inutile, dedicato alle arpe. Sono gli anni ’90 avedere il ritorno alle scene, con album pericolosamente colorati di new age (“The Mist OfAvalon”) o di riletture non disprezzabili del suo repertorio classico (“Again”) e di quellotradizionale (“Brian Boru”), ma che proprio non reggono il confronto con i lavori di un tempo. Equindi, nel nuovo millennio, una nuova svolta i cui orizzonti sono una world music in salsaceltica, tra ritmi arabi o afro, campionamenti, collaborazioni inusitate e un po’ forzate, conquanto di scontatamente politico vogliono significare (“1 Douar”, “Back To Breizh”, “Emerald”);album che semmai mostrano come Stivell, una volta innovatore e trascinatore, ora arranchi altraino di nuove mode. La sua importanza resta comunque capitale: dai Chieftains ai Fairport Convention, passandoper Angelo Branduardi (che lo chiama a collaborare al suo “Cercando l’oro”), per tutti AlanStivell resta un venerato maestro, un esempio e un riferimento. Sulla sua scorta, la prima metà degli anni ’70 vede un proliferare di band bretoni, tutte peròlontane anni luce dal modello: Tri Yann, Ar Skloferien, Sonerien Du, Gwendal (cheproponevano una interessante commistione di musica bretone e jazz) sono solo i nomi piùfamosi. Il senso profondo del messaggio di Stivell stenta però ad esser colto: in Italia una certafama la godono i Lyonesse, gruppo franco-svizzero ospite fisso delle feste di sinistra, autore ditre album altalenanti, con molti buoni momenti ma spesso anche prolissi e irritanti, e comunqueoggi irrimediabilmente datati (e certo di non facilissima reperibilità). Lo stesso chitarrista diStivell, Dan Ar Bras (poi Braz), lasciato il titolare si dedica ad una carriera solista; l’esordio“Douar Nevez”, un concept sulla mitologica e perduta città di Ys, è col botto, ma il resto si riveladeludente. In mezzo, una partecipazione ad una delle tante incarnazioni dei FairportConvention (per l’occasione solo Fairport) che frutta il disco peggiore della loro onoratissimacarriera, “Gottle O’Geer”. Su un livello ben più alto si colloca Robin Williamson che lasciata la Incredible String Band, sidedica all’arpa e a studi e suoni intrisi di misticismo; la sua carriera solista è ondivaga eimprevedibile, in linea col personaggio del resto, ma che produce almeno un paio di titoli daricordare, “A Glint At The Kindling” con la sua Merry Band e “Songs Of Love And Parting”, pervoce, arpa e poco altro, secondo un modello di bardo che Robin ama interpretare. Stivell è all’origine anche di un altro fenomeno: il revival del folk francese, il che è a benpensarci paradossale. La figura di riferimento è infatti un altro musicista della corte di Stivell,Gabriel Yacoub che stanco di suonare musica bretone, decide di mettersi in proprio perdedicarsi al recupero della tradizione francese. Con la compagna Marie Sauvet dapprimarealizza un bell’album di traditionals, “Pierre De Grenoble”, per poi dare vita ad una formazione,i Malicorne, che avrà vasto seguito in Francia e una buona popolarità anche in Italia, nel restod’Europa e in Canada. Dal ’74 al ’79 i Malicorne realizzano una bella serie di lavori, su tutti“Almanach” e “L’Extraordinaire Tour De France D’Adélard Rousseau”, prima di tentare una viaalla modernizzazione con un allargamento del gruppo (cui fa parte nel buon “Le Bestiaire”anche l’ex Gryphon Brian Gulland) e sonorità decisamente rock, operazione che si rivela peròdisastrosa e porta allo scioglimento della band. Intanto, altri gruppi si sono affacciati sulla scenadel folk revival, ma con scarsa fortuna. Tra tutti, i più celebri restano i La Bamboche e iMelusine. ALTRE NAZIONI L’ultima delle tre nazioni celtiche britanniche è il Galles, che pur godendo di ampia autonomiaculturale ed essendo l’unica nella quale la lingua corrente sia quella originale celtica, nonpartecipa di fatto al movimento del folk revival. Il nome più celebre è quello degli Ar Log, moltocaratteristici, quasi campestri, autori di alcuni piacevoli album tra la fine degli anni ’70 e l’iniziodegli anni ’80; i migliori sono “Ar Log 3” e “Meillionen”, dedicato alla musica da ballo. Molto piùvicini al modello del revival irlandese e delle cèilidh band sono i Cílmeri, autori di due album tral’80 e l’82, mentre gli Swansea Jack, autori di un solo album, omonimo, nel’ 78, erano più vicinial folk rock inglese, con chiare influenze dell’Albion Band di Ashley Hutchings. Ma degli ultimidue si è quasi persa la memoria, e un motivo ci sarà… E infine, qualche parola su un altro paese celtico, normalmente trascurato se non proprioignorato: la Galizia spagnola. La terra di Santiago di Compostela, l’estremo lembo nordoccidentale della Penisola Iberica, è un paese di lontanissime origini celtiche; il nome stessoproviene dalla radice che ha dato il nome ai Galli. Benché l’originale lingua celtica galiziana siasparita circa cinquecento anni fa e non ne resti poi grande traccia nella lingua gallega, iGaliziani sono molto fieri delle loro origini celtiche; questo nonostante il fatto che il gallego siaormai una lingua via via relegata alle zone più rurali o quantomeno non metropolitane dellaregione (fenomeno comune a tutte le lingue e i dialetti tradizionali). Anche la Galizia ha unpiccolo ruolo nel fenomeno del revival celtico. Gruppi di folk revival sono numerosi, e almeno unpaio di artisti sono assurti ad una qualche popolarità su scala più vasta.

24 / 25

Page 25: Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e ...

Electric Muse: la storia del folk-rock britannico e celtico – 1965/1990

Scritto da Giuseppe ArtusiVenerdì 17 Luglio 2015 21:41

Il primo nome è quello dei Milladoiro, ensemble di valore autore di numerosi album (il piùgodibile è il live “As Fadas De Estraño Nome”), davvero gradevole, originale e di qualità. Aportarli alla ribalta è stato il genio di Paddy Moloney dei Chieftains, che nelle sue curiose edinstancabili esplorazioni musicali, li ha conosciuti, prodotti e portati con sé come opening actdurante gli anni ’80, fino a farli collaborare in un paio di lavori dei Chieftains, il live “A ChieftainsCelebration” registrato a Dublino per le celebrazioni del millenario della città (concerto al quale– consentitemi una nota personale – ero presente tra il pubblico, ed è stata una esperienzaindimenticabile e travolgente) e poi il bellissimo “Santiago”, dedicato per l’appuntoall’esplorazione delle radici celtiche della Galizia e le analogie della musica popolare del mondolatino con quella celtica. L’altro nome, sempre legato ai Chieftains, è quello del piper Carlos Nuñez, che pure hacollaborato al citato “Santiago” e poi autore di numerosi lavori ugualmente dedicatiall’esplorazione dei rapporti tra musica galiziana e le altre musiche del mondo celtico, su tutti varicordato almeno “Brotherhood Of Stars” (del 1997). PER CONCLUDERE… Come si è visto, questa lunga rilettura ha spesso sforato i limiti temporali programmaticamentestabiliti, per l’ovvia ragione che molti artisti sono ancora in attività. Ma non sono gli ultimidinosauri: la scena revival è attiva e vivace, popolata da numerosi artisti e animata daassociazioni, festival, fanzines e siti. Certo, se si escludono i Mumford & Sons, non ci sononomi da classifica, (e del resto l’ultimo album della band sembra allontanarsi dalle tipichesonorità ed atmosfere del folk rock), e le influenze del folk revival su altri artisti, quando ci sono,sono sporadiche ed occasionali. Del resto, la scena musicale è parecchio cambiata negli ultimiquaranta anni… Come concludere dunque questa lunga cavalcata? Le risposte alle domande iniziali le daràciascun lettore: se conosce almeno in parte questi artisti e questi album, se la lettura glieli hafatti tornare alla memoria, saprà dire da solo quanto siano stati importanti; se invece ha soloqualche conoscenza (magari anche nessuna) e qualche curiosità, può darsi sia mosso acuriosità per approfondirle. La bellezza dei nostri tempi sta anche nel fatto che ciò che sino apochi anni fa sarebbe stato inaccessibile o assai costoso e complicato conoscere, ora è aportata di mouse; con un minimo (davvero minimo) di pazienza e di tempo, almeno qualcosa ditutto quel che è stato citato è reperibile ed ascoltabile (sì, in YouTube c’è persino un brano degliSwansea Jack…). E la conservazione della memoria è una cosa fondamentale per la nostra cultura. Talvoltariserva persino sorprese piacevoli ed inaspettate: nel caso del folk, esse sono garantite.Credetemi.

… O PER INIZIARE? Gli appassionati del genere non hanno bisogno di consigli; chi approccia il genere, o lo conoscesuperficialmente sì. I nomi e i titoli analizzati sono tanti, orientarsi non è semplice, ma non lo ènemmeno dare consigli: tante le variabili, diversissimi i gusti, in primis quello di colui che stendela lista e ciascuno farebbe la sua... Suggerire un titolo piuttosto che un altro, includere oescludere un artista, presta il fianco a querelle infinite, né vale richiamare il testo dell’articoloche pure ha cercato di spiegare importanza, caratteristiche e lavori migliori dei vari artisti. Mainsomma, se uno chiede “da dove parto?” una risposta ha pur il diritto di averla, quindi tantovale mettere giù un po’ di titoli e spiegare come li si è scelti. Il numero intanto: dieci sono pochi, non perché li si debba avere tutti, ma perché stili e generisono tanti; di più, sono troppi, perché altrimenti si torna al punto di partenza. Non se ne esce:facciamo quindici, un titolo (massimo due) per ciascun artista fondamentale, e pazienza se poiqualcuno preferisce un titolo ad un altro: il mondo è bello perché è vario e viviamo in un paeselibero. Da parte mia, ho cercato di includere gli artisti più famosi coi loro titoli comunementeconsiderati fondamentali per una ragione o per l’altra, e comunque facilmente reperibili (inutileconsigliare i Tannahill Weavers se i titoli più belli sono irreperibili in cd), ma resta una listaorientativa, criticabile, emendabile (i commenti servono anche a questo) e – certo – anche unpo’ personale. Dopotutto, la gente dà buoni consigli se non può dare il cattivo esempio. 01.    Incredible String Band – “The Beautiful Hangman’s Daughter”02.    Pentangle – “Sweet Child” o “Basket Of Light”03.    Fairport Convention – “Liege and Lief”04.    Steeleye Span – “Please To See The King” (ma anche “Below The Salt”)05.    Shirley Collins & the Albion Country Band – “No Roses”06.    “Morris On”07.    The Chieftains – “5” (o “Chieftains Live”)08.    Planxty – “Planxty” (o “After The Break”)09.    Andy Irvine & Paul Brady – “Andy Irvine Paul Brady”10.    The Bothy Band – “Old Hag You Have Killed Me” (ma anche “Afterhours”)11.    De Danann – “The Star Spangled Molly”12.    Clannad – “Dúlamán”13.    Silly Wizard – “So Many Partings”14.    Capercaillie – “Crosswinds”15.    Alan Stivell – “A L’Olympia” (o “Chemins De Terre”)

25 / 25