EGI (Risposte Da 1 a 40)
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1. DESCRIVERE I FATTORI DI FONDO E DI FLUSSO DELLA FUNZIONE DI PRODUZIONE I fattori produttivi si distinguono in FATTORI DI FLUSSO della produzione (lavoro e capitale necessario per le spese correnti dell’impresa) e in FATTORI DI FONDO (capitale utilizzato per acquisire le immobilizzazioni tecniche ovvero strutture ed infrastrutture ed altro aventi durata pluriennale come capannoni, impianti, macchine.). Il lavoro si distingue in lavoro salariato svolto da tutti coloro che partecipano al processo produttivo dell’impresa, direttamente o indirettamente, in relazione al raggiungimento degli obiettivi dell’impresa; e in lavoro imprenditoriale che si distingue da quello salariato per le modalità di remunerazione. Il lavoratore salariato, infatti, percepisce uno stipendio o, se è un professionista, il corrispettivo di una parcella per prestazioni professionali; l’imprenditore invece, viene remunerato dall’attività dell’impresa solo se questa produce un utile. In caso di perdita (riferita al periodo di riferimento, ovvero l’esercizio) l’imprenditore subirà direttamente la perdita stessa. Il capitale si distingue nella parte necessaria per coprire tutti i costi che l’impresa sostiene per l’acquisizione di materie prime, semi lavorati e componenti (fattori della produzione che “si consumano” durante l’esercizio) ed in una parte necessaria per realizzare le immobilizzazioni tecniche (fattori della produzione che “non si consumano” durante l’esercizio). 2. SIGNIFICATO ED UTILIZZO DELLE QUOTE DI AMMORTAMENTO Posto: -‐“CCF” = capitale necessario per l’acquisizione dei fattori di fondo; -‐“CCC” = capitale necessario per l’acquisizione dei fattori di flusso; Il valore del capitale fisso CCF (espresso in $) e i CCC (espressi in $/anno) rappresentando, rispettivamente, un fattore fondo e un fattore flusso, non risultano sommabili tra loro. Per superare tale difficoltà si ricorre all'ammortamento, che costituisce un procedimento contabile finalizzato a trasformare una grandezza di fondo in una grandezza di flusso. Si consideri, ad esempio, un'impresa che dispone di capitale fisso per un importo pari a 100 milioni di lire utilizzati nel 2000 per acquisire la capacità produttiva consistente in un impianto la cui durata di utilizzo è prevista essere pari a 10 anni; mediante il procedimento dell’ammortamento il fattore di fondo (100 milioni di lire) può essere trasformato in fattore di flusso: QA (quota di ammortamento) = mil / anno [=] 100 mil / 10 anni = 10.
3. CRITERI DI EFFICIENZA TECNICA ED ECONOMICA L’Efficienza Tecnica Globale (ETG) è calcolabile così: Q output / Q input = ETG Tale rapporto è riferito alle quantità fisiche QL (quantità di lavoro) e QC (quantità di capitale) ovvero a grandezze non omogenee; pertanto la difficoltà di
giungere a una misurazione globale dell'ETG induce a considerare singolarmente i vari fattori produttivi e, di conseguenza, a misurare l’Efficienza Tecnica Specifica dei fattori Capitale e Lavoro. Per esempio, per quanto riguarda l’efficienza tecnica specifica del fattore lavoro (salariato) si ha: ETSL = Q output / L input = [ = ] N unita di prodotto / Ore di lavoro impiegate per la produzione Allo scopo di rendere omogenei i termini del rapporto, occorre trasformare le misure di performance produttiva in una misura di economicità. All'uopo è opportuno fare riferimento non più a quantità fisiche ma al valore economico che deve essere attribuito ai singoli termini del rapporto. Pertanto, il rapporto ETG si trasforma in Efficienza Economica Globale (EEG): EEG = V output / V input = V output/ (VL + V capitale) Ove: “V output” = valore degli Output; “V input” = valore degli Input; “VL” = salari (espressi in $); “V capitale” = capitale immesso (espresso in $).
4. ILLUSTRARE I CONCETTI DI CAPACITA’ PRODUTTIVA, PRODUTTIVITA’ E GRADO DI UTILIZZO DEGLI IMPIANTI Durante lo svolgimento della propria attività, l’impresa industriale è condizionata, nel breve periodo, dalla struttura esistente. La determinazione della struttura e dunque della capacità produttiva rappresenta perciò una delle decisioni più importanti. La capacità produttiva, nel breve periodo, è un dato strutturale e corrisponde alla massima quantità teorica di beni o servizi che può essere ottenuta, nelle normali condizioni di progetto e di ambiente, da una macchina, un singolo impianto o da aggregati di impianti (fabbrica) in un intervallo di tempo. I significati assunti dal concetto di capacità produttiva, in relazione alla quantità o agli scopi per i quali tale grandezza viene utilizzata, sono diversi. Perciò esistono varie importanti definizioni: Capacità teorico-‐nominale: massimo flusso fisico di beni o servizi ottenibile in un determinato intervallo di tempo dichiarato dal produttore dell’apparecchiatura a fini fiscali, di mercato. Capacità teorico-‐effettiva (ex-‐ante): massimo flusso fisico di beni o servizi ottenibile in un determinato intervallo di tempo in condizioni di utilizzo in cui non si verifichino interruzioni o rallentamenti nello svolgimento del processo produttivo e l’impianto venga spinto al massimo. Capacità ottimale o economica: flusso fisico di beni o servizi ottenibile in un determinato intervallo di tempo al costo unitario più basso possibile (minimo). Strettamente legato al concetto di capacità produttiva vi è quello di produttività, definita come il flusso fisico di beni che s’intende raggiungere (ex-‐
ante) o quello effettivamente raggiunto (ex-‐post) in un determinato intervallo di tempo. Mentre la capacità produttiva è un valore che rende conto della dimensione dell’impianto, la produttività dipende dal grado di utilizzo dell’impianto stesso (Il grado di utilizzo di un impianto è espresso dal rapporto quantità di prodotti ottenuti/ quantità di prodotti ottenibili nel periodo di tempo di riferimento). I concetti di “breve, medio e lungo periodo” sono legati alle ipotesi che possono essere formulate sulla possibilità dell’impresa di modificare la dimensione dell’impianto. Nel breve periodo si ritiene essa possa variare la quantità prodotta soltanto modificando le quantità di input e di fattori variabili. Nel lungo periodo, invece, l’impresa può modificare la capacità produttiva effettuando investimenti su nuovi impianto.
5. CAPACITA’ PRODUTTIVA OTTIMALE (ECONOMICA) Corrisponde alla massima quantità teorica di beni e di servizi ottenibile da una macchina, un singolo impianto o da aggregati di impianti (fabbrica) in un determinato intervallo di tempo al costo unitario più basso possibile (minimo). Tuttavia è necessario fare alcune considerazioni sui costi della produzione industriali. Alla capacità produttiva condotta apprestata per lo svolgimento di un determinato processo produttivo è legata la parte preponderante dei costi fissi. I costi fissi sono costituiti principalmente da quote di ammortamento (Qa) di terreni, fabbricati e macchinari utilizzati per la produzione e dagli interessi passivi sui mutui (iD) contratti per sostenere le ingenti spese di investimento necessarie per la realizzazione degli impianti. I costi variabili sono quelli derivanti dall’utilizzo dei fattori di flusso della produzione e variano al variare del grado di utilizzo dell’impianto mentre risultano pari a 0 in assenza di produzione. I costi totali sono dati dalla somma dei costi fissi e dei costi variabili.
6. FLESSIBILITA’ ED ELASTICITA’ DEGLI IMPIANTI Il concetto di elasticità consiste nella capacità dell'impresa di modificare il volume di produzione senza incorrere in costi tali da modificare significativamente la posizione competitiva dell’impresa. L’impresa, tra l’altro, può reagire ad impreviste oscillazioni della domanda di mercato discostandosi, con aggravi di costo variabili in funzione della sua elasticità, dalle condizioni di normale sfruttamento della capacità produttiva. Per flessibilità tecnica s’intende la capacità dell’impianto di adattarsi a produrre beni differenti in tempi e costi competitivi.
7. DEFINIZIONE DI ROI E ROE E LEVA FINANZIARIA Il ROI (Return on investment) esprime il rendimento del capitale complessivamente impiegato (cioè del capitale proprio e del capitale di terzi) e rappresenta una prima fondamentale espressione di redditività. Laformula è:
ROI = (UL + iD) / (CP + D) Dove : -‐“UL”: utile lordo dell’impresa (espresso in $/anno) -‐“iD”: interessi passivi (espresso in $/anno) -‐“CP”: capitale proprio (espresso in $) -‐“D”: capitale di terzi (espresso in $/anno) Altrettanto importante è il rapporto ROE (Return on equity)
ROE = UL/CP Tale indice si riferisce al capitale proprio investito nell'impresa. Si noti che il ROE non risulta necessariamente uguale al ROI, cioè il rendimento del capitale proprio non coincide con il rendimento del capitale complessivamente investito (capitale proprio e capitale di terzi). La relazione tra ROE e ROI è la seguente:
ROE = ROI + (ROI -‐ i) * D/CP
-‐“i”: tasso d’interesse bancario Il ricorso all’indebitamento (in date condizioni di domanda e offerta di fondi e di risultati di esercizio) permette di aumentare la redditività del capitale proprio grazie ad un effetto denominato leva finanziaria. La leva finanziaria opera quando gli investimenti vengono finanziati con mezzi di terzi dando luogo alla conseguente variazione della redditività dei mezzi propri espressa dall’indice ROE: è dunque l’onere finanziario che variando agisce sul ROE esaltandolo rispetto al ROI. Tale effetto leva è proporzionale all’intensità del grado di indebitamento cioè al rapporto tra capitale proprio e capitale di terzi.
8. DIVERSE FORME DI INVESTIMENTO (PICO, CICO) ED ESEMPI Gli investimenti, indipendentemente dalla loro natura, possono definirsi come una successione di esborsi e incassi. Esistono 4 categorie: P.I.C.O. ( point input – continuos outptut) hanno unico esborso di capitale iniziale ed un ritorno, in forma continua negli anni, dei MLC generati dall’utilizzo dell’impianto. Questa tipologia è tipica degli investimenti industriali. C.I.C.O. ( continuos input – continuos output) sono caratterizzati da continui esborsi di capitale ripartiti progressivamente nel tempo, ai quali danno seguito serie continue di MLC. Esempi di tale tipologia risiedono in alcune assicurazioni sulla vita, che prevedono continui esborsi di capitale ai quali fanno seguito incassi finali continui (pensioni integrative P.I.P.O. ( point input -‐ point output ) comportano un unico esborso iniziale di capitale al quale fa seguito, un unico incasso finale. Un esempio si ha in caso di
acquisto in contanti di un immobile a fini speculativi anche se, lo stesso investimento, sarà di tipo C.I.P.O nel caso di acquisto con ricorso all’ indebitamento. C.I.P.O ( continuos imput – point outptu) sono caratterizzati da continui esborsi di capitale nel tempo ed un unico incasso finale. Un esempio è dato da alcuni contratti assicurativi sulla vita che comportano esborsi continui di capitali, sotto forma di premi periodici, ai quali si fa corrispondere il diritto all’incasso, alla scadenza del contratto, di un prestabilito capitale finale. Gli investimenti industriali sono considerati di tipo P.I.C.O.
9. Flusso dei fondi e calcolo del ROI
Flusso dei fondi: insieme dei movimenti monetari e finanziari che si articolano lungo un anno di gestione e sono esposti in apposito prospetto riepilogativo di fine anno, accanto ai tradizionali Stato Patrimoniale e Profitti e Perdite per illustrare la dinamica avvenuta nelle voci patrimoniali e finanziarie. Nella prassi di bilancio italiana è un prospetto facoltativo che l’impresa presenta nel bilancio pubblicato con il nome di Rendiconto Finanziario.
Calcolo del Roi
ROI = ( UL + iD) / ( CP+ D)
La relazione tra ROE e ROI è la seguente:
ROE = ROI + (ROI -‐ i) * D/CP [equazione n. 1] Tale relazione si ottiene mediante i seguenti semplici passaggi: ROE = UL / CP, quindi UL = CP * ROE Sostituendo UL nella formula del ROI si ha: ROI = (ROE * CP + iD) / (CP + D) Moltiplicando ambo i membri per (CP + D): ROI * CP + ROI * D = ROE * CP + iD Dividendo per CP e semplificando si ha: ROI * CP/CP + ROI * D/CP = ROE * CP/CP + iD/CP ROE = ROI + ROI * D/CP – i * D/CP ROE = ROI + (ROI – i) * D/CP 10. Definire il valore aggiunto ed un suo possibile schema di calcolo a partire dal flusso dei fondi II valore aggiunto è dato dalla differenza tra i ricavi delle vendite (RV) e i costi delle materie prime ( CMP), ovvero esso esprime il valore che l’impresa aggiunge alle materie prime, ai semilavorati, ai componenti per effetto dell’utilizzo degli impianti e della forza lavoro. RV -‐ CMP = VA (Il valore aggiunto è dato dal valore della produzione “meno” il valore di materie prime, semilavorati e componenti) Dal flusso dei fondi si ottiene una seconda formulazione del valore aggiunto: VA = RV – CMP = CLs + UL + iD + QA Da cui: RV = CMP + CLS + UL + iD + QA Dove: -‐“CLs”: costo del lavoro salariato -‐“UL”: utile lordo
-‐“id”: interessi sui debiti -‐“QA”: quota di ammortamento 11. Formazione delle disponibilità ai fini degli investimenti Per definizione l'investimento è l'impiego di un fondo per l’acquisizione di immobilizzazioni tecniche(materiali o immateriali) finalizzate all’accrescimento del volume d’affari dell’impresa. L’impianto L’impresa acquisisce un nuovo impianto per aumentare la capacità produttiva, oppure per sostituire o aggiornare tecnologicamente gli impianti preesistenti Immobilizzazioni immateriali Un’ ulteriore forma di investimento è costituita dalle licenze di produzione e dai brevetti. Promozione II concetto di promozione contiene il concetto di pubblicità ma anche altre azioni (di promozione, appunto): concorsi a punti, scarti sulle vendite, partecipazione a fiere, mostre, convegni, e cosi via. Ricerca e sviluppo La ricerca riguarda l’ individuazione di nuovi processi o di nuovi prodotti a livello tecnologico (può anche avere esiti negativi); lo sviluppo, invece, riguarda le implementazioni successive alla scoperta necessarie per la commercializzazione della soluzione trovata. Formazione Aggiornamento dei propri dipendenti in vista di risultati negli anni futuri. 12. Definire i costi fissi e variabili di un’impresa industriale e indicare i costi ricadenti nelle rispettive categorie I costi fissi sono costituiti principalmente dalle quote di ammortamento (Qa) di terreni, fabbricati, macchinari, ecc. utilizzati per la produzione e dagli interessi passivi sui mutui (iD) contratti per sostenere le ingenti spese di investimento necessarie per la realizzazione degli impianti. I costi variabili sono quelli derivanti dall’utilizzo dei fattori di flusso della produzione (materie prime, semilavorati, lavoro diretto, ecc.) e variano al variare del grado di utilizzo dell’impianto mentre risultano pari a zero in assenza di produzione. I costi totali sono dati dalla somma dei costi fissi e dei costi variabili. 13. Break-‐Even-‐Point (determinazione grafica ed analitica) Consente di identificare – analiticamente e graficamente-‐ il volume di produzione o di vendita Q* affinché i costi sostenuti siano coperti dai ricavi conseguiti dall’impresa. (In corrispondenza di Q*, l’utile realizzato sarà pari a zero).
Il B.E.P. è espressione delle potenzialità economico-‐strutturali dell’impresa, in quanto delimita l’ampiezza dimensionale dell’area delle perdite e dei profitti.
Determinazione analitica Definiti -‐“QA” = quota di ammortamento -‐“iD”= interessi sui debiti -‐“CCP”= costi correnti della produzione -‐“RV”= ricavi di vendita -‐“CF”= costi fissi -‐“CV”= costi variabili -‐“Qe”= quantità di equilibrio Se il punto di equilibrio è quel punto in cui i ricavi delle vendite sono uguali a QA + iD+ CCP abbiamo: RV= QA + iD + CCP Poi: -‐“RV” = p . Q -‐“QA+ iD”= CF -‐“CCP”= CV Allora: pQe = CF + cvQe à Qe = CF/ (p – cv)
Dt = Dt = esercizioesercizio
CPe
C,R
iD
QA
CT
CF
Q
B.E.P.
p
Q*
AREA PERDITE
AREA PROFITTI
P
-‐“(p – cv)”= margine di contribuzione unitario. Se invece di calcolare il punto di equilibrio, si vuole individuare la quantita Q* con la quale si ottiene un livello determinato di utile lordo (UL*), bisogna aggiungere UL* alla precedente equazione: pQ* = CF + cvQ* + UL* Q* = CF + UL*/ (p – cv) -‐Per Q<Q: L’impresa realizza un volume insufficiente a coprire i costi sostenuti: è in perdita. -‐Per Q=Q*: Si eguagliano costi e ricavi: si raggiunge il Break-‐even point o punto di pareggio. -‐Per Q>Q*: Area dei profitti: l’impresa realizza ricavi tali da coprire i costi sostenuti ed assicurarsi un margine di guadagno. 14. Curva dei costi di lungo periodo e dimensione ottima degli impianti Nel lungo periodo l’impresa può modificare la struttura dei costi fissi aumentando le dimensioni dei propri impianti mediante nuovi investimenti. La realizzazione di nuovi impianti ed il correlato aumento della capacita produttiva puo essere rappresentata graficamente
In particolare, si supponga che un'impresa raddoppi le dimensioni dei propri impianti sostituendo l'impianto A con l'impianto B avente capacità produttiva doppia rispetto ad A (CTEB = 2 CTEA). Come si evince dal grafico i costi fissi assumono un andamento a scalino. Nel passaggio dall’ A all’impianto B di dimensioni doppie, tali costi risulteranno naturalmente più alti ma, per l’insorgere delle economie di scala, essi non saranno, nella generalità dei casi, pari al doppio di quelli corrispondenti all’impianto A; lo stesso dicasi per impianti di dimensioni triple, ecc.
CTEA CTEB CTEC CTED q
A B
C D
c
DOM = capacità produttiva “ottima” dell’impianto industriale. Tale dimensione permette di produrre, in una prospettiva di lungo periodo, al minimo costo unitario. 15. Economie di scala e “da apprendimento” Le economie di scala possono essere definite come una riduzione del costo medio unitario del prodotto o servizio derivante dall’aumento della dimensione dell'impianto. L’ottenimento di economie di scala deriva da un risparmio di risorse che si realizza per effetto dell’aumento della capacità produttiva. Le economia di scala possono essere: -‐economie di scala di natura geometrica (soprattutto per le produzioni continue e di massa, tipiche dei settori chimico, petrolifero, ecc. ) -‐economie legate alle dotazioni tecnologiche (di governo, guida, controllo, ecc.) Le economie di apprendimento (o di esperienza) sono le riduzioni di costo unitario dell’output prodotto che conseguono all’incremento della produzione cumulata. Con esperienza si intende il numero cumulato di output prodotto fino alla data considerata. Si ha:
• Crescente abilità nello svolgimento delle attività • Migliore selezione delle risorse produttive • Coordinamento più efficiente fra le risorse produttive • Più elevata programmabilità dell’attività • Semplificazioni dei prodotti e dei processi
16. Indicare le condizioni tecnologiche e del microambiente che consentono alle imprese il perseguimento di economie di scala. L’impresa, anche in condizioni di mercato favorevoli, può incontrare ostacoli di natura tecnologica che scoraggiano un’eccessiva crescita dimensionale. Ad esempio componenti e semilavorati necessari per la costruzione di impianti industriali o di parti di essi sono generalmente disponibili sul mercato in dimensioni standardizzate. Oppure esistono limitazioni oggettive alla dimensione di alcuni processi industriali. E’ stato osservato, per esempio, che gli altoforni per la produzione del ferro diventano altamente instabili oltre determinate dimensioni. La tendenza dell'impresa a non oltrepassare una determinata dimensione deriva dunque da due cause fondamentali: -‐il vincolo imposto dal mercato: l’impresa deve valutare il tasso di crescita della domanda; -‐il vincolo tecnico-‐economico che impone di non superare una determinata soglia dimensionale
17. Macroambiente e microambiente Il macro-‐ambiente (o ambiente generale) è definito dall’insieme delle forze, dei fenomeni e dei trend di carattere generale che condizionano ed orientano le scelte ed i comportamenti dell’impresa e di tutti gli attori del sistema dove opera l’impresa. Le variabili che costituiscono il macroambiente non sono direttamente controllabili dall’impresa, anche se, quest’ultima, può in alcuni casi influenzare l’intensità e la con cui si manifestano. Il micro-‐ambiente (o ambiente competitivo) appare, invece, costituito da tutte quelle forze, fenomeni ed attori presenti nello specifico campo di attività in cui l’impresa opera e che hanno implicazioni più dirette sia sulle sue scelte strategiche, sia sulle sue performance. Le forze del micro-‐ambiente determinano, infatti, l’intensità della concorrenza e influenzano le prospettive di redditività dell’area competitiva dove è presente l’impresa. 18. Varietà e variabilità dei microambienti Varietà: numero di situazioni differenti con le quali l’impresa si rapporta in un determinato periodo di tempo. Allargamento del raggio di azione delle imprese che si estende a mercati di approvvigionamento e di sbocco più numerosi e sempre più spesso internazionali e si trova a fronteggiare una concorrenza internazionale sempre più intensa. Variabilità: dovuta ai mutamenti che interessano le condizioni di acquisizione e di vendita dei fattori e dei prodotti, la situazione congiunturale della domanda, gli atteggiamenti dei consumatori e degli acquirenti. E’ un concetto relativo al tempo. 19. Barriere all’entrata di scala, di costo assoluto e di differenziazione Barriere di entrata: Il fattore che contribuisce maggiormente alla formazione delle barriere all’entrata è rappresentato dalle economie di scala: quanto maggiori sono le economia di scala, tanto più alta è la barriera all’entrata. Le economie di scala rappresentano una diminuzione del costo medio unitario del prodotto o servizio venduto, attribuibile all’aumento del volume cumulato di produzione. Il raggiungimento di economie di scala deriva dal fatto che all’aumentare della produzione si riduce l’incidenza dei costi fissi sui costi totali e cio determina una riduzione dei costi unitari del prodotto. Queste costituiscono una barriera importante in quanto i nuovi competitor, per competere sul prezzo, sono obbligati a produrre sulla stessa scala, ma ciò li espone al rischio di una sottoutilizzazione degli impianti; non è detto infatti che i nuovi entranti riescano a realizzare subito grossi volumi di vendita.
B. di costo assoluto: Sorgono quando le imprese che già operano da tempo nel settore, per effetto di rapporti privilegiati con i loro fornitori, possono accedere a fattori produttivi di qualità migliore a parità di prezzo o di prezzo inferiore a parità di qualità; quindi, per qualsiasi livello di scala, possono produrre a costi minori di quelli dei potenziali nuovi entranti. B. di differenziazione: La capacità delle imprese del settore di differenziare i propri prodotti rispetto a quelli dei concorrenti e, quindi, di renderli migliori nelle percezioni del consumatore e più rispondenti alle sue esigenze, costituisce un’importante barriera all’entrata in quanto costringe i nuovi entranti ad effettuare ingenti investimenti in pubblicità per cercare di affermare il nuovo marchio. 20. Forze competitive e potere contrattuale nel modello della concorrenza allargata di Porter Attraverso il modello di Porter si è in grado di identificare quei soggetti (forze competitive) che influenzano la redditività e l’attrattività di un business. La redditività (data dal rapporto fra rendimento e costo del capitale) dipende dall’intensità della concorrenza all’interno dell’ambito competitivo, quindi, dall’ interazione di cinque forze: i concorrenti diretti, i concorrenti indiretti, i concorrenti potenziali, i fornitori e i clienti. L’effetto congiunto di queste forze determina il profitto potenziale finale ossia la possibile remunerazione a lungo termine del capitale investito. L’influenza esercitata dalle singole forze non è la stessa in tutti i settori, al contrario il tipo di attività svolta dalle imprese, la loro dimensione media dell’azienda, la numerosità dei clienti e/o dei fornitori e la loro forza contrattuale determinano la maggiore o minore rilevanza di una forza rispetto alle altre. 21. Definire i concetti di settore industriale e di Area strategica d’affari (ASA) Il settore è il luogo economico in cui operano le imprese che esercitano reciprocamente un gioco di concorrenza effettiva o almeno potenziale. Si tratta di enucleare le imprese che presentano caratteristiche comuni mediante un criterio di omogeneità Il modello tridimensionale di Abell consente di rappresentare il particolare ambito competitivo (ASA) in cui l’impresa ha deciso deliberatamente di operare (scelta soggettiva). Tre sono le dimensioni adoperate per rappresentare l’ASA:
1. i gruppi di clienti, che identificano chi viene servito dall’impresa, sono identificati in base a differenti criteri quali le aree geografiche, le caratteristiche demografiche, gli stili di vita, i comportamento d’acquisto, ecc.; 2. le funzioni svolte per i clienti identificano le categorie di bisogni che possono essere soddisfatti da un dato bene; 3. le tecnologie che esprimono le modalità per la soddisfazione di determinati bisogni di segmenti di clienti. Per ciascuna dimensione occorre, quindi, individuare e descrivere gli elementi che consentono di derivare l’ambito competitivo dell’impresa e dei concorrenti. Tale procedimento consente di individuare tutti i diversi possibili business (ASA), correlati ai bisogni, ai tipi di clientela e alle tecnologie nell’ambito dei quali l’impresa può operare. L’ASA viene identificata mediante la selezione di una funzione d’uso, di un gruppo di clienti e di una tecnologia. Nel caso di imprese multibusiness possono essere identificate più ASA e, di conseguenza, più contesti competitivi. 22. Ciclo di vita del prodotto Descrive quantitativamente la dinamiche delle vendite di un prodotto (o di una categoria di prodotti) rispetto al tempo.
Fase di introduzione Tale fase è preceduta da una fase preparatoria corrispondente al periodo durante il quale l’impresa identifica le opportunità di mercato e delinea un mercato bersaglio (target market) cercando di confezionare un prodotto o un
Pietrificazione
Declino
Rivitalizzazione
introduzione maturità
Pieno sviluppo
Primo sviluppo
t
servizio adatto al soddisfacimento dei bisogni di un gruppo ben identificato di potenziali acquirenti. Fase di sviluppo Tale fase può essere ulteriormente distinta in: -‐Fase di primo sviluppo -‐Fase di pieno sviluppo Fase di maturità -‐La domanda non è espandibile -‐Il mercato è molto segmentato -‐Potenti concorrenti dominano il mercato -‐Tecnologia è stabile Le imprese tendono a differenziare l’offerta introducendo nuove caratteristiche, nuovi modelli e anche nuove marche per sottolineare le differenze rispetto ai concorrenti Fase di declino Persistente processo di riduzione delle vendite fino ad azzerarsi a causa di: -‐Mutamento dei gusti dei consumatori -‐Sviluppi tecnologici 23. Classificazione dei prodotti Il prodotto può classificarsi in base alla destinazione d’uso o in base al grado di novità che esso contiene. In base alla destinazione d’uso si distinguono: a) beni di consumo ( immediato come i gelati, durevole come un martello); b) beni industriali o strumentali. In relazione alla novità si riconoscono: a) prodotti innovativi [nuovi] b) migliorati [innovati] (prodotti aventi alcune caratteristiche di novità) a) Un prodotto si definisce innovativo quando: − è intrinsecamente nuovo (un bene che prima non c’era); − viene utilizzato in modo nuovo rispetto a quello tradizionale. Cinque importanti caratteristiche consentono al consumatore di confrontare diversi prodotti (nuovi o innovati) presenti sul mercato stabilendo, di conseguenza, quale è il migliore. Queste caratteristiche sono: I. superiorità II. compatibilità del prodotto con determinati usi a cui è destinato; III. semplicità di utilizzazione (un esempio la “Apple” che ha fatto da sempre leva sulle facilita d’uso) IV. osservabilità delle caratteristiche; sono osservabili le caratteristiche possedute dal prodotto; V. provabilità (la superiorità deve essere tangibile prima dell’acquisto), è possibile testare i prodotti.
24. Discutere i riflessi delle caratteristiche ambientali e tecnologiche sulla struttura organizzativa Le condizioni ambientali e tecnologiche sono: -‐domanda stabile ed omogenea (mercati guidati dall’offerta) -‐ostacoli di natura tecnologica La soglia dimensionale dunque dipende da due cause fondamentali : -‐il vincolo imposto dal mercato: l’impresa deve valutare il tasso di crescita della domanda; il vincolo tecnico-‐economico che impone di non superare una determinata soglia dimensionale. 25. Illustrare le caratteristiche della struttura organizzativa funzionale in termini di risorse umane e di specializzazione delle Unità Organizzative e disegnarne l’organigramma La struttura organizzativa gerarchico-‐funzionale si distingue da quella semplice per il fatto che essa è rappresentativa di imprese di dimensioni maggiori rispetto a quelle rappresentate dalla struttura semplice. In particolare, le strutture organizzative gerarchico-‐funzionali possono rappresentare anche imprese di grandi e grandissime dimensioni. I meccanismi di coordinamento sono rappresentati dalla standardizzazione (dei prodotti, dei processi e delle capacità) e dalla supervisione diretta. Questa si esplica in unità organizzative di dimensioni anche molto elevate per effetto della standardizzazione (grazie alla standardizzazione è maggiore il numero di persone controllabili da un solo manager). La struttura organizzativa gerarchico-‐funzionale tende a dividere il lavoro in modo tale che le singole funzioni siano più specializzate possibili; infatti la specializzazione e l’apprendimento sono una condizione per il raggiungimento delle economie di scala e dei punti di minimo dei costi unitari di produzione. Una importante caratteristica delle strutture organizzative gerarchico-‐funzionali è rappresentata dai conflitti interfunzionali cioè dai conflitti che insorgono tra le diverse funzioni aziendali. Tali conflitti sono dovuti ai diversi obiettivi ed interessi.
Organigramma della struttura funzionale: 26. Illustrare le caratteristiche salienti delle organizzazioni funzionali e divisionali Struttura gerarchico-‐ funzionale: -‐Divisione del lavoro molto spinta. -‐Meccanismi di coordinamento: standardizzazione (prodotti, processi e capacità), supervisione diretta. Struttura divisionale: -‐Attività dell’impresa diventa molto complessa; -‐Possibilità di riconoscere aree strategiche di affari (ASA) quali centri autonomi di imputazione di costi e ricavi governate da Strategic Business Unit (SBU). Tra i motivi sottostanti l’adozione di una struttura divisionale abbiamo: -‐Crescita dimensionale -‐Internazionalizzazione dell’impresa -‐Diversificazione
. Presidente
Amministratore delegato
Funzione amministrazione
Funzione produzione
Funzione marketing
officina assemblaggio personale acquisti contabilità vendite
Vertice strategico
consulenza
27. Macrostrutture organizzative di base La macrostruttura organizzativa rappresenta il modo in cui le persone vengono messe insieme (raggruppate), ovvero attiene alla modalità attraverso la quale le persone vengono raggruppate in unità organizzative di più elevato livello. La rappresentazione della macrostruttura organizzativa di un’impresa avviene grazie all’ausilio dell’organigramma. L’organigramma fornisce una rappresentazione grafica e statica delle parti che compongono l’organizzazione e delle relazioni che intercorrono tra esse. Le macrostrutture organizzative sono così divise: -‐ semplice -‐gerarchico-‐funzionale -‐a matrice -‐per progetti. 28. Le cinque parti dell’organizzazione Nucleo operativo Comprende tutti gli operatori coinvolti nel processo di trasformazione (operai, saldatori, docenti ecc.). Si occupano dell’approvigionamento degli input e successiva trasformazione in output. Vertice strategico Stabilisce le strategie da seguire per il raggiungimento degli obiettivi dell’impresa E’ caratterizzato da un minimo di ripetitività e standardizzazione , da lunghi cicli decisionali, da una notevole discrezionalità. Linea intermedia Parte dell’organizzazione che trasmette al nucleo operativo le decisioni prese dal vertice strategico. Svolge numerosi compiti: 1. Raccoglie informazioni sulla performance della propria unità e le trasmette ai manager di livello superiore;
2. Assume una serie di decisioni relative alla propria unità (allocazione risorse; elaborazione regole, piani, progetti ecc.);
3. Mantiene contatti con altri manager, analisti, staff di supporto e soggetti esterni;
4. Formula la strategia della propria unità
Staff di supporto
Sono unità specializzate che, pur non partecipando direttamente al processo di trasformazione, ne consentono indirettamente la realizzazione (es. segreteria studenti nelle Università) Tecnostruttura 1. Costituita dagli analisti che si occupano di governare il processo produttivo attraverso la definizione degli standard, l’analisi del processo produttivo, il controllo..
29. Illustrare le caratteristiche della struttura organizzativa a matrice in termini di risorse umane e di specializzazione delle Unità Organizzative e disegnarne l’organigramma Struttura organizzativa a matrice: -‐Adatta ad ambiente turbolenti: alta varietà ed alta variabilità, bassa varietà ed alta variabilità; -‐Doppia autorità gerarchica -‐Duplice base di raggruppamento: funzioni e prodotti (o progetti); -‐Risorse umane non strettamente specializzate nelle attività che svolgono. Possibilità di trasferimento delle RU in caso di necessità. Organigramma della struttura a matrice:
30. Meccanismi di coordinamento organizzativo
Vertice strategico
Produzione finanza marketing ……
Prodotto A
Prodotto B
Prodotto C
Adattamento reciproco: coordinamento attraverso la comunicazione informale Supervisione diretta: una persona assume la responsabilità del lavoro di altri, dà ordini, controlla le loro azioni. Standardizzazione dei processi: si programmano i contenuti, le attività da eseguire Standardizzazione dei prodotti: si specificano le caratteristiche dell’output Standardizzazione delle capacità: viene specificato il tipo di formazione (capacità standard ) richiesto per eseguire il lavoro. 31. Dopo aver illustrato le caratteristiche salienti dell’organizzazione a matrice e di quella per progetto, evidenziare le principali differenze tra le due strutture -‐Adatta ad ambiente turbolenti: alta varietà ed alta variabilità, bassa varietà ed alta variabilità; -‐Doppia autorità gerarchica -‐Duplice base di raggruppamento: funzioni e prodotti (o progetti); -‐Risorse umane non strettamente specializzate nelle attività che svolgono. Possibilità di trasferimento delle RU in caso di necessità. Differenze: Temporaneità della struttura organizzativa per progetti; Le funzioni accentrate al primo livello rappresentano dei serbatoi di risorse. 32. Parametri di progettazione organizzativa: le risorse umane Le risorse umane vengono analizzate rispetto a tre caratteristiche: La formazione e l’indottrinamento: rappresentata dal titolo di studio posseduto dai soggetti; dal livello di formazione si fa dipendere, generalmente, il ruolo all’interno della struttura organizzativa. La formazione “interna”, ovvero quella impartita alla posizione individuale all’interno dell’azienda in cui opera, viene identificata con il termine “indottrinamento”. Valgono come esempi, al riguardo, i corsi tenuti presso le Accademie Militari. La formalizzazione del comportamento: attiene soprattutto all’esperienza acquisita dal lavoratore nell’azienda; questo, superati i momenti di impaccio iniziale del periodo di neoassunzione, e migliorato il livello di formazione in seguito all’indottrinamento, acquista consapevolezza delle “routine” e delle modalità con cui si sviluppa il lavoro. La specializzazione delle mansioni: è un concetto riferito alla mansione della risorsa umana considerata (unità organizzativa elementare, posizione individuale) e si lega, in primo luogo, al numero dei compiti contenuti dalla mansione stessa.
33. Descrivere i limiti del payback period nella valutazione degli investimenti Con tale tecnica si vuole determinare in quanto tempo (anni, mesi) i flussi di cassa generati dall’investimento riescono a recuperare l’esborso inizialmente sostenuto per realizzare il progetto. Posto un capitale K corrispondente al valore dell’investimento, D la disponibilità media annua o entrata netta e n’ il tempo di recupero, il calcolo del payback period si determina come segue: n’ = k/D Il payback period non è un indice di redditività ma di liquidità.Pertanto tale criterio è utilizzato per valutare progetti di investimento di durata molto breve. 34. Illustrare criterio del Van nella valutazione degli investimenti Obiettivo di tale criterio è la trasformazione del valore dei flussi di cassa generati dall’investimento in grandezze omogenee e quindi confrontabili. La determinazione del Van si ottiene: Posto: -‐“Co”: capitali investiti oggi -‐“k”: scadenze temporali -‐“Ck”: flusso finanziario (positivo o negativo) al tempo -‐“c”: costo medio ponderato del capitale Si ha: VAN = -‐ Co + Σ FCK/(1 + i)k 35. Criterio del TIR Il TIR si basa sulla nozione di redditività interna dell’investimento. Per determinare il Tasso Interno di Rendimento si fa riferimento alla formula del VAN; infatti, il TIR non è altro che quel tasso di attualizzazione che azzera il VAN Formula del TIR: TIR = -‐ Co + Σ (n, con k=0) FCK /(1 + i)k = 0 36. Concetti differenzazione e diversificazione La differenzazione si basa sull’offerta di prodotti aventi diverse caratteristiche a gruppi di consumatori che hanno criteri soggettivi di apprezzamento dei prodotti. Attraverso la differenziazione, ai propri prodotti vengono apportate delle modifiche (reali o fittizie) che inducono i propri clienti che quel determinato prodotto sia migliore rispetto agli altri. Tra i vantaggi abbiamo: -‐Riduce la competizione tra i produttori; -‐Abbassa il livello ottimale di produzione: -‐Elimina le eccedenze di capacità produttiva.
La differenziazione, concetto legato al prodotto, non va confusa con la diversificazione che è un concetto riguardante il portafoglio prodotti. L’impresa,infatti, può essere presente sul mercato con più tipi di prodotti, il cui complesso costituisce il portafoglio prodotti dell’impresa. Nell’ambito del portafoglio prodotti si parla genericamente di catalogo oppure di assortimento nel caso di imprese commerciali o di distribuzione. 37. Strategie di sviluppo dimensionale Le strategie di sviluppo dimensionale possono schematicamente ricondursi a: Sviluppo monosettoriale -‐ integrazione orizzontale -‐ integrazione verticale Attraverso strategie di sviluppo monosettoriale, il management si propone di rafforzare la posizione dell’impresa nel mercato in cui opera. Sviluppo polisettoriale -‐ diversificazione laterale -‐ diversificazione conglomerale Attraverso le strategie di diversificazione l’impresa non punta a rafforzare la sua posizione nello stesso settore di attività (integrazione orizzontale) o in stadi collegati (integrazione verticale) ma mira ad allontanarsi simultaneamente da che le sono familiari. L’impresa intende dunque occupare posizioni in mercati nuovi Sviluppo internazionale -‐ espansione internazionale del mercato -‐ espansione multinazionale della gestione Tali strategie attengono alla decisione di ampliare i mercati di sbocco collocando la propria produzione su mercati. 38. Integrazione orizzontale e verticale Lo sviluppo orizzontale si attua attraverso la creazione di unità produttive o ampliando la potenzialità degli impianti esistenti oppure può realizzarsi mediante l’acquisizione di imprese similari cioè caratterizzate da produzioni aventi stretti vincoli di domanda ed offerta. In questo secondo caso si parla propriamente di strategie di integrazione orizzontale in quanto l’impresa rileva altre imprese operanti nel medesimo mercato al fine di incrementare la propria quota di mercato. L’obiettivo risulta essere quello dell’incremento della quota di mercato posseduta mediante il completamento della gamma produttiva offerta, l’ampliamento del numero di segmenti di mercato serviti oppure l’allargamento dell’area geografica di vendita. Lo sviluppo verticale si ha quando un’impresa internalizza una o più fasi immediatamente collegate a quelle in cui l’impresa già opera; può dunque
riguardare fasi/stadi posti“a monte” dello stadio occupato (integrazione ascendente) ovvero “a valle”dello stadio occupato (integrazione discendente). L’obiettivo generalmente perseguito attraverso le strategie di integrazione verticale risulta quello dell’aumento del Valore aggiunto inteso quale differenza tra Ricavi delle vendite e Costi Materie Prime (RV – Cmp). Ulteriori obiettivi perseguiti attraverso tale strategia risultano essere: -‐continuità dell’approvvigionamento e garantisce l’ininterrotta alimentazione dei cicli di produzione; -‐un maggior controllo del mercato di sbocco con riduzione dei rischi di vendita 39. Classificazione dei processi produttivi Le produzioni continue vengono generalmente realizzate in impianti molto complessi e di grandi dimensioni, il cui esercizio deve essere svolto in continuo possibilmente senza interruzioni. La principale caratteristica delle produzioni continue consiste nella standardizzazione degli output, degli input e delle condizioni di funzionamento degli impianti. Il processo continuo è elaborato per uno specifico prodotto (o famiglia di prodotti) secondo precisi standard. I processi discontinui o discreti, tipici dell’industria manifatturiera, si svolgono in impianti in cui le operazioni non devono essere compiute necessariamente in sequenza, ma alcune operazioni possono essere compiute in serie mentre altre in parallelo. Nel dettaglio si riconoscono: -‐produzioni in serie di diversa grandezza quali grande-‐ media-‐piccola; -‐produzioni per unità distinte: artigianali o su commessa. La produzione in grande serie sono caratterizzate da elevati livelli di produttività e bassa varietà (esempio: pneumatici). Le produzioni in media e piccola serie si caratterizzano per volumi inferiori rispetto alle precedenti tipologie delineate e numero maggiore di famiglie di prodotti Esempi di media e piccola serie sono dati dal settore automobilistico: automobili Fiat nel primo caso e Ferrari nel secondo. Le produzioni artigianali o su commessa (o per unita distinte) attengono alla realizzazione di prodotti complessi ed “unici”. 40. Migliore configurazione produttiva di un’ impresa che adatta processi produttivi per unità distinte: la risposta è struttura a matrice, bisogna illustrarne le caratteristiche. Struttura organizzativa a matrice: -‐Adatta ad ambiente turbolenti: alta varietà ed alta variabilità, bassa varietà ed alta variabilità;
-‐Doppia autorità gerarchica -‐Duplice base di raggruppamento: funzioni e prodotti (o progetti); -‐Risorse umane non strettamente specializzate nelle attività che svolgono. Possibilità di trasferimento delle RU in caso di necessità.