EGA - Green Goods

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Introduzione e Contesto Commercio e Ambiente sono strettamente collegati: il rapporto fra i due ambiti non è, però, univoco. Si potrebbe, per esempio, argomentare che l’espansione degli scambi internazionali e la crescita dei paesi in via di sviluppo sia causa fondamentale del riscaldamento globale. È, tuttavia, necessario riconoscere alla globalizzazione il merito di aver favorito la diffusione delle tecnologie a basso impatto ambientale e ad averne conseguentemente abbassato il prezzo. L’urgenza di un’azione concreta contro il cambiamento climatico non può, quindi, non coinvolgere il settore del commercio. In vista della conferenza del clima di Parigi, l’Europa, insieme a sedici partner internazionali, si sta muovendo per promuovere un accordo internazionale che punti all’eliminazione, o per lo meno all’abbassamento, dei dazi doganali sui prodotti e servizi che possano contribuire alla guerra contro il riscaldamento globale, alla protezione ambientale e alle misure di adattamento al cambiamento climatico orientate alla difesa della popolazione. L’argomento è stato inizialmente trattato alla conferenza del WTO a Doha nel 2001, ma solo nel 2014, al forum di Davos, sono state gettate le fondamenta per l’inizio della fase negoziale. Le trattative, con un gruppo più ristretto, sono effettivamente iniziate nel luglio dello stesso anno. Ai negoziati partecipano, tra gli altri, Unione Europea, Stati Uniti e Cina. Il commercio fra i diciassette partecipanti, essendo i maggiori esportatori e importatori mondiali, rappresenta una percentuale dei flussi che si attesterebbe intorno al 70% sul totale. L’obiettivo è, però, quello di coinvolgere l’intera comunità del WTO, India, Brasile e Sud-Africa in testa. Un’opportunità per l’Europa, un’opportunità per l’Italia Le stime indicano che il mercato dei prodotti ambientali nel 2011 abbia raggiunto un giro di affari pari a € 777 miliardi. Le previsioni per il 2020 indicano una forte crescita che determinerebbe un volume commerciale pari a € 1700 miliardi. Nel 2013 le esportazioni europee del settore, raggiungendo € 146 miliardi, hanno rappresentato il 9% dell’export comunitario. L’Europa, con € 70 miliardi d’importazioni nello stesso periodo è leader tecnologico ed esportatore netto. Nonostante la recessione, il settore, con un’evidente ricaduta occupazionale positiva, registra tassi di crescita annui pari al 10%. Essendo uno dei cinque maggiori esportatori a livello globale, l’Italia sortirebbe importanti effetti nel caso l’accordo entrasse in vigore. Nonostante il regime di tassazione doganale, in Europa e Stati Uniti, sia già a un livello tendenzialmente basso, circa l’1,5% del valore del bene importato, sullo scenario globale la tariffazione dei green good EGA – Environmental Goods Agreement: un accordo commerciale per l’abbassamento delle tariffe doganali per i prodotti ambientali.

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Enviromental Goods Agreement: un accordo commerciale per l'abbassamento delle tariffe doganali per i prodotti ambientali

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Introduzione e Contesto

Commercio e Ambiente sono strettamente collegati: il rapporto fra i due ambiti non è, però, univoco. Si potrebbe, per esempio, argomentare che l’espansione degli scambi internazionali e la crescita dei paesi in via di sviluppo sia causa fondamentale del riscaldamento globale. È, tuttavia, necessario riconoscere alla globalizzazione il merito di aver favorito la diffusione delle tecnologie a basso impatto ambientale e ad averne conseguentemente abbassato il prezzo. L’urgenza di un’azione concreta contro il cambiamento climatico non può, quindi, non coinvolgere il settore del commercio. In vista della conferenza del clima di Parigi, l’Europa, insieme a sedici partner internazionali, si sta muovendo per promuovere un accordo internazionale che punti all’eliminazione, o per lo meno all’abbassamento, dei dazi doganali sui prodotti e servizi che possano contribuire alla guerra contro il riscaldamento globale, alla protezione ambientale e alle misure di adattamento al cambiamento climatico orientate alla difesa della popolazione. L’argomento è stato inizialmente trattato alla conferenza del WTO a Doha nel 2001, ma solo nel 2014, al forum di Davos, sono state gettate le fondamenta per l’inizio della fase negoziale. Le trattative, con un gruppo più ristretto, sono effettivamente iniziate nel luglio dello stesso anno. Ai negoziati partecipano, tra gli altri, Unione Europea, Stati Uniti e Cina. Il commercio fra i diciassette partecipanti, essendo i maggiori esportatori e importatori mondiali, rappresenta una percentuale dei flussi che si attesterebbe intorno al 70% sul totale. L’obiettivo è, però, quello di coinvolgere l’intera comunità del WTO, India, Brasile e Sud-Africa in testa.

Un’opportunità per l’Europa, un’opportunità per l’Italia

Le stime indicano che il mercato dei prodotti ambientali nel 2011 abbia raggiunto un giro di affari pari a € 777 miliardi. Le previsioni per il 2020 indicano una forte crescita che determinerebbe un volume commerciale pari a € 1700 miliardi. Nel 2013 le esportazioni europee del settore, raggiungendo € 146 miliardi, hanno rappresentato il 9% dell’export comunitario. L’Europa, con € 70 miliardi d’importazioni nello stesso periodo è leader tecnologico ed esportatore netto. Nonostante la recessione, il settore, con un’evidente ricaduta occupazionale positiva, registra tassi di crescita annui pari al 10%. Essendo uno dei cinque maggiori esportatori a livello globale, l’Italia sortirebbe importanti effetti nel caso l’accordo entrasse in vigore. Nonostante il regime di tassazione doganale, in Europa e Stati Uniti, sia già a un livello tendenzialmente basso, circa l’1,5% del valore del bene importato, sullo scenario globale la tariffazione dei green good

EGA – Environmental Goods Agreement: un accordo commerciale per l’abbassamento delle tariffe doganali per i prodotti ambientali.

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è mediamente tre volte superiore a quella applicata agli altri beni. In Cina, per esempio, la tassazione doganale si attesta al 5,3%. Un accordo, quindi, andrebbe nella direzione di aumentare la competitività delle aziende nostrane rendendo allo stesso tempo più accessibili ed economiche le tecnologie e i prodotti più avanzati.Tuttavia, i dazi non costituiscono l’unico ostacolo alla diffusione di tecnologie pulite. Le cosiddette barriere non tariffarie potrebbero costituire un fortissimo disincentivo alle importazioni anche in assenza di tassazione sull’import. Ad esempio, la percentuale della tariffa doganale indiana sul valore di una lampadina a bassi consumi rappresenta circa il 30% del suo prezzo, la stessa percentuale riferita alle barriere non tariffarie corrisponde al 106%. Questo tipo di ostacolo può assumere diverse forme, come sussidi all’industria nazionale, differenze normative, diversi regolamenti riguardanti l’imballaggio o misure di protezione come l’antidumping. Al momento i negoziati si sono limitati all’aspetto tariffario e, in particolare, alla redazione di una lista dei beni da includere nel trattato. È, tuttavia, necessario che l’accordo, affinché ne sia garantita l’effettività, anche con riferimento al risultato ambientale, preveda un impegno relativo all’eliminazione di queste ostruzioni e all’inclusione dei servizi. Questi ultimi, infatti, costituiscono una larga percentuale del costo effettivo dei beni ambientali. Ad esempio, i costi di manutenzione di un impianto eolico corrispondono al 40% del suo costo effettivo. L’UE, sin dall’inizio dei negoziati, si è battuta affinché questi venissero inclusi già nella prima bozza. Purtroppo, non ottenendo il sostegno delle controparti, l’argomento sarà discusso nella seconda fase delle negoziazioni.

Cos’è un bene ambientale?

Purtroppo manca una definizione generalmente accettata anche a livello normativo. Le incognite sono innumerevoli. Ad esempio una tubatura potrebbe essere utilizzata sia per la gestione consapevole dei liquami sia per un oleodotto. Fino a che punto, poi, la lista dei prodotti deve essere inclusiva? La definizione data dall’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OECD), per l’individuazione del settore industriale di riferimento, postula che il comparto ambientale comprenda quelle aziende che forniscono beni e servizi che misurino, prevengano, limitino, o correggano i rischi connessi all’ambiente, riducano l’inquinamento e lo sfruttamento di risorse naturali. La parte iniziale delle trattative è proprio volta a rispondere al quesito. Al momento, infatti, le parti hanno deciso di includere nel trattato esclusivamente i prodotti connessi alle seguenti categorie:

» Gestione dei rifiuti.

» Controllo dell’inquinamento aereo.

» Gestione e trattamento delle acque.

» Energia pulita e rinnovabile.

» Prodotti e tecnologie energeticamente efficienti.

» Abbattimento dell’inquinamento rumoroso.

» Bonifica dei terreni e delle acque.

» Strumenti di monitoraggio ambientali.

Criticità

Al loro sesto incontro, le parti hanno contribuito alla definizione della bozza di un elenco di oltre 650 prodotti la cui inclusione sarà oggetto di discussione e mediazione. A destare alcune preoccupazioni è la presenza di diversi beni di disputato interesse ambientale fra cui: turbine a gas, bacchette di bambù, reattori nucleari e condizionatori. La categoria “prodotti e tecnologie energeticamente efficienti” è, infatti, ambigua. Oltre a incorporare quei beni volti a un miglioramento dell’efficienza energetica, include, invero, articoli preferibili ad altri perché più efficienti (la turbina di un jet rispetto a un’altra). L’inserimento a cascata di questi elementi costituisce una fonte di forte preoccupazione per le industrie pesanti, tradizionalmente sensibili al problema della delocalizzazione. Come già citato in precedenza,

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affinché i mercati si aprano effettivamente al commercio dei beni ambientali, è necessario che siano presi seri impegni circa l’abbattimento delle barriere non tariffarie. L’Europa non può, infatti, permettersi di aumentare la propria esposizione alla competizione internazionale sul mercato domestico se non ottenendo eguale accesso ai mercati esteri. Le varie proposte saranno oggetto delle negoziazioni, ed è, quindi, troppo presto per formulare un giudizio a riguardo. A tal scopo, però, sarebbe sicuramente utile coinvolgere attori non governativi come rappresentanti del comparto industriale e ONG.

Stato dei negoziati

Nell’ultimo round dei negoziati, tenutosi fra il 16 e il 22 settembre, le parti hanno analizzato la lista dei 460 prodotti la cui inclusione gode di un supporto diffuso. Una seconda lista di 190-200 articoli, comprendente beni il cui scopo ambientale è maggiormente dibattuto, probabilmente non sarà considerata nella prima fase dell’accordo. Il progetto prevede, infatti, un meccanismo di revisione periodica, che dia all’accordo la necessaria dinamicità per l’inclusione di ulteriori beni, servizi e l’abrogazione di barriere non tariffarie. Per quanto il clima dei negoziati sia pervaso da un forte entusiasmo e da un clima di concordanza circa gli estremi dell’accordo, mancano, ad oggi, i dettagli. Non si è, per esempio, ancora parlato delle tempistiche relative all’eliminazione dei dazi, che probabilmente, come lo è stato per la gran parte di accordi simili, sarà graduale.La tabella di marcia è, tuttavia, serrata. L’obiettivo è, infatti, raggiungere l’implementazione nel 2017 ottenendo significativi progressi in tempo utile per la Conferenza di Parigi e l’incontro ministeriale del WTO a Nairobi. Di seguito i prossimi appuntamenti:

» 29-4 novembre: prossimo round di negoziazione

» 30-11 dicembre: Conferenza di Parigi - COP 21

» 15-18 dicembre: Incontro Ministeriale WTO a Nairobi

» 1 gennaio 2017: obbiettivo per l’entrata in vigore di EGA.

Obiettivo ambiente

L’attuale contesto ambientale indica l’imperativo categorico di un’azione concreta e globale contro il cambiamento climatico. Nell’ottica di un accordo alla conferenza di Parigi, l’EGA si pone come un tassello di una più grande presa di coscienza globale. I due ambiti sono strettamente legati e spesso convergenti. Gli obiettivi sono molto ambiziosi e il percorso è ancora lungo ma il messaggio che l’accordo deve rappresentare è che gli accordi commerciali possano avere un impatto positivo anche sotto una lente ambientale.

Alessia MoscaCommissione per il Commercio Internazionale - Parlamento Europeo

Bruxelles, 21 ottobre 2015

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