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UNIVERSITÀ DI PISA FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea Specialistica in Scienze delle Professioni Sanitarie Tecniche Assistenziali LA COMUNICAZIONE NELLA PROFESSIONE DI IGIENISTA DENTALE: EFFICACIA ED EFFICIENZA STRATEGICA Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Brunella Venturini Candidato: Catia Benvenuti Anno accademico 2008-2009

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UNIVERSITÀ DI PISAFACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea Specialistica inScienze delle Professioni Sanitarie Tecniche Assistenziali

LA COMUNICAZIONENELLA PROFESSIONE

DI IGIENISTA DENTALE:EFFICACIA ED EFFICIENZA STRATEGICA

Relatore: Chiar.ma Prof.ssa Brunella Venturini

Candidato:Catia Benvenuti

Anno accademico 2008-2009

INDICEINTRODUZIONE pag. 1

Capitolo PrimoIL CONCETTO DI COMUNICAZIONE pag. 5

Capitolo SecondoGLI ELEMENTI UNIVERSALI COSTITUTIVI DELLA COMUNICAZIONE pag. 8§2.1 - EMITTENTE pag. 8§2.2 - RICEVENTE pag. 9§2.3 - CANALE pag. 10§2.4 - CODICE pag. 11§2.5 - CODIFICA E DECODIFICA pag. 11§2.6 - FEEDBACK, O RETROCOMUNICAZIONE pag. 12§2.7 - CONTESTO pag. 13§2.8 - MESSAGGIO pag. 13

Capitolo TerzoMODALITÀ COMUNICATIVE pag. 15§3.1 - MODALITÀ COMUNICATIVE pag. 17

§3.1.1- VERBALE pag. 18§3.1.2- NON VERBALE (ESPRESSIONE DEL VOLTO, GESTI, TONO DELLA VOCE) pag. 18

§3.2 - MEZZI DI COMUNICAZIONE pag. 20§3.3 - DIFFICOLTÀ DI COMUNICAZIONE pag. 22§3.4 - EMPATIA (CENNI STORICI) pag. 24§3.5 - L’EMPATIA pag. 26§3.6 - L’EMPATIA COLMA LO SPAZIO TRA ME E L’ALTRO, È LA FONTE DELLA VICINANZA E DELLA

COMUNICAZIONE AFFETTIVA CON L’ALTRO pag. 26§3.7 - ABILITÀ DI SUPPORTO NECESSARIE PER L’EMPATIA pag. 28

Capitolo Quarto

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PROCESSO DI ASCOLTO ATTIVO (La capacità di ascoltare e la consapevolezza di essere ascoltati stanno alla base di ogni relazione) pag. 30§4.1 - I TRE LIVELLI DI ASCOLTO pag. 31

§4.1.1 -PARTECIPAZIONE pag. 32§4.1.2 -ASCOLTO PARZIALE pag. 32§4.1.3 -ASCOLTO SUPERFICIALE pag. 32

§4.2 - L’ASCOLTO ATTIVO: SUGGERIMENTI pag. 32§4.3 - L’ASCOLTO ATTIVO: DIFFICOLTÀ pag. 33§4.4 - L’ASCOLTO ATTIVO: CRITICITÀ pag. 34§4.5 - CARATTERISTICHE DEL CATTIVO ASCOLTATORE pag. 34

Capitolo QuintoSTRATEGIE pag. 36§5.1 - RELAZIONE D’AIUTO: (DEFINIZIONE) pag. 37§5.2 - LE FASI DELLA RELAZIONE DI AIUTO pag. 37§5.3 - META MODELLO: PNL, STRUMENTO PER IL MIGLIORAMENTO pag. 38§5.4 - PROGRAMMAZIONE NEURO-LINGUISTICA (PNL) pag. 39

Capitolo SestoIL COUNSELING SANITARIO pag. 42

Capitolo Settimo

STUDIO SULLA PERCEZIONE DELLA QUALITÀ COMUNICATIVA IN UN GRUPPO DI IGIENISTI DENTALI pag. 45

§7.1 - RISULTATI DEL QUESTIONARIO SULLA COMUNICAZIONE PER IGIENISTI DENTALI pag. 46

CONCLUSIONI pag. 56

BIBLIOGRAFIA pag. 58

3

ALLEGATI n. 1 pag.

INTRODUZIONE

Non ci sono modi giusti o sbagliati di comunicare con un paziente, ci sono solo

modi più efficaci e modi meno efficaci.

Uno degli elementi che sicuramente caratterizza la società moderna è la comuni-

cazione che diventa sempre più necessaria nel rapporto professionale sanitario come

strumento di lavoro.

È fondamentale, in qualsiasi genere di malattia, la creazione di una forte com-

pliance (adesione al trattamento) del malato verso cure continue e costanti per una

prognosi a lungo termine.

La compliance, nella nostra esperienza di igienisti dentali, dipende quasi esclusi-

vamente dalla qualità della comunicazione.

Una comunicazione efficace sostiene la compliance, influenza positivamente la

qualità della vita e produce miglioramenti per la salute, indirizzando le persone a mi-

gliori stili di vita quotidiana.

Una comunicazione efficace aumenta la fiducia e il livello di comprensione del

paziente; la fiducia e la comprensione del paziente aumentano le possibilità di una

corretta compliance; una corretta compliance aumenta le possibilità di riuscita del

trattamento e di soddisfazione del paziente, il quale probabilmente tornerà (fiducioso

e collaborativo).

Molto spesso, a determinare:

. il successo del trattamento;

. la soddisfazione del paziente;

. la collaborazione da parte del paziente, anche nel caso di mancanza di risultati favo-

revoli nei tempi previsti;

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. il perdurare della fiducia del paziente;

è proprio l’attenzione che l’igienista dentale rivolge alla compliance.

In uno studio di Haynes dal titolo “Compliance in health care”, in gran parte del-

le malattie croniche come l’ipertensione, il diabete e l’asma, l’adesione dei pazienti ai

regimi terapeutici è alquanto scarsa: si parla del 50% di persone che rimangono ade-

renti alle terapie nel corso del tempo.

Questo per dire che anche nella malattia parodontale, una scarsa adesione alle te-

rapie professionali e domiciliari, può essere alla base di numerosi fallimenti terapeuti-

ci.

Lavorare affinché il paziente garantisca una piena compliance significa anche

fornirgli spiegazioni accurate sul piano di trattamento, informandolo dei rischi poten-

ziali di un mancato rispetto delle indicazioni terapeutiche, coinvolgendolo sul piano

decisionale in modo che si senta partecipe e corresponsabile della riuscita della cura,

accertarsi che abbia compreso nel dettaglio le indicazioni ricevute e destinare tempo

ad un monitoraggio del suo comportamento in termini di adesione alla terapia.

L’esperienza clinica ha evidenziato che i seguenti passaggi consentono di rispar-

miare tempo e di migliorare la compliance:

. individualizzare il trattamento;

. integrare nella routine quotidiana del paziente le manovre di igiene orale domiciliari;

. considerare lo stile di vita del paziente e fare una valutazione oggettiva della dispo-

nibilità/capacità di adesione al trattamento;

. evitare di prescrivere procedure complesse o piuttosto, procedere un passo alla volta;

. fornire istruzioni scritte in maniera chiara e leggibile e verificare la comprensione;

. incoraggiare il paziente a telefonare o a tornare nel caso avesse dubbi o difficoltà.

La capacità di stabilire un’interazione comunicativa chiara e diretta con il pa-

5

ziente e di guadagnare così la sua fiducia è un sistema veramente efficace per ottenere

da lui l’attenzione e la disponibilità necessarie a garantire la riuscita di un trattamento.

Dare al paziente il proprio sostegno a livello sia professionale che emozionale,

aumentano le probabilità di compliance, come riscontrato anche nello studio condotto

nel 1983 da Ross e Guggenheim.

Riguardo al concetto di efficienza poi dobbiamo dire che una azienda o il singolo

professionista è efficiente quando utilizza in maniera economica le risorse a propria

disposizione; mentre si è efficaci quando si raggiunge con successo gli obiettivi pre-

fissati.

I giudizi di efficacia implicano quindi una valutazione qualitativa ex-post del

grado di raggiungimento degli obiettivi desiderati. Tali obiettivi possono essere: il

grado di soddisfazione della clientela, i guadagni conseguiti dall’azienda ecc.

Quanto detto implica che secondo la logica economico aziendale, l’attività deve

essere rivolta alla ricerca del raggiungimento degli obiettivi prefissati con l’utilizzo

razionale delle risorse via via disponibili.

Il concetto di economicità sintetizza la capacità dell’azienda nel lungo periodo di

utilizzare in modo efficiente le proprie risorse raggiungendo in modo efficace i propri

obiettivi.

Partendo dalla definizione generale ed universale di comunicazione e dall’esame

di tutti i suoi elementi costitutivi, nonché dall’analisi delle varie modalità comunicati-

ve ed i relativi mezzi di comunicazione interpersonali, scopo della presente tesi di lau-

rea è quello di studiare ed approfondire le difficoltà di comunicazione (generalizza-

zione, cancellazione, distorsione) e valutare le varie risposte; l’empatia, la relazione

d’aiuto e l’ascolto attivo aiutano a superare gli ostacoli comunicativi.

> Sviluppare strategie come la PERSONALIZAZZIONE DELL’ASSISTENZA, LA CONSIDERAZIONE,

prendendo spunto da metodologie non troppo sfruttate come la PNL (programmazio-

ne-neuro-linguistica) che insegna a comunicare con l’altro in modo efficace, acco-

gliendo e rispettando la sua visione del mondo.

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> Studiare gli strumenti di “counseling” processo relazionale che coinvolge operato-

re sanitario e paziente a risolvere un problema in una concreta assistenza.

> Anche l’applicazione del META MODELLO (strumento linguistico che consente di la-

vorare sulle affermazioni e sulle risposte del paziente, con lo scopo di approfondire e

chiarire le informazioni “filtrate” in modo poco funzionale) si focalizza appunto sulle

aree della comunicazione verbale da cui possono scaturire ambiguità, limitazioni, con-

fusioni e fraintendimenti.

> Viene introdotto uno studio su un campione di igienisti dentali sulla percezione

della qualità della comunicazione.

CAPITOLO PRIMO

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IL CONCETTO DI COMUNICAZIONE

La comunicazione può essere definita sia come TRASMISSIONE o trasferimento di

informazioni da un soggetto ad un altro per mezzo di veicoli di varia natura (Teoria

matematica dell’informazione) sia come CONDIVISIONE, tra due o più soggetti, di un me-

desimo significato (Paradigma relazionale).

Nel primo caso la comunicazione è intesa come semplice trasmissione di infor-

mazioni, nel secondo come conversazione e interazione tra emittente e ricevente.

La comunicazione, quindi, consiste in una duplice attività: informare e persua-

dere.

Occorre subito pensare come l’informazione non sia obiettiva, neutrale, ma

unilaterale e soggettiva poiché cerca di influenzare i comportamenti dei riceventi,

piegandoli ai fini di chi comunica.

Più il comunicatore è credibile, maggiori sono le probabilità che egli riesca a

convincere e a produrre negli ascoltatori un mutamento di attitudine (COMUNICAZIONE

PERSUASIVA).

È questo il caso di coloro che vengono riconosciuti come esperti di un certo

prestigio in un determinato settore o argomento.

Spesso il successo del comunicatore si riflette nella sua “intelligenza relaziona-

le”, che non è una capacità del tutto innata, anzi, ci sono spiegazioni logiche e predit-

tive delle nostre reazioni nei confronti degli altri e ci sono azioni che, consapevol-

mente studiate e formate, possono provocare un significativo, oggettivo e immediato

miglioramento nei rapporti.

L’intelligenza relazionale o interpersonale, secondo H. Gardner, è la capacità

di costruire buone relazioni con altre persone e di convincerle a cooperare. A volte è

definita semplicisticamente come un insieme di “abilità relazionali”, ma in realtà in-

clude:

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. la consapevolezza delle situazioni di relazione che si possono configurare con pa-

zienti, colleghi, collaboratori e delle dinamiche sociali che le governano;

. una buona dose di consapevolezza di sé: la comprensione di se stessi, la coscienza

delle proprie percezioni e delle reazioni che inducono;

. la conoscenza degli stili di comportamento e le strategie che possono aiutare a rea-

lizzare i propri obiettivi, interagendo con gli altri.

Due dimensioni di comportamento rappresentano gli elementi per capire il pro-

prio comportamento e quello degli altri: l’assertività e l’espressività. La combinazio-

ne dei due fattori e il loro grado di espressione determinano lo stile di comportamento

di un individuo.

L’ASSERTIVITÀ è il modo in cui una persona cerca di ottenere qualcosa dagli altri,

di “portarli a sé”. Le persone possono essere assertive-interrogative, e cioè parlano

più lentamente, fanno poche dichiarazioni esplicite e possono essere più rilassate, con

un tono di voce più basso.

Poi ci sono gli assertivi-affermativi, che verbalizzano velocemente la propria

posizione e il proprio pensiero. La persona assertiva-affermativa è spesso la prima a

dichiarare un’opinione e ama condurre il gruppo con un tono di voce più alto.

L’ESPRESSIVITÀ, invece, è un’indicazione di quanta “emozione” una persona è di-

sposta a manifestare agli altri, sia in un colloquio privato che in ambito di relazioni di

gruppo.

Entrare in comunicazione con l’altro significa entrare in rapporto con un altro

sistema chiamato persona che presenta alcune variabili che mettono in luce la sua

grandezza, ma anche la sua complessità e profondità.

Queste variabili sono fondamentalmente di quattro tipi:

. BIOLOGICHE (età, sesso, razza);

. SOCIOLOGICHE (cultura, famiglia, stile di vita);

. PSICOLOGICHE (atteggiamento, immagine di sé, comunicazione, stati d’animo, cono-

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scenza, memoria);

. SPIRITUALI (credenze, religione, valori, filosofia di vita).

CAPITOLO SECONDO

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GLI ELEMENTI UNIVERSALI COSTITUTIVIDELLA COMUNICAZIONE

§ 2.1 – EMITTENTE

È il soggetto o l’oggetto che emette il messaggio. Alcuni studiosi associano

una forma di intenzionalità all’emittente, escludendo dunque la possibilità che possa

essere un oggetto, e lo definiscono come una persona che ha un obiettivo, una ragio-

ne per entrare in comunicazione.

Sottolineare l’elemento dell’emittente all’interno del processo comunicativo,

significa quasi inevitabilmente pensare alla comunicazione come ad un processo li-

neare, dove un soggetto produce un messaggio e lo invia verso il ricevente che ne su-

birà l’effetto.

È ciò che viene suggerito da alcuni dei più classici schemi di lettura della co-

municazione, come quello di LASWELL, quello di SHANNON & WEAVER, e an-

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che dal più antico approccio allo studio della comunicazione, ovvero la retorica, l’ar-

te del persuadere.

§ 2.2 - RICEVENTE

È il soggetto o l’oggetto che riceve il messaggio. Anche nella situazione comu-

nicativamente più estrema, quando un solo soggetto parla e l’altro ascolta, il ricevente

non è mai solamente passivo: in realtà genera numerosi e continui messaggi di feed-

back che vengono registrati dall’emittente e che influenzano il modo in cui il suo di-

scorso si sviluppa.

Krippendorf (1989, 1991) ha focalizzato l’importanza del ricevente, o meglio

della “comprensione” da parte del ricevente, all’interno dell’atto comunicativo.

Partendo dalla considerazione che il significato di ogni messaggio viene inter-

pretato da parte del ricevente sulla base del proprio sistema cognitivo, Krippendorf

sostiene che l’elemento centrale della comunicazione è proprio il modo in cui il rice-

vente comprende il messaggio, comprensione che è sempre in una certa misura im-

prevedibile e incontrollabile.

§2.3 - CANALE

È il mezzo attraverso cui l’emittente veicola, o attraverso cui il ricevente ottie-

ne, il messaggio.

Leopardi (1961) lo definisce come il “veicolo di natura fisica, sollecitato da un

tramite fisiologico o tecnologico, che costituisce il mezzo attraverso il quale i mes-

saggi sono trasmessi nella sfera sociale”.

Può essere inteso sia come il mezzo sensoriale coinvolto nella comunicazione

(principalmente udito e vista) sia come il mezzo tecnico esterno al soggetto con cui il

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messaggio arriva (telefono, fax, posta ecc).

Ogni canalizzazione di un messaggio produce necessariamente una “riduzione

di complessità”.

Quando comunichiamo, nella nostra mente possediamo un messaggio com-

plesso, dotato di molte sfaccettature e molti livelli di significato: riversando questo

messaggio all’esterno, siamo costretti a veicolarlo attraverso un codice, e a “sempli-

ficarlo” in modo che possa passare attraverso un canale.

Ci sono dunque almeno tre modi di intendere il concetto di canale:

. come mezzo di comunicazione utilizzato;

. come processo percettivo interessato dal segnale;

. come “messaggio”, ovvero come insieme di processi percettivi che ogni canale sti-

mola in modo differente, i quali influenzano il contenuto del messaggio co-determi-

nandone il significato.

§ 2.4 - Codice

Il codice è il sistema di segni dai significati condivisi che ci permette di comu-

nicare.

I significati, ovvero le cose che vogliamo comunicare, sono inizialmente solo

all’interno della nostra mente. Per poter uscire all’esterno, debbono essere codificati,

ovvero tradotti in suoni, gesti, segni che possiedono un significato condiviso.

Se non fossimo in grado di associare a una serie di segni discreti dei significati

(ed è la società che ci porta a conoscere questi codici insegnandoceli fin dai primi

giorni di vita) non potremmo comunicare nulla, o quasi nulla. L’uomo dispone di una

complessa serie di codici di cui può fare un uso creativo: ad esempio il linguaggio, o i

gesti, ecc.

Secondo Umberto Eco, la semiotica (ovvero la scienza che studia i segni) è la

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scienza che studia “tutto ciò che può essere utilizzato per mentire”. Affermazione pa-

radossale, ma condivisibile: solo quando si è in grado di mentire utilizzando un codi-

ce di segni, si è raggiunto il grado di consapevolezza necessario a parlare di comuni-

cazione umana.

§ 2.5 - CODIFICA E DECODIFICA

Gli studiosi descrivono con l’espressione “codificare” l’attività che l’emittente

compie per emettere un messaggio che sia effettivamente significativo per l’ascolta-

tore. La codifica si riferisce al processo attraverso il quale l’emittente trasforma le

sue idee e le sue intenzioni in parole, o simboli di altro genere, nel tentativo di ren-

derle comprensibili agli altri. Dunque, le idee vengono codificate in messaggi, i quali

vengono inviati al ricevente, il quale compie il corrispondente processo di decodifi-

ca.

La decodifica è la trasformazione delle parole e degli altri simboli ricevuti in

un significato, che può essere simile, esattamente uguale o anche completamente dif-

ferente rispetto al significato iniziale, quello che l’emittente aveva in mente quando

ha codificato la sua idea.

L’attività di codifica è resa non banale dal fatto che il codice non è sempre

condiviso, e dunque la decodifica non è sempre corretta. Quando un medico descrive

una patologia al paziente utilizzando il suo gergo tecnico, non si rende conto che il

messaggio non è correttamente decodificabile da parte del ricevente, poiché solo l’e-

mittente conosce il codice utilizzato.

§ 2.6 - FEEDBACK, O RETROCOMUNICAZIONE

È la retrocomunicazione che il ricevente invia all’emittente mentre la comuni-

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cazione sta avvenendo.

È una informazione di ritorno che permette all’emittente, mentre sta comuni-

cando, di percepire se il messaggio è stato ricevuto, capito, approvato, ecc e dunque

di reagire, cercando la via più efficace per raggiungere il risultato che si è prefisso.

Nelle normali comunicazioni facciamo un grande uso di feed-back per “aggiu-

stare la mira” rispetto a quello che stiamo dicendo. Se siamo impegnati a convincere

qualcuno di qualcosa, mentre parliamo osserviamo periodicamente l’interlocutore

per cercare segnali che ci assicurino che stia ascoltando, che stia seguendo il ragiona-

mento, che abbia capito. Se riceviamo segnali di senso contrario, ripetiamo alcune

cose, o scegliamo un altro esempio, o alziamo il tono della voce, fino a quando non

riusciamo a raggiungere il nostro obiettivo.

§ 2.7 - CONTESTO

È il “luogo” (fisico o relazionale) in cui avviene lo scambio comunicativo, ov-

vero la “situazione” in cui l’atto comunicativo si inserisce (e a cui si riferisce).

Il contesto è parte integrante del messaggio, e può cambiare il significato del

messaggio stesso: la frase “bene, molto bene” pronunciata da un insegnante significa

cose molto diverse se detta al termine di un interrogazione in cui lo studente ha dato

buona prova di sé, oppure appena dopo che l’insegnante ha scoperto lo stesso studen-

te a copiare durante un compito in classe. Quando inviamo messaggi come la frase

“questo mi sembra ok”, è il contesto che permette di comprendere che la parola

“questo” si riferisce a un determinato oggetto e non ad un altro.

Bateson (1978) osserva che senza contesto, le parole e le azioni non hanno

nessun significato.

In ogni situazione comunicativa reale sono coinvolti molti contesti contempo-

raneamente, che spesso si sovrappongono. Questo può creare imbarazzo: è ciò che

accade se partecipate a una festa in cui sono presenti sia i vostri amici (che richiede-

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rebbero da voi un certo linguaggio un certo tipo di contenuti e un certo comporta-

mento) sia i vostri genitori (che ne richiedono ben altri).

§ 2.8 - MESSAGGIO

È il contenuto di ciò che si comunica. È strettamente legato al concetto di in-

formazione, e può essere un dato, una notizia o più semplicemente una sensazione,

veicolata attraverso segni significativi (frasi, singole parole o suoni, gesti, espressio-

ni, immagini, ecc). È la parte “attiva” dell’atto comunicativo, quella che genera l’ef-

fetto di inviare all’ambiente esterno pensieri o informazioni prima contenute solo al-

l’interno della mente dell’individuo che le emette.

Il concetto di “messaggio”, apparentemente scontato, è in realtà difficile da af-

ferrare. Se definiamo il termine messaggio dal punto di vista dell’emittente, esso è il

mezzo attraverso cui viene veicolata o resa disponibile una informazione, e dunque

ricercata un’influenza sociale, un effetto sul ricevente. Se lo definiamo dal punto di

vista del ricevente, il messaggio è invece l’interpretazione che il ricevente fa dello sti-

molo proveniente dall’emittente. Non dobbiamo fare l’errore infatti di credere che il

significato del messaggio sia contenuto all’interno del messaggio stesso. Il significato

emerge solo dalla lettura contestuale del messaggio e di tutti gli altri elementi della

comunicazione. Lettura contestuale che è possibile, però, solo dopo che un soggetto

ha deciso di agire inviando al mondo un segnale.

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CAPITOLO TERZO

MODALITÀ COMUNICATIVE

I Pazienti, come tutti gli esseri umani, hanno accesso alle informazioni che ar-

rivano dall’esterno mediante l’udito, la vista, l’olfatto, il gusto e il tatto.

Tali informazioni passano attraverso filtri interni e vengono rielaborate e rap-

presentate internamente.

Questa esperienza sensoriale precede la rappresentazione linguistica.

Successivamente, i pazienti usano il linguaggio verbale per descrivere quella

rappresentazione interna delle proprie sensazioni corporee, delle immagini e dei suoni

percepiti: le loro parole diventano “etichette” dell’esperienza sensoriale, e quindi in

qualche modo, la allontanano dalla realtà.

La cosiddetta “realtà” viene dunque percepita e riprodotta attraverso due filtri:

. quello dell’esperienza sensoriale del paziente, che la percepisce in modo unico e

soggettivo, diverso dal modo unico e soggettivo in cui la percepisce qualsiasi altra

persona;

. e quello dell’espressione linguistica che, descrivendola, la classifica, le attribuisce un

“ordine”, e quindi né dà una rappresentazione limitata. Le parole sono per loro natura

descrittive e raccontano la realtà,: non sono la realtà.

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Dunque, si può pensare alle parole e al linguaggio come ad un sistema di rap-

presentazione della realtà, che si aggiunge alle modalità sensoriali: vista, udito, tatto,

olfatto e gusto (sistemi rappresentazionali).

La rappresentazione linguistica “limita” necessariamente la realtà per poterla

descrivere.

Un ulteriore impoverimento della realtà è determinato dal fatto che tutti i dati

che arrivano al cervello vengono modificati nel passaggio attraverso dei filtri che

sono, principalmente:

. le generalizzazioni: sono affermazioni relative a ciò che le persone “possono” o

“non possono” fare, “devono” o “non devono/non dovrebbero” fare; riguardano ciò

che “avviene sempre” o che “non avviene mai”.

Quando un paziente fa delle generalizzazioni prende parti di un’esperienza e le

utilizza per rappresentare un’intera categoria. Nel nostro caso può dire che dall’igie-

nista dentale si sente sempre male!!!

I modelli linguistici principali di generalizzazione sono:

a) quantificatori universali;

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b) operatori modali;

c) performative perdute ;

. le cancellazioni: quando il paziente, più o meno consapevolmente, cancella alcune

informazioni, tralascia delle cose e quindi seleziona gli elementi a cui prestare atten-

zione.

Questo processo opera a svantaggio del paziente in quanto cancella informa-

zioni importanti e “riduce” la gamma delle scelte comportamentali. Le tipologie di

cancellazioni sono:

a) cancellazioni semplici;

b) indici referenziali non specificati: nomi e verbi non specificati;

c) cancellazioni comparative e superlative ;

. le distorsioni: le persone operano continuamente delle distorsioni; sia quando rap-

presentano la realtà nella propria mente, sia quando la raccontano agli altri. Non esi-

ste, infatti, alcuna riproduzione impeccabile e completamente fedele della realtà.

Le distorsioni possono limitare la ricchezza delle proprie esperienze e si distin-

guono in:

a) nominazionali;

b) lettura del pensiero;

c) causa-effetto;

d) equivalenze complesse;

e) presupposizioni.

§ 3.1 - MODALITÀ COMUNICATIVE

La comunicazione ha una duplice tipologia:

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§3.1.1 - VERBALE

Utilizza le parole, il linguaggio.

La superiorità del linguaggio verbale rispetto a tute le altre forme di comunicazione

sta nel fatto che esso è un sistema altamente integrato fatto di costituenti (fonemi,

morfemi, sintagmi, frasi, testi) che possono funzionare in combinazioni infinite grazie

a regole ricorsive di riscrittura di simboli categoriali e di trasformazione di una strut-

tura in un’altra.

Un’altra caratteristica del linguaggio verbale è la capacità di dislocazione (displace-

ment), cioè di potersi riferire ad eventi e luoghi non presenti alla percezione dei parte-

cipanti alla comunicazione.

§ 3.1.2 - NON VERBALE

Oltre a comunicare un messaggio con parole, si può comunicare il “non detto”,

attraverso altre modalità: espressione del volto, gesti, tono della voce.

Le parole sono sempre accompagnate ad una gestualità più o meno accentuata,

a posture particolari, ad un ritaglio simbolico dello spazio della conversazione, ad un

uso modulato della voce che sembra sottolineare i significati verbali espressi. Il lin-

guaggio non verbale è normalmente più efficace di quello verbale per esprimere emo-

zioni complesse o stati d’animo insoliti o conflittuali.

Le comunicazioni non verbali sono per lo più involontarie e quindi meno con-

trollabili rispetto a quelle verbali. Una terza tipologia può essere quella simbolica,

che è il nostro modo di vestire, gli oggetti di cui ci circondiamo, che costituiscono

una parte molto significativa della nostra comunicazione. Interdipendenza spiccata

fra natura e cultura che nella comunicazione non verbale si divide in:

. Paralinguistica, modalità di emissione vocale come il tono, il timbro, l’altezza e il

ritmo della voce, pause effettuate e silenzi, Si tratta di un sistema vocale non verbale.

. Cinesica, espressioni del corpo come movimento, gesti, postura ed espressioni del

volto e degli occhi intesi come mezzi di comunicazione, mimica facciale. Successiva-

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mente i gesti, come parte integrante della comunicazione e fonte problematica sulla

“difformità interpretativa del linguaggio gestuale”, all’interno della comunicazione

come flusso integrato di codici, interpretabili in base ad una costruzione condivisa del

significato.

. Prossemica, studio dei contenuti comunicativi delle relazioni spaziali fra le persone

in diverse situazioni sociali. Si tratta della gestione dello spazio territoriale, per cui

abbiamo, secondo le ricerche di Hall:

o una zona intima che va dalla superficie della nostra epidermide a 50 cm

di distanza (regole dell’attrazione e disagio);

o una zona personale da 50 cm ad un metro (sottovoce e relax);

o una zona sociale da uno a tre/quattro m (incontri formali e sociali);

o una zona pubblica oltre quattro m (conferenze, lezioni universitarie): la

più asimmetrica.

. Aptica analisi delle diverse forme di contatto fisico (baci, abbracci).

Ci sono poi altre competenze comunicative come:

• la performativa, ossia la capacità di usare intenzionalmente per determi-

nati scopi gli strumenti della comunicazione verbale e non verbale;

• pragmatica, ossia la capacità di usare la comunicazione verbale e non

verbale in modo adeguato agli scopi e alla situazione;

• socioculturale, intesa come capacità di rapportarsi correttamente ai ruoli

e alle situazioni sociali.

Un utilizzo congiunto delle diverse modalità comunicative produce i risultati

più efficaci.

§ 3.2 - MEZZI DI COMUNICAZIONE

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a) LA PAROLA: quale costante bisogno dell’uomo di capire e farsi capire, di uscire da

sé e andare verso l’altro ;

b) IL PARALINGUAGGIO: si parla lentamente, in modo incerto irregolare, si modula la

voce ecc. si urta contro i propri limiti (il riserbo- la timidezza- il pudore) ;

c) IL CORPO: tensione muscolare, respirazione accelerata ;

d) IL VOLTO: in certe espressioni del volto affiora l’inconscio, la parte più profonda di

sé (basti pensare agli occhi, allo sguardo) ;

e) LA POSIZIONE: in piedi, accanto, protesi, distanti ;

f) L’UDITO: inteso come attenzione ai suoni non verbali, quali il sospiro, il silenzio, le

pause ecc. ;

g) L’ATTEGGIAMENTO: fumare, mordersi le unghie, muoversi in continuazione ;

h) I GESTI: si comunica anche con la gestualità in particolare con chi ha deficit neuro-

sensoriali o handicap ;

i) IL TATTO: il contatto fisico fra due persone può essere strumentale, oppure spontaneo

ed affettivo (dalla mano sulla spalla per incoraggiare, alla stretta di mano, all’abbrac-

cio d’accoglienza e condivisione di un momento difficile).

Questa sensibilità al linguaggio del corpo del paziente si traduce in una relazio-

ne più positiva ed aumenta i sentimenti di stima e fiducia da parte dello stesso nei

confronti del professionista.

L’apprendimento varia al variare delle tecniche comunicative e dunque dei di-

versi canali di percezione.

Tecniche di comuni-cazione

canale di percezione

% di apprendi-

Verbale solo udito 20%Grafica-gestuale-iconi-

casolo vista 30%

Mista udito+vista 50%

Mista udito+vista+discussione 70%

22

Mista+sperimentazione udito+vista+discussione+uso 90%

In ogni caso occorre fare molta attenzione perché non tutto quello che viene

comunicato arriva al ricevente.

STUDIO 1

In un affascinante studio sulla comunicazione, considerato ormai un classico,

ALBERT MEHRABIAN ha dimostrato che nella comunicazione interpersonale diret-

ta (in pratica, quando siamo faccia a faccia con un interlocutore), soltanto il 7% del

significato del proprio messaggio viene trasmesso attraverso la comunicazione verba-

le.

Il 38% del messaggio viene comunicato tramite la comunicazione paraverbale

(il tono il volume della voce, la velocità o la lentezza del parlato) e la comunicazione

non verbale (la postura, i gesti le espressioni del volto) esprime il 55% della comuni-

cazione!

Benché questi numeri siano orientativi, certamente è significativa la distribu-

zione delle percentuali che Mehrabian ha derivato dalle sue osservazioni, per la porta-

ta che il livello di comunicazione non verbale assume nelle interazioni.

23

§ 3.3 - DIFFICOLTÀ DI COMUNICAZIONE

Ogni giorno ciascuno di noi professionisti incontra decine di pazienti, si entra

in contatto con una varietà umana di sesso, età, di status sociale, di condizioni fisiche

e psicologiche.

Siamo sempre più spesso chiamati a confrontarci anche con differenze etniche e

culturali e a creare con esse un ponte di comunicazione che ci consenta di definire

trattamenti specifici.

Pazienti diversi si comportano in modo diverso; di qui la capacità di adattare il

proprio modo di parlare, nella costruzione di un’intesa che porti a un’efficacia di ri-

sultati nei processi di recupero della salute.

Acquisire strumenti per un dialogo chiaro e diretto con i propri pazienti è tut-

t’altro che un ‘esigenza di secondaria importanza: la comunicazione anche emotiva

del paziente e la sua collaborazione giocano un ruolo importante sia nella fase di dia-

gnosi, sia nel corso del trattamento terapeutico.

24

Riuscire a penetrare nella mente di un paziente che non proferisce parola e

quindi non collabora, è un’abilità che di rado viene insegnata all’università ma che il

professionista accorto sa di dover padroneggiare e coltivare.

Allo stesso modo, deve saper esplorare le informazioni utili dal fiume di parole

di un paziente che non tace neanche un minuto.

Quando un professionista ha le capacità di gestire questi due estremi -e

quindi tutte le sue manifestazioni intermedie- il suo operato acquisisce un valore ag-

giunto in termini di efficacia e di miglioramento della compliance.

A titolo esemplificativo la tipologia delle sue risposte potrà essere la seguente:

1) RISPOSTA VALUTATIVA: tende ad indicare all’interlocutore ciò che dovrebbe o non

dovrebbe fare ;

2) RISPOSTA INTERPRETATIVA: tende a dare una propria spiegazione per aiutare la perso-

na a comprendere ciò che sta affrontando ;

3) RISPOSTA DI SUPPORTO: vuole offrire un incoraggiamento, una consolazione all’inter-

locutore per ridurre la sua ansia ;

4) RISPOSTA INVESTIGATIVA: tende a raccogliere ulteriori informazioni per approfondire

il problema ;

5) RISPOSTA DI SOLUZIONE IMMEDIATA DEL PROBLEMA: vuole offrire consigli e suggeri-

menti alternativi per risolvere velocemente il problema

6) RISPOSTA EMPATICA: è il risultato di un processo di ascolto attivo, che presuppone la

capacità di mettersi dalla parte del malato e della malattia.

Fra tutte, solo la risposta empatica permette a chi soffre di sentire intorno a sé

una comprensione ed una risposta coerenti al suo bisogno fondamentale.

§ 3.4 - EMPATIA (CENNI STORICI)

In greco, il termine “empatheia” (passione) stava a definire l’ingresso nella sof-

25

ferenza di un’altra persona fino ad identificarsi in lei.

Gli autori romantici tedeschi del XIX secolo (Herder e Novalis) coniarono il

termine “einfuhlung” (letteralmente immedesimazione) per descrivere l’esperienza di

fusione dell’anima con la natura, concepita quest’ultima quale flusso vitale spirituale.

Non emergevano però tentativi per una sistemazione teorica del concetto di em-

patia.

L’empatia peraltro non è mai stato oggetto di interesse da parte della scienza

medica.

Ad occuparsi maggiormente di empatia furono dapprima i filosofi e successiva-

mente i cultori della psicologia umana.

Il filosofo Theodor Lipps ebbe il merito di portare il discorso dall’estetica alla

comunicazione intersoggettiva identificando l’empatia quale processo innato di imita-

zione e proiezione.

È però nell’ambito della fenomenologia che l’empatia diviene vero oggetto di

studio. Fu la filosofa Edith Stein ad approfondire tale ricerca ponendosi in antitesi al

dualismo cartesiano.

La Stein fu allieva di Husserl e ottenne il dottorato in filosofia all’università di

Friburgo nel 1916 discutendo la tesi “Sul problema dell’empatia”. Secondo la Stein

per empatia era da intendersi l’atto mediante il quale la persona si costituisce attraver-

so l’esperienza dell’alterità, cioè del rapporto con l’altro.

Fu Kohut teorico della psicologia del sé a ritenere “l’immersione empatica” un

fattore terapeutico. La funzione empatica è ciò che ci consente di osservare la realtà

psichica nostra e delle altre persone. Il bisogno di empatia secondo Kohut perdura

tutta la vita. È un bisogno fondamentale, un nutrimento psicologico, generato dalla

paura di autoesclusione dal mondo. L’empatia secondo l’autore è dunque essenziale

per mantenere la salute mentale e la presenza di fenomeni empatici tra madre e figlio

è fondamentale per lo sviluppo di un attaccamento sicuro nella prima infanzia.

Per Carl Rogers l’empatia è il fattore più importante nell’ingenerare un cambia-

mento nel paziente. L’empatia nel counseling prepara, per usare le sue parole, il suc-

26

cesso futuro.

La competenza empatica non è un’operazione di tipo cognitivo e quindi non

può essere acquisita mediante un apprendimento teorico ma attraverso l’esperienza

formativa, professionale e di vita quotidiana.

Da questo breve, parziale e sintetico excursus storico si traggono delle riflessio-

ni.

La prima che la medicina attuale, centrata sulla tecnica e sull’economia, è una

medicina povera di empatia.

La seconda riflessione consegue alla constatazione che l’empatia non è un con-

cetto per i soli addetti ai lavori, medici, filosofi, o psicologi, ma riguarda l’umanità

intera.

La terza è qualcosa di misterioso che unisce gli esseri umani tra loro, nella buo-

na e nella cattiva sorte, ma che ci porta alla scoperta dell’irripetibilità della persona,

per arricchire la nostra esperienza umana.

§ 3.5 - L’EMPATIA

§

“Mettersi nei panni degli altri”.

Sintonizzarsi con il punto di vista dell’interlocutore.

S

Comprendere l’origine delle sue opinioni e dei suoi comportamenti.

§ 3.6 - L’EMPATIA COLMA LO SPAZIO TRA ME E L’ALTRO, È LA FONTE DELLA VICINANZA E DELLA COMUNICAZIONE AFFET-TIVA CON L’ALTRO.

Di questo dobbiamo fare tesoro nella routine ambulatoriale odontoiatrica:

un’alleanza terapeutica fruttuosa dipende dalla capacità dell’intera equipe cu-

rante di entrare in risonanza empatica, ascoltando quando il paziente rivela di se stes-

27

so, e quanto consideri importante il suo “problema”. Il termine “empatia” in senso

stretto, indica la comprensione delle esperienze, dei comportamenti e dei sentimenti

degli altri al momento della loro manifestazione, il che significa, per l’operatore, met-

tere da parte i propri pregiudizi e i propri punti di vista per entrare completamente nel

mondo del paziente e comprenderlo a fondo.

In pratica, bisogna mettersi nei panni dell’altro. Secondo Rogers, questo pro-

cesso può essere definito l’entrata nel mondo privato e percettivo di un’altra persona

e, a poco a poco, il sentirsi a proprio agio in tale mondo; è quindi necessario essere

sensibili in ogni momento ai cambiamenti che si verificano a livello dei sentimenti

provati.

A volte l’operatore, grazie all’intensità con cui ascolta il paziente, riesce a ve-

dere più chiaramente ciò che il paziente stesso vede solo a metà o appena: questo tipo

più profondo di empatia implica il cogliere dei significati ignoti al paziente stesso.

È necessario avere intuizione. Tuttavia, per “empatia” non si intende solo la ca-

pacità di entrare nel mondo di un’altra persona e comprenderlo, ma anche la capacità

di comunicare al paziente stesso. Per Egan, l’empatia è un’abilità di notevole impor-

tanza e va al di là dei limiti della prima e della seconda fase del suo modello.

Egan sostiene che l’empatia implica:

• saper stare con gli altri;

• mostrare una presenza professionale;

• sviluppare capacità comunicative di base, che possono essere apprese.

Secondo Gladstein, esistono due tipi di empatia di base:

l’empatia emotiva, cioè l’abilità di rimanere coinvolti emotivamente dallo stato

d’animo di un’altra persona (per esempio il sentirsi tristi nell’ascoltare le disgrazie al-

trui);

l’empatia di ruolo, cioè la capacità di comprendere lo stato, la condizione e i

punti di vista di un’altra persona. L’empatia di ruolo è l’elemento più importante per

dare un inizio positivo al processo di supporto, per instaurare un rapporto e per svi-

28

luppare la vicinanza con il soggetto in questione e, inoltre, può aiutare il paziente ad

individuare i propri problemi e a esplorare se stesso e la propria situazione.

Tuttavia, il sentire e il comprendere l’esperienza altrui non comporta nulla di

significativo se, poi, non si riesce in qualche modo a comunicare la propria empatia

all’altro.

Nel 1993, Nelson-jones parla di “riflessione” che definisce come “rispondere

come si avesse lo stesso punto di vista del paziente”.

Questo tipo di empatia implica non solo il cercare di comprendere il proprio

paziente, ma anche il “riflettere come uno specchio con la propria voce e con il lin-

guaggio del proprio corpo ciò che si vede e si sente”.

Egan sostiene che l’empatia è tanto un atteggiamento quanto un’abilità e, co-

munque, nonostante il dibattito continui, i modelli di supporto continuano a preferire

l’ultima definizione, accettando l’empatia come un’abilità che può essere sviluppata e

utilizzata in diversi contesti.

§ 3.7 - ABILITÀ DI SUPPORTO NECESSARIE PER L’EMPATIA

L’empatia implica:

riflessione;

riformulazione;

sentimenti riflessivi;

riflessione dei sentimenti e delle motivazioni;

chiarificazione;

esplorazione.

L’operatore professionale, fin nella fase di prima visita, può, perciò, rendersi

conto dell’atteggiamento psicologico del paziente: la maggior parte ha paura di pro-

29

vare un forte dolore, prova imbarazzo nei confronti della situazione clinica e vorrebbe

essere rassicurato circa i tempi e le modalità di approccio terapeutico.

La fiducia da parte del paziente viene conquistata durante la fase di prima visi-

ta dove il professionista illustra, passo dopo passo, ogni manovra che intende esegui-

re al fine di risolvere il problema. Il paziente, a proprio agio in un ambiente acco-

gliente, si affiderà alle cure del clinico ritenendolo una figura insostituibile per la so-

luzione dei propri problemi.

CAPITOLO QUARTO

30

PROCESSO DI ASCOLTO ATTIVO (La capacità di ascoltare e la consapevolezza di essere ascoltati stanno alla

base di ogni relazione).

In questo contesto è di rilevante importanza la capacità di ascolto dell’operato-

re, che va ben oltre il semplice udire.

Ascoltare significa percepire non solo le parole, ma anche i pensieri, lo stato

d’animo, il significato personale e profondo del messaggio trasmesso.

Per ascoltare, occorre staccarsi dai propri interessi, dai propri schemi mentali,

per introdursi gradualmente e con rispetto nel mondo dell’altro. Perché cresca una

buona capacità di ascolto è necessario un atteggiamento spesso difficile da mettere in

pratica, pur rappresentando una condizione indispensabile per l’ascolto: si tratta della

sospensione del giudizio, che significa astenersi da valutazioni di approvazione o di-

sapprovazione e quindi da affrettate conclusioni.

L’ascolto richiede di tacere; soprattutto di far tacere la propria comunicazione

intrapsichica, cioè il nostro vissuto, che colui che parla ridesta in noi.

L’espressione “ascolto attivo” è sorta dalla pratica e dalla ricerca psicologica

degli anni Quaranta e Cinquanta. Una delle migliori formulazioni della tecnica appar-

ve in un articolo di Carl Rogers nel 1952, intitolato “Barriers and Gateways to Comu-

nication” (ostacoli e vie di accesso alla comunicazione).

In questo articolo Rogers identificava ciò che riteneva essere il maggiore osta-

colo per una comunicazione efficace: la tendenza delle persone a valutare o a giudica-

re le idee degli altri.

Ascoltare attivamente il paziente, significa quindi, imparare a vedere, udire e

sentire al suo stesso modo. Si tratta di una forma di “ricalco” che è una strategia che

si apprende da piccoli e che serve a stabilire e a mantenere le alleanze tra le persone.

Un ascolto attivo rende molto più semplice ed efficace il rapporto tra operatore

e paziente, perché quest’ultimo percepisce interesse e partecipazione alla propria con-

31

dizione, e quindi:

si rilassa;

migliora la propria comunicazione in termini di dettagli significativi e di conte-

nuto;

è più disposto a collaborare.

È opportuno che durante la fase di ascolto l’operatore assuma il controllo della

conversazione, invitando il paziente a chiarire meglio i concetti che sta esprimendo

attraverso domande precise.

Oppure si può parafrasare le affermazioni del paziente, che oltre ad essere

un’eccellente tecnica di ascolto attivo, la parafrasi ha l’effetto di “rinforzare” il pa-

ziente, di incoraggiarlo a parlare ancora e di fargli sentire che è stato ascoltato e com-

preso.

§ 4.1 - I TRE LIVELLI DI ASCOLTO

PARTECIPAZIONE,

ASCOLTO PARZIALE,

ASCOLTO SUPERFICIALE

§ 4.1.1 - PARTECIPAZIONE: quando chi ascolta evita di giudicare l’altro per identificarsi con lui.

Capisce il significato profondo;

Risponde al significato profondo;

Coglie i segnali non verbali;

Dimostra di aver compreso.

§ 4.1.2 - ASCOLTO PARZIALE: quando chi ascolta si concentra prvalentemente sulle parole.

32

Ascolta con la mente e non con il cuore

Corre il rischio di fraintendere perché l’attenzione si limita al livello superficiale

Non coglie il significato che ha il messaggio per chi lo emette

§ 4.1.3 - ASCOLTO SUPERFICIALE: quando chi ascolta è concentrato più su se stesso che sull’altro.

Interviene per pura compiacenza;

Rimane concentrato nell’elaborare la propria risposta;

La propria opinione è l’unica che conta.

§ 4.2 - L’ASCOLTO ATTIVO: SUGGERIMENTI

Dedicare attenzione non solo alle parole ma anche ai comportamenti,

che esprimono pensieri, emozioni, intenzioni quali:

tono e volume della voce, sguardo, mimica, postura, silenzi, gestualità, movimenti,

zona e distanza.

Formulare domande per approfondire, chiarire, coinvolgere.

Incoraggiare e stimolare l’interlocutore ad esprimere il proprio parere e ad appro-

fondirlo con atteggiamenti e comportamenti quali: cenni di assenso, movimenti del

corpo, tempi adeguati di risposta, sguardi di attesa, curiosità e interesse, prendere ap-

punti.

Riformulare i contenuti emersi fornendone una lettura attenta e persona-

le.

Riproporre ciò che è stato detto usando esempi e concetti diversi.

Partendo da un contributo, dedurre e concludere conseguenze logiche

che aggiungono valore a quanto detto.

Ricapitolare il contenuto espresso dall’interlocutore per fissare ciò che si

è detto, per fornire un ponte al proseguimento della discussione.

33

§ 4.3 - L’ASCOLTO ATTIVO: DIFFICOLTÀ

Ascoltare in modo attivo è difficile perché:

Richiede di permanere in una fase di incertezza e di insicurezza sulla

realtà che emerge dall’ascolto delle opinioni altrui.

Costringe a confrontarsi con la diversità.

Sollecita una revisione delle sicurezze personali e degli schemi consoli-

dati.

Richiede di fare i conti con le reazioni emotive nel rapporto con ciò che

si ascolta\osserva.

§ 4.4 - L’ASCOLTO ATTIVO: CRITICITÀ

DEFORMARE: modificare ed aggiustare inconsapevolmente i dati della real-

tà per adattarli ai propri schemi \ punti di vista.

COLLUDERE: accettare senza critica attiva e approfondimento quello che

l’interlocutore propone.

PARZIALIZZARE: vedere una sola parte dell’oggetto osservato o ascoltato

cancellando quello che non rientra nei propri schemi.

NEGARE: la realtà o parte di essa non registrandola nei materiali di osser-

vazione.

CANCELLARE I SENTIMENTI: negare i sentimenti provati per l’altro conside-

randoli estranei all’osservazione.

§ 4.5 - CARATTERISTICHE DEL CATTIVO ASCOLTATORE:

34

È poco conciliante o lo è eccessivamente;

Critica mentalmente ciò che l’altro dice;

Interrompe spesso;

Si distrae facilmente;

Sovrastima alcune parole o frasi;

Formula giudizi affrettati;

Tende ad estraniarsi;

Trascura le componenti relazionali o emotive.

35

CAPITOLO QUINTO

STRATEGIE

1. PERSONALIZZARE L’ASSISTENZA; significa considerare unico ogni paziente, e darglie-

ne la sensazione. Considerare la persona che si ha di fronte come fosse l’unica della

giornata.

2. CONSIDERAZIONE; considerare il paziente come noi stessi, come vorremmo essere

trattati ed ascoltati noi. È un atteggiamento rivoluzionario rispetto a quello di porsi di

fronte al paziente come un datore di servizi.

Sta a noi prendere l’iniziativa che faccia avvertire il nostro interessamento e de-

siderio di essergli di aiuto.

Questo atteggiamento facilita il rapporto di fiducia facendo scaturire una reci-

procità ed una conseguente alleanza terapeutica.

Essere al servizio del paziente, vuol dire prendersi carico di quella persona, in-

teressarsi a lei, comunicare, ascoltare, comprendere. Il paziente si attende non soltan-

to un farmaco, un atto terapeutico, la salute, ma piuttosto un’assistenza che sia desti-

nata a lei come Persona.

§ 5.1 - RELAZIONE D’AIUTO: (definizione)

Per “Relazione di Aiuto” intendiamo un rapporto “asimmetrico”, non paritario

cioè, tra un soggetto, che per maturità, salute, conoscenza, capacità etc., è in condi-

36

zioni di offrire e gestire un aiuto e mette questa sua “competenza” al servizio di un al-

tro invece portatore di bisogni per immaturità, deficit, indigenza, malattia, ignoranza

e così via.

Questo aiuto non consiste solo in una prestazione che risolve il bisogno al posto

dell’altro che non è in grado, ma in un’occasione di emancipazione dal bisogno stes-

so, attraverso una forma di “apprendimento emotivo” circa le possibilità di affrontare

la sofferenza in modo da permettere quindi un cambiamento costruttivo nella perce-

zione di sé e della realtà.

Una relazione di aiuto deve pertanto prevedere i seguenti interventi:

1. aiutare la persona a sviluppare una relazione di fiducia.

2. aiutare la persona a mantenere il controllo della sua vita.

3. aiutare la persona a conservare stima di sé.

§ 5.2 - LE FASI DELLA RELAZIONE DI AIUTO

Prestare attenzione;

Rispondere;

Personalizzare;

Iniziare.

§ 5.3 - META MODELLO: PNL , strumento per il miglioramento.

Esiste uno strumento linguistico che consente di lavorare sulle affermazioni e

sulle risposte del paziente, con lo scopo di approfondire e chiarire le informazioni “fil-

trate” in modo poco funzionale.

Questo strumento conosciuto come META MODELLO è stato sviluppato negli

anni settanta da due ricercatori, Richard Bandler e John Grinder, creatori della Pro-

37

grammazione Neuro-Linguistica (PNL).

È un insieme di domande precise finalizzate ad identificare gli schemi linguisti-

ci che portano ad interpretazioni parziali e inefficaci della comunicazione, e a rispon-

dere ad essi.

Il meta modello è probabilmente una delle cose più importanti da imparare per

un professionista della comunicazione, perché è un modo di raccogliere informazioni

di alta qualità dalle persone con cui si lavora, non importa di quale campo si tratti.

Utilizzando il meta modello, l’operatore sanitario professionista può “estrarre” i

dettagli che sono stati “oscurati” dal paziente attraverso i processi di generalizzazione,

cancellazione e distorsione durante la sua traduzione della “struttura profonda” (rap-

presentazione interna) in “struttura superficiale” (parole che ha scelto per descrivere e

rappresentare la sua esperienza sensoriale e psichica).

Il meta modello si focalizza appunto sulle armi della comunicazione verbale da

cui possono scaturire ambiguità, limitazioni, confusioni e fraintendimenti.

Il meta modello può aiutare la propria efficacia comunicativa; conoscere sola-

mente, l’ancoraggio, le strategie, o qualsiasi altra tecnica, non vi porterà da nessuna

parte, a meno che non sappiate come e quando usarli.

Uno dei rischi del meta modello è quello di utilizzare le domande rivelatrici di

generalizzazioni, cancellazioni e distorsioni in modo considerato troppo

“inquisitorio”, e quindi poco gradevole per il paziente. Con un allenamento costante

all’uso e al modo di rivolgere le domande ai pazienti, si può raffinare questa tecnica di

indagine, evitando di apparire incalzante e improntando il colloquio ad uno spirito di

collaborazione, diretto alla ricerca delle cause reali dei problemi e di soluzioni effica-

ci.

§ 5.4 - PROGRAMMAZIONE NEURO-LINGUISTICA (PNL)

È una metodologia di sviluppo personale sviluppata nei primi anni ’70 da Ri-

38

chard Bandler e dal linguista Jhon Grinder e grazie al contributo scientifico diretto o

indiretto di altri studiosi tra cui Gregory Bateson.

Si tratta di un modello applicativo capace di facilitare il cambiamento, tramite

un insieme di tecniche e strumenti (frutto anche dell’integrazione tra psicologia, lin-

guistica, cibernetica e teoria dei sistemi) relativi alla comunicazione, alla percezione e

all’esperienza soggettiva.

L’idea centrale della PNL è che i pensieri, i gesti e le parole dell’individuo inte-

ragiscono tra loro nel creare la percezione del mondo.

Le modalità sensoriali vengono infatti definite in PNL anche sistemi rappresen-

tazionali, perché si riferiscono al modo in cui le persone rappresentano la realtà a loro

stesse.

Modificando la propria visione (mappa del mondo) la persona può potenziare le

sue percezioni, migliorare le proprie azioni.

“La mappa non è il territorio” è un principio teorizzato dal ricercatore della se-

mantica Alfred Korzybski che ha influenzato notevolmente lo sviluppo della PNL e in

particolare del meta modello.

Il paziente come ogni altra persona crea una propria “mappa” che utilizza per

muoversi nella realtà esterna, anche se tale mappa non è la realtà.

Noi operatori sanitari abbiamo la nostra mappa diversa anch’essa dal

“territorio” reale. Da questa prospettiva, non esiste una mappa corretta del mondo:

ognuno ha la sua.

Se noi professionisti abbiamo la capacità di arricchire la propria mappa, abbia-

mo anche la possibilità di vedere e sentire ciò che vede e sente il paziente.

Ogni persona utilizza, infatti, uno o più sistemi rappresentazionali in modo pre-

valente rispetto ad altri sistemi (e quindi privilegia la modalità visiva, uditiva, tattile,

olfattiva e gustativa) a seconda del momento che sta vivendo, dall’esperienza che sta

facendo, dalle condizioni fisiche e psicologiche in cui si trova e così via.

La PNL insegna a sviluppare attitudini/reazioni di successo, amplificando i

comportamenti facilitanti/efficaci e diminuendo quelli limitativi/indesiderati.

39

Il cambiamento può avvenire riproducendo con attenzione i comportamenti e le

credenze di persone di successo (modellamento).

La PNL sostiene che le persone possiedono in sé tutte le risorse per avere suc-

cesso.

La costruzione della relazione rapport (rapporto empatico positivo) tra soggetto

bisognoso di aiuto e terapeuta e le conseguenze positive in termini di miglioramento

personale non sono da sottovalutare.

La PNL si propone come l’educazione, l’apprendimento, la negoziazione, la

vendita e la leadership. È una metodologia di lettura dell’esperienza particolarmente

attenta allo “studio della struttura dell’esperienza soggettiva”.

Quindi tre termini sono importanti: analizzare, imparare e modellare, cioè co-

piare in maniera migliore.

La ricerca della PNL si focalizza sulle risorse messe in campo dal “modello

comportamentale” allo studio per raggiungere un determinato obiettivo ed al successi-

vo “modellamento” su noi stessi di esse, per raggiungere il medesimo.

Il nome scelto dai fondatori della disciplina sintetizza queste componenti:

PROGRAMMAZIONE: le modalità umane di comportamento sono variabili e si fonda-

no sulla percezione e sull’esperienza individuali. C’è una gamma predefinita di com-

portamenti (programmi o schemi), che funzionano in modo inconsapevole ed automa-

tico.

NEURO: ogni comportamento umano è fatto di processi neurologici. Il sistema

nervoso riceve stimoli dagli organi di senso (vista, tatto, udito, olfatto e gusto) e li

rielabora come percezioni e rappresentazioni.

LINGUISTICA: i processi mentali umani sono codificati, organizzati e trasformati

attraverso il linguaggio. Le parole sono ponti che collegano le rappresentazioni inter-

ne del mondo con l’esperienza. Il linguaggio è l’espressione individuale della nostra

percezione soggettiva.

40

CAPITOLO SESTO

IL COUNSELING SANITARIO

Il counseling in ambito sanitario trova numerose applicazioni: nell’accoglienza

degli utenti, nell’ascolto attivo dei loro bisogni, nella loro educazione a comporta-

menti di salute, nell’aiutare la persona ad accettare e mantenere uno stile di vita sano,

nel supporto ai pazienti nel percorso di malattia (dall’accettazione alla compliance ai

trattamenti).

“Il counseling” è un processo relazionale che coinvolge un operatore (sanitario,

scolastico, sociale) e una persona che sente il bisogno di essere aiutata a risolvere un

problema o a prendere una decisione; l’intervento si fonda sull’ascolto, il supporto, e

su principi peculiari ed è caratterizzato dall’utilizzo da parte dell’operatore di qualità

personali, di conoscenze specifiche, nonché di abilità e strategie comunicative e rela-

zionali finalizzate all’attivazione e alla riorganizzazione delle risorse personali del-

l’individuo al fine di rendere possibili scelte e cambiamenti in situazioni percepite

come difficili dalla persona stessa, nel pieno rispetto dei suoi valori e delle sue capa-

cità di autodeterminazione”. (Amadori et al., 2002).

Fare del counseling significa per l’operatore porre grande attenzione al concet-

to di responsabilità, di autoefficacia, di empowerment dell’utente facendo in modo

che il processo decisionale sia nelle sue mani e di accettare il ruolo di agevolatore del

cambiamento.

Le tecniche di counseling, con le abilità comunicative e relazionali ad esso col-

legate, costituiscono un efficace metodo per i professionisti della salute che, nella re-

lazione educativa e d’aiuto, hanno l’obiettivo di favorire in singoli individui e/o in

41

gruppi, l’individuazione e l’assunzione responsabile e consapevole di comportamenti

che sostengono la salute e di disincentivare la pratica di comportamenti dannosi.

Il counseling, al di là dei diversi modelli e scuole di pensiero che lo caratteriz-

zano e dei numerosi campi applicativi, può essere definito come un processo di dialo-

go attraverso il quale il consulente aiuta il consultante a valutare i suoi comportamen-

ti, a formulare strategie realistiche e personalizzate per la modifica dei comportamen-

ti a rischio e a ridurre il disagio emotivo dal cambiamento (O.M.S., 1992).

Fare del counseling significa imparare ad entrare strategicamente nei meccani-

smi decisionali delle persone, aiutandoli ad esplorare, a progettare ed attuare cambia-

menti in favore della propria salute, rimuovendo gli ostacoli cognitivi, emozionali, re-

lazionali che li bloccano ed individuando e potenziando le risorse personali (empo-

werment) e sociali che le persone hanno a disposizione.

L’efficacia del counseling dipende: da una competente gestione degli aspetti

corporei della comunicazione; dalla capacità di interpretare correttamente il non ver-

bale proprio e dell’interlocutore; dal riuscire a rendere aderente ai contenuti che si in-

tendono trasmettere il proprio non–verbale.

Aspetti comunicativi del counseling:

ascoltare attivamente;

rispettare le diversità;

pianificare i discorsi;

usare perifrasi;

ricorrere a connessioni logiche;

chiarire sempre i concetti;

adottare obbiettività di giudizio;

impostare discorsi chiari;

enfatizzare;

42

evitare dissensi o distacchi;

incoraggiare reazioni opportune;

ripetere e riassumere i concetti.

CAPITOLO SETTIMO

STUDIO SULLA PERCEZIONE DELLA QUALITÀ COMUNICATIVA

IN UN GRUPPO DI IGIENISTI DENTALI

Sono state formulate, in forma assolutamente anonima, delle domande inserite

in un questionario (vedi allegato n° 1 in indice) ad un campione rappresentativo di

igienisti dentali toscani.

L’argomento trattato nell’indagine è inerente alle modalità comunicative, agli

strumenti comunicativi e relazionali, alla conoscenza della PNL e del processo rela-

zionale di counseling.

Si saggia anche il grado di sensibilità sulle risorse umane, per motivazione in-

terna al team e per il cambiamento di una odontoiatria comunicativa.

È stato chiesto anche di esprimersi sulle linee guida come rispetto del diritto

all’informazione, sulle ADO, ECM, inerenti la comunicazione, e, da ultimo, di dare

un parere sulla preparazione universitaria ricevuta in merito all’argomento.

§ 7.1 - RISULTATI DEL QUESTIONARIO SULLA COMUNICAZIONE PER IGIE-NISTI DENTALI

Su un campione di 50 igienisti dentali toscani è stata fatta una indagine, in for-

ma anonima, sulla percezione della qualità comunicativa ai fini della professione.

43

L’80%degli igienisti ha una laurea in igiene dentale (anno laurea 2006 con il

42%) e svolge per il 78% attività di libero professionista.

1) Laurea in Igiene Dentale

Diploma universitario in Igienista Dentale

4080%

1020%

LAUREA DIPLOMA

2) Anno di laurea

2003 2004 2005 2006

44

21

40

10

1469

918%

612%

1428%

2142%

2003 2004 2005 2006

3) Svolgi questa attività in qualità di:

Libero professionista

Dipendente in studio privato

Dipendente in struttura pubblica

39

8

3

0

5

10

15

20

25

30

35

40

Libero Professionista Dip. Studio privato Dip. Struttura pubblica

4) Fai compilare di routine al paziente la scheda di anamnesi sulla salute genera-

45

39

8

3

le ?

Sì No

4386%

714%

S“ No

5) Nella costruzione dell’Alleanza Terapeutica quanto spazio dedichi alla motiva-

zione o meglio all’ascolto attivo delle problematiche del paziente?

15’ 30’ altro

1326%

2550%

1224%

15' 30' Altro

6) Ritieni che la tua preparazione universitaria sulle strategie di comunica-

46

13 25 12

43 7

zione sia:

sufficiente buona ottima insufficiente

510%

2856%

1530%

24%

Sufficiente Buona Ottima Insufficiente

7) Nel processo comunicativo è importante secondo te la Relazione d’Aiuto?

Sì, molto Abbastanza No

3060%

1530%

510%

S“. Molto Abbastanza No

8) Ritieni che L’Empatia sia un’abilità di notevole importanza, oltre che fon-te della vicinanza e della comunicazione affettiva con l’altro?

47

5 28 15 2

30 15 5

Sì No

4080%

1020%

S“ No

9) L’Ascolto Attivo come “capacità di stabilire un’interazione comunicativa chiara e diretta con il paziente e far sentire il sostegno a livello sia professionale che emozionale”. Sei d’accordo con questa affermazione? Sì No

3876%

1224%

S“ No

10) Conosci gli aspetti comunicativi del counseling?

Sì No

48

40 10

38 12

35 15

3570%

1530%

S“ No

11) Conosci la PNL (Programmazione Neuro-Linguistica)?

Sì No

1326%

3774%

S“ No

12) Conosci il Meta Modello?

Sì No

49

13 37

17 33

1734%

3366%

S“ No

13) La flessibilità comportamentale e l’efficacia del Ricalco possono aiutare

nella costruzione di un solido rapporto di fiducia e collaborazione con il pazien-

te?

Sì No

3468%

1632%

S“ No

14) Vorresti che si intervenisse di più sulla motivazione dei collaboratori nel

cambiamento per una odontoiatria comunicativa?

50

34 16

Sì No

3876%

1224%

S“ No

15) Linee guida come rispetto del diritto all’informazione e migliore comuni-

cazione per raggiungere l’obbiettivo clinico desiderato

Sì No

4386%

714%

S“ No

16)Qualità oltre la clinica: far funzionare il lato umano, comunicazione interna al team, investimento in formazione a tutti i livelli; ritieni che siano presupposti determinanti nella nostra professione?

51

43 7

38 12

Sì No

3468%

1632%

S“ No

17) Vorresti che corsi di formazione o programmi per ECM trattassero più dettagliatamente l’argomento sulla percezione della qualità nelle strategie comu-nicative, come adesione al trattamento terapeutico.

Sì No

3774%

1326%

S“ No

18) Consiglieresti, vista la tua esperienza, di dedicare più ore alle ADO (Attivi-tà Didattiche Opzionali) relative al tema della comunicazione?

52

37 13

34 16

Sì No

2958%

2142%

S“ No

CONCLUSIONI

I risultati dell’indagine hanno stabilito che la maggioranza degli igienisti sono

laureati in Igiene Dentale e che la prevalenza è quella di svolgere una attività di libero

professionista.

Si rilevano una buona attenzione alla motivazione ed al processo comunicativo,

dove empatia ed ascolto attivo sembrano guidare per un 80% l’una,ed il 76% l’altro,

le scelte relazionali.

Sulla motivazione del team si sono espressi in favore del cambiamento per una

odontoiatria comunicativa ben il 76%, ritenendo idonea anche in buona parte (86%)

l’inserimento di linee guida sulla comunicazione, come rispetto del diritto all’infor-

53

29 21

mazione.

Una ricerca di qualità oltre la clinica, far funzionare il lato umano, ritenendo

per il 56% di avere una buona preparazione universitaria, anche se solo il 58% consi-

glierebbe di dedicare più ore alle ADO (attività didattiche opzionali) relative al tema

della comunicazione.

Si nota una inversione di tendenza nella risposta, quando si parla di PNL e

Meta Modello (74% e 66% ) che non conoscono questi strumenti e metodologie.

Il counseling ed i suoi aspetti comunicativi sono ben conosciuti ai 2/3 degli in-

tervistati e per quanto riguarda programmi di formazione e corsi ECM per strategie

comunicative da svolgere più dettagliatamente, si esprimono positivamente il 74%.

La consapevolezza dell’utilità di una istruzione specifica di tutti gli operatori

della salute, che vada nella direzione di creare dei professionisti della comunicazione

sta prendendo lentamente la giusta direzione.

Qualsiasi azienda che abbia un alto livello di profitto dedica tempo e risorse

alla formazione del personale nelle abilità di relazione e comunicazione all’interno e

all’esterno dell’organizzazione; investire sulle risorse umane ha un costo che è diret-

tamente proporzionale alla qualità del servizio percepito dal cliente/paziente.

L’ambito sanitario è quello in cui più che in qualunque altro settore professio-

nale , la capacità di comunicare una diagnosi o un percorso di trattamento terapeutico,

senza provocare traumi o sofferenza inutile, dovrebbe diventare un’arte.

54

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ALLEGATO N. 1

QUESTIONARIO SULLA COMUNICAZIONE

PER IGIENISTI DENTALI

1) Laurea in Igiene DentaleDiploma universitario in Igiene Dentale

2) Anno di laurea

3) Svolgi questa attività in qualità di:Libero professionistaDipendente in studio privato

58

Dipendente in struttura pubblica

4) Fai compilare di routine al paziente la scheda di anamnesi sulla salute ge-nerale ?

Sì No

5) Nella costruzione dell’Alleanza Terapeutica quanto spazio dedichi alla moti-vazione o meglio all’ascolto attivo delle problematiche del paziente?15’ 30’ altro

6) Ritieni che la tua preparazione universitaria sulle strategie di comunica-zione sia:

sufficiente buona ottima insufficiente

7) Nel processo comunicativo è importante secondo te la Relazione d’Aiuto?sì, molto abbastanza no

8) Ritieni che L’Empatia sia un’abilità di notevole importanza, oltre che fon-te della vicinanza e della comunicazione affettiva con l’altro? Sì No

9) L’Ascolto Attivo come “capacità di stabilire un’interazione comunicativa chiara e diretta con il paziente e far sentire il sostegno a livello sia profes-sionale che emozionale”. Sei d’accordo con questa affermazione? Sì No

10) Conosci gli aspetti comunicativi del counseling? Sì No

11) Conosci la PNL (Programmazione Neuro-Linguistica)? Sì No

12) Conosci il Meta Modello? Sì No

13) La flessibilità comportamentale e l’efficacia del Ricalco possono aiutare nella costruzione di un solido rapporto di fiducia e collaborazione con il paziente? Sì No

14) Vorresti che si intervenisse di più sulla motivazione dei collaboratori nel cambiamento per una odontoiatria comunicativa?

59

Sì No

15) Linee guida come rispetto del diritto all’informazione e migliore comuni-cazione per raggiungere l’obbiettivo clinico desiderato Sì No

16) Qualità oltre la clinica: far funzionare il lato umano, comunicazione inter-na al team, investimento in formazione a tutti i livelli; ritieni che siano pre-supposti determinanti nella nostra professione? Sì No

17) Vorresti che corsi di formazione o programmi per ECM trattassero più dettagliatamente l’argomento sulla percezione della qualità nelle strategie comunicative, come adesione al trattamento terapeutico. Sì No

18) Consiglieresti, vista la tua esperienza, di dedicare più ore alle ADO (Atti-vità Didattiche Opzionali) relative al tema della comunicazione? Sì No

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