EDUCARE ALLA COOPERAZIONE IN UNA SCUOLA INCLUSIVA · «Meglio una testa ben fatta che ben piena ......
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L’Apprendimento Cooperativo (AC) o cooperative learning (CL): un metodo per migliorare l’acquisizione di
abilità socio-cognitive negli studenti (imparare collaborando) in una scuola inclusiva.
EDUCARE ALLA COOPERAZIONE IN UNA SCUOLA INCLUSIVA
Chi insegna, impara (“Qui docet, discit”, Comenio).
«Certamente nella natura esiste l’aggressività, ma esiste anche la sana competizione ed esiste pure un forte
istinto verso il comportamento sociale e cooperativo. Queste forze non agiscono in modo indipendente, ma
insieme, come un tutto. Vi sono pure forti evidenze a indicare che nello sviluppo sociale e biologico di tutte
le creature viventi, l’istinto alla cooperazione è dominante e biologicamente il più importante...
È probabile che l’uomo debba più all’operare di questo principio che a qualsiasi altro nella sua evoluzione
biologica e sociale» (Ashley Montagu, 1966, antropologo e saggista inglese).
«Ciò che i bambini sanno fare insieme oggi, domani sapranno farlo da soli» (Vygotskij).
«La mente non ha bisogno, come un vaso, di essere riempita, ma, piuttosto, come legna, di una scintilla che
l’accenda e vi infonda l’impulso alla ricerca» (Platone).
«Il primo passo verso l’ignoranza è presumere di sapere, e molti saprebbero se non pensassero di sapere»
(B. Graciàn y Morales). E’ il «sapere di non sapere» socratico, inteso come consapevolezza di non
conoscenza definitiva, che diventa però movente fondamentale del desiderio di conoscere. “Esiste un solo
bene, la conoscenza, e un solo male, l'ignoranza” (Socrate).
«Se si cambiano solo i programmi che figurano nei documenti, senza scalfire quelli che sono nelle teste,
l’approccio per competenze non ha nessun futuro» (P. Perrenoud, 2003; M. Castoldi, 2010).
«L'obiettivo è di insegnare in modo tale da offrire il maggiore apprendimento col minimo d’insegnamento.
L'altro fondamentale cambiamento necessario rispecchia un proverbio africano: se un uomo ha fame gli
puoi dare un pesce, ma meglio ancora è dargli una lenza e insegnargli a pescare». (Seymour Papert, 1994).
Dimmi e dimenticherò. Mostrami e forse ricorderò. Coinvolgimi e capirò.
«L’identità non è da proteggere, ma da vivere» (A. Canevaro).
«Meglio una testa ben fatta che ben piena» (Morin, Montaigne).
L’educatore non è solo colui che educa, ma colui che, mentre educa, è educato nel dialogo con l’educando.
Quest’ultimo mentre è educato, è a sua volta educatore. Ambedue diventano così soggetti del processo
educativo in cui progrediscono insieme, in cui gli “argomenti d’autorità” non hanno più valore. (P. Freire)
Il primo impegno del docente: motivare gli alunni
Il docente che entra nell’aula dovrebbe avere ben chiaro il suo piano d’azione, che in linea di
massima dovrebbe seguire il seguente schema:
1) Motivazione (scintilla, impulso, spinta che fa muovere verso un obiettivo)
2) Attività di apprendimento: lezione frontale, ricerca, riscoperta, ricostruzione (problem
solving), cooperative learning
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3) Sintesi magistrale
4) Consolidamento
5) Verifica
6) Recupero/approfondimento.
Il primo momento di ogni attività didattica (lezione frontale o ricerca) è senz’altro la motivazione.
Rousseau, dovendo insegnare a leggere a Emilio, si preoccupa innanzitutto di creare in lui un
interesse, un bisogno, una motivazione. È ormai acquisito che l’apprendimento è un processo
attivo, che impegna il soggetto, se non altro ad ascoltare. Non è possibile pensare di poter fare
lezione o di impegnare gli alunni nei processi di ricerca/riscoperta/ricostruzione (problem solving),
se essi non sono motivati. Prima di spiegare, illustrare, presentare, dimostrare o di avviare
un’attività di ricerca, occorre fare in modo che i discenti siano motivati: tutti gli alunni devono
essere motivati, perché diversamente non sono attenti ad ascoltare o non s’impegnano a ricercare;
perché quello che imparano deve rispondere a un loro bisogno, possibilmente duraturo.
Nel momento in cui si affaccia la prospettiva di un apprendere che deve durare per tutta la vita, non
basta riuscire a imparare, ma è necessario maturare atteggiamenti favorevoli all’apprendere.
Se è vero che occorre imparare a imparare, è ancora più vero che occorre maturare la gioia di
imparare, altrimenti, la capacità di imparare non serve.
Come affermano i Programmi didattici del 1955, «lo scopo essenziale della scuola non è tanto
quello di impartire un complesso determinato di nozioni, quanto di comunicare la gioia e il gusto di
imparare e di fare da sé, perché ne conservi l'abito oltre i confini della scuola, per tutta la vita».
Pertanto, è vero quello che scrive Freinet: «puoi portare il cavallo alla fonte e fischiare quanto
vuoi, ma se il cavallo non vuole bere, non beve».
Ma, se anche si riuscisse a far bere il cavallo e a far apprendere gli alunni, servirebbe poco, anzi
sarebbe controproducente. C’è il rischio, forte e consistente, che, costretti a imparare, gli alunni
apprendano a odiare l’apprendimento. Infatti, Pinocchio si vende l’Abbecedario! Infatti, quanti
ragazzi gettano via, non solo i libri, ma anche il ricordo dei teoremi, delle formule, delle battaglie
ecc. È forte, incombente, il rischio che, per imparare a leggere, i discenti imparino a odiare i libri e
la lettura. Se, per imparare, i giovani maturano atteggiamenti negativi verso l’apprendere, sarebbe
meglio che non imparassero. Non c’è altra via che l’amore del sapere (philosophia), la stessa
parola studente deriva dal latino studium che significa amore, passione, avventura. Occorre creare
le condizioni perché gli alunni avvertano l’amore del sapere, la gioia e il gusto di imparare. Questo
è possibile, se ogni giorno, in ogni momento, in ogni attività, la prima preoccupazione, in ordine
di tempo e d’importanza, è quella di motivare gli alunni. A volte può sembrare disperante cercare
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di motivare gli alunni o alcuni di essi. Non si apprende se non si è motivati. Come ritiene il Bruner,
e con lui la quasi totalità dei pedagogisti moderni, l'apprendimento scolastico può essere originato e
sostenuto soprattutto dalle motivazioni intrinseche, cioè dalla volontà di apprendere, che si
manifesta come 1curiosità, 2desiderio di competenza, 3 bisogno d’identificazione e 4 di
reciprocanza. La curiosità è una caratteristica costitutiva dell'uomo. I bambini nascono
naturalmente curiosi, desiderosi di conoscere, come dimostrano le loro impegnative attività
esplorative della realtà e delle cose che li circondano, le domande e i perché che essi continuamente
pongono. Oltre che sulla curiosità, si può fare affidamento anche sul desiderio di competenza, cioè
sull'innato bisogno di divenire abili nell'esecuzione delle attività che si svolgono. È a tutti noto che
ci s’interessa delle cose che si riesce a fare bene e si abbandonano le attività nelle quali non si ha
successo. Gli insegnanti devono creare situazioni adeguate alle possibilità degli alunni, in modo che
essi abbiano successo nell'esecuzione delle attività svolte, perché la riuscita accresce la loro
motivazione a continuare a impegnarsi in esse: il successo rafforza la motivazione e, quindi, crea
successo, mentre l'insuccesso demotiva e, perciò, crea insuccesso. L'immagine positiva che l'alunno
si forma di sé come essere capace, abile, bravo, accresce la fiducia in se stesso e lo spinge a
perseverare con sempre maggiore impegno nelle attività di apprendimento. Bruner fa riferimento
anche al bisogno d’identificazione, cioè alla «forte tendenza dell'uomo a plasmare se stesso e le
proprie aspirazioni sul modello offerto da un altro individuo», in particolare dai genitori, dagli
insegnanti, da figure particolarmente significative (compagni, protagonisti di romanzi, di film, delle
attività sportive ecc.). Gli insegnanti devono rappresentare dei modelli d’identificazione e di
imitazione, sia nelle attività di apprendimento che nei processi educativi, come si precisa anche nei
Programmi didattici del 1985 (l'insegnante, anche testimoniando la sua consuetudine alla lettura,
stimola e accresce la motivazione a leggere).
Tuttavia, nella scuola cha fa largo spazio al lavoro di gruppo, si può fare affidamento anche su
quello che Bruner chiama bisogno di reciprocanza, di rispondere in modo adeguato alle attese che
gli altri nutrono nei nostri confronti. In effetti, può essere risolutiva una diversa impostazione delle
attività scolastiche, percepite dagli alunni come strumenti di autorealizzazione, di crescita
personale, di autoaffermazione. S’impara per crescere, per diventare capaci, per sentirsi valorizzati.
La gioia di crescere, di affermarsi, di autorealizzarsi è innata in ogni essere umano. Bisogna fare in
modo che non si spenga, ma cresca, si consolidi, alimentandola, mai mortificandola con
l’insuccesso.
INTRODUZIONE
Obiettivo dell'uomo, all'inizio dell'età moderna, era dominare sulla natura. Affinché potesse
realizzare tale dominio, l'uomo ha realizzato una serie di strumenti che hanno modificato il mondo
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rendendolo più comodo, ma anche più complesso e più difficile da controllare; il computer e il
cellulare, le TIC, se da un lato facilitano le comunicazioni, dall'altro impongono l'acquisizione di
nuove competenze e capacità (di identificare, reperire, assimilare, elaborare, gestire e utilizzare risorse).
Però, secondo Morin «L’umanesimo non dovrebbe più essere portavoce dell’orgogliosa volontà di
dominare l’Universo. Dovrebbe diventare essenzialmente il portavoce della solidarietà umana, che implica
una relazione ombelicale con la natura e il cosmo. Questo significa che un modo di pensare capace di
interconnettere e solidarizzare le conoscenze, è capace di prolungarsi in un’etica d’interconnessione e di
solidarietà tra umani. Un pensiero capace di non richiudersi nel locale (nel particolare), ma capace di
concepire gli insiemi (glo-cale), sarebbe adatto a favorire il senso di responsabilità e il senso della
cittadinanza. La riforma di pensiero avrebbe, dunque, conseguenze esistenziali, etiche e civiche».
Comunque, per vivere in questa società bisogna essere in grado di adattarsi velocemente al
cambiamento e rendersi conto del fatto che gli uomini sono legati l'un l'altro a livello planetario.
Troppo spesso ci si comporta ancora in modo individualistico o competitivo, mentre le situazioni
che viviamo ogni giorno possono essere affrontate solo in modo cooperativo. Diventa importante, e
lo sarà ancora di più per le nuove generazioni, acquisire nuove abilità nella gestione delle
informazioni e delle relazioni interpersonali; non ci si potrà accontentare di imparare; ma sarà
necessario imparare a imparare, per essere in grado di farlo per tutta la vita (lifelong learning). La
scuola sta cambiando in una società in continua evoluzione. Essa non è più solo il luogo all'interno
del quale si devono formare competenze e capacità. Al suo interno bisognerebbe educare «nella e
alla democrazia» e sviluppare i saperi verbali e post verbali, ma anche le dimensioni della
manualità e dell'operatività nella cooperazione, strumento efficace di mediazione.
Compito prioritario della scuola è, perciò, la creazione di ambienti idonei all'apprendimento, che
abbandonino la sequenza tradizionale «lezione-studio individuale-interrogazione», per dar vita a
comunità di discenti e docenti impegnati collettivamente nell'analisi e nell'approfondimento degli
oggetti di studio e nella costruzione di saperi condivisi. Queste comunità dovranno essere
caratterizzate dal ricorso a metodi d'insegnamento capaci di valorizzare simultaneamente gli aspetti
cognitivi e sociali, affettivi e relazionali di qualsiasi apprendimento. Insegnare non può significare
soltanto curricolo e istruzione, è anche «gestire la classe, motivare gli studenti ad apprendere e
cercare di soddisfare i loro bisogni individuali, inclusi i bisogni degli studenti che manifestano
problemi cronici di personalità e comportamento».
La società odierna è in continuo e veloce mutamento e la scuola fatica a dare risposte adeguate alle
sue continue richieste. Nonostante l’introduzione delle nuove tecnologie nel contesto scolastico, la
crescente professionalità del corpo docente, l’applicazione di nuove metodologie, non si riesce ad
accogliere la pressante richiesta di interventi individualizzati e/o personalizzati. Individualizzazione
e personalizzazione sono legittima conseguenza dei progressi compiuti dalle neuroscienze sulle
modalità apprenditive e spostano l’attenzione dall’insegnamento all’apprendimento, mentre i
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ragazzi porgono pressanti domande di aiuto, perché, vivendo in una società fortemente
massificante, manifestano la necessità di far valere la propria individualità, la propria affettività ed
il bisogno di realizzare il sé rispondente a personali interessi, motivazioni e attitudini. Si rende
necessario, allora, trovare delle soluzioni nuove che mettano in campo altre risorse rispetto a quelle
già attivate. Ma, come possono gli insegnanti prestare attenzione ai bisogni individuali quando
hanno responsabilità continue nella conduzione di classi di 25 e più studenti? Inoltre, il
riconoscimento da parte della scuola della centralità dello studente e del suo diritto alla
formazione integrale come persona, deve fare i conti con un’accentuata diversità degli allievi, con
una diffusa bassa motivazione all’apprendimento, ma anche con rilevanti potenzialità individuali e
dovrà confrontarsi con la necessità di programmare percorsi di apprendimento diversificati e
flessibili, in rapporto ai diversi contesti, alle domande delle famiglie e agli stili cognitivi dei
soggetti coinvolti, con l’obiettivo di garantire una scuola di qualità che sviluppi le opportunità di
tutti e realizzi il pieno successo formativo di tutti gli alunni. Tutto ciò nello spirito dell’autonomia
funzionale delle istituzioni scolastiche, garanzia di libertà d’insegnamento e di pluralismo
democratico e che si sostanzia nella progettazione e nella realizzazione d’interventi di educazione,
formazione e istruzione, mirati allo sviluppo integrale della persona. L’autonomia mette a
disposizione delle scuole gli strumenti di flessibilità didattica e organizzativa che consentono di
modellare la didattica sui modi, sui tempi e sugli stili di apprendimento degli allievi, offrendo
risposte diverse a esigenze diverse.
Inoltre, l’autonomia scolastica ha segnato in modo netto la transizione dalla cultura del sapere alla
cultura della competenza, da una cultura che continua a misurarsi in termini quantitativi
(conoscenza come un avere) a una cultura che ha come riferimento il crescere dell’essere, della
persona, ponendo la questione della competenza idonea a consentire all’individuo un agire
fondato e contestualizzato. La cultura della competenza non pretende di negare il sapere, ma,
ribadisce il fatto che le conoscenze non rappresentano il risultato ultimo dell’apprendimento e che i
traguardi di un processo formativo non sono le conoscenze, bensì la loro utilizzazione in un
contesto sociale. Si tratta, in sintesi, di utilizzare le conoscenze come strumento per formare
competenze, cioè conoscenze contestualizzate.
Parlare di competenze, anziché unicamente di conoscenze significa spostare l’attenzione e il
baricentro dall’insegnante allo studente, dall’insegnamento all’apprendimento e stabilire quali
conoscenze, quali abilità e quali atteggiamenti sviluppare nei giovani [Competenze = conoscenze (il
sapere) + abilità (saper fare) + atteggiamenti (saper essere), P. Boscolo, 1998].
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Una possibile soluzione è data da una strategia didattica efficace in tal senso, cioè dal Cooperative
Learning (Apprendimento Cooperativo) che pone l’attenzione sulle risorse degli studenti, che
diventano i protagonisti e, soprattutto, i soggetti del loro processo d’apprendimento, in un contesto
che non trascura l’aspetto relazionale e motivazionale del processo di sviluppo dell’allievo, ma
crea osmosi tra sfera affettiva e conoscitiva dell’apprendimento, inteso come «processo dinamico e
relazionale di costruzione di significati attraverso esperienze e conoscenze, finalizzato a progetti di
crescita globale (cognitiva, affettiva, sociale) di persone libere e responsabili, capaci di elaborare
un’identità soggettiva e di partecipare in modo critico e attivo alla vita associata».
Secondo Boscolo (1998) per apprendimento s’intende: comprendere le informazioni ricevute,
contestualizzarle, rielaborarle, trasferirle, verificarle rispetto al bagaglio precedente.
Attraverso il CL o AC si crea un nesso logico con la filosofia dell’autonomia funzionale e con la
didattica metacognitiva, incarnando gli obiettivi fondamentali del processo educativo:
• Acquisizione di chiavi di lettura dei dati e dei nuclei essenziali delle discipline
• Interiorizzazione delle regole della democrazia e del pluralismo
• Capacità d’iniziativa, di relazione e di comunicazione
• Sviluppo dell’aspetto euristico (essere curiosi, attenti e reattivi), della fiducia in se stessi
• Formazione continua attraverso la capacità di ricercare, interpretare, utilizzare e gestire
l’informazione
• Capacità di prendere decisioni, risolvere problemi e di comprendere relazioni sistemiche
• Abilità sociale: assumere comportamenti corretti e accettabili negli ambienti di vita
• Capacità di lavorare con altri, di identificare, organizzare e utilizzare risorse.
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Il CL può stimolare gli elementi di qualità dell’apprendimento (Boscolo):
• Per le conoscenze dichiarative (sapere cosa, contenuti): consente di migliorare la capacità
di integrare le nuove conoscenze con quelle già presenti nel menù cognitivo, dando
significato a ciò che s’impara.
• Per le abilità o conoscenze procedurali (sapere come, abilità): migliora le strategie di
ricercazione, elaborative, mnestiche, di utilizzo e di controllo strategico delle informazioni.
• Per gli atteggiamenti/orientamenti motivazionali: migliora l’interesse, il coinvolgimento, la
voglia d’imparare.
Inoltre, rafforza l’aspetto relazionale e motivazionale dell’apprendimento, perché:
• Crea un contesto di apprendimento costruttivo, inclusivo, partecipativo, condiviso, un clima
positivo, in grado di soddisfare i bisogni di affetto, di appartenenza/affiliazione, di
autostima, di realizzazione, cognitivi (Maslow), in cui si pone il soggetto che apprende al
centro del processo formativo (learning centered).
• Crea un’osmosi tra sfera affettiva, emotiva e cognitiva, sviluppando emosia (Goleman, 1995,
1999): La competenza emotiva è definita come la capacità di comprendere le proprie e le altrui emozioni e di
saperle regolare al meglio al fine di instaurare efficaci interazioni sociali (Saarni, 1999).
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Che cos’è l’Apprendimento Cooperativo
Nelle classi il clima di lavoro è spesso competitivo, con alunni ansiosi di dimostrare di essere i
migliori o al contrario scoraggiati dal confronto con i compagni e quindi passivi. Il CL serve per
modificare questo stato di cose. Il metodo dell'apprendimento cooperativo si basa sull'assunto che
possa favorire l’apprendimento attraverso la coesione, l’interdipendenza sociale e il buon
funzionamento dei gruppi di alunni, assicurando importanti risultati scolastici e interpersonali,
perché aiuta a migliorare il livello di preparazione e competenza di tutti gli studenti, sia quelli con
capacità e rendimenti scolastici deficitari, sia quelli più bravi. Favorisce le relazioni positive tra gli
studenti, essenziali per creare una comunità di apprendimento in cui l'altro sia rispettato e
apprezzato, e fornisce agli studenti le esperienze interpersonali di cui hanno bisogno per un sano
sviluppo cognitivo, psicologico e sociale.
L’Apprendimento Cooperativo (AC) è un metodo d’insegnamento/apprendimento che nasce dalle
teorizzazioni sull’interdipendenza sociale e si propone di migliorare l’apprendimento sfruttando
tutte le risorse presenti nella classe: non solo di tipo nozionistico, ma anche e soprattutto abilità e
competenze del docente e dei discenti. Alla base dell’AC ci sono varie teorizzazioni
sull’interdipendenza sociale. Secondo Johnson e Holubec (1996) il tipo d’interdipendenza che si
crea tra i membri di un gruppo determina il modo in cui interagiranno tra loro e i risultati del
gruppo. Tale concezione è stata confermata dalla meta-analisi che è stata fatta successivamente
sulle numerosissime ricerche condotte sull’interdipendenza sociale (Comoglio e Cardoso, 1996). Il
cooperative learning è un metodo di insegnamento e d’apprendimento alternativo a una conduzione
della classe più tradizionale, dove si spiega e ci si rivolge a tutta la classe. Con l’apprendimento
collaborativo l'acquisizione da parte degli studenti di conoscenze, abilità e atteggiamenti sono il
risultato di un'interazione di gruppo (piccola comunità d’apprendimento). Una definizione più
specifica è la seguente:
«Una classe cooperativa è un insieme di piccoli gruppi (comunità d'apprendimento o learning
community) di studenti relativamente permanente e composto in modo eterogeneo, unito per
portare a termine un'attività e produrre una serie di progetti o prodotti, che richiedono una
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responsabilità individuale nell'acquisizione delle competenze utili al raggiungimento dello scopo»
(Baloche, 1998).
L'Apprendimento Cooperativo (AC) è una modalità di apprendimento che si basa sull'interazione
all'interno di un gruppo di allievi che collaborano, al fine di raggiungere un obiettivo comune,
attraverso un lavoro di approfondimento e di apprendimento che porterà alla costruzione di nuova
conoscenza. L'apprendimento cooperativo è, quindi, una nuova visione pedagogica e didattica che
utilizza il coinvolgimento emotivo e cognitivo del gruppo come strumento di apprendimento ed
alternativa alla tradizionale lezione accademica frontale. Questa espressione, quindi, fa riferimento
a un insieme di principi, tecniche e metodi di conduzione della classe in base ai quali gli alunni
affrontano lo studio disciplinare interagendo in piccoli gruppi, in modo collaborativo, responsabile,
solidale e ricevendo valutazioni sulla base dei risultati ottenuti individualmente ed in gruppo.
Nell'AC l'apporto di ogni singolo studente permette di costituire una visione complessiva
dell'oggetto di ricerca ed unitamente all'interazione consente di creare e d'innescare il senso di
appartenenza, trasformando «l'io-individualista” in noi-gruppo» dando agli allievi l'opportunità di
affrontare insieme innumerevoli problematiche legate all'educazione, alla valorizzazione,
all'apprendimento ed alla motivazione che, durante la normale lezione, molto spesso risultano
essere un ostacolo al regolare svolgimento dell'attività. Per le sue valenze numerose istituzioni
dell'educazione formale inseriscono percorsi di apprendimento cooperativo all'interno del
proprio progetto educativo. Secondo alcuni autori, nella cooperazione ciascun componente del
gruppo esegue un compito specifico, mentre nella collaborazione ognuno lavora su tutte le parti del
compito complessivo. La cooperazione è una situazione in cui gli attori con ruoli e funzioni, meglio
definiti rispetto alla collaborazione, lavorano per uno stesso obiettivo: costruire un testo a più mani.
Per essere realmente inclusiva, capace di accogliere anche le situazioni di maggiore difficoltà, la
didattica non può prescindere dal riconoscere la «speciale normalità» di tutti gli alunni e
conseguentemente il loro bisogno sia di sentirsi normali, cioè apprezzati e sostenuti in un clima
positivo, sia di essere speciali, cioè accettati e valorizzati nella propria individualità.
L’apprendimento cooperativo intrecciandosi con i principi metacognitivi, diventa un metodo
didattico inclusivo in grado di insegnare le abilità sociali (Miato, 2003), migliorare il clima
emotivo e il rendimento (Johnson – Holubec, 2002).
Il Cooperative Learning costituisce una specifica metodologia d’insegnamento attraverso la quale
gli studenti apprendono in piccoli gruppi, aiutandosi reciprocamente e sentendosi corresponsabili
del reciproco percorso. L’insegnante assume un ruolo di facilitatore e organizzatore delle attività,
strutturando “ambienti di apprendimento” in cui gli studenti, favoriti da un clima relazionale
positivo, trasformano ogni attività di apprendimento in un processo di “problem solving di gruppo”,
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conseguendo obiettivi la cui realizzazione richiede il contributo personale di tutti. Tali obiettivi
possono essere conseguiti se all’interno dei piccoli gruppi di apprendimento gli studenti sviluppano
determinate abilità e competenze sociali, intese come un insieme di “abilità interpersonali e di
piccolo gruppo indispensabili per sviluppare e mantenere un livello di cooperazione
qualitativamente alto”. E’ una strategia didattica che si basa sulla forza motivazionale derivante
dalla scoperta, che induce lo studente a un atteggiamento strategicamente costruttivo del sapere,
grazie ad un costante processo di assimilazione e accomodamento del nuovo nella propria rete
cognitiva (Piaget).
Il lavoro di gruppo non è una novità nella scuola, ma la ricerca dimostra che gli studenti possono
anche lavorare insieme senza trarne profitto. Può accadere che essi operino insieme, ma non
abbiano alcun interesse o soddisfazione nel farlo. Nei gruppi di apprendimento cooperativo,
invece, gli studenti si dedicano con piacere all’attività comune, sono protagonisti di tutte le fasi
del loro lavoro, dalla pianificazione alla valutazione (fanno squadra), mentre l’insegnante è
soprattutto un facilitatore, una guida e un organizzatore dell’attività di apprendimento.
Presupposti teorici-pedagogici del CL o AC
L'AC fonda le sue radici procedurali nello sviluppo di alcune teorie:
Teoria dei Climi di Kurt Lewin in cui si sostiene che all'interno di un gruppo si creano delle
relazioni, delle interdipendenze tramite le quali i soggetti agiscono. In base alla sensazione avvertita
da ogni singolo individuo all'interno dell'ambiente di gruppo, si attiva una reazione che può essere
vissuta come momento di apprendimento, di crescita, di mutamento. Tutto dipende e ruota attorno
al rapporto fra dinamiche, interpretazioni e bisogni del gruppo. Viene a instaurarsi un'atmosfera
sociale in grado di modificare il comportamento dei membri qualora si attivi, negli stessi, la
sensazione di condividere lo stesso “destino”; si attua, pertanto, un arricchimento derivato
dall'assumere un atteggiamento “democrative” (termine lewiniano che deriva dall'unione di democratic e
directive) ottenuto dal rapporto democratico fra i componenti, dall'utilizzo e dal rispetto delle
normative e discipline sociali, unitamente alle regole dettate dal gruppo.
Teoria del Contatto di Gordon Allport secondo cui si attivano delle relazioni positive grazie alle
interazioni fra i membri del gruppo. Teoria dell'Apprendimento Centrato sulla Persona
di Rogers dove empatia, accettazione non giudicante e congruenza permettono di “mettersi nei
panni dell'altro”, di accettarlo, anche con valori e comportamenti diversi dai nostri, ma senza mai
dimenticare di essere sempre e comunque noi stessi anche quando stiamo con gli altri.
Teoria di Lev Vygotskij riguardante la Zona di sviluppo prossimale, che può essere
contestualizzata a diverse forme di organizzazione dei soggetti, dalla scuola per i discenti, al gruppo
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di lavoro. L'autore non considera l'apprendimento come un'attività individuale, ma lo considera
possibile solo grazie all'interazione e al confronto con altri (processo di costruzione sociale).
Teorie del Costruttivismo Sociale: si costruisce nuova conoscenza e si apprende in modo sociale,
partendo dalle conoscenze già possedute da ciascuno nel gruppo, attraverso un'osservazione
ragionata di eventi e una rielaborazione comune. Si parla di costruzione di nuova conoscenza come
processo dinamico aperto alla competizione intellettuale.
Teorie Motivazionali per cui l'interazione e l'interdipendenza fra soggetti determinano dei risultati
positivi e delle conclusioni superiori rispetto a quelle ottenute dal singolo individuo, tutto questo
grazie alla correlazione di diversi aspetti quali gli obiettivi scolastici, la motivazione ad apprendere
e i processi interpersonali. Incontro, scambio e relazione con gli altri, sono elementi molto
motivanti per un soggetto perché permettono di ampliare e valorizzare la conoscenza di sé stessi,
delle proprie capacità e di conseguenza di accrescere il desiderio di apprendimento ricavandone
un'enorme gratificazione. Il soggetto è in simbiosi con il suo gruppo, ogni suo esito positivo
determina un successo anche per il team quindi egli confida che anche i compagni facciano
altrettanto, che s’impegnino cercando di dare il massimo. S’innesca, così, l'atteggiamento
“protosociale” generalizzato anche nei confronti di tutti i componenti del gruppo. Con l'AC è
soddisfatto il bisogno di stare con gli altri grazie ad un comportamento intrinsecamente motivato,
cioè interiorizzato, perché vissuto come importante e significativo. Viene, inoltre, soddisfatto anche
un bisogno individuale che vede, quale unico mezzo per raggiungere l'obiettivo, il proprio gruppo.
Il team è il mezzo per conseguire il successo, per ricevere un riconoscimento sociale derivato
dall'applicazione, dall'impegno, dal sacrificio di ogni singolo individuo. Il totale degli elementi, vale
più della somma delle singole parti, per cui i membri del gruppo cercano di aiutarsi e di
incoraggiarsi: vince uno, vincono tutti (sapere interconnesso, complexus, ecositemico).
Zona di sviluppo prossimale
Nella teoria di Lev Vygotskij la zona di sviluppo prossimale (ZSP) è un concetto fondamentale
che serve a spiegare come l'apprendimento si svolga con l'aiuto degli altri. La ZSP è definita come
la distanza (spread) tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale, che può essere
raggiunto con l'aiuto di altre persone (scaffolding cognitivo ed emotivo), che siano adulti o dei pari
con un livello di competenza maggiore. Infatti, Vygotskij non riteneva, con ciò prendendo le
distanze da Piaget, che il discente passasse attraverso diversi stadi e, dunque, fosse pronto ad
apprendere nuove conoscenze che prima non era in grado di ritenere, ma sostiene che il discente
impara da coloro che si trovano ad un livello di conoscenza superiore.
Secondo Vygotskij, l'educatore dovrebbe proporre, all’allievo, problemi di livello un pò superiore
alle sue attuali competenze, ma abbastanza semplici da essergli comprensibili; insomma, all'interno
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di quell'area in cui l’allievo può estendere le sue competenze e risolvere problemi grazie all'aiuto
degli altri (la ZSP, appunto).
Questi problemi potranno, infatti, essere risolti dal soggetto in apprendimento aiutato da un esperto
(l'educatore, un adulto o anche un pari con maggiori competenze in quel campo), ma non dal
soggetto che non riuscirebbe ad affrontarli da solo (in quel caso saremmo all'interno della zona di
sviluppo attuale). Se il processo è impostato correttamente, la zona di sviluppo attuale del soggetto
in apprendimento si amplia, includendo quella che in precedenza era la zona di sviluppo prossimale,
in altre parole egli diventa capace di eseguire autonomamente un compito che prima non sapeva
eseguire. All'esterno della zona di sviluppo attuale si crea una nuova zona di sviluppo prossimale.
Questo processo iterativo dovrebbe, dunque, permettere al soggetto di acquisire nuove capacità
senza sperimentare la frustrazione del fallimento.
Concetti analoghi
Un concetto simile alla zona di sviluppo prossimale è stato elaborato da un autore americano negli
anni '60: è il concetto di Scaffolding di Jerome Bruner, secondo cui l'aiuto di un esperto, che
fornisce indicazioni e suggerimenti, consente all’allievo di svolgere un compito pur non avendo
ancora tutte le conoscenze e le abilità specifiche per farlo autonomamente. In Italia, in
ambito pedagogico-istituzionale, è stata progettata una metodologia riferita al contesto
educativo, chiamata "sfondo integratore" (una metodologia di progettazione educativa e uno
strumento didattico, utilizzato nell'ambito dell'integrazione scolastica di alunni con disabilità) ad
opera di Canevaro e Zanelli nel 1986. L’apprendimento è inteso come attività costruttiva del
soggetto collegata a un contesto educativo, la cui organizzazione può favorire od ostacolare, fino ad
inibire, tale capacità. Di qui l'importanza, soprattutto alla presenza di situazioni di disabilità e di
DSA, che gli educatori progettino l'organizzazione dello sfondo educativo, con un lavoro di “regia”
mirato a sostenere i processi di autonomia e di autoorganizzazione cognitiva dei discenti. Questa
progettazione può essere facilitata dall'utilizzo di una serie di strumenti organizzatori del contesto
educativo, fra i quali rientra lo "sfondo integratore".
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Ausubel (1968) parla di strategie didattiche per facilitare il trasferimento cognitivo:
• uso degli organizzatori per facilitare e minimizzare gli ostacoli, fornendo un’impalcatura concettuale per l’incorporazione e la fissazione del nuovo materiale proposto
• differenziazione progressiva della disciplina
• conciliazione integrativa degli argomenti
• organizzazione sequenziale della materia
• consolidamento e padronanza.
Una breve storia
Il Cooperative Learning (CL) è oggi molto diffuso in diversi paesi, quali Israele, U.S.A., Canada,
Paesi Scandinavi, Olanda, ed esistono diverse modalità d’applicazione, quali: il Learning Together
di D.T. Johnson e R. Johnson (C.L. Center dell’University of Minnesota), lo Structural Approach
di S. Kagan e M. Kagan (Centro San Juan Capistrano – California), il Group Investigation
(ricercatori dell’Università di Tel Aviv).
Il CL trae spunto dal sistema di mutuo insegnamento tra pari, ideato e applicato da Andrew Bell in
India e Joseph Lancaster a Londra, tra la fine del '700 e l'inizio dell'800.
Dopo le esperienze di Bell e Lancaster, si sono sviluppate anche negli Stati Uniti d'America due
correnti di pensiero, come quella che deriva da John Dewey e da Kurt Lewin, che hanno contribuito
ampiamente alla valorizzazione dell'apprendimento cooperativo.
Sebbene Dewey e Lewin non avessero avuto modo di confrontare le proprie opinioni, entrambi
convennero sull'importanza dell'interazione e della cooperazione nella scuola, come mezzo per
migliorare la società.
Attualmente, esiste un notevole interesse per lo studio e la pratica dei metodi cooperativi; un gruppo
autorevole di studiosi lavora presso il Cooperative Learning Center dell'Università del Minnesota.
In questo centro David e Roger Johnson conducono ricerche, scrivono libri e sviluppano nuove
procedure per migliorare l'apprendimento nella scuola.
Robert Slavin e collaboratori hanno continuato e ampliato il lavoro iniziato da David L. DeVries e
Keith J. Edwards nella Johns Hopkins University, mentre Elliot Aronson, dell'University of
California a Santa Cruz, ha sviluppato una procedura denominata Jigsaw (gioco ad incastro o
puzzle di apprendimento); Spencer e Miguel Kagan conducono ricerche sul CL nell'University of
California nel Riverside. Gruppi di ricercatori si trovano anche in Israele, a Tel Aviv (Shlomo
Sharan, Hanna Sachar e altri); a Bagen, in Norvegia (Egil Hjertaker e i suoi colleghi), mentre in
Inghilterra Helen Cowie e Jean Rudduck hanno lavorato al Cooperative Group Work Project.
Le prime esperienze di CL risalgono agli anni '60 e furono realizzate dai fratelli David e Roger
Johnson nelle scuole statunitensi, dove hanno iniziato a studiare l'interazione tra studenti e
apprendimento basandosi sulle teorie (cooperazione e competizione) di Morton Deutsch (psicologo sociale).
Filippo Quitadamo 14
Hanno creato nel tempo un programma di studio dell'apprendimento cooperativo, fondato su basi
teoriche e sulla sperimentazione. I loro studi evidenziano i concetti che stanno alla base di
un'interazione efficace tra studenti, in modo che gli educatori possano modificarne i principi
fondamentali, adattandoli alla situazione. L'obiettivo delle loro ricerche sull'interdipendenza sociale
è individuare cosa determina il funzionamento dei gruppi all'interno della classe; in questo modo
identificano cinque elementi essenziali attorno ai quali si muovono tutti i loro lavori e cioè: 1
interdipendenza positiva, 2 responsabilità individuale e di gruppo, 3 interazione promozionale
faccia a faccia, 4 insegnamento di competenze sociali nel lavoro di gruppo e 5 valutazione
individuale e di gruppo.
Learning Together (investire sul capitale umano).
I fratelli Johnson (anni 70) sono i promotori della diffusione nei campus statunitensi del modello di
CL meglio noto come ''Learning Together'' (imparare insieme o apprendimento insieme), modalità più
diffusa e che è stata oggetto del maggior numero di ricerche sperimentali. Il modello Learning
Together, ideato da Johnson & Johnson, poi ridefinito nel modello Circles of Learning (cerchi di
apprendimento), ha raggiunto negli anni un livello di elaborazione molto elevato, tanto da avanzare
una proposta di conduzione non solo della classe, ma dell'intero istituto scolastico, estendendo il
principio della cooperazione agli insegnanti e al leader scolastico, perché si sviluppi un
atteggiamento di ricerca in questa direzione.
Consiste nel far lavorare gli studenti in gruppi di 2÷6, condividendo le risorse e aiutandosi
reciprocamente. La forma dell'interazione del gruppo è decisa dall'insegnante. Gli studenti
riceveranno lodi e riconoscimenti per il lavoro da loro fatto in modo soddisfacente.
La modalità L.T. prende in considerazione tre modi di strutturare il lavoro di gruppo che
corrispondono a differenti modalità di strutturare i cinque elementi su cui Johnson & Johnson
pongono l'accento:
1. la forma cooperativa
2. la forma individualistica
3. la forma competitiva.
La forma cooperativa
• gruppi composti da 3÷5 persone, preferibilmente eterogenei;
Filippo Quitadamo 15
• sistemazione dell'aula circolare in modo che i componenti possano condividere i materiali,
guardarsi negli occhi, parlare a voce bassa;
• ad ogni gruppo è affidata una copia del materiale in modo che i componenti siano costretti a
lavorare insieme;
• spiegazione chiara del compito rispetto a obiettivi, contenuti, attività, criteri di valutazione,
consapevolezza degli studenti nel sentirsi corresponsabili della riuscita del compito;
• suddivisione dei ruoli: una persona prende nota di ciò che viene detto, una legge l'elaborato
finale, un'altra il lavoro rispetto alle regole date.
La forma individualistica
• ogni ragazzo lavora da solo;
• la sistemazione dell'aula è secondo banchi distanti tra di loro, distribuiti lungo il perimetro
della classe;
• spiegazione chiara del compito rispetto a contenuti, attività, obiettivi richiesti ad ogni
singolo componente, consapevolezza che il lavoro svolto da ciascuno non ha relazioni con
quello dei compagni.
La forma competitiva
• formazione dei gruppi in seguito ad una graduatoria che va dai più bravi ai meno bravi:
gli studenti sono sistemati in gruppi eterogenei in modo che in ognuno ve ne sia uno che
compete con compagni di uguali capacità provenienti da altri gruppi;
• la gara si svolge tra componenti con uguali capacità appartenenti a gruppi diversi, in
modo che la valutazione finale si ottiene dalla somma dei punteggi conseguiti da tutti i
membri appartenenti ai gruppi iniziali;
• i gruppi sono sistemati in modo da essere separati uno dall'altro;
• il materiale è strutturato in forma cooperativa quando i diversi gruppi lavorano
separatamente, in forma competitiva quando i vari membri dei diversi gruppi sono in
competizione;
• spiegazione chiara del compito rispetto a lavoro in gruppo e lavoro per la prova di
competizione, consapevolezza che l'altro gruppo è un rivale da superare per cui se ogni
persona riuscirà ad esser la migliore in ciascun gruppo competitivo, anche il gruppo
cooperativo di appartenenza risulterà il migliore perché i punteggi conseguiti saranno
sommati tra di loro.
Inoltre, il Learning Together prende in considerazione tre tipi di CL:
1. Il cooperative learning di tipo formale (per compiti più complessi): gli studenti lavorano
insieme per raggiungere obiettivi di apprendimento condivisi e assicurandosi che ognuno dei
Filippo Quitadamo 16
componenti il gruppo completi con successo i compiti di studio assegnati. Ogni compito di
apprendimento può essere strutturato in modo cooperativo e qualunque disciplina può essere
formulata in cooperative learning di tipo formale. Nei gruppi di tipo formale gli insegnanti:
• prendono delle decisioni prima della lezione;
• specificano gli obiettivi della lezione;
• spiegano i compiti da svolgere e il tipo di interdipendenza utilizzata;
• controllano l'apprendimento degli studenti e intervengono all'interno dei gruppi per fornire
assistenza ai compiti o per migliorare le abilità interpersonali e di gruppo;
• valutano l'apprendimento degli studenti e li aiutano nel processo di revisione su come il
gruppo ha funzionato.
I gruppi di CL formale devono essere formati da studenti con differenti livelli di abilità. Gli alunni stranieri devono essere distribuiti equamente fra quanti saranno i gruppi nella classe. Ciò vale anche per le minoranze di sesso. Può essere utile per il docente formare dei gruppi di prova per tre settimane e poi, in base a ciò che è emerso nel lavoro di gruppo, creare i gruppi permanenti.
Per promuovere la collaborazione nel gruppo, è necessario assegnare, anche nel caso del CL formale, precisi ruoli (chi scrive, chi coordina, chi controlla le informazioni e gli eventuali errori, chi pone le domande, ecc.).
È necessario che le prove di verifica finali siano sempre individuali, affinché il lavoro di gruppo che le precede sia vissuto dallo studente come un momento di apprendimento vero e proprio e non un gioco. Lo studente si impegnerà, rispetterà il proprio ruolo e collaborerà con gli altri, perché sa che alla fine verrà valutato come singolo. Per accattivarsi i fannulloni è necessario creare questo espediente psicologico e renderlo esplicito all’inizio della spiegazione del compito. Presto si renderanno conto di quanto sia più efficace e meno faticoso imparare insieme.
2. Il cooperative learning di tipo informale: un qualsiasi stimolo può essere usato efficacemente
affinché gli studenti lavorino insieme per raggiungere un obiettivo di apprendimento temporaneo sia
a livello disciplinare che sociale. I gruppi sono formati ad hoc e hanno una durata di qualche minuto
fino a una lezione. I gruppi informali aiutano l'insegnante ad assicurarsi che gli studenti sappiano
pensare l'organizzazione del lavoro, sappiano spiegare, riassumere e integrare il materiale
riconducendolo all'interno di strutture concettuali già in loro possesso o apprese durante
l'insegnamento diretto, attraverso un processo di assimilazione e accomodamento (Piaget).
Il CL informale si basa sull’assegnazione di un compito all’interno di un gruppo di discenti, formato da 2÷4 persone. Il
compito può riguardare una questione posta in spiegazioni precedenti, la soluzione di un problema, il riassunto di una
lezione, l’individuazione di errori in un procedimento di calcolo. Il docente assegna il compito di scrivere a uno dei
membri del gruppo e determina un tempo massimo (30 sec ÷ 5 min.) entro il quale gli studenti devono fornire le proprie
risposte. Il Cooperative Informale rappresenta il ponte tra attività tradizionali e strutturate in CL formale e comprende
tutti quei modi brevi e specifici di lavorare in gruppo che possono seguire una presentazione o spiegazione da parte
dell’insegnante.
Esempi di CL informale che si possono mettere in atto sono:
• discussione a coppie prima della lezione, per la verifica dei prerequisiti;
Filippo Quitadamo 17
• spiegazione intermittente, con osservazioni a coppie; • la presa di appunti e/o la schematizzazione a coppie.
Con il Cooperative Learning Informale si possono svolgere attività della durata di un’ora o due, oltre a permettere di far entrare la classe in contatto con i principi fondamentali del Cooperative Learning in modo graduale e adatto al livello della classe e alla nostra esperienza.
E’ possibile fare assieme (insegnanti e alunni) conoscenza con:
• L’interdipendenza positiva (di scopo, di ruolo, di materiale e di valutazione); • L’interazione promozionale faccia a faccia
• Le abilità sociali di base come parlare a bassa voce; alzarsi senza far rumore con sedie e banchi; dare e chiedere aiuto.
• Le competenze cognitive come leggere in modo significativo; fare domande per l’approfondimento; riassumere; schematizzare.
Il Cooperative Informale può essere utile anche a chi, pur essendo esperto del metodo, inizia ad applicarlo con classi che conosce per la prima volta.
3. I gruppi di base cooperativi: sono sempre eterogenei con una composizione stabile dei membri
che può anche raggiungere un anno scolastico. Questi gruppi forniscono agli studenti la possibilità
di impegnarsi nelle relazioni con continuità, permettendo di dare ai membri del gruppo supporto,
aiuto, incoraggiamento e assistenza per lavorare più efficacemente nei compiti, fare progressi nelle
discipline, apprendere modi adeguati per sviluppare schemi cognitivi e abilità socialmente utili. I
gruppi base s’incontrano ogni giorno nelle scuole elementari e circa due volte la settimana nelle altre
scuole. Informalmente, i membri interagiscono tutti i giorni all'interno e attraverso la classe,
discutendo gli incarichi e aiutando chi ha bisogno nei compiti per casa. L'uso del gruppo base tende
a migliorare la frequenza, a personalizzare il lavoro richiesto a scuola e a migliorare la
qualità/quantità dell'apprendimento.
Mc Brien e Brandt definiscono <<l'apprendimento cooperativo>> una strategia d’insegnamento
progettata per imitare l'apprendimento della vita reale e della soluzione dei problemi
armonizzando i gruppi di lavoro con le attività individuali e la responsabilità di gruppo.
Per lavorare in piccoli gruppi, con soggetti eterogenei, di varie abilità, provenienza sociale e
culturale, agli studenti sono assegnati compiti complessi e diversificati, mentre l'insegnante o il
gruppo, in alcuni casi, affida ad ogni membro una responsabilità personale. In questo modo gli
studenti apprendono perché esercitano la propria responsabilità, imitando gli altri e apprendendo dai
loro coetanei arrivano a conoscere e rispettare i membri del gruppo che in altre circostanze
avrebbero evitato di incontrare e comprendere. Il crescente interesse verso il CL fu promosso in
Italia da Mario Comoglio, docente all'Università salesiana di Roma, nei primi anni '90. Egli pose
alcune interessanti questioni riguardo all'applicabilità del metodo in un contesto interculturale.
In tal senso la sua definizione <<È una modalità di apprendimento in gruppo caratterizzata da una
forte interdipendenza positiva fra i membri. Questa condizione non si raggiunge né riunendo
semplicemente i membri, né limitandosi a stimolarli alla cooperazione, né richiedendo loro di
Filippo Quitadamo 18
produrre insieme un qualche prodotto finale. Essa, invece, è frutto della capacità di strutturare in
maniera adeguata il compito da assegnare al gruppo, di allestire i materiali necessari per
l'apprendimento e di predisporre le attività per educare i membri ai comportamenti sociali richiesti
per un'efficace cooperazione>>.
Inoltre, Comoglio identifica l'apprendimento cooperativo come un <<modo nuovo di fare scuola>>,
che integra in una sintesi ''naturale'' alcune prospettive della riflessione educativa più avanzata,
come la comunità di apprendimento, l'insegnamento individualizzato, la valutazione autentica e la
cognizione situata. Considerato secondo tale ottica, il CL si offre come un approccio duttile, ricco
di risorse e potenzialità, in grado di fornire risposte originali, efficaci e attuali a problematiche
complesse, che investono il mondo della scuola oggi.
Il CL è una modalità di gestione democratica della classe che definisce in modo approfondito il
metodo d’insegnamento “Democrative” lewinano centrato sui gruppi. Tende a creare un contesto
educativo non competitivo, altamente responsabile e collaborativo, produttore di processi cognitivi
di ordine superiore (Johnson & Johnson, 1987). Secondo una definizione data da Comoglio, il CL
<<è al tempo stesso un metodo e un contesto di apprendimento in cui obiettivi e attività devono
essere pensati in funzione del lavoro collaborativo>>.
Con l’AC si strutturano contesti d’apprendimento, in cui necessitano processi cognitivi di livello
più elevato, fondati sulla collaborazione tra i componenti del gruppo per il raggiungimento di un
obiettivo comune. Non si deve scambiare il CL con il classico lavoro per gruppi, poiché il CL è in
realtà un approccio educativo costruttivistico, oltre che un metodo e un insieme di tecniche di
lavoro in gruppo. Esso vuole integrare processi apprenditivi, gestione della classe, apprendimento
centrato sull’alunno (A.C.A.) e valorizzare la partecipazione, la responsabilità, l’impegno, la
motivazione individuale e di gruppo. Infatti, pone il soggetto che apprende al centro del processo
formativo (learning centered): è un processo d’istruzione che coinvolge gli studenti nel lavoro di
gruppo per raggiungere un fine comune, un metodo d’insegnamento basato sulle risorse degli
allievi che apprendono cooperando in gruppo per il conseguimento di un obiettivo comune, grazie
alla forza motivazionale derivante dalla scoperta costruttrice.
Dall’istruzione basata sulla lezione all’apprendimento centrato sullo studente
Nella lezione "ex cathedra" tradizionale il docente fornisce informazioni e lo studente concentra il
proprio sforzo soprattutto nel seguire la spiegazione e nel prendere appunti. Molte ricerche
smentiscono che la lezione ex cathedra sia un modo efficiente di trasmettere informazioni in modo
accurato. Di circa 5000 parole ascoltate in 50 minuti di lezione, gli studenti ne appuntano circa 500
e in media trascrivono circa il 90% delle informazioni scritte dal docente sulla lavagna. La lezione
Filippo Quitadamo 19
tradizionale favorisce di più gli studenti maggiormente dotati. Anche gli studenti più dotati, però,
hanno difficoltà a sostenere l'attenzione e l'interesse vivi per un’intera ora o più. Dopo circa 10
minuti, l'attenzione comincia a calare. Vari studi ci dicono che immediatamente dopo una lezione
(di 50 minuti), gli studenti ricordano circa il 70% di quanto presentato nei primi 10 minuti e il 20%
del contenuto presentato negli ultimi 10 minuti. E' vero quanto G.M. Bodner (1986) afferma:
<<insegnare e apprendere non sono sinonimi: possiamo insegnare, e insegnare bene, senza che gli
studenti imparino>>.
Il costruttivismo e l'apprendimento centrato sullo studente
Il costruttivismo è un nuovo quadro teorico di riferimento che pone il soggetto che apprende al
centro del processo formativo (learning centered), in alternativa ad un approccio educativo basato
sulla centralità dell'insegnante (teaching centered), quale depositario indiscusso di un sapere
universale, astratto e indipendente dal contesto di riferimento. La conoscenza:
• è il prodotto di una costruzione attiva da parte del soggetto;
• è strettamente collegata alla situazione concreta in cui avviene l'apprendimento;
• nasce dalla collaborazione sociale e dalla comunicazione interpersonale.
Secondo Bruner (1992) la conoscenza è un "fare il significato", vale a dire è un'operazione
d'interpretazione creativa che lo stesso soggetto attiva tutte le volte che vuole comprendere la realtà
che lo circonda.
L'apprendimento non è visto solo come un'attività personale, ma come il risultato di una
dimensione collettiva d'interpretazione della realtà. La nuova conoscenza si costruisce non solo in
base a ciò che è stato acquisito in passate esperienze, ma anche e, soprattutto, attraverso la
condivisione e negoziazione di significati espressi da una "comunità di interpreti".
Il fine ultimo non è l'acquisizione totale di specifici contenuti prestrutturati e dati una volta per tutte,
bensì l'interiorizzazione di una metodologia d'apprendimento che renda progressivamente il
soggetto autonomo nei propri processi conoscitivi.
Parafrasando Papert (1994), uno dei maggiori esponenti del costruttivismo o del costruzionismo
come ama chiamarlo lui, possiamo dire che lo scopo dell'istruzione non è quello di "alimentare" le
persone con del sapere codificato (pesce), ma è quello di assumersi il compito di far scoprire al
soggetto stesso le specifiche conoscenze di cui ha bisogno (pescare). Il vero sapere che si promuove
è quello che aiuterà ad acquisire altro sapere (imparare a imparare, metacognizione), allestendo
ambienti di apprendimento efficaci (Jonassen, 1994). Lo stesso Jonassen, uno dei maggiori fautori
dei nostri tempi del costruttivismo, si limita a delineare una serie di raccomandazioni fondamentali
che un ambiente d'apprendimento di questo tipo dovrebbe sempre promuovere:
• dare enfasi alla costruzione della conoscenza e non alla sua riproduzione;
Filippo Quitadamo 20
• presentare compiti autentici (contestualizzare, piuttosto che astrarre);
• offrire ambienti di apprendimento derivati dal mondo reale, basati su casi, piuttosto che
sequenze istruttive predeterminate;
• favorire la riflessione e il ragionamento;
• permettere costruzioni di conoscenze dipendenti dal contesto e dal contenuto;
• favorire la costruzione cooperativa della conoscenza, attraverso la collaborazione con altri.
Il modello costruttivistico può essere sintetizzato in una singola frase: la conoscenza è costruita
nella mente di colui che impara. Un ramo del costruttivismo è il "costruttivismo sociale”, secondo
cui l'intersoggettività tra attori è il prerequisito e il "luogo" per imparare a elaborare strumenti di
comprensione della realtà.
Driver e altri propongono una "costruzione sociale" dell'apprendimento scientifico: la conoscenza
scientifica è costruita quando gli studenti sono attivamente impegnati in discussioni e attività
riguardanti problemi scientifici. Questa nuova concezione, che vede lo studente attivamente
coinvolto nella costruzione della conoscenza, ha sostituito la visione del "comportamentismo" che
considerava l'apprendimento centrato sulla struttura stimolo-risposta.
Secondo Vygotsky, lo sviluppo cognitivo è un processo di costruzione sociale e la capacità di
ragionare aumenta nell'interazione con i propri pari e con persone maggiormente esperte.
McKeachie sostiene che, interagendo con i propri pari, lo studente opera una maggiore
elaborazione cognitiva e può ammettere e chiarire la propria confusione. Per questo lavorare in
gruppo accresce le capacità di ragionamento critico. Con il CL si passa a un nuovo ruolo del
docente: da depositario assoluto del sapere a guida, a ingegnere educativo (Cohen), a un nuovo
ruolo del discente: da ricettore passivo a costruttore attivo di conoscenza.
Vantaggi e obiettivi del CL
Sono molti i vantaggi che il CL comporta, sul piano cognitivo e interpersonale. Rispetto a
un’impostazione del lavoro tradizionale, la ricerca mostra che il CL presenta questi vantaggi:
Gli studenti ottengono migliori risultati: i ragazzi lavorano di più e raggiungono risultati migliori,
memorizzano meglio e più a lungo, sono più motivati e passando più tempo sul compito, sviluppano
livelli superiori di ragionamento e capacità di pensiero critico, migliorano la padronanza linguistica
così come la creatività e fantasia.
Relazioni positive tra gli studenti: si crea lo spirito di squadra e rapporti di amicizia e sostegno; la
diversità può essere problema oppure ricchezza, il gruppo si confronta anche su questo. A tale
proposito si sono, infatti, osservate alcune evoluzioni in ambito cognitivo e relazionale. Mentre, la
lezione frontale offre poche occasioni per favorire il contatto interpersonale tra compagni e stimola
la competizione creando “distanza” tra alunni dotati e alunni in difficoltà, l’apprendimento
Filippo Quitadamo 21
cooperativo favorisce la comunicazione tra studenti e con l’insegnante, aumenta il sostegno
reciproco e il rispetto della diversità (Sharan Y., Sharan S., 1998).
Maggiore benessere psicologico: nel medio termine migliora l’immagine di sé e l’autostima, con
una maggiore capacità di affrontare difficoltà e stress. [Apprendimento Cooperativo in classe. Migliorare il
clima emotivo e il rendimento. David W. Johnson, Roger T. Johnson e Edythe J. Holubec].
In conclusione, i vantaggi del CL interessano tre componenti:
1. motivazionale: la risposta dell’uno aiuta quella dell’altro. Il gruppo è mezzo per conseguire
gli obiettivi di apprendimento individuale.
2. sociale: necessità nella società di oggi di interdipendenza positiva, di abilità sociali.
3. cognitiva: l’interazione fra gli allievi su obiettivi cognitivi aumenta la padronanza dei
concetti.
Nelle scuole statunitensi sembra emergere la tendenza a disporre i banchi a cerchio o a ferro di
cavallo, oppure divisi in tanti quadrati o triangoli per 4÷6 alunni ognuno. Nel primo caso,
l'insegnante sta al centro, nel secondo si sposta da un gruppo all'altro. In certe scuole, la
disposizione dei banchi cambia più volte al giorno, a seconda degli insegnanti o delle materie. E
non mancano le classi dove anziché banchi si trovano tavoli, o dove i ragazzi siedono a terra sul
tappeto. Una rivoluzione che suscita perplessità in molti genitori e apre dibattiti alla radio, tv e nei
giornali. Il cambiamento è cominciato una decina di anni fa e pare che le classi con i banchi in fila
siano ora una minoranza. Il merito o la colpa è attribuito al Cooperative learning (imparare
collaborando) praticato in circa il 60% delle scuole americane. Sebbene non sia dimostrato, esso
vuole che gli allievi studino di più e meglio se distribuiti in piccoli gruppi di 4÷6.
Filippo Quitadamo 22
Roger Johnson sostiene che, "non più ostaggi delle file, i ragazzi imparano il lavoro di squadra,
soprattutto se divisi in gruppi" e "questo metodo è molto più fruttifero". Johnson ritiene, addirittura,
che la disposizione dei banchi debba cambiare con le materie "perché ciascuna richiede un diverso
ambiente". Pertanto, l’apprendimento cooperativo è lo strumento ideale per perseguire differenti
obiettivi in classi eterogenee: a livello di conoscenza, di sviluppo di abilità sociali e di abilità
procedurali, a livello di competenza. All'interno dello stesso gruppo, infatti, è possibile creare
interdipendenza positiva dando ad ogni studente i materiali, i compiti, gli strumenti più adatti al suo
percorso di crescita e di maturazione per:
⇒ elevare il livello di tutti gli studenti
⇒ costruire relazioni positive (comunità di apprendimento).
⇒ fornire agli studenti le esperienze di cui hanno bisogno per un sano sviluppo cognitivo,
sociale, psicologico.
Attività Maturazione
cognitiva
Maturazione
emotiva
Maturazione
sociale
Lezione frontale alta nei più bravi
bassa nei meno coinvolti
Nulla
Nulla
Lezione in CL o AC Alta in tutti Alta Alta
Insomma, utilizzando l’apprendimento cooperativo, all'interno della classe, può migliorare:
1. impegno e motivazione allo studio. Infatti, la motivazione è il risultato di un'interazione
caratterizzata da sostegno, incoraggiamento reciproco, clima positivo in classe.
2. rendimento scolastico. I fratelli Johnson affermano che la modalità cooperativa promuove
un livello superiore di prestazione pari a un miglioramento di circa due terzi rispetto
all'apprendimento tradizionale in termini di qualità e quantità delle competenze.
3. relazioni interpersonali. Si crea uno spirito di squadra, rapporti di amicizia e sostegno
reciproco, tra cui il miglioramento delle relazioni etniche grazie allo sviluppo delle abilità
Filippo Quitadamo 23
sociali (competenze comunicative, di negoziazione, di soluzione di problemi, decisionali).
4. benessere psicologico. Migliorano l'autostima, l'autosufficienza e il senso d’identità degli
studenti.
5. il piacere di stare in classe. Clima di classe positivo e accogliente attraverso la promozione
di principi democratici quali il rispetto, la partecipazione, l'uguaglianza, la fiducia.
6. abilità di ruolo. L'apprendimento cooperativo migliora l'abilità di assumere un ruolo
cognitivo e affettivo. In teoria, l'assunzione di un ruolo e le opportunità d’interazione
cooperativa sono correlate a uno sviluppo più alto di moralità.
7. risultati metacognitivi. Strategie cognitive indotte dal dover discutere e spiegare ad altri un
argomento, sviluppando, così, la metacognizione, cioè <<l’insieme delle attività psichiche
che presiedono al funzionamento cognitivo>> (Cornoldi C., 1995), finalizzata a <<saper
usare il sapere>> (Wiggins).
IL RUOLO DELL'INSEGNANTE
Sembra che agli insegnanti possano essere affidate alcune funzioni fondamentali:
1. aiutare gli allievi ad acquisire padronanza di abilità e di conoscenze disciplinari;
2. condurre la classe definendo regole e procedure, tenendo costante l'attenzione e la
partecipazione durante la lezione;
3. far socializzare gli studenti e mantenere un buon clima di classe.
Il ruolo dell'insegnante diviene quello di modello, consigliere, di guida, di "facilitatore" di processi
e apprendimenti, nel modellare la struttura cognitiva dello studente, minimizzando gli ostacoli e
fornendo un’impalcatura (scaffolding cognitivo-emotivo) per facilitare il trasferimento cognitivo.
Il docente che opera con il CL stimola gli allievi nell'impegno attivo e responsabile rispetto
all’apprendimento. Pertanto, con il CL si passa a un nuovo ruolo del docente: da depositario
assoluto del sapere, a guida, e a un nuovo ruolo del discente: da ricettore passivo a costruttore
attivo di conoscenza. La Cohen parla del ruolo dell’insegnante come “ingegnere educativo”
nell’ambito dei gruppi di cooperative learning e di “Istruzione Complessa” come metodo che vede
Filippo Quitadamo 24
nel lavoro di CL la possibilità di produrre il miglior apprendimento possibile, generando equità
sociale e senso della democrazia.
Elementi essenziali per il funzionamento del CL. Cosa rende efficace la cooperazione?
I gruppi hanno in questo contesto totale autonomia, perchè devono risolvere in maniera autonoma il
problema posto. Infatti, l’insegnante non deve interferire con il lavoro del gruppo, a meno di casi
particolarissimi, in cui è l’intero gruppo che ne richiede la presenza suggerendo e/o consigliando. I
gruppi sono strutturati tenendo conto della fascia d’età, del grado di abilità sociali posseduto, dei
livelli apprenditivi, degli stili cognitivi, delle motivazioni, dei contesti sociali, degli obiettivi da
perseguire. I cinque elementi che rendono efficace la cooperazione sono:
1) Interdipendenza positiva (complexus, complessità, Morin): gli studenti s’impegnano per migliorare
il rendimento di ogni membro del gruppo, non essendo possibile il successo individuale senza il
successo collettivo; è una caratteristica essenziale del CL, perchè il gruppo non può raggiungere
un determinato risultato senza l’apporto di ogni suo componente. Il successo del gruppo è dato
da un vero e proprio lavoro di squadra e per questo a ognuno deve essere attribuita una
responsabilità specifica. Gli alunni imparano in questo modo che il raggiungimento del profitto
personale non è l’unica finalità del processo di apprendimento.
L’interdipendenza positiva è la condizione che promuove l’attitudine a pensare il gruppo come
un tutto interconnesso, in cui il destino di uno è legato a quello degli altri e il successo di ogni
singolo membro dipende dal successo di tutti i membri. L’interdipendenza positiva non è
vissuta solo a livello soggettivo, perché il conseguimento dell’obiettivo dipende dall’impegno a
lavorare insieme, per tale motivo il singolo non si preoccupa solo del proprio rendimento, ma
anche di quello degli altri. Significa, pertanto, stabilire tra gli studenti rapporti per cui nessuno
possa riuscire individualmente se non con il successo dell’intero gruppo equamente distribuito.
Livelli d’interdipendenza: soggettiva e oggettiva.
Tipologie d’interdipendenza: nulla, negativa, positiva.
Tipologie di Interdipendenza positiva: dei premi, delle risorse, dei ruoli (assegnare ruoli
interconnessi), d’identità (nome al gruppo), ambientale (condivisione degli spazi).
L’interdipendenza positiva è un elemento essenziale del Cooperative Learning e nasce quando una
persona percepisce di essere vincolata ad altre per il perseguimento di un proprio obiettivo.
L’interdipendenza può essere anche oggettiva o soggettiva. È oggettiva quando l’attività prevede
necessariamente la collaborazione dei membri di un gruppo (in una squadra di calcio è
oggettivamente necessario che i suoi membri collaborino); è soggettiva quando questa necessità è
percepita a livello individuale da tutti i membri di un gruppo. Una persona potrebbe trovarsi in una
situazione d’interdipendenza oggettiva e non percepirla a livello soggettivo; di conseguenza
Filippo Quitadamo 25
potrebbe non collaborare con i compagni di gruppo, continuando a lavorare in modo
individualistico o competitivo.
L'interdipendenza positiva può essere raggiunta attraverso obiettivi comuni (interdipendenza di
obiettivo), la divisione del compito (interdipendenza di compito), la condivisione di materiali,
risorse, informazioni (interdipendenza di risorse), l'assegnazione di ruoli diversi (interdipendenza
di ruolo) e ricompense di gruppo (interdipendenza di ricompensa, Comoglio M., Cardoso M. A.).
Ad esempio i membri di un CdC hanno in comune il medesimo obiettivo (l'apprendimento), che
perseguono con compiti differenti (insegnare italiano, matematica, educazione fisica ecc.),
utilizzando in modo interdipendente le risorse che la struttura scolastica e il territorio mettono loro a
disposizione. All'interno della scuola bisognerebbe fare un discorso a parte per quanto riguarda i
ruoli differenti del Ds, degli insegnanti, del personale ausiliario e amministrativo, dei genitori e di
tutti quegli operatori (esperti) che effettuano interventi mirati nel corso dell'anno scolastico.
2) Responsabilità individuale e di gruppo: il gruppo è responsabile del raggiungimento dei suoi
obiettivi e ogni membro è responsabile del suo contributo; la responsabilità è individuale
rispetto al ruolo che viene attribuito a ogni componente del gruppo, mentre è collettiva rispetto
agli obiettivi comuni e condivisi che devono essere raggiunti. Ciò comporta che ognuno deve
essere messo in grado di conoscere la finalità generale del lavoro di gruppo, i metodi da
utilizzare e gli strumenti da adottare. Inoltre, ognuno deve essere messo in grado di apportare al
gruppo le proprie competenze specifiche. Quest’aspetto è strettamente legato a quello della
valutazione che non a caso riguarda il singolo membro e il gruppo nel suo insieme.
È favorita da:
⇒ interdipendenza positiva
⇒ sviluppo di competenze sociali
⇒ revisione costante.
Molti insegnanti ritengono che le attività di gruppo annullino la responsabilità personale. Questo
concetto non è però applicabile al CL. La variabile chiave che media l'efficacia della
cooperazione è il senso di responsabilità personale verso gli altri membri del gruppo per
raggiungere gli obiettivi del gruppo. Esso implica concludere la propria attività e facilitare il
lavoro degli altri membri del gruppo e sostenere i loro sforzi. In una situazione ad alta
interdipendenza positiva, la responsabilità individuale aumenta anziché diminuire, perché ogni
membro del gruppo ha interesse a raggiungere l'obiettivo e ricopre una mansione che solo lui
può ricoprire all'interno del gruppo. Per questo, la motivazione a portare a termine il lavoro e a
raggiungere l'obiettivo è più alta, non solo rispetto al lavoro di gruppo tradizionale, ma anche
rispetto al lavoro impostato in modo individualistico o competitivo (Comoglio M., Educare
insegnando, Las, Roma, 1998). Il concetto di responsabilità individuale si identifica nella necessità
Filippo Quitadamo 26
di collaborare a favore del compagno in difficoltà, non per sostituirlo, ma per aiutarlo in ciò che
gli è richiesto di fare, in quanto un risultato scadente influirebbe sulla prestazione finale di tutto
il gruppo.
3) Interazione costruttiva/promozionale faccia a faccia (punto cruciale): gli studenti devono
relazionarsi in maniera diretta per lavorare, promuovendo e sostenendo gli sforzi di ciascuno e
lodandosi a vicenda per i successi ottenuti (interazione promozionale faccia a faccia).
L’interrelazione fra i membri del gruppo è l’elemento che, da una parte permette di raggiungere
l’obiettivo della conoscenza, dall’altro quello del superamento dei conflitti all’interno delle
relazioni instauratesi nel gruppo. La finalità di tale interazione è lo scambio reciproco, il
sostegno e deve essere costruttiva, cioè basata sulla fiducia reciproca e sull’accettazione
dell’altro. Questo vuol dire non ridicolizzare l’altro, non criticarlo in sé come persona, ma
criticare le sue idee. Ciò spingerà, inoltre, le persone a esprimere con tranquillità le proprie
opinioni, senza temere di essere giudicati per questo. La condivisione delle risorse, ma anche
delle paure all’interno del gruppo, nell’ottica di un reciproco sostegno, aiuterà a lavorare non
solo sugli obiettivi dell’apprendimento in sé (e sulle diverse discipline oggetto di studio), ma
anche sulla costruzione di relazioni positive, che potranno rivelarsi preziose nei momenti
difficoltà che gli allievi incontreranno nel loro percorso scolastico. L’interazione promozionale
faccia a faccia è definita come il clima generale che si vive dentro il gruppo cooperativo di
lavoro. Star bene con gli altri quando si lavora insieme. Il clima è determinato da
comportamenti che esprimono atteggiamenti profondi di stima, rispetto, accettazione
reciproca. Per conseguire un tale obiettivo relazionale, necessitano tempi lunghi e dovrebbe
essere esteso a tutto l’ambiente scolastico. L’interazione promozionale si basa sui seguenti
comportamenti che favoriscono il raggiungimento di obiettivi comuni:
1. aiuto reciproco
2. scambio di informazioni
3. feedback reciproco
4. fiducia reciproca
5. stimolazione reciproca per una più alta qualità del compito
6. accettazione di una influenza reciproca
7. motivazione per il bene comune
8. ansia e stress moderati.
Secondo Comoglio e Cardoso «L'interazione promozionale faccia a faccia può essere definita come
l'incoraggiamento e la collaborazione reciprocamente scambiati per raggiungere gli obiettivi
condivisi e comuni». Un gruppo di lavoro può funzionare non solo quando le persone sono legate
tra loro da un rapporto d’interdipendenza, ma anche quando queste persone si dimostrano
Filippo Quitadamo 27
reciprocamente il piacere di lavorare assieme, si conoscono nei pregi e nei difetti, si apprezzano
reciprocamente, si valorizzano a vicenda, s’incoraggiano nei momenti di difficoltà.
4) Sviluppo di competenze e abilità sociali (come strumento di educazione alla cittadinanza): gli
studenti s’impegnano nei vari ruoli richiesti dal lavoro e nella creazione di un clima di
collaborazione e fiducia reciproca. Particolare importanza rivestono le capacità di relazione e di
gestione dei conflitti, che devono essere oggetto di insegnamento specifico, perché queste abilità
sociali non è possibile attuare un vero e proprio Cooperative Learning. Molti insegnanti pensano
che le abilità sociali siano qualcosa di quasi innato negli studenti e che non sia necessario spiegarle
loro. L’esperienza, però, dimostra l’esatto contrario e del resto la mancanza di abilità sociali è uno
degli ostacoli principali a un proficuo lavoro di gruppo. La capacità di relazione, di comunicazione,
di prendere decisioni, la funzione di guida, le strategie di soluzione positiva dei conflitti sono tutte
abilità sociali che si possono e si devono apprendere nei gruppi di lavoro cooperativo. Una società
competitiva e individualistica come quella attuale non facilita di certo l’apprendimento delle abilità
sociali e, perciò, la scuola può diventare un importante anello di congiunzione fra le storie
individuali e la costruzione di una solidarietà collettiva. Le conoscenze e abilità sociali devono
essere insegnate allo stesso modo in cui s’insegnano le conoscenze e abilità disciplinari. Tuttavia, la
trasformazione delle abilità sociali in competenze sociali è un processo piuttosto lungo; si tratta,
quindi, di un risultato non raggiungibile nell’immediato ovvero all’inizio di un processo di
apprendimento cooperativo.
L’interdipendenza positiva, su cui si fonda il gruppo di Cooperative Learning, ha nell’interazione
efficace fra i membri un suo punto cruciale. Perché tra i membri di un gruppo possa instaurarsi una
corretta relazione è necessario sviluppare e/o potenziare in essi una serie di competenze definite
competenze sociali. Queste possono essere riassunte nelle seguenti cinque grandi categorie:
a) comunicative (capacità di comunicare chiaramente);
b) di leadership (capacità di lavorare con altri);
c) nella soluzione negoziata dei conflitti (capacità relazionali);
d) nella soluzione dei problemi (capacità di problem solving);
e) nel prendere decisioni (capacità decisionali).
Esse possono essere insegnate direttamente o apprese indirettamente attraverso il lavoro in
condizioni d’interdipendenza positiva (Comoglio M., Cardoso M. A.).
Filippo Quitadamo 28
5) Revisione metacognitiva e duplice valutazione della prestazione (individuale e di gruppo)
Il gruppo fa un bilancio delle competenze acquisite, valuta i propri risultati e il proprio modo di
lavorare e si pone degli obiettivi di miglioramento, perchè deve essere messo in grado di
autovalutare il proprio processo formativo, quindi, individuare gli elementi positivi e negativi delle
proprie azioni, al fine di modificare alcuni comportamenti che possono incidere sull’efficacia del
lavoro di gruppo e sull’apprendimento. La valutazione deve includere un monitoraggio durante il
corso dei lavori e una valutazione finale complessiva di tutto il processo (processing). Oggetto di
valutazione devono essere sia i comportamenti individuali, sia quelli del gruppo nel suo complesso,
anche rispetto ai risultati raggiungibili da un punto di vista didattico. Come per l’apprendimento
delle abilità sociali, imparare ad autovalutarsi non è un fatto immediato, ma un processo lungo che
richiede la mediazione dell’insegnante.
Esiste una stretta relazione tra CL e didattica metacognitiva, perché entrambe diventano «imparare a
imparare». Infatti, l'insegnante che opera con il CL, in armonia con le teorie metacognitive,
favorisce gli allievi nell'impegno di essere attivo e responsabile rispetto all’apprendimento: per gli
insegnanti usare tecniche metacognitive vuol dire privilegiare non cosa l’alunno apprende, ma come
apprende, per creare il proprio bagaglio intellettuale e migliorare l’efficacia dei processi cognitivi. Il
ruolo dell'insegnante diviene quello di modello, di "facilitatore" di processi e apprendimenti e,
quindi, di cambiamenti strutturali nei discenti. Le attività in Cooperative Learning necessitano, per
essere più efficaci, di processi metacognitivi di controllo (PMC), da effettuare durante lo svolgersi
del compito (monitoring), oppure una volta terminata l'attività comune (processing). Anche
quest’attività incrementa la responsabilità individuale.
Monitoring (durante il lavoro)
⇒ scegliere le competenze che devono essere osservate
⇒ decidere se svolgere l'osservazione da solo o con uno studente
⇒ decidere come svolgere l'osservazione
Filippo Quitadamo 29
⇒ predisporre una scheda di osservazione.
Processing (al termine del lavoro) in gruppo e/o in classe:
a. sui comportamenti e non sulle persone
b. finalizzato a migliorare il lavoro e a rinforzare l'impegno, a pervenire a conclusioni
condivise, a registrare i progressi compiuti.
Nel CL abbiamo due valutazioni:
• valutazione didattica (individuale e di gruppo)
• valutazione sociale (individuale e di gruppo).
Il monitoring è molto importante soprattutto nel corso di attività che prevedono l'utilizzo di più ore
di lezione. Varie ricerche hanno dimostrato che questa variabile ha una grande importanza sul
miglioramento dei risultati. Infatti, se nascono errori di comprensione di qualche argomento,
problemi di metodo o conflitti interpersonali possono essere immediatamente individuati e
affrontati. Il processo di autovalutazione si fonda sul concetto di trasformare il processo valutativo
da elemento estrinseco all’apprendimento, a strumento funzionale all’apprendimento; quindi,
educare ad autovalutarsi impone non solo di esaminare la propria prestazione, ma anche quella dei
compagni e dell’intero gruppo, intervenendo sulle prestazioni stesse nel caso in cui fossero inferiori
agli standard richiesti. Ciò fornisce un continuo feedback reciproco sul lavoro svolto in uno stato di
tensione migliorativa costante. Ulteriore riflessione autovalutativa va fatta a livello di confronto fra
Filippo Quitadamo 30
i vari gruppi in cui è stata suddivisa la classe o il modulo. Utile strumento di supporto
all’autovalutazione è, infine, la costruzione del portfolio, perché dà agli studenti la possibilità di
orientare il loro apprendimento, documentandone gli sforzi, i traguardi, la crescita nel sapere, la
capacità di esprimersi e usare le proprie attitudini. Introducendo diffusamente l’apprendimento
cooperativo, la struttura organizzativa della classe diventa un contesto basato sul gruppo e sulla
qualità delle prestazioni, si tratta di un cambiamento fondamentale che influenzerà tutti gli aspetti
della vita del gruppo. L’intervento dell’insegnante nell’uso dell’apprendimento cooperativo, si
articola in quattro fasi:
1. programmare e prendere una serie di decisioni preliminari
2. spiegare agli studenti il compito assegnato e le modalità per lavorare insieme
3. condurre la lezione controllando i gruppi e intervenendo, se strettamente necessario
4. valutare la qualità del lavoro svolto ed assicurarsi che gli studenti discutano nei loro gruppi
l’efficacia della loro collaborazione.
L’apprendimento cooperativo rispetto all’insegnamento tradizionale: il valore aggiunto di CL
rispetto al lavoro di gruppo.
Studi recenti hanno dimostrato che, quando correttamente applicato, l'apprendimento
cooperativo è superiore non solo all'istruzione tradizionale, ma anche al semplice lavoro di
gruppo. Qual è allora il valore aggiunto tale da rendere il CL superiore a qualsiasi altra forma di
lavoro di gruppo? Le motivazioni più significative sono:
• Nei gruppi di cooperative learning l'interdipendenza positiva è alta, negli altri è inesistente;
• I gruppi di cooperative learning sono formati con il criterio dell'eterogeneità di competenze,
quelli tradizionali sono omogenei;
• Nei gruppi di cooperative learning la leadership è condivisa e distribuita, in quelli
tradizionali il leader è uno;
• Nei gruppi cooperativi si perseguono obiettivi rivolti al compito da svolgere e alla relazione
da creare, in quelli tradizionali l'attenzione è rivolta esclusivamente al compito;
• Nei gruppi cooperativi le competenze sociali sono sviluppate consapevolmente, in quelli
tradizionali sono date per scontate;
• Nei gruppi cooperativi è prevista una duplice valutazione (individuale per ciascun membro
e di gruppo); in questo modo ciascuno è responsabile del proprio lavoro, in quelli
tradizionali la valutazione è solo globale.
Filippo Quitadamo 31
Inoltre, molte ricerche hanno dimostrato che l'Apprendimento Cooperativo (AC) è un metodo in
grado di risolvere molti dei grandi problemi che gravano sui sistemi scolastici (Chiari, 1997):
• Gli studenti ottengono risultati migliori: memorizzano più a lungo, maggiore motivazione
intrinseca, sviluppo di livelli superiori di ragionamento e pensiero critico.
• Relazioni più positive tra gli studenti: spirito di squadra, amicizia, accettazione della
diversità, tolleranza, capacità di lavorare in team.
• Maggiore benessere psicologico: aumenta il senso di autoefficacia, l’autostima, la
autoconsapevolezza.
• Recupero degli allievi problematici, poco motivati allo studio e con problemi affettivi,
sociali, cognitivi e di apprendimento (DSA).
• Integrazione/inclusione degli allievi disadattati, handicappati o DSA o di diversi gruppi
etnici, linguistici, religiosi.
• Valorizzazione degli allievi bravi.
• Sviluppo delle competenze sociali, del senso civico, del rispetto dell'altro, della
partecipazione, della responsabilità, dell'interdipendenza.
• Sviluppo del cittadino democratico.
I quattro livelli della didattica metacognitiva per un apprendimento cooperativo
Secondo Ianes (Didattica speciale per l’integrazione, Erickson, 2001) un percorso didattico di CL,
basato sulla metacognizione, si può articolare in quattro livelli diversi, che rappresentano
altrettante dimensioni ben distinte della metacognizione (insieme delle attività psichiche che
presiedono al funzionamento cognitivo, Cornoldi, 1995).
Il 1° livello è quello in cui l’insegnante fornisce informazioni generali rispetto ai vari processi
cognitivi: la memoria (tipi di memoria, strategie d’immagazzinamento delle informazioni); la
percezione, l’attenzione, i vari tipi di apprendimento, le intelligenze multiple (Gardner, 1994).
Filippo Quitadamo 32
Il 2° livello riguarda l’autoconsapevolezza del proprio funzionamento cognitivo. Con questo
passaggio si procede dalle conoscenze generali sul funzionamento della mente alla conoscenza
del funzionamento specifico della mente di un certo studente. Lo studente è chiamato a prendere
coscienza dei propri processi cognitivi, rendendosi conto delle proprie debolezze o dei punti di
forza. Questa presa di coscienza deve necessariamente essere accompagnata da un clima di
accettazione, perché altrimenti l’emergere dei limiti potrebbe avere una ricaduta negativa
sull’autostima.
Il 3° livello concerne l’uso generalizzato di strategie di autoregolazione cognitiva. Il processo di
“controllo” riguarda l’autoosservazione, l’autodirezione e l’autovalutazione.
Il 4° livello riguarda le variabili psicologiche di mediazione:
• locus of control: questa espressione si può tradurre come il “luogo dove lo studente ritiene
si trovino i fattori responsabili di quello che gli accade e cioè le cause dei successi e degli
insuccessi”. In altri termini, il successo o l’insuccesso scolastico e negli apprendimenti
dipendono da me o da fattori esterni incontrollabili? Se credo che dipendano da me posso
impegnarmi per modificare la situazione, altrimenti vivo una condizione d’impotenza. In
questo secondo caso è necessario intervenire per modificare le convinzioni spesso profonde e
legate all’autostima (Non posso farcela, non ho le capacità, non dipende da me).
• stile di attribuzione: questa componente si riferisce agli atteggiamenti e alle convinzioni che
lo studente possiede riguardo alle strategie, alla loro utilità nel processo di apprendimento.
Non è possibile insegnare una strategia metacognitiva di memoria a uno studente che la
ritenga assolutamente inutile perché ritiene che “le informazioni dovrebbero rimanere in
mente dopo una lettura”.
Filippo Quitadamo 33
• senso di autoefficacia: questa variabile riguarda la convinzione delle proprie capacità di
raggiungere il successo nell’esecuzione di un compito: è il senso di “potercela fare”. Questa
variabile è molto influenzata dall’insegnante che trasmette fiducia, crede nelle potenzialità
degli studenti e produce una sorta di empowerment. È importante far sperimentare il
successo, calibrando prove alla portata dello studente. Una serie di insuccessi influisce
negativamente sul senso di autoefficacia.
• autostima: è il complesso di giudizi di valore e sentimenti che proviamo nei confronti dei
molti aspetti della nostra persona. Questa variabile ha un’importanza enorme nella vita
psicologica di tutti. L’autostima in qualche modo comprende in sé il locus of control e il
senso di autoefficacia e ha una profonda ricaduta nella vita in generale e in quella scolastica
in particolare. Le facilitazioni all’interno di un programma differenziato potrebbero ad
esempio essere vissute come una discriminazione che sancisce la propria inferiorità e
conseguente abbassamento dell’autostima. Il sentirsi il più possibile come gli altri è, quindi,
un obiettivo da raggiungere per rafforzare l’autostima. Inoltre, è fondamentale creare un
clima non minaccioso per l’autostima degli studenti: ad esempio, sarà impossibile attivare
una discussione se chi interviene corre il rischio di passare per stupido.
• motivazione: molte difficoltà di apprendimento sono da collegare ad un deficit di
motivazione intrinseca e cioè quella capacità di riconoscere l’importanza di un certo
apprendimento che produce un investimento spontaneo nello studio. La motivazione
estrinseca, al contrario è sostenuta dall’esterno attraverso l’uso sistematico di rinforzatori
positivi (non studio perché ritengo siano importanti quegli apprendimenti ma perché riceverò
dei premi o gratificazioni). La motivazione estrinseca è sollecitata il più delle volte con
l’intenzione di agganciare pian piano la motivazione intrinseca, ma talvolta si rimane solo a
questo primo livello.
Tipi di C.L.
Formale: esercizi lunghi e impegnativi sottoposti a gruppi di studenti che lavorano insieme per una
parte significativa del corso. Può protrarsi per alcune settimane.
Modi di lavorare in
gruppo
Forma cooperativa Forma individuale Forma competitiva
CL Formale CL Informale CL non formale
Filippo Quitadamo 34
Informale: in genere si crea all'interno di una singola lezione e si utilizza per cercare di stimolare la
curiosità dei ragazzi attivando un processo cognitivo che permetta loro di creare una condizione
utile e favorevole all'apprendimento e allo sviluppo degli argomenti che saranno ampliati ed
approfonditi durante la lezione stessa.
Non Formale: è costituito da soggetti che presentano caratteristiche e peculiarità diverse ma,
considerato il perdurare della loro collaborazione, almeno un anno, permettono la creazione di
legami significativi all'insegna dell'assistenza sostenibile, del collaborativo incoraggiamento,
dell'avvalorabile sostegno e del fattivo ed indispensabile aiuto.
Nel CL informale, è chiesto agli studenti di mettersi insieme a vicini di posto, in gruppi di 2÷4
persone e si assegna il compito di scrivere a uno scelto a caso (gli studenti si contano, 1, 2, 3, ... e il
docente assegna il compito: "il numero 2 di ogni gruppo scriverà questo esercizio"). Il docente
propone poi una questione o un problema, dando agli studenti un tempo compreso tra 30 secondi
fino a 5 minuti per lavorare e soltanto a quello scelto è permesso scrivere; allo scadere del tempo
chiede ad alcuni studenti, appartenenti a gruppi diversi, la risposta elaborata dal proprio gruppo. La
questione può riguardare spiegazioni precedenti, impostare la soluzione di un problema, completare
dei passaggi mancanti in un procedimento di calcolo o in una procedura sperimentale o l'analisi di
dati, formulare una spiegazione su un’osservazione sperimentale, ipotizzare una serie di cause,
riassumere una lezione, generare una o due domande sugli argomenti relativi a una certa lezione,
elencare i possibili difetti di un esperimento o di un progetto di un esperimento industriale, o
rispondere a domande che il docente normalmente chiede alla classe durante una spiegazione. Una
variante a questo metodo è la coppia che ragiona insieme (think-pair-share), dove il docente chiede
prima di formulare individualmente delle risposte, e poi di mettersi insieme a coppie, per
sintetizzare una risposta, mettendo insieme le risposte individuali. Poi ad alcuni studenti,
appartenenti a coppie diverse, sarà chiesto di fornire le loro risposte. Richiedere la risposta ad alcuni
studenti rafforza l'idea della responsabilità personale ed è una caratteristica essenziale di
quest’approccio. Se il docente chiede a dei volontari, gli studenti hanno pochi incentivi per
partecipare attivamente, sapendo che non hanno nulla da perdere se restano passivi. Se, invece,
sanno che chiunque può essere chiamato, il desiderio di evitare il conseguente imbarazzo, motiverà
la maggior parte ad avere pronta la miglior risposta possibile. Nel CL formale, gli studenti lavorano
in gruppi su certi problemi o su progetti o su relazioni di laboratorio. Parte del lavoro può essere
fatto in classe o fuori. Un’interdipendenza positiva si ottiene assegnando differenti ruoli a diversi
membri del gruppo, fornendo un training specifico nei differenti aspetti del progetto ai diversi
membri del gruppo assegnando a caso ai diversi membri la parte della relazione sui differenti aspetti
del progetto e dando un giudizio all'intero gruppo su quanto hanno fatto bene, valutando in modo
Filippo Quitadamo 35
complessivo il progetto del gruppo. L'impegno individuale è assicurato esaminando ogni studente
su ogni aspetto del progetto elaborato dal gruppo.
Modelli di AC
I modelli di Apprendimento Cooperativo sono molti, i più diffusi sono:
• Random: nel quale si suddivide la classe in gruppi, in rapporto al numero degli alunni (es.
25 alunni = 5 gruppi). In seguito, sono assegnati casualmente dei compiti e, in base
all'argomento da trattare, gli alunni scelgono o cercano di individuare i compagni che hanno
optato la medesima preferenza;
• Learning Together/Circles Of Learning di Johnson & Johnson, 1975, 1984
• Jigsaw di Aronson, 1978: permette di responsabilizzare ed interessare attivamente gli alunni
ad un particolare tema stabilito a priori dal docente. Gli studenti sono suddivisi in gruppi
eterogenei e, grazie a una procedura articolata in 10 fasi, ogni studente deve imparare una
parte dell'argomento, che può inizialmente confrontare con un gruppo di discussione
parallelo, cioè che possiede le sue stesse informazioni, ma che, in un secondo momento,
dovrà provvedere ad esporre al proprio gruppo, cercando di rendere interessante e dinamico
l'assunto. L'argomento generale, quindi, potrà e dovrà essere compreso e discusso solo
grazie alle parziali informazioni di ogni singolo membro. Al termine del lavoro svolto in
gruppo, quale verifica di comprensione, sarà somministrato un test individuale sull'intero
argomento. I partecipanti al “gruppo eterogeneo Jigsaw” godono del sostegno e del supporto
delle informazioni ricevute da ogni singolo componente; infatti, tutti i concetti sono utili per
completare il puzzle di nozioni necessarie a redigere il test individuale finale, fornendo così
al docente garanzia di apprendimento e comprensione, da parte di tutto il gruppo, di quello
che risulta essere l'argomento oggetto di questione. Si attua, così, una procedura
di scaffolding, dove i singoli membri acquisiscono competenza, fino a diventare autonomi
grazie all'apporto delle conoscenze e al sostegno di tutti gli altri membri del gruppo.
• Groups Of Four di Burns, 1981
• Co-Op Co-Op di Kagan, 1985
• Group Investigation / Small Group Teaching di Hertz- Lazarowitz, 1980
• Student Team Learning di Slavin, 1978, 1986
• Controversia: consiste nella divisione in gruppi di quattro, dove è trattato un argomento già
conosciuto dai componenti, i quali si suddividono ulteriormente in 2 sottogruppi
esaminandone l'uno gli aspetti positivi, le ragioni, l'altro gli aspetti opposti e relativi alla tesi
da illustrare. La ricerca si conclude con l'esposizione, il confronto e la discussione delle
Filippo Quitadamo 36
informazioni e la stesura dell'argomentazione generale, unitamente ad una prova di
valutazione.
Contesto competitivo
<<L’insegnante è di fronte alla classe: pone domande agli allievi. Dopo ogni domanda un
numero di mani si alzano. Alcuni allievi allungano le mani nella speranza di essere chiamati.
Altri non alzano la mano e cercano di non incrociare gli occhi dell’insegnante nella speranza di
non essere chiamati. L’insegnante chiama Michele. Mario, che siede vicino a Michele, conosce
la risposta giusta e sa che, se il compagno non sa rispondere, l’insegnante può chiamare lui. In
effetti, l’unico modo in cui Mario può ottenere un riconoscimento in questa situazione, è che
Michele fallisca. E’ naturale che, in questa struttura di classe così competitiva, gli studenti
comincino a provare piacere del fallimento degli altri >>.
Contesto cooperativo
<<In contrasto con le relazioni tra pari della classe tradizionale è la positiva interdipendenza
fra i membri del gruppo nelle classi cooperative. Il successo di ogni membro del gruppo porta a
migliori ricompense (voti, riconoscimenti, premi) per gli altri. In questo tipo di struttura gli
studenti tendono a sperare che i propri compagni facciano bene, incominciando in tal modo ad
adottare un atteggiamento protosociale nei confronti dei propri compagni che tenderà ad essere
generalizzato nei confronti degli altri >>.
Il modello del Jigsaw (gioco di pazienza come il puzzle, di costruzione ad incastro)
Il Jigsaw è una specifica tecnica di cooperative learning che ha raggiunto ormai trent'anni di
successi in campo educativo e didattico (Slavin R.E., 1983); è un modo efficiente di organizzare
l'apprendimento dei materiali; è un processo che incoraggia l'ascolto, il coinvolgimento e l'empatia,
dando a ciascuno alunno una parte essenziale da giocare per realizzare il personale successo
formativo adeguato ai propri bisogni. Proprio come in un puzzle, ogni pezzo, ogni parte attribuita a
uno studente è essenziale per la piena comprensione e il completamento del prodotto finale. Se ogni
parte di lavoro è essenziale, allora anche lo studente che la possiede è essenziale: è proprio questo
che rende questa strategia efficace. Si può lavorare in jigsaw con gli alunni di una stessa classe
divisi in gruppi da 4÷5 studenti ciascuno. Gli studenti leggono parti di un argomento, diverse da
quelle lette dai compagni di gruppo. Ad esempio, se l'argomento fosse lo studio di un particolare
autore di letteratura, uno studente studia il materiale riguardante la vita, un altro quello riguardante
le opere, un altro le valutazioni critiche degli esperti e un altro il contesto storico sociale che
connota l'epoca in cui ha vissuto l'autore. Al termine del lavoro ogni studente tornerà al suo gruppo
casa e presenterà una relazione ben organizzata al proprio gruppo. La situazione è molto strutturata
Filippo Quitadamo 37
al punto che il solo accesso che ogni membro ha rispetto ai materiali degli altri dipende dall'ascolto
attento alla relazione delle altre persone nel gruppo.
I gruppi esperti
Per migliorare il grado di accuratezza nel relazionare, gli studenti non riportano direttamente in
gruppo il risultato del loro lavoro, ma s’incontrano precedentemente con altri alunni "esperti" dello
stesso argomento per raccogliere informazioni, approfondire il loro argomento e ripetere le loro
presentazioni. Slavin chiama questi "gruppi esperti". Ciò è particolarmente utile per quegli studenti
che hanno iniziali difficoltà nell'apprendimento o che si confondono nell'organizzazione del lavoro.
I gruppi casa
Quando ogni relatore ha raggiunto una certa scioltezza e fluidità nell'esporre, gli studenti tornano al
gruppo casa eterogeneo e l'esperto di "vita dell'autore" insegna ai compagni di gruppo ciò che ha
imparato in modo da istruire tutti i compagni nella sua "specialità". Al termine delle relazioni ogni
studente è sottoposto ad una valutazione costruita dai suoi compagni di squadra.
Il compito comune
I membri del gruppo devono lavorare insieme per raggiungere uno scopo comune e ogni persona
dipende dalle altre. Nessuno studente può comprendere completamente se non lavora con gli altri.
Questa cooperazione è determinata dalla progettazione stessa della lezione e facilita l'interazione tra
gli studenti, portandoli a valutare i contributi degli altri come un compito comune.
Il Jigsaw in dieci passi
Il jigsaw è un metodo abbastanza semplice che si può utilizzare proficuamente seguendo questi
dieci passi:
1. Dividere gli studenti in gruppi di 4÷5. Il gruppo dovrebbe essere eterogeneo per genere, età,
etnia e abilità.
2. Scegliere uno studente per gruppo come responsabile. Inizialmente questa persona dovrebbe
essere l'alunno più maturo del gruppo.
3. Dividere la lezione del giorno in 4÷5 segmenti (come nell'esempio sopra riportato della
letteratura). Ogni gruppo deve avere materiale di studio identico, costituito dai 4-5 segmenti
didattici che formano l'intera lezione.
4. Assegnare a ogni alunno una parte da imparare e assicurarsi che ogni studente abbia accesso
solo alle sue informazioni (a ogni studente viene affidato un segmento di lezione).
5. Dare agli studenti il tempo di leggere, almeno due volte la loro porzione di studio, per
familiarizzare con essa, senza il bisogno di memorizzarla.
Filippo Quitadamo 38
6. Formare "gruppi esperti" (di 4÷5 persone ciascuno) temporanei unendo tra loro alunni che
abbiano la stessa parte. Dare agli esperti del tempo, per discutere dei punti essenziali del
loro paragrafo e per ripetere la presentazione che faranno al gruppo.
7. Far tornare gli esperti al loro gruppo casa (gruppo di partenza).
8. Chiedere a ognuno di presentare la propria parte nel gruppo. Incoraggiare gli altri a fare
domande di chiarificazione.
9. Girare tra i gruppi osservando i processi. Se sorgono dei problemi (qualche membro domina
sugli altri) intervenire in modo appropriato. Può essere anche opportuno lasciare che il
"responsabile" di gruppo si occupi di ciò. I responsabili possono essere aiutati a gestire
sussurrando un suggerimento su come intervenire finche non padroneggiano da soli la
situazione.
10. Alla fine della sessione di lavoro dare un breve compito (un quiz) in modo da permettere
agli alunni di capire che la sessione non è stata un gioco ma conta realmente per
l'apprendimento.
Le fasi
Obiettivo del metodo: promuovere e strutturare l'interdipendenza positiva all'interno del gruppo di
lavoro. Il metodo è strutturato in tre fasi principali:
1. formazione del gruppo base
2. formazione del gruppo esperti
3. Ritorno al gruppo base.
Osservazioni
⇒ La consegna deve essere chiara
⇒ Tutti devono lavorare e sentirsi responsabili dell'apporto che porteranno al gruppo
⇒ Condizione: l'argomento deve essere suddivisibile in parti.
Prima fase: gruppo base
A. definire l'argomento principale su cui lavorare
B. formazione del gruppo di base originario, consegna di tutto il materiale suddiviso per
argomenti, con un argomento ad ogni membro del gruppo. Esempio: si sono trovati quattro
argomenti-parte, il gruppo sarà formato da quattro persone e ognuna delle quali lavorerà su
una parte.
Seconda fase: gruppo di esperti
C. Formazione del gruppo di esperti. Incontro tra studenti che hanno studiato la stessa parte di
argomento, ma in gruppi diversi. Obiettivo: informare e imparare a insegnare agli altri,
acquisire nuove informazioni. Come si può lavorare nel gruppo di esperti? Adottare diverse
modalità di lettura dell'argomento: lettura veloce, evidenziazione dei concetti chiave, fare
Filippo Quitadamo 39
una sintesi e poi discutere, cercare parti chiare e quelle contraddittorie, cercare la struttura
essenziale del testo, creare dei ruoli (chi scrive, chi legge, chi tiene il tempo).
Terza fase: ritorno al gruppo base
Ritorno al gruppo base originario. Ognuno torna dal gruppo originario arricchito dalle informazioni
che ha reperito nel gruppo di esperti. Al termine del confronto tutti devono sapere tutto.
L'insegnante può preparare un test in cui verificare che ognuno abbia acquisito tutte le competenze.
D. Elaborazione di una sintesi ed esposizione all'assemblea.
Cooperative Learning e bisogni educativi speciali (BES)
Coloro che sono a favore del CL ritengono che questo metodo sia fondamentale per gli studenti con
bisogni educativi speciali, come portatori di handicap, superdotati, appartenenti a minoranze
linguistiche e culturali, incidendo in positivo sul rendimento scolastico e favorendone l’integrazione
o, meglio, l’inclusione. Si tratta di una metodologia che rafforza la motivazione e da questo punto di
vista va maggiormente incontro a coloro che hanno necessità particolari, a volte frustrate dalla
tradizionale e quotidiana pratica dell’insegnamento che può risultare demotivante. Infine, è
importante sottolineare che “l’apprendimento cooperativo migliora e rinforza le relazioni
interpersonali fra studenti “diversamente abili” e studenti normali”. Infatti, quando la classe assume
un atteggiamento cooperativo, anziché competitivo, gli studenti disabili possono contribuire al
successo del gruppo ed è più probabile che in questo modo siano da esso accettati. In presenza di
ragazzi con handicap, gli insegnanti dovrebbero preoccuparsi di personalizzare l’intervento nel
senso di adattare le aspettative dell’allievo e i compiti richiestigli, in maniera adeguata rispetto alle
sue abilità e ai suoi bisogni specifici.
Lo stesso Vygotskij sostiene che il mettere insieme delle diversità, poiché ognuno è portatore di una
diversità, offre la possibilità a tutti di arricchirsi e da questo punto di vista molti autori ritengono
importante che sia rispettato il criterio dell’eterogeneità del gruppo di CL, anche se questo non
impedisce di formare in altri casi gruppi più omogenei, per il raggiungimento di obiettivi specifici.
In definitiva, la strategia di apprendimento cooperativo rappresenta la possibilità di offrire una
risposta personalizzata ai bisogni educativi di ciascuno e, a maggior ragione, a chi è portatore di
bisogni educativi speciali.
La personalizzazione (che si contrappone all’individualismo) e l’integrazione/inclusione delle
diversità sono occasioni di conoscenza e rispetto delle differenze, di lavoro comune e modalità di
trovare il proprio percorso individualizzato e personalizzato, in un contesto di solidarietà,
cooperazione e rispetto reciproco.
Filippo Quitadamo 40
CONSIDERAZIONI FINALI
Dall’approccio costruttivista all’apprendimento significativo: nuovi modelli di insegnamento-
apprendimento.
Le teorie sull’apprendimento che fanno riferimento in particolare a Bruner e Vygotskij
considerano la natura della conoscenza intrinsecamente contenuta nell’ambiente in cui si
costruisce: l’apprendimento diventa un atto di appartenenza a una comunità, con uguali diritti di
ogni membro, anche del meno esperto, di partecipare pienamente alle pratiche, ai discorsi, alle
risorse. Si punta alla valorizzazione delle differenze più che dell’uniformità: sul creare situazioni
di apprendimento collaborativo, in cui possano essere messi a frutto i saperi e le competenze di
tutti, non solo dell’insegnante, prevedendo “impalcature di scaffolding cognitivo e affettivo” e
d’incentivazione della vygotskijana “zona di sviluppo prossimale”. In queste concezioni il ruolo
dell’insegnante si qualifica, più che in termini trasmissivi, nella funzione di facilitatore
dell’interazione, della scoperta e della collaborazione fra gli allievi. In contesti così caratterizzati,
in cui gli scopi, le attività, la loro convalida, dipendono non solo da chi insegna, ma anche da chi
impara, si creano le condizioni ideali per realizzare una vera partecipazione ai processi formativi
e una reale comprensione del loro senso.
Secondo il paradigma costruttivista, che ha rivelato il carattere sociale della costruzione della
conoscenza, l’apprendimento non è più visto come acquisizione individuale e decontestualizzata,
bensì come processo sociale e situato, di partecipazione a specifiche comunità di pratiche.
Apprendere diventa una pratica inserita in un contesto significativo di attività e dipende dal
partecipare direttamente a tali attività. In questa prospettiva, la relazione rappresenta il contesto
vivo e vitale dell’apprendimento, la rete in cui la conoscenza di una data comunità è distribuita e
in cui si intersecano il piano sociale a quello individuale. Apprendere significa accedere alla vita
di tale contesto, sia diventando membro della comunità di pratiche socialmente e culturalmente
definite, sia impadronendosi della sua specifica contestualità e della sua sottostante struttura
relazionale. Questa ulteriore acquisizione rappresenta l’aspetto “metacognitivo” e “meta-
relazionale” dell’apprendere, cioè la comprensione dei presupposti impliciti e specifici ad una
determinata situazione di apprendimento, ma anche la capacità di “riflettere su”, “passare
attraverso”, “mettere in connessione” situazioni diverse. In questo senso, “apprendere il contesto”
significa non solo “apprendere in contesti relazionali”, ma soprattutto “apprendere contesti
relazionali”, componente che definisce il significato più proprio dell’apprendimento: “apprendere
ad apprendere”. La metodologia del CL, quindi, ritiene che sia fondamentale inserire gli allievi in
contesti sociali in cui possano apprendere con e dagli altri. E’ un metodo d’insegnamento ad
Filippo Quitadamo 41
anello aperto, attivo, basato sulle risorse degli allievi che apprendono cooperando per il
conseguimento di un obiettivo comune. Scommette sull’idea che la dimensione sociale
dell’apprendimento possa influenzare positivamente le altre componenti. Si tratta di una
metodologia didattica che prevede la formazione di gruppi eterogenei di lavoro e di
apprendimento, composti generalmente da 4÷6 alunni. Affinchè ci sia un’efficace collaborazione
e cooperazione, ci deve essere una reale interdipendenza tra i membri del gruppo, un impegno nel
mutuo aiuto, un senso di amicizia, di appartenenza e di responsabilità per il gruppo e per i suoi
obiettivi, che devono essere condivisi. All'interno del gruppo gli alunni collaborano spiegando
l'un l'altro le strategie, correggendo a vicenda gli esercizi, valutando e discutendo insieme i
risultati e l'andamento di quanto stanno facendo. Apprendere in modo cooperativo vuol dire
anche aiutarsi reciprocamente, spiegandosi strategie e usando un linguaggio tra pari, che risulta
essere più efficace di quello usato dall'insegnante o da altri adulti esperti. Il Cooperative
Learning si pone l’obiettivo di migliorare l'apprendimento scolastico insegnando
contemporaneamente agli studenti a lavorare in modo cooperativo, sfruttando al massimo le
potenzialità e le risorse dei singoli, che mettono a disposizione del gruppo le proprie conoscenze
e competenze per costruire nuovo sapere. Infatti, la conoscenza più efficace e significativa è
quella che nasce da un processo di costruzione sociale (Vygotsky), interpellando gli altri,
condividendo, partecipando e interagendo all’interno di una comunità di apprendimento. C’è
bisogno di persone in grado di creare un’interdipendenza positiva all’interno dei gruppi in cui
lavorano, perché solo una situazione d’interdipendenza positiva favorisce la soluzione di quei
problemi complessi che, oggi, singoli e aziende devono affrontare. L’interdipendenza positiva si
realizza quando, all’interno di un gruppo, si risolve un problema con il contributo effettivo di
tutti i suoi membri, impegnati con mansioni diverse a perseguire il medesimo obiettivo. Per
creare interdipendenza positiva, per fare in modo cioè che i gruppi-lavoro riescano a perseguire i
loro obiettivi in modo cooperativo, le persone che li compongono devono essere in grado di
mettere in atto un repertorio di comportamenti verbali e non verbali, definito come insieme delle
competenze sociali, in altre parole l’insieme dei comportamenti che una persona deve imparare
ad adottare per lavorare in gruppo in modo costruttivo.
Il Cooperative Learning non presume che i membri di un gruppo cooperativo possiedano già
queste competenze; ritiene che il lavorare in gruppo favorisca la loro acquisizione, soprattutto se
attentamente esaminate. Esse possono essere insegnate direttamente o apprese indirettamente
attraverso il lavoro in condizioni d’interdipendenza positiva. Il CL, pertanto, è soprattutto un
modo nuovo di fare “scuola” che integra diverse prospettive che sono oggi all’attenzione della
ricerca educativa più avanzata, come la comunità d’apprendimento, l’insegnamento
individualizzato, la personalizzazione, la valutazione e la cognizione. Cooperative learning è
Filippo Quitadamo 42
molto più che far lavorare studenti in gruppi e chiedere loro di scrivere una relazione sui loro
sforzi e una positiva interdipendenza tra i membri del gruppo, far sentire ogni membro del
gruppo responsabile per i risultati del gruppo, avendo ciascuno almeno in parte contribuito al
risultato nell'interazione faccia a faccia, aiutandoli a sviluppare le abilità di comunicazione e di
rapporto interpersonale, necessarie per l'effettivo funzionamento del gruppo, e periodicamente la
valutazione da parte degli studenti, del lavoro di gruppo. La letteratura indica che
l'apprendimento cooperativo, quando viene attuato in modo appropriato, è superiore
all'apprendimento tradizionale attraverso la lezione. Benché gli istruttori che usano il CL possano
incontrare una iniziale resistenza ed anche ostilità in alcuni studenti, se essi seguono le istruzioni
da tempo stabilite, i benefici prodotti nei loro studenti supereranno di gran lunga le difficoltà
incontrate. McKeachie attribuisce il successo del CL al fatto che interagendo con i propri pari, lo
studente opera una maggiore elaborazione cognitiva e può ammettere e chiarire la propria
confusione.
Uno dei concetti fondanti del CL è il modellamento, cioè imparare attraverso l'osservazione e
l'imitazione dei comportamenti. Facilita l'apprendimento, incoraggia l'acquisizione di abilità
sociali e di comportamenti attivi. E' una strategia d’inclusione perché aiuta le persone ad
affrontare problemi emotivi, sviluppa competenze utili per l'integrazione sociale, per l'autonomia
personale, per una crescita cognitiva. E' una strategia che promuove il senso di appartenenza e la
metacognizione, è un metodo d’insegnamento/apprendimento in cui la variabile significativa è la
cooperazione fra gli studenti, un metodo a mediazione sociale, perché le risorse sono costituite
dai discenti che, condividendo responsabilità e impegno, sviluppano e migliorano le relazioni
sociali in funzione anche di un miglior livello di apprendimento. L'apprendimento non è più solo
un processo individuale, ma, sociale e contestuale. La conoscenza, il sapere, non esistono
indipendentemente dal soggetto e dal contesto, quindi, hanno carattere situato, si svolgono con la
collaborazione e negoziazione sociale (competenza è conoscenza contestualizzata). Il gruppo e il
contesto sono intesi come risorsa per la negoziazione di significati. Il gruppo assume un
significato strumentale, un mezzo per l'apprendimento individuale, grazie all'interdipendenza
positiva che produce abilità cognitive e sociali (ascolto, motivazione, disponibilità al confronto,
partecipazione, coinvolgimento, accettazione del diverso, collaborazione).
Il CL, in buona sostanza, permette di: affrontare situazioni complesse e sfidanti, valorizzare
risorse personali insospettate (empowerment), apprezzare il valore della responsabilità
individuale e condivisa, della collaborazione, accettare il diverso e la conoscenza come sforzo
condiviso, saper prendere decisioni, sapere esprimere e comunicare il proprio pensiero, fare
autovalutazione e autocontrollo. Il gruppo classe è una risorsa educativa e didattica finora
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trascurata. Le ragioni sono molteplici:
• È stato sopravvalutato l’apprendimento cognitivo, mentre l’educazione del cuore è stata
trascurata.
• È stato favorito l’apprendimento individuale e ignorato quello condiviso e costruito
insieme.
• È stata enfatizzata l’istruzione a scapito della formazione.
• È stato esaltato il “sapere spendibile sul mercato del lavoro” e svalutata la cultura come
strategia di orientamento esistenziale e di autorealizzazione personale.
• È stata privilegiata la competizione e tralasciata la cooperazione.
• È stato glorificato l’individualismo e sminuito il senso di comunità.
Oggi siamo diventati più consapevoli della necessità di educare sia la mente, sia il cuore. Per
attraversare la vita in modo sereno e significativo, non basta possedere il sapere e le conoscenze,
ma è necessario anche essere in grado di progettare la propria esistenza, arricchirla di significati,
ideali, scopi, condividerla insieme con gli altri. È necessario possedere vasti orizzonti cognitivi,
ma anche una disposizione dell’animo all’accoglienza, al rispetto, alla responsabilità, alla
condivisione, alla cultura della biodiversità (intesa come valore aggiunto).
La scuola può definire meglio il suo profilo formativo se prende in considerazione tutte le
dimensioni dell’essere umano. Non basta consegnare allo studente un diploma spendibile sul
mercato del lavoro, bisogna offrirgli anche la possibilità di riempire di valore, di significato, di
affetti anche le altre ore della vita, oltre a quelle dedicate all’attività lavorativa. La scuola è
un’istituzione formativa che offre opportunità di crescita e di realizzazione dei propri talenti,
anche quelli non “spendibili”, come il senso di giustizia, di solidarietà, di verità, di amore.
<<Lo studente non è un cliente che compra pacchetti d’informazioni e consuma “saperi
inscatolati”, ma è una persona che si sta impegnando nella propria formazione. La scuola è il
luogo della condivisione dei beni dell’umanità: lì ognuno di noi può prendersi cura, insieme con
gli altri, dello sviluppo dei propri talenti, per contribuire con l'autorealizzazione
all’arricchimento della comunità, dove viviamo insieme, apprendiamo insieme, soffriamo
insieme, gioiamo insieme>>.
Il gruppo classe costituisce una risorsa educativa e didattica, dove ognuno può attingere
l’energia e il sostegno per dedicarsi alla propria autorealizzazione: è un luogo in cui è possibile
costruire insieme con gli altri la propria mappa cognitiva e la propria personalità. Coltivando in
classe il benessere, l'accoglienza, la solidarietà, la responsabilità, si rende più piacevole ed
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efficace il processo di formazione. Le strategie comunitarie e cooperative di apprendimento si
prefiggono di promuovere e sviluppare vari obiettivi:
• Il coping, cioè sviluppare un insieme di modalità e attività mentali per fronteggiare o
padroneggiare situazioni critiche del contesto.
• La ricercazione, intesa come luogo psicosociale dove i soggetti costruiscono le loro
azioni e come strumento che può facilitare i processi di cambiamento. Essa è un processo
fondato sulla partecipazione attiva e sulla collaborazione dei soggetti che diventano
protagonisti del cambiamento.
• L’Empowerment, cioè capacità di azione, di intervenire, di attivare risorse e competenze
per costruire senso e consenso, grazie al raggiungimento di una condizione di fiducia
nelle proprie potenzialità, che gli consente il controllo attivo della propria vita.
L’empowerment consente al soggetto di ampliare le sue possibilità attraverso un migliore
uso delle proprie risorse, di sviluppare la capacità di relazionarsi nel suo contesto e
implementare la capacità decisionale e di poter intervenire attivamente sulla propria vita
(Rappaport, 1981; Piccardo, 1995).
• La Partecipazione, una forma di prevenzione dei rischi sociali. Promuovere
partecipazione significa evitare i rischi sociali, le incertezze, le manifestazioni
problematiche e devianti, evitare che le risorse umane siano perdute nell’apatia e
nell’emarginazione. Infatti, la partecipazione è la risultante di forze soggettive (coscienza
partecipativa cioè motivazione e impegno, disponibilità al dialogo e al confronto,
competenze comunicative e organizzative) e collettive (l’informazione, disponibilità delle
risorse). Infine, la partecipazione è sia strumento, sia finalità da perseguire, cioè un valore
e un atteggiamento da diffondere, perché la coscienza partecipativa (competenza civica) è
essenziale per assumere ruoli attivi nel sociale e per favorire la gestione consapevole delle
proprie quote di potere nel contesto sociale (Verba, Schlozman, 1995).
Le parole chiave sono collaborare (co-labore), cioè interagire costruendo una rete di relazioni
(costruttivismo e interazionismo: contesto relazionale e costruttivo per un approccio socio-
costruttivista della conoscenza), interazione, lavorare in rete, negoziazione, interdipendenza,
integrazione, costruzione, gruppo di lavoro.
In conclusione, l’apprendimento cooperativo è un metodo d’insegnamento-apprendimento
metacognitivo perché fa leva sulle risorse dei singoli e del gruppo, con l’obiettivo principale di
migliorare l’apprendimento e le relazioni sociali, sfruttando tutte le risorse presenti nella classe.
La filosofia di fondo è che il gruppo sia un universo di risorse, intese non solo in termini di
nozioni, ma anche di competenze, per cui depositari di risorse sono tutti, non soltanto il docente,
Filippo Quitadamo 45
ma anche gli allievi. In questo senso, gli studenti diventano protagonisti attivi del loro stesso
apprendimento, poiché sono coinvolti in attività che li incastrano in un gioco d’interdipendenza.
La classe è un contesto sociale, è un modello di relazioni dove si sperimenta l’apprendimento
significativo e dove l’apprendimento diventa un atto di appartenenza ad una comunità. In tal
senso si punta alla valorizzazione delle differenze per realizzare una vera partecipazione ai
processi formativi, secondo il paradigma costruttivista che ha rivelato il carattere sociale e situato
della costruzione della conoscenza, per cui l'apprendimento non è più visto come un'acquisizione
individuale e decontestualizzata, bensì come processo sociale e situato, di partecipazione a
specifiche comunità di pratiche. Apprendere significa, quindi, accedere alla vita del contesto,
mettersi in connessione, apprendere il contesto per apprendere in contesto relazionale ed
apprendere contesti relazionali, cioè apprendere ad apprendere (aspetto metacognitivo e
metarelazionale dell'apprendere). Pertanto, le caratteristiche del modello di apprendimento
delineato con il CL può trovare una sintesi in quello che Ausubel, Rogers, Jonassen e Novak
definiscono apprendimento significativo, concetto che si sviluppa intorno a tre elementi
interdipendenti: la costruzione, il contesto, la collaborazione.
Al di là delle definizioni è importante configurare il CL come “un ambiente di lavoro e una
strategia didattica”: infatti, se le teorie e le tecniche che sono alla base del CL possono variare
anche notevolmente a seconda degli autori, ma tutti concordano nel ritenere che l’elemento
centrale sia dato dalla effettiva ed efficace cooperazione fra gli alunni. La collaborazione tra
alunni risulta l’elemento centrale in tutte le tecniche che si basano sulla mediazione sociale come
l’apprendimento cooperativo: in tal modo si creano i presupposti per un’educazione efficace di
tutti gli allievi, compresi quelli che sono a rischio di dispersione, quelli che sono portatori di
difficoltà e bisogni speciali (BES, DSA) e quelli diversamente abili.
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L'apprendimento è definito significativo (Jonassen, 1994) se riesce ad integrare queste sette
istanze fondamentali:
⇒ attivo: si apprende quando si è coinvolti in modo attivo nel processo di apprendimento,
quando viene richiesto ad ogni membro del gruppo-classe di agire, cioè di eseguire
compiti o azioni con alti livelli di consapevolezza, responsabilità, attenzione e impegno;
⇒ costruttivo: l’apprendimento è un processo che si costruisce a partire dalle
informazioni/conoscenze già in possesso dal soggetto che apprende. Come dice Vygotskij,
è l’ancoraggio al già noto che permette la costruzione della nuova conoscenza. Si
apprende, cioè, quando le nuove informazioni in arrivo vanno ad ancorarsi alle
conoscenze già in possesso. Da qui l’importanza dei processi di pre-attivazione delle
conoscenze personali, ma anche di tutte quelle presenti e che possono essere scambiate
all’interno del gruppo-classe, moltiplicando così le possibili fonti di ancoraggio per le
nuove conoscenze.
⇒ collaborativo, gli alti livelli di attivazione sono il risultato di un investimento sul valore
delle relazioni tra pari, promuovendo processi e dinamiche collaborative che interpellano
con continuità e chiedono ai soggetti in relazione di “prendere parte” ad una “comunità
di apprendimento” che costruisce conoscenza;
⇒ intenzionale, in quanto i soggetti vengono coinvolti attivamente e pienamente nella
definizione e nel raggiungimento di obiettivi consapevoli e condivisi,
⇒ conversazionale, viene particolarmente valorizzata la dimensione dialogica del processo
di apprendimento, la via che rende l’individuo parte di una comunità che apprende;
⇒ contestualizzato, in quanto i compiti dell’apprendimento scolastico dovrebbero
coincidere con compiti significativi nel mondo reale;
⇒ riflessivo, poiché agli studenti viene richiesto in modo sistematico di organizzare e
ristrutturare quanto apprendono, riflettendo sui processi svolti e sulle decisioni assunte.
Filippo Quitadamo 47
La concezione di simili ambienti di apprendimento mira alla realizzazione di tre fondamentali
obiettivi educativi:
• formare studenti responsabili del proprio apprendimento, in grado di gestire processi e
scegliere mete, a partire dai loro bisogni formativi;
• promuovere ambienti e contesti di apprendimento realistici e significativi, abilitando gli
studenti a recuperare informazioni e, soprattutto, ad apprendere per vie diverse gli stessi
contenuti;
• creare situazioni stimolanti e dinamiche di apprendimento, utilizzando problemi mal
strutturati e aperti, controversie, argomentazioni; il tutto ancorato a compiti più ampi, che
escono dalle normali attività di apprendimento.
Inoltre, è molto importante scoprire lo stile di apprendimento personale e, per migliorarlo e
potenziarlo, è bene ricordare che esso non è costituito solo dagli stili cognitivi, cioè l’insieme dei
modi preferenziali di elaborare le informazioni, ma comprende anche gli aspetti socio-affettivi,
ossia quegli aspetti della personalità di base che maggiormente influenzano l’apprendimento.
Pertanto, l’individuo è una totalità integrata e organizzata e nella sua totalità va educato; infatti,
in ogni situazione di apprendimento si crea un’osmosi tra sfera affettiva e conoscitiva.
L’interrelazione tra settore cognitivo e affettivo nell’apprendimento è considerata essenziale da
Piaget, il quale sostiene che già dal periodo “preverbale” esiste uno stretto parallelismo tra lo
sviluppo dell’affettività e quello delle funzioni intellettuali, perché si tratta di due aspetti
indissociabili d’ogni azione: in ogni condotta, infatti, le motivazioni e il dinamismo energetico
dipendono dall’affettività, mentre le tecniche e l’adeguamento dei mezzi impiegati costituiscono
l’aspetto cognitivo (sensomotorio o razionale). Non esiste, quindi, un’azione puramente
intellettuale (nella soluzione di un problema matematico intervengono ad esempio molteplici
sentimenti: interessi, valori, impressioni di armonia) e neppure atti puramente affettivi (l’amore
suppone sempre la comprensione), ma sempre, e in ogni caso, sia nelle condotte relative agli
oggetti, sia in quelle relative alle persone , intervengono entrambi gli elementi, giacché uno
suppone l’altro.
Sono numerosi i teorici che considerano i comportamenti umani come l’espressione
dell’interrelazione fra aspetti cognitivi ed emotivi della personalità.
Secondo C. Rogers, la capacità di apprendere è connaturata nell’essere umano, tutta la vita è
apprendimento: s’impara a camminare, s’impara a parlare, si fanno conquiste, a volte si incorre
nell’insuccesso o si incontrano notevoli difficoltà, ma si procede comunque. Il progresso umano è
il frutto della capacità di apprendere, innata nell’uomo. E’ evidente che l’apprendimento è
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facilitato se è significativo (materia ritenuta importante dal soggetto nel contesto di vita) e se
avviene in un ambiente favorevole.
Rogers ritiene fondamentale, nel processo educativo, la relazione tra insegnante e alunno basata
sulla stima reciproca e sul rispetto. Nell’insegnamento egli considera fondamentale, non tanto il
contenuto culturale, destinato a cambiare grazie alle scoperte scientifiche, ma l’acquisizione delle
abilità di ricercare, documentarsi, osservare, di “imparare a imparare”.
La funzione del docente, in passato, era considerata essenzialmente <<un’attività di
trasmissione>> della cultura. In questo periodo, si ritiene che il processo di acquisizione delle
conoscenze richiede la partecipazione attiva del soggetto. Infatti, l’alunno non può essere
considerato un soggetto passivo destinatario dell’intervento didattico, ma deve essere
necessariamente attivo; infatti, la costruzione di un concetto, la soluzione di un problema o
l’acquisizione di particolari capacità, come quelle dello scrivere, del leggere, del nuotare ecc.,
richiedono l’attività dell’alunno. Questo significa che egli è il protagonista della propria
istruzione (attività di acquisizione delle conoscenze) e della propria formazione (attività di
acquisizione di capacità e di atteggiamenti).
Quindi, la funzione del docente non è quella di “fare lezione”, di spiegare determinate argomenti,
ma di creare delle situazioni che consentano agli alunni di operare a livello fisico e psichico. Il
docente deve essere in grado di creare delle situazioni d’apprendimento, cioè dei “percorsi
apprenditivi”, degli itinerari di apprendimento, fornendo scaffolding cognitivo e affettivo.
In quest’ottica, il docente deve individuare attraverso quali attività gli studenti possono pervenire
all’acquisizione di conoscenze e delle capacità; pertanto il suo compito non è quello di presentare
i concetti, ma quello di <<creare le situazioni idonee che consentono agli alunni di costruirli>>.
Egli deve anche conoscere quali strategie utilizzano gli alunni (per tentativi ed errori, per
associazione ecc.) e il livello di sviluppo individuale, per individuare le attività da proporre a
livello operativo concreto, a livello iconico o a livello simbolico. In seguito, può progettare gli
itinerari di apprendimento, che rappresentano una traccia, uno schema operativo modificabile in
corso d’opera se è necessario; sono degli orientamenti, delle linee d’azione che evitano di operare
a caso; quindi sono dei percorsi con una meta, un obiettivo da raggiungere, sono degli itinerari
formativi. Essi non sono imposti agli alunni che vanno, invece, motivati e stimolati nell’interesse
(bisogno) ad apprendere e a costruire concetti. Pertanto, negli itinerari devono essere indicate
anche le strategie per motivare gli alunni stessi. Ovviamente, i docenti devono sapere quali
strumenti sono più adeguati, secondo il livello di sviluppo degli studenti, devono anche scegliere
Filippo Quitadamo 49
tra strumenti concreti, iconici e simbolici.
In conclusione, l'obiettivo della didattica metacognitiva e, quindi, del CL, è quello di offrire agli
alunni l'opportunità di imparare a interpretare, organizzare, strutturare e gestire le informazioni
ricevute dall'ambiente e di riflettere su questi processi per divenire sempre più autonomi
nell'affrontare situazioni nuove (costruzione attiva della conoscenza, collegando nuovi saperi a
quelli pregressi). La novità significativa dell'approccio didattico metacognitivo sta nel fatto che
l'attenzione dell'insegnante è rivolta principalmente a formare quelle abilità mentali superiori
che vanno al di là dei semplici processi cognitivi primari (quali leggere, calcolare, ricordare).
Questo andare al di là (meta) della cognizione significa sviluppare nel soggetto la
consapevolezza di quello che sta facendo, del perché lo fa, di quando è opportuno farlo e in
quali condizioni. L'approccio metacognitivo funziona come acceleratore cognitivo e tende a
formare le capacità di essere "persone attive e gestori diretti" dei propri processi cognitivi,
dirigendoli attivamente con proprie valutazioni e indicazioni operative. L'approccio
metacognitivo riserva un ruolo fondamentale all'insegnante: quello di "facilitatore" di
cambiamenti strutturali nei discenti, che divengono modificatori attivi dell’ambiente
(arricchimento strumentale di Feuerstein).
L’insegnamento cooperativo e per scoperta rappresenta una forma di costruttivismo dialettico e si
connota come una strategia didattica per il conseguimento delle competenze chiave di
cittadinanza previste dalla Racc. UE 2006 e dal DM Fioroni n.139/2007 (combinazione
di conoscenze, abilità e attitudini che permettono di adattarsi ai costanti cambiamenti della
società) che si riferiscono a tre aspetti fondamentali della vita di ciascuna persona:
� la realizzazione e la crescita personale (capitale culturale);
� la cittadinanza attiva e l’integrazione (capitale sociale);
� la capacità di inserimento professionale (capitale umano).
Infatti, l’etimologia del termine “competenza” (cum petere) rimanda al valore sociale della
collaborazione e della cooperazione: competente è chi si muove insieme ad altri per affrontare un
compito o risolvere un problema, colui che usa le cose che sa, ma anche le risorse dell’ambiente,
chi è capace di mobilitare e coordinare risorse interne ed esterne (Pellerey). Piero Boscolo parla di
competenza come “apprendimento di qualità”, che mette in gioco, oltre alle conoscenze
dichiarative (contenuti), le conoscenze procedurali (abilità), le conoscenze immaginative
(linguaggi), ma anche motivazioni, emozioni, socialità, con una didattica interattiva e dialogata
all’interno della classe, che non abusa della lezione espositiva, ma che sperimenta un metodo di
lavoro d’aula basato sui processi da attivare, su capacità metacognitive, sul clima favorevole per
una partecipazione emotiva attraverso situazioni di sfida, dalle quali derivano curiosità, domande,
Filippo Quitadamo 50
problemi da affrontare. Ciò, richiede il coinvolgimento continuo della persona nella sua integralità:
è competente chi è e dà sempre tutto il meglio di se stesso nell’affrontare un compito, mettendo in
moto la sua sfera cognitiva, intellettuale, ma anche la sua parte emotiva, sociale, estetica, morale,
religiosa. La maturazione delle competenze presuppone l’esistenza, nella persona, di buone capacità
potenziali. Nella scuola le capacità personali degli alunni diventano competenze personali, grazie
agli interventi di mediazione didattica che mettono l’alunno in grado di avvalersi, nelle situazioni
contingenti, di conoscenze e di abilità. Le competenze, allora, indicano ciò che l’alunno è
effettivamente capace di fare, di pensare, di agire, nell’unità del suo essere persona, davanti alla
complessità unitaria dei problemi e delle situazioni che si trova ad affrontare e a risolvere.
Le competenze vanno oltre l’essere potenziale della persona, perché esprimono la forma dell’essere
attuale nelle diverse contingenze date. È compito specifico della scuola promuovere quegli
interventi educativi, quelle strategie didattiche, coinvolgenti e capaci di far sì che le capacità
personali di ogni studente si traducano nella competenza chiave di cittadinanza, che è quella di cui
ogni persona ha bisogno per la realizzazione e lo sviluppo personali, l’apprendimento permanente,
la cittadinanza attiva e competente, l’inclusione sociale e l’occupazione.
Attraverso il CL, l’imparare a imparare si costruisce in un percorso di metacognizione
(autoconsapevolezza), adeguato all’età, che consente a ognuno lo sviluppo della “consapevolezza
del proprio modo di apprendere” nella costruzione del sapere. E, quindi, il percorso metacognitivo
prosegue e si sostanzia con la riflessione da parte di ogni alunno sul proprio stile/profilo cognitivo,
sulle proprie difficoltà di rielaborazione, sulla scelta/predilezione di mediatori attivi, iconici,
simbolici, verbali, analogici, sulle proprie difficoltà di rielaborazione, sui propri atteggiamenti verso
la scuola, sulle proprie strategie di apprendimento, sull’uso consapevole dei sussidi. Inoltre,
attraverso l’AC il percorso metacognitivo, ancorato all’imparare ad imparare, s’incardina
sull’acquisizione delle conoscenze dichiarative o condizionali (sapere), nonché procedurali (saper
fare) per tutti gli alunni che, sulla base delle proprie capacità, interessi, motivazioni, sensibilità, con
una interagente mediazione didattica, sapranno tradurre in competenze (sapere, saper fare e saper
essere).
La competenza “Imparare a imparare” è strettamente connessa al concetto di apprendimento
significativo (Ausubel, Novak, Jonassen), che permette al discente, a colui che impara, di afferrare il
significato di quello che sta facendo, di cogliere il senso della nuova conoscenza o della nuova
abilità che va sperimentando, attraverso un continuo processo di assimilazione e accomodamento
(Piaget); esso, pertanto, si pone in posizione antitetica rispetto all’apprendimento meccanico.
Per imparare in modo significativo, gli individui devono poter collegare la nuova informazione a
concetti e proposizioni rilevanti già posseduti. Il fatto di imparare a imparare fa sì che gli studenti
Filippo Quitadamo 51
prendano le mosse da quanto hanno appreso in precedenza e dalle loro esperienze di vita per usare e
applicare conoscenze e abilità in contesti diversi.
Nell’apprendimento meccanico, invece, la nuova conoscenza può essere acquisita attraverso la pura
e semplice memorizzazione ed essere incorporata arbitrariamente nella struttura della conoscenza di
una persona senza che ci sia interazione con ciò che essa già contiene.
“Imparare a imparare” è l’abilità di perseverare nell’apprendimento, di organizzare il proprio
apprendimento anche mediante una gestione efficace del tempo e delle informazioni, a livello
individuale e di gruppo. Questa competenza comprende la consapevolezza del proprio processo di
apprendimento e dei propri bisogni, l’identificazione delle opportunità disponibili e la capacità di
sormontare gli ostacoli per apprendere in modo efficace. La motivazione e la fiducia, allora,
diventano elementi essenziali perché una persona possa acquisire tale competenza.
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Il CL promuove le competenze emotive, sociali e civiche, che includono competenze personali,
interpersonali, che consentono alle persone di partecipare in modo efficace e costruttivo alla vita
sociale e lavorativa. La competenza sociale è collegata al benessere personale e sociale e richiede
la consapevolezza di ciò che gli individui devono fare per conseguire una salute fisica e mentale
ottimale, intese come risorse per se stessi e per la collettività. La competenza si basa sulla capacità
costruttiva, la tolleranza, sull’attitudine alla collaborazione, assertività e integrità. La competenza
civica si basa sui concetti di democrazia, giustizia, uguaglianza, inclusione, cittadinanza, sulla
capacità di impegnarsi in modo efficace per il bene comune, attraverso una partecipazione
consapevole alle attività della collettività (Costituzione Italiana, Racc. UE 2006). Il CL, creando
uno spirito di comunità di apprendimento, realizza un sistema condiviso di conoscenze e significati,
diventando una metodologia metacognitiva, tesa allo sviluppo della persona nella sua globalità:
sfera cognitiva, emotiva, sociale e civica (emosia), per una testa ben fatta e non ben piena, e, in
definitiva, per una scuola del successo per tutti, in grado di creare in classe le condizioni che
rendano possibile, a ciascun alunno, di avere successo nei processi di apprendimento,
implementando il proprio talento. Vista la condizione generale della nostra scuola, non si può più
perdere tempo in sterili discussioni: <<Paradossalmente le insufficienze registrate dall’indagine
PISA, ha scritto il francese André Giordan (Università di Ginevra), non sono il dato più grave. Ciò
che deve preoccupare è qualcosa che il PISA non ha misurato: il sentimento di noia e di
disinteresse per la scuola che è evidenziato dai ragazzi>>.
Le strategie didattiche, ritenute più adatte per vincere l’indifferenza e la mancanza di passione,
poggiano sull’autonomia dei giovani nel momento cruciale dell’apprendimento. I grandi
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pedagogisti, quali J. Dewey, A. Patri, M. Montessori, C. Freinet, M. Wagenschein hanno fatto
maturare nelle scuole, in cui sono state applicate le loro idee, le condizioni perché tutti gli allievi,
compresi i portatori di handicap, potessero apprendere con successo. Quali sono le qualità
necessarie per rendere possibile il successo formativo? <<Quando gli allievi sono coinvolti in
attività mirate, riflettono, pongono domande, identificano i problemi e fanno emergere altri
problemi ai quali l’insegnante non aveva pensato, questa è la scuola del successo, secondo Arthur
Costa>>. Tale scuola è molto diversa da quella tradizionale, che propone un rigido curriculum e
l’insegnante è l’unico depositario della trasmissione della conoscenza. Nella scuola del successo gli
studenti sono i protagonisti della costruzione della propria conoscenza. La scuola del successo si
basa in larga misura sulle idee di Socrate. Il docente pone domande, ma lascia agli allievi il compito
di progettare investigazioni adeguate per rispondere alle domande. Così la più antica forma di
apprendimento, inventata da Socrate, pone gli allievi nella felice condizione di essere curiosi, di
riflettere sul proprio pensiero e di porre continue domande, cui dovranno trovare le risposte e poi
confrontare il loro pensiero con quello di altri compagni e dell’insegnante. La seguente mappa
concettuale sintetizza il percorso della proposta formativa.
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In altre parole, il CL lavora per una scuola del successo, della metacognizione, delle
competenze, per una valutazione autentica o alternativa, in sostituzione di quella tradizionale.
Wiggins (1993) suggerisce tale valutazione perchè intende verificare non solo ciò che uno studente
sa, ma ciò che “sa fare con ciò che sa” in conformità ad una prestazione reale e adeguata di
apprendimento.
La valutazione autentica o alternativa o educativa si fonda, quindi, sulla convinzione che
l’apprendimento scolastico non si dimostra con l’accumulo di nozioni, ma con la capacità di
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generalizzare, di trasferire e di utilizzare la conoscenza acquisita in contesti reali e prepara meglio
gli studenti a un inserimento di successo nella vita reale. Non avendo scopi di classificazione o di
selezione, la valutazione autentica mira a rafforzare tutti, insegnanti e studenti, dando opportunità a
tutti di vedere da che punto sono partiti, dove sono arrivati, di autovalutarsi e di migliorarsi: gli
insegnanti, avranno la possibilità di sviluppare la propria professionalità e di scoprire il ruolo di
“mediatori” dell’apprendimento, gli studenti, avranno la possibilità di diventare autoriflessivi,
assumersi il controllo del proprio apprendimento e scoprirsi esaminatori di se stessi.
Wiggins (1998) indica quelle che seguono come le caratteristiche della valutazione autentica:
1. È realistica: il compito o i compiti replicano i modi nei quali la conoscenza e le abilità della
persona sono “controllate” in situazioni di mondo reale.
2. Richiede giudizio e innovazione: lo studente deve usare la conoscenza e le abilità
saggiamente e in modo efficace per risolvere problemi non strutturati; ad esempio progettare
un piano, la cui soluzione richiede di più che seguire una routine, una procedura stabilita o
l’inserimento di una conoscenza.
3. Richiede agli studenti di “costruire” la disciplina: invece di ridire, di riaffermare o di
replicare attraverso una dimostrazione ciò che gli è stato insegnato o ciò che già conosce, lo
studente deve portare a termine un’esplorazione e lavora “dentro” ogni disciplina.
4. Replica o simula i contesti nei quali gli adulti sono “controllati” sul luogo di lavoro, nella
vita civile e nella vita personale: i contesti richiedono situazioni specifiche che hanno
costrizioni, finalità e spettatori particolari. I tipici test scolastici sono senza contesto. Gli
studenti hanno bisogno di sperimentare che cosa vuol dire fare un compito in un posto di
lavoro e in altri contesti di vita reale che tendono ad essere disordinati e poco chiari: in altre
parole i compiti veri richiedono un buon giudizio. I compiti autentici capovolgono quella
segretezza, quel silenzio che alla fine sono dannosi e quell’assenza di risorse e di feedback
che segnano il testing tradizionale.
5. Accerta l’abilità dello studente di usare efficientemente e realmente un repertorio di
conoscenze e di abilità per negoziare un compito complesso.
6. Permette appropriate opportunità di ripetere, di praticare, di consultare risorse, di avere
feedback e di perfezionare la prestazione e i prodotti: per essere educativa una valutazione
deve tendere a migliorare la prestazione degli studenti.
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Lo studente, quindi, attraverso il CL è coinvolto direttamente, attivamente e consapevolmente nella costruzione della conoscenza, sviluppando metacompetenze, che gli consentano, in un’ottica europea, di muoversi con consapevolezza riflessiva in contesti sempre meno regolati.
Modello formativo fondato sul concetto di competenza.
Il Cooperative Learning considera esperto l’insegnante che sa gestire e organizzare esperienze di
apprendimento condotte dagli stessi studenti e, insieme, sviluppare obiettivi educativi di
collaborazione, solidarietà, responsabilità e relazione, riconosciuti efficaci anche per una migliore
qualità dell’apprendimento, essendo in grado di offrire scaffolding, un’impalcatura nello sviluppo di
conoscenze e abilità (scaffolding cognitivo) e nella maturazione di competenze anche a livello
intrapersonale (scaffolding affettivo). Il clima cooperativo e positivo dell’ambiente di
apprendimento favorisce un maggiore coinvolgimento di tutti gli allievi nella condivisione
consapevole e intenzionale di obiettivi, scopi, strategie, nonché un graduale superamento di
pregiudizi e barriere comunicative interpersonali. Un ambiente ricco socialmente, organizzato in
gruppi di cooperazione, in cui sia possibile, attraverso la distribuzione e alternanza dei ruoli e
della leadership, esplorare domini di conoscenza insieme ai compagni e all’insegnante, consente ai
partecipanti di operare reciprocamente all’interno delle proprie zone di sviluppo prossimale,
ottenendo risultati più avanzati di quelli conseguibili nelle normali attività individuali.
È in questo “villaggio” che il giovane d’oggi, l’Homo contextus (connesso), vive la stragrande
maggioranza delle situazioni di apprendimento, attivando continuamente meccanismi cognitivi in
interconnessione costante con gli altri e il contesto.
Il ruolo dell’insegnante e degli alunni, quindi, si modificano non poco nell’applicazione di un
metodo di tipo cooperativo. In effetti, l’insegnante continua ad avere un ruolo attivo, ma diverso da
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quello proprio dei metodi tradizionali di insegnamento/apprendimento: è importante il suo
contributo nella fase preliminare, ovvero nella preparazione della lezione, affinché siano
predisposte le condizioni che rendono efficace un gruppo di CL; ma è importante il suo intervento
anche nel corso della lezione, specie al fine di osservare il gruppo (è opportuno che l’insegnante
passi continuamente fra i gruppi) e di intervenire, se necessario, per:
• formare i gruppi in maniera eterogenea;
• individuare i compiti;
• specificare gli obiettivi da raggiungere;
• insegnare le competenze sociali;
• stimolare l’impegno
• osservare il lavoro di gruppo
• valutare i singoli e il gruppo.
Tutto ciò comporta che l’attenzione si sposti dalla cattedra all’aula intera e ciò da un punto di vista
didattico rappresenta sicuramente un cambiamento di prospettiva.
Quanto al ruolo degli studenti, il loro coinvolgimento nelle attività didattiche è molto più attivo e
responsabilizzante, rispetto al proprio apprendimento. Inoltre, gli studenti percepiscono
l’importanza di ogni membro del gruppo, quindi, aumentano la fiducia in se stessi e l’autostima.
Infine, essi imparano a praticare concretamente il principio di solidarietà. In definitiva i compiti
degli alunni possono essere così sintetizzati:
• partecipare attivamente al lavoro di gruppo, mettendo a disposizione ognuno le proprie
risorse;
• collaborare, affinché si instaurino delle relazioni positive all’interno del gruppo;
• sentirsi responsabili del proprio apprendimento e di quello altrui;
• dividersi i compiti;
• sostenere le persone con maggiori difficoltà.
Di fatto il ruolo degli allievi coincide con la messa in pratica delle cinque caratteristiche essenziali
del CL che abbiamo analizzato.
La società complessa ha richiesto il passaggio da processi di apprendimento e insegnamento di tipo
cognitivista, prevalenti negli anni settanta e ottanta, a processi improntati al costruttivismo, per cui è
importante sottolineare il processo di elaborazione e scoperta insito nell’apprendimento; la
facilitazione dell’apprendimento tramite il lavoro e la ricerca di gruppo condivisa; la costruzione
delle conoscenze tramite processi di riflessione e autovalutazione, lo sviluppo di processi
metacognitivi, la facilitazione dell’apprendimento tramite attività autentiche, ovvero legate al
mondo reale. Infatti, una conoscenza non contestualizzata nei problemi concreti e non acquisita con
interesse da parte di chi apprende, finisce per diventare “inerte”, non utilizzabile nuovamente e non
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applicabile a nuove situazioni. Questo avviene quando l’insegnante si preoccupa solo di verificare
che gli studenti sappiano “riprodurre” gli argomenti trattati, ponendo loro domande sugli stessi.
Ma, come sottolinea il Comoglio citando Perkins e Wiggins, l’apprendimento è qualcosa di molto
più complesso, in quanto avere appreso qualcosa non significa semplicemente saperla, bensì
”pensare con ciò che si sa, sapere cosa fare con quello che si sa”. Questa è la condizione che
permette di sviluppare un apprendimento significativo, ovvero una conoscenza che può essere
utilizzata facilmente e in modo flessibile, applicandola in situazioni e contesti diversi. Il
Cooperative Learning può facilitare un processo di apprendimento significativo e autonomo
(opposto a quello mnemonico e passivo), basato sull'esperienza e capace di destare gli interessi
vitali del soggetto che apprende, proviene dagli studi di Carl Rogers, secondo il quale il sistema di
istruzione centrato sulla persona e in un clima favorevole favorisce un apprendimento più profondo,
molto più di quanto non avvenga con il metodo di insegnamento tradizionale. Ciò avviene perché
nel processo è investita l'intera persona, a livello cognitivo, ma anche emotivo. Del resto
“l’apprendimento significativo viene costruito molto più facilmente in un contesto collaborativo”
dove “ogni singolo alunno divenga membro attento e accurato di una comunità di apprendimento, in
particolare capace di autoregolare il proprio modo di pensare e di comportarsi”. In una comunità di
questo tipo è importante che la responsabilità dell’apprendimento sia condivisa da professori e
alunni. Inoltre, sembra che ci siano dei forti punti di contatto tra Didattica Interculturale e
metodologia dell‘apprendimento cooperativo, la quale non si sofferma solo sull’acquisizione dei
contenuti disciplinari offerti dalle istituzioni scolastiche, ma cerca di sviluppare quelle abilità sociali
che sono alla base della stessa convivenza civile. La scuola dell’interculturalità, come quella
dell’integrazione, è una scuola che lavora perché le diversità siano riconosciute e legittimate, che
non si limita a istruire (ovvero dare conoscenze) e formare (costruire abilità e competenze), ma
intende soprattutto educare, nel senso di fare emergere dei valori capaci di motivare l’azione degli
studenti e orientarne l’attuale e futura condotta, per esercitare il diritto alla differenza.
Allo stesso tempo l’insegnamento CL tende a realizzare il potenziale educativo di ciascuno, nella
consapevolezza che la diversità pone anche la questione dell’equità (E. Cohen). Tuttavia, se
l’attività didattica è incentrata sulle capacità cognitive tradizionalmente richieste dalla scuola
(abilità di lettura, di comprensione testi, nell’analisi di problemi), anziché su altri tipi di abilità
(grafiche, visive, spaziali, manuali), il rischio è che il lavoro di gruppo non sia sempre efficace. Se,
invece, l’insegnante e gli studenti riconoscono l’esistenza di una pluralità di intelligenze o abilità,
riconosceranno che nessuno possiede tutte le abilità necessarie per realizzare un compito e che,
quindi, sarà importante il contributo di ognuno per raggiungere un determinato obiettivo, creando
quella situazione di interdipendenza e di condivisione su cui si basa l’attività di cooperazione.
Questa metodologia permette, altresì, di valorizzare gli studenti più deboli o isolati, suggerendo che
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l’identità culturale è solo uno dei tanti aspetti in cui si presentano le diversità e identità attuali. Tale
discorso è facilmente estendibile alle situazioni di diversità che caratterizzano i ragazzi disabili:
quando parliamo in proposito di riduzione dell’handicap, possiamo riferirci sia alle forme di
handicap generate dall’impatto della propria diversità culturale sulla realtà, sia alle forme di
handicap rappresentate dall’impatto della propria diversità fisica e/o intellettiva sul mondo esterno.
A conclusione del percorso, possiamo dire che le diverse ricerche condotte in ambito di CL hanno
dimostrato una serie di effetti positivi sugli studenti e anche sugli insegnanti:
• un miglioramento dell’apprendimento e lo sviluppo di elevate abilità cognitive;
• una partecipazione attiva al processo di apprendimento;
• un successo psicologico che conduce all’autostima e stimola la motivazione;
• l’instaurarsi di relazioni positive e la promozione del rispetto reciproco;
• il riconoscimento della diversità;
• lo sviluppo di abilità interpersonali;
• la capacità di risolvere i conflitti;
• una continua inversione dei ruoli fra studenti e insegnanti;
• una maggiore cooperazione fra i docenti.
In questo contesto, è utile ricordare che «quello che facciamo per noi muore con noi, ma quello
che facciamo per gli altri è immortale, rimane».
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