Edmund Husserl

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EDMUND HUSSERL ARITMETICA E LOGICA La prima opera di Husserl, Filosofia dell'aritmetica (1891), é dedicato a Brentano, dal quale Husserl riprende il concetto di intenzionalità come carattere costitutivo degli atti psichici che 'tendono' sempre necessariamente verso il loro oggetto. Su questa base, Husserl considera la genesi del concetto di numero : esso a suo avviso deriva da un atto unitario della mente, che dirige intenzionalmente la sua attenzione su molteplicità di oggetti riuniti in 'aggregato' specifico (ad esempio un insieme di mele). A partire da questo, esso procede a ricavare per astrazione il concetto generale di aggregato, concepito come collegamento collettivo delle unità costitutive di una molteplicità; procedendo a contare tali unità, si arriva al concetto di numero. Husserl riconosce l' esistenza autonoma dei numeri come forme generali, cioè come strutture rappresentative costanti del soggetto, le quali condizionano l'attività conoscitiva, ma nella misura in cui descrive tali strutture nella loro genesi e organizzazione mentale, resta ancora vincolato allo psicologismo . In seguito ad una recensione critica di Frege, apparsa nel 1894, che Husserl rimprovera di confondere ancora il piano logico con quello psicologico, e alla lettura di Bolzano, Husserl si allontano a poco a poco dallo psicologismo. Riconosce che la logica per compiere ragionamenti o deduzioni corrette, ma ha a che fare anche con il significato dei concetti e, quindi, con il loro contenuto oggettivo. Si pone dunque la necessità di affrontare il problema delle relazioni tra logica e psicologia e Husserl lo fa con lo scritto Ricerche logiche . Le leggi che descrivono i processi psicologici sono generalizzazioni che partono dall'esperienza e pertanto non hanno validità necessaria, ma sono modificabili o correggibili in base all'accertamento di fatti empirici. I princìpi logici e matematici, invece, sono necessariamente veri e la verità stessa é atemporale, cosicchè il rapporto fra premesse e conclusione nei ragionamenti non é riducibile all'accertamento empirico di relazioni di coesistenza o di successione di atti psichici. Una logica pura non é quindi fondabile su basi empirico-psicologiche, ma non può nemanco avere un carattere meramente formale; essa invece deve essere la teoria di ogni possibile tipo di ragionamento, in grado di determinare le condizioni ideali di possibilità della scienza in generale. Su questa base, Husserl analizza il concetto di significato ; egli é del parere che l'unità minima di significato sia non il termine linguistico singolarmente preso, ma la proposizione , la quale in generale enuncia che qualcosa o é o non é. La logica studia la proposizione a prescindere dal fatto che essa sia vera o falsa oppure che sia formulata verbalmente o pensata da qualcuno; sotto questo profilo, dunque, essa é pienamente indipendente dalla psicologia e non si configura come scienza del pensiero. Per proposizione però Husserl intende non i singoli enunciati, ma l'unità o l' essenza di tutti gli enunciati con lo stesso significato. Questa essenza ha esistenza autonoma rispetto ai singoli enunciati, allo stesso modo degli universali (ad esempio la bianchezza), i quali non sono entità singole, ma l'insieme o l'essenza di una molteplicità di cose singole (in questo caso le singole cose bianche). Di queste essenze, secondo Husserl, abbiamo un'esperienza autoevidente, caratterizzata da una certezza superiore a ogni certezza data dalle scienze empiriche: egli chiama questa esperienza intuizione categoriale, per distinguerla dalla semplice intuizione empirica, che carpisce solamente oggetti individuali. La logica pura consiste nella descrizione di queste essenze, che sono alla base di ogni tipo di indagine e scienza: si tratta di un'analisi fenomenologica, che mostra come le leggi logiche appaiono ed operano nel vissuto (in tedesco Erlebnis ) concreto della conoscenza. Partendo dalla considerazione dell'oggetto intenzionale dei vari atti psichici, essa descrive come tali leggi, indipendenti dall'esperienza, si realizzano soggettivamente in riferimento agli oggetti, che sono intenzionali negli atti conoscitivi. LA FENOMENOLOGIA

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Ritratto di Edmin Husserl

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EDMUND HUSSERL

ARITMETICA E LOGICA

La prima opera di Husserl, Filosofia dell'aritmetica (1891), é dedicato a Brentano, dal quale Husserl riprende il concetto di intenzionalità come carattere costitutivo degli atti psichici che 'tendono' sempre necessariamente verso il loro oggetto. Su questa base, Husserl considera la genesi del concetto di numero : esso a suo avviso deriva da un atto unitario della mente, che dirige intenzionalmente la sua attenzione su molteplicità di oggetti riuniti in 'aggregato' specifico (ad esempio un insieme di mele). A partire da questo, esso procede a ricavare per astrazione il concetto generale di aggregato, concepito come collegamento collettivo delle unità costitutive di una molteplicità; procedendo a contare tali unità, si arriva al concetto di numero. Husserl riconosce l' esistenza autonoma dei numeri come forme generali, cioè come strutture rappresentative costanti del soggetto, le quali condizionano l'attività conoscitiva, ma nella misura in cui descrive tali strutture nella loro genesi e organizzazione mentale, resta ancora vincolato allo psicologismo . In seguito ad una recensione critica di Frege, apparsa nel 1894, che Husserl rimprovera di confondere ancora il piano logico con quello psicologico, e alla lettura di Bolzano, Husserl si allontano a poco a poco dallo psicologismo. Riconosce che la logica per compiere ragionamenti o deduzioni corrette, ma ha a che fare anche con il significato dei concetti e, quindi, con il loro contenuto oggettivo. Si pone dunque la necessità di affrontare il problema delle relazioni tra logica e psicologia e Husserl lo fa con lo scritto Ricerche logiche . Le leggi che descrivono i processi psicologici sono generalizzazioni che partono dall'esperienza e pertanto non hanno validità necessaria, ma sono modificabili o correggibili in base all'accertamento di fatti empirici. I princìpi logici e matematici, invece, sono necessariamente veri e la verità stessa é atemporale, cosicchè il rapporto fra premesse e conclusione nei ragionamenti non é riducibile all'accertamento empirico di relazioni di coesistenza o di successione di atti psichici. Una logica pura non é quindi fondabile su basi empirico-psicologiche, ma non può nemanco avere un carattere meramente formale; essa invece deve essere la teoria di ogni possibile tipo di ragionamento, in grado di determinare le condizioni ideali di possibilità della scienza in generale. Su questa base, Husserl analizza il concetto di significato ; egli é del parere che l'unità minima di significato sia non il termine linguistico singolarmente preso, ma la proposizione , la quale in generale enuncia che qualcosa o é o non é. La logica studia la proposizione a prescindere dal fatto che essa sia vera o falsa oppure che sia formulata verbalmente o pensata da qualcuno; sotto questo profilo, dunque, essa é pienamente indipendente dalla psicologia e non si configura come scienza del pensiero. Per proposizione però Husserl intende non i singoli enunciati, ma l'unità o l' essenza di tutti gli enunciati con lo stesso significato. Questa essenza ha esistenza autonoma rispetto ai singoli enunciati, allo stesso modo degli universali (ad esempio la bianchezza), i quali non sono entità singole, ma l'insieme o l'essenza di una molteplicità di cose singole (in questo caso le singole cose bianche). Di queste essenze, secondo Husserl, abbiamo un'esperienza autoevidente, caratterizzata da una certezza superiore a ogni certezza data dalle scienze empiriche: egli chiama questa esperienza intuizione categoriale, per distinguerla dalla semplice intuizione empirica, che carpisce solamente oggetti individuali. La logica pura consiste nella descrizione di queste essenze, che sono alla base di ogni tipo di indagine e scienza: si tratta di un'analisi fenomenologica, che mostra come le leggi logiche appaiono ed operano nel vissuto (in tedesco Erlebnis ) concreto della conoscenza. Partendo dalla considerazione dell'oggetto intenzionale dei vari atti psichici, essa descrive come tali leggi, indipendenti dall'esperienza, si realizzano soggettivamente in riferimento agli oggetti, che sono intenzionali negli atti conoscitivi.

LA FENOMENOLOGIA

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Per Husserl l'ideale della vera filosofia consiste nel realizzare l'idea della conoscenza assoluta, basandosi su un fondamento certo, e la fenomenologia é il metodo che permette di raggiungere questo obiettivo. Questo programma Husserl lo delinea e lo svolge negli scritti successivi alle Ricerche logiche , nella Filosofia come scienza rigorosa e, specialmente, nelle Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica . Per costituirsi come scienza rigorosa, la filosofia non deve assumere nulla come ovvio e indiscutibile, ma deve raggiungere criticamente un fondamento dotato di evidenza assoluta. A questo scopo, essa non può partire dall' atteggiamento naturale , che assume il mondo come un insieme di fatti ovvi: le stesse scienze empiriche si fondano su questo presupposto e identificano la conoscenza con l'accertamento dei fatti ritenuti oggettivi e indiscutibili. La scienza, secondo Husserl, analizza il mondo in maniera ingenua, accettandolo acriticamente come esistente e limitandosi ad accumulare sapere su sapere. Ma l'esperienza delle cose é variabile e cangevole e, dunque, non può garantire l' oggettività e la validità della conoscenza, cosicchè le scienze della natura non possono propriamente risolvere i problemi di una teoria della conoscenza. Dunque Husserl può affermare, nella Filosofia come scienza rigorosa , che ' ogni scienza della natura é ingenua nei suoi punti di partenza: la natura che essa vuole prendere in esame, per essa esiste semplicemente ' . Bisogna invece liberarsi da ogni presupposto, sia dalle credenze comuni, sia da quelle proprie di tali scienze, così come dai contenuti dottrinali di tutte le filosofie precedenti. A questo provvede quella che Husserl definisce, con un termine mutuato dallo scetticismo antico, epochè , che letteralmente vuol dire 'sospensione del giudizio' . L' epochè consiste nel mettere tra parentesi l'atteggiamento naturale e tutto quel ch'esso comporta: ad esempio, l'assunzione dell'esistenza del mondo o la distinzione di soggetto e oggetto quali dati ovvi. Essa però non ha un compito meramente distruttivo nei confronti delle credenze o dei pregiudizi diffusi e, in questo senso, non coincide con il dubbio scettico. La sua finalità é invece costruttiva ed é correlata all'assunzione di un atteggiamento fenomenologico che raggiunge la consapevolezza che la conoscenza di questi dati, che appaiono ovvi all' atteggiamento naturale, é possibile solamente in riferimento alla soggettività. ' Io non nego questo mondo, quasi fossi un sofista, non revoco in dubbio il suo esserci, quasi fossi uno scettico, ma esercito in senso proprio l'epochè fenomenologica, cioè: io non assumo il mondo che mi é costantemente già dato in quanto essente, come faccio, direttamente, nella vita pratico-naturale ma anche nelle scienze positive, come un mondo preliminarmente assente e, in definitiva, come un mondo che non é un terreno universale d'essere per una conoscenza che procede attraverso l'esperienza e il pensiero. Io non attuo più alcuna esperienza del reale in un senso ingenuo e diretto ' ( Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica libro I, sez. II, cap. I, § 32) . Sospendendo l'affermazione della realtà del mondo, il mondo stesso diviene un insieme di fenomeni che si danno alla coscienza e ai quali la coscienza si rapporta come ad oggetti che essa intenziona nei propri atti. Si tratta di apprendere a guardare le cose nel loro costituirsi come fenomeni in relazione agli atti di rappresentazione, di percezione, di ricordo e così via, cioè in relazione alle esperienze vissute (Erlebnisse), in cui esse si danno. Si capisce allora il significato del programma di Husserl di tornare alle 'cose stesse' : messa tra parentesi l'esistenza del mondo come un dato ovvio, verso il quale si prova interesse, l'atteggiamento fenomenologico diviene l'atteggiamento meramente teoretico di uno spettatore disinteressato. Lo sguardo di questo spettatore però é diretto non già verso le cose empiriche nella loro accidentalità, bensì verso le essenze . L'atteggiamento fenomenologico assume come criterio di validità l' evidenza , con la quale i contenuti intenzionali dalla coscienza si danno nella loro essenza in specifici atti intenzionali. Questo vuol dire che l'analisi fenomenologica mette tra parentesi l'oggetto naturale nella sua singolarità e opera quella che Husserl definisce riduzione eidetica (dal greco ειδε , 'forme' , 'idee' o 'essenze'), che porta appunto alle essenze quali si danno nell'intuizione della coscienza. Recuperando il progetto di Cartesio, Husserl si propone dare una fondazione assoluta alla conoscenza: e ritiene di poterlo fare con la fenomenologia (che è scienza dei puri fenomeni), grazie alla quale egli dice di essere approdato in un “mondo nuovo”. Anche Cartesio era approdato in

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tale mondo, scoprendo la soggettività su cui poggia l’Età moderna, ponendo la realtà tra parentesi e sottoponendo a indagine il modo in cui avviene la conoscenza: solo che, alla stregua di Colombo, non s’era accorto di essere giunto in un mondo nuovo e aveva finito per intendere il “cogito” come un mero “io psicologico”. La prima mossa della fenomenologia dev’essere, secondo Husserl, la messa tra parentesi delle esistenze, ossia dell’esistenza reale di ciò che continuamente ci si dà alla coscienza. Messe le esistenze “sotto indice di questionabilità”, si studiano i puri fenomeni di coscienza, a prescindere dalla loro reale esistenza: la coscienza è sempre una “coscienza di”, è cioè caratterizzata da intenzionalità: si tratta appunto di studiare tutto ciò a cui tende la nostra coscienza: le essenze o, come Husserl ama esprimersi, le “singolarità eidetiche”. Portiamo un esempio concreto del metodo fenomenologico: vedo di fronte a me un tavolo; in opposizione al procedere della scienza, metto tra parentesi l’esistenza reale del tavolo (che, come giustamente notava Cartesio, non è certa), e lavoro sull’essenza del tavolo (infatti, sul fatto che io stia percependo un tavolo non c’è dubbio). Anche Cartesio era, a suo modo, giunto fin qui: solo che, troppo affrettatamente, aveva preteso di dimostrare la reale esistenza del mondo esterno, per di più passando dalla dimostrazione dell’esistenza di Dio. La fenomenologia è, come Husserl ama esprimersi, un “puro guardare” che va contro la tendenza naturale (e in questo senso essa è un atteggiamento “innaturale”) a concepire le cose come esistenti: posso (e devo) dubitare che il tavolo esista, ma non posso dubitare del fatto che lo sto vedendo. Proprio la percezione così intesa (che Cartesio aveva chiamato “clara et distinta perceptio”) è quello che Husserl chiama il “principio dei principi” della fenomenologia. Il programma di Husserl di fondazione della conoscenza non può però arretrarsi alla riduzione eidetica: le essenze infatti sono i correlati intenzionali degli atti della coscienza, i quali possono, a loro volta, essere fatti oggetti di riflessione. La riflessione é una proprietà fondamentale del vissuto: grazie ad essa ogni Erlebnis (vissuto) é coglibile e analizzabile. In altre parole si può dirigere uno sguardo riflessivo sugli atti stessi della coscienza e del pensiero: in questo modo, essi diventano oggetti di quella che Husserl definisce percezione immanente , la quale é fornita di evidenza assoluta. Si può infatti sospendere il giudizio sull'esistenza del mondo, ma é evidente che esso appare alla coscienza: non posso sospendere il giudizio sul fatto che io sto pensando. Questo vuol dire che, mentre il mondo naturale e le cose che gli appartengono possono essere o non essere, la percezione immanente garantisce necessariamente l'esistenza del suo oggetto, cioè del vissuto intenzionale della coscienza. La coscienza é dunque il risultato ultimo e indubitabile della riduzione, non ulteriormente riducibile ad altro: Husserl la chiama residuo fenomenologico . Non si tratta però della coscienza empirica dei singoli individui: anche questa, infatti, é sottoponibile ad una riduzione, che la liberi dai suoi caratteri meramente empirici. Il residuo fenomenologico é invece la coscienza pura o trascendentale , che non necessita di altre condizioni antecedenti per esistere: tutto é neutralizzabile e riducibile a riduzione, il mondo e Dio, le scienze e la teologia, ad eccezione dell'io puro, che però non é una sostanza ma é la funzione originaria e universale della coscienza che costituisce il mondo. Rispetto ad essa, il mondo naturale é trascendente, ma esiste e ha senso solo tramite gli atti della coscienza: quest'ultima infatti é intenzionalità, cioè é sempre coscienza di qualcosa. La nozione di intenzionalità della coscienza consente dunque a Husserl di tenersi alla larga dalle forme di naturalismo e positivismo, per le quali la scienza basata su dati oggettivi, indipendenti dalla coscienza, rappresenta il modello della conoscenza, sia dalle forme di spiritualismo, che, ravvisando nella pura introspezione la via di accesso privilegiata agli atti della coscienza, smarriscono appunto il carattere intenzionale della coscienza, garante dell'oggettività della conoscenza stessa. Husserl definisce la fenomenologia come eidetica , cioè 'scienza di essenze': a differenza dei fatti empirici, esistenti nello spazio e nel tempo, che possono essere diversi da come sono, le essenze sono necessarie ed universali. Ed é per questo motivo che spesso gli interpreti hanno di vero e proprio 'platonismo di Husserl' . Ogni scienza empirica racchiude anche conoscenze eidetiche, ma solo la fenomenologia, al pari della logica e della matematica pura,

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é esente da dati di fatto e riguarda anche essenze. Esse rappresentano le strutture a priori, costanti e generali, dell'esperienza, le quali hanno per correlato il mondo come insieme degli oggetti di un'esperienza possibile. Il mondo e la realtà hanno senso solo se riferiti alla coscienza, la quale ha appunto la proprietà di conferire senso ad essi. Ogni vissuto intenzionale é costituito da un aspetto soggettivo, chiamato noesi (che letteralmente vuol dire 'l'operazione del pensare'), cioè dall'atto intenzionale che conferisce senso (il percepire, il ricordare, il desiderare, ecc.) e da un aspetto oggettivo, chiamato noema (che letteralmente vuol dire 'ciò che é pensato'), cioè il percepito, il ricordato, il desiderato, ecc. Nel noema é dato il mondo intenzionato dalla coscienza nelle sue differenziazioni regionali, cioè nei diversi modi di essere in cui le cose si danno alla coscienza. In base a queste differenziazioni si costituiscono le cosiddette ontologie regionali , dove per regione si intende ' la complessiva e superiore unità di generi pertinenti a un concreto ' . A ciascuna ontologia regionale appartengono dunque specifiche essenze regionali: in virtù di esse si può ricavare la costituzione fondamentale di ogni conoscenza possibile e il fondamento ontologico di tutte le scienze empiriche. La fenomenologia però é diversa dall'ontologia classica, la quale assume le unità, di cui essa si occupa, nella loro identità, come se si trattasse di qualcosa di fisso e definito; la fenomenologia invece assume le varie unità, cioè le essenze, nel flusso che le correla al vissuto della coscienza ed é finalizzata a stabilire non una dottrina delle varie realtà, ma della costituzione delle realtà oggettive a partire dalla coscienza dell'io puro. Husserl dedica alla trattazione di queste tematiche la terza parte delle Idee , pubblicata postuma. Nella seconda parte, anch'essa pubblicata dopo la morte del pensatore ebreo, Husserl fornisce un'analisi fenomenologica dei modi in cui si costituiscono i tre strati della realtà mondana. Il primo é quello delle cose materiali , cioè il campo delle realtà trascendenti spaziotemporali, oggetto della percezione e delle scienze naturali e rette dalla pura causalità. Il secondo strato é quello del corpo proprio , cioè della totalità liberamente mobile degli organi di senso, e delle nature animali, soggette a condizionamenti e oggetto della somatologia, alla quale scorrettamente é collegata la psicologia, dal momento che non ha senso per Husserl parlare di parallelismo psico-fisico. Il mondo che sta di fronte al soggetto dipende per Husserl dal corpo proprio e dalle peculiarità della psiche. E proprio il terzo strato é costituito dalla psiche , uno strato caratterizzato dalla storicità, in quanto flusso di Erlebnisse collegati tra loro e copn il corpo proprio: a partire dalla psiche, si costituisce il vero, che non trasuda negli Erlebnisse. L'io però per Husserl richiede il tu, il noi, l'altro, il mondo: su questa base poggia il mondo spirituale, in cui la persona, nell'associazione con le altre persone, è centro di un mondo circostante che si configura come orizzonte aperto ai dati oggettivi naturali e sociali che possono offrirsi. La vita spirituale ha la sua legge fondamentale nella motivazione, cosicchè in tale mondo l'io si configura come io libero: questo conferisce al mondo spirituale un primato ontologico su quello meramente naturale.

L'IO E IL MONDO DELLA VITA

Husserl sapeva bene che la sua esigenza di un nuovo, radicale inizio e di una nuova, radicale fondazione della conoscenza presentava analogie con il programma perseguito tre secoli addietro da Cartesio. Proprio su questo punto Husserl ritorna nelle Meditazioni cartesiane : Cartesio ha inaugurato una filosofia di specie nuova, il passaggio dall'oggettività ovvia e spontanea al soggettivismo trascendentale, e su questa linea si colloca pure la fenomenologia. Anche oggi infatti é andato perduto, a parere di Husserl, il senso dell'unità della scienza a causa della carenza di chiarezza sui princìpi di essa e i filosofi non collaborano più in vista di questo fine, cosicchè bisogna rievocare in vita il radicalismo di Cartesio. La scienza é in cerca di verità valide per tutti, ma non può pretendere ad alcuna validità definitiva se manca l' evidenza assolutamente certa, scevra di ogni dubbio, del suo fondamento. Questa non é ricercabile nel mondo quale appare all'esperienza comune e alle stesse scienze naturali, perchè, come aveva dimostrato Cartesio, quel mondo potrebbe essere solo un sogno o una serie di immagini virtuali inviate al nostro cervello da

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un genio maligno. Mettendo il mondo tra parentesi, però, io raggiungo non un puro nulla, ma me stesso come io puro o coscienza pura, in cui e per cui l'intero mondo oggettivo é per me. Infatti io possiedo, in quanto io, un mondo continuativo che é 'per me' ed io stesso sono dato a me stesso in un'esperienza evidente. Il tempo , come coesistenza e successione dei momenti di vita, é la forma universale che sta alla base di ogni genesi dell'io. Affiora qui l'evidenza apodittica dell'io sono, erroneamente trasformato da Cartesio in una sostanza pensante: si tratta invece dell' io o ego trascendentale , che é indisgiungibile dalle sue esperienze vissute, é il polo identico dei momenti di vita della coscienza e l'universo delle possibili forme che essi possono assumere. Questa é l'evidenza originaria: e Husserl dice che ' non ha senso voler cogliere l'universo dell'essere vero come qualcosa che stia al di fuori dell'universo della cosa possibile ' . Il mondo e le cose assumono un significato e un senso solo attraverso l'io, cosicchè si può affermare che la soggettività trascendentale é ' l'universo della possibilità di senso ' . La fenomenologia, avendo il suo fondamento nell'evidenza dell'io trascendentale, é definita da Husserl come idealismo trascendentale , differente dall'idealismo psicologico alla Berkeley , ma anche da quello kantiano, il quale persevera nel mantenere un mondo di cose in sè come concetto limite. A differenza dell'idealismo tradizionale, quello trascendentale non nega l'esistenza del mondo, ma ha come unico fine il chiarimento del senso di questo mondo . Su questa base, Husserl può asserire che la filosofia può solo rivelare il senso del mondo, non mutarlo. Il rischio del primato accordato all'io può consistere in una forma di solipsismo, che rinchiuda il soggetto in se stesso e lo renda irraggiungibile agli altri e incapace di accedere lui ad essi. Sempre nelle Meditazioni cartesiane Husserl si prende la briga di mostrare che l' intersoggettività é costitutiva della soggettività trascendentale; per il pensatore ebreo, infatti, io originariamente ho esperienza del mondo come intersoggettivo, cioè come ' un mondo che é per tutti ed i cui oggetti sono disponibili a tutti '. Entro questa sfera comune io tento di delimitare la sfera specifica di quel che é 'mio proprio', ma questo presuppone il concetto di 'altro'. In questo modo, si dirada l'apparenza di solipsismo, pur continuando a valere il principoio secondo cui tutto quel che é per me, compresi gli altri soggetti, possono attingere il loro senso esclusivamente dalla mia sfera di coscienza. Le filosofie della vita, e anche filosofi che facevano proprio il metodo fenomenologico (Scheler ed Heidegger), biasimavano Husserl per un eccesso di intellettualismo, per un'insistenza unilaterale sul problema della conoscenza e, quindi, per l'incapacità di pervenire alla soggettività pratica e attiva e di affrontare i problemi dell'esistenza. Contro queste critiche Husserl rivendic, nella Postilla alle Idee (1930), il carattere universale della fenomenologia, avente un metodo in grado di far fronte a tutti i problemi della filosofia e, per questa strada, anche a ' tutte le domande che l'uomo concreto può porre ' . Forse proprio in risposta a queste accuse di distrattezza e alla nozione di essere-nel-mondo di Heidegger, Husserl pone al centro della propria riflessione, negli ultimi anni di vita, il concetto di mondo-della-vita , che svolge una mansione di primo piano nell'opera intitolata La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale (pubblicata postuma). Le scienze contemporanee, nonostante i loro evidenti successi, sono tormentate da paradossi e da problemi di fondazioni e attraversano una crisi profonda, espressione della crisi radicale della vita dell'umanità europea. In discussione é non tanto il valore delle conoscenze specifiche conseguite dalle singole scienze, quanto il significato che la scienza nel suo complesso ha e può avere per l'umanità. Alla base della crisi c'é la riduzione dell'idea della scienza a scienza di fatti, la quale prescinde da qualunque riferimento al soggetto che effettua l'indagine scientifica. Questo vale anche per le cosiddette scienze dello spirito, in cui l'avalutatività, in quanto salvaguardia da giudizi arbitrari meramente soggettivi, diviene l'ideale da perseguire. Escludendo in linea di principio i problemi del senso dell'esistenza e del mondo in generale, la scienza finisce con l'estraniarsi dagli uomini; ne consegue per Husserl che ' le mere scienze di fatti creano meri uomini di fatto ' . L'origine della crisi di oggigiorno delle scienze va scorta per Husserl nella crisi dell'idea di filosofia, come scienza onnicomprensiva della totalità dell'essere, di cui le singole scienze costituiscono ramificazioni specifiche. L'umanità europea si era costituita

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come autonoma grazie a questa concezione della filosofia, affiorata nel Rinascimento, la quale tendeva a dare alla vita regole basate sulla ragione, al fine di rendere liberi. A partire da Settecento, la possibilità di una metafisica era divenuta problematica ed era franata la fede in una filosofia universale in grado di guidare l'uomo e, quindi, la fede in una ragione che fosse capace di dare un senso alla totalità della natura e della storia. Per capire la crisi che investe il presente, per Husserl, si deve riconsiderare la storia dell'umanità, rendendosi conto che le battaglie spirituali dell'umanità europea sono lotte tra filosofie: ' le uniche battaglie davvero significative del nostro tempo sono battaglie tra un'umanità che é già franata in se stessa e un'umanità che é ancora radicata su un terreno, e che lotta proprio per questo inserimento o per uno nuovo. Le vere battaglie spirituali dell'umanità europea sono lotte tra filosofie, cioè tra le filosofie scettiche- o meglio tra le non filosofie, che hanno mantenuto il nome ma che hanno smarrito la coscienza dei loro compiti- e le vere filosofie, quelle ancora vive ' ( La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale parte I, § § 6-7). Grazie a questa riconsiderazione storica ci si può rendere conto che 'il senso dell'umanità' autentica consiste in una umanità ' fondata sulla ragione filosofica e sulla coscienza di non poterlo essere che così ' . Questa nuova nozione di umanità fa la sua comparsa, stando a Husserl, in Grecia con la nascita della filosofia come attività teoretica puramente disinteressata e condotta dalla ragione, volta ad un sapere universale dotato di fondamento assoluto. Si é originato in questo modo un §τελοσ , un fine, consistente nella realizzazione di un'umanità pienamente razionale: questo fine, al tempo stesso, é un compito infinito, che ha i suoi funzionari e garanti nei filosofi, responsabili per il vero essere dell'umanità. Per uscire dalla crisi imperante nel presente bisogna dunque recuperare il senso originario di questo 'fine', proseguendo l'eredità trasmessa dai primi filosofi greci, la quale é scivolata nei meandri dell'oblìo, originando la crisi delle scienze stesse: questo é possibile solo tramite la filosofia fenomenologica, in grado di volgere uno sguardo pienamente disinteressato verso le cose stesse e, quindi, di ravvisare nella soggettività trascendentale il fondamento di ogni sapere possibile; il liberare l'umanità dalla crisi é compito dei filosofi: ' L'umanità in generale é per essenza un essere uomini entro organismi umani generativamente e socialmente connessi, e se l'uomo é un essere razionale, lo é solo se tutta la sua umanità é un'umanità razionale [...] Noi siamo riusciti a comprendere, anche se solo nelle linee più generali, come il filosofare umano e i suoi risultati non abbia affatto il significato puramente privato o comunque limitato di uno scopo culturale. Noi siamo dunque- e come potremmo dimenticarlo?-, nel nostro filosofare, funzionari dell'umanità [...] E' chiaro (e che cosa altrimenti ci potrebbe aiutare?) che occorrono esaurienti considerazioni storiche e critiche per giungere, prima di qualsiasi decisione, a un'autocomprensione radicale, che occorre indagare su ciò che originariamente si perseguiva con la filosofia, ciò che tutte le filosofie e tutti i filosofi, storicamente intercomunicanti, hanno perseguito; e tutto questo attraverso una considerazione critica di ciò che nella propria finalità e nel proprio metodo rivela quell'aderenza ultima e autentica alla propria origine che, penetrata, lega a sè apoditticamente la volontà ' . Per Husserl, la crisi delle scienze incomincia già con Galileo e con la sua idea della matematizzazione della natura, che ha portato a considerare la natura stessa come un mondo di corpi realmente circoscritto in sè e, quindi, a far proprio l'atteggiamento naturale, che assume il mondo come un dato ovvio, distinto e non dipendente dal soggetto che lo conosce e grazie al quale riceve un significato. In questo modo, si prepara il dualismo cartesiano tra natura e mondo psichico, che é la premessa per la specializzazione delle varie scienze e per la costruzione di una psicologia oggettivistica. Sotto questa prospettiva, la stessa soggettività, l'anima o la mente, diviene un'entità analoga alle cose naturali, indagabile con i metodi presi a prestito dalle scienze della natura. Questo ha portato a dimenticare il fondamento che conferisce senso alle stesse operazioni delle scienze naturali, cioè quello che Husserl definisce il mondo-della-vita (in tedesco Labenswelt ) , cioè la vita che ha esperienza del mondo prima di qualsiasi formazione di categorie e giudizi. In questo senso, essa é prescientifica e precategoriale, ma é al tempo stesso il fondamento e la fonte delle conoscenze stesse delle scienze. Questo non vuol dire che essa fornisca i dati della sensibilità come dati ovvi a partire dai quali esse si

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costruiscono. Il mondo della vita é piuttosto definito da Husserl come ' un regno di evidenze originarie ' , esperite nella loro immediatezza e comuni a tutti gli uomini in quanto soggetti conoscenti. Ad esso si perviene tramite la riduzione fenomenologica, che permette di vederne il centro nella soggettività che, sia nei modi prescientifici, sia in quelli scientifici, tende a raggiungere il senso ultimo del mondo. Il primo in sè non è, dunque, l'essere del mondo nella sua ovvietà, come presumono le scienze naturali, ma la soggettività, che nelle sue forme prescientifiche pone ingenuamente l'essere del mondo e poi, nelle varie scienze, l'obiettivizza. La fenomenologia invece, in quanto riflessione da parte del soggetto conoscente su se stesso e sulla propria vita conoscitiva, può ritornare a questa fonte ultima di tutte le informazioni conoscitive e, su questa base, costruire una filosofia universale fondata in maniera pura e definitiva. Tramite la fenomenologia, la filosofia può dunque recuperare il 'telos', il fine, già insito nella sua origine greca, della ricerca e realizzazione di un'umanità interamente e liberamente fondata sulla ragione. Indicando nella fenomenologia la prosecuzione più adeguata dell'ideale di una libera indagine razionale, scevra di presupposti e tendente ad una validità universale, Husserl intendeva opporsi all'irrazionalismo, che ormai egli vedeva minacciare la visione spirituale e materiale dell'Europa e soprattutto della Germania e al quale le scienze, a suo parere, non erano più in grado di opporre alcun attacco. Sotto questa prospettiva, la filosofia riacquisiva il compito etico di salvaguardare il significato autentico dell'idea di umanità.

SINTESI DELL’IDEA DELLA FENOMELOGIA

Le cinque lezioni sull’Idea della fenomenologia (Die Idee der Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, 1907; tr. it. a cura di C. Sini, Laterza, Roma-Bari 1992) furono tenute da Edmund Husserl presso l’Università di Gottinga dal 26 aprile al 2 maggio 1907. Esse sono successive alle Ricerche logiche, con le quali intrattengono, a tratti, un rapporto polemico, come se Husserl volesse in certo senso prendere le distanze da quell’opera. L’ Idea della fenomenologia è un testo particolarmente significativo perché traccia con una precisione sorprendente e con una chiarezza, potremmo dire, “cartesiana” le coordinate della nuova “scienza delle pure essenze” scoperta da Husserl.

La I lezione si apre con la distinzione husserliana tra la “conoscenza scientifica” e la “conoscenza filosofica” (cioè fenomelogica). La prima è una forma di conoscenza ingenua, acritica, la quale si muove sul terreno dell’atteggiamento naturale dell’accogliere il mondo e i suoi enti come esistenti e reali in maniera ovvia e non bisognosa di spiegazioni. È una forma di conoscenza ingenua e acritica perché non si pone il problema della “possibilità della conoscenza in assoluto”, ossia del fondamento della sua possibilità. Il mistero del conoscere non viene neppure sfiorato dalla conoscenza scientifica. Su questo problema, che assume i tratti del mistero, si concentra invece la conoscenza filosofica, la quale pone in discussione la “correlazione” implicata in ogni conoscenza: cioè il rapporto tra il soggetto conoscente e l’oggetto conosciuto. Che cosa garantisce al soggetto di conoscere qualcosa di effettivamente esterno a se stesso? Già Cartesio s’era accorto di questo problema, nel quale si annidano gli eterni problemi della filosofia e i pericoli della caduta nello scetticismo. Questo problema viene risolto dalla fenomenologia, che è un atteggiamento, un “metodo nuovo” (p. 53) tramite il quale la filosofia si pone nelle condizioni di poter conquistare finalmente “una dimensione nuova rispetto a ogni conoscenza di tipo naturale” (p. 52) e autonoma, un nuovo inizio e una nuova legittimità.

Con la lezione II, Husserl tratteggia il metodo fenomenologico, instaurando un proficuo dialogo con Cartesio. Il primo gesto che il fenomenologo deve compiere è quella “sospensione di giudizio” (epoché), in forza della quale viene messa tra parentesi l’esistenza del mondo: esistenza che, come abbiamo visto, veniva ingenuamente data per scontata dal sapere scientifico. L’atteggiamento fenomenologico non deve “lasciar valere alcuna datità” (p. 54): non deve cioè accettare alcunché

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come scontato. Ma nel porre ogni cosa tra parentesi, lasciandola avvolgere dal dubbio, ci si imbatte nel problema su cui si affaticò lo stesso Cartesio: se si dubita di ogni cosa, “allora si deve poter esibire un essere che noi dobbiamo riconoscere come assolutamente dato e indubitabile” (p. 55) in quanto assolutamente chiaro. Come aveva detto Cartesio, questo essere di cui non si può dubitare è il soggetto dubitante stesso: posso dubitar di tutto ma non del fatto che io sto dubitando; in termini husserliani, “è indubbiamente certo che io dubito” (p. 55). Ma è anche certo che le mie cogitationes (ossia le cose che percepisco, rappresento, giudico, inferisco) non sono avvolte dal dubbio: “è assolutamente chiaro e certo che io percepisco questo o quest’altro” (p. 56). In altri termini, non posso dubitare né di me come soggetto dubitante né delle percezioni che ricevo: non posso cioè dubitare del blu del divano che vedo, ad esempio. Ciò non significa che il divano percepito esista effettivamente e sia fuori di me: questo, infatti, resta in dubbio. Significa piuttosto che “le figure di pensiero che io attuo realmente mi sono date, purché io rifletta su di esse, le rilevi e le ponga in un puro guardare” (p. 56). In questa maniera, l’atteggiamento fenomenologico si configura come un “puro guardare” incentrato sulla “piena chiarezza offerta allo sguardo” (p. 59): si tratta di una “chiarezza di tipo essenziale” (p. 59), che ha cioè a che fare con le “pure essenze” e non con le esistenze. E la “trascendenza” che accompagna ogni conoscenza (vale a dire il fatto che le cogitationes rimandino a qualcosa di esistente in sé e fuori di me) resta nel dubbio, posta “tra parentesi” al fine di poter indagare su quell’enigma essenziale della conoscenza che è la sua pretesa di trascendenza. La fenomenologia è allora una “critica della conoscenza” (p. 60) che si propone di “illuminarci sull’essenza della conoscenza” (p. 60).

Con la III lezione, Husserl mette in chiaro come l’assunzione delle cogitationes come terreno di indagine fenomenologica non significhi assumerle come meri fatti psicologici. In ciò egli si oppone allo psicologismo. L’epoché ha messo tra parentesi pure le validità psicologiche e le ovvietà antropologiche (ad esempio, l’uomo inteso come ente del mondo). Lo “sguardo puro” della fenomenologia ha ora dianzi a sé, nelle cogitationes come dati assoluti, degli assoluti fenomeni di conoscenza slegati dall’esistenza. Tali cogitationes si riferiscono “intenzionalmente” (nella misura in cui la coscienza si dà sempre come “coscienza di”, cioè diretta verso qualcosa) a qualcosa che è reale e oggettivo, sì, ma in senso “trascendente”, vale a dire come modo di darsi del fenomeno. Si perviene così alla fenomenologia come “scienza dei puri fenomeni” (p. 77), sganciati dalla loro esistenza (la quale resta tra parentesi). Grazie alla “riduzione fenomenologica” (p. 74), il mondo intero è ridotto a pure essenze della cui esistenza non ci si cura: la fenomenologia è per l’appunto scienza dei puri fenomeni quali ci si donano incessantemente alla coscienza. In questo modo, si mette “saldamente piede sulla nuova terra” (p. 77) della fenomenologia: occorre però evitare di finire in balia delle “bufere dello scetticismo” (p. 77).

Ma se, sospesa l’esistenza, si ha a che fare con puri fenomeni, non si torna forse al pànta rei di cui diceva Eraclito? Non si ha, in altri termini, un sempre cangiante flusso di contenuti in divenire e accidentali? Come si potrà far scienza del mutevole e dell’accidentale? Husserl ribatte che occorre guardare le cose in maniera “chiara e distinta”, secondo l’insegnamento di Cartesio: da quest’ultimo, Husserl recupera la nozione di “clara et distincta perceptio” (p. 83), la quale garantisce la certezza e la validità delle cogitationes: possiamo usare tranquillamente ogni cogitatio di cui abbiamo una percezione chiara e distinta. Quando col “puro sguardo” ho intuizione del rosso del tetto della casa, con ciò stesso intuisco anche il senso universale del rosso, della cosa rossa, del tetto, della casa. Detto altrimenti, anche “universalità, cioè oggetti universali e stati di cose universali, possono pervenire ad assoluta datiti diretta” (p. 87). In questa maniera, la fenomenologia può essere scienza a tutti gli effetti.

La lezione IV si concentra sul fenomeno dell’intenzionalità della coscienza, il suo immancabile tendere a qualche cosa. La riduzione del mondo a pure essenze non ci costringe nell’ambito di

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mere singolarità accidentali, ma anzi ci permette di cogliere l’universalità, come s’è preventivamente chiarito nella III lezione. Addirittura, il senso universale dei fenomeni osservati si manifesta da sé nei fenomeni stessi, senza che noi dobbiamo aggiungervi alcunché dall’esterno. È infatti il fenomeno ad avere immanentemente in sé l’oggettività “numero” piuttosto che “colore”, “percezione” piuttosto che “ricordo”. Queste datità universali sono un qualcosa “di ultimo e di assoluto” che non dev’essere revocato in dubbio. Invece, occorre distinguere tra ciò che è chiaramente dato a una pura ragione intuitiva da ciò che spesso l’intelletto astratto contrabbanda come se fosse direttamente osservato, mentre invece è frutto di ovvietà e di pregiudizi inconsapevoli. A questo proposito, dice Husserl: “intelletto meno che si può e intuizione più pura che si può (intuitio sine comprehensione)” (p. 103), nella convinzione che si debba “lasciare la parola all’occhio che guarda” (p. 103).

Con la lezione V si porta l’attenzione sul tempo: le universalità osservate tramite l’intuizione nel fenomeno si intrecciano con la singolarità del vissuto. Il “rosso in specie” si dà in questa percezione di rosso e in nessun altro modo altrove. Ma la percezione è un vissuto che dura nel tempo e che incessantemente intreccia il presente con l’appena passato. Inoltre, su di essa influisce il ricordo dei passati più lontani. Occorre chiarire il rapporto tra l’individualità (del vissuto) e l’universalità (del suo senso, della “specie”). La specie “rosso” può altrettanto bene essere “ideata”, ossia resa oggetto di descrizione fenomenologica, sia che la si percepisca sia che la si immagini. Husserl dice che si descrive la “essenza individuale” (la “specie rosso” data hic et nunc) e non tanto l’esistenza individuale (questo percetto e questo immaginato). Si deve allora porre una “contrapposizione tra esistenza ed essenza”, in quanto modi diversi di datità. Ciò solleva immediatamente uno sciame di problemi: come dice Husserl, “si rivela che il puro essere della cogitatio non si presenta affatto, a una più precisa considerazione, come una cosa tanto semplice” (p. 111). Le cogitationes non sono tutte ugualmente oggettive e, per di più, la coscienza – lungi dall’essere un inerte contenitore di fenomeni – concorre a costituire i fenomeni, ad esempio coi suoi atti temporali. E vi concorre pure con “atti categoriali”, giacché essa non vedrebbe ciò che guarda se non vi aggiungesse all’istante i suoi giudizi, le sue categorie (questo è rosso, questo rosso è un tetto, ecc). Gli atti di pensiero coi quali la coscienza ha a che fare sono non di rado “immaginari” (ad esempio, “San Giorgio a cavallo”) e simbolici (ad esempio, il quadrato rotondo). Come sono possibili – si domanda Husserl – “questi puri miracoli?”.