Edizioni Simone - Vol. 40 Organizzazione Aziendale Capitolo 11 · Il brainstorming. - 3. I...

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Capitolo 11 I nuovi strumenti di direzione Sommario 1. La soluzione dei problemi. - 2. Il brainstorming. - 3. I diagrammi. 4. Il Role playing. - 5. Il comportamento individuale e di gruppo. - 6. Il lavoro di gruppo e l’apprendimento. 7. Il lavoro di gruppo o team work. - 8. Strumenti di supporto alle tecniche di direzione. 1. La soluzione dei problemi A) Il problem solving La soluzione di problemi, che corrisponde al miglioramento dei processi aziendali, non può essere solamente il compito di singoli operatori o un intervento lasciato al caso. Esistono opportune tecniche per la ricerca e la soluzione ottimale dei problemi aziendali. Una tecnica è quella del problem finding (capacità di scoprire il problema) che è la meto- dologia di analisi dal cui risultato prende poi il via quella del problem setting (definizione del problema), e, infine, c’è spazio per l’avvio di una terza tecnica: il problem solving. La finalità del problem finding è quella di decidere quale tra i problemi che si presentano dovrà essere affrontato per primo. Le tre fasi di questa analisi sono: 1) identificazione di tutti i problemi che preoccupano coloro che contribuiscono all’attività di miglioramento; 2) raccolta di informazioni sui problemi, al fine di evitare di trascurare un problema solo perché ci sono poche informazioni al riguardo; 3) creazione della lista di priorità di problemi identificati. Il problem setting è, in genere, portato avanti da un unico operatore. Tuttavia, per i casi più complessi, è necessario il lavoro in gruppo. In questo ultimo caso, il leader del progetto costituirà un team che si occuperà di definire e risolvere il problema organizzativo. Il processo metodologico del problem setting parte dal disagio presente in azienda. Successivamente viene analizzato lo scenario di riferimento e infine viene analizzata la situazione interna ed eventuali interventi precedenti. Si cercano di individuare potenziali sviluppi organizzativi e tendenze di fondo tramite l’analisi dei trend. Si evidenziano, dunque, le aree di criticità, si organizza la raccolta dei dati e si attivano tecniche di stimolazione della creatività. A questo punto si è in grado di definire il problema, e di organizzarne la soluzio- ne con le tecniche di problem solving. Se si tratta di un progetto, questo si gestisce con le tecniche di project management. Il problem solving (letteralmente «risolvere problemi») è, infine, una metodologia di ana- lisi utilizzata per individuare, pianificare ed attuare le azioni necessarie alla risoluzione di un problema dopo che quest’ultimo è stato identificato tramite le tecniche di problem finding viste in precedenza. Il problem solving nell’ambito degli studi sull’apprendimento assume due accezioni: a) nell’accezione specifica e ristretta indica il complesso delle attività umane finalizzate alla soluzione di problemi nell’ambito di discipline specifiche; Edizioni Simone - Vol. 40 Organizzazione Aziendale

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Capitolo 11I nuovi strumenti di direzione

Sommario1. La soluzione dei problemi. - 2. Il brainstorming. - 3. I diagrammi.

4. Il Role playing. - 5. Il comportamento individuale e di gruppo. - 6. Il lavoro di gruppo e l’apprendimento. 7. Il lavoro di gruppo o team work. - 8. Strumenti di supporto alle tecniche di direzione.

1.LasoluzionedeiproblemiA) IlproblemsolvingLa soluzione di problemi, che corrisponde al miglioramento dei processi aziendali, non può essere solamente il compito di singoli operatori o un intervento lasciato al caso.Esistono opportune tecniche per la ricerca e la soluzione ottimale dei problemi aziendali.Una tecnica è quella del problem finding (capacità di scoprire il problema) che è la meto-dologia di analisi dal cui risultato prende poi il via quella del problem setting (definizione del problema), e, infine, c’è spazio per l’avvio di una terza tecnica: il problem solving.La finalità del problem finding è quella di decidere quale tra i problemi che si presentano dovrà essere affrontato per primo. Le tre fasi di questa analisi sono:1) identificazione di tutti i problemi che preoccupano coloro che contribuiscono all’attività

di miglioramento;2) raccolta di informazioni sui problemi, al fine di evitare di trascurare un problema solo

perché ci sono poche informazioni al riguardo;3) creazione della lista di priorità di problemi identificati.Il problem setting è, in genere, portato avanti da un unico operatore. Tuttavia, per i casi più complessi, è necessario il lavoro in gruppo. In questo ultimo caso, il leader del progetto costituirà un team che si occuperà di definire e risolvere il problema organizzativo.Il processo metodologico del problem setting parte dal disagio presente in azienda. Successivamente viene analizzato lo scenario di riferimento e infine viene analizzata la situazione interna ed eventuali interventi precedenti. Si cercano di individuare potenziali sviluppi organizzativi e tendenze di fondo tramite l’analisi dei trend. Si evidenziano, dunque, le aree di criticità, si organizza la raccolta dei dati e si attivano tecniche di stimolazione della creatività. A questo punto si è in grado di definire il problema, e di organizzarne la soluzio-ne con le tecniche di problem solving. Se si tratta di un progetto, questo si gestisce con le tecniche di project management.

Il problem solving (letteralmente «risolvere problemi») è, infine, una metodologia di ana-lisi utilizzata per individuare, pianificare ed attuare le azioni necessarie alla risoluzione di un problema dopo che quest’ultimo è stato identificato tramite le tecniche di problem finding viste in precedenza.Il problem solving nell’ambito degli studi sull’apprendimento assume due accezioni:a) nell’accezione specifica e ristretta indica il complesso delle attività umane finalizzate alla soluzione di

problemi nell’ambito di discipline specifiche;

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b) nell’accezione più generale indica lo stile di indagine e scoperta — svincolato dallo specifico campo disci-plinare di tipo scientifico — in cui il soggetto utilizza conoscenze (dichiarative e procedurali) per progetta-re e realizzare progetti finalizzati al raggiungimento di un obiettivo (Miller, Galanter e priBraM, 1960; ausuBel, 1968).

Secondo ausuBel, si possono distinguere due tipi principali di «stili» euristici nel problem solving: l’approccio per prova ed errore e l’approccio per insight (intuizione). Il primo «consiste di una variazione, approssimazione e correzione di risposta casuale o sistematica fin tanto che emerge una variante di successo». Il secondo «implica un sistema» orientato verso la scoperta di una relazione significante mezzi - fini.

Dottrina

Ogni teoria dell’apprendimento si struttura attorno ad assunti sulla persona e sulle sue relazioni col mondo. Così ad esempio accade nella letteratura sociologica e psicologica che ha strutturato la visione manageriale dei pro-cessi di apprendimento. Essa ha posto in evidenza la specificità cognitiva dell’uomo rispetto all’attività di problem solving (siMOn), enfatizzando una visione dell’organizzazione come sistema di rappresentazioni mentali che concorrono a definire le forme dell’azione collettiva (arGyris e schOn). In estrema sintesi, questa visione si fonda su un’ipotesi di attore sociale (ovvero un soggetto dotato di razionalità limitata) che costruisce modelli sulla base dei vincoli di una propria economia cognitiva e di organizzazione, intesa come dispositivo funzionale alla ricomposizione di rappresentazioni mentali complesse e non necessariamente coerenti (crOzier e FriedBerG).

Il problem solving nella teoria delle decisioni e nella sociologia dell’organizzazione coincide con il decision making ed il risk taking, in quanto il percorso di risoluzione del problema è finalizzato, come il processo decisionale, al conseguimento di uno scopo (ad esempio la qua-lità, l’ottimizzazione del processo, il ripristino della normalità del ciclo di lavorazione etc.).Gli strumenti sia di tipo hardware che software, utili nel problem solving, possono essere di due tipi:— strumenti di misura, necessari per avere adeguate informazioni sul problema che si deve

esaminare e risolvere;— strumenti di intervento, per risolvere il problema.Tali strumenti possono essere esterni al sistema su cui si deve intervenire e, quindi, di sup-porto all’attività dell’operatore che deve risolvere il problema o interni al sistema e, quindi, necessari al sistema per il suo funzionamento.In questo contesto nasce l’esigenza di creare nuove conoscenze che si esprimono in nuove pratiche di lavoro o in nuove modalità di problem-solving. L’occasione di «risolvere i pro-blemi» è considerata come la fonte principale di apprendimento; è, infatti, in queste occa-sioni che il carattere creativo del lavoro umano dà origine a nuove pratiche di lavoro.Tali nuove pratiche di lavoro necessitano, quindi, di essere concettualizzate e giustificate sotto il profilo gestionale e sotto il profilo tecnico; è questa la fase definita come «creazione di concetti». La fase successiva — «creazione di una rappresentazione» — definisce le nuove pratiche di lavoro attraverso il carattere evocativo delle metafore o di espressioni chiare, chiave. Ne sono un esempio espressioni, come «qualità totale», «produzione a flus-so teso», «produzione snella», «fabbrica integrata», oppure frasi come «occorre risolvere i problemi laddove si presentano» utilizzate per descrivere il processo di de-gerarchizzazio-ne che accompagna l’adozione di modelli di produzione snella.

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B) LaproceduradelproblemsolvingLe fasi dell’analisi che possono essere rappresentate come una sequenza logica, sono:— definizione del problema: rappresenta l’analisi della situazione allo scopo di individuare

e definire esplicitamente le devianze (scostamenti dalle condizioni attese), delle quali occorre trovare le cause;

— raccolta delle informazioni: allo scopo di costruire un filtro attraverso cui verificare successivamente le ipotesi fatte sulle possibili cause delle devianze in questione;

— identificazione delle cause più probabili: è il processo diagnostico per analizzare il pro-blema prioritario al fine di limitare il campo di intervento a ciò che può dare il massimo effetto al minimo sforzo;

— formulazione di ipotesi di cause possibili: per individuare i possibili collegamenti logici tra le informazioni considerate più critiche e le devianze in questione;

— processo di decisione: scegliere la soluzione;— processo di pianificazione e sviluppo operativo dell’analisi: cioè trasferimento del risul-

tato dell’analisi alla realtà operativa e verifica dell’efficacia della soluzione delle azioni correttive;

— controllo dei risultati: al fine di valutare e confermare la validità della soluzione attuata.

Nella fase iniziale del processo si generano le domande che permettono di procedere nell’ana-lisi e nella soluzione dei problemi: perché c’è questo problema? Che cosa migliorare? Che cosa consente di definire le priorità tramite l’analisi della situazione; come fare a migliora-re la situazione? Attraverso quale processo di decisione e di pianificazione si formulano le contromisure ad un determinato problema?Una fase di analisi fatta in modo consapevole e sistematico è uno dei presupposti fonda-mentali per poter «fare bene le cose giuste al primo colpo». Se la fase di verifica indica che l’obiettivo è stato raggiunto (o che tendenzialmente lo si sta raggiungendo) bisogna:— non modificare la situazione;— standardizzare ed eventualmente estendere le azioni intraprese;— controllare costantemente che le azioni standardizzate vengano applicate correttamente

e che il loro esito sia sempre efficace;— continuare ad operare come stabilito (Isvor-Fiat).Interessante è al riguardo l’analisi di herBert siMon che ha sviluppato un’interpretazione dell’azienda come una «macchina per l’elaborazione delle informazioni», costruendo una teoria scientifica di problem solving e decision making basata sull’assunto che la capacità umana di conoscere è costituzionalmente limitata. Egli sostiene che un’effettiva elabora-zione delle informazioni è possibile solo quando i problemi complessi sono semplificati e solo quando le strutture aziendali sono specializzate.Le rappresentazioni visivo-spaziali di tipo schematico — quali diagrammi, istogrammi, grafi etc. — facilitano (secondo i dati di varie ricerche) il problem-solving, in quanto per-mettono di raffigurare la problematica in modo semplificato, trascurando gli elementi ac-cessori ed evidenziando quelli rilevanti (kOsslyn). Tali rappresentazioni, inoltre, fanno cogliere la situazione nella sua totalità, operazione che facilita la comprensione della strut-tura del problema e la sua riorganizzazione.

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C) LaraccoltadelleinformazioniNell’impostare una raccolta dati, occorre preoccuparsi di:1) chiarire che cosa si desidera sapere, questo significa avere chiara idea degli obiettivi e

porsi le domande giuste in funzione di ciò che serve conoscere;2) valutare se i dati esistenti sono significativi, se la situazione antecedente a cui essi si

riferiscono è effettivamente analoga a quella in esame sarebbe, infatti, un inutile dispen-dio di risorse raccoglierne di nuovi.

Il processo di raccolta dati inizia necessariamente dall’identificazione delle informazioni che si vogliono otte-nere. I dati da considerare devono essere quelli strettamente necessari. Ignorare aspetti fondamentali del feno-meno può essere pericoloso, ma sovraccaricarsi di dati difficili da classificare e da organizzare è altrettanto dannoso. Si raccolgono per primi i dati relativi all’argomento di cui ci si occupa, successivamente, nei limiti delle risorse disponibili, si considerano anche i dati di argomenti collaterali e più ampi.I dati si raccolgono tramite ricerche all’interno di database o biblioteche. Per fare una ricerca bisogna definire:— perché si fa una ricerca;— che cosa si spera di trovare;— che cosa cercare;— come cercare (scelta di parole chiave e criteri di ricerca);— dove cercare (data base, motori e metamotori di ricerca). La ricerca vera e propria è problem solving.

2.IlbrainstormingA) CaratterigeneraliIl brainstorming (letteralmente vuol dire «tempesta cerebrale», dal punto di vista seman-tico significa invece «tempesta di idee») è una tecnica di discussione che permette di crea-re idee innovative, lasciando libera la fantasia. È un metodo per trovare soluzioni creative ai problemi, per trovare alternative ai progetti o per promuovere nuove idee.Dato un problema, ogni partecipante alla discussione può proporre liberamente soluzioni di ogni tipo (anche strampalate o con poco senso apparente). Nessuna soluzione proposta viene minimamente censurata o ignorata. La critica e la eventuale selezione di idee innova-tive interverrà solo in un secondo tempo, quando la seduta di brainstorming è finita.Il risultato principale di una sessione di brainstorming, che apparentemente sembra un me-todo sciocco e quasi infantile, è in genere molto produttivo: può consistere in una nuova e completa soluzione del problema, in una lista di idee per un approccio ad una soluzione successiva o in una lista di idee che si trasformeranno nella stesura di un programma di lavoro per trovare in seguito una soluzione.

Dottrina

Il brainstorming venne ideato negli anni ’50 da OSBORN con lo scopo iniziale di utilizzare la creativi-tà del gruppo per affrontare problemi pubblicitari e di marketing. In seguito fu adottata in diverse ap-plicazioni; in particolare nelle attività di gruppo finalizzate al miglioramento della qualità nella produ-zione. Il brainstorming ha molte applicazioni pratiche, anche non di tipo aziendalistico; il suo maggio-re uso riguarda (LANDES):— lo sviluppo di nuovi prodotti; — la pubblicità: si sviluppano idee per le campagne pubblicitarie;

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— la risoluzione di problemi;— la gestione di processi;— la gestione di progetti;— la costruzione di un team.

Il brainstorming si basa sull’assunto che la nascita di un’idea stimoli la nascita delle altre. Il procedimento è a doppio imbuto:— nella fase divergente si producono idee a ruota libera. Il moderatore stimola i presenti

a proporre e vieta le critiche. Sintetizza le idee con parole chiave e le scrive sulla lavagna;— in un secondo momento, con persone diverse dalle precedenti, si passa alla fase conver-

gente. Le idee vengono selezionate e valutate; infine, si scelgono quelle più interessan-ti.

La fase della generazione delle idee consiste nell’esporre tutte le possibilità immaginabili (realizzabili e non) che vengono in mente in quel momento ad ogni persona coinvolta. Questo metodo serve per introdurre anche idee che all’inizio possono sembrare sbagliate od addirittura assurde, ma che in un secondo tempo possono diventare appropriate, se non geniali. Il brainstorming si basa, quindi, sulla creatività delle persone coinvolte!Il processo di brainstorming può essere rappresentato graficamente con un diagramma car-tesiano in cui sull’asse X (orizzontale) si considera la durata della sessione e sull’asse delle Y (verticale) l’entità della generazione delle idee. Dal grafico si osserva che le idee vengo-no generate inizialmente molto lentamente, e ciò può essere spiegato dal fatto che le perso-ne che partecipano alla sessione si sentano in principio inibite. Mano a mano che il gruppo si amalgama le idee vengono generate con un’entità maggiore fino ad arrivare ad un punto della sessione in cui le persone si sono espresse al massimo della loro creatività. Da questo momento in poi il processo di brainstorming subisce una battuta di arresto, le persone sem-brano non avere più idee creative ed è proprio in questo momento che il moderatore non deve scoraggiarsi, in quanto si tratta solo di un calo fisiologico. Infatti, è stato provato che continuando l’incitamento a creare, il gruppo è in grado di generare ulteriori idee potenzial-mente più creative di quelle già generate nella fase iniziale del processo di brainstorming.

DURATA DELLA SESSIONE

GENERAZIONE

IDEE

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B) BrainstormingeproblemsolvingIl brainstorming è uno strumento utile nel momento in cui si desidera coinvolgere attiva-mente un gruppo di collaboratori o di rappresentanti di funzioni interessati al problema, facendo emergere nuove idee dai vari punti di vista.In particolare, nel processo di problem solving, il brainstorming può essere utilizzato:— in fase diagnostica, per far emergere le possibili cause di uno scostamento;— in fase decisionale, per fare emergere le possibili azioni che possono contribuire a con-

seguire un determinato obiettivo di miglioramento;— in fase di pianificazione, per far emergere i problemi potenziali, o «criticità», nonché a

ipotizzare le loro possibili cause.

C) LaproceduraUna sessione di brainstorming, per essere efficace, deve seguire una precisa procedura:— comunicazione del tema: il tema del brainstorming (sufficientemente specifico, ma non

tale da precludere l’espressione di idee creative e innovative) deve essere scritto in modo sintetico e visibile a tutto il gruppo;

— esplicitazione delle regole e del procedimento: serve per rendere tutti consapevoli su come si deve procedere;

— fase creativa individuale: i partecipanti per un brevissimo periodo (3-5 minuti) riflettono individualmente sul tema, registrando su un foglio le proprie idee;

— raccolta e registrazione delle idee: un primo partecipante viene invitato ad esprimere la prima idea della sua lista, che il conduttore annota in modo ben visibile a tutti. Si proce-de poi «a giro di tavolo» e ogni partecipante enuncia «un’idea inedita per ogni giro». Le idee vengono tutte scritte in modo visibile. Si procede in questo modo fino ad esauri-mento delle idee o, in ogni caso, fino a che i partecipanti sono sufficientemente concen-trati. Risultato di questa attività è un elenco di idee disordinato e ripetitivo;

— organizzazione delle idee: l’elenco creatosi nella fase precedente viene riscritto, classi-ficando le idee in gruppi per analogie ed eliminando le eventuali ripetizioni;

— valutazione delle idee: si discutono, si chiariscono e si commentano le varie idee, per giungere ad un «elenco ragionato» di quelle più promettenti.

Le regole per condurre una sessione di brainstorming sono:— incoraggiare ognuno ad andare a ruota libera, senza inibirsi nel comunicare le idee

anche quando sembrano sciocche;— nessuna discussione avviene durante il brainstorming: questa avverrà successivamente;— nessun giudizio: a nessuno è permesso criticare le idee di un altro, neanche con un bron-

tolio o con una smorfia;— scrivere tutte le idee in modo che siano ben visibili così che l’intero gruppo possa facil-

mente analizzarle.Si ricordi che il facilitatore è un manager di medio-alto livello che ha la funzione di coor-dinare l’attività di uno o più gruppi di progetto e di rimuovere eventuali ostacoli di caratte-re organizzativo, fornendo loro il necessario supporto metodologico. Dopo una sessione di

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brainstorming viene spesso adottato il multivoting per identificare le idee meritevoli di importanza.Il multivoting è un modo per condurre un sondaggio al fine di selezionare i punti più importanti o graditi da una lista. Le difficoltà di tale tecnica sono limitate.

3.IdiagrammiA) L’analisidiParetoIl diagramma di Pareto è un diagramma a colonne che permette di definire una scala di importanza tra eventi sulla base della loro frequenza. Dalla rappresentazione grafica appa-re evidente quali sono le cause maggiormente responsabili dell’effetto finale e quali sono, quindi, i fattori su cui intervenire prioritariamente.

Dottrina

Nel 1897 l’economista italiano VilFredo pareto propose una rappresentazione che dimostrava la ineguale distribuzione del reddito tra le famiglie di una regione italiana. Questa problematica venne ripresa nel 1907 dall’economista lorenZ. Anch’egli metteva in evidenza il fatto che una piccola per-centuale di persone possedeva la maggior parte della ricchezza nazionale. lorenZ formulò infine anche una legge che esprimeva l’andamento della funzione logaritmica e di distribuzione che porta ancora oggi il suo nome. Più recentemente Juran diede valore «universale» agli enunciati di pareto e lorenZ sostenendo che, in generale:

— il 20% dei prodotti di un’azienda manifatturiera multiprodotto costituisce l’80% del fatturato dell’azienda;

— il 20% dei componenti di un prodotto costituisce l’80% del suo valore;— il 20% del tempo produce l’80% dei risultati ottenuti nell’intera giornata.

Dal punto di vista più operativo, il diagramma consente di presentare graficamente i dati raccolti, suddividendoli per categoria e ponendoli in ordine di importanza.Quando vi sono più problemi contemporanei da affrontare con risorse limitate occorre as-sicurarsi che le precedenze siano proporzionate all’importanza dei problemi.Il diagramma di paretO è di carattere «unidimensionale» e tiene conto solo della frequen-za dei problemi.Occorre invece considerare che un problema può apparire di bassa priorità in termini di frequenza, rispetto ad altri, ma può avere conseguenze drammatiche se non è adeguatamen-te considerato e prevenuto.Per determinare le vere priorità, il suggerimento è di non limitarsi a considerare gli elemen-ti che caratterizzano i problemi dai punti di vista frequenza/gravità, ma di valutarne anche l’urgenza e le potenziali conseguenze.

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Per ciascun problema prioritario occorrerà determinare qual è il processo, o la serie di pro-cessi, più idoneo per affrontarlo.Può essere utile un processo diagnostico in cui cerchiamo di determinare quali azioni con-viene scegliere per conseguire con buona probabilità l’effetto voluto.

B) Ildiagrammacausa-effettoÈ una rappresentazione grafica che consente di evidenziare il grado di importanza delle varie cause che determinano un problema. Una volta individuate le varie cause relative ad un determinato effetto, esse vengono analizzate successivamente come effetti di altre cause, sino ad ottenere uno schema di dettaglio sufficiente ad inquadrare il problema affrontato.L’output di un processo è la risultante di una moltitudine di fattori.Il diagramma causa-effetto (anche detto diagramma di ishikawa dal nome del suo ideato-re o diagramma a «lisca di pesce») è uno strumento utile per esprimere semplicemente e sistematicamente le relazioni tra i vari fattori in gioco e l’output. È utilizzato dai gruppi per esplorare le connessioni tra un dato effetto o problema, e tutte le possibili cause o ragioni dell’effetto. Le cause possibili sono categorizzate spesso secondo: distributori, macchinari, metodi e materiali.

E F F E T T Ocausa causa

causa causa

causa causa

causa causa

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Spaghettinon buoni

Metodo

MaterialePersonale

disattenzione

errore nellalettura della ricetta

pasta non buona

pomodoro nonbuono

ricetta sbagliata

ingredienti sbagliati

Nella costruzione del diagramma si può seguire uno schema come il seguente: — definire l’effetto da analizzare, che deve essere già il risultato di un accurato processo di disaggregazione/

precisazione;— enunciare sinteticamente l’effetto (scostamento: oggetto - anomalia) e inserirlo in un rettangolo, tracciando

poi una freccia principale, che rappresenta la «linea causale» del diagramma;— individuare le cause primarie (o categorie di causa), che influenzano l’effetto osservato e inserirle in testa

ai «rami primari»;— individuare le cause secondarie (cause delle cause), che influenzano o che danno espressione alle cause

primarie e inserirle nel diagramma come «rami» secondari;— individuare eventuali cause terziarie (cause delle cause delle cause), che influenzano a loro volta quelle

secondarie.

C) IldiagrammadiflussoQualunque attività può essere intesa come un insieme, una sequenza di fasi (cioè di azioni e di decisioni) volte a trasformare un «input» in un «output», aggiungendovi valore. Tale sequenza si definisce classicamente «processo».Il diagramma di flusso è una rappresentazione simbolica che descrive la sequenza delle fasi di un processo.Sviluppato negli anni ’60 per la programmazione dei computer, ha poi trovato utile applicazione nei campi dell’organizzazione e dell’ottimizzazione operativa.Nell’ambito del problem solving viene utilizzato, principalmente, per rappresentare ciò che realmente avviene, come base per poter poi descrivere una procedura ottimizzata.

I simboli utilizzati sono:

Decisione,controllo,

separazione delflusso

Operazione, attività,lavorazione

Inizio o fine delprocesso

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4.IlRoleplayingLa tecnica del Role playing parte dal presupposto che il comportamento di un individuo coinvolto in un processo decisionale è ampiamente influenzato dalle dinamiche che rego-lano l’interazione tra soggetti. Consente la rappresentazione, da parte di un gruppo di giudici, di un incontro nel quale ogni soggetto è chiamato a identificarsi in un attore socia-le realmente operante nella situazione rappresentata, mettendone in scena i comportamenti.La tecnica sviluppa, quindi, una dinamica di gioco formale attraverso una rappresentazione del contesto oggetto di sperimentazione e non di una finzione o immaginazione dello stesso.A fini creativi tale tecnica è utile perché permette di evidenziare la diversità delle prospet-tive dei vari attori riguardo al tema della qualità.Il gioco di ruolo è una tecnica derivata dallo psicodramma, una forma di psicoterapia che consiste nel far inter-pretare ai protagonisti di una certa situazione reale ruoli diversi dai propri, per uscire dalla loro sfera egocentri-ca e abituarsi a considerare le cose da punti di vista diversi e perfino antagonisti.

Nel gioco di ruolo si invertono i ruoli del capo e del collaboratore, o del fornitore e del cliente, o del giornalista e del responsabile dell’ufficio stampa.La relazione può essere un dialogo fra due persone, o una discussione fra più persone. Nel-la seduta una persona può interpretare un solo ruolo, o ruoli diversi a rotazione. È bene che ci sia un animatore a cui affidare la conduzione del gioco e del debriefing finale.Gli attori che interpretano i ruoli devono essere visivamente separati dagli spettatori, e possibilmente illuminati con una luce più intensa. Possono essere ripresi con una telecame-ra, che li farà sentire più interpreti del ruolo.Le interpretazioni vanno sottoposte ad un attento lavoro di debriefing, fatto dal conduttore, dagli attori e dagli spettatori, in modo che ognuno esprima le sue considerazioni e le sco-perte fatte col cambiamento del punto di vista.Nel problem setting il gioco di ruolo è utile proprio per cercare di vedere il problema da un altro punto di vista.

5.IlcomportamentoindividualeedigruppoA) ImportanzaecaratteristichedeigruppiLa visione organizzativa classica prevedeva che ogni operatore non potesse «disturbare» il proprio capo per questioni di routine. In realtà le cose stanno cambiando anche in questo senso. Infatti, i tradizionali metodi di gestione basati sul rapporto capo-collaboratore si stanno rivelando scarsamente efficaci in particolare per la gestione e lo sviluppo dei gruppi.Questi limiti diventano ancora più evidenti nel caso di gruppi interfunzionali e nella gestio-ne per processi dell’organizzazione. Oggigiorno diviene, quindi, fondamentale per il verti-ce di ogni organizzazione disporre di strumenti che consentano di pianificare lo sviluppo dell’impresa in scenari molto incerti e in continua evoluzione.È fondamentale che le imprese sappiano adattarsi con rapidità all’evoluzione dell’ambien-te, attraverso il cambiamento dei processi e dei comportamenti. La qualità del leader di un gruppo è, quindi, legata alla capacità di cambiare tali processi e comportamenti attraverso la creazione e realizzazione di una visione condivisa della vita organizzativa. Il leader deve inoltre rappresentare la forza che guida il gruppo (l’azienda) all’ottenimento dei risultati.

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231I nuovi strumenti di direzione

Il gruppo di lavoro è una variabile strategica determinante nell’ambito di tutti i modelli organizzativi emergenti. Per l’impresa è essenziale, quindi, affinare le abilità di costituzio-ne di team efficaci ed analizzare le modalità mediante le quali gestire e motivare il gruppo di lavoro.Il singolo individuo è in possesso di informazioni e conoscenze assai limitate rispetto alle potenzialità creative di un gruppo. Perciò sempre più spesso queste vengono sfruttate per compiti come lo sviluppo dei prodotti, il miglioramento dei processi lavorativi e la pianifi-cazione strategica.Il gruppo può essere descritto come un insieme più o meno grande di persone con una comune percezione della loro unità. I membri inoltre interagiscono, nel gruppo, per un determinato periodo di tempo e in un dato luogo; sono legati da un senso di appartenenza; hanno valori comuni, ruoli dichiarati; hanno infine i medesimi obiettivi.Il gruppo può fornire il mezzo per aumentare la sicurezza e il senso di potere nell’affronta-re un «pericolo» comune (come solitamente si dice: «l’unione fa la forza»).Una prima caratteristica di ogni gruppo consiste nella presenza, al suo interno, di un’inte-razione strutturata: le relazioni correnti sono condizionate da comportamenti che non sono casuali, quanto piuttosto dettati da norme, formali o informali, e dai ruoli, anch’essi più o meno formalizzati, che costituiscono la struttura sociale del gruppo.La seconda caratteristica del gruppo è il senso di appartenenza: i membri sviluppano una consapevolezza del loro stare assieme.La terza consiste nel possedere un’identità percepita dall’esterno, che si rispecchia nei suoi membri; quest’ultima caratteristica spesso è in grado di condizionare i comportamenti di altre persone che entrano in contatto con il gruppo, esercitando un’influenza di tipo psico-logico (viGiak).Si possono poi distinguere diverse formazioni di gruppo:— gruppo di base: livello affettivo-emotivo del gruppo, «luogo» delle dinamiche personali; ha la funzione

primaria di soddisfare bisogni o desideri di tipo affettivo-emotivo;— gruppo primario: gruppo che ha principalmente lo scopo di soddisfare i bisogni sociali dei membri;— gruppo secondario: gruppo caratterizzato da rapporti che sorgono principalmente dalla necessità di coope-

razione per raggiungere specifici scopi;— gruppo di lavoro: livello razionale del gruppo, persegue il «compito»; ha la funzione primaria di raggiun-

gere un obiettivo e svolgere un compito.

I gruppi in aziendaDai noti esperimenti condotti da eltOn MayO negli anni tra le due guerre risultò chiaramente che gli uomini inseriti nelle organizzazioni di lavoro, sotto le pressioni dell’ambiente e dei capi, si riuniscono sempre in gruppi. I gruppi possono essere «formali» se costituiti dall’azienda o «informali» se costituiti spontaneamen-te da persone aventi comuni interessi. Corrispondentemente, esistono capi «formali» e «informali».Lo studio del comportamento dei gruppi è fondamentale nella moderna sociologia. La costituzione dei grup-pi informali (in quanto essi offrono protezione e sicurezza a coloro che ne fanno parte) è la naturale reazione dei lavoratori ad una organizzazione «scientifica» del lavoro: nel microcosmo del gruppo, i lavoratori riesco-no infatti a salire qualche gradino della scala di MaslOw; risultato che altrimenti potrebbero inseguire inva-no per anni.

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232 Capitolo11

6.Illavorodigruppoel’apprendimentoCome si è ampiamente argomentato, l’apprendimento continuo è alla base del successo dell’impresa; impresa che produce beni o servizi, ma soprattutto conoscenza. La conoscen-za prodotta è quella legata alle innovazioni dei prodotti realizzati o ai miglioramenti negli strumenti e modalità di lavoro.L’apprendimento si dimostra più efficace quando si svolge in gruppo. Quando il processo di apprendimento avviene insieme ad altre persone si ha la possibilità di condividere e comunicare (mettere in comune) la comprensione di ciò che si è appreso. In effetti, si ha la possibilità di conoscere le interpretazioni degli altri operatori e mettere in discussione le proprie. Inoltre, apprendere in gruppo comporta una più efficace applicazione di ciò che si è appreso e questo, a sua volta, produce risultati migliori per l’azienda. In pratica, per risol-vere problemi difficili e complessi è oggi necessario lavorare in gruppo. Apprendere in gruppo, per di più, trasmette contemporaneamente a più persone il senso di entusiasmo, che promuove più facilmente la collaborazione. Con la tendenza all’appiattimento dei livelli organizzativi (riduzione del middle management) la capacità e la mentalità collaborativa ha assunto un importante ruolo nell’azienda. In molte aziende oggi si incentiva la capacità di apprendere, l’applicazione di ciò che si è appreso e la capacità di trasmettere ciò che si è appreso.Perché il gruppo possa avviare il processo di creazione di conoscenza, occorre preliminar-mente che si instauri una fiducia reciproca tra i componenti. La creazione di concetti richie-de un difficile processo di esteriorizzazione, cioè di conversione della conoscenza implici-ta (per sua natura difficile da articolare) in concetti espliciti. Si può realizzare questo ambi-zioso obiettivo solo se si dà luogo ad un ripetitivo dialogo tra i componenti. La fiducia reciproca è la base fondamentale per una «collaborazione» costruttiva (schlaGue, 1990). L’unica maniera per costruire fiducia reciproca consiste nel condividere le esperien-ze di ciascuno, che costituiscono la fonte primaria della conoscenza implicita. È impossi-bile comprendere gli altri se non se ne condividono le esperienze.Il processo organizzativo di creazione di conoscenza viene attivato dall’ampliamento della conoscenza di una persona all’interno dell’organizzazione stessa. L’interazione tra l’esperienza e la razionalità consente agli indi-vidui di formare le proprie prospettive, cioè la propria percezione del mondo. Tali prospettive però, se non sono articolate ed ampliate verso livelli più alti, finiscono col rimanere a livello personale. La creazione di conoscen-za nell’organizzazione ha bisogno di un «brodo di coltura» dove i singoli componenti cooperino nella creazio-ne di nuovi concetti. Nelle organizzazioni aziendali il terreno adatto per le interazioni è, spesso, costituito in forma di gruppo autonomo ed auto-organizzato, composto da diversi elementi provenienti da svariati reparti e funzioni.Nella cultura delle nuove organizzazioni che apprendono sono gli individui, e i gruppi di individui, che innova-no e sperimentano, mettendo in discussione le pratiche esistenti. Uno dei valori fondamentali si rivela, quindi, quello della maggiore libertà degli attori del sistema. In questi contesti gli stili della leadership devono orien-tarsi verso obiettivi di apprendimento reciproco e verso attività di supporto e di guida, evitando di enfatizzare le attività di controllo e di supervisione diretta (BrerO). Tuttavia, anche in presenza di gruppi di lavoro autodi-retti, è comunque il capo (o il team leader) che definisce il tempo della esecuzione e il tempo della riflessione. «Apprendere richiede tempo: tempo di sistematizzazione, tempo di confronto e di critica, tempo di trasmissio-ne, decodificazione e codificazione» (turati).

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233I nuovi strumenti di direzione

7.IllavorodigruppooteamworkA) LavorodigruppoTutti siamo continuamente coinvolti in gruppi diversi: sportivo, spontaneo, di lavoro etc. Ma i gruppi non sono tutti uguali: occorre distinguere il gruppo dal gruppo di lavoro.Il concetto di team work può essere considerato ambiguo perché ha due accezioni: può si-gnificare, infatti, sia «gruppi di lavoro» che «lavoro di gruppo». Il concetto di gruppi di lavoro focalizza una particolare scelta organizzativa per cui seg-menti della produzione sono gestiti da squadre di lavoro incaricate di dirigere con rilevan-te autonomia il ciclo di produzione.Il concetto di lavoro di gruppo, invece, pone l’accento sul carattere cooperativo della prestazione lavorativa; senza che questa, però, sia accompagnata da una scelta formale del management di organizzare il lavoro attraverso gruppi formalmente riconosciuti.Il lavoro di gruppo è un’attività di cooperazione tra più individui, che possono anche appartenere a differenti aree dell’azienda, svolta al fine di giungere ad una più rapida e migliore definizione di un progetto o risoluzione di un problema; ad un più drastico e per-manente miglioramento nei processi e nelle operazioni; o ad una maggiore produttività rispetto a quanto ottenibile seguendo il tradizionale schema di lavoro gerarchico.Nel lavoro di gruppo emergono:— negoziazioni di obiettivi, metodi, ruoli, idee, decisioni;— confronto tra persone, capacità, culture, stili di comunicazione.Il lavoro di gruppo deve, quindi, sviluppare:— integrazione di obiettivi individuali del gruppo e dell’organizzazione, metodologie,

ruoli, competenze, qualità personali;— gestione delle differenti competenze, percezioni, idee, soluzioni, aspettative, motivazio-

ni.Il lavoro di gruppo non riguarda soltanto lo svolgimento di un compito, ma comprende anche la gestione delle relazioni al suo interno e la gestione del lavoro operativo.I team di lavoro possono assumere diverse configurazioni in relazione agli obiettivi che si propongono. Ricordiamo due tra le più importanti configurazioni.Il gruppo di progetto, che è solitamente interfunzionale, comprende professionisti, mana-ger, analisti etc. Il gruppo di progetto è costituito temporaneamente (ad hoc) per risolvere un problema specifico, con obiettivi predeterminati e nell’arco di tempo considerato neces-sario e concordato.Anche il gruppo di miglioramento è formato ad hoc da persone provenienti da diverse funzione aziendali. L’obiettivo è di seguire e implementare un determinato progetto legato al miglioramento della qualità.

B) IlgruppodilavoroCome abbiamo visto, il gruppo di lavoro è un insieme limitato di persone con la consape-volezza della loro unità. Il gruppo ha una vita autonoma cioè indipendente e distinta da quella dei suoi membri. Il gruppo lavora per raggiungere un obiettivo riconosciuto ed ac-cettato da tutti.

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234 Capitolo11

Il gruppo di lavoro svolge specifiche attività come: la risoluzione di problemi, la progetta-zione di attività o prodotti, la preparazione di procedure finalizzate al raggiungimento di un obiettivo.Il gruppo si caratterizza per i ruoli e cioè per l’insieme dei compiti assegnati ad ogni mem-bro in funzione delle competenze/specificità riconosciute e/o delle specifiche attività da eseguire. Nel gruppo si può avere, inoltre, un processo di segmentazione e cioè la creazione (per divisione o aggregazione) di unioni di persone omogenee per bisogni, necessità, do-mande o potenzialità comunicative.Per svolgere le sue attività il gruppo di lavoro si dota di:— un obiettivo: risultato atteso dal gruppo di lavoro, coerente con i risultati attesi dall’or-

ganizzazione;— un metodo: strategia con cui si affronta un percorso, un compito, un obiettivo;— dei ruoli: insieme dei comportamenti che ci si aspetta da chi occupa una posizione all’in-

terno del gruppo;— una leadership: rappresenta la funzione di mantenimento e armonizzazione del gruppo

come sistema, attraverso la stimolazione delle capacità di tutti, l’esposizione di tutti e la massima condivisione possibile dei rischi e del successo.

Il leader è colui che è stato scelto dall’organizzazione per condurre il lavoro di gruppo; è responsabile verso l’organizzazione della quantità e della qualità del lavoro svolto dal gruppo; ha, inoltre, la delega organizzativa a disporre delle risorse umane e tecniche necessarie al lavoro del gruppo;

— un metodo di comunicazione: processo che garantisce lo scambio di informazioni nel gruppo. La comunicazione è il processo che garantisce lo scambio delle informazioni necessarie al raggiungimento dei risultati;

— un clima: indica la «qualità» dell’ambiente del gruppo, fatta di sentimenti, percezioni, opinioni. Il clima è quindi la percezione che i singoli componenti di un gruppo hanno dell’organizzazione di cui il gruppo fa parte;

— un profilo di sviluppo: crescita delle competenze dell’individuo nel gruppo e dell’intera competenza del gruppo (Isvor-Fiat).

All’interno del gruppo di lavoro sono presenti sentimenti, affetti, fantasie, motivazioni, desideri, frustrazioni, aspettative che ogni persona sviluppa verso i colleghi, la missione organizzativa, il leader, se stesso etc. Le componenti emotivo/affettive caratterizzano quello che per semplicità definiamo gruppo di base. Quest’ultimo è un sottosistema del gruppo di lavoro, e lo influenza in maniera consistente.

C) IlmetododelteamworkIl metodo del teamwork è una tecnica per sviluppare nei gruppi di lavoro la capacità di cooperare efficientemente e di valorizzare le risorse interne. Tutti i membri del team condi-vidono e fanno propri gli obiettivi di un progetto. Nel team si creano le condizioni per in-tegrare tutte le competenze funzionali al servizio del progetto. Il progettista, il tecnologo, lo sperimentatore, il buyer, l’esperto di marketing creano e fondono tra di loro esperienze, linguaggi e know how.L’informazione diventa l’obiettivo quotidiano ed il mezzo attraverso il quale ciascuno svol-ge la propria attività. Prima e dopo l’attività c’è un cliente e un fornitore: il team deve for-

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235I nuovi strumenti di direzione

nire output ed informazioni secondo la logica del just in time; le persone devono saper immettere, ricevere ed utilizzare le informazioni secondo la stessa logica.Un team deve essere un’unità organizzativa multifunzionale, capace cioè di compiere tutte le attività diversificate necessarie a fornire uno specifico prodotto/servizio completo. Deve anche possedere un certo grado di disorganizzazione che permetta la sovrapposizione e l’intercambiabilità di ruoli e compiti non prestabiliti. Per tale motivo i partecipanti al team non devono essere dei superspecialisti, bensì degli esperti generici, in grado di svolgere, in maniera sostanzialmente autonoma, il lavoro multidimensionale necessario.

Dottrina

Per far funzionare i team snelli è necessario che il personale sia competente, autonomo e motivato, ovvero empowered, cioè fortemente responsabilizzato e con ampi poteri decisionali.La traduzione letterale di empowerment è «potenziamento», ed in senso lato la possiamo intendere come «sviluppo del sé» o autopotenziamento. La persona empowered è una persona matura sotto tutti i possibili punti di vista, ed è peraltro soggetta ad un incessante processo di maturazione e quin-di di miglioramento.

May e Kruger distinguono quattro principi verso l’empowerment:

1) profonda conoscenza di sé (intellettuale, fisica, psicologica);2) integrità;3) comunicazione efficace, unita alla capacità di ascolto;4) partnership: la persona empowered non è un’individualista.

piccardo offre una serie di caratteristiche che contraddistinguono la persona empowered. Questa assume impegni e responsabilità; incoraggia l’espressività; condivide le informazioni; usa sempre un linguaggio concreto; investe costantemente sulla competenza tecnico-professionale; accetta la critica; condivide potere e profitti; possiede elevata autostima; si diverte nel proprio lavoro; non solo accetta; ma ricerca la sfida e il rischio; coopera sempre con i membri del gruppo.

D)IlTraining-GroupIl Training-Group (T-Group) è una tecnica di apprendimento esperenziale basata sulla conduzione non gerarchica di piccoli gruppi da parte di un trainer e di un osservatore, con l’obiettivo di facilitare, all’interno del gruppo stesso, la libera comunicazione creativa e l’apprendimento.Un Training-Group non ha un’esplicita agenda, una struttura o obiettivi espressi. Sotto la guida del trainer, i partecipanti sono incoraggiati a condividere le emozioni e i sentimenti (come ad es. rabbia, paura, invidia etc.). I partecipanti vengono posti in una condizione in cui l’unico compito è quello di passare un periodo di tempo definito insieme in un luogo stabilito. Ciascuno si mette in campo con tutto il proprio bagaglio di conoscenze. Però nel T-Group non si acquisiscono conoscenze nuove, ma cambia il funzionamento psichico in seguito all’interazione tra soggetto e ambiente.Le risorse a disposizione all’interno di ogni gruppo sono:— le persone partecipanti;— lo staff di conduzione;— lo spazio;— il tempo.

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236 Capitolo11

A partire da questi elementi ogni partecipante prende progressivamente consapevolezza di determinate dimani-che: l’intimità e l’apertura tra le persone, l’autorità, la comunicazione, la leadership, i processi decisionali. L’apprendimento avviene, quindi, attraverso fenomeni che accadono all’interno del gruppo piuttosto che attra-verso informazioni ed esperienze esterne. Il fine, cioè il risultato dell’esperienza, è aperto; nel senso che ogni individuo elabora e trae le conclusioni che lo riguardano personalmente.Il T-Group è uno strumento che aiuta a prendere coscienza delle proprie risorse relazionali e a riconoscere e valorizzare la diversità degli altri.

8.StrumentidisupportoalletecnichedidirezioneA) LatecnicasinetticaLa tecnica sinettica, messa a punto nel 1961 da una società statunitense, consiste nello spingere l’immaginazione degli operatori coinvolti al suo estremo limite di creatività e si articola in fasi successive:— formulazione del problema di partenza;— discussione;— riformulazione in base alla discussione;— ricerca di analogie con la natura, i simboli, la fantasia per rivedere il problema sotto

aspetti diversi (per esempio: «se il tuo prodotto fosse un elefante, come sarebbe?»);— riportare le analogie al problema iniziale;— chiedere ai partecipanti soluzioni pratiche alla luce degli stimoli ricevuti.

B) IlfoglioelettronicoIl foglio elettronico, oltre alle normali funzioni aritmetiche, dispone di sofisticate funzioni matematiche e statistiche, con cui è possibile interpolare, extrapolare, analizzare e sintetiz-zare dati.

C) IlbriefingIl briefing è il momento iniziale di un nuovo progetto durante il quale sono concordate tutte le specifiche del progetto: obiettivi, tempi, costi, risorse a disposizione, settori interes-sati.Inoltre, durante il briefing viene assegnato ad ogni operatore il rispettivo ruolo. Vengono infine elencate le attività che si succederanno durante tutto il percorso di apprendimento-miglioramento (cronoprogramma).Una delle più famose metodologie per definire le specifiche di progetto risale a lasswell ed era usata fin dagli anni ’30 nel giornalismo. Si basa su cinque W e una H:— who: chi è il referente o il committente? a chi ci si rivolge?;— what: che cosa si deve fare? (progetto);— where: dove si deve intervenire?;— when: quando va fatto?;— why: perché si fa? (obiettivo);— how: come si deve fare? (sviluppo del progetto).

Un buon metodo per determinare le specifiche di progetto è quello di rifarsi ad un progetto precedente, utilizzando gli elementi risultati soddisfacenti e migliorando elementi non ade-guati.

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237I nuovi strumenti di direzione

Il debriefing è, invece, la valutazione finale di un processo. Durante una riunione con le persone che hanno partecipato al progetto, si confronta la relazione finale con il briefing, e si tirano le somme. Spesso il debriefing apre nuove prospettive che richiedono di avviare un nuovo processo di problem setting.

D)IldiagrammadicorrelazioneIl diagramma di correlazione aiuta a verificare se tra due parametri, due fattori o due dimensioni vi sia un rapporto di causalità, se cioè siano correlati fra di loro.Per far questo si crea un grafico in cui l’asse orizzontale rappresenta un parametro (di soli-to il parametro indipendente), mentre l’asse verticale rappresenta il secondo parametro (quello che si sospetta essere dipendente dal primo). Si raccolgono, quindi, i dati necessari (ovvero coppie di dati). Ogni coppia di dati verrà indicata con un punto sul grafico. Si for-merà così una «nuvola» di punti, la quale renderà evidente se tra i due parametri esista o meno una correlazione causale.

Parametro dipendente

Parametro indipentente

retta di regressione

Nuvola di punti