Editoriale L’editoriale - ipasvitaranto.com · Sono questi l’essenza della vita, perchè...

64
1 Editoriale Editoriale Benedetta Mattiacci Presidente Collegio IPASVI L editoriale lle soglie del nuovo anno, con sogni frustrati alle spalle e desideri da realizzare, sentiamo il bisogno di dar voce ai pensieri, vuoi per consuetudine, vuoi perchè ai sogni bisogna credere. Sono questi l’essenza della vita, perchè aiutano a camminare, perchè sono necessari per la realizzazione delle cose reali, perché si continua a sognare fin quando c’è vita. Anche quest’anno noi infermieri scriviamo la “letterina” a Babbo Natale, sperando che ascolti le nostre richieste, i nostri desiderata, che in fondo non sono finalizzati ad una realizzazione personale ma rispondono alle esigenze dei cittadini che noi vorremmo poter esaudire, che a noi si rivolgono per chiedere assistenza, consigli, incoraggiamento, so- lidarietà. Noi ed i cittadini, due facce della stessa medaglia chiamata “salute”: da un lato la sofferenza, dall’altro l’assistenza, l’uno complementare all’altro. L’infermiere ed il malato, alleati per la salute, complici nella lotta alle malattie sempre più aggressive, sempre più invadenti. Allora, la neces- sità di affinare le armi, ovvero quella preparazione che chiede continui aggiornamenti, continui studi, continua ri- qualificazione; quella preparazione che il Collegio cerca di offrire agli iscritti con una programmazione diversificata e continua. Questa è la realtà. I sogni? Quei doni che vorremmo trovare sotto l’albero? Eccoli. 1) La trasformazione dei collegi professionali in ordini professionali. 2) Un contratto di lavoro più aderente al carico di lavoro che l’infermiere svolge nell’ambito della sua sfera di competenze. 3) Un contratto di lavoro che finalmente preveda in maniera chiara ed indiscussa l’esercizio della libera professione intramoenia. 4) Maggiore lungimiranza da parte degli amministratori per un più ampio investimento sulla no- stra professione senza confusione su razionamento e razionalizzazione delle risorse. Lo status quo è la grande insoddisfazione degli infermieri che si ritrovano giorno dopo giorno con un carico di la- voro eccessivo, con la realtà di un lavoro insoddisfacente e mortificante. Chiediamo nella nostra letterina natalizia virtuale una maggiore progettualità che renda al meglio il ruolo e la funzione dei professionisti sanitari, tra cui gli infermieri. Non possiamo non indirizzare un pensiero anche alle Organizzazioni Sindacali, alle quali chiediamo: 1) l’impegno a verificare l’organizzazione del lavoro adatta ai tempi, ruolo di loro stretta pertinen- za; 2) una maggiore incisività, una più netta presa di posizione al fine di sancire ruolo, funzione e sicurezza negli ambienti di lavoro. Sentiamo a questo punto anche il bisogno di fare un bilancio consuntivo dell’ anno che sta per chiudersi e ribadiamo: 1) l’ ingiusta limitazione del nostro ruolo all’interno delle farmacie cosi’ come era stato proposto dagli stessi farmacisti; 2) l’ ingiusta limitazione del nostro operato nella proposta di legge sul “fine vita” che enfatizza la sola figura del medico, negando il ruolo dell’infermiere che in prima linea accetta il paziente in corsia, gli presta assistenza nell’arco delle 24 h, lo segue negli ultimi minuti di vita. Purtroppo, la proposta di legge dimostra grande ritardo culturale ma anche presunzione nei nostri confronti ed arroganza ed indifferenza nei confronti del cittadino e del suo diritto alla libera scelta, diventata scelta obbligata ed imposta. A A tutti i colleghi dell’Abruzzo terremotato A tutti i colleghi dell’Abruzzo terremotato l’augurio di un anno sereno. l’augurio di un anno sereno.

Transcript of Editoriale L’editoriale - ipasvitaranto.com · Sono questi l’essenza della vita, perchè...

1

Editoriale Editoriale

Benedetta MattiacciPresidente Collegio IPASVIL’editoriale

lle soglie del nuovo anno, con sogni frustrati alle spalle e desideri da realizzare, sentiamo il bisogno di dar voce ai pensieri, vuoi per consuetudine, vuoi perchè ai sogni bisogna credere.Sono questi l’essenza della vita, perchè aiutano a camminare, perchè sono necessari per la realizzazione delle cose reali, perché si continua a sognare fi n quando c’è vita.

Anche quest’anno noi infermieri scriviamo la “letterina” a Babbo Natale, sperando che ascolti le nostre richieste, i nostri desiderata, che in fondo non sono fi nalizzati ad una realizzazione personale ma rispondono alle esigenze dei cittadini che noi vorremmo poter esaudire, che a noi si rivolgono per chiedere assistenza, consigli, incoraggiamento, so-lidarietà. Noi ed i cittadini, due facce della stessa medaglia chiamata “salute”: da un lato la sofferenza, dall’altro l’assistenza, l’uno complementare all’altro. L’infermiere ed il malato, alleati per la salute, complici nella lotta alle malattie sempre più aggressive, sempre più invadenti. Allora, la neces-sità di affi nare le armi, ovvero quella preparazione che chiede continui aggiornamenti, continui studi, continua ri-qualifi cazione; quella preparazione che il Collegio cerca di offrire agli iscritti con una programmazione diversifi cata e continua. Questa è la realtà. I sogni? Quei doni che vorremmo trovare sotto l’albero? Eccoli.

1) La trasformazione dei collegi professionali in ordini professionali.2) Un contratto di lavoro più aderente al carico di lavoro che l’infermiere svolge nell’ambito della

sua sfera di competenze.3) Un contratto di lavoro che fi nalmente preveda in maniera chiara ed indiscussa l’esercizio della

libera professione intramoenia.4) Maggiore lungimiranza da parte degli amministratori per un più ampio investimento sulla no-

stra professione senza confusione su razionamento e razionalizzazione delle risorse.

Lo status quo è la grande insoddisfazione degli infermieri che si ritrovano giorno dopo giorno con un carico di la-voro eccessivo, con la realtà di un lavoro insoddisfacente e mortifi cante. Chiediamo nella nostra letterina natalizia virtuale una maggiore progettualità che renda al meglio il ruolo e la funzione dei professionisti sanitari, tra cui gli infermieri. Non possiamo non indirizzare un pensiero anche alle Organizzazioni Sindacali, alle quali chiediamo:

1) l’impegno a verifi care l’organizzazione del lavoro adatta ai tempi, ruolo di loro stretta pertinen-za;

2) una maggiore incisività, una più netta presa di posizione al fi ne di sancire ruolo, funzione e sicurezza negli ambienti di lavoro. Sentiamo a questo punto anche il bisogno di fare un bilancio consuntivo dell’ anno che sta per chiudersi e ribadiamo:

1) l’ ingiusta limitazione del nostro ruolo all’interno delle farmacie cosi’ come era stato proposto dagli stessi farmacisti;

2) l’ ingiusta limitazione del nostro operato nella proposta di legge sul “fi ne vita” che enfatizza la sola fi gura del medico, negando il ruolo dell’infermiere che in prima linea accetta il paziente in corsia, gli presta assistenza nell’arco delle 24 h, lo segue negli ultimi minuti di vita.

Purtroppo, la proposta di legge dimostra grande ritardo culturale ma anche presunzione nei nostri confronti ed arroganza ed indifferenza nei confronti del cittadino e del suo diritto alla libera scelta, diventata scelta obbligata ed imposta.

A

A tutti i colleghi dell’Abruzzo terremotatoA tutti i colleghi dell’Abruzzo terremotatol’augurio di un anno sereno.l’augurio di un anno sereno.

2

IPASVI IPASVI

L’ospedale della speranza:San Raffaele del Mediterraneo

Dovrebbe entrare a regime già alla fi ne del 2013, a patto che i lavori, della durata di

36 mesi, prendano il via (e, ad ora, non si ve-dono ostacoli di sorta) entro il 2010. Un nuovo ospedale, il San Raffaele, la possibilità di quel salto di qualità, del superamento di quel gap strutturale da sempre auspicato; la speranza di una sanità in linea non già in rotta di collisione con i bisogni del paziente: un sistema spesso fuori controllo, caratterizzato da clientelismo ed ingerenze improprie, i cui danni si ripercuo-tono sulla qualità. E’ il momento di rompere

gli indugi e di riqualifi care la sanità jonica. La giunta Vendola ha deciso la svolta, ha appro-vato il progetto tecnico - sanitario di sperimen-tazione gestionale, avanzato dalla Fondazio-ne “Centro San Raffaele del Monte Tabor” di Milano e la realizzazione della nuova struttu-ra ospedaliera tarantina da denominare “San Raffaele del Mediterraneo”, una struttura “che garantisca standard architettonici, gestionali ed organizzativi di eccellenza per erogare presta-zioni effi cienti ed effi caci alla popolazione del territorio, al fi ne di arginare il crescente fl usso

3

IPASVI IPASVIdi mobilità passiva che ha raggiunto nel 2007 la considerevole cifra di 133 milioni di euro fra attività ospedaliera e prestazioni specialistiche di diagnosi e cura”(Progetto tecnico-sanitario per la costruzione del nuovo ospedale di Ta-ranto). Obiettivi dichiarati: 1)prestazioni sani-tarie di eccellenza al fi ne di risposte adeguate ai sempre più pressanti bisogni di salute dei tarantini; 2)sviluppo della ricerca scientifi ca e della formazione nel settore bio-medico, assicurando il coordinamento con il sistema universitario pugliese. Ecco le motivazioni di base per l’ok da parte del governo regionale. Non un tentativo di “colonizzazione” come da qualcuno asserito, ma, ripetiamo, il bisogno di riqualifi cazione della sanità, penalizzata da una serie di scandali(tanto per non dimenti-care, rammentiamo la condanna, con senten-za n. 502 del 31 agosto 2005, di un direttore generale della azienda sanitaria tarantina, ri-conosciuto responsabile di aver ricoperto, nel periodo 2 giugno-23 luglio 1999, contempora-neamente, il ruolo di direttore generale sanita-rio e di direttore generale del comune di Bari, con una doppia retribuzione, in violazione del-l’esclusività del rapporto di lavoro), penalizza-ta da strutture inadeguate, da un “alto livello

di inappropriatezza delle prestazioni sanitarie, sostanzialmente di livello basso ed interme-dio”, da un parco tecnologico obsoleto, per-ciò inaffi dabile (si pensi ad una Tac di ben 15 anni)!“L’idea- affermava il presidente Vendola in oc-casione del ventennale della Cittadella della Carità- è di un incrocio tra il know how(abilità tecnica) del S. Raffaele con le grandi esperien-ze professionali presenti nella sanità tarantina, per costruire qui un polo sanitario del Mediter-raneo” e per “smetterla con i pellegrinaggi, con i viaggi della speranza, che devono essere dalla Puglia alla Puglia (don Verzè)”. Una speranza sempre più reale: il comune ha già acquisito da Fintecnica, a Paolo VI, i terreni sui quali sorge-rà l’ospedale; l’Amat ha rispolverato e riadattato un progetto, del 2004, di metropolitana legge-ra, quindi presentato in regione, dalla regione segnalato come prioritario al Ministero delle Infrastrutture, infi ne è stata individuata, sempre dalla regione, la fonte dei fi nanziamenti: 40 mi-lioni di euro di fondi Fas e 60 milioni di fondi statali per una linea di quasi 19 chilometri, che, sfruttando i binari militari in disuso del secondo seno del Mar Piccolo, collegheranno Taranto a Paolo VI. Il cammino è già intrapreso!

Si va forse verso la privatizzazione della sa-nità?“Non vedo alcun elemento per questa ipotesi. Il fatto che si ricorra ad un rapporto di speri-mentazione gestionale con un soggetto privato, no profi t e dal riconosciuto livello di eccellenza, non signifi ca privatizzare”Il progetto del nuovo ospedale San Raffaele non sembra incontrare il gradimento gene-rale. Tante le motivazioni, a cominciare dalla riduzione dei posti letto: 550 a fronte degli attuali 460 (SS. Annunziata) più 190 (Mosca-ti). Depotenziamento?“ No. Non vedo come un depotenziamento di posti letto il concentrare in un unico ospeda-le le funzioni assistenziali oggi suddivise in 2

ospedali. Il posto letto è risorsa, per cui non ho questa preoccupazione: i 550 p.l. rappresente-ranno la riqualifi cazione dell’offerta sanitaria, risolveranno l’inadeguata appropriatezza ge-nerale che costa molto ed è conseguenza di problemi strutturali dell’azienda”.Certamente non potrete esimervi da una re-visione dell’organizzazione della rete sani-taria territoriale, da migliorare e completa-re. E’ allo studio o si intende indirizzare gli utenti verso le cliniche accreditate?“ Indubbia la carenza dei servizi territoriali ta-rantini, ma anche regionali. Spero che con l’approvazione del PAL si possa procedere al potenziamento della rete territoriale per 33 mi-lioni di euro. Intanto, a giorni, sarà affi dato il

I problemi nuovi e vecchi? Ne parliamo con il dott. Colasanto, direttore generale Asl Ta

4

IPASVI IPASVI

progetto per la “Casa della Salute” a Lizzano, quindi a Palagianello. Sta per entrare in fun-zione il Centro prelievi a Monteiasi “Monteme-sola. Il percorso è avviato ed il merito va, fuori di ogni dubbio, al presidente della Regione per aver costretto la Asl a questi percorsi.”L’ iter per il San Raffaele è a buon punto: ac-quisita l’area a Paolo VI; quantifi cata in 200 milioni di euro la spesa ripartita tra regione (80 milioni), governo (80 milioni), Fondazio-ne San Raffaele (40 milioni); individuato nel-la metropolitana leggera il mezzo ottimale di collegamento. Nel frattempo si darà soluzione a problemi come le liste d’attesa?“E’ un falso problema o, meglio, un problema che sottende diverse questioni e si può com-pendiare nel rapporto medici di famiglia - cit-tadini - azienda. Se il 60% circa delle presta-zioni defi nite d’urgenza sono nella norma, c’è da rifl ettere. C’è da rifl ettere anche sull’appro-priatezza prescrittiva per le diagnosi. In sinte-si, il problema si può risolvere solo se il circolo diventa virtuoso. Va detto che, oltre alla inap-

propriatezza, sulle liste d’attesa incide la vetu-stà delle macchine della Asl (siamo al rinnovo completo del parco macchine), la carenza di dotazione organica cui ovviamo con attività ag-giuntive. La soluzione più vera sarebbe portare fuori dall’ospedale l’attività per i non ricoverati, che ricade anche in termini di costi dei ricove-rati. Si scarica, oggi, sull’ ospedale una serie di attività improprie. Domani, si ricorrerà all’ospe-dale solo per l’ alta specializzazione. Comun-que, per abbattere i tempi di attesa, abbiamo “acquistato”un pacchetto di esami, 8750, dalla Cittadella Carità. Dovremmo poter chiudere en-tro questo mese la convenzione con l’ospedale militare, dove potrebbe essere fatta una quota di attività radiologica(gli atti sono in valutazione della Marina a livello centrale; allora, un mese o poco più per la valutazione, quindi la sottoscri-zione della convenzione). Per le mammografi e stiamo procedendo alla ripulitura delle liste, al potenziamento dell’offerta, cercando di acqui-stare esami dalle strutture esterne, soltanto da alcune delle quali abbiamo risposte positive. Nell’arco di un paio di mesi speriamo di ripor-

5

IPASVI IPASVItare le prenotazioni a tempi accettabili (ad oggi arrivano all’aprile 2011). Intanto sono stati già acquistati 2 mammografi digitali”.E per il personale destinato a confl uire nel San Raffaele?“Si sta pensando a corsi di aggiornamento con modalità organizzative diverse per i modelli or-ganizzati e gestionali coerenti con lo sviluppo del progetto San Raffaele. Per quanto riguar-da il potenziamento del personale attuale biso-gnerà attendere la variazione della dotazione organica. Intanto sono in arrivo 45 infermieri da mobilità, che si stanno già chiamando”Aspettando il San Raffaele cosa succede-rà?“Arrivati 14 milioni e 500 mila euro, da impiega-re per interventi strutturali, che riguarderanno tutti i piani e, se da un lato comporteranno una riduzione dei posti letto, dall’altro consentiran-no di dotare ogni reparto di degenza di sale da 1-2-3 massimo 4 posti letto con servizio igie-nico in stanza, oltre ai locali per lo sporco, un deposito per il pulito, un bagno per disabili, un locale per la caposala, una stanza per gli in-fermieri, più stanze per medici, ecc. Interventi anche nella sala parto e travaglio e nella zona

morgue. Tempi stimati di esecuzione: 540 gior-ni”. Naturalmente i lavori comporteranno qualche disagio per utenti ed operatori ma non andran-no a bloccare l’attività ospedaliera e di ricovero. D’altronde se ne è avuta riprova nel corso dei lavori della struttura di radiologia, già ultimata, e di alcuni interventi, già realizzati con fondi Asl, del reparto di ortopedia uomini. Fin qui, ripe-tiamo, la parte strutturale da non sottovalutare assolutamente. Basti pensare che l’eccesso di promiscuità si traduce in diffusione di infezioni, in mancanza di privacy, in compromissione di qualità della degenza. Il solito bastian contra-rio potrebbe soffermarsi sulla contrazione del numero dei posti letto, eccezione strumentale se si considera l’abuso dei ricoveri impropri, che, oltre a contribuire al defi cit della Asl, rap-presentano il motivo dello scadimento della qualità delle prestazioni ospedaliere. Allora, è il caso di un maggior coinvolgimento del medico di famiglia nella tutela della salute(essenziale che si riappropri del ruolo e delle competenze, delegati, forse per eccesso di zelo o di timori, ai colleghi specialisti ed alla tecnologia), di un maggior coinvolgimento della rete territoriale.

6

IPASVI IPASVI

Masolino da PanicaleGuarigione dello zoppoFirenze, Cappella Brancacci

L’ospedale, ed i posti letto, devono riguardare la fase acuta della malattia! Se i lavori di ristrut-turazione sono importanti per il SS. Annunziata, che risente dell’inclemenza del tempo, ancor più lo sono la sostituzione ed il potenziamento delle attrezzature. Troppe volte la Tac vecchia ed usurata, la RM anch’essa datata, gli eco-grafi , l’angiografo vanno in tilt creando moltis-simi problemi, ed accade da anni. Necessario provvedere al rinnovo ed al potenziamento per abbattere le liste d’attesa, per offrire ai taranti-ni una sanità effi ciente, “la sanità che meritano e alla quale hanno diritto” come ha affermato più volte anche il sindaco Stefàno. Così è stato fi rmato il contratto con l’azienda vincitrice della gara d’appalto per la Pet-Tac ed ora resta da defi nirne il cronoprogramma per l’installazione(all’ospedale Moscati, in locali contigui a quelli della radioterapia) entro 10-12 mesi. In corso la gara per 3 Tac, già arrivate 5, una seconda Tac a 64 slides al SS.Annunziata; in arrivo il se-condo angiografo, sempre al SS.Annunziata, dedicato ad emodinamica cardiologica. Com-pletato l’acquisto del parco tecnologico.“Al termine - conclude Colasanto- speriamo che la città riacquisti fi ducia nella sanità” e, so-prattutto, aggiungiamo noi, possa ritrovare la fi ducia nei medici, rifuggendo dall’obbligo dei viaggi della speranza. Non si può, oggi, non riconoscere l’impegno del management della Asl, anche se il direttore generale ama parlare di “gruppo”, altresì bisogna riconoscere le gros-se lacune relazionali di parte, minima, del per-sonale. Sapranno cambiare, scendendo dalle posizioni di rendita e ponendosi al servizio dei cittadini? Ne guadagnerebbero in fi ducia.

7

IPASVI IPASVI

Master in Management: per elevare “il livello e l’offerta

assistenziale ai cittadini”

Formare infermieri in grado di gestire l’organiz-zazione sanitaria nella sua complessità e in pri-ma linea, nelle Unità operative, nei Dipartimenti, nei Servizi. E non solo. Formare professionisti esperti laddove questi vivono e operano: nella loro città. E’ il duplice obiettivo che l’IDI, in stret-ta collaborazione con il Collegio IPASVI di Ta-ranto e sotto l’egida dell’Università di Roma Tor Vergata, si è posto con l’attivazione del Master universitario di I Livello in “Management per le funzioni di coordinamento”.

Con questa nuova iniziativa, la rete di corsi, che il Centro di formazione infermieristi-

ca dell’IDI “P. Luigi Monti” ha mes-so in campo in questi anni, si arric-chisce ulteriormente, assicurando un altro importante anello ad una catena che sul territorio già dispen-sa in modo articolato una forma-zione infermieristica di alto livello, con un network di sedi e iniziative didattiche senza pari nell’Italia cen-tro-meridionale. In questa ottica, il Master in “Management”, avviato a Taranto con la decisiva partnership del Collegio IPASVI provinciale, appare come un approdo inevitabi-le quanto signifi cativo.

La formula, ormai ben spe-rimentata con circa dieci sedi ope-rative, dal Lazio alla Lombardia dalla Puglia alla Campania e alla Calabria, fornisce agli studenti una formazione completa e aggiorna-tissima. E, attraverso la partecipa-zione diretta di numerosi docenti di Roma che si aggiungono a quali-fi cati docenti tarantini, assicura un terreno di scambio e di confronto molto importante tra le realtà sani-tarie romane e quelle pugliesi, fo-

riero di un reciproco arricchimento e, dunque, di un miglior servizio reso alle rispettive comu-nità.

I mutamenti profondi, che segnano oggi l’organizzazione dell’assistenza e la straordina-ria evoluzione culturale dei professionisti sani-tari, trasformano di fatto le tradizionali funzioni di Coordinatore di Unità Operativa in un ruolo di direzione intermedia che gestisce e risponde dell’intero processo assistenziale e tecnico-ria-bilitativo.

Diviene così fondamentale formare pro-

8

IPASVI IPASVIfessionisti in grado di leggere ed interpretare le esigenze complessive dell’Azienda, ma, an-che, di proporre e tradurre nella pratica quo-tidiana gli obiettivi, i modelli organizzativi e il monitoraggio delle attività sanitarie. Il tutto per migliorare costantemente i risultati, in linea con la politica aziendale e con le capacità necessa-rie per negoziare con gli altri dirigenti obiettivi ed azioni.

Il Master in “Management per le fun-zioni di coordinamento” fornisce gli strumenti adeguati per analizzare le politiche sanitarie di un’Azienda e per contribuire ad attuarle proprio lì dove si erogano le prestazioni agli utenti, in primis nelle Unità Operative e nei Servizi. Ha una durata di 1500 ore (equivalenti a 60 Crediti Universitari - CFU) ed è articolato in 6 Corsi Integrati specifi ci per le diverse competenze nelle funzioni di gestione, organizzazione e coordinamento dei servizi sanitari e socio-sa-nitari. Ciascun modulo comprende il relativo tirocinio pratico ed è strutturato in base al cri-terio della multidisciplinarietà. L’impiego di un buon numero di docenti, provenienti da Roma come si diceva, assicura inoltre la traslazione sul territorio di signifi cative esperienze scien-tifi co-didattiche sviluppate con successo nella capitale.

Gli studenti apprendono come:elaborare e attuare modelli organizzativi di assistenza e personalizzati, indivi-duare la domanda e le eventuali disfun-zioni dell’offerta assistenziale, progetta-re e gestire interventi di miglioramento dei processi organizzativi, sviluppare e ottimizzare le ri-sorse umane e le attrezzatu-re assegnate, contribuire alla valutazione del personale e alla gestione del sistema in-formativo aziendale.L’attivazione di questo ulte-

riore Master a Taranto, a cui ha la-vorato alacremente e con grande entusiasmo il Collegio IPASVI pro-vinciale, consente a molti professio-nisti pugliesi di implementare le pro-prie competenze rimanendo sul ter-ritorio, con evidenti vantaggi pratici,

logistici e, non ultimo, economici. D’altronde ,è questo il principio che anima l’attività formativa del Centro “Padre Luigi Monti”: portare la for-mazione dove i professionisti lavorano e dove vogliono formarsi. E la straordinaria risposta in termini di iscrizioni conferma che è questa la strada migliore per forgiare professionalità al-tamente preparate nei territori dove la richiesta è più elevata.

“Intorno alla nostra attività di formatori avvertiamo una grande sete di sapere, di co-noscenza, di approfondimento - commenta con soddisfazione il dottor Gennaro Rocco, diret-tore del Master, presidente del Collegio IPASVI di Roma e vicepresidente della Federazione Nazionale IPASVI - E’ il giusto viatico per mi-gliorare noi stessi, la nostra professionalità e per coltivare utilmente l’amore per questa no-stra professione. Una spinta ideale e motiva-zionale che, in questi anni, ha permesso alla professione infermieristica di compiere passi da gigante, di entrare nelle Università dalla por-ta principale, di strappare sul campo conquiste epocali ritenute impensabili in passato, come la docenza universitaria o il ruolo dirigenziale in molte strutture assistenziali di rilevanza nazio-nale sia pubbliche che private. Non solo. L’atti-vazione di una rete formativa così capillare sul territorio - conclude il dottor Rocco - ci consente di operare costantemente un prezioso scambio di informazioni e di esperienze che arricchisce ulteriormente la professione e consente di affi -nare, elevandone il livello, l’offerta assistenzia-le ai cittadini”.

9

IPASVI IPASVI

PrefazioneIl concetto di vecchiaia è un concetto esteso e molto diffi cile da circoscrivere. A livello individuale è possibile defi nire l’anziano in termini biologici, psicologici, demografi ci e previdenziali; a livello collettivo si può parlare di invecchiamento della popolazione dal basso (per effetto della riduzione della fecondità e quindi della sempre minor misura con cui viene alimentato il sistema popolazione) e dall’alto ( riduzione della mortalità in età avanzate e quindi della sempre maggior permanenza degli effettivi anziani nel sistema).Una possibile chiave unifi cante è la “soglia” di ingresso della vecchiaia, in quanto l’età è senz’altro un fattore causale in molte delle dinamiche connesse con l’invecchiamento, soprattutto quelle a livello individuale.Tale parametro, l’età, non andrebbe inteso come soglia per individuare l’ingresso nella vecchiaia (65 anni, soglia convenzionalmente fi ssata per l’uscita dal mondo del lavoro), ma come termine di riferimento relativo. Per identifi care questa soglia in modo più complesso è opportuno ridefi nire il concetto stesso di vecchiaia.Oggi si parla sempre più del cittadino, e dei suoi bisogni, che deve essere posto al centro del sistema dei servizi con la presa in carico globale dello stesso da parte del Servizio Sanitario Nazionale (SSN). Alla luce di ciò dobbiamo prepararci alla presenza di una popolazione sempre più anziana, più fragile e più “sola”, visto il numero medio del nucleo familiare ormai al di sotto delle tre unità.Nel campo dell’assistenza sanitaria, pertanto,

LA VALUTAZIONE MULTIDIMENSIONALE DELL’ANZIANO PER LA CONTINUITA’ ASSISTENZIALE

Dott.ssa Maria Perrone - Infermiera con laurea magistrale

Estratto Tesi)

10

IPASVI IPASVIoltre alle classiche tipologie assistenziali stanno apparendo le cosiddette “Cure Intermedie”, un’area di servizi integrati sanitari e sociali, domiciliari o residenziali, la cui fi nalità è quella di garantire la continuità assistenziale alla dimissione ospedaliera e di favorire il rapido recupero funzionale e la massima autonomia dei pazienti.Parole chiavi: Anziano, Interdisciplinarietà, Multidimensionale, Valutazione, Continuità.IntroduzioneL’evoluzione demografi ca in Europa è indirizzata verso un considerevole incremento della popolazione anziana. Le previsioni relative al 2020 prospettano una quota di soggetti di età maggiore ai 65 anni pari al 19,3% della popolazione e una quota di soggetti di età maggiore di 80 anni pari al 5,1%. In Italia il trend sembra più accentuato con una quota prevista di anziani, relativamente allo stesso periodo, di circa il 24% e di grandi anziani (magg. 80 anni) pari al 7,1%. Il fenomeno del rapido invecchiamento della popolazione è determinato da un lato dalla diminuzione dei tassi di fertilità e, dall’altro, dal contemporaneo aumento dall’attesa di vita alla nascita . A tale riguardo, in Italia, nel 1999 l’attesa di vita alla nascita era di circa 75 anni per i maschi e di 81,3 anni per le femmine. Tuttavia a 75 anni, a fronte di un discreto numero di anni da vivere, l’attesa di vita in buona salute è di appena 1,6 anni per i maschi e 2 anni per le femmine, ad indicare la frequente insorgenza di malattie che compromettono in termini rapidi la condizione di buona salute. Da questo punto di vista il grande anziano è un soggetto ad elevato rischio di malattia o di disabilità e per questa sua “fragilità”, deve essere sorvegliato e presidiato per il mantenimento di una idonea salute e qualità della vita.Le previsioni demografi che, sopra riportate, portano all’attenzione la necessità di ripensare l’organizzazione dei servizi sanitari, con la priorità di modifi care la carta delle prestazioni sanitarie e renderle più mirate ad una fascia di popolazione “debole” e di riallocare le risorse indirizzandole alla tutela della salute e alla promozione della qualità della vita per una fetta di popolazione in costante espansione.

11

IPASVI IPASVIIl processo dell’invecchiamento è complesso e su di esso pesano, oltre che il decadimento delle funzioni fi siche e psichiche, anche fattori di tipo comportamentale quali ad esempio le modifi cazioni obbligate delle abitudini di vita, fattori sociali quali il pensionamento e le diffi coltà di relazioni interpersonali e, infi ne, fattori culturali quali la mancanza di interessi e stimoli per le nuove tecnologie che rapidamente modifi cano gli stili di vita. Le alterazioni del sentirsi “vecchio” dipendono, quindi, non solo dallo stato di salute in senso stretto, ma anche dalla mancata possibilità di gestire in modo suffi cientemente autonomo la propria vita, di mantenere relazioni sociali soddisfacenti, di sentirsi ancora parte attiva della società.Un terzo aspetto dell’invecchiamento è legato all’evoluzione dei problemi di salute della popolazione e delle prestazioni sanitarie necessarie al suo mantenimento, cui è legato un necessario cambiamento della cultura sanitaria che deve far fronte ai nuovi profi li nosologici oppure a nuovi approcci per vecchie malattie. Nello specifi co, per la popolazione anziana, gravata prevalentemente da patologie croniche e da disabilità che accompagnano l’invecchiamento, si rendono necessari interventi multidisciplinari ( medico, infermiere, assistente sociale, riabilitatore, ecc.), cui consegue una diversa organizzazione dell’assistenza con l’integrazione di professionalità e culture diverse. Pertanto, la conoscenza approfondita dello stato di salute degli anziani è importante, sia fi ne a se stessa per evidenziare i problemi prioritari, sia per una stima delle risorse attualmente dedicate e per una proiezione delle necessità future.In tale ottica, lo stato di salute della popolazione anziana, sia di quella sana sia di quella con malattia, deve essere monitorato e valutato con un approccio “Multidimensionale”, dovendo prendere in considerazione tutte le componenti che interessano la vita dell’anziano. Tale approccio alla valutazione dello stato di salute dell’anziano è nato nel 1930 a Londra ad opera del Dr M. Warren e già nel 1946 è stato utilizzato per l’accesso alle strutture per disabili in Gran Bretagna, mentre dagli anni ‘80 le unità valutative hanno cominciato a

12

IPASVI IPASVI

diffondersi anche negli Stati Uniti. Esso è un processo dinamico ed interdisciplinare, teso ad identifi care, descrivere e spiegare i problemi di salute, i defi cit, le risorse e le potenzialità di un individuo e ad individuare un piano di intervento socio-sanitario coordinato e mirato al singolo.

La fragilità clinicaL’invecchiamento della popolazione è caratterizzato dall’aumento prevalente degli ultra-settantacinquenni (oldest old), in questo

gruppo di soggetti oltre ad anziani sani e ad anziani affetti da polipatologia vi è la nascita di una nuova categoria di anziani, “l’anziano fragile”. La fragilità (fragility) rappresenta la “fi siologica vulnerabilità” età correlata, caratterizzata dalla diminuzione di riserva e resistenza a eventi stressanti in senso lato conseguente al declino di molteplici sistemi fi siologici.Il paziente anziano, a rischio di perdere la propria autosuffi cienza, viene defi nito come “friail

13

IPASVI IPASVIelderly”, letteralmente “anziano fragile”, che non deve essere identifi cato soltanto come anziano malato. Come si fa a stabilire la presenza di “fragilità”?- Si parla di sindrome geriatria ovvero condizione patologica osservabile in soggetti anziani, che tende a presentarsi in maniera ricorrente nella storia clinica del paziente, piuttosto che avere decorso cronico, spesso ad eziopatogenesi multifattoriale ed associata, frequentemente, a declino funzionale.Condizioni essenziali per una profi cua assistenza al paziente “anziano fragile” è la continuità di interventi, perché la singola osservazione porta solo ad una transitoria soluzione dei problemi, vista la condizione di stabilità precaria che impone un continuativo programma assistenziale.Nei confronti di un paziente così complesso, la metodologia assistenziale proposta si basa su tre elementi:-Valutazione multidimensionale;- lavoro in equipe;- continuità assistenziale.La legislazione e la programmazione sanitaria dell’ultimo decennio hanno recepito le problematiche legate alla “fragilità” ed alla cronicità nei dettati legislativi del D.lgs n.502/92 e successive modifi cazioni e della legge n. 328/2000.

La valutazione multidimensionaleIl paziente anziano, quindi, si caratterizza per la polipatologia e di conseguenza per il rischio di perdere la propria autosuffi cienza; uno degli scopi prioritari della cultura geriatria è quello di ridurre al minimo tale rischio, di curare e riabilitare nella maniera più opportuna e puntuale ogni paziente con la sua relativa situazione clinica. Per aderire a questo scopo e perseguire questo obiettivo, da alcuni anni in Italia è stata introdotta una valutazione che ha portato alla realizzazione di una metodica strutturata, defi nita Valutazione Multidimensionale (VMD). Ha origine nel Regno Unito già a partire dagli anni trenta ma la sua evoluzione ha avuto inizio nei primi anni ottanta in California ad opera di Rubespien, in cui viene riconosciuto un contributo determinante nella dimostrazione delle necessità dell’approccio valutativo globale

e della successiva messa a punto di strategie assistenziali.Tale metodica è una procedura multidisciplinare a vario grado di complessità che permette:1- l’identifi cazione delle capacità funzionali residue;2- l’identifi cazione degli interventi assistenziali;3- la pianifi cazione degli interventi;4- la somministrazione in vari setting assistenziali.La Valutazione Multidimensionale Geriatrica si rivolge al così detto paziente “ fragile” : si tratta di persone affette da patologie croniche, a rischio di non autosuffi cienza o con limitato grado di autosuffi cienza, affetti da polipatologie, che vanno inquadrate non solo sul piano strettamente medico, ma anche dal punto di vista infermieristico, psicologico, sociale e riabilitativo.La VMD, in termini generali, ha l’obiettivo di defi nire in modo complessivo lo stato di salute di una persona anziana. Col termine “valutazione”, infatti, s’intende l’analisi accurata delle capacità funzionali e dei bisogni che la persona anziana presenta a vari livelli:- livello clinico (stato di salute, segni e sintomi di malattia, livelli di autonomia, ecc.);- livello psicologico ( tono dell’umore, capacità mentali superiori, ecc.);- livello sociale ( condizioni relazionali, di convivenza, situazione abitativa, economica, ecc.);- livello funzionale ( disabilità, ovvero la capacità di compiere uno o più atti di vita quotidiana come: lavarsi, vestirsi, salire le scale ecc.); Questi livelli di indagine sostanzialmente servono a migliorare la qualità della vita del paziente, identifi cando i bisogni e le esigenze assistenziali di cui necessita e oltre a pianifi care e programmare gli interventi dovrebbero svolgere anche una funzione di prevenzione per eventuali disabilità.La VMD non può prescindere dalla collaborazione tra più fi gure professionali, ma perchè il lavoro in équipe sia effi cace è necessario che:- gli obiettivi dell’intervento siano chiari e condivisi da tutti gli operatori;- nella defi nizione degli obiettivi venga messo in primo piano il benessere dell’anziano;

14

IPASVI IPASVI- i componenti dell’équipe abbiano pari autorevolezza professionale e vengano loro riconosciute le competenze specifi che;- venga garantito un modello di comunicazione effi cace tra tutti i membri del team, sia attraverso l’utilizzo di strumenti appropriati, che di strategie per la gestione di divergenze di opinione.La VMD permette di identifi care i problemi e di defi nire un adeguato piano assistenziale che previene la comparsa di disabilità o il suo aggravamento, è una metodica utilizzata sistematicamente a livello territoriale ed è un approccio che coniuga la ricerca dell’appropriatezza clinica a quella organizzativa per la migliore gestione delle risorse disponibili.Nelle persone anziane, con questo approccio viene valutata una riduzione signifi cativa in termini di mortalità, ospedalizzazione, istituzionalizzazione, decadimento funzionale e psicologico. Uno dei cambiamenti che ha permesso di mettere la valutazione multidimensionale al centro dell’organizzazione dei servizi per la popolazione anziana è il metodo multidimensionale e multidisciplinare che viene ad essere sistematicamente applicato all’interno delle Unità di Valutazione Multidimensione Distrettuale.La scheda per la VMD “B.I.N.A.”, è uno strumento di valutazione che analizza le diverse dimensioni dell’autonomia dell’anziano-fragile per costruire un progetto assistenziale personalizzato adeguato ai bisogni dei singoli assistiti.La valutazione viene effettuata dalle diverse fi gure professionali che compongono l’UVMD (unità di valutazione multidimensionale). L’UVMD è l’organo che ha il compito di effettuare la valutazione multidimensionale per analizzare i bisogni e le risorse dell’anziano che accede alla rete dei servizi, allo scopo di individuare le risposte più adeguate ai suoi bisogni, è, dunque, il soggetto che mette in pratica la VMD, si può defi nire come un’equipe multidisciplinare comprendente varie fi gure: il medico del Distretto, il medico di Medicina Generale dell’utente, il medico Geriatra, l’Infermiere, il Riabilitatore e l’Assistente Sociale eventualmente supportati da altri

professionisti esperti in settori specifi ci. Infi ne bisogna verifi care la validità dello strumento nel rispondere alla sua funzione principale: poter orientare l’UVMD nella scelta del progetto assistenziale, all’interno dei servizi presenti nella rete territoriale.La scheda per la VMD dell’anziano non è un “sistema aperto”, in grado di defi nire univocamente il percorso assistenziale più idoneo, piuttosto uno strumento di supporto alla VMD volto a stimolare il lavoro multidisciplinare. Questa scheda è stata ideata con lo scopo di fornire uno strumento per la valutazione non solo multidisciplinare, ma anche multidimensionale dell’autonomia funzionale dell’anziano fragile. Tutto ciò consente all’UVMD di elaborare il miglior progetto assistenziale individualizzato per il singolo soggetto in relazione alle offerte disponibili nella rete locale dei servizi residenziali, semiresidenziali e domiciliari integrati.Il concetto centrale ed innovativo della scheda è rappresentato dal “profi lo di autonomia”, risultante dalla combinazione dei punteggi delle varie dimensioni analizzate. Il profi lo va al di là della semplice distinzione tra autosuffi cienti e non autosuffi cienti, fornendo una serie di caratteristiche utili alla formulazione del progetto assistenziale migliore per quel determinato soggetto. La scheda infatti comprende cinque dimensioni ritenute indispensabili in ciascuna valutazione: situazione clinica, situazione cognitiva, situazione funzionale (con l’esclusione della mobilità), mobilità e condizione sociale che analizzano la condizione complessiva di salute, identifi candone i bisogni e orientandolo al servizio più idoneo.

Razionale dello studioLo scopo del nostro studio è quello di individuare il numero di pazienti anziani eleggibili, con metodica di Valutazione Multidimensionale (VMD), per una eventuale dimissione protetta da parte della Geriatria Territoriale U.O. Semplice Interdipartimentale afferente al Dipartimento di Cure Primarie della ASL 4 di Matera nel Dipartimento Medico del medesimo P.O presso il quale io presto servizio.E stato valutato un campione consistente

15

IPASVI IPASVIdi pazienti con metodica VMD per una eventuale dimissione protetta dal 01/01/2008 al 31/12/2008.

RisultatiI dati riassuntivi per il periodo studiato possono essere così sintetizzati:- 274 pazienti valutati per dimissione Protetta in Dipartimento Medico con 585 Accessi effettuati;- 163 pazienti dimessi in A.D.I.;- 108 pazienti valutati per Assistenza Protesica;- 103 pazienti valutati per Assistenza Ausili;- 12 Pazienti dimessi in Lungodegenza Internistica;- 10 pazienti dimessi presso il Polo Riabilitativo;- 20 pazienti necessitavano di fi sioterapia (presso Centro Convenzionato);- 79 pazienti non necessitavano di alcuna forma di Continuità Assistenziale.I pazienti che sono stati valutati con la metodica di VMD hanno un età tra i 45-95 anni, con un’ età media di 81 anni e con la prevalenza del sesso femminile.

ConclusioneIn questo lavoro si è cercato di evidenziare come il sistema sanitario sia stato coinvolto in un processo di sostanziale trasformazione collegato ai cambiamenti in atto in campo economico, sociale, culturale, demografi co ed epidemiologico. In Italia, nel contesto di questa profonda modifi ca, sta maturando la volontà di voler perseguire nuove e più complesse politiche sanitarie per rispondere alle necessità di una popolazione che inesorabilmente invecchia e per questo più soggetta ad un numero sempre più elevato di patologie cronico degenerative, caratteristiche della “terza età”, la cui corretta gestione costituisce un elemento di elevata criticità. L’assetto prioritario è caratterizzato dalla necessità di fornire modelli nuovi e diversifi cati di assistenza extra-ospedaliera che si pongono come alternative valide al ricovero ospedaliero che deve essere ormai essenzialmente legato alla gestione delle acuzie, per garantire risposte

16

IPASVI IPASVIclinicamente effi caci ed economicamente sostenibili, alle necessità di salute.L’aumento della complessità assistenziale, l’aumento dei costi legati alle nuove tecnologie, l’aumento delle aspettative dei cittadini si contrappongono ad un progressivo depauperamento delle risorse disponibili necessarie a rispondere con tempestività ai bisogni assistenziali, per questo la possibilità di fornire una risposta adeguata ai problemi di salute della popolazione è sempre più subordinata ad un approccio di natura multidisciplinare e polifunzionale che ormai non è più sostenibile da una singola specifi ca categoria di professionisti sanitari.Tenendo conto delle premesse nonché della verifi ca dei risultati dello studio, si è portati ad esprimere la convinzione che nella popolazione e negli operatori sanitari ci sia un grande bisogno di cambiamento.Il momento evolutivo del SSN è teso ad una gestione per percorsi clinico-assistenziali che garantiscono la centralità dell’assistito anche al di fuori della struttura ospedaliera.I cambiamenti sociali impongono al SSN una logica di riprogettazione del percorso ospedale-territorio che sottintendono elementi di managerialità, attuabile con l’istituzione del team multidisciplinare che assicura un corretto ed effi cace processo valutativo e decisionale nella erogazione del servizio, condizione essenziale per la continuità e il soddisfacimento dei bisogni del paziente e della sua famiglia, fi ne ultimo di tutta la rete.Il percorso futuro prevede infermieri esperti e protagonisti anche in quegli ambiti più complessi propri delle malattie degenerative geriatriche, per i quali l’utenza chiede un nostro specifi co contributo. Da parte nostra, la formazione e la ricerca, che abbiamo da tempo scelto come professionisti, possono fornirci il contesto appropriato per individuare strategie di una presa in carico caratterizzata dall’obiettivo di ridurre l’impatto e il peso della malattia nelle persone che soffrono ma anche nei loro familiari e caregiver.

BIBLIOGRAFIA

Rognoni G. La valutazione multidimensionale della popolazione anziana nel Veneto nella pratica della Medicina Generale. Ricerca e Pratica 2006 gen-feb 127(1):1-56.

Da Roit B., Castegnaro C.,Chi cura gli anziani non autosuffi cienti? Famiglia, assistenza privata e rete dei servizi per anziani in Emilia Romagna, Milano, Franco Angeli.2004.

Lacetera A.,Lamanna P.,Cuzzupoli M. L’assistenza domiciliare integrata. Geriatria, Vol IX (5), C.E.S.I. ,ed sas, Roma.

Marzi A. L’intervento educativo dell’infermiere in ambito ospedaliero, educare assistendo. Ed Rossigni, Firenze.

Gallo E. La continuità assistenziale nei rapporti tra ospedale e il territorio. Copyright 2003, Centro studi e formazione sociale.

Ecc.

17

IPASVI IPASVI

Ambulatorio TBC:Sanità “di nicchia”

Negli ultimi 10 anni 300 persone con TBC accertata, frutto dello studio di, circa, 10.000 soggetti sospetti! Cinquanta soggetti colpi-ti soltanto nell’ultimo anno! Un trend, supe-riore alla norma, in crescita esponenziale: 1 paziente positivo su 30 sospetti, comun-que portatori di patologie polmonari di tipo

infettivo o neoplastico. Nessuna pneumo-logia con il ricorso obbligato alla Struttura Complessa di Infettivologia dello stabili-mento ospedaliero “Moscati” ( unica strut-tura dedicata nella intera Asl Ta), ovvero al medico incaricato, uno solo, il dott. Marco Rollo, su cui grava un carico di lavoro non

18

IPASVI IPASVIindifferente. Un laboratorio di parassitolo-gia all’occorrenza, cioè ogni giorno, ambu-latorio per pazienti con TBC, costretti all’at-tesa nella sala comune, nei luoghi comuni, mix di patologie diverse, dall’HIV alla TBC, alle onco-ematologiche- una porta, siste-maticamente violata da chi voglia accedere al box-bar esterno, separa le due strutture(i pazienti oncoematologici sono immunode-pressi quindi “giardini” per la TBC). Nessu-na stanza dedicata ai tubercolotici, ma l’uti-lizzo di stanze di degenza destinate a pato-logie infettive. E’ il quadro della situazione tarantina, decisamente non soddisfacente con quelle 300 diagnosi in 10 anni, dato su-periore alla media nazionale e regionale, a signifi care che a Taranto c’è un’endemia elevata, dovuta a:

fattori climatici,fattori ambientali, come povertà, condizioni di vita ed igieniche deprecabili, ambienti malsani, alimentazione insuffi ciente o inadeguata, fumo

ed abuso di droghe(se il sistema immunitario è depresso l’infezione diventa malattia; an-che l’inquinamento indebolisce il sistema immunitario).

Gestione del paziente/Attività dell’am-bulatorioA fronte, nessuna strategia di intervento pro-grammato, la gestione dei sospetti e dei pa-zienti affi data al “solito” medico, che nel “cosid-detto” ambulatorio si occupa di fare diagnosi, senza ricorrere alla degenza, operazione, que-sta, certamente impegnativa perché costringe alla prescrizione, ad esempio, della Tac, per la quale ci sono da rispettare i tempi canonici d’at-tesa: 3 mesi, per bene che vada. Nel frattempo, il soggetto sospetto che, magari, risulterà affet-to da TBC, vera e propria bomba ad orologeria, avrà il tempo di contagiare altri soggetti, una spirale senza controllo. Altra attività del “cosiddetto” ambulatorio è quel-la di routine, che, come afferma il dott. Rollo, è “una grossa attività fatta di controlli clinici, di

19

IPASVI IPASVIcontrolli dell’assunzione di medicinali( polian-tibioticoterapia con assunzione di rifampicina, isoniazide, etambutolo, pirazinamide ed altri farmaci variabili a seconda delle esigenze), far-maci dagli effetti collaterali importanti che bi-sogna saper gestire. Se, infatti, l’aderenza alla terapia diminuisce, aumentano i rischi di resi-stenza, ovvero l’insuccesso della terapia. E’, l’insuccesso terapeutico, un problema perché il paziente rimane contagioso, continua ad infet-tare e, per trattarlo nuovamente, è necessario ricorrere a farmaci importati dall’estero- Sviz-zera o Città del Vaticano-: non sono prodotti nel nostro paese e per l’utilizzo raro e per il basso costo”.Così il “solito” dott. Rollo non può limitarsi al-l’attività ambulatoriale ma è reperibile 24 ore su 24: ha fornito ai pazienti “il cellulare privato così da poter intervenire in ogni situazione, per ogni evenienza!Non vengono affatto “dimenticati i “vecchi” pa-zienti che continuano ad afferire per i controlli annuali: 1 radiografi a, 1 visita, riassunto del-le puntate precedenti, programmazione della puntata successiva. Necessità di protezione per tutti in casi particolari come quello dell’in-fl uenza AH1N1, che ha visto la vaccinazione a tappeto. L’attività ambulatoriale, inoltre, consiste nel te-nere i rapporti:con gli specialisti implicati nella cura del malato;con gli organismi istituzionali che sorveglia-no l’epidemiologia;con l’Inps: lo Stato eroga un indennizzo ai pa-zienti per la durata del trattamento, sussidio che ha validità sociale per chi non ha la possibilità di continuare a lavorare, senonchè l’erogazio-ne avviene con 6-12 mesi di ritardo, causa di grossissimi disagi e diffi coltà”. Per quel che riguarda la prevenzione della TBC v’è da dire “E’ una malattia estre-mamente “comunista”,- sottolinea il dott. Rollo- una malattia che non conosce discriminazioni di organi, ceto, razza. Infatti, un terzo dei pa-zienti è rappresentato da sieropositivi per HIV, il 10% è costituito da immigrati, il resto da con-

cittadini. Qualcuno vorrebbe imputare più colpe ai migranti che, forse, hanno qualche respon-sabilità quando arrivano con lo stato di infezio-ne da paesi ad elevata endemia. Ebbene, se vengono in buone condizioni l’infezione è sotto controllo, ma, in seguito, le condizioni lavorati-ve, lo stress psicologico portano all’esplosione della malattia. Si può ben affermare che una condizione di benessere ambientale, affettivo, sociale, lavorativo può contribuire a contene-re l’esplosione della malattia e del contagio”. Non a caso la maggiore percentuale di quei due miliardi di persone, ovvero un terzo della popolazione mondiale, infettate dal micobat-terio( la malattia si sviluppa durante in corso dell’esistenza solo nel 5-10% delle persone infettate), è distribuita in Asia ed in Africa. Ne sono esempio le stime del 2007 che parlano di 9.3 milioni di casi totali, 55% emersi in Asia e 31% in Africa, con le altre regioni a distribuirsi il rimanente 14%.

A maggior rischio di infezione sono: soggetti a stretto contatto con ammalati di TBC bacillifera in fase contagiosa - anziani - bambini - diabetici - pazienti trattati con cortisonici ad alto dosag-gio o altri farmaci immunosoppressori - persone con defi cit immunitario in generale - tossicodipendenti - persone che vivono in ospizi, istituti di cor-rezione, e in tutti gli ambienti affollati e poco arieggiati- persone che possono essere esposte alla TBC sul posto di lavoro come gli - operatori sa-nitari

La TBC può colpire qualsiasi organo, ma i polmoni rappresentano l’organo di elezione. Questi i sintomi che posso-no presentarsi insieme separatamente: 1) tosse prolungata, 2) catarro bianco-giallastro a volte con striature di sangue, 3) perdita di peso, 4) stanchezza persistente, 5) febbricola o febbre, 6) sudorazione notturna,

20

IPASVI IPASVI7) inappetenza. A volte la malattia tubercolare presenta la sin-tomatologia tipica di una banale infl uenza pro-tratta nel tempo senza nessuna particolare precauzione del paziente che continua la sua solita vita, tranquillamente, attribuendo i suoi sintomi al fumo o a fattori ambientali.

riportate nel Sepulchretum si deve il ricono-scimento nei polmoni di piccolissimi focolai di aspetto sabbioso”magnitudinem siminis milii” da cui trae origine, nella terminologia della tu-bercolosi, la denominazione di miliare.Alla fi ne del seicento venne pubblicato il primo trattato sull’argomento col titolo Phthisiologia,

TBC: UN PO’ DI STORIALa storia della tubercolosi si intreccia con la storia dell’uomo ma il primo a fornire una det-tagliata descrizione di una malattia polmonare chiamata tisis che signifi ca deperimento, con-sunzione, fu, nemmeno a dirlo, Ippocrate, il pa-dre della medicina, nel 300 a.C.L’ipotesi che la tisi potesse avere carattere con-tagiante fu postulata da Aristotele che osservò come le persone più vicine ai malati se ne am-malavano a loro volta.Egli suggerì che la tisi fosse trasmessa da una sostanza morbigena emessa con il respiro del paziente.Tale ipotesi fu poi ripresa da Girolamo Fra-castoro ( 1478-1553) che, nel suo trattato De

Contagione et da contagiosis morbis incluse la tisi fra le malattie da contagio diretto( differenziandole da quelle da contagio indiret-to o invisibile) certo.Ma, sulla contagiosità della tubercolosi si sa-rebbe discusso fi no alla fi ne del 1800, tanto da dividere i medici tra contagionisti ed anticonta-gionisti.Un apporto importante venne dato allo studio della tubercolosi dalle osservazioni anatomo-patologiche condotte sul polmone da Marcello Malpigli (1628-1694) e dall’Olandese Franz de la Boe (1614-1672 ) che rilevò come i tuberco-li presenti nei polmoni malati possono divenire purulenti e dare luogo a caverne.Alle descrizioni di Teofi lo Bonet(1628-1689)

21

IPASVI IPASVI

poderoso volume del medico Richard Morton (1637-1689) in cui sono descritte moltissime af-fezioni polmonari e di altri organi caratterizzate dalla formazione di tubercoli.Tra la fi ne del settecento e gli inizi dell’Otto-cento è sempre la tubercolosi che, nell’ambito delle malattie polmonari, dominava l’interesse degli studiosi, soprattutto negli aspetti della tisi , talmente temuta da provocare provvedimenti legislativi per la disinfezione degli ambienti abi-tati da malati di tisi e la distruzione del vestiario e delle suppellettili (Firenze 1754, Lucca 1767, Napoli 1782).Sono di questo periodo trattazioni quali “ Di-scorso sulla tisichezza” di T. Fasano, “Del mor-bo tisico” di M. Salvatori, “Trattato della tisi pol-monare, volgarmente detta malarie de poitrine” di J.T. Baumes e “Anatomia patologica della tisi” di P.C.A. Louis.Nella seconda metà del XVIII secolo l’opera “De pleuritide” trovò larghi consensi tra i medici

. In essa l’autore , D.W. Triller, riprende le cono-scenze dei grandi medici del passato e forni-sce utili suggerimenti diagnostici e terapeutici. Questi ultimi si rifacevanoa raccomandazioni suggerite da Galeno nel II secolo d.C. : riposo, cataplasmi, gargarismi di ac. tannico mescolato con miele, oppio per la sedazione della tosse, dieta.Nel corso del XIX secolo Laennec , convinto assertore della univocità della Tbc e della tisi,oltre a studiare sulla propria mano l’evoluzione di una lesione tubercolare prodottasi nel corso di un’autopsia, studiò e descrisse le modalità di guarigione delle caverne tubercolari del pol-mone.I primi successi riportati da Pasteur in campo microbiologico spinsero il francesi J.A. Villemin (1827-1892) a inoculare in un coniglio mate-riali patologici tubercolari per documentare il carattere contagiante della malattia e tentare di comprenderne la natura, anche perché non

22

IPASVI IPASVIpochi studiosi si ostinavano a ritenere la tuber-colosi malattia non contagiante.In Italia gli stessi intendimenti vennero perse-guiti da Luciano Armanni (1819-1903) che ri-produsse lesioni tubercolari nella cornea della cavia mediante l’innesto di sostanza caseosa prelevata da focolai patologici.Nonostante il risultato positivo di tali esperien-ze, nessuno dei due autori riusci ad individuare il presunto agente infettante .Il problema venne reso ancora più complesso dalle teorie enunciate da R. Wirchow (1821-1902) il quale riteneva che i tubercoli grigi e quelli giallognoli , reperibili al tavolo anatomico, fossero espressione di due diverse entità e che tubercolosi e tisi fossero malattie differenti.

La risposta a tutti questi interrogativi venne data ben presto , in modo inequivocabile, da Robert Koch.Quando Robert Koch iniziò a Wollstein (attual-mente Wolsztyn , in Polonia ) la sua attività di medico, in Europa più di un terzo del-la mortalità infantile era dovuta alla tu-bercolosi.La malattia era an-data affermandosi sempre più a partire dalla seconda metà dell’Ottocento in coincidenza con la rivoluzione industria-le che aveva portato i più ad abbandona-re le campagne per trasferirsi nelle città, dove spesso erano costretti a vivere in appartamenti mal-sani , resi ancora più pericolosi dal note-vole affollamento e promiscuità.Se a ciò si aggiunge che gli operai erano costretti a lavorare in fabbrica per 14

ore al giorno e ad alimentarsi stentatamente , si comprendono le ragioni che avevano fatto si che la tubercolosi divenisse un vero fl agello nei paesi industrializzati.La sera del 24 marzo 1882, Robert Koch co-municò alla Società di Fisiologia di Berlino di aver identifi cato l’agente responsabile della tu-bercolosi.La sua esposizione , ispirata al più severo rigo-re scientifi co, fu talmente suggestiva che, alla fi ne della seduta, la maggior parte dei presenti ( tra i quali vi erano Helmholtz, Ehrlich e lo stes-so Virchow) si rese conto di aver partecipato ad uno degli eventi più signifi cativi nella storia della medicina.Koch iniziò la sua relazione in modo incerto, quasi timoroso, ma l’esposizione divenne gra-dualmente più serena e scorrevole.Egli espose i risultati ottenuti in una numerosa serie di esperimenti, condotti in modo estrema-mente rigoroso e con logica sequenzialità nel suo piccolo ma effi cientissimo laboratorio berli-

23

IPASVI IPASVInese, trasformando l’incredulità dei presenti in stupita ammirazione.La relazione terminò nel più assoluto silenzio, senza un applauso.Tutti gli occhi erano puntati sul volto severo di R. Virchow. Il Presidente aprì la discussione, ma per la prima volta nella storia della Società di Fisiologia di Berlino, non vi fu alcuna richie-sta di intervento e Virchow abbandonò l’aula senza alcun commento.Nelle settimane successive , la notizia rimbalzò sui giornali di tutto il mondo.Ciò che aveva colpito non era stata solo la no-tizia dell’individuazione del nuovo bacillo, ma anche i criteri seguiti dal giovane ricercatore per confermare la presunta etiologia infettiva della malattia.I postulati , cioè i criteri categorici da rispettare per poter considerare un microrganismo causa di malattia , furono esposti dettagliatamente da Koch e possono così essere riassunti:

1. Il microrganismo deve essere isolato dai tessuti ammalati in tutti i casi di malattia

2. Il microrganismo deve svilupparsi in col-tura pura

3. L’inoculazione del microrganismo in un animale sensibile deve riprodurre in esso la stessa malattia

4. Il microrganismo deve potersi isolare dall’animale infettato e svilupparsi nuo-vamente in coltura.

Negli anni successivi, i postulati di Koch furono adottati per la diagnosi di tutte le malattie infetti-ve ed il metodo introdotto da Koch, considerato un modello di logica nell’applicazione dei nuovi metodi sperimentali per lo studio delle malattie infettive, contributi a fargli attribuire nel 1905 il premio Nobel per la Medicina.

Nello stesso anno della scoperta di Koch, Carlo Forlanini ( 1847-1918) , con una serie di note apparse sulla Gazzetta degli Ospedali propose di trattare la “tisi del polmone” con pneumotora-ce artifi ciale, dando così inizio, nella cura della tubercolsi polmonare, all’era della collassote-rapia (medica e chirurgica) che troverà poi in Eugenio Morelli(1881-1960)Non solo il più valido ed autorevole assertore, ma anche il fondatore e capostipite della scuo-

la tisio - pneumologica italiana.All’inizio del XX secolo si susseguirono i tenta-tivi di approdare a effi caci reazioni diagnostiche per la tubercolosi.Tra gli altri citiamo quella congiuntivale (1907) di L.C.A. Calmette(1863-1933), che nel 1924 pubblicò insieme a C. Guerin e a B. Weill-Hal-lè, i risultati del vaccino antitubercolare B.C.G ( Bacillus Calmette-Guerin), prodotto dal 1906 , coltivato per 13 anni e utilizzato in profi lassi sui bambini fi n dal 1921.E’ del 1908,invece, la pubblicazione di C. Man-toux (1877-1947) dove l’autore descrisse la reazione intradermica della tubercolina cui le-gherà il suo nome.

1. Il microrganismo deve essere isolato dai tessuti ammalati in tutti i casi di malattia

2. Il microrganismo deve svi-lupparsi in coltura pura

3. L’inoculazione del micror-ganismo in un animale sensibile deve riprodurre in esso la stessa malattia

4. Il microrganismo deve potersi isolare dall’anima-le infettato e svilupparsi nuovamente in coltura.

Se facciamo un passo indietro, gli ultimi anni dell’Ottocento riservarono alla medicina un altro grande evento: il 25 dicembre 1895 , W. Roentgen (1845-1923) comunicò al mondo ac-cademico di aver accidentalmente scoperto, nel corso di una esperienza di poche settimane prima, dei “raggi” dotati di particolari proprietà nell’ attraversamento dei corpi solidi e da lui de-

24

IPASVI IPASVInominati “raggi X”.In seguito a questi e alla nascita della Radiolo-gia, le conoscenze sulla tubercolosi polmonare divengono sempre più nitide.Prima del suo avvento, accedevano all’osser-vazione clinica solo i quadri avanzati di tuber-colosi cronica e quelli subterminali e terminali di tisi, nei quali è pressoché impossibile stabi-lire le vere e proprie forme originarie della ma-lattia.Negli anni trenta si ebbe la scoperta della stra-tigrafi a ad opera di Alessandro Vallebona e via via i medici apprezzarono sempre più l’insosti-tuibile apporto della diagnostica per immagini, che negli anni più recenti si è arricchita della tomografi a assiale computerizzata, della riso-nanza magnetica nucleare e della scintigrafi a radio-isotopica.Con le indagini radiologiche divenne possibile evidenziare i più signifi cativi quadri originali del-la tubercolosi: l’infi ltrato precoce, le infi ltrazioni tisiogene, le lobiti, le miliari regionaliE risultò, altresì, possibile dare ordinata siste-matizzazione alla complessiva patologia tuber-colare .La scuola tisiologica italiana ha dato signifi cati-vi contributi a questa sistematizzazione (con E. Morelli, A. Omodei Zorini, V. Monadi, G. Daddi, C. Panà) non solo di ordine dottrinario ma an-che terapeutico.Questo contributo, iniziato con l’introduzione del pneumotorace , è continuato con la messa a punto da parte di Monadi ( 1899-1969) del procedimento di aspirazione endocavitaria per il trattamento della caverne tubercolari, metodi-ca che pose ancora una volta l’Italia al centro dell’attenzione degli ambienti fi siologici di tutto il mondo.Nella prima metà del Novecento si intensifi cò la convergenza degli interessi scientifi ci e socia-li sulla tubercolosi , identifi cata come malattia pilota sul piano dell’organizzazione sanitaria, dell’assistenza sociale, della sorveglianza epi-demiologica e dei provvedimenti legislativi.

La scoperta degli antibiotici , dovuta ad Alexaan-der Fleming (1881-1955) che scoprì nel 1929 la penicillina, ed il conseguente rapido sviluppo della chemioterapia, portò a trovare antibiotici

effi caci contro la tubercolosi.In primis la streptomicina, scoperta subito dopo la penicillina.Ma il farmaco non era in grado di passare la barriera emato-encefalica e risultava ,dunque ineffi cace nella meningite tubercolare di cui i pazienti continuavano a morire.Il professor Cocchi a Pisa mise a punto una metodica che consentiva di somministrare la streptomicina direttamente nel liquor. Poiché la meningite tubercolare produce delle laciniee impedisce al farmaco inoculato mediante una lombare classica, l’ago veniva introdotto a livel-lo cervicale.La puntura in quella sede poteva rivelarsi fatale per la possibilità di ledere il midollo spinalema grazie ad essa molti pazienti destinati, a morte certa riuscirono a guarire.La scoperta della rifampicina( 1960-1966), ad opera sempre di un italiano, Pietro Sensi,rese inutile permise di curare la meningite tu-bercolare senza ricorrere alle manovre di Coc-chi, in quanto essa passa agevolmente la bar-riera emato-encefalica.La rifampicina fu presto riconosciuta in tutto il mondo come farmaco di scelta primaria nel trattamento delle malattie tubercolari.

Si può ben affermare che

una condizione di benes-

sere ambientale, affet-

tivo, sociale, lavorativo

può contribuire a conte-

nere l’esplosione della

malattia e del contagio”.

25

IPASVI IPASVI

Risk management in Sanità e Rischio clinico da farmacoDott.ssa Donatella ConvertinoInfermiera c/o Ser.T (Dipartimento Dipendenze Patologiche) Asl Taranto

(Estratto Tesi di Laurea in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche)

Un dibattito che emerge visibilmente

Nel nostro paese e nel contesto internazio-nale si assiste oggi ad un rinnovato interesse per il tema della sicurezza e della qualità delle prestazioni sanitarie. Si tratta di un fenomeno che merita di essere attentamente valutato attraverso un’analisi che affronti la questione a partire dal modo con cui si sono evolute le priorità strategiche dei sistemi sanitari in que-sto ultimo decennio. Le prospettive di aumento della produttività e di recupero dell’effi cienza, che avevano guidato l’attenzione dei decisori istituzionali e delle aziende dalla fi ne degli anni Ottanta (in Italia, in particolare, con il proces-so di aziendalizzazione del Sistema Sanitario Nazionale, SSN ), stanno lasciando il posto ai temi legati alla “qualità”, alla ricerca di un equilibrio possibile tra la domanda di cittadini-consumatori sempre più esigenti e dinamiche economico-fi nanziarie non più affrontabili con misure miopi di mero contenimento o di razio-nalizzazione della spesa pubblica. E’ in questo mutato contesto che si inserisce il tema del risk management nelle aziende sanitarie. Il punto di vista dell’analisi è quello della rifl essione economico aziendale, declinata attraverso la ricerca sul campo che caratterizza da oltre 25 anni l’attività del CERGAS, il centro di ricerca sulla gestione dell’assistenza sanitaria e socia-le dell’Università Bocconi. In questa prospetti-va, lo spunto proposto cercherà di coniugare rifl essione teorica e conoscenza empirica per sintetizzare, in una prospettiva il più possibile concreta per chi legge, le evoluzioni in atto e

i contenuti di un tema innovativo come il risk management in sanità.

Il risk management come strumento per la promozione della qualità

I programmi per il miglioramento della qualità dei servizi sanitari e sociosanitari rappresenta-no un investimento necessario: oggi per il mi-glioramento dell’appropriatezza dell’assisten-za prestata ai cittadini, domani per garantire la sostenibilità del sistema. In questo momento il fabbisogno prioritario a livello politico, istituzio-

26

IPASVI IPASVInale e aziendale, è dimostrare concretamen-te ai portatori di interesse, interni ed esterni, il livello di effi cacia e appropriatezza raggiunto e le prospettive di miglioramento delle perfor-mance attuali.In quest’ottica si colloca la sempre maggio-re attenzione dei decisori (e degli studiosi) nei confronti dei concetti e degli strumenti di “corporate governance”,“internal audit”, “risk management” e, in relazione alla sfera dell’attività clinica,“clinical governance”, “cli-nical audit”, “clinical risk management”. La loro valenza è duplice. In primo luogo, interna: aziende sanitarie e regioni hanno investito in programmi per la qualità dell’assistenza per ot-tenere risultati immediati. Le realtà che hanno avviato iniziative quali, ad esempio, il clinical audit, hanno spesso prodotto signifi cativi cam-biamenti nei processi e nelle attività, ottenendo soddisfacenti “ritorni sull’investimento”.Bisogna inoltre considerare la valenza ester-na. Nella logica del performance measure-ment, l’attivazione dei programmi per la qualità è un’occasione concreta per misurare l’effi ca-cia del sistema sanitario e trasferire questa informazione all’esterno. La qualità, così pro-cessata, non rappresenta più un obiettivo stra-tegico ritualmente declinato nei piani, ma una dimensione operativa dell’assistenza. Essa è una caratteristica misurabile, osservabile nel tempo, riferita ad un numero di aree seleziona-te e prioritarie (ad esempio, la gestione della cartella clinica, la presa in carico del paziente con diabete non complicato, e così via), quindi, non più “generica”. L’operazionalizzazione del-la dimensione della qualità dei servizi impatta sul sistema sanitario nel suo complesso e non solo nel contesto aziendale che avvia queste iniziative. Mutuando dal linguaggio economico potremmo parlare a questo proposito di “ester-nalità positive”. I vantaggi indiretti per il siste-ma derivano, quindi, non solo dagli esiti delle azioni implementate (il risultato intermedio), ma anche dall’assunzione della decisione in sé di investire nella qualità. L’impegno dimo-strato stimola, infatti, la fi ducia degli utenti e, di conseguenza, il loro livello di soddisfazione. La stessa considerazione vale nei confronti degli operatori e dei professionisti, così come

dei referenti politici e istituzionali dell’azienda. In sintesi, l’investimento per il miglioramento della qualità, se opportunamente comunicato ai portatori di interesse, è già un primo passo per produrre in concreto il cambiamento auspi-cato.A monte del risk management: quali-tà, governo clinico e appropriatezza

A livello di SSN, si è ancora lontani da una strategia unitaria per la gestione dei rischi del-l’assistenza sanitaria. In questa direzione un valido contributo può venire dalla visione d’in-sieme dei fattori ambientali che portano ad emergere il fabbisogno di maggiore sicurezza e appropriatezza della pratica clinica. Esso si snoda attraverso un percorso in due fasi logi-che, correlate ma distinte. Nella prima fase en-trano in gioco una serie di fattori che stimolano la ricerca di pratiche cliniche sempre più im-prontate a criteri di evidenza scientifi ca, effi ca-cia e appropriatezza. Queste pressioni portano allo sviluppo di azioni e strumenti che rientrano nella sfera della evidence based medicine, tra cui formazione continua, revisione tra pari, at-tivazione dei circoli di valutazione della qualità dei servizi, clinical audit. Nel complesso, essi delineano un modello (più o meno esplicito) di clinical governance, in quanto sottintendono una visione di responsabilizzazione esplicita dei professionisti e di valutazione delle per-formance dell’assistenza come base per inne-stare le azioni di miglioramento dell’effi cacia e della sicurezza .I fattori più attivi in questa fase sono:

ÿ la crescita della domanda di effi cacia del-l’azione sanitaria, che proviene dagli utenti, dai fi nanziatori (Regioni), dal sistema politico e professionale. Uno dei segnali più rilevanti è dato dalla progressiva diffusione di sistemi di misurazione degli outcome (espressi in ter-mini di mortalità o tassi di riospedalizzazione per patologie e tipologie di utenti predefi nite). Altri Paesi hanno assistito a una vera rivoluzio-ne nel rapporto tra il sistema di assistenza e l’utenza che, in Italia, è ancora in fase embrio-nale. Sono tuttavia segnali importanti in questa direzione l’avvio di sperimentazioni coordinate

27

IPASVI IPASVIa livello nazionale per l’elaborazione di sistemi informativi che rilevano gli outcome delle strut-ture sanitarie, ad esempio quella recentemen-te promossa dal Centro nazionale di epidemio-logia, sorveglianza e promozione della salute dell’Istituto Superiore della Sanità. La richiesta di maggiore effi cacia non è più una questio-ne formale per le aziende, ma un problema sostanziale che necessita di modifi che dei si-stemi di gestione interni. Appare prioritario, in particolare, lo sviluppo di un sistema di monito-raggio in grado di integrare le informazioni dei risultati dell’area delle attività clinico-sanitarie (i processi “primari”, o core) con quelle relative alle altre aree di attività (non sanitarie, quindi i processi di supporto ai processi primari);

ÿ il fenomeno di empowerment degli uten-ti, effetto della crescente disponibilità di infor-mazioni e dell’affermarsi, nei cittadini, della coscienza del nuovo ruolo di “cliente” del si-stema sanitario. Ne è un segnale evidente il rinvigorito sistema di rappresentanza degli in-teressi dei consumatori (associazionismo dei pazienti, Tribunale dei diritti del malato, e altri), oggi in grado di attivarsi con modalità nuove ed estremamente effi caci. La ribadita (e, si au-spica, effettiva) centralità del paziente impone alle aziende e al sistema sanitario un cambia-mento radicale della modalità di progettazio-ne dei servizi. Sono disponibili a questo scopo diversi modelli concettuali di riferimento per la valutazione e lo sviluppo della qualità dei ser-vizi utilizzati dalle aziende. Sotto etichette di-verse (quality assessment, quality assurance, continuous quality improvement, total quality management, risk management), questi stru-menti sono accomunati dalla visione del siste-ma assistenziale come “catena di valore” che il servizio deve massimizzare con riferimento all’utente fi nale. L’applicazione al sistema assi-stenziale si è dimostrata, in alcuni casi, estre-mamente effi cace;

ÿ la maturità raggiunta dai sistemi di ge-stione delle aziende (dal sistema di program-mazione e controllo alla valutazione del per-sonale, solo per citare i principali). La disponi-bilità di sistemi informativi più potenti, di com-

petenze più mature e di meccanismi più rodati stimola il passaggio da un modello di gestione “reattivo”, concentrato sulla verifi ca della “re-performance”, ad uno “proattivo”, ovvero ba-sato sul monitoraggio e sull’anticipazione delle dinamiche in corso. La disponibilità di sistemi gestionali più maturi diventa, in tal senso, un ulteriore stimolo per il management per ar-ricchire le prospettive e i piani di valutazione delle performance dell’attività assistenziali (tra cui, l’appropriatezza), rafforzando dall’interno la propensione al clinical governance.

Dal clinical governance al risk mana-gement

Il modello di clinical governance si limita a de-lineare la cornice strategica entro cui declina-re operativamente alcuni strumenti a servizio dell’appropriatezza tra cui, in particolare, il risk management. Per meglio evidenziare i due livelli di obiettivi (“appropriatezza” e “sicurez-za”) che fanno riferimento, rispettivamente, al sistema di clinical governance e a quello di risk management . Essa rappresenta, per ciascun pilastro del modello di clinical governance, i nuovi sistemi di gestione aziendale che si raf-forzano o sviluppano ex-novo.La seconda fase del percorso verso l’emerge-re del risk management vede in gioco due ul-teriori fattori di contesto che stimolano, speci-fi camente, lo sviluppo di un sistema aziendale a supporto della sicurezza dei processi svolti. Essi sono:

ÿ il fenomeno, in espansione, del rifi uto de-gli esiti dei processi di diagnosi, cura e ria-bilitazione da parte dei pazienti, che sfocia nell’aumento della confl ittualità e nell’esplosio-ne dei reclami e, di conseguenza, dei risarci-menti. Esso dimostra la crescente litigiosità del sistema sociale, indirettamente misurabile in termini di insorgenza dei reclami e delle richie-ste di risarcimento per motivi di responsabilità civile del medico, supportate da vari orienta-menti della giurisprudenza sempre più a favo-re dei “consumatori”;ÿ il ruolo del mercato assicurativo, che ha assistito a partire dagli anni Novanta ad

28

IPASVI IPASVI

un’esplosione dei costi delle polizze. La cre-scita dei premi sulla responsabilità civile che le aziende sanitarie corrispondono alle compa-gnie (oramai stabilizzatisi su livelli decisamente preoccupanti) è solo in parte conseguenza di una crescita analoga dei risarcimenti corrispo-sti ai pazienti. La dinamica appare, a tutti gli effetti, una variabile non governata dalle azien-de sanitarie. Infatti, in assenza di modalità in grado, da un lato, di gestire il livello di rischio sopportato e, dall’altro lato, di rappresentare oggettivamente il miglioramento perseguito da queste azioni nei confronti del mercato assi-curativo, le aziende non hanno la possibilità di modifi care in alcun modo la dinamica delle polizze, o di contrattarne i prezzi facendo ri-conoscere al mercato le performance azien-dali “virtuose” di gestione del profi lo di rischio aziendale. In defi nitiva, l’asimmetria informati-va tra mercato assicurativo e aziende sanitarie è un fattore che distorce le convenienze degli attori, compagnie e aziende, nel riposizionar-si verso soluzioni più effi cienti. È indubbio, in

ogni caso, che esso induce rifl essioni e reazio-ni nella maggior parte delle aziende, stimolan-do la nascita di iniziative di risk management nonostante la scarsa ricettività dimostrata su questo fronte dal mercato assicurativo.In sintesi, nel settore sanitario è oggi possibi-le osservare l’emergere non solo di una sen-sibilità al problema della gestione del rischio, ma anche una domanda esplicita di interven-to che prefi gura lo spazio per l’evoluzione di una “funzione aziendale di risk management” nelle aziende sanitarie. Sulla base di queste osservazioni è possibile tracciare due indica-zioni preliminari per l’avvio di una “strategia di SSN” per il risk management. Per ciò che concerne lo studio e la progettazione delle iniziative di risk management, è evidente che sia l’approfondimento scientifi co che l’avvio delle prime esperienze a livello aziendale non possano che essere demandate a gruppi di lavoro multidisciplinari, in grado di assicurare la convergenza di conoscenze e competenze cliniche e sanitarie, gestionali, ingegneristi-

29

IPASVI IPASVIche, giuridiche. La sinergia tra più paradigmi, prospettive di approfondimento ed esperienze rappresenta una condizione e, al contempo, un fattore critico di successo per il consolidarsi delle esperienze di gestione dei rischi nel set-tore sanitario. A livello di SSN, invece, il fi orire di sperimentazioni aziendali sul tema della ge-stione dei rischi in sanità testimonia una sana vitalità progettuale (nonostante le duplicazioni e gli esiti ancora non del tutto ottimali che ne derivano). Pertanto, ancor prima di auspicare una regia unitaria delle iniziative sul risk mana-gement, è comunque preferibile accettare un certo grado di ridondanza nelle esperienze in atto a livello di SSN, agendo piuttosto sul ver-sante della promozione di presupposti comuni alla base di queste esperienze. Una “mappa mentale” comune a guida delle iniziative di risk management renderebbe sicuramente più fl ui-da la collaborazione multidisciplinare, il conso-lidamento delle esperienze e il coinvolgimento di un elevato numero di operatori. Non a caso proprio su questo obiettivo si è concentrata la Commissione Tecnica sul Rischio Clinico, isti-tuita dal 2003 nell’ambito delle attività avviate dal Ministero della Salute in tema di Qualità dei servizi sanitari, avviando il primo studio nazio-nale dedicato a questo tema (“Risk manage-ment in Sanità. Il problema degli errori”).

Alcune defi nizioni su cui rifl ettere

Il settore sanitario produce servizi di pubbli-ca utilità alla persona ed è caratterizzato da una missione e da modalità organizzative che presentano spiccate peculiarità. Tra que-sti elementi spicca, in particolare, il carattere professionale dell’organizzazione, dato dal fatto che la linea dei processi primari è guida-ta da professionisti dotati di un elevato grado di specializzazione e di autonomia, rendendo sostanzialmente inapplicabile la leva del co-mando diretto (gerarchia) per la gestione del personale al fi ne del governo dei processi. La rifl essione sul tema della gestione del rischio aziendale si sviluppa originariamente nel set-tore industriale, e la letteratura di riferimento è stata elaborata nel campo della logistica, della produzione, della fi nanza aziendale e della ge-stione assicurativa. L’estensione dell’approc-

cio e delle metodologie di risk management al settore dell’assistenza sanitaria è un passag-gio delicato, che richiede di valutare attenta-mente l’applicabilità dei concetti di riferimento a questo contesto. In sanità, dove non è pos-sibile semplicemente mutuare da esperienze e concetti elaborati altrove, la puntualizzazione di alcuni concetti di base del risk management rappresenta quindi un momento non formale, che delinea ex novo la mappa delle conoscen-ze per lo sviluppo della funzione. Dal punto di vista organizzativo, la scelta della defi nizione stessa di rischio costituisce il momento cen-trale dello sviluppo della funzione aziendale e dei sistemi di gestione ad essa correlati. È quindi necessario che il concetto di rischio sia il più possibile operativo, chiaro, e non troppo astratto.In questa prospettiva, è necessario defi nire in-nanzitutto le tipologie di rischio e il ciclo logico della funzione risk management, a partire dal-la consolidata distinzione che distingue “rischi speculativi” e “rischi puri”. I rischi speculativi sono legati al verifi carsi di eventi che implicano sia la possibilità di un benefi cio che di una per-dita (ad esempio: le decisioni di investimento). Essi sono connaturati all’esercizio dell’attività d’impresa: non a caso, la gestione è general-mente considerata come parte caratteristica della complessiva strategia aziendale. A fronte di questi rischi è possibile sviluppare azioni e strumenti di gestione alla base della creazione di un compenso reddituale e di vantaggio com-petitivo. I rischi puri, invece, sono legati al veri-fi carsi di eventi che comportano conseguenze esclusivamente negative per l’organizzazione. I rischi puri descrivono eventi dannosi capaci di turbare il sereno svolgimento della routine operativa e ostacolare la stabilità e l’equilibrio aziendale in modo profondo e durevole (ad esempio: lo scoppio di un incendio, un danno all’impianto produttivo, il furto a valori azienda-li). Il verifi carsi di questi rischi è indipendente da decisioni aziendali e non è pertanto pos-sibile prevedere con esattezza né il momen-to in cui si verifi cheranno, né la gravità delle conseguenze arrecate. L’interesse dell’orga-nizzazione sarebbe, idealmente, la completa eliminazione: questa soluzione non appare

30

IPASVI IPASVItuttavia possibile, in quanto svantaggiosa sia dal punto di vista economico (costo troppo alto rispetto al benefi cio raggiungibile), che tecni-co. Essendo, infatti, strettamente connessi alle attività core dell’azienda, è probabile che l’uni-ca modalità di una loro completa eliminazione sia per l’azienda l’abbandono della missione aziendale.L’insieme dei rischi che l’azienda fronteggia in un determinato momento è defi nito profi lo di rischio. La natura di tale profi lo e la sua com-posizione sono infl uenzati dalle fi nalità azien-dali, oltre che dalle caratteristiche dell’am-biente interno ed esterno in cui essa opera. In ambito sanitario esso è funzione della mission aziendale (in particolare, la tipologia di azienda considerata e il livello di specializzazione dei servizi offerti: ASL, AO, IRCSS), della combi-nazione delle caratteristiche epidemiologiche e socio culturali della popolazione, delle ca-ratteristiche istituzionali dei sistemi sanitari di riferimento (l’ambiente esterno), delle compe-tenze professionali disponibili, della disponibi-lità e funzionalità dei sistemi di controllo inter-ni dell’ambiente organizzativo interno e dalla cultura organizzativa (l’ambiente interno). La descrizione del profi lo di rischio è un’operazio-ne che non può essere generalizzata e deve basarsi su valutazioni condotte nello specifi co contesto aziendale, integrando tutte le infor-mazioni possibili. Inoltre, il profi lo di rischio è estremamente dinamico, ragion per cui il ma-nagement ha la responsabilità di dotarsi di si-stemi di rilevazione sistematici per monitorarne costantemente l’evoluzione. La parte caratte-rizzante e prioritaria del profi lo di rischio delle aziende sanitarie è costituita dalla dimensione del rischio clinico, defi nito come probabilità che un paziente sia vittima di un evento avverso (un danno o disagio), imputabile, anche se in modo involontario, alle cure mediche presta-tegli durante un periodo di degenza e in gra-do di causare un prolungamento del periodo di degenza, un peggioramento delle condizioni di salute o la morte. Alla base di ogni evento avverso è sempre possibile individuare uno o più errori, commessi dai singoli operatori o dal sistema organizzativo (processi, procedure, divisione e carichi di lavoro individuali). Gli stu-

di di ergonomia e di psicologia organizzativa hanno contribuito alla conoscenza delle cause che originano il prodursi degli errori nelle mo-derne organizzazioni, attraverso l’elaborazio-ne del modello cognitivo dell’errore. Il modello evidenzia gli eventi avversi prevenibili, ovvero quelli originati da errori, sottolineando inoltre come questi errori, in misura schiacciante, siano riconducibili al sistema piuttosto che a livello dei singoli operatori. Buona parte degli errori (e degli eventi avversi) almeno in teoria potrebbe quindi essere gestibile mediante l’at-tivazione di un ciclo di attività di identifi cazione, analisi e gestione, proprio della funzione risk management. Il risk management, su questa linea, rappresenta quindi l’insieme delle azio-ni, delle metodologie e degli strumenti impie-gati in azienda per la riduzione della tipologia di rischi che comportano,potenzialmente, solo conseguenze negative all’organizzazione (il ri-chiamato concetto di rischio puro che in sani-tà si declina, in particolare, l’errore clinico). La gestione del profi lo di rischio dell’azienda sani-taria presuppone la defi nizione di un intervento organizzato e consapevole, sistemico e conti-nuo, che combini attività e decisioni di natura strategica e una fase di gestione operativa. La gestione del rischio, a sua volta, si basa sulla conoscenza degli elementi che lo costituisco-no. Tali elementi possono essere descritti come l’insieme delle minacce in cui i rischi si concre-tizzano (ovvero la fonte del rischio), delle ri-sorse aziendali colpite dalla minaccia (i diversi sottosistemi aziendali esposti al rischio), delle vulnerabilità che rendono le risorse minacciate più attaccabili (i punti di debolezza che pos-sono aumentare la probabilità che il concretiz-zarsi della minaccia dia origine ad un danno) e, infi ne, delle “conseguenze” del verifi carsi della minaccia (l’insieme degli effetti su tutte le componenti del sistema aziendale). Defi niti gli elementi di rischio oggetto di gestione è quin-di possibile descrivere il ciclo logico della ge-stione. I momenti chiave di questo ciclo sono innanzitutto il coinvolgimento e formazione del personale e l’identifi cazione degli obiettivi del-la funzione di risk management. Al termine di questa fase preparatoria si colloca la fase di identifi cazione dei rischi, mediante la ricostru-

31

IPASVI IPASVIzione del profi lo di rischio aziendale. Si apre quindi la fase progettuale, durante la quale la valutazione e quantifi cazione dei rischi viene attuata per progettare le misure e gli strumenti di gestione e mitigazione. Il ciclo di pianifi ca-zione si chiude con l’avvio della fase operativa, che vede l’implementazione del programma e il controllo e feedback del ciclo attivato.

Le caratteristiche della funzione risk management nelle aziende sanitarie

Solo ora è possibile affrontare il tema delle diffi -coltà che le aziende sanitarie stanno incontran-do nello sviluppo concettuale e operativo del risk management. Dal punto di vista aziendale, questa fase testimonia un problema di defi ni-zione dei confi ni e delle caratteristiche della funzione. Il problema si declina, concretamen-te, nella scelta della missione e dell’oggetto del risk management, a cui segue logicamente la decisione di allocazione delle responsabilità aziendali della funzione. L’esplicitazione della missione e dell’oggetto della funzione appare una scelta del grado di “differenziazione oriz-zontale” della funzione risk management. In al-tri termini, di quali tipi di rischi si deve occupare la funzione risk management? Solo dei rischi sanitari (clinical negligence e malpractice)? O spaziare, ad esempio, anche alla gestione dei rischi non sanitari (emergenze, frodi, sicurezza strutturale ecc.) ? La scelta non è affatto scon-tata. Il profi lo di rischio nel settore sanitario è multidimensionale, poiché il rischio prioritario (il rischio clinico, insito nei processi primari) si accompagna sempre alla presenza di altre aree di rischio collocate nei processi di sup-porto (rischi non sanitari, tra cui, ad esempio, quelli amministrativi, logistici, ecc.). La multidi-mensionalità del profi lo di rischio, connaturata alla missione istituzionale delle aziende sani-tarie, è una caratteristica che rende particolar-mente complesso disegnare una responsabili-tà “aziendale” di gestione del rischio. Non è un caso, quindi, che le aziende sanitarie che per prime hanno sviluppato una funzione risk ma-nagement si siano concentrate su un nucleo ristretto di rischi, dando vita innanzitutto a si-stemi di clinical risk management. Solo in una

seconda fase si osserva, accanto al nucleo pri-mario, uno spazio di sviluppo di sistemi di ge-stione di rischi delle attività di supporto. Dalla defi nizione dei “confi ni orizzontali” della funzio-ne risk management muove in seconda battuta la decisione di come collocare le responsabili-tà di gestione dei rischi tra i diversi livelli orga-nizzativi, ovvero la scelta del grado di differen-ziazione “verticale” della funzione. Le aziende sanitarie devono valutare la riallocazione delle diverse responsabilità di gestione dei rischi, attualmente diffuse tra più funzioni aziendali (ad esempio il servizio protezione aziendale, la direzione sanitaria), oltre alla scelta di qua-li attivare ex-novo (ad esempio, la gestione dei clinical audit o del rischio legato alle tec-nologie sanitarie). A valle di questa decisione si colloca, poi, la defi nizione del disegno dei meccanismi di coordinamento e integrazione, che assicurino in prospettiva il presidio unitario della gestione del profi lo di rischio aziendale. Questa fase è caratterizzata dal trade-off tra accentramento o decentramento della respon-sabilità di valutazione e gestione dei rischi tra gli organi di governo, la funzione dirigenziale e i team di professionisti. L’allocazione della responsabilità di gestione dei rischi sanitari è una decisione estremamente delicata, che chiama in gioco il carattere professionale del-l’organizzazione sanitaria, citato precedente-mente. La gestione dei rischi clinici, a questo proposito, è un terreno che enfatizza effi cace-mente la debolezza della leva gerarchica nella gestione delle organizzazioni professionali. La valutazione e la decisione delle azioni di go-verno dei rischi legati alle attività di diagnosi e cura richiede necessariamente un intervento da parte del management nella sfera dell’auto-nomia professionale dei professionisti. D’altra parte, la gestione del rischio clinico è un’area di responsabilità di cui rispondono sia il ma-nagement intermedio (primari, responsabili di distretto e dipartimento, direzioni di presidio) che la direzione strategica (direzione sanita-ria, in primis). A quale livello – verticale, quindi – deve essere affi data la responsabilità della gestione del rischio clinico? L’unica strada per-corribile, in questo contesto, è la sottoscrizio-ne di un patto tra azienda e professionisti in

32

IPASVI IPASVIgrado di assicurare l’autonomia di decisione di gestione dei rischi clinici e, al contempo, la responsabilizzazione mediante l’autogoverno delle pratiche cliniche, a livello individuale e di team. Accanto alla responsabilità di line della gestione del rischio clinico (relativa alle aree specifi che di performance clinica), lo sviluppo della funzione risk management dovrà perciò prevedere un effi cace meccanismo di integra-zione in grado di assicurare il governo unita-rio delle azioni di gestione dei rischi clinici, in mano ai professionisti, con le altre attività di gestione dei rischi non sanitari.

L’ERRORE : CASISTICA ECONSEGUENZE

Epidemiologia

II Censis, nel 2001, ha condotto una ricerca in-titolata “Rischi ed errori nella sanità italiana”, mettendo così in risalto il concetto che la cosid-detta “malasanità” è una reale preoccupazione del cittadino. Negli ultimi anni, il cittadino si è rivolto in numero sempre crescente alla mag-istratura a causa di danni subiti. Infatti dallo studio effettuato dal Censis risulta che nel cor-so del 2000 la stampa italiana si è occupata di 143 casi di malasanità che hanno comportato danni, più o meno gravi, a pazienti; nel 54,5% dei casi i danni ai pazienti hanno provocato ad-dirittura il decesso. L’indagine, effettuata sulla rappresentazione della sanità nella stampa, ha riguardato un campione di 21 quotidiani e periodici. Sono stati individuati 340 articoli che, per il 32% si sono occupati di casi con deces-so del paziente e per il 26% di danni gravi che non hanno provocato il decesso. Nel 48,2% degli articoli viene chiamato in causa il fattore umano, mentre nel 33% degli articoli la respon-sabilità è attribuita alla struttura sanitaria ge-nericamente intesa (nel 5,4% dei casi per soc-corso tardivo), e più precisamente, nel 20% dei casi la responsabilità dei danni al paziente è attribuita al personale sanitario, nel 13,8% al medico chirurgo, nel 12,5% al medico special-ista. E’ vero che la stampa ha in prevalenza un approccio scandalistico ed allarmista sul tema

dei danni in sanità (il 61% dei titoli ha una im-postazione di allarme), ma è altrettanto vero che l’ampio spazio che vi dedica (quasi il 30% degli articoli è medio-lungo) e la sua prevalente collocazione in cronaca (il 62% degli articoli è di cronaca), ha messo all’ordine del giorno il tema. Solo una conoscenza sistematica dei dati riguardo ai rischi in sanità accettati e ricon-osciuti da parte di tutti i cittadini consentirà di attivare un governo razionale e condiviso del rischio capace di ridurre i danni per i pazienti.

I danni

In Italia su 8 milioni di pazienti ricoverati ogni anno, 320 mila (cioè circa il 4%) subiscono danni che potrebbero essere evitati. Tra le 30 e 35 mila persone muoiono a causa di errori, ciò vuol dire che il 6% delle morti in Italia nel 2000 è attribuibile a complicanze mediche. Per cui, il numero di morti in Italia causato da un errore in medicina, è maggiore di quelle provocate da-gli incidenti stradali, cancro ai polmoni e infarto miocardio acuto.

I costi

Il costo legato ad errori medici con esiti mortali in Italia ammonta a circa 2,5 miliardi di euro; sono circa 12 mila i ricorsi in sospeso nei tri-bunali italiani promossi da pazienti o da parenti di vittime di errori e si stima che circa 30.000 persone perdono la vita a causa di un errore medico. A fronte di una raccolta assicurativa an-nua di premi di circa 175 milioni di euro versati dagli ospedali sono 413 i milioni di euro spesi per i risarcimenti. Gli studi condotti in campo sanitario, in particolar modo sugli anestesisti e sui medici delle unità intensive, dimostrarono numerose analogie con il lavoro dei piloti di aviazione e degli operatori delle centrali nucle-ari, in quanto in tutti questi casi l’errore umano viene maggiormente favorito, se non addirit-tura determinato, da una serie di condizioni organizzative (generalmente poco o per nulla controllabili da chi effettivamente commette l’errore) che generalmente nascono a due livelli: quello della “prima linea” e quello “dei piani alti” dell’organizzazione. A livello della “prima linea” (interfaccia uomo-sistema o

33

IPASVI IPASVIpaziente-medico) le condizioni di lavoro più a rischio sono: gli ambienti fortemente dinamici, le troppe e diverse fonti di informazioni, il cam-biamento frequente di obiettivi, la scarsa chi-arezza degli obiettivi, l’utilizzo di informazioni indirette o riferite, il passaggio rapido da situ-azioni di stress elevato a situazioni routinarie, l’uso di tecnologie avanzate e complesse, la coesistenza di priorità differenti, la presenza di più leader in competizione tra di loro. A liv-ello “dei piani alti” le condizioni che agiscono negativamente sulla “prima linea” sono: inter-azioni non ben regolate tra gruppi profession-ali diversi, scarsa chiarezza del sistema delle regole, compresenza di norme confl ittuali, cat-tiva progettazione dell’organizzazione, scarsa o nulla attenzione alle politiche della durezza, disinteresse per la qualità. Se, dunque, nelle organizzazioni complesse gli errori sono cau-sati dall’interazione di un grande numero di elementi, la conoscenza della catena causale permette di identifi care i punti di intervento e le opportunità di prevenzione degli errori st-essi. Oggi giorno la gestione del rischio clinico in ambito sanitario, anche se in Italia è un ar-gomento di recente trattazione, è ormai diven-tato il principale tema all’interno delle strutture ospedaliere, questo a causa del progresso tecnologico-scientifi co, dei cambiamenti so-cio-demografi ci ed economici che negli ultimi anni hanno cambiato totalmente le società e i sistemi sanitari nei Paesi industrializzati com-preso il nostro. A tali cambiamenti si possono aggiungere la crescita culturale della popo-lazione e l’aumento di informazioni disponibili grazie a mass media quali internet, televisione, radio, giornali, che se da un lato hanno portato i cittadini a richiedere prestazioni assistenziali più qualifi cate, effi caci ed effi cienti, dall’altro ha reso sempre più intollerabile il così detto “errore sanitario”. Tutte queste condizioni han-no determinato l’insorgere, all’interno delle strutture ospedaliere, di “sistemi di gestione del rischio clinico” con lo scopo di dare origine a processi di miglioramento e apprendimento continuo basato su un monitoraggio costante di rischi ed errori e la defi nizione di azioni cor-rettive.

Obiettivi del risk management

Numerosi sono gli obiettivi che il programma di “risk management” ha individuato:ÿ imparare dagli erroriÿ lavorare secondo la logica del migliora- mento continuoÿ gestione preventiva dei rischiÿ evitare danni ai pazientiÿ evitare danni agli operatoriÿ ridurre il contenzioso medico-legaleÿ ridurre i premi assicurativi

Il risk management permette di acquisire una conoscenza adeguata degli elementi, con par-ticolare riferimento alle aziende sanitarie; per-mette di apprendere in profondità le tecniche di gestione e prevenzione del rischio clinico con-sentendo, così, di sviluppare nuove capacità e motivazioni nei singoli operatori sanitari al fi ne di prevenire eventi dannosi per i pazienti, per se stessi, per gli altri operatori e per l’ASL in generale. Inoltre, i programmi di risk manage-ment vanno a favorire il lavoro di gruppo per lo svolgimento delle attività di gestione e preven-zione del rischio.

Aspetti economici sociali

Il risk management in sanità è nato, inizial-mente, per risolvere problemi di tipo econom-ico-sanitario a causa degli elevati livelli di in-dennizzi per danni reali o potenziali; poi con gli anni ha acquistato una maggiore valenza deontologica fi no a diventare un elemento fon-damentale per interventi di miglioramento della

34

IPASVI IPASVIQualità. Gli errori infl uenzano negativamente la sfera sanitaria determinando demotivazione del personale e sofferenza ai pazienti, causan-do un prolungamento del periodo di degenza, delle cure e di conseguenza alti costi eco-nomici all’intero Sistema Sanitario. Per ovviare a questo è possibile adottare programmi per la gestione del rischio all’interno dei reparti. Il personale sanitario deve essere motivato alla riduzione della sofferenza del paziente soprat-tutto attraverso l’adozione di sistemi che mirino al miglioramento della Qualità. A tal fi ne è di fondamentale importanza il ruolo della formazi-one e/o dell’aggiornamento professionale di tutti gli operatori sanitari; ciò consente loro, tra l’altro, di essere sempre più in grado di adot-tare specifi che misure di prevenzione al fi ne di ridurre gli errori. E’ stato dimostrato, inoltre, che per il miglioramento della Qualità conoscere le reali dimensioni e i costi dei problemi individuati è irrilevante se non si conoscono anche i costi delle possibili soluzioni da adottare. Ricerche provano che per ottenere questo è possibile decidere un programma iniziale di investimenti nella Qualità e nella sicurezza che permetta di garantire margini di risparmio notevoli. C’è un modello da tenere presente quando si valutano i costi e l’effi cacia di interventi per il migliora-mento della Qualità. E’ un modello basato su tre strategie che interagiscono tra loro e con-siderate indispensabili per garantire una mag-giore sicurezza in Sanità: 1. quantifi care problemi di Qualità (attra-verso l’utilizzo di sistemi di rilevazione e stesura di rapporti); 2. adottare un approccio di sistema e un cambiamento di strategie (pensare in termini di sistema al fi ne di ridisegnare i processi); 3. intervenire sulla cultura degli opera-tori sanitari (attraverso percorsi di formazione e la non colpevolizzazione del personale).

Sistema assicurativo

Il rischio clinico esiste e viene messo regolar-mente in prima pagina in occasione di denunce per sinistri nelle cure sanitarie. La probabilità che si verifi chi un errore derivante dalle cure è sempre un tema molto delicato per numerose persone. E’ delicato per i pazienti che molto

spesso non riescono a comprendere il concetto che le cure prestate possono comportare alcuni pericoli: questo perché tale conoscenza entra in confl itto con il concetto comune che le cure servono per guarire o alleviare una sofferenza e non a determinarne un’altra; delicato per tutti gli operatori sanitari che sono sempre più an-gosciati dalla probabilità di poter commettere un eventuale errore, di creare danni e di essere chiamati in causa, di non riuscire a trovare cop-erture assicurative adeguate anche perché in continua crescita; delicato per gli amministratori delle strutture sanitarie che devono prevedere premi assicurativi sempre più alti, delicato per gli assicuratori che si trovano a dover gestire un settore tendenzialmente in perdita. Il con-cetto principale del contratto di assicurazione è quello di traslare il rischio di un possibile evento dannoso di un Ente ad una compagnia assicu-rativa, verso il pagamento di un premio o po-lizza; sarà però cura dell’Azienda Sanitaria fare preventivamente una stima e una valutazione dei rischi, e decidere quindi se è opportuno e conveniente assicurarli.

Il rischio clinico determina numerose conseg-uenze non solo riguardo ai danni ed alle con-danne cui il Sistema Sanità può andare incon-tro, ma anche e soprattutto, dall’impatto che la gestione dei rischi (e dei risarcimenti per i dan-ni subiti a causa delle cure prestate) ha o può avere sulle strutture sanitarie. La conseguenza più grande del rischio clinico è l’incrinatura del fragile equilibrio che c’è tra le assicurazioni e le strutture sanitarie, equilibrio che attualmente è sempre più precario soprattutto in America. Basti pensare che negli USA quasi ogni inter-vento chirurgico, soprattutto se di tipo estetico, fi nisce per determinare un contenzioso, con la conseguente esplosione dei premi assicurativi a carico dei medici. In Italia la situazione non è ancora a questi livelli, anche se effettivamente il contenzioso è in continua crescita (circa 12.000 nuovi casi l’anno), con il conseguente ed inevi-tabile aumento del rischio di essere chiamati a risarcire danni a conseguenza della propria at-tività professionale; tutto ciò anche a seguito di una nuova sensibilità dei pazienti, della magis-tratura e della progressiva caduta di quel timore

35

IPASVI IPASVIreverenziale che caratterizzava, in passato, il rapporto tra medico e paziente. Oggi, purtrop-po, numerosi sono i problemi che si presentano nel campo assicurativo e in primis vi è il rinnovo del contratto e l’assenza di mercato. Infatti, se in passato il contratto veniva rinnovato diretta-mente tra l’Ente pubblico assicurato e l’impresa titolare del rapporto assicurativo in scadenza, oggi, invece, la partecipazione alle gare per la copertura di Responsabilità civile è limitata ad una o poco più compagnie, spesso straniere; tali diffi coltà porteranno da parte delle Aziende Sanitarie a ridurre al minimo i requisiti base da porre per l’acquisizione dei contratti assicurati-vi, determinando così l’emergere di compagnie assicurative non specializzate o patrimonial-mente meno solide. In questo periodo, accanto alla grande diffi coltà nel reperire coperture as-sicurative per la Responsabilità Civile dei medi-ci a condizioni economiche accettabili, stiamo assistendo al passaggio da un sistema assicu-rativo di tipo “loss occurrence”, che considera come data del sinistro il momento nel quale si è verifi cato l’evento dannoso, a prescindere dal momento nel quale il danneggiato ha fatto la prima richiesta di risarcimento all’assicurato, ad uno in “claims made”. Quest’ultimo considera come momento del sinistro la prima richiesta di risarcimento del danno ed è un tipo di copertura normalmente limitato ai fatti dannosi verifi catisi durante il periodo di vigenza della polizza. È ormai chiaro che la maggior parte delle com-pagnie assicurative italiane vuole uscire dai rischi delle Aziende Sanitarie, specialmente da quello della responsabilità civile, non rinnovan-do i contratti in scadenza e non partecipando alle gare.Rimane comunque il fatto che, il rischio mag-giore è quello di non trovare alcun assicuratore disposto ad assumersi i rischi delle Aziende Sanitarie, ipotesi peraltro già verifi catasi all’estero, in Paesi assai vicini al nostro.Le prospettive che davanti si presentano sono due: la prima senza dubbio è il verifi carsi di una progressione geometrica dei premi fi no alla totale inassicurabilità dei rischi, mentre la seconda è cercare di mettere in pratica progetti di gestione del rischio clinico al fi ne di ottenere un sempre maggiore coinvolgimento di tutta la

struttura sanitaria per ridurre al minimo il rischio di reclamo, dato che molti di questi derivano da errori che potrebbero essere evitati prestando maggiore attenzione nel compiere anche le operazioni più semplici.

Importanza degli errori

Partendo dalla concezione che l’errore è una componente inevitabile della realtà umana (1999 - “To err is human” - Rapporto IOM), è importante riconoscere che anche il sistema in cui siamo inseriti e per cui lavoriamo può sba-gliare creando le condizioni per il verifi carsi

dell’evento avverso, quali stress, turni lavora-tivi, tecnologie sempre in evoluzione, scarse conoscenze... Utilizzando concetti concepiti in-izialmente nei Paesi anglosassoni, oggi si deve sviluppare una “cultura del rischio” centrata su una logica orientata alla prevenzione e fon-data sulla convinzione che gli errori (frutto di una interazione fra fattori tecnici, organizzati-vi e di processi) rappresentano, se analizzati con metodo, una preziosa opportunità di mi-glioramento. Si deve riconoscere che l’errore è parte integrante della natura umana, anche tra operatori sanitari con standard professionali d’eccellenza e solo considerando l’errore come “Difetto del Sistema” e non del singolo profes-sionista è possibile mettere in atto le contromi-sure necessarie a ridurre il rischio di errori e di conseguenze per i pazienti. Se l’errore umano è atteso e non eliminabile, il modello di gestione deve essere necessariamente indirizzato sul sistema e sull’ambiente in cui operano gli ad-

36

IPASVI IPASVIdetti alla sanità, per cercare di progettare e re-alizzare metodi che rendano diffi cile ai soggetti sbagliare e facile fare le cose in maniera esatta.Oggi possiamo essere incisivi se focalizziamo i nostri sforzi al nostro interno, se siamo parte attiva nel fare assistenza secondo criteri di pre-venzione, cioè se costruiamo la nostra struttura assistenziale come un insieme di processi ef-fi caci il cui utilizzo riduca la probabilità di eventi avversi conseguenti all’assistenza sanitaria (Patients Safety Practices). Importante è tene-re presente che la prevenzione dell’errore pas-sa attraverso due strade, la prima migliorando la conoscenza e la formazione degli operatori (es. conoscenza dell’EBM), la seconda focaliz-zando l’attenzione sulle condizioni nelle quali accade l’errore e tendendo alla riprogettazione dei processi. Ed è proprio su quest’ultimo el-emento che è indispensabile lavorare al fi ne di ridurre l’incidenza degli eventi avversi. Per fare questo è importante, però, che il sistema cambi la sua concezione di errore: da errore come sbaglio quindi necessità di punizione, a errore come fonte di apprendimento, al fi ne di evitare il ripetersi del danno e quindi imparare dall’errore stesso.

Classifi cazione degli errori

Il concetto dell’errore umano è stato rivisto più volte in questi ultimi decenni anche da psicolo-gi, ingegneri ed esperti nel settore. Dagli studi effettuati su tale argomento si è potuto capire che la prevenzione degli incidenti non può in-dirizzarsi solo sull’istruzione e addestramento degli operatori, ma fondamentale è la revisione dell’intero sistema. Numerose sono le teorie che propongono una classifi cazione dell’errore umano; Rasmussen, nel 1987 ha creato una classifi cazione del comportamento dell’uomo in tre diverse tipologie:Skill-based behaviour: sono comportamenti che un individuo esegue automaticamente in relazione ad una data situazione senza porsi problemi di interpretazione della situazione st-essa.Ruled-based behaviour: vengono messi in atto comportamenti, dettati da regole prece-dentemente defi nite, in quanto ritenuti più idonei da applicare in una determinata circostanza.

Knowledge-based behaviour: è data dall’attivazione di una serie di processi mentali che vengono messi in pratica quando ci si trova di fronte a una situazione sconosciuta. Tali pro-cessi mentali determinano l’elaborazione di un piano affi nchè possano essere raggiunti gli obi-ettivi prefi ssati mediante comportamenti. I tre tipi di comportamento, descritti da Ras-mussen, si acquisiscono in sequenza, ciò vuol dire che ogni atteggiamento basato sulla prati-ca, prima di diventare automatico, è stato iniz-ialmente di tipo knowledge-based e poi ruled-based. L’errore può nascere ad ogni livello di comportamento, ma diverse sono le cause: in-terpretazione errata dello stimolo a livello skill-based, la scelta di una norma non adeguata per i comportamenti a livello del ruled-based ed in fi ne la pianifi cazione di una strategia non idonea a raggiungere gli obiettivi specifi ci in base alla situazione a livello del knowledge-based. James Reason, sulla base del modello descritto da Rasmussen, differenzia gli errori d’esecuzione dalle azioni compiute secondo le intenzioni, delineando così tre diverse tipologie d’errore (Reason, 1990).

ÿ Errori d’esecuzione che si verifìcano a livello d’abilità - slips: all’interno di questa cat-egoria ritroviamo tutte quelle azioni che vengo-no eseguite in modo diverso da come in realtà è pianifi cato; in sostanza il soggetto sa come deve essere eseguito il compito, ma non lo fa, oppure lo esegue in modo non corretto.

ÿ Errori d’esecuzione provocati da un fallimento della memoria - lapses: a causa di un fallimento della memoria l’azione ha un ri-sultato diverso da quello atteso. A differenza degli slips, i lapses non sono direttamente os-servabili.

ÿ Errori non commessi durante l’esecu-zione pratica dell’azione - mistakes: si tratta di errori che vengono compiuti durante i pro-cessi di pianifi cazione di strategie e possono essere di due tipi:- ruled-based: riguarda l’applicazione di regole e/o procedure che non permettono il raggiungi-mento dell’obiettivo prefi ssato;

37

IPASVI IPASVI- knowledge-based: sono errori legati alle conoscenze, a volte scarse, che determinano la creazione di piani che non permettono il rag-giungimento degli obiettivi fi ssati anche se le azioni vengono eseguite correttamente.Reason, però, va oltre la concezione dell’errore umano, sviluppando la teoria degli errori latenti (Reason, 2000, 2001) questa teoria altro non è che un approccio sistemico allo studio degli er-rori. Il presupposto di base di questo pensiero identifi ca gli incidenti come la punta dell’iceberg, e che per ogni evento avverso che ha avuto origine ce ne siano stati molti altri non accaduti, i cosiddetti near miss events (Nashef, 2003).

buchi dando origine alla cosiddetta traiettoria delle opportunità.I buchi, nelle fette del sistema, sono causati da due tipi di errori (Reason 1990):

ÿ Errori attivi (active failure): provocano immediate conseguenze per cui sono facil-mente individuabili. Vengono commessi da op-eratori che sono in diretto contatto con il pazi-ente, sono quindi errori di esecuzione (slips e lapses) e il loro riscontro spesso coincide con l’identifi cazione di una responsabilità: im-portante è non limitarsi a questo in quanto la rimozione o la punizione del responsabile non impedisce il ripetersi dell’evento.

ÿ Errori latenti (latent failure): sono tutti quegli errori che per molto tempo riman-gono nascosti all’intemo dell’organizzazione fi no a quando un evento scatenante (trigger-ing event) non li rende manifesti creando danni più o meno rilevanti. Tali errori sono riferibili a sbagli nella pianifi cazione - progettazione del sistema (mistakes).Questo schema realizzato da Reason fa capire che l’analisi di un incidente verifi catosi va condotta al contrario rispetto alla sequenza temporale che ha generato l’evento; questo viene fatto al fi ne di individuare le cause profonde che hanno determinato il verifi carsi dell’accaduto.In contesti organizzativi altamente comples-si, come quello Sanitario, non si può parlare soltanto di errore umano; l’errore individuale è sempre collegato a fattori organizzativi che devono essere individuati ed eliminati. Per questo motivo, per prevenire l’errore e promuo-vere la sicurezza nell’ambiente ospedaliero, è necessario identifi care tutti quei fattori latenti che favoriscono il verifi carsi dell’evento inci-dentale e che minacciano il livello generale di sicurezza. Fino a poco tempo fa numero sforzi sono stati compiuti per eliminare gli errori attivi; e poiché è stato dimostrato che tali errori non possono essere cancellati totalmente dal siste-ma, per migliorare la sicurezza, ultimamente organizzazioni si sono incentrate sullo studio degli errori latenti, nei quali tali criticità hanno origine. Per fare ciò, Reason afferma, però, che le organizzazioni complesse devono liberarsi

Proprio da questa visione nasce il concetto che il verifi carsi di un errore sia frutto di un susseguirsi di eventi concatenanti che hanno superato tutti i mezzi di difesa messi in atto dal sistema per impedire il verifi carsi dell’errore, e che l’operatore, responsabile dell’accaduto, sia solo l’ultimo anello di una lunga catena di eventi. Per chiarire meglio la teoria degli errori latenti, Reason, lo fa attraverso il “modello del formaggio svizzero”,ogni fetta di formaggio ri-propone un diverso livello dell’organizzazione.Ogni livello in teoria dovrebbe essere privo di punti critici, ma in realtà non è così, in quanto in ogni strato organizzativo si trovano numer-osi buchi disposti in maniera casuale che cor-rispondono alle lacune esistenti nelle barriere difensive. La presenza di tali buchi, nei vari strati, di per sé non è suffi ciente a determinare il verifi carsi di errori, ma la probabilità aumenta nel momento in cui lo spostamento delle fette può determinare il casuale allineamento dei

38

IPASVI IPASVIdalla cosiddetta “sindrome dei sistemi vulner-abili” (VSS Vuln System Sindrome) (Reason, 2001). Un intervento organizzativo, volto alla costruzione di un sistema ospedaliero sicuro ed affi dabile, garantisce numerosi benefi ci, tra cui la riduzione del numero di errori, dei costi e delle cause penali, il miglioramento delle per-formance organizzative e delle condizioni di salute dei pazienti.

Come gestire il rischio clinico

La gestione del rischio clinico e la diminuzione dell’errore in sanità è una questione di grande importanza ed è considerata un fondamen-tale elemento strategico della progettazione e dell’implementazione dei piani di sviluppo lo-cale nell’ambito della sicurezza sociale e del lavoro. Il settore sanitario è un’organizzazione complessa sempre in crescita e caratterizzata da varie realtà, tecniche organizzative, profes-sionali, gestionali, disciplinari che interagis-cono tra loro, per ottenere adeguati livelli di effi cacia, effi cienza, qualità ed affi dabilità. Un appropriato sistema di gestione del rischio clin-ico e l’adozione di attività mirate alla riduzione dell’errore sono necessari per ottenere miglio-ramenti, in quanto permettono, prima di tutto, di aumentare la sicurezza del paziente e, in sec-ondo luogo, di migliorare la qualità del sistema ospedaliero riducendo così il contenzioso assi-curativo derivato dagli errori. Sarebbe opportu-no che ogni organizzazione sanitaria esistente desse vita a un proprio programma di risk man-agement che si articoli generalmente in quattro fasi principali: 1. identifi cazione del rischio: caratterizzata dall’individuazione degli eventi dannosi potenziali e/o reali e dalla descrizione dei loro effetti; 2. valutazione del rischio: suc-cessivamente viene fatta una classifi cazi-one del rischio su una scala misurata con l’identifi cazione delle cause-radici e delle non conformità; 3. trattamento del rischio: ques-ta terza fase comprende la pianifi cazione, l’attuazione e il controllo delle azioni preven-tive, protettive, correttive e migliorative (incluse le risposte assicurative), la comunicazione con-

tinua ai pazienti (pazienti esperti), le comunica-zioni interne e tra le ASL (benchmarking); 4. verifi che periodiche dei progres-si e standardizzazione dei risultati conseguiti contemporaneamente alle misure di prevenzi-one dei rischi, devono essere adottati sistemi di controllo per valutare l’effi cacia delle misure preventive adottate. 5. Un buon programma di risk manage-ment deve, sempre e comunque, comprendere e coordinare al suo interno attività di:

ÿ prevenzione: cioè riduzione delle proba-bilità che un evento avverso possa accadere;ÿ protezione: cioè la gestione delle conseg-uenze degli eventi dannosi, quando si verifi ca-no, al fi ne di minimizzarne i danni;

- un sistema di comunicazione aziendale e in-teraziendale (benchmarking): è uno strumento indispensabile per la gestione delle emergen-ze, per il trasferimento delle conoscenze, per l’apprendimento e il miglioramento continuo delle prestazioni sanitarie; l’attività di comunica-zione permette di creare un clima di collabora-zione aperto che garantisca un coinvolgimento attivo da parte di tutti gli operatori coinvolti al fi ne di favorire la prevenzione dell’errore e la sicurezza del paziente, in quanto la qualità e la sicurezza sono due aspetti inscindibili fon-damentali del risk management. L’adozione da parte delle strutture sanitarie di un effi cace sistema integrato di gestione del rischio, è in-dispensabile al fi ne di tutelare sia la qualità del-le performance che la sicurezza delle persone e dei beni coinvolti nei processi stessi.

39

IPASVI IPASVIMetodologie di uso corrente nella gestione rischio (strumenti reattivi e proattivi)

La gestione del rischio clinico è un rigoroso pro-cesso caratterizzato dall’identifi cazione, valuta-zione e trattamento dei rischi che possono es-sere reali e/o potenziali. L’obiettivo primario è la sicurezza dei pazienti, il miglioramento degli outcome e, anche se indirettamente, la diminuz-ione dei costi attraverso la riduzione degli eventi avversi prevenibili. Per poter gestire al meglio il rischio clinico, oggi, le organizzazioni sanitarie possono intervenire mediante l’utilizzo di due tipologie di strumenti: a posteriori prevedendo una serie di osservazioni sugli eventi accaduti (analisi reattiva), oppure in modo preventivo mediante l’utilizzo di un’analisi proattiva che all’identifi cazione ed eliminazione delle critic-ità del sistema prima che l’incidente si verifi chi mediante l’analisi dei processi che costituisco-no l’attività al fi ne di riprogettare sistemi sicuri a prova d’errore. Queste due metodologie si av-valgono di una serie di sottostrumenti che sono di uso corrente sia nel mondo industriale che sanitario. La sfi da più importante per le strut-ture sanitarie è quella di adattare strumenti alla propria realtà, in base alle necessità; in quanto la sicurezza del paziente deriva dalla capacità del sistema di riuscire a progettare e gestire or-ganizzazioni in grado sia di ridurre la probabil-ità che si verifi chino gli errori (prevenzione), sia di recuperare e contenere gli effetti di tali errori che comunque si possono verifi care (protezi-one).

STRUMENTI REATTIVI

1. Analisi cartella e documentazione clinica 2. Scheda di segnalazione dei rischi e soprattutto dei near misses 3. Audit/Review dei casi clinici con andamento periodico 4. Analisi appropiatezza degli inter venti anche in base all’EBM 5. Root Causes Analysis (RCA)

1) Analisi cartella e documentazione clinicaPer individuare i possibili errori che si pos-sono verifi care durante il processo assisten-ziale, è possibile fare una verifi ca retrospettiva dell’attività clinica svolta attraverso la revisio-ne delle cartelle alla ricerca di possibili indizi ( triggers ) che mettono alla luce dove l’evento avverso si è potuto verifi care. Ogni volta che all’interno di una cartella vengono individuati gli “indizi”questi sono sempre considerati indicato-ri di un possibile evento avverso, e pertanto, le cartelle cliniche segnalate serviranno per dare origine ad un indice positivo per sospetto di er-rore. In questa metodologia, l’individuazione di un triggers, o il riscontro di una normale com-plicanza del decorso ospedaliero che ha potuto generare o meno un errore e la lettura oggettiva della cartella clinica, viene lasciata alla valutazi-one di esperti del settore, generalmente esterni alle attività di reparto. Rispetto alla segnalazi-one spontanea mediante schede, l’adozione di questo procedimento per l’individuazione di eventi avversi, comporta il coinvolgimento di un numero limitato di persone e una minore en-fasi sulla responsabilità personale, ma, d’altro canto, vi sono numerose complicanze opera-tive da non sottovalutare. Infatti, in carenza di buona qualità della documentazione clinica tale metodo può diventare poco produttivo e può non consentire una “diagnosi differenziale” fra eventi avversi non prevenibili e danno causato da errori; inoltre, si rivela estremamente cos-toso e non è applicabile in quelle realtà dove

40

IPASVI IPASVIla documentazione clinica è modesta come il Pronto Soccorso, l’assistenza domiciliare, l’attività ambulatoriale. Oggi giorno la ricerca di possibili tracce all’interno della documentazione clinica può prevedere anche l’utilizzo di mezzi informatici di rilevazione altamente sofi sticati. Numerosi sono i vantaggi, quali: facile accessi-bilità, ottimizzazione del tempo, immediatezza delle informazioni, esaustività del contenuto. Attraverso l’utilizzo della banca dati delle SDO (scheda di dimissione ospedaliera) è possibile, grazie a dei codici, individuare, all’interno delle schede di dimissione ospedaliera, le diagnosi ri-levando, così, i casi che hanno sviluppato com-plicanze durante il processo assistenziale.Tale metodologia è un sistema di indicatore di Qual-ità e permette di fare l’analisi degli interventi in base all’EBM (medicina basata sull’evidenza).

2) Scheda di segnalazione dei rischi e so-prattutto dei near misses La scheda di segnalazione è strumento sem-plice e tra i più indicati per un’adeguata ges-tione dei rischi e viene utilizzato ampiamente non solo in ambito sanitario, ma anche in molte altre organizzazioni complesse. E’ caratteriz-zato dalla raccolta volontaria di schede per la segnalazione di un near misses o “potenziale errore”, evitato mediante il tempestivo interven-to di correzione da parte dell’operatore. Medi-ante l’utilizzo di tale scheda di segnalazione si può raggruppare una serie di informazioni utili al fi ne di individuare il percorso che stava per dare origine all’evento avverso. La sorvegli-anza di errori che non hanno arrecato danni, ma che avrebbero potuto farlo, favorisce la realizzazione di interventi atti alla loro elimin-azione prima che il danno stesso si verifi chi, ed è proprio per questo motivo che la segnala-zione dei near misses è più importante della sola segnalazione di errori già accaduti. Lo scopo della raccolta di queste schede non è la ricerca del colpevole, bensì la promozione della sicurezza del paziente e dell’operatore attraverso la condivisione delle informazioni. Attraverso l’adozione di questa metodologia si cerca di promuovere una cultura che modifi ca il senso di colpevolezza dell’individuo e sposta l’attenzione dall’analisi dell’errore all’analisi che

processa il sistema.

3) Audit/review dei casi clinici con anda-mento periodicoTutti gli studi sugli errori, per essere effi caci, adoperano la metodologia periodica della re-visione, da parte di esperti, della documen-tazione sanitaria raccolta, al fi ne di consentire l’apprendimento di quello che accade e il moni-toraggio di ciò che non funziona. Le fasi di re-visione sono:ÿ identifi cazione e selezione del campione statistico più idoneo a raffi gurare la popolazi-one di riferimento;ÿ scelta random delle cartelle cliniche ba-sate sui criteri e sulla numerosità defi nita dal campione statistico;ÿ due infermieri eseguono una prima revisione delle cartelle cliniche attraverso un’essenziale lettura e tramite l’utilizzo di una serie di indicatori se gli operatori segnaleranno la presenza di un eventuale evento avverso;ÿ successivamente, le cartelle individuate dai due infermieri con almeno uno degli indi-catori, vengono revisionate da due medici che hanno il compito di valutare la presenza di un evento avverso e giudicare la sua eventuale prevedibilità. I risultati dei vari studi effettuati possono non essere comparabili in quanto i criteri adottati nell’ultima fase, i livelli soglia e gli indicatori possono variare.

4) Analisi appropriatezza degli interventi an-che in base all’ EBMLa EBM (Evidence Based Medicine) nasce come metodologia per rapportare i risultati del-la ricerca clinica al singolo paziente; ma viene sempre più utilizzata anche per pianifi care strat-egie di politica sanitaria. La EBM costituisce un nuovo approccio all’assistenza, è un processo di autoapprendimento che stimola l’operatore alla ricerca di informazioni clinicamente rilevan-ti, diagnostiche, prognostiche e terapeutiche. La EBM determina l’evoluzione della metodo-logia della ricerca clinica e dell’informazione scientifi ca; fornisce una strategia, una metodo-logia operativa per trovare risposte ai bisogni di sapere che nascono dalla attività assistenziale.

41

IPASVI IPASVILe decisioni cliniche risultano dall’integrazione tra l’esperienza dell’operatore e l’utilizzo delle migliori evidenze scientifi che disponibili. Le linee guida e i protocolli operativi sono i prin-cipali esponenti del Governo Clinico. La loro validità è legata all’analisi e alla revisione peri-odica della letteratura scientifi ca e la prepara-zione è basata sulla ricerca delle correlazioni, in termini di evidenza scientifi ca, tra una pro-cedura clinica e gli outcome a breve e lungo termine. Le linee guida così come i protocolli sono fi nalizzati a identifi care e sintetizzare le evidenze più rilevanti in ordine a specifi ci ques-iti clinici, compresi eventuali “gap”. Così come ogni altro strumento le linee guida presentano vantaggi e svantaggi. Tra i principali vantaggi si riconoscono l’omogeneità dei comportamenti; l’effi cienza e l’effi cacia delle procedure diag-nostiche e terapeutiche e una migliore possibil-ità di verifi care gli outcome mediante opportuni strumenti statistici. Mentre tra gli svantaggi di maggiore rilievo sono da annoverare la riduzi-one dell’autonomia decisionale, la restrizione del pensiero logico-deduttivo e l’induzione di “medicina difensiva”. Comunque, sia i protocol-li che le linee guida rimangono importanti stru-menti per il lavoro di tutti gli operatori sanitari.

5) Root Causes Analysis (RCA)

La Root Causes Analysis è una metodologia che, dall’errore riscontrato all’interno del siste-ma organizzativo, va alla ricerca delle cause mediante metodo induttivo che procede in pro-fondità sino alle loro radici, per cui, l’analisi non si limita all’individuazione del solo errore ma ha come obiettivo la revisione dell’intero processo che lo ha generato.

Le cause, poi individuate, vengono organizzate in una check-list per essere successivamente classifi cate in uno schema di riferimento, me-diante l’utilizzo di diagrammi di causa-effetto che vanno a mostrare grafi camente le intera-zioni esistenti tra le cause generatrici. Come è possibile notare anche dal grafi co sopra ripor-tato, ogni errore umano è sempre associato a cause che nascono a livello organizzativo o da problemi sul posto di lavoro; ed è proprio per questo motivo che le RCA focalizzano il loro

intervento sulla causa piuttosto che sul prob-lema. La RCA si conclude nel momento in cui vengono individuate azioni correttive per ogni causa aggredibile riscontrata, dando, così, vita a un processo per la gestione del rischio clinico al fi ne di evitare il ripetersi dell’evento. La RCA adotta tecniche di analisi e problem solving, il suo approccio è di tipo multidisciplinare e spa-zia dall’individuazione di soluzioni più stretta-mente tecnologiche al campo dell’analisi cog-nitiva. Tale metodologia deve essere condotta da personale qualifi cato e con specifi che com-petenze ed esperienze in campo di analisi delle cause. Tre sono le tecniche con cui condurre una RCA:a. diagramma a spina di pesceb. i 5 perché c. la mappa dei processi

a) Diagramma a spina di pesceIl diagramma a spina di pesce prevede la scom-posizione analitica dell’intero processo, per cui dall’individuazione del problema o evento avverso verrà ricercata la causa primaria o le cause che hanno generato l’errore e da queste possono avere origine numerose altre cause dette secondarie, terziarie ecc... Tale analisi terminerà nel momento in cui non vengono più riscontrate altre cause. Questa metodolo-gia permette di defi nire come l’evento, sia dal punto di vista temporale che organizzativo, si sia svolto.

b) I 5 perchèLa metodologia dei 5 perché ha come obiettivo quello di aiutare, il gruppo che sta analizzan-do il caso, a capire meglio quali cause hanno determinato il verifi carsi dell’evento, cercando di approfondire il pensiero andando oltre alla prima causa che lo ha generato. Le domande termineranno quando il gruppo si ritiene appa-gato.

c) La mappa dei processiLa mappa dei processi è un metodo che viene utilizzato soprattutto nei casi più complessi in cui coesistono numerose variabili. Serve per individuare quali cause si celano dietro l’evento avverso verifi cato. Lo svolgimento di tale met-

42

IPASVI IPASVIodologia avviene mediante tre interrogativi:ÿ che cosa è successo?ÿ perché è successo e quali sono i fattori più direttamente collegati all’evento?ÿ quali sistemi e processi sono alla base dei fattori più direttamente collegati all’evento?

STRUMENTI PROATTIVI 1. Analisi dei processi / percorsi con diagrammi di fl usso. 2. Applicazione del metodo FMEA / FMECA1) Analisi dei processi/percorsi con dia-grammi di fl ussoUn processo, secondo le norme ISO 9000:2000, è un insieme di attività correlate o interagenti che trasformano elementi in entrata (input) in elementi in uscita (output).Partendo dalla defi nizione di processo si può dire che l’analisi di processo è una metodolo-gia sia di tipo qualitativo che quantitativo. Tale metodologia consiste in una scomposizione del processo in macroattività che a loro volta vengono analizzate in base ai singoli compiti che devono essere portati a termine affi nché l’attività sia conclusa con successo. Per ogni singolo compito poi si cercano di individuare gli errori che si possono verifi care durante l’esecuzione, le cosiddette modalità di errore, che vengono valutate quantitativamente al fi ne di identifi care il rischio associato ad ognuna.

2) Applicazione del metodo FMEA/FMECA FMEA è un acronimo che signifi ca “Failure Mode and Effect Analysis” cioè “analisi dei modi di guasto o dei difetti”; la FMECA riguarda anche l’analisi delle criticità, ma nella pratica manageriale la metodologia viene chiamata in-differentemente FMEA. La FMEA è un sistema di individuazione dei rischi e si differenzia dagli altri metodi per il suo aspetto di proattività; è una metodologia del risk management, siste-matica e di tipo qualitativo, non rigorosamente scientifi ca che consente di ottenere elevati liv-elli di affi dabilità, prevedendo e prevenendo possibili guasti, difetti o errori (G/D/E) ovvero possibili non conformità dannose. Il G/D/E è il passaggio da una condizione di conformità a

una condizione di non conformità, è la devian-za, il disallineamento di un risultato dagli obiet-tivi stabiliti, è la descrizione di come un evento non svolgendosi secondo gli standard stabiliti potrebbe verifi carsi e produrre effetti dannosi per i pazienti, per gli operatori sanitari e per le ASL. Inizialmente tale metodologia è stata am-piamente utilizzata in organizzazioni complesse come quella industriale per valutare l’affi dabilità degli strumenti e dei processi produttivi, e solo recentemente è stata introdotta in ambito sani-tario per lo studio dell’errore umano.La FMEA non analizza l’evento avverso o il near miss, ma l’intero processo così come si svolge normalmente e, può quindi essere utiliz-zata anche se un errore non accade. Applicata al comportamento sanitario questa metodolo-gia viene chiamata anche HFMEA, e si avvale della scomposizione dei principali processi as-sistenziali di un reparto secondo una visualiz-zazione grafi ca rappresentata dal: 1. diagramma di fl usso a matrice, che ricostruisce il fl usso delle attività di proces-so, identifi cando gli attori responsabili; 2. diagramma di causa/effetto per l’identifi cazione delle cause-radici dei poten-ziali errori; 3. successivo utilizzo di schede per il lancio/attuazione di azioni correttive/preven-tive.

La FMEA si basa su un esame sistematico delle condizioni operative con lo scopo di individuare le cause degli errori per dare vita a interventi di modifi ca. Tale metodologia si realizza attra-verso tre fasi: 1. Individuazione dei G/D/E: cor-risponde all’individuazione di quelle attività quotidiane comprese in un processo in cui è maggiore la probabilità che si possano verifi -care eventi dannosi (analisi qualitativa). 2. Analisi dei G/D/E: è la valutazi-one, misurazione e classifi cazione dei possi-bili eventi dannosi, delle loro cause e delle loro conseguenze (analisi qualitativo-quantitativa). 3. Trattamento del rischio: è l’identifi cazione delle misure correttive per pre-venire o minimizzare gli eventi dannosi e i loro effetti, nonché la loro pianifi cazione, attuazione

43

IPASVI IPASVIe controllo.Le criticità sono valutate e misurate in modo concomitante per mezzo di tre fattori rilevanti: 1. il fattore probabilità (P) che l’evento si verifi chi (numero frequenza e/o nu-mero cumulativo per 100 o 1.000 o 10.000, ecc.); 2. il fattore gravità (G) dell’evento per i suoi effetti sulle persone e sui beni coin-volti (correlazione effetti-gravità); 3. il fattore rilevabilità (R) dell’evento e delle sue cause-radici da parte dell’organizzazione interessata.I tre fattori rilevanti sono valutati e misurati su tre scale specifi che numerate da 1 a 10. Mentre il fattore della gravità (G) e quello della proba-bilità (P) sono misurate su scale direttamente proporzionali alla gravità e alla probabilità st-esse, il fattore della rilevabilità (R) è una mis-ura inversamente proporzionale: più un evento è rilevabile, meno alto sarà il punteggio. Così per un evento che ha una scarsa rilevabilità, il punteggio dovrà essere alto in quanto gli eventi avversi sono nel complesso molti più di quelli che si rilevano; ciò comporta che l’IPR (Indice di Priorità del Rischio) risulti alto e imponga un intervento per intensifi care i controlli.

Analisi FMEA secondo lo standard “Joint Com-mission” (manuale 2001):ÿ identifi care i processi ad alto rischio;ÿ selezionare annualmente almeno un processo ad alto rischio;ÿ identifi care i potenziali modi di G/D/E;ÿ per ogni modo di G/D/E, identifi care i possibili effetti;ÿ per gli effetti più critici, realizzare un’analisi delle cause spinta sino alle cause-radici;ÿ riprogettare il processo per minimizzare il rischio del modo di G/D/E o per proteg- gere il paziente dai suoi effetti;ÿ sperimentare e attuare il processo ripro- gettato;ÿ identifi care e applicare misure di effi ca- cia;ÿ applicare una strategia per mantenere nel tempo l’effi cacia del processo ripro- gettato.

RISCHIO CLINICO DA FARMACO

Nella gestione del rischio in ambito sanitario un importante capitolo riveste l’errore nella pre-parazione, prescrizione e somministrazione dei farmaci. Numerosi studi sono stati condotti so-prattutto in paesi europei, negli Stati Uniti, in Australia, e tra gli eventi avversi che si possono verifi care, risulta avere una incidenza maggio-re rispetto agli altri.

Adverse Drug Events (ADE). L’evento avverso da farmaco (ADE) provoca, solo negli Stati Uniti, oltre 140.000 morti ogni anno e rappresenta sicuramente la voce di spe-sa maggiore (Porter et al, 1997). Si stima che le patologie e la mortalità correlate ad errori di terapia facciano spendere un importo variabile tra 30 (stima conservativa) e 136 (stima per eccesso) miliardi di dollari al sistema sanitario statunitense; una somma superiore a quella necessaria alla cura delle patologie cardio-vascolari e del diabete (Johnson et aL, 1995). Questi dati, pubblicati nel 1995, non sono certo migliorati negli anni.Già più di venti anni fa, il Boston Collabora-tive Drug Surveillance Project stimava che circa il 30% dei pazienti ospedalizzati vanno incontro ad un ADE da farmaco. Risultati che sono stati pienamente confermati dall’Harvard Medical Practice Study, nell’ambito del quale è stata valutata l’incidenza di eventi avversi in un campione di 30.121 pazienti ospiti dei nu-merosi ospedali nello stato di New York a metà degli anni ‘80. Lo studio ha stabilito che il 3,7% dei pazienti sviluppa una seria, disabilitante e

44

IPASVI IPASVIclinicamente importante, reazione avversa du-rante il periodo di ospedalizzazione; il 19,4% di queste sono ADE (Teich et aL, 2000). Vi è, quindi, un’inversione di tendenza. Infatti, se pri-ma si prestava molta più attenzione all’errore del chirurgo o dell’anestesista, negli ultimi anni il problema dell’errore di terapia ha ricevuto una considerevole attenzione sia negli Stati Uniti (Kohn et al, 2000) sia nel Regno Unito dove è stato condotto il più importante studio di management del farmaco negli ospedali (Audit Commission 2001). In Olanda il diret-tore dell’Istituto per la Qualità in ambito sani-tario (CBO) ha stimato che circa 6.000 persone muoiono ogni anno negli ospedali per errori in medicina, un numero di morti 6 volte maggiore di quello che si registra negli incidenti stradali. Si stima che la percentuale degli errori di tera-pia sia compresa tra il 12% e il 20% del totale degli errori (Guchelaar et al, 2003).Le proiezioni delle casistiche internazionali ap-plicate alla situazione italiana rivelano che:

ÿ sugli 8.000.000 di persone ricoverate ogni anno, 320.000 (il 4% circa) sono dimesse dall’ospedale con danni o malattie dovuti ad er-rori di terapia o a disservizi ospedalieri;ÿ i decessi si aggirerebbero tra i 30,000 e i 35.000; pari al 6 % di quelli registrati nel 2000 secondo i dati del CINEAS (Consorzio Universi-tario per l’Ingegneria delle Assicurazioni) (ASI, 2002).

Errore di terapiaPer errore di terapia si intende ogni evento pre-venibile che può causare o portare ad un uso inappropriato del farmaco o ad un pericolo per il paziente. Tale episodio può essere conseguente ad errori di prescrizione, di trasmissione della prescrizione, etichettatura, confezionamento o denominazione, allestimento, dispensazione, distribuzione, somministrazione, educazione, monitoraggio ed uso (National Coordinating . Council for Medication Error Reporting and Preventing - NCCPMERP htpp.www.nccmerp.org). Il rischio associato all’impiego del farmaco ri-guarda gli eventi intrinseci quali reazioni av-verse, effetti collaterali, e soprattutto gli eventi

non direttamente correlati alla natura del farmaco, come quelli dovuti a pessima grafi a, abbreviazioni ambigue, scarsa informazione su dosi, modi e tempi di somministrazione. Fondamentalmente vengono riconosciuti 5 categorie di errore:

ÿ Errore di prescrizioneÿ Errore di trascrizione/interpretazioneÿ Errore di preparazioneÿ Errore di distribuzioneÿ Errore di somministrazione

Errore di prescrizione. In letteratura ci sono poche informazioni circa gli errori di prescrizione. A complicare le cose c’è l’impossibilità di paragonare i dati pubblica-ti poiché vi sono differenti defi nizioni di errore

45

IPASVI IPASVIdi prescrizione nell’ambito dei vari lavori tanto che si passa dal 4%, riportato in uno studio di Hartwig (Hartwig et a!., 1991), al 39% sul to-tale degli adverse drug events dello studio di Leape (Leape et a!., 1995). Esempi di errore di prescrizione possono essere la mancanza di informazioni essenziali (nome del paziente o del farmaco), la prescrizione di farmaci che in-teragiscono tra loro o di un farmaco sbagliato, oppure la prescrizione di un dosaggio e/o di un regime terapeutico inappropriato, l’utilizzo di un’unità di misura errata (ad es. milligrammi invece di microgrammi). Una fonte importante di errore è sicuramente una terapia non adat-ta alle particolari caratteristiche del paziente, ad esempio, in caso di insuffi cienza renale o epatica, altre patologie, allergie documentate o particolari controindicazioni per quel deter-minato principio attivo. Riportiamo uno studio del 1997, condotto in alcuni ospedali di New York. dove, nell’arco di un anno, su 1000 pre-scrizioni si registrava una media di 3,99 errori legati nell’intero processo di terapia (Tabella 3). I più comuni errori di prescrizione eviden-ziati sono stati: mancata identifi cazione del paziente o del farmaco, mancata identifi cazi-one della dose o della via di somministrazione, errore della forma farmaceutica, indicazione e associazioni inappropriate del farmaco, docu-mentata allergia (Lesar et al., 1997).

Errore di trascrizione/interpretazione. Avviene quando la prescrizione medica, per lo più scritta a mano, non viene correttamente ri-portata, trascritta o interpretata. Anche in ques-to caso le percentuali sono molto diverse tra gli studi: si passa dal 12% dello studio americano di Leape (Leape et aL, 1995) al 32% riportato da Hartwig (Hartwig et al., 1991).

Errore di preparazione. Indica un’errata formulazione o manipolazione di un prodotto farmaceutico prima della som-ministrazione. Comprende, per esempio, dilu-izioni e ricostituzioni non corrette, associazioni di farmaci fi sicamente o chimicamente incom-patibili o confezionamento non appropriato di farmaci. Anche se frequentemente non rilevati nell’ambito degli studi, fanno parte di questa

categoria di errore anche gli errori di deteriora-mento, quando la validità medica e chimica di una somministrazione è compromessa a causa di un medicinale scaduto o non correttamente conservato. Questo tipo di errore è più diffi cile da individuare in un sistema di distribuzione in dose unitaria dove le singole quantità pre-scritte vengono preparate nel Servizio Farma-ceutico e, in ogni caso, sarebbe necessario un altro osservatore. Bolan e il suo staff rilevarono l’errore di un farmacista nella ricostituzione di uno sciroppo a base di rifampicina; il risultato fu che 19 bambini ebbero diversi effetti collat-erali, incluso la “sindrome dell’uomo rosso”, sindrome caratterizzata da vasodilatazione, tachicardia, ipotensione, prurito, spasmi e do-lori muscolari (Allan et al., 1990).

Errore di distribuzione. La distribuzione dei farmaci comprende tutti quei processi che intercorrono tra la prepara-zione e la consegna all’Unità Operativa dove verrà somministrato il farmaco. Il nostro indica-tore di qualità del sistema sarà la discrepanza tra quanto prescritto e quanto somministrato pur considerando che una parte di questi er-rori fanno parte della categoria degli errori di somministrazione. I primi studi sull’errore di terapia sono stati condotti negli anni ‘60 ris-pettivamente negli Stati Uniti (Barker et a!., 1962) e in Gran Bretagna (Crooks et al., 1965; Vere, 1965). In entrambi i casi fu riscontrata un’incidenza di errori di terapia molto alta che però favorì lo sviluppo di diversi sistemi di dis-tribuzione. Infatti, la prima si orientò verso la dispensazione in dose unitaria (Barker et aL, 1969), mentre la seconda verso la distribuzi-one a scorta nei reparti (Crooks et a!., 1965). Errore di somministrazione.È defi nito come una variazione di ciò che il medico ha prescritto in cartella clinica o pre-visto dalle buone norme di pratica clinica. E’ stato oggetto di numerosissimi studi; in partico-lare riportiamo quello pubblicato da Barker nel 2002 che ha visto coinvolti 36 ospedali negli Stati Uniti d’America, alcuni dei quali accredi-tati presso la JCAHO (Barker et. a!., 2002).L’errore in pediatria

46

IPASVI IPASVI Meno numerosi sono gli studi riguardo l’epidemiologia e la prevenzione dell’errore in pediatria dove predisporre una terapia presen-ta qualche diffi coltà in più (ad es. le dosi sono correlate al peso quindi la prescrizione prevede molti più calcoli rispetto all’adulto, anche per-ché molto spesso i farmaci non sono disponibili in dosaggio pediatrico). La stessa somminis-trazione è soggetta a una maggior possibilità d’errore dal momento che le soluzioni spesso

devono essere diluite. Il bambino non riesce ad aiutare il medico ad individuare eventuali errori di terapia e non riesce nemmeno a comunicare eventuali effetti avversi. Uno studio effettuato consecutivamente per un periodo di 36 giorni, pubblicato nel 2001 (Kaushal et aL, 2001) e condotto in due ospedali di Boston, ha rilevato 616 errori di terapia su 778 prescrizioni: in to-tale 320 pazienti hanno subito almeno un erro-re di terapia, tra questi 26 sono stati eventi av-versi da farmaco dei quali 5 erano prevedibili. Inoltre sono stati individuati ben 115 potenziali ADEs. In pediatria l’errore più frequente, sec-ondo questo studio, riguarda il dosaggio (28%) seguito, in ordine di frequenza, da via di som-ministrazione, trascrizione e frequenza di som-ministrazione. AI primo posto troviamo, quindi, gli errori di prescrizione (93%) seguiti da quelli di trascrizione e somministrazione da parte del personale infermieristico. I farmaci maggior-mente coinvolti sono gli antibiotici seguiti da analgesici e sedativi, elettroliti, fl uidi e broncodi-latatori. La via di somministrazione più a rischio è quella endovenosa seguita da quella orale e

inalatoria. Eccessiva sedazione, ipotermia, forti dolori e rash gli errori prevenibili più frequenti. Secondo questo studio il sistema computeriz-zato di prescrizione o la presenza costante in reparto di un farmacista clinico avrebbe ridotto, rispettivamente del 93 e del 94% la percen-tuale degli errori prevenibili. Un evento avverso da farmaco è considerato prevenibile quando associato ad un errore di terapia. Ad esempio la comparsa di rash in seguito alla somminist-razione di co-trimossazolo ad un paziente con allergia accertata verso i sulfamidici è consid-erato un errore prevenibile, a differenza dello sviluppo di una colite pseudomembranosa da Clostridium diffi cile dopo l’uso appropriato degli antibiotici. Gli analgesici (30%) e gli antibiotici (30%) sono i maggiori responsabili dei ADEs non prevenibili seguiti da agenti antineoplas-tici (8%) e sedativi (7%); per quanto riguarda gli eventi avversi prevenibili i maggiori indiziati sono gli analgesici (29%), i sedativi (10%), gli antibiotici (9%) e gli antipsicotici (7%) (Guche-laar H.J. et al, 2003).

L’errore in geriatriaIl paziente geriatrico ha caratteristiche pecu-liari:ÿ presenta sovente patologie multiple e quindi assume una quantità maggiore di farma-ci con un aumento del rischio di effetti indesid-erati e di interazioni tra i diversi farmaci;ÿ presenta variazioni farmacocinetiche dovute all’età e/o patologie concomitanti (insuf-fi cienza renale, insuffi cienza epatica, malattie cardiovascolari, ecc.).Dall’analisi dei report sugli errori di terapia pervenuti alla FDA’s Adverse Event Reporting System nel periodo che va dal 1993 al 1998 emerge che proprio tra la popolazione anziana si ha la maggior frequenza di morte per errori di terapia. I pazienti oltre i 60 anni rappresen-tano il maggior numero di casi con 172 morti (48.6%), mentre la percentuale scende al 20% se consideriamo i pazienti tra i 70 e gli 80 anni con 71 morti. Sempre da questa analisi risulta che il 55% dei pazienti oltre i sessanta anni assume più di un farmaco. I farmaci maggior-mente indiziati sono gli agenti antineoplastici,

47

IPASVI IPASVIquelli che agiscono sul sistema nervoso cen-trale e sull’apparato cardiovascolare (phillips et aL, 2001).

Come garantire una terapia sicura al paziente?Le linee guida della American Society of Hos-pital Pharmacy (1993), riportano, per prevenire l’errore di terapia in ospedale, le seguenti rac-comandazioni:

2000);ÿ distribuzione dei farmaci in dose unitaria (con diversi livelli di automazione) (Dean et al., 1995; Fontan et aL, 2003);ÿ partecipazione attiva del farmacista clinico alla gestione della terapia (Walton et al., 2002).

Prescrizione computerizzata I sistemi computerizzati di gestione della terapia hanno permesso il controllo delle dosi massime di farmaci a basso indice terapeutico ed hanno ridotto la possibilità di somministrare dosi tos-siche di farmaci, il tasso di reazioni avverse e la durata della degenza (Hynimann et aL, 1970). Negli ospedali la prescrizione computerizzata sta raccogliendo sempre più consensi. Uno dei primi ad adottare questo tipo di supporto tecnologico è stato l’Accademic Medical Cen-tre di Amsterdam dove l’introduzione di questo sistema ha ridotto gli errori di interpretazione e di trascrizione (Mathijs, 2003). Fino al 1999 negli Stati Uniti solo il 5% degli ospedali aveva adottato questo metodo e tra essi, a causa dei costi elevati, non era compreso alcun ospedale pediatrico.

Dispensazione in dose unitariaGià nei primi anni ‘70, alcuni ospedali avevano implementato questo tipo di dispensazione con buoni risultati. Infatti, il sistema a dose unitaria presentava un tasso di errore pari al 3,5% risp-etto ad un valore che si aggirava tra il 9,9% e il 20,6% degli ospedali con sistemi convenzionali di distribuzione (Hynimann et aL, 1970).Uno studio francese, pubblicato nel 2003, ha analizzato la frequenza e la tipologia di errore mettendo a confronto la prescrizione comput-erizzata associata alla dispensazione in dose unitaria (3943 farmaci prescritti) con la terapia scritta a mano in ospedali con un sistema di distribuzione tradizionale (589 farmaci prescrit-ti) (Fontan et al., 2003). Da quanto emerge da questa indagine la pre-scrizione computerizzata, associata alla dis-tribuzione in dose unitaria, riduce il numero sia degli errori di prescrizione sia quelli di distribuz-ione migliorando la qualità dell’assistenza tera-

ÿ invio diretto delle prescrizioni attraverso un sistema informatizzato;ÿ introduzione dei codici a barre nei pro-cessi di utilizzo del farmaco;ÿ sviluppo dei sistemi di monitoraggio e archiviazione delle reazioni avverse;ÿ adozione della dose unitaria e miscelazi-one centralizzata dei farmaci endovena;ÿ collaborazione diretta del farmacista con i medici prescrittori e gli infermieri;ÿ rilevazione degli errori legati alla som-ministrazione ed elaborazione di soluzioni per prevenirli;ÿ verifi ca delle prescrizioni da parte di un farmacista prima della dose iniziale.

Attualmente, esaminando i dati presenti in let-teratura, si evince che le strategie adottate al fi ne di ridurre gli errori di terapia sono essenzi-almente le seguenti:

ÿ sistemi computerizzati di registrazione della terapia (Kaushal et aL, 2003; Teich et aL,

48

IPASVI IPASVIpeutica al paziente ospedalizzato. Ad analoghe conclusioni erano giunti gli autori di un altro studio in cui il sistema a dose unitaria, adottato in un ospedale tedesco, riportava un tasso di errore pari al 2,4% contro il 5,1% di un altro os-pedale tedesco e il 9% di un ospedale inglese entrambi con sistema di distribuzione tradizio-nale (Taxis et al., 1998). Sempre nell’ambito della distribuzione in dose unitaria vi è stato il confronto dell’accuratezza dell’allestimento della dose unitaria manuale rispetto al sistema automatizzato. I target di questo studio erano le discrepanze tra quanto prescritto e quanto allestito. In ultimo, la partecipazione del farmacista ospedaliero al giro di visite in terapia intensiva riduce gli eventi avversi prevenibili da farmaci da 10,4/1000 giorni paziente a 3,5/1000 giorni paziente (Walton et al., 2002).

L’esperienza italiana I dati italiani in merito alla problematica legata al rischio clinico scarseggiano sia perché forse non esiste ancora una reale consapevolezza del problema, sia perché vi è un forte timore della perseguibilità penale, della responsabil-ità individuale. Ma anche in Italia si sbaglia, secondo un’indagine conoscitiva sugli errori di somministrazione che ha visto coinvolte le U.O. di Medicina generale (maschile e femminile) e di Geriatria dell’Ospedale di Chioggia. Tale in-dagine riporta ben 86 errori su 557 prescrizioni pari al 15%. Gli errori più frequenti sono stati: l’incongruenza tra quanto prescritto in cartella clinica e quanto riportato in scheda di terapia, l’assenza di indicazione di inizio e/o fi ne tera-pia, l’imprecisa individuazione della via di som-ministrazione e la mancata identifi cazione del paziente. Nell’indagine, inoltre, sono rilevate altre 13 incongruenze riconducibili alla pre-scrizione terapeutica indicata con il termine “al bisogno” con cui viene affi data all’infermiere la discrezionalità su “se” e “quando” somminis-trare il farmaco. In Italia vi sono diverse espe-rienze di sistema automatizzato che coinvolga sia la prescrizione sia la distribuzione, anche se non ancora a regime.Si riportano i dati preliminari di tali studi.ÿ La sperimentazione del sistema Homerus

presso l’ospedale di Nizza-Monferrato, in pro-vincia di Asti, che ha prodotto una riduzione dell’errore dal 4,4% del 1998 allo 0,12% del 2001, accompagnata da una diminuzione della spesa per i farmaci del 12% e del tempo che gli infermieri devono dedicare ai farmaci di 20 ore la settimana.ÿ Il progetto DRIVE proposto dalla Fon-dazione Centro San Raffaele del Monte Ta-bor di Milano. Anche in questo caso si tratta dell’implementazione di un’infrastruttura tec-nologico-organizzativa in grado di ridurre la possibilità di errore in ciascuno dei passi della prescrizione, della preparazione e della som-ministrazione della terapia farmacologica. Il ricorso a tali supporti tecnologici ha prodotto ottimi risultati: riduzione del 53% degli errori relativi alla fase di preparazione delle terapie sublinguali, riduzione del 71% degli errori per la preparazione di terapie endovenose/intramus-colari, riduzione del 74% degli errori in prepara-zione di terapie destinate ad altre vie di som-ministrazione, riduzione del 21 % degli errori in fase di somministrazione delle terapie ac-compagnati da una riduzione del 30% dei costi logistici legati alla gestione ed al mantenimento a scorta dei farmaci.ÿ Il progetto pilota dell’Azienda ospedalie-ra di Verona sulla gestione informatizzata del-la terapia. L’implementazione di tale sistema prevede: informazioni “on line” su interazioni, controindicazioni, linee guida aziendali, note CUF; feed-back ai medici entro le 24 ore sulle prescrizioni individuate sulla base di parametri selezionati, nonché analisi farmacoepidemio-logiche e farmacoeconomiche sulle prescrizio-ni.ÿ L’adozione in via sperimentale, dal 1 giugno 2003, da parte del Servizio Farma-ceutico dell’Ospedale Sant’ Eugenio di Roma, del sistema Pyxis (sistema di tracciabilità per l’erogazione di farmaci. e dispositivi). I dati pre-liminari hanno dimostrato che tale sistema con-sente di ottimizzare il controllo e la gestione dei farmaci ospedalieri in termini di riduzione degli errori e contenimento dei costi. Nell’ambito delle attività dell’Uffi cio M.C.Q. (Miglioramento Continuo della Qualità) della Azienda ospedaliera Niguarda Cà Granda di

49

IPASVI IPASVIMilano, sono state effettuate revisioni di cartelle cliniche con l’obiettivo di sviluppare metodolo-gie di analisi e revisione e di individuare aree di rischio. Sono state analizzate 641 cartelle estratte con metodo random relative ai dimessi dell’anno 2000, escludendo i ricoveri con du-rata < 3 giorni.Data la criticità oggettiva rilevata, sono state valutate 241 cartelle da un secondo grup-po di revisori. Sono stati riscontrati 90 eventi avversi ed in 16 casi di ADE (di cui 9 preve-nibili) sono stati rilevati: 6 reazioni allergiche, 5 reazioni avverse gravi a farmaci, 2 reazioni trasfusionali, 3 errori terapeutici gravi. I limiti di questo approccio sono molteplici: le risorse da impegnare, le competenze, il riscontro di soli errori di prescrizione (omissione, commissione o monitoraggio), la mancata evidenza di errori di trascrizione, preparazione e somministra-zione (errato farmaco, errata via di sommin-istrazione, errato dosaggio, duplicazione, er-rato paziente, ecc.). E’ stato, quindi introdotto, nell’Azienda ospedaliera, dalla fi ne del 2001, il foglio unico di terapia (certifi cazione ISO 9001 della documentazione clinica) in quanto previ-ene almeno errori noti e prevenibili quali errori di trascrizione e di duplicazione. Inoltre, tale fo-glio, con cui si identifi cano il medico prescrittore e colui che somministra, rimane parte integran-te della cartella clinica ed è già predisposto per l’informatizzazione. Infi ne, si segnala uno dei pochi studi volti all’individuazione e prevenzi-one dell’errore nelle terapie oncologiche realiz-zato nella farmacia clinica dell’Ospedale Sant’ Eugenio della ASL RM C. Sono state analizzate 3780 prescrizioni e 4400 allestimenti di chemi-oterapici antiblastici nell’ultimo trimestre 2001 con i seguenti risultati: diluente errato nella prescrizione (30%); dosaggi di chemioterapici antiblastici troppo elevati (10%); mancanza dei protocolli terapeutici nella prescrizione (40%); errata archiviazione delle prescrizioni da parte degli operatori dell’Unità Farmaci Antiblastici (UFA) (10%); errata compilazione della etichet-ta da parte degli operatori dell’UFA (10%). In-troducendo una nuova modulistica prescrittiva con richiesta dei relativi protocolli terapeutici e specifi che istruzioni operative per gli addetti dell’UFA e attivando una rete informativa tra

medico prescrittore e farmacista, si è osserva-ta, durante il primo trimestre 2002, una riduzi-one degli errori. In particolare è stata registrata una diminuzione del 28% degli errori di compi-lazione delle prescrizioni.

L’uso della tecnologia informatica come mezzo per ridurre la percen-tuale degli errori negli ospedali

Dunque si può a ragione dire che al giorni d’oggi la tecnologia informatica ha iniziato ad automatizzare il processo della somministra-zione dei farmaci a vari livelli. Si badi bene che il migliore di questi processi informatici non è in grado di rimpiazzare gli operatori ma può aiutarli a operare meglio, ad esempio a pren-dere decisioni complesse e a comunicare tra loro. Le tecnologie informatiche impiegate per prevenire gli errori da medicamenti si possono così suddividere:

Computerised physician order entry (CPOE). – Con CPOE il medico scrive le sue prescrizio-ni di farmaci on line. Tra i sistemi informatizzati è quello con il più alto impatto nella riduzione dei gravi errori da farmaci: 55% in una ricerca, 83% in un’altra.In secondo luogo i sistemi computerizzati come supporto decisionale sono in grado di ridurre la frequenza degli eventi avversi da farmaci, anche se non legati alla informatizzazione del processo di prescrizione. Quando entrambi i sistemi sono in loco, si è osservato che il tas-so di errori risultanti in un danno si è ridotto signifi cativamente quando al sistema di pre-scrizione computerizzato si unisce un sistema di supporto decisionale (da 2,9 a 1,1 per 1000 pazienti al giorno).

Robot per preparare le prescrizioni – Ridu-cono gli errori in fase di distribuzione: sono a disposizioni fi nora dati non uffi ciali.Codice a barre – Questi dispositivi assicurano che il farmaco estratto è proprio quello che in-teressa e in questo modo si può registrare chi lo dà e chi lo riceve, così come gli intervalli di somministrazione.Dispositivi di somministrazione automatizzati

50

IPASVI IPASVI– Possono impiegarsi per tenere i farmaci in un determinato posto e per somministrarli solo ad un determinato paziente. Utili soprattutto se legati con un codice a barre ed interfacciati con i sistemi informativi dell’ospedale.Scheda della somministrazione dei farmaci au-tomatizzata – Dove chi somministra i farmaci registra ciò che stato dato.Per monitorare le prestazioni ottenute imp-iegando un determinato processo, è essen-ziale essere in grado di misurarne i risultati. Finora il monitoraggio avveniva attraverso l’autosegnalazione, che si è visto sottostima gli eventi avversi da farmaci, portandone alla luce circa 1 su 20. I dati computerizzati posso-no essere impiegati per rivelare segnali (come l’impiego di un antidoto o l’alta concentrazione di un farmaco) che si associano ad una reazione avversa. Il farmacista può valutare l’incidente e determinare se esso costituisce un evento av-verso da farmaci, e questi dati possono essere utilizzati per una analisi delle cause sottostanti di un incidente. Circa la metà di tutti gli eventi portati alla luce con ogni altro metodo (revisione delle cartelle e segnalazione spontanea) sono rilevati dal monitoraggio con il computer.Di seguito si riportano degli studi condotti in vari Paesi nel mondo, che stanno a testimoniare l’applicabilità e l’importanza della sperimentazi-one dei sistemi di prevenzione dell’errore e che possono provocare incidenti da ADE.

Incidenza di ADE e di potenziali ADE. Implicazioni per la prevenzione degli erroriL’incidente provocato da un Adverse Drug Event (ADE) è l’ultimo anello di una catena di eventi dei quali è responsabile un sistema dis-egnato in modo imperfetto. Più che rivolgerci al singolo individuo che commette l’errore, dobbi-amo prestare attenzione a come è disegnato il sistema. Si dice che invece di modifi care, è più effi cace cambiare il sistema nel suo insieme per ridurre la probabilità di un incidente. Quindi, se questa teoria dei sistemi come causa di errori è corretta, la cosa da fare per un programma di prevenzione degli errori, è di identifi care le insuffi cienze di sistema che stanno dietro gli er-

rori. Nel caso degli ADE, poiché molti errori di questo tipo non provocano danni al malato, si è tenuto in considerazione anche quelli poten-ziali.Di seguito riportiamo uno Studio prospettico di coorte effettuato per valutare incidenza e pre-vedibilità degli eventi avversi da farmaci (ADE) e per analizzare quelli prevedibili allo scopo di impostare strategie di prevenzione adatte.In due prestigiosi Ospedali di Boston sono stati esaminati 4031 ricoveri di un campione strat-ifi cato di 11 unità mediche e chirurgiche (su un totale di 61 reparti), durante un periodo di sei mesi. I reparti comprendevano anche due unità di cure intensive mediche e tre unità di cure intensive chirurgiche. Le misure principali di risultato erano gli ADE e i potenziali ADE, questi ultimi defi niti come incidenti con la po-tenzialità di produrre un danno riferibile ad un farmaco. L’ipotesi era che le cause di molti ADE potenziali erano simili a quelle degli ADE real-mente accaduti. Per identifi care gli incidenti si invitarono infermiere e farmacisti a riferire gli incidenti alle infermiere ricercatrici; queste ul-time erano personale specializzato che visitava ciascun reparto due volte al giorno nei giorni feriali e sollecitava informazioni da parte delle infermiere, dei farmacisti e dal personale am-ministrativo per quanto poteva riguardare tutti gli incidenti accaduti o potenziali nel campo dei farmaci; l’infermiera ricercatrice revision-ava anche tutti i documenti e le cartelle almeno una volta nei giorni feriali. Per scoprire le cause degli eventi prevedibili, si sono intervistate le persone che erano coinvolte e i risultati della ricerca sono state analizzati da un gruppo mul-tidisciplinare comprendente medici, farmacisti, infermieri e analisti di sistemi. Tutti gli incidenti sono stati valutati indipendentemente da due medici revisori e classifi cati sulla loro potenzial-ità o meno, sulla prevedibilità e severità. In sei mesi sono stati identifi cati 247 ADE e 194 ADE potenziali. I tassi di eventi estrapolati erano di 6,5 ADE e 5,5 ADE potenziali per 100 ricoveri non di ostetricia. Il numero medio per ospedale per anno era di circa 1900 ADE e 1600 ADE potenziali. Di tutti gli eventi avversi, 1% erano mortali (nessuno prevedibile), 12 % minaccio-si per la vita, 30% erano seri, 57% signifi ca-

51

IPASVI IPASVItivi. Degli ADE minacciosi per la vita e seri, il 42% erano prevedibili. Gli errori prevedibili si sono verifi cati più frequentemente allo stadio di prescrizione (56%) e di somministrazione (34%); meno comuni erano gli errori nelle fasi di trascrizione e di distribuzione. E’ a questi stadi che si devono indirizzare soprattutto le strategie di prevenzione. Gli errori si potevano intercettare più facilmente se avvenivano negli stadi precoci del processo: 48% nello stadio di prescrizione.

Studio su un caso di miglioramento del sistema di impiego dei farmaci

La Cleveland Clinic Foundation è un grande gruppo di assistenza sanitaria dell’Ohio, con un totale di 1000 letti di assistenza per acuti. La Fondazione ha deciso di formare un gruppo di unione tra nursing e farmacia con lo scopo di servire per forum di comunicazione e “decisio-nale” sull’argomento del processo di distribuzi-one e somministrazione dei farmaci. Il gruppo fu incaricato di sviluppare regole comuni sull’uso dei farmaci. L’obiettivo era di ridurre la potenzi-alità di Adverse Drug Events (ADE). Il Comitato multidisciplinare si occupò del sistema di imp-iego dei farmaci (medication use system), che consisteva di un insieme di regole, procedure, formulari e riferimenti, di controlli e di bilanci. Tutti gli aspetti di questi sistemi richiedono una monitorizzazione continua per assicurare l’accuratezza della somministrazione dei farma-ci. Si possono così identifi care dove esista la potenzialità per un errore od un’insuffi cienza ed il tipo di azione necessaria per evitarli. A partire dal 1998 l’organizzazione della distribuzione dei farmaci cominciò ad avvalersi di procedure informatiche. In precedenza gli ordini erano trascritti da una segretaria o da una infermiera professionale: si iniziò ad automatizzare questo processo manuale. Contemporaneamente si in-vitarono i medici ad evitare il più possibile le ab-breviazioni, fonte di errate interpretazioni nelle trascrizioni. Infi ne venne introdotto un sistema di distribuzione di farmaci basato sull’impiego di dosi unitarie per tutti i pazienti ricoverati, e le schede di distribuzione dei medicinali doveva-no essere riempite ogni 24 ore. Il farmacista si

incaricava di controllare l’appropriatezza della prescrizione del farmaco (con eccezione delle urgenze). La farmacia riforniva i farmaci neces-sari per il solo tempo di 24 ore. I farmaci non usati venivano restituiti alla farmacia. I pre-parati per infusione contenenti antibiotici, an-tiblastici, ecc. erano preparati direttamente in farmacia. Con il tempo, l’incarico di monitorare e regolare le dosi di alcuni farmaci furono dele-gati allo staff infermieristico (eparina, insulina, analgesici). Alcuni farmaci richiedevano che si eseguissero a determinati intervalli i controlli dei livelli ematici. Gli ADE sono identifi cati con un sistema di incident reporting, in cui il nome dell’operatore coinvolto è reso confi denziale. Il tasso dei ADE è stato impiegato come misura chiave per determinare il successo del medica-tion use system. Il calcolo si basa sulle giornate di degenza: (numero di ADE/giorni paziente) x 100. Per seguire una modifi cazione sistemica dopo l’applicazione dei miglioramenti ci si è serviti di diagrammi di fl usso calcolando i limiti di controllo superiore ed inferiore.La più grande riduzione del tasso di ADE a livello organizzativo - cioè il tasso in cui il paziente non aveva ricevuto il medicamento come era stato ordinato - si è verifi cato quando cambiamenti sistemici maggiori furono attuati nel manteni-mento e nel controllo dei farmaci per il sistema nervoso centrale. Di 1.040 eventi annuali reg-istrati, 202 riguardavano questo tipo di farmaci (inferiori soltanto agli antibiotici, che erano re-sponsabili di 288 casi). Nel 37 % dei casi, si trattava di errore nella lettura dell’etichetta. Nei primi anni ’90, il comitato ha pilotato un sistema automatizzato di distribuzione dei farmaci, il cui scopo era di fornire lo staff di nursing di un più facile accesso a sostanze soggette a control-lo, e contemporaneamente di permettere alla farmacia un più stretto controllo di inventario. Le sostanze controllate sono state poste in mac-chine dispensatrici separate, che richiedono un numero di identifi cazione dell’operatore e una parola chiave per l’accesso. L’accesso è fornito solo per la medicina che l’infermiera ha indica-to, eliminando la possibilità di prendere da un cassetto sbagliato. Naturalmente, il successo dipende dal corretto rifornimento di farmaci da parte della farmacia e che l’infermiera entri con

52

IPASVI IPASVIil corretto nome del farmaco. Lo studio pilota è stato pianifi cato per tre mesi in tre unità di nursing. Nelle unità testate, ma non in quelle usate come controllo, il tasso delle segnala-zioni diminuì signifi cativamente. Il sistema di distribuzione automatica dei farmaci, una volta implementato, ha ridotto il numero di eventi le-gati ad errata lettura dell’etichetta. La classe dei farmaci del sistema nervoso centrale nel 1997 passò ad essere dalla seconda alla quin-ta classe in ordine di segnalazioni, riducendosi al 7% degli eventi riportati.

Impatto della prescrizione medica comput-erizzata del farmaco sulla prevenzione degli erroriUno studio dello stesso gruppo (vedi JAMA, 1998) ha riferito l’impatto di un sistema com-puterizzato, il Computerized Physician Order Entry (POE), sugli errori gravi da medicamenti, errori potenzialmente dannosi o aventi come risultato di un Adverse Drug Event (ADE). Ma l’impatto del POE su tutti gli errori da medica-menti – sia minori che gravi – è importante e non è stato valutato nella prima ricerca. Ora gli Autori si sono proposti di seguire dettagliata-mente le modifi cazioni portate dall’applicazione del POE in tre reparti di medicina per quanto ri-guarda il tasso globale di errori da medicamenti. L’analisi è stata condotta prospetticamente nel tempo, in quattro periodi. Tutti i pazienti ricove-rati in tre reparti di medicina sono stati studiati per periodi da sette a dieci settimane in quattro anni differenti. Il periodo basale è stato quello prima dell’applicazione del POE, i rimanenti tre dopo. Nei periodi successivi, il POE si è reso più sofi sticato. Come già accennato, il sistema permette al medico di prescrivere i farmaci con il computer, con un programma contenente anche supporti decisionali, del tipo allergie ai farmaci e interazioni tra farmaci. Gli errori da medicamento sono stati divisi secondo il tipo, la potenzialità di causare un ADE, la severità degli ADE e dei potenziali ADE, la prevedibil-ità. Misure di risultato sono stati considerati tutti gli errori da medicamenti, fatta eccezione per quelli da mancata segnalazione della dose. Gli errori erano segnalati in tre modi: dai farmacis-ti, da un revisore qualifi cato e da un ricercatore

che rivedeva tutte le cartelle. Durante la ricer-ca, gli errori da medicamento – esclusi quelli da mancata segnalazione del dosaggio – si sono ridotti dell’81%, da 142 per 1000 pazienti-gior-no nel periodo di base fi no al 26,6% per 100 pazienti-giorno nel periodo fi nale (P < 0,0001). I gravi errori da medicamento non intercettati, rappresentati da ADE potenziali non intercet-tati sommati agli ADE prevedibili – cioè quelli con la potenzialità di provocare danni – si sono ridotti dell’86% dal periodo di base al periodo 3 (anno 1997), cioè il periodo fi nale (P < 0,0001): nel 1995 la riduzione raggiungeva il 55%. Sig-nifi cative differenze si sono verifi cate per tutti i principali tipi di errori da medicamenti: errori di dosaggio, errori della frequenza di sommin-istrazione, errori della vie di somministrazione, errori per sostituzione, allergie. Per esempio, nel periodo di base si sono verifi cati dieci er-rori da allergie, ma soltanto due nei seguenti tre periodi riuniti (P < 0,0001).La conclusione è stata che l’applicazione del POE ha ridotto sostanzialmente il tasso di errori da medica-menti (80%), esclusi quelli da omissione della dose. La riduzione maggiore degli errori è stata raggiunta con la versione iniziale del sistema, ma l’aggiunta di supporti decisionali ha ulterior-mente ridotto il rischio.(nelle fi gure si stigmatizzano gli obiettivi e le proposte per una effi ciente gestione del rischio clinico nelle aziende sanitarie)

CONCLUSIONINelle aziende sanitarie, il dibattito sul tema della sicurezza e della gestione dei rischi

53

IPASVI IPASVI

può in defi nitiva essere letto come segnale dell’aumentato “fabbisogno di controllo” che caratterizza il settore sanitario, in analogia a quanto già avviene in altri settori di produzione di beni e servizi. Questo fabbisogno si esplicita nell’attenzione crescente agli strumenti e con-dizioni che consentono, in una prospettiva, il pi-eno e consapevole governo del funzionamento di tutte le operazioni aziendali e dei loro sistemi di gestione e, in un’altra, la minimizzazione del-la possibilità che eventi inaspettati colpiscano l’azienda nella sua attitudine a perseguire le fi nalità prefi ssate. L’emergere dell’aumentato fabbisogno di sicurezza e qualità è stimolato da un insieme di variabili, che agiscono all’interno dell’organizzazione o nell’ambiente di riferi-mento, e che concorrono, seppure in modo diverso, a determinare un’evoluzione delle strategie e dei sistemi di gestione aziendali. Lo sviluppo del risk management fornisce un ap-proccio sistemico e sistematico al fabbisogno di governo dell’ incertezza aziendale. Il risk man-agement reinterpreta in modo originale la tra-dizionale “funzione di controllo”, attraverso una strategia di responsabilizzazione sulla qualità dell’assistenza erogata, che viene affi data alla gestione dei professionisti in cambio della piena autonomia decisionale relativa a dove e come agire sui fallimenti del sistema assistenziale. L’approccio giustamente sottolinea la neces-sità di dare vita ad un nuovo rapporto tra man-agement e professionisti come condizione per introdurre nuove strategie e sistemi di gestione rischi. Concludendo, la prospettiva di una ef-fi cace co-gestione management-professionisti del profi lo di rischio aziendale appare oggi sem-

pre più realistica. Innanzitutto perché le aziende sanitarie dispongono oggi di sistemi gestionali più maturi, che da meccanismi reattivi si stanno trasformando in sistemi anticipatori e proattivi rispetto alla lettura delle possibili dinamiche ambientali. In secondo luogo, perché il contes-to ambientale di riferimento è fonte di una serie di stimoli sempre più pressanti nella direzione della sicurezza e della qualità dell’assistenza sanitaria e, in questo senso, non pare più pos-sibile che le aziende possano tornare indietro sulla strada intrapresa. Infi ne, perché a dispet-to dei tentativi di ingegneria organizzativa che stanno caratterizzando questa fase di sviluppo della funzione, il risk management è una pros-pettiva di rafforzamento della qualità delle prat-iche cliniche che affonda le radici nella cultura professionale medica e, proprio per questo mo-tivo, se opportunamente guidata dalle aziende e dal sistema, rende oggi fi duciosi degli esiti positivi che contribuirà a produrre anche per il settore sanitario pubblico. Vi è da dire inoltre, che in relazione alle varie”epoche” della qualità nel sistema sanitario, si sono modifi cati anche gli approcci alla stessa. Se in prima istanza la fi nalità era quella di individuare gli errori, al fi ne di sradicarli, progressivamente si prestata at-tenzione alla verifi ca, allo scopo di “rivedere”, e successivamente alla “prevenzione”, ossia all’impegno diffuso e costante nella ricerca di aree su cui investire per il miglioramento. Parallelamente si è proceduto alla compren-sione che miglioramenti effettivi e duraturi nel tempo necessitavano di una reale interioriz-zazione da parte delle risorse umane. Di con-seguenza nelle istituzioni sanitarie l’approccio certifi cativo “esterno” attraverso griglie di ac-certamento, si rivelava insuffi ciente e veniva progressivamente accompagnato da un coin-volgimento dei reali protagonisti, gli operatori, chiamati a promuovere e condurre interventi di miglioramento della qualità nel proprio op-erato e nella organizzazione di appartenenza. Notevole impegno è stato profuso negli ultimi anni all’interno di diverse categorie profession-ali, prima fra tutte quella infermieristica, al fi ne di favorire la massima tutela della salute dei cittadini attraverso una politica che non con-sideri la qualità soltanto come il prodotto della

54

IPASVI IPASVIbuona volontà del singolo professionista , ma come il frutto dell’impegno di tutti, ed a tal fi ne vanno create le condizioni perché ciò avvenga. In ogni progetto di qualità vanno coinvolti tutti i soggetti a qualche titolo implicati, perché se non consapevoli del processo in atto, possono mettere a rischio la sua realizzazione ed i suoi risultati. Nelle istituzioni determinante è inoltre la convinzione e l’impegno dei dirigenti, che stabiliscono la politica e le strategie aziendali, o della propria unità operativa e che orientano le stesse ed il gruppo operativo nella direzione del miglioramento continuo della qualità o vice-versa della staticità. Nonostante molti siano i risultati sin qui conseguiti nel diffondere la cul-tura, i metodi e gli strumenti del “miglioramento continuo” il percorso è ancora lungo per garan-tire risultati soddisfacenti. A tal fi ne è molto im-portante la consapevolezza del percorso verso la qualità ed il conseguente impegno da parte dei cittadini utenti, delle organizzazioni rappre-sentative dei malati, del volontariato e degli or-ganismi di rappresentanza professionali.

Bibliografi a• Lo sviluppo della funzione risk management nelle aziende sanitarie: una prospettiva economico aziendale - Cosmi L. - Del Vecchio M.• Risk Management il problema degli errori- Minis-tero della Salute, 2003-• Il modello toscano per la Gestione del Rischio Clinico- Riccardo Tartaglia, Sara Albolino, Tommaso Bellandi, – centro GRC, Regione Toscana• Marcon G, Ciuffreda M, Corrò P-Errori medici e danni causati dalle cure Professione 2001; • L’ analisi FMEA : l’esperienza dell’ ACO S. Filippo Neri (www.sanfi lipponeri.roma.it)• Gestione del rischio clinico: prevenzione dell’errore in ambito anestesiologico – rianimatorio S.I.A.A.R.T.I – Società Italiana di Anestesiologia Analgesia Rian-imazione e Terapia Intensiva• “Il Risk Management nelle Aziende Sanitarie”; Mc Graw-Hill, 2003Mario Del Vecchio e Lisa Cosimi.

Al quarto piano dell’Ospedale Civile di Taradallo scultore Aldo Pupino è un’oasi di preg

ARTE. RELIdi Vanna Bonivento

La Cappella SS. Annunziata di Taranto fu voluta nel 1971 dall’Amministrazione dell’Ospedale Civile ionico e dai Padri Camillani.La parte architettonica e la supervisione tecnica furono affi date rispettivamente all’arch. Carmelo Giummo ed all’ing. Antonio Augenti.Dietro suggerimento del compianto prof.

55

IPASVI IPASVI

Taranto La Cappella SS.Annunziata decorata reghiera e di conforto nella sofferenza.

LIGIONE. SALUTE

Franco Dubla, l’incarico della decorazione bronzea fu dato allo scultore tarantino Aldo Pupino, all’epoca appena trentenne, che, in corso d’opera, venne seguito (ancor prima del montaggio dei pannelli all’interno della cappella stessa ) dalla critica e dalla stampa locale.Nel 1972 l’inaugurazione avvenuta con grande

partecipazione alla presenza di S.E. il compianto Mons. Guglielmo Motolese.I ventidue bronzi che decorano oggi la cappella (più il Crocefi sso in bronzo) hanno tre diverse committenze: i grandi sbalzi del Ciclo Evangelico ed il Crocifi sso furono commissionati dall’Amministrazione Ospedaliera, successivamente le 14 Stazioni della Via Crucis dal Primario Neonatologo prof. Antonio Di Comite per commemorare la madre.Si tratta, dunque, di un ciclo di arte sacra contemporanea di notevole interesse per il nostro territorio e la stessa Cappella nella sua semplicità, modernità architettonica ed arte scultorea è una delle più importanti della Puglia nel settore delle Cappelle dei nosocomi. Ecco gli otto pannelli del Ciclo Evangelico: la Resurrezione di Lazzaro, la Pesca Miracolosa, il Battesimo di S. Giovanni, le Nozze di Canaan, la Deposizione, i Simboli, l’Annunciazione, cui la stessa Cappella, detta della SS.Annunziata, è dedicata.Di particolare signifi cato simbolico sono i due pannelli raffi guranti, ai lati dell’Annuncio Divino, la spiga di grano ed il grappolo d’uva .Di fronte all’altare la lastra dell’Annunciazione dove, su uno sfondo semplicissimo, completamente privo di elementi architettonici, contrariamente all’immagine tradizionale, c’è l’incontro, che sa di eterno, tra l’Angelo e la Madonna, tutta chiusa nella sua “pregnanza”. Tale scena è stata defi nita dai critici semplicemente stupenda, perché ben combinata è la decorazione bronzea che crea un’atmosfera ovattata che invita alla meditazione ed alla preghiera e nel contempo dà un’immagine nuova allo spazio sacro. Nelle tenue luci che stemperano ed iridono i profi li degli oggetti v’è il ricordo di una fase prenatale. I pannelli in lamine di bronzo sbalzate e cesellate segnano i momenti più signifi cativi della vita storica terrena di Cristo, scene evangeliche racchiuse dalle contorsioni delle lamiere da cornici forate dal gioco delle fi amme ossidriche.Ecco il Battesimo con Cristo e San Giovanni: pochi tratti di lamiera danno un’incredibile forza al sacro rito con l’acqua del Giordano, dalle

56

IPASVI IPASVI

onde rese a colpi di martello e rifl essi ramati.La Pesca Miracolosa, una barca carica di pesci, Apostoli che tirano una rete rigonfi a ma anche qui pochi tratti essenziali (essenzialità delle linee e semplicità sono la caratteristica di queste opere).A destra dell’altare la Resurrezione di Lazzaro dove è forte il contrasto tra la potenza del gesto di Cristo che richiama dalla morte alla vita e la spettralità di Lazzaro avvolto nelle bende funebri ma già richiamato alla nuova vitalità per la virtù taumaturgica del Figlio di Dio.Ogni scena è simbolo di un cammino umano fatto di gioia e di dolore che vede nell’Ospedale una vera e propria struttura di accoglienza dalla nascita alla rinascita in Cristo.Ma è umana la speranza che la Resurrezione avvenga in questo stesso mondo dei vivi: familiari, amici cari da riabbracciare dopo la malattia. Le nozze di Canaan sono un inno alla vita, alla gioia alla famiglia che nasce nel rito nuziale, tra brindisi di buon vino, miracoloso, strumento di gioia.

Le corde più dolorose del Vangelo sono toccate nella scena della Deposizione dove i manti delle pie donne, larghi e pesanti come quel dolore, insopportabile peso nel vedere l’abbandono nella Morte di un corpo tanto amato dalla Madre a partire dall’Annunciazione della sua Nascita come Messia.L’ Annunciazione è resa con pochi segni e colpi di martello nella tecnica del repoussè con cui l’artista gonfi a sapientemente e direttamente dal rovescio la lastra, cesellandola dal dritto, ad indicare il timore di Maria, la sua pregnanza; bastano alcuni tratti essenziali e le fi gure emergono magicamente dal fondo brunito dove l’ombra ed il buio sono via via spazzati da un fascio di luce; l’evocazione dei gesti avviene con segni decisi, parchi, essenziali, senza decorativismo, ma per cogliere la sostanza, il succo di quel divino messaggio di vita e quindi di speranza in un luogo votato alla cura del dolore fi sico, spesso meno acuto di quello spirituale.In questa connotazione si giustifi cano le scelte tematiche tratte dal Vangelo, in un luogo di sofferenza: il miracolo della Nascita, della Resurrezione, del vino e dell’acqua battesimale, la presenza simbolica delle spighe di grano e del grappolo d’uva sono tutti simboli evangelici messaggeri di gioia e di speranza per i malati o i loro amici e parenti che nella Cappella al quarto piano si fermano a pregare.La spiga di grano ed il grappolo d’uva sono simboli evocatori oltre che del mistero eucaristico, anche di ciò che ha reso fertile la nostra terra.Il fondo non ha scenografi e di ambiente né segni terreni, all’infuori di una sedia-trono che richiama alla divina quotidianità dell’Immacolata Maria, ma anche al suo ruolo sociale di giovane eletta; c’è solo l’ ondulare della Luce sull’ombra, una Luce che scende miracolosamente e decisamente radiata dalla colomba dello Spirito Santo, quasi posata sul fascio radioso, solare, è una Luce spirituale molto intensa che poco ha di materico e che dà umana fi sicità al gonfi ore del ventre nascosto dall’ampio mantello.Tutta la scena è purezza di Luce che scende dall’alto e forma la grande aureola sul capo chino di Maria, sulla virginea mano appoggiata timidamente al seno quasi a dire:“Perché

57

IPASVI IPASVIproprio io, Signore?”Il suo viso è nascosto dall’ombra, non deve comparire. La Sua è una Maternità Sacra, individuale ed universale ad un tempo, è il simbolo di tutte le maternità del mondo ma che ha una forza che va oltre l’umano, con quella Luce che esalta il gonfi ore del velo e solleva le falde della veste in corrispondenza del sacro grembo.La mano sinistra è poggiata vicino al Frutto del Seno Suo che, appena annunciato dalla voce dell’Angelo messaggero, è già Divino Verbo incarnato.L’artista, a quel tempo da poco padre, si mostra attraverso l’opera affascinato dal mistero del Divino Concepimento e della Maternità di Maria che ha descritto con grande umiltà, rispetto e commossa devozione e dedica i rilievi del bronzo che si gonfi a sotto le sue mani, ad un Sacro Evento, unico ma rinnovato ogni anno nella liturgia del Natale.Dalle mani del bronzista/toreuta bulino e cesello non curano il particolare ma l’essenziale: è il linguaggio semplice dell’artista con cui si veicola il messaggio dell’annunciata Natività.Seduta su una sedia dall’alto schienale come se fosse un trono, Maria, pur nella sua totale adesione al Verbo di Dio e nel reclinare obbediente del capo, è pur sempre giovane donna, meravigliata essa stessa e timorosa per quell’annuncio inatteso, ma è già Regina e Madre divina dell’umanità, grazie a Lei redenta e salvata.

“Ave, Maria, gratia plena” sembra evocare il silenzio di quella Cappella all’Annunziata, nel nosocomio di Taranto, dove la vita s’intreccia con la paura della morte e del dolore, spesso origini di nuove redenzioni dell’anima.

L’ Arcangelo Gabriele è in ginocchio, ha assolto il suo compito di messaggero divino, ma resta in devoto omaggio davanti alla Regina del mondo, le ginocchia aderiscono al suolo che suolo non pare, perché non c’è un solo segno né di terra né di spazio né di tempo: sembra tutto sospeso in un’ assoluta Eternità.“Aldo Pupino, sulla strada di una tecnologia

d’arte modernissima- hanno scritto i critici -riesce a trovare moduli di una consecutio che attraverso le fi gure si manifesta ai nostri occhi per raccontare in ordine tutto un modo di vivere che può essere portato come esemplare testimonianza, ogni anno, da duemila anni fi no ad oggi.”Di arte sacra e di arte pubblica e privata c’è quanto mai bisogno ora che, più di prima, si cercano spazi in cui la collettività o la famiglia possano meditare sui temi più profondi dell’umanità e sui tempi drammatici che stiamo vivendo.Ecco perché la Cappella SS. Annunziata, omonima del nosocomio è lì, aperta, per chi ne senta il bisogno, in via G. Bruno, al quarto piano dell’Ospedale, pronta ad accogliere per la preghiera chi soffre e cerchi remedia animi e non solo medicine per il corpo. Uno spazio sacro, da trentasette anni riferimento della collettività ionica-tarantina, per il bisogno di preghiera legata alla sofferenza nella malattia.

58

IPASVI IPASVI

“Non abbiamo che una terra, nostra madre comune, e ogni danno che le provochiamo si ritorce necessariamente dentro di noi. Se non prestiamo attenzione alla terra, distruggiamo il nostro stesso futuro” ( Dalai Lama Tenzin Gyat-so)

di Emma Bellucci ConennaTaranto ha deciso di dire “sì” alla vita; ha affer-mato la voglia di futuro per i suoi fi gli; ha fatto vedere ai politici, troppo coinvolti in logiche di partito o di equilibri, la volontà di autodetermi-nazione, parlando di referendum, dichiaran-do guerra all’inquinamento ed agli inquinatori, troppo a lungo padroni della vita dei tarantini. Ha scatenato, di fatto, una stagione di dibattiti, offrendo un argomento forte ai candidati delle elezioni regionali. Pretende la tutela dell’am-biente insieme alla tutela della vita e del lavo-ro, oltre all’adozione immediata di protocolli, all’acquisto di apparecchiature per abbattere l’inquinamento in tempi rapidissimi. Per adesso parole di indignazione! Una soglia di attenzione alta, che bisogna mantenere tale. Non si può più aspettare, per non vedere la popolazione ulteriormente decimata dalle patologie oncolo-giche, per non pagare un tributo altissimo alla possibilità di lavoro. Di tumore si muore, ma si può anche sopravvivere con una qualità di vita destabilizzante, scandita com’è da sedute di chemio o radioterapia, da controlli periodici, da

Malattie da inquinamento: seminario medico-scientifi co

Lunedì 26 Maggio:nuvola sull’ILVA

esami e sofferenze. Senza contare i costi altis-simi in termini di giornate di lavoro perse o il costo dei farmaci. Cerchiamo di sintetizzare per capire.

Oms e StudiSin dal 1986 l’area tarantina, studiata dall’Oms, era stata defi nita uffi cialmente “ad elevato ri-schio ambientale” con legge dello Stato e, suc-cessivamente (nel 1998), inclusa fra i 14 siti ad interesse nazionale ove necessitavano inter-venti di bonifi ca. Ovviamente, nessun seguito, nonostante gli studi successivi Minerba-Annic-chiarico- Mancino, MISA 2, Bigotti-Cavone-Bru-ni-Minerba-Conversano abbiano confermato la sussistenza se non il peggioramento del ri-schio ambientale. Di fatto, oggi esiste un “caso Taranto”, si rileva una crescita esponenziale di tumori come cancro del polmone, linfoma non Hodgkin, melanoma, mieloma multiplo, linfo-ma, leucemia e tumori del sistema nervoso; si abbassa sempre più l’età dei soggetti colpiti, fi no all’età adolescenziale; a fronte alcuni tipi di tumori, particolarmente grave, prediligono i neonati, i bambini in tenera età, soprattutto se residenti nella cerchia più vicina ai grandi inse-diamenti industriali; interi nuclei familiari risulta-no decimati, come ha affermato il dott. Patrizio Mazza. Una situazione gravissima, confermata dalla stessa Arpa regionale.

Stato di malattia “Una fi ala di chemioterapico, come il cisplati-num, costa 516,00 euro. Un ciclo completo di cockatil chemioterapici può partire da alcune Centinaia di Euro per ar-rivare anche a 50.000,oo mila Euro al mese per ogni paziente. Se si prende come cifra media a malato anche solo quella di 5 mila Euro e si moltiplica per i 200.000 malati di cancro in Italia, il servizio sanitario nazionale paga alle industrie farmaceutiche qualcosa come più di un miliardo

59

IPASVI IPASVIdi Euro l’anno”

Acceleratore lineare: circa 1 Milione di euro e costi annui di gestione di 50-60 Mila Euro Ste-reotassi – Radioterapia: un’applicazione di ra-dioterapia convenzionale costa 600,00 euro. La stereotassi arriva a 20-30 mila euro per un tratta-mento. Un ciclo completo di radioterapia è quin-di dell’ordine di decine di MIGLIAIA DI EURO.Visite, esami clinici e specialistici di un am-malato di cancro 5 mila euro .

I dati sono tratti dal libro “Senza chemio, radia-zioni o chirurgia 30 e più cure non distrutti-ve di documentata effi cacia” Macro edizioni 2001, quindi negli anni i prezzi probabilmen-te hanno risentito di aumenti. Accanto ai costi diretti non va dimenticato che esistono i cosid-detti costi indiretti: perdita di produttività dovuta a malattia, trasporto dei malati, assistenza dei bambini o degli anziani, collaboratori domesti-ci.

Abbiamo voluto sintetizzare i dati per una visio-ne immediata del problema esistente, del nes-so inquinamento-salute, oggetto del seminario medico-scientifi co “Malattie da inquinamento: cause, conseguenze, epidemiologia”organizzato da alcune associazioni nazionali e puglie-si a tutela della salute e dell’ambiente. Un av-venimento che ha visto, tra gli altri, l’intervento dell’avv. Nicola Russo, presidente distrettuale Ta-Br-Le dell’Associazione Nazionale Giudici di Pace, nonché portavoce del Comitato “Ta-ranto Futura”, promotore dei quesiti referenda-ri per la chiusura dell’area a caldo o dell’intera Ilva, che ha ribadito come la relazione sui danni della grande industria, messa a punto dai periti nominati dal Gip e dalla Procura di Taranto e dalla quale è scaturita la condanna a due anni di reclusione per Emilio Riva, indichi l’impos-sibilità di una coesistenza ambiente-industria, almeno nella situazione attuale. Infatti, si legge nella relazione, “per una drastica riduzione degli Lavoro e salute

Ilva: 2,5 miliardi di euro di utili in 3 anni, 878 milioni nel solo 2007;11 milioni di tonnellate la produzione annuale di acciaio;91,5% delle diossine italiane concentrate su Ta-ranto;40 morti sul lavoro dal 1995;1200 morti per malattie tumorali;un numero non quantifi cabile di malati onco-ematologici il cui unico elemento comune è l’aver lavorato all’Ilva;un turn-over di cassintegrati esploso quest’an-no, ma utilizzato anche nel passato.

60

IPASVI IPASVI

inquinanti rimane la necessità di contenere la portata delle sorgenti di emissione, attraverso una riduzione della movimentazione e dell’utiliz-zo delle materie prime e combustibili. Anche se questo può portare ad una penalizzazione del-la produzione. Infatti interventi impiantistici che però mantengono o aumentano il volume delle lavorazioni e lasciano gli impianti contigui alle aree abitate, possono soltanto portare ad una mitigazione della situazione e non certo a consistenti migliora-menti e/o eliminazione degli inconvenienti at-tualmente lamentati”. Intervento, di seguito, della presidente del Collegio Ipasvi, Bene-detta Mattiacci, che ha confermato l’impe-gno del Collegio e de-gli infermieri nella tute-la della salute, sottoli-neando, però, quanto più importante sarebbe puntare sulla preven-zione come sistema reale contro l’incremento delle malattie, quindi mezzo di contrasto all’in-quinamento, sull’informazione e sulla diffu-

sione delle notizie, sulla consapevo-lezza della situazione. Taranto non può aspettare: necessario che politici ed amministratori, a tutti i livelli, prendano coscienza e si facciano carico dello stato. Lo hanno ribadito tutti i relatori, dalla dott.ssa Annamaria Moschetti, presidente dell’Associazione culturale pediatri, che ha evidenziato come per i bambini la semplice frequenza di un istituto scolastico lontano dalle zone più a rischio possa in qualche misu-ra ridurre la possibilità di malattia, alla dott.ssa Esther Tattoli della Commis-sione nazionale ambiente Cittadinan-za attiva/Tribunale per i diritti del ma-lato, al dott. Mauro Minelli, direttore dell’Unità Operativa IMID Immuno-

logia clinica Ospedale San Pio-Campi Salen-tina, al dott. Patrizio Mazza direttore Servizio di Ematologia dell’ospedale Moscati di Taranto che ha raccontato le evidenze del suo servizio, evidenze che confermano il trend in crescita di patologie tumorali. Allora, da un lato il lavoro nella grande industria ed il bisogno occupa-zionale della città (ma, a ben vedere, i dipen-

denti tarantini sono in percentuale minima), dall’altro morti e ma-lati in crescita costan-te; ovvero, da un lato lo stipendio di mille- mille e 300-400 euro al mese, salvo cassa integrazione, per cia-scun dipendente, dal-l’altro migliaia di euro al mese per ciascun malato. Se vogliamo guardare allo stato di malattia o alla tutela della salute come ad

un fatto commerciale, nell’ottica del conteni-mento della spesa sanitaria, ebbene qualunque governo dovrebbe capire la non procrastinabili-tà della salvaguardia del bene salute.

Si ringrazia per le slides il dott. Patrizio Mazza

61

IPASVI IPASVI

L’infl uenza AH1N1 non sembra aver spaventato granché gli italiani, vero è che il numero dei vaccinati è di 700.000 soggetti, ben al di sotto, quindi, di quello

INFLUENZA AH1N1:SCENARIO IN EVOLUZIONE

preventivato. Cosa che ha prodotto la giacenza di milioni di dosi di vaccini, destinati ai paesi del ter-zo mondo. Infatti, secon-do “un’ indagine periodi-ca del Monitor Biomedi-co del Censis realizzata negli ultimi mesi il 61,4% degli italiani non ha pau-ra dell’infl uenza A. Non sono intimoriti dai rischi della pandemia soprat-tutto gli uomini (68,1%), i laureati (74,4%), i re-sidenti del Nord-Ovest (66%) e del Nord-Est (74,5%). E’ invece tra i residenti del Sud (quasi il 49%) e quelli del Cen-tro (40%) che si regista una quota nettamente piu’ alta di persone che dichiarano di avere pau-ra dei rischi di pandemia. Piu’ del 37% di chi non ha paura dell’infl uenza A ritiene che, in realta’, i rischi siano gonfi ati dai media, mentre oltre il 24% e’ convinto che le nostre tutele sanitarie siano adeguate. Partico-

larmente critici verso l’allarmismo sono gli uomini (42,7%), i soggetti con un ti-tolo di studio piu’ elevato (il 44,4% dei diplomati e il 41,2% dei laureati), gli abi-

62

IPASVI IPASVItanti del Nord-Ovest (43%) e del Cen-tro (38,9%), i giovani dai 18 ai 29 anni (49,5%), coloro che hanno un livello di reddito alto o medio-alto (42%), le fami-glie monogenitoriali (42,9%). Piu’ fi ducio-si nelle tutele previste dalla sanita’ sono i residenti del Nord-Est (41,2%). Sono piu’ spaventati gli anziani (47,1%) e le donne (45%), chi vive nei grandi centri (41,4%), chi ha un redditi piu’ bassi (quasi il 60%) e le coppie senza fi gli (44,2%). La noti-zia, riportata in ottobre dall’ANSA, è la fotografi a della realtà attuale. Ma si può davvero essere tranquilli? Riportiamo un intervento del dott. Giuseppe Merico, direttore Struttura complessa di Pedia-tria-Asl TA

A proposito diinfl uenza AH1N1 Si parla ancora di infl uenza A e a ragion vedu-ta. Allo stato attuale la situazione a livello na-zionale mostra una tendenza ad un calo della penetranza e della diffusione del virus.

La fascia di età più colpita è sempre quella pe-diatrica (0-14 anni), con un´incidenza pari a 5,10 casi per mille assistiti (6,62 per mille nella fascia dei bambini più piccoli di 0-4 anni e 4,32 per mille nella fascia 5-14 anni).

Si osserva un calo dell´incidenza in ogni classe d´età, e più marcatamente nella fascia pediatri-ca in cui l´incidenza si è quasi dimezzata.

Questi dati incoraggianti sono il frutto tutta-via di un grande lavoro di prevenzione nei confronti della diffusione del virus che va dall´osservazione di regole basilari di compor-tamento per quanto concerne l´igiene (di Topo gigio memoria), alla vaccinazione sempre più estesa alla popolazione. Tali indicazioni risul-tano particolarmente preziose per il personale socio - sanitario che quotidianamente è a con-tatto con i piccoli pazienti e con particolare ri-

guardo alle giovani mamme infermiere per la delicata attenzione da riporre nei confronti dei bimbi sul posto di lavoro e a casa con i propri fi -glioli soprattutto se sotto i sei mesi di vita quan-do non è possibile effettuare la vaccinazione per l´infl uenza A.

A Taranto, così come in altri ospedali italiani, nel Reparto di Pediatria si assiste ad una di-minuzione dei casi di infl uenza A, benché non siano mancati svariati casi di forme complica-te da polmoniti, marcate neutropenie, enteriti, ecc. opportunamente trattate e risolte.

Alla luce di quanto fi nora espresso, consi-derando l´imminente arrivo dell´infl uenza stagionale e delle fredde giornate invernali lo scenario potrebbe cambiare riportando di gran-de attualità il virus pandemico.

È questo, pertanto, il motivo che ci deve indur-re a parlare ancora di infl uenza A, perché par-landone si continua a fare attenta prevenzio-ne, e così facendo riusciremo a guardare con più fi ducia il prossimo futuro nostro e dei nostri bambini.

63

IPASVI IPASVI

Si informano i sig.ri Presidenti che al nostro gruppo professionale è stato attribuito un prestigioso riconoscimento. Il Ministro dello Sviluppo economico, On. Claudio Scajola, ha

infatti deliberato di emettere nel 2010 un francobollo dedicato agli infermieri.

L’iniziativa attesta la crescente affermazione della fi gura e dell’immagine dell’infermiere nel Paese: si tratta, infatti, della prima emissione di un francobollo dedicato ad una professione

nell’ambito della serie fi latelica “Istituzioni”.

Il 9 dicembre u.s. durante un incontro con il Capo della Segreteria dell’On. Scajola, è stato fi ssato uno schema di calendario delle manifestazioni propedeutiche all’uscita del francobollo:

1. il 12 maggio 2010, in occasione della Giornata Internazionale dell’infermiere, dovrebbe avere luogo la presentazione del francobollo;

2. il 16 maggio 2010 dovrebbe aver luogo una presentazione istituzionale del francobollo alla presenza delle autorità, delle istituzioni, delle associazioni e delle aziende coinvolte

nell’iniziativa;

3. il 23 maggio dovrebbe aver luogo l’emissione del francobollo in occasione della “Race for the Cure” la maratona che si svolge a Roma per sostenere la lotta contro i tumori al seno.

Il riconoscimento ottenuto costituisce una grande opportunità per evidenziare il rapporto “privilegiato” degli infermieri con i cittadini.

Si invitano pertanto i sig.ri Presidenti a diffondere la notizia tra gli iscritti Ipasvi e a comunicare loro la possibilità di inviare in Federazione (in gennaio sarà attivato l’indirizzo francobollo@

ipasvi.it) idee e suggerimenti “creativi”, che potrebbero essere positivamente valutati dai Tecnici del Poligrafi co dello Stato per la realizzazione del francobollo.

Il termini per la consegna delle idee e dei suggerimenti “creativi” è fi ssato – su indicazione dei Tecnici del Poligrafi co dello Stato - entro e non oltre il 31 gennaio 2010.

Seguiranno informazioni di dettaglio sulla campagna informativa a sostegno dell’iniziativa e su quanto verrà messo in essere per garantirne il successo.

Le iniziative su indicate, ritenute di particolare gioiosità e rilevanza e che verranno ulteriormente arricchite da questa Federazione anche nella predisposizione del tradizionale manifesto

celebrativo del 12 maggio, inglobano l’ipotesi formulata all’inizio d’anno di predisporre una specifi ca manifestazione in Roma per la Giornata internazionale dell’Infermiere.

DALLA FEDERAZIONE NAZIONALEAI COLLEGI

64

IPASVI IPASVI

Cira Siliberto Infermiera dell’ U.O. di Lungodegenza “Presidio Osped.di “Grottaglie”

Cira,il tuo ricordo , o meglio la tua presenza tra noi è viva e sempre lo sarà. In poco tempo hai conquistato tutti noi, eri una donna completa e solare, eri l’Infermiera quella vera

con un’ obbiettivo, i pazienti. Serena, dolce e comprensiva, competente disinteressata e instancabile, eri sempre pronta al confronto e al dialogo, di poche parole e dette al momento giusto. Cira carissima, la tua scomparsa “fatale”, il giorno dopo aver festeggiato il tuo compleanno, ha lasciato tutti noi senza parole e senza risposta, siamo certi nella fede in cui abbiamo riposto tutte le nostre attese, che ora tu splendi di una luce maggiore, di una pace immensa e che godi del “ ..giorno senza tramonto ..”, e noi invece nel tempo e con il Suo aiuto troveremo conforto e consolazione. Cira, grazie di tutto e con il cuore gonfi o di lacrime ti diciamo che ti vogliamo bene. Suor Giustina