EdgardAllanPoe L'Uomodellafolla 1840 Sociologia Comunicazione
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Edgar Allan Poe
L’uomo della folla
1840
Ce grand malheur de ne pouvoir être seul¹
LA BRUYÈRE
E stato giustamente detto di un certo libro tedesco che es lässt sich nicht lesen. che
non permette di essere letto. Ci sono dei segreti che non permettono di essere svelati. Uomini
muoiono nella notte nei loro letti, stringendo le mani di fantomatici confessori, guardando
pietosamente negli occhi, muoiono con la disperazione nel cuore e la gola serrata a causa
dell'orrore dei misteri che non permettono di essere svelati. Talvolta, ahimè!, la coscienza
dell'uomo sopporta un fardello così pesante di orrore che può essere scaricato solo nella
tomba. Così l'essenza di tutti i crimini resta sconosciuta.
Non molto tempo fa, sul finire di una sera autunnale, sedevo nell’ampia veranda del
caffè D. a Londra. Ero stato per alcuni mesi in cattive condizioni di salute, ma ora ero
convalescente e, col ritorno delle forze, mi trovavo in uno di quegli stati d'animo felici che
sono tutto il contrario dell’ennui, uno stato d’animo di eccitata curiosità, quando il velo che
l'offusca si solleva dalla visione mentale - l'«άχλύζ ή πρίιυ έπήεν» - e l'intelletto elettrizzato
supera ampiamente la propria condizione quotidiana, come la vivida se pur candida ragione di
Leibniz supera la folle e inconsistente retorica di Gorgia. Anche respirare mi dava gioia, così
come taluni motivi di pena diventavano quasi una fonte di piacere. Provava un curioso e
calmo interesse per tutte le cose. Con il sigaro in bocca ed un giornale sulle ginocchia, mi ero
divertito per tutto il pomeriggio a leggere gli annunci commentandoli, a guardare con occhio
critico la promiscua compagnia presente nella sala o a scrutare, attraverso i vetri appannati, la
strada.
Quest'ultima è una delle principali arterie della città ed era stata affollata durante tutto
il giorno. Ora si stava facendo buio e si erano accese le lampade, l'affollamento aumentava e
due fitte correnti di gente passavano davanti alla porta. Non mi era mai capitato di essere in
quella situazione in quel particolare momento della sera ed il tumultuoso mare di teste umane
mi riempiva di una sconosciuta emozione. Alla fine trascurai completamente l'interno per
concentrare la mia attenzione sull'esterno del caffè. Dapprima le mie osservazioni si
limitavano ad un astratto esame generale. Vedevo la gente solo come massa di esseri associata
da una relazione di vicinanza. Ben presto cominciai a guardare i dettagli, interessandomi
minutamente delle innumerevoli varietà di figure, abiti, atteggiamenti, visi e fisionomie.
Per la maggior parte, quelli che passavano avevano un atteggiamento soddisfatto, da
uomini d'affari e sembravano essere intenti solo ad aprirsi un varco tra la calca. Avevano la
fronte accigliata, giravano gli occhi qua e là e se erano urtati dagli altri passanti, non
mostravano segni di irritazione ma aggiustandosi un po' i vestiti procedevano oltre. Altri,
ancora in notevole numero, si muovevano inquieti, con volti accesi, gesticolando e parlando
tra sé, come se si sentissero soli nonostante la folla intorno. Quando trovavano un ostacolo al
loro cammino cessavano immediatamente di borbottare, ma raddoppiavano il loro gesticolare,
ed attendevano con un assente e stanco sorriso sulle labbra, che le persone sulla loro via si
togliessero di mezzo. Se venivano urtati si profondevano in scuse con chi li aveva urtati,
sopraffatti dalla confusione. Non c'era niente di rilevante in queste due categorie di persone al
di là di quello che ho notato. I loro abiti appartenevano a quelli classificati con esattezza
decenti. Indubbiamente si trattava di nobili, mercanti, avvocati, commercianti e agenti di
borsa, uomini d'affari - gli Eupatridi e gli esponenti comuni della società - uomini senza
impegni di lavoro e uomini impegnati invece in propri affari, direttamente gestiti. Non
sollecitavano, neanche un po', la mia attenzione.
La categoria degli impiegati era riconoscibilissima e avevo individuato tra di loro due
evidenti suddivisioni. Da un lato i giovani impiegati, di ditte alla moda, giovani gentiluomini
con giacche attillate, scarpe lucide, capelli impomatati, sorriso arrogante. A parte una certa
affettazione, che potrebbe definirsi impiegatismo in mancanza di un termine migliore, i modi
di costoro sembravano un esatto facsimile di quanto era stato la perfezione del bon ton, dodici
o diciotto mesi prima. Ostentavano i vezzi ormai smessi dall'aristocrazia: questo, credo, sia il
miglior modo di definire questa categoria.
Sulla categoria degli impiegati superiori delle ditte solide, quella dei «vecchi tipi
solidi», non era possibile sbagliarsi. Erano riconoscibili per le giacche e i pantaloni neri o
marroni, di foggia comoda, con panciotti e cravatte bianche, larghe scarpe dall'aria robusta,
con ghette o calze pesanti. Avevano teste un po' calve, dalle quali l'estremità superiore
dell'orecchio destro, per l'abitudine di appoggiarvi la penna, sporgeva un po' comicamente.
Osservai che si toglievano e rimettevano i cappelli con entrambe le mani e portavano orologi
sospesi a corte catene d'oro, di foggia antiquata. La loro era una affettazione di rispettabilità -
se ci può essere affettazione così onorevole.
C'erano molti individui dall'aria elegante, che ero in grado di classificare con facilità
nella razza dei borseggiatori in guanti gialli, una specie che infesta tutte le grandi città.
Osservavo con molta curiosità questi individui e immaginavo che potessero essere presi per
gentiluomini dai gentiluomini autentici. I voluminosi polsini e un'aria eccessivamente
disinvolta, ne tradivano subito l'identità.
I giocatori professionisti che. a quanto vedevo, erano non pochi, erano ancor più
facilmente riconoscibili. Vestivano in molte fogge, da quelle dei più tracotanti giocatori di
bussolotti, con i panciotti di velluto, i fantasiosi fazzoletti da collo, le catene dorate, i bottoni
in filigrana, a quelle degli ecclesiastici scrupolosamente prive di ornamenti e destinate ad
allontanare ogni sospetto. Tutti però si distinguevano per un aspetto molle, il colorito scuro,
gli occhi opachi, un certo pallore delle labbra serrate. Altri due tratti caratteristici li
distinguevano: un tono di voce guardingo e dimesso ed una eccessiva estensione del pollice
ad angolo retto con le altre dita. Molto spesso in loro compagnia c'erano altri in abiti diversi,
tuttavia uccelli dello stesso piumaggio.
Potevano definirsi dei gentiluomini abituati a vivere di espedienti e sembrano derubare
il pubblico divisi in due battaglioni: i bellimbusti ed i militari. I primi distinguibili per i lunghi
capelli inanellati e i sorrisi, e i secondi per gli alamari e la grinta.
Discendendo la scala di quella che viene definita signorilità, trovai più oscuri e
profondi temi di osservazione. Vidi venditori ambulanti ebrei con occhi di falco lampeggianti
su volti nei quali ogni altro tratto è espressione soltanto di abietta umiltà; robusti accattoni
professionisti, che squadravano aggressivi i mendicanti di migliore rango, che solo la
disperazione aveva ridotto a mendicare nella notte; deboli, emaciati, invalidi, ai quali la morte
aveva già messo le mani addosso, e che sfilavano, traballanti, tra la folla guardando ognuno in
faccia con occhi supplichevoli come in cerca di qualche possibilità di consolazione, di una
speranza perduta; ragazze modeste, di ritorno da un lungo, duro lavoro alle loro case senza
gioia, che si ritraevano più addolorate che sdegnate di fronte agli sguardi dei ruffiani, il cui
diretto contatto non poteva essere evitato; donne della città, di tutti i tipi e di tutte le età,
quelle di sicura bellezza dalla fiorente femminilità, che fa pensare alla statua di cui parla
Luciano: con la superficie di marmo pano e l'interno pieno di sozzura - quelle sporche,
cenciose, repellenti - quelle rugose, piene di fronzoli, megere protese nello sforzo di apparire
più giovani - quelle ancora bambine, dalle forme immature, ma già piene di civetterie, ancora
timide, ansiose di acquisire un mestiere che da lungo tempo han visto esercitare da quelle più
anziane nel vizio; ubriaconi innumerevoli e indescrivibili - alcuni vestiti di stracci e toppe,
barcollanti, incapaci di parlare, con i visi ammaccati e gli occhi opachi, altri ancora abbigliati
con qualche pretesa di eleganza, sebbene impataccati, con grosse labbra sensuali e facce
rubiconde -, altri vestiti con abiti di stoffe una volta di buona qualità ancora scupolosamente
spazzolati, uomini che camminavano con andamento sicuro ed elastico in contrasto con il
pallore del volto e gli occhi arrossati, che afferravano con le dita tremanti qualunque oggetto a
portata di mano, mentre passavano tra la folla; e ancora facchini, carbonai, gobbi, suonatori
d'organetto, ammaestratori di scimmie, cantastorie, quelli che vendevano e quelli che
cantavano, cenciosi artigiani, lavoratori sfiniti di tutti i tipi e tutti vociami, disordinati che
assordavano le orecchie e davano fastidio agli occhi.
Man mano che la notte calava, il mio interesse per la scena cresceva, non solo perché
c'era un generale cambiamento della folla (la parte migliore andava gradualmente
scomparendo, sostituita da quella più rozza, e nell'ultima ora era uscita fuori dalle sue tane
tutta la feccia della città), ma anche perché la luce delle lampade a gas, dapprima debole, si
era rafforzata e dava ad ogni oggetto un'illuminazione più vistosa. Tutto era di colore scuro
ma splendido -come quell'ebano al quale è stato paragonato lo stile di Tertulliano.
Gli strani effetti di questa illuminazione un po' folle mi avevano indotto a esaminare le
facce della gente; e, nonostante che la luce dalle finestre illuminasse solo per brevi istanti i
passanti, consentendomi solo una rapida occhiata su ciascun viso, mi sembrò, tuttavia, che nel
mio particolare stato mentale, anche quel rapido sguardo mi consentisse di leggere la storia di
lunghi anni.
Con la fronte incollata al vetro, ero a quel modo occupato a scrutare la folla, quando
all'improvviso apparve alla mia vista un volto, quello di un vecchio decrepito di
sessantacinque, settant'anni - un volto sul quale subito si fermò e si concentrò tutta la mia
attenzione, a causa dell'assoluta singolarità della sua espressione. Non avevo mai visto niente
che potesse, anche lontanamente, somigliare a quell'espressione. Ricordo che il mio primo
pensiero, dopo aver osservato costui, fu che se Retzch lo avesse visto lo avrebbe di gran lunga
preferito alle proprie incarnazioni pittoriche del demonio. Mi sforzai, nel breve momento del
mio primo esame, di analizzare in qualche modo le confuse e paradossali imprecisioni che si
affollavano nella mia mente, suscitandomi insieme idee di enorme forza intellettiva, prudenza,
grettezza, avarizia. Freddezza, malvagità sete di sangue, trionfo, gaiezza, eccessivo terrore e
di intensa... suprema disperazione. Mi sentivo sollecitato, attratto, affascinato. «Quale folle
storia», dicevo a me stesso, «è scritta dentro quel petto!» Mi venne un impellente desiderio di
vedere quell'uomo... di saperne di più sul suo conto. Indossato in fretta e furia il soprabito,
calzato il cappello e preso il bastone, mi precipitai in strada, facendomi largo nella folla verso
la direzione che gli avevo visto prendere, in quanto ora era scomparso. Con qualche difficoltà
alla fine lo ritrovai, e mi avvicinai seguendolo con prudenza per evitare di attirarne
l'attenzione.
Avevo una buona opportunità di esaminarne la persona. Era di bassa statura, molto
sottile, e apparentemente debole. I suoi abiti erano, in generale, sporchi e stracciati; ma
quando passò sotto la luce delle lampade, mi accorsi che la biancheria, sebbene sporca, era di
ottima qualità. Se la vista non mi ingannava, attraverso un'apertura del roquelaire
strettamente abbottonato e indubbiamente di seconda mano, che lo avvolgeva, mi sembrò
cogliere la vista di un diamante e di un pugnale. Queste osservazioni aumentarono la mia
curiosità e decisi di seguire lo strano individuo ovunque fosse andato.
Ora s'era fatta notte e sulla città incombeva una spessa e umida nebbia che ben presto
si trasformò in una fitta pioggia insistente. Il mutamento del tempo ebbe uno strano effetto
sulla folla mettendola in agitazione, mentre tutti sparivano sotto un mare di ombrelli. Gli
ondeggiamenti, gli spintoni, il mormorio aumentarono al massimo grado. Per parte mia non
mi curai molto della pioggia... una. vecchia febbre latente nel mio organismo faceva diventare
l'umidità una specie di pericoloso piacere. Serrando un fazzoletto sulla bocca, tirai avanti. Per
una mezz'ora il vecchio continuò il suo cammino con qualche difficoltà lungo l'arteria e io gli
restai a contatto di gomito per paura di perderlo di vista. Non si girò mai e non fece caso a me.
Dopo un po' prese una strada laterale ancora densamente popolata di gente ma non così
affollata come la via principale. Qui cambiò contegno; camminava più lentamente, con
minore determinazione, con maggiori esitazioni. Attraversò e riattraversò la strada più volte,
senza uno scopo apparente; la folla era ancora così fitta, che fui costretto a seguirlo molto da
vicino in ogni movimento. La strada era lunga e stretta e il percorso durò quasi un'ora, durante
la quale i passanti si erano diradati riducendosi al numero che normalmente si vede a
mezzogiorno a Broadway nei pressi del parco... così netta è la differenza di popolazione tra
Londra e la più popolosa città americana. Una seconda svolta ci portò in una piazza,
sfarzosamente illuminata e piena di vita. Il vecchio atteggiamento dell'uomo fece la sua
ricomparsa. Il mento ricadde sul petto, sotto le sopracciglia aggrottate, gli occhi rotearono
nervosamente in ogni direzione su quelli che lo attorniavano. Avanzava con energia e tenacia.
Mi sorprese, tuttavia, osservare che, dopo aver percorso l'intero giro della piazza, egli voltasse
ritornando sui propri passi ed ancor più mi sorprese vedergli ripetere lo stesso tragitto più
volte - ad un certo momento quasi mi scoprì voltandosi bruscamente.
In questa attività impiegò un'altra ora, alla fine della quale avevamo meno ostacoli da
parte dei passanti sempre più radi. La pioggia si era intensificata, l'aria era più fredda e la
gente si rintanava nelle case. Con un gesto di impazienza, il vagabondo passò in una strada
laterale relativamente deserta. Alla fine di questa, lunga più di quattrocento metri, si mosse
con una rapidità che non mi sarei mai sognato di vedere in una persona così anziana e che mi
creò non poche difficoltà nel seguirlo. In pochi minuti arrivammo a un vasto e affollato bazar,
posto che lo sconosciuto sembrava conoscere bene e dove tornò al suo contegno originario e a
muoversi avanti e indietro, senza scopo, in mezzo alla folla di venditori e compratori.
Durante l'ora e mezza all'incirca, che egli trascorse nella piazza, fu necessaria molta
prudenza da parte mia, per seguirlo senza attirarne l'attenzione. Fortunatamente indossavo
soprascarpe di gomma e mi potevo muovere senza far rumore, così che in nessun momento si
accorse che lo osservavo. Entrò in un negozio dopo l'altro, non si interessò dei prezzi, non
disse una parola, guardò tutti gli oggetti con uno strano sguardo assente e fisso. Ero molto
stupito del suo comportamento e fermamente deciso a non allontanarmi da lui prima di aver
capito qualcosa sul suo conto.
Un orologio batté con cupi rintocchi le undici e la gente stava lasciando il bazar. Il
proprietario di una bottega, mettendo una serranda, urtò il vecchio; vidi il suo corpo percorso
da un forte brivido. Si affrettò sulla strada, guardò ansiosamente intorno per un istante, poi
con incredibile rapidità percorse numerosi vicoli tortuosi, solitari, fino a che non riuscì ancora
una volta sulla grande strada dalla quale eravamo partiti, la strada del caffè D. Ma la strada
non aveva lo stesso aspetto di prima: brillava ancora per la luce a gas, ma la pioggia cadeva
abbondante e c'erano ben poche persone in vista. Lo straniero era impallidito, fece
malvolentieri pochi passi nella strada prima affollata, poi, con un pesante sospiro, voltò in
direzione del fiume e tuffandosi in viuzze laterali, giunse infine di fronte a uno dei principali
teatri. Lo stavano chiudendo e gli spettatori si riversavano in folla delle uscite. Vidi il vecchio
respirare affannosamente, come senza fiato, mentre si mescolava alla folla, ma mi sembrò che
la sofferenza sul suo volto fosse diminuita. La sua testa ricadde di nuovo sul petto, sembrò
tornato quello che avevo visto all'inizio. Osservai che aveva ora preso la stessa direzione della
maggior parte degli spettatori... ma dopotutto, non capivo la capricciosità delle sue azioni.
Man mano che avanzava, la folla si diradava e il vecchio aveva ripreso a muoversi con
difficoltà e vacillando. Per qualche tempo seguì un gruppo di dieci o dodici persone chiassose,
che a una a una lasciarono la compagnia, finché rimasero solo in tre in uno stretto, oscuro
vicolo poco frequentato. Lo straniero si fermò per un istante perso nei suoi pensieri, quindi,
con tutti i segni dell'agitazione, proseguì rapidamente per la sua strada e si portò nel centro
della città attraverso percorsi ben diversi da quelli fino ad allora seguiti. Era il quartiere più
rumoroso di Londra, dove tutto era caratterizzato da brutture, miseria e criminalità. Poche
lampade, disposte a casaccio, gettavano una debole luce su fatiscenti tuguri di legno corroso
dalle tarme, che traballavano e sembrava volessero cadere sui vicoli tortuosi, tra i quali era
difficile distinguere un passaggio. Le pietre del selciato giacevano qua e là, divelte dalla loro
sede dall'erba cresciuta malamente; un'orribile sozzura ostruiva i rigagnoli; l'atmosfera tutta
emanava desolazione. Mentre procedevamo i rumori della vita umana andavano riprendendo
vigore e si rividero muoversi qua e là larghe schiere di gente appartenente alla più sordida
popolazione di Londra. Gli spiriti del vecchio sembrarono ravvivarsi come quelli di una
lampada che sta per spegnersi. Ancora una volta riprese ad avanzare a grandi passi con
andamento elastico. Girammo all'improvviso un angolo, una luce accecante colpì i nostri
occhi e ci trovammo di fronte ad uno dei templi suburbani del vizio - una delle regge del
demonio, il Gin.
Era quasi l'alba, eppure un buon numero di disgraziati ubriachi continuava a entrare e
uscire. Con un mezzo grido di gioia il vecchio forzò il passaggio dell'ingresso, riassunse
subito il suo originario portamento e si mosse avanti e indietro in mezzo alla gente, senza
apparente scopo. Era appena entrato che subito un affrettarsi di tutti verso le porte fece capire
che il locale stava chiudendo per la notte. Mi sembrò che qualcosa di più intenso della
disperazione si scorgesse sul volto del singolare essere che avevo con tanta perseveranza
seguito. Ancora una volta non esitò e si diresse con inusitata energia verso il cuore della
Londra potente. Filò via senza esitazioni, mentre lo seguivo con il più insensato
interessamento, risoluto a non rinunciare a una analisi nella quale trovavo sempre maggiore
interesse. Il sole si levava mentre avanzavamo e, quando ancora una volta raggiungemmo il
più frequentato mercato della popolosa città, la strada del caffè D. presentava un aspetto di
trambusto e attività umana di poco inferiore a quelli della sera precedente. Ancora una volta,
in mezzo alla crescente confusione, persistetti nel mio proposito di seguire lo sconosciuto.
Come sempre continuò tutto il giorno a camminare su e giù, in mezzo al trambusto di quella
strada. Quando le ombre della seconda sera cominciarono a scendere, mi sentii stanco morto
e, piantandomi di fronte al vagabondo, lo guardai fisso in viso. Non si accorse di me e riprese
il suo solenne cammino, mentre io smettendo di seguirlo rimanevo tutto assorto in
contemplazione. «Questo vecchio», dissi alla fine, «ha l'impronta e il genio del crimine.
Rifiuta di essere solo. È l'uomo della folla.» Sarebbe inutile continuare a seguirlo perché non
avrei più nulla da apprendere su di lui e sulle_sue reazioni. Il peggiore cuore del mondo è un
libro più grande di Hortulus Animae 2, e forse è una delle grandi misericordie di Dio che «es
lässt sich nicht lesen» 3.
¹ «Questa grande infelicità di non poter essere solo» (N.d.T.). 2 Hortulus Animae cun Oratiunculis Aliquibus superadditis, di Grunninger. 3 «che non si lasci leggere» (N.d-T.).