Economica dello spirito - Rebecca libri

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Bernardo di Chiaravalle

IL DOVERE DI AMARE DIO

De diligendo Deo

Introduzione e note di Ambrogio M. Piazzoni

Traduzione di Ettore Paratore

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Edizione economica rivista e aggiornata del volume:Il dovere di amare DioPaoline Editoriale Libri 20124

a cura di Ambrogio M. Piazzonitraduzione di Ettore Paratore

La traduzione è pubblicata per gentile concessione dello Scriptorium Clara-vallense. Fondazione di Studi Cistercensi, Milano.

PAOLINE Editoriale Libri

© FIGLIE DI SAN PAOLO, 2014 Via Francesco Albani, 21 - 20149 Milano www.paoline.it [email protected] Distribuzione: Diffusione San Paolo s.r.l. Piazza Soncino, 5 - 20092 Cinisello Balsamo (MI)

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Abbreviazioni bibliografiche

DDD Il dovere di amare Dio (De diligendo Deo).

B.cist. Bernardo cistercense, Atti del XXVI convegno internazionale del Centro di spiritualità medie-vale, Todi 8-11 ottobre 1989, Centro italiano di Studi sull’alto Medioevo, Spoleto 1990.

B.théol. Saint Bernard théologien, Actes du Congrès de Dijon, Roma 1953 (= Analecta Sacri Ordinis Cisterciensis 9).

OSB Opere di san Bernardo, a cura di F. Gastaldel-li, Roma 1984 ss. (1. Trattati, Roma 1984; 2. Sentenze e altri testi, Roma 1990; 4. Sermoni diversi e vari, Roma 2000; 5/1-2. Sermoni sul Cantico dei Cantici, Roma 2006, 2008; 6/1-2. Lettere, Roma 1986-1987).

PL J-P. Migne, Patrologiae cursus completus, series Latina, Parisiis.

Recueil J. Leclercq, Recueil d’études sur saint Bernard, 4 voll., Roma 1962-1987 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi 92, 104, 114, 167).

SBO Sancti Bernardi Opera (edd. J. Leclercq - C.H. Talbot - H.M. Rochais per i volumi 1 e 2; edd. J. Leclercq - H.M. Rochais per i volumi 3-8), Romae 1957-1977.

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Studi Studi su S. Bernardo di Chiaravalle nell’ottavo centenario della canonizzazione. Convegno in­ternazionale. Certosa di Firenze: 6-9 novembre 1974 (Bibliotheca Cisterciensis 6) Roma 1975.

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INTRODUZIONE

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I.

IL SECOLO DI SAN BERNARDO

La « rinascita » del secolo XII

L’epoca in cui visse Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) fu una delle più vivaci, inquiete e creative del Medio Evo europeo: il secolo XII si connota difatti come periodo di profondo rinnovamento e di repentine trasfor-mazioni sotto molti profili, tanto che con successo a quel periodo sono stati attribuiti dagli storici appellativi come « rinascenza », « rinascita », e addirittura « rinascimento1, quasi a indicarvi una specie di prefigurazione del grande movimento culturale e civile italiano che ebbe inizio nel Quattrocento.

Rinnovamento e trasformazione che ovviamente furono il risultato di un lungo processo e di profondi movimenti già germinati nel secolo XI e giunti ormai a piena matura-zione. Si trattò di un cammino molto complesso, che coinvolse tutti i campi del vivere sociale e spirituale e ri-guardò l’economia, la politica, la scienza, il diritto, cano-

1 Il termine cominciò a diffondersi nel 1927 a partire dal titolo che Charles H. Haskins diede a un volume che fece epoca ed è ormai conside-rato un classico: The Renaissance of the 12th Century . La parola inglese re­naissance è la medesima che si utilizza per indicare il Rinascimento italiano; tuttavia nell’edizione italiana del volume (Bologna 1972) si è preferito tra-durre La rinascita del XII secolo, e questo termine, insieme a quello di rina­scenza, ha avuto in Italia larga diffusione. I criteri con cui debba intendersi esattamente il concetto stesso di “rinascita” e una connotazione rigorosa di quella del secolo XII si possono trovare in M.-D. Chenu, La teologia nel XII secolo, Milano 19862, pp. 23-25.

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nico e civile, la cultura nei suoi vari aspetti, artistico, lette-rario, filosofico, teologico.

La società

In tutto l’Occidente la popolazione aumentava, ingran-diva villaggi e città, allargava i confini delle terre coltivate riconquistando alle foreste e alle paludi ampie porzioni di territorio2; lo sviluppo delle campagne fu accompagnato e favorito anche da importanti innovazioni nel campo delle tecniche agrarie3 e i primi beneficiari del conseguente ac-crescimento della produzione e del benessere furono i proprietari terrieri, quella aristocrazia fondiaria che, profit-tando dello sfaldamento del potere centrale dell’epoca postcarolingia, si era di fatto impadronita del potere eco-nomico e politico e costituiva, attraverso un reticolo molto ben articolato di rapporti feudali, la classe socialmente dominante4.

La crescita della disponibilità dei prodotti agricoli e la necessità di una loro distribuzione contribuirono anche alla

2 Sul rilancio della produzione agricola e sulla ripresa demografica si vedano G. Duby, L’economia rurale nell’Europa medievale, Bari 1962; Agri­coltura e mondo rurale in Occidente nell’alto Medioevo, Spoleto 1966 (Atti della XIII Settimana di studio del Centro italiano di Studi sull’alto Medio-evo); R. Grand - R. Delatouche, Storia agraria del Medioevo, Milano 1968; J.C. Russel, La popolazione europea dal 500 al 1500, in Storia economica d’Europa. I. Il Medioevo, Torino 1979, pp. 13-54.

3 Di particolare rilievo furono la rotazione triennale delle colture, l’in-troduzione dell’aratro di ferro su ruote e la diffusione del cavallo da tiro che gradatamente, a partire dall’Europa del Nord, sostituirono la rotazione biennale delle culture, l’aratro di legno e il traino con buoi che si usavano già nell’antichità. Su questi temi cfr. M. Bloch, Lavoro e tecnica nel Medio­evo, Bari 1959.

4 Ancora insuperato, come opera di sintesi, è il lavoro di M. Bloch, La società feudale, Torino 19759.

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nascita del nuovo gruppo sociale dei mercanti, piuttosto malvisti dai contemporanei5, ma strumenti sempre più consapevoli di un nuovo modo di vivere e di una cultura che associava allo scambio delle merci anche quello delle informazioni, delle opinioni, delle idee.

Vennero creati nuovi insediamenti urbani, mentre le antiche città si ripopolarono e si ingrandirono diventando presto i centri propulsori non solo delle attività economiche legate al commercio o all’artigianato, tanto più necessari in presenza di forti addensamenti di popolazione, ma anche di valori sempre più differenziati da quelli del mondo del-le campagne, in uno spirito di libertà e di creatività che non aveva precedenti nell’epoca appena trascorsa6. Si sviluppa-rono, fra persone che esercitavano lo stesso mestiere, espe-rienze di associazionismo che, nate dal desiderio di mutua solidarietà e di affrancamento, costituirono ben presto strutture autonome in grado di difendere i propri interessi e di elaborare progetti di sviluppo. Gli esiti finali più inte-ressanti di queste esperienze possono essere considerati, in diversi settori, le strutture politiche comunali, le associa-

5 I mercanti sembravano non produrre nulla, limitandosi a guadagnare su transazioni di merci prodotte da altri, e tale attività, che sfuggiva alla catalo-gazione consueta di una società fondata fino ad allora quasi unicamente su un’economia di scambio rudimentale, suscitava scandalo. Solo più tardi si ri-conobbe dignità all’attività mercantile, che produceva ricchezza, visibile nella crescita della circolazione monetaria e in una maggiore disponibilità finanzia-ria (cfr. J. Le Goff, La borsa e la vita, Roma - Bari 1987). Lo sviluppo del commercio aveva anche posto problemi nuovi, come quello della definizione del “giusto prezzo” e della funzione del prestito di denaro, originariamente assimilato senz’altro all’usura, che impegnarono a lungo la riflessione dei teo-logi prima che si potesse giungere a moderne formulazioni; cfr. il volume miscellaneo L’etica economica medievale, curato da O. Capitani, Bologna 1974, e in particolare il saggio di A. Sapori, Il giusto prezzo nella dottrina di s. Tommaso e nella pratica del suo tempo, pp. 95-130.

6 D’obbligo il riferimento a H. Pirenne, Le città del Medio Evo, Bari 1972.

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zioni professionali e il sorgere, dalle scuole urbane, delle universitates, cioè delle associazioni di maestri e di studen-ti, che in modo determinante caratterizzarono la vita poli-tica, economica e culturale del secolo successivo.

Bernardo di Chiaravalle non proveniva dai nuovi ceti sociali legati alla città, ma dall’aristocrazia fondiaria e feu-dale, ceto sociale a struttura piramidale, la cui base era costituita da aristocratici minori, i cavalieri o milites, che con il tempo avevano ricevuto, anche se su scala ridotta, gli stessi poteri dei grandi feudatari. La vitalità demografica e l’ottimo stato della loro condizione politica ed economica avevano contribuito ad accrescere notevolmente il numero dei figli cadetti di nobili famiglie, ai quali non era permes-so, a causa della normativa consuetudinaria vigente in materia di diritto successorio, di sostituire i padri nella gestione del potere7.

La disponibilità dei giovani aristocratici prendeva soven-te la strada dell’avventura di guerra, che non si deve imma-ginare solo nella forma di nazioni in armi che si combatto-no, ma anche in quella – molto più frazionata e diffusa – che a ogni occasione si concretizzava in saccheggi e ruberie, angherie e soprusi di ogni genere. A un tal clima di diffusa violenza la Chiesa aveva tentato di porre rimedio già dalla fine del secolo X organizzando le “paci di Dio”, movimenti che impegnavano con un giuramento i cavalieri a non op-primere i poveri, a rispettare le chiese e a difendere i deboli8. Gradatamente, nei confronti di questa cavalleresca fascia di

7 Oltre a M. Bloch, La società feudale, cfr. R. Boutruche, Signoria e feudalesimo. II. Signoria rurale e feudo, Bologna 1974.

8 I movimenti di pace compaiono esplicitamente per la prima volta nei decreti dei vescovi riuniti al concilio di Charroux, vicino a Poitiers, nel 987. La loro diffusione raggiunse la Borgogna (la regione di Bernardo di Chiara-valle) nel secolo successivo; cfr. M. Bloch, La società feudale, pp. 462-465.

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popolazione, vivace e avventurosa, l’atteggiamento della Chiesa si definì meglio: non si volle più soltanto arginarne gli effetti devastanti, ma si intese recuperare culturalmente e ideologicamente un fenomeno sociale dalle spiccate con-notazioni di vitalità9. Da qui nasce il riuscito tentativo di riscoperta della funzione dei milites, rivestita di sacralità e considerata strumento di una missione salvifica, che sfociò in quella grande avventura dell’Occidente che furono le crociate, la prima bandita dal papa cluniacense Urbano II nel 1096, la seconda dal cisterciense Eugenio III nel 1145 e predicata da Bernardo di Chiaravalle10.

La Chiesa

Nel contesto di generale rinnovamento del tempo, la vita spirituale e religiosa non fu da meno: nel secolo XII si assiste infatti agli esiti della riforma della Chiesa iniziata nella prima metà del secolo XI, che, con espressione como-da ma imprecisa, vien detta “gregoriana”11. Non si trattò

9 Si segnala il contributo di F. Cardini, Il guerriero e il cavaliere, in L’uo­mo medievale, a cura di J. Le Goff, Roma - Bari 1987, pp. 81-123.

10 Su questi temi cfr. « Militia Christi » e crociata nei secoli XI­XIII. Atti della undecima Settimana internazionale di studi medievali (Mendola, 28 agosto ­1 settembre 1989), a cura dell’Università Cattolica di Milano, Mila-no 1992.

11 L’imprecisione dell’espressione « riforma gregoriana » apparirà imme-diatamente quando si rifletta sul fatto che essa non può essere attribuita alla sola azione di Gregorio VII (1073-1085), ma fu un lungo processo preparato dai suoi predecessori e conclusosi solo con i suoi successori, che seppero anzi abilmente rimediare alle imprudenze e alla sconfitta finale di Gregorio. Oltre all’ancora fondamentale A. Fliche, La riforma gregoriana e la riconquista cristiana (1057­1123), Torino 19722 (Storia della Chiesa, dir. A. Fliche e V. Martin, 8), si vedano almeno G. Miccoli, Chiesa gregoriana. Ricerche sulla Riforma del secolo XI, Firenze 1966 e O. Capitani, Immunità vescovili ed ecclesiologia in età « pregregoriana » e « gregoriana ». L’avvio alla « restaurazione », Spoleto 19732.

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soltanto di una iniziativa del papato o della gerarchia ec-clesiastica per la conquista e la difesa della libertas Ecclesiae, cioè dell’autonomia della Chiesa dal potere civile; né ci si limitò alla riforma dei costumi del clero reprimendo prati-che eticamente non corrette allora diffuse, come la simonia o il nicolaismo12. Accanto agli aspetti politici e giuridico-normativi, accanto a quella che fu chiamata la lotta per le investiture e all’azione dei pontefici e dei canonisti13, non si può tacere l’esistenza di una profonda aspirazione al rinnovamento spirituale presente a tutti i livelli della cri-stianità, fra i chierici e fra i monaci, ma anche (e in qualche momento particolarmente) fra i laici. Fu il desiderio di tornare alla purezza della Chiesa primitiva e di una vita più evangelica a preparare il terreno e a fornire la spinta deci-siva per la riforma.

I successi istituzionali ottenuti dal papato furono i pri-mi significativi risultati del movimento di riforma: grada-tamente la Chiesa cominciò a sottrarsi al controllo del potere civile, anzitutto rendendo indipendente l’elezione

12 La simonia era la diffusa pratica dell’acquisto a pagamento delle cari-che ecclesiastiche: sul tema cfr. J. Gilchrist, « Simoniaca haeresis » and the Problem of Orders from Leo IX to Gratian, in Proceedings of the Second In­ternational Congress of Medieval Canon Law, Città del Vaticano 1965, pp. 209-235. Il nicolaismo era l’atteggiamento che si opponeva al celibato sacerdotale: si veda G. Fornasari, Celibato sacerdotale e « autocoscienza » eccle­siale. Per la storia della « Nicolaitica haeresis » nell’Occidente medievale, Trieste 1981, che offre uno sguardo panoramico ma preciso e documentato di que-sto problema, nelle sue connotazioni giuridiche e spirituali.

13 La rinascita del diritto canonico è un aspetto che non può essere tralasciato; lo studio delle fonti giuridiche, la scoperta quindi dell’insuffi-cienza delle compilazioni allora diffuse, come quella realizzata da Burcar-do di Worms († 1025), e la paziente ricerca delle fonti normative tra gli atti conciliari, i registri papali, il diritto giustinianeo, le opere dei Padri, permisero ai riformatori di raggiungere quella chiarezza indispensabile a realizzare una solida costruzione fondata sul diritto e non solo sui rappor-ti di forza.

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del papa dal favore dell’imperatore14 e imponendosi poi nel delicato problema delle designazioni episcopali; in questa direzione, ormai durante la vita di Bernardo di Chiaraval-le, furono conclusi accordi con il re di Francia, nel 1107, e soprattutto fu stipulato, nel 1122, il cosiddetto concorda-to di Worms tra Callisto II e l’imperatore Enrico V. Ma i risultati istituzionali non esaurirono lo slancio di rinnova-mento che era stato all’origine del movimento e che resta-va ancora inappagato sotto molti aspetti15.

Nell’ambiente del clero la riforma imboccò la felice strada delle istituzioni dei canonici regolari, così detti per-ché si proponevano di seguire una precisa regola, che li impegnava su vari punti della loro vita sacerdotale16; dedi-

14 Con il decreto emanato da Niccolò II nel corso del sinodo romano del 1059, all’imperatore era lasciato soltanto un vago diritto di conferma della scelta che veniva, invece, riservata ai cardinali; cfr. D. Jasper, Das Papstwahl­dekret von 1059: Überlieferung und Textgestalt, Sigmaringen 1986. Nella se-conda metà del secolo XI si verificò un grande sviluppo degli uffici centrali della curia pontificia e del collegio cardinalizio, che divenne un organismo permanente di governo della Chiesa. Il controllo e l’applicazione delle rifor-me veniva poi assicurato alla periferia dai legati pontifici i quali, convocando concili locali e intervenendo con pieni poteri nelle varie situazioni, seppero garantire l’applicazione della politica pontificia nel suo duplice aspetto di riforma e di centralizzazione romana. Ottimo punto di partenza per un ap-profondimento su questi temi è costituito dal volume Le istituzioni ecclesia­stiche dei secoli XI­XII. Papato, cardinalato ed episcopato (Atti della V settima-na internazionale di studio, Mendola 1971), Milano 1974.

15 Particolarmente lucido il lavoro di M.-D. Chenu, Moines, clercs, laïcs au carrefour de la vie évangélique, in Revue d’histoire ecclésiastique 49 (1954) 59-89.

16 In modo particolare erano raccomandati il celibato, la proprietà co-mune dei beni, la vita e la preghiera comune; su questi temi si vedano la fondamentale voce di C. Dereine, Chanoines, in Dictionnaire d’histoire et de géographie ecclésiastiques, XIII, Paris 1953, coll. 353-405, e La vita comune del clero nei secoli XI e XII (Atti della I settimana internazionale di studio, Mendola 1959), Milano 1962, particolarmente il contributo di I.-F. Lema-rignier, Aspects politiques des fondations de collégiales dans le royaume de Fran­ce en XIe siècle, pp. 19-40.

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ti alla cura d’anime, costituirono spesso un efficace mezzo di propagazione della riforma, incontrando il sempre cre-scente favore dei vescovi e, a partire da Urbano II (1088-1099), anche quello papale17.

Il mondo dei laici favorevoli alla riforma della Chiesa era molto meno organizzato e lo scontento e l’ansia per una più pura vita spirituale spesso si esprimevano in sussulti di protesta contro un vescovo giudicato indegno o nel soste-gno, non solo di opinione ma anche economico, fornito a una comunità di canonici regolari, invitata a prendere possesso di una parrocchia fino ad allora affidata al clero secolare. Altre volte le esigenze spirituali del laicato trova-vano appagamento nei messaggi pauperistici ed evangelici annunciati da predicatori itineranti che diedero in molti casi origine a forme ereticali più o meno diffuse18.

17 Anche le istituzioni canonicali erano state rinnovate con il sinodo lateranense del 1059, in occasione del quale, per la prima volta, l’autorità centrale della Chiesa approvò la vita religiosa clericale. Non fu tuttavia allo-ra promulgata alcuna nuova regola, ma venne corretta quella precedente, la cosiddetta regola di Aquisgrana (che era il frutto di varie rielaborazioni del-la prima regola dei canonici regolari, scritta in epoca carolingia da Crode-gango per i canonici della cattedrale di Metz), ritenuta troppo indulgente sul tema della povertà. Cfr. in particolare quanto disse Niccolò II durante il Sinodo (A. Werminghoff, Neues Archiv der Gesellschaft für ältere deutsche Geschichtskunde 27 [1902] 670) citato da C. Egger, Canonici regolari, in Di­zionario degli istituti di perfezione, II, s.l. 1975, col. 51.

18 Oltre al già citato articolo di M.-D. Chenu, si veda I laici nella « societas Christiana » dei secoli XI e XII (Atti della III settimana internazionale di stu-dio, Mendola 1965) Milano 1968. Sulle eresie, oltre agli ormai classici volu-mi, che esprimono due diversi modi di intendere i movimenti ereticali medie-vali, di G. Volpe, Movimenti religiosi e sette ereticali nella società medievale italiana (secoli XI­XV), Firenze 19713 (19221) e di H. Grundmann, Movimen­ti religiosi nel Medioevo, Bologna 1974 (orig. Berlin 1935), non si può non ricordare R. Morghen, L’eresia nel Medioevo, in Id., Medioevo cristiano, Bari 1951, e soprattutto R. Manselli, Studi sulle eresie del secolo XII, Roma 19752; inoltre, per un approccio a più voci, si vedano i due volumi a cura di O. Ca-pitani, L’eresia medievale, Bologna 1971, e Medioevo ereticale, Bologna 1977.

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Il monachesimo cluniacense

Pontefici, alti ecclesiastici, clero, laici. E i monaci? Il monachesimo, che per lunghi secoli aveva indubbiamente rappresentato l’espressione organizzata più significativa dell’esperienza cristiana, aveva saputo percorrere le vie del rinnovamento ancor prima che si diffondessero gli ideali della riforma della Chiesa, trovando nella propria spiritua-lità la forza profetica per scorgerne le esigenze e quella operativa per attuarlo al proprio interno; in particolare dev’essere ricordata, anche per l’incidenza che ebbe nella vita di Bernardo, l’opera svolta dall’abbazia benedettina di Cluny, fondata in Borgogna nel 910.

Nella comunità che vi si era insediata sotto la guida dell’abate Bernone (910-927) veniva praticata la regola benedettina ma con alcune sottolineature che mettevano soprattutto in risalto la funzione del monaco come uomo dedito alla preghiera; delle tre fondamentali occupazioni del monaco previste da Benedetto, infatti, la riforma clu-niacense aveva privilegiato l’oratio (nelle forme della pre-ghiera comune e della sempre più elaborata liturgia) e la lectio (la lettura e la meditazione dei testi sacri), riducendo invece l’opus manuum (il lavoro fatto con le proprie mani), che di fatto venne progressivamente abbandonato dai mo-naci e sostituito da attività di tipo intellettuale19.

Le circostanze caratteristiche della fondazione di Cluny avevano permesso di sottrarre l’abbazia al controllo del ve-

19 La bibliografia sul monachesimo cluniacense è sterminata; rimando solo a due opere fondamentali: G. de Valous, Le monachisme clunisien des origines au XVè siècle: vie intérieure des monastères et organisation de l’ordre, Paris 19702, in 2 volumi, e J.-H. Pignot, Histoire de l’ordre de Cluny depuis la fondation de l’abbaye jusqu’à la mort de Pierre le Vénérable, Autun - Paris 1868, in 3 volumi, alle quali può utilmente aggiungersi Spiritualità clunia­cense (Convegni del Centro di spiritualità medievale, 2), Todi 1960.

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scovo locale attraverso l’istituto dell’esenzione, subordinan-dola direttamente all’autorità papale20. Le doti organizzative e la costante azione di santi abati capaci e intelligenti quali Oddone (927-942), Maiolo (942-994), Odilone (994-1049) e Ugo (1049-1109) avevano rapidamente esteso la riforma impiantata a Cluny e l’abbazia borgognona si trovò presto a essere al centro di una vasta e unitaria struttura monastica riformata; moltissime fondazioni, nuove o rinnovate secon-do il suo modello, erano tra loro riunite in un sistema gerar-chico, subito di decine, poi di centinaia e infine di circa milleduecento insediamenti, posti sotto la direzione di un unico abate, quello di Cluny, cui era direttamente affidato il governo dell’intero ordine (ordo Cluniacensis) e che a sua volta rispondeva soltanto al pontefice di Roma21.

Il lungo abbaziato di sant’Ugo può considerarsi il mo-mento culminante dell’esperienza benedettina nelle forme cluniacensi, e si concluse negli stessi anni in cui Bernardo

20 Il processo che condusse alla trasformazione della primitiva condizio-ne giuridica della immunità (fondata sulla donazione di Guglielmo I di Aquitania che stava all’origine di Cluny) allo statuto di esenzione è ben delineato da G.M. Cantarella, Cluny tra passato e futuro nelle « Vite » di sant’Ugo, in G. Cantarella - D. Tuniz (curr.), Cluny e il suo abate Ugo; splen­dore e crisi di un grande ordine monastico, Milano - Novara 1982, pp. 10-19; si vedano anche J.-F. Lemarignier, L’exemption monastique et les origines de la réforme grégorienne, in À Cluny. Congrès scientifique, Dijon 1950, pp. 288-344 e C. Violante, Il monachesimo cluniacense di fronte al mondo politico ed ecclesiastico (sec. X e XI), in Spiritualità cluniacense, pp. 155-242.

21 Il costante riferimento all’autorità centrale della Chiesa e la caratteri-stica attenzione all’aspetto spirituale della vita religiosa resero di fatto il movimento cluniacense uno dei crogiuoli ideologici della riforma, che la capillarità della sua struttura seppe diffondere a tutti i livelli. Sull’importan-za e sull’efficacia del movimento cluniacense in questo contesto si vedano R. Morghen, Medioevo cristiano, p. 33 e H. Hoffmann, Cluny und gregoria­nische Reform, in Archiv für Kulturgeschichte 45 (1953) 165-209. Cfr. anche il fondamentale studio di H.E.J. Cowdrey, The Cluniacs and the Gregorian Reform, Oxford 1970.

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decideva di farsi monaco. In modo insolito, tuttavia. L’am-biente sociale da cui questi proveniva, la nobiltà feudale e rurale, lo orientava certo verso Cluny: quel giovane borgo-gnone scelse invece una diversa osservanza monastica, di recentissima istituzione e in una fase che è benevolo defi-nire ancora poco strutturata.

Nuove forme di monachesimo

Dalla seconda metà del secolo XI infatti, proprio nel pieno dello splendore cluniacense, il mondo monastico era in grande travaglio: il desiderio di purezza e di ritorno alla vita evangelica prendevano la forma di un’attenta rilettura della Regola di Benedetto; l’anelito alla fuga dal mondo si scontrava con i legami che Cluny aveva instaurato con le strutture feudali della società; la ricerca della povertà faceva scoprire che quello cluniacense era un vero impero econo-mico e che il lavoro manuale del monaco, sua prima fonte di sostentamento secondo Benedetto, non esisteva più.

L’urgente necessità di ripensare i valori religiosi che co-stituivano il fondamento del monachesimo e di riproporli in forma adeguata, capace di rispondere alle nuove esigenze in modi che il monachesimo tradizionale non sembrava in grado di inventare, fece sorgere molti movimenti spontanei, non regolati da norme precise ma ancora alla ricerca della propria definizione. Accadeva così che sempre più frequen-temente un monaco, o un chierico, o anche un laico, abban-donasse i luoghi abitati e si recasse in qualche solitario “de-serto” per vivervi in ascesi e in preghiera, a volte raggiunto da compagni che manifestavano le stesse idealità22.

22 Come esempio di vivacità e insieme di instabilità basterà ricordare il caso del gruppo raccoltosi attorno a Oddone, scolastico di Tournai, che assunse prima il modo di vita dei canonici, poi quello benedettino, poi

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Spesso questi movimenti morirono insieme al loro fondatore; a volte però si formarono gruppi che seppero stabilizzarsi e dotarsi di una regola precisa. Alcuni manten-nero molto viva la primitiva vocazione eremitica, elaboran-do forme di vita comune che lasciavano tuttavia ampio spazio alla preghiera, al lavoro e alla meditazione indivi-duali, come avvenne per il monastero fondato nel 1015 da san Romualdo a Camaldoli, per quello organizzato a Val-lombrosa da san Giovanni Gualberto nel 1036 e soprattut-to con la nascita, nel 1084, della Grande Certosa, a opera di san Bruno di Colonia23.

Più frequentemente tuttavia il primitivo carattere ere-mitico venne sostituito da una rivalutazione della vita co-munitaria e in questo caso divenne quasi obbligata l’ado-zione della Regola di Benedetto, della quale venivano messi in luce anche quegli aspetti che le consuetudini cluniacensi avevano oscurato: il lavoro manuale anzitutto, e poi la povertà e l’austerità di vita, spesso unite a pratiche

aderì all’idea della povertà radicale e infine (anche a causa di difficoltà deri-vate da una carestia nel 1095) accolse le usanze cluniacensi; e tutto questo avvenne in meno di quattro anni; cfr. C. Dereine, Odon de Tournai et la crise du cénobitisme au XIe et XIIe siècles, in Bullettino dell’Istituto storico ita­liano per il Medio Evo e Archivio muratoriano 70 (1958) 19-41. Sui temi dell’eremitismo cfr. anche il volume miscellaneo L’eremitismo in Occidente nei secoli XI e XII (Atti della II settimana internazionale di studio, Mendola 1962), Milano 1965.

23 Per i movimenti monastici italiani, punto di riferimento preciso è costituito da G. Penco, Storia del monachesimo in Italia, Roma 1961 (nuova edizione fra i Complementi alla Storia della Chiesa, diretta da H. Jedin, Mi-lano 1983, da cui si cita); per i temi appena trattati cfr. pp. 197-204 (Ca-maldoli) e pp. 215-221 (Vallombrosa). Per un orientamento sui certosini, oltre all’ancora utilissimo H. Löbbel, Der Stifter des Karthäuserordens, der hl. Bruno von Köln, Münster 1899, si vedano B. Bligny, L’érémitisme et les Chartreux, in L‘eremitismo in Occidente, pp. 248-263; Id., Saint Bruno, le premier chartreux, Rennes 1984; le due voci relative ai Certosini del Dizio­nario degli istituti di perfezione, II, s.l. 1975, coll. 782-821.

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penitenziali rigorose. Solo a titolo di esempio si possono richiamare alla memoria istituzioni come Grandmont presso Limoges, opera dei discepoli di Stefano di Muret († 1124) e, nella Francia occidentale, le fondazioni di Savi-gny a opera di Vitale († 1122) e di Tiron a opera di Ber-nardo di Abbeville († 1117); senza dimenticare la sorpren-dente istituzione nell’Anjou di quel monastero misto maschile e femminile che fu Fontevraud, retto da una abba-dessa e fondato nel 1101 da Roberto d’Arbrissel, singolare figlio di un prete ed egli stesso prete simoniaco e concubino fino all’età di trent’anni, poi studente a Parigi, poi eremita nella foresta di Caron, fondatore di comunità canonicali e predicatore itinerante24.

I cisterciensi

La maggiore di queste nuove creazioni fu quella di Cîteaux (Cistercium), alla cui origine si pone un altro per-sonaggio positivamente irrequieto e fantasioso, Roberto di Molesmes25. Questo monaco benedettino, dopo vari ten-tativi, non riusciti, di organizzare nel proprio monastero una riforma che privilegiasse aspetti eremitici e pauperisti-

24 Cfr. J. Dalarun, La prova del fuoco. Vita e scandalo di un prete medie­vale, Roma - Bari 1989; Id., L’impossible sainteté: la vie retrouvée de Robert d’Arbrissel, Paris 1986.

25 Sulle origini dei cisterciensi, ancora non chiarite in molti particolari anche a causa della confusione e delle incertezze di carattere storico-lettera-rio delle prime fonti cisterciensi, cfr. J.-B. van Damme - J. Bouton, Les plus anciens textes de Cîteaux: sources, textes et notes historiques (Commentarii Cistercienses. Studia et documenta, 2), Achel 1974; Id., Les plus anciens textes de Cîteaux, in Cîteaux. Commentarii Cistercienses 34 (1983) 92-100; e l’innovativo J.B. Auberger, L’unanimité cistercienne: mythe ou réalité?, Achel 1986. Su Roberto si vede ancora utilmente F. Delehaye, Un moine: saint Robert fondateur de Cîteaux, in Collectanea Ordinis Cisterciensium Reforma­torum 14 (1952) 83-106.

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ci, nel 1075 fondò l’abbazia di Molesmes, nella diocesi di Langres, presso la quale presto si raccolsero alcuni vecchi eremiti e altri monaci che avevano lasciato le proprie sedi nel desiderio di vivere in povertà e solitudine. Ma il conti-nuo desiderio di Roberto di migliorare (e forse la sua inca-pacità di adattarsi a una situazione definita), unito proba-bilmente a un progressivo rilassamento della disciplina dovuto al sempre maggior numero dei monaci che lo rag-giungevano, lo spinsero, almeno in due riprese, ad abban-donare Molesmes insieme a qualche monaco fedele per cercare luoghi di ancora maggior solitudine ove fondare nuove comunità. Così fu nel 1090 ad Aux e nel 1098 a Cîteaux. I monaci rimasti a Molesmes protestarono ogni volta con molto vigore, e Roberto trovò sempre la via del ritorno. Anche nel 1099, per ordine di Urbano II, riprese i suoi compiti di abate di Molesmes, dove morì nel 1111.

Ma a Cîteaux erano rimasti alcuni monaci, sotto la guida prima di Alberico, antico priore di Molesmes che fu abate per un decennio (1099-1109), e poi di Stefano Har-ding (1109-1133, † 1134), un nobile inglese che, dopo una vita errabonda durante la quale aveva anche visitato Val-lombrosa26, era diventato monaco a Molesmes e da qui aveva seguito Roberto nella nuova fondazione. I monaci vi conducevano una vita rigorosa, cercando di ristabilire quel sapiente equilibrio benedettino tra opus Dei, lectio divina e opus manuum che a Cluny era stato rotto con la progressi-va eliminazione di quest’ultimo elemento; ulteriore simbo-lo di distacco fu la scelta dell’abito bianco (si trattava di stoffa non tinta e quindi più economica) che distingueva i nuovi cisterciensi dai “monaci neri” del benedettinesimo contemporaneo; accogliendo le loro istanze Pasquale II

26 Cfr. R. Douvernay, Cîteaux, Vallombreuse et Etienne Harding, in Ana­lecta Sacri Ordinis Cisterciensis 8 (1952) 379-495.

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concesse già nel 1100 un privilegio che affrancava la nuova comunità, anche giuridicamente, da Molesmes.

Tutto questo avveniva a un paio di giornate di cammi-no dal luogo dove era intanto nato Bernardo, la cui vita si intrecciò profondamente con quella del movimento cister-ciense; la sua personalità fu di protagonista: non si limitò ad attraversare quel grande periodo della storia europea, ma contribuì in modo determinante a connotarlo, tanto che spesso si è definito il XII secolo come « il secolo di san Bernardo ».