ECONOMIA DELL’IMPRESA - Appunti Luiss · 2020. 5. 20. · Differenze tra Coase e Simon ... Il...

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ECONOMIA DELL’IMPRESA M.R. APPUNTI LUISS [email protected]

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ECONOMIA DELL’IMPRESA M.R.

APPUNTI LUISS [email protected]

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SOMMARIO

La Concorrenza ............................................................................................................... 4

La Natura e Dimensione Dell’Impresa.............................................................................. 9

La Dimensione Dell’Impresa ...................................................................................... 10

Natura e Dimensione Dell’Impresa. ........................................................................... 10

L’Impresa Come Squadra. .......................................................................................... 12

L’Impresa Come Relazione di Lungo Periodo e Come Organizzazione Governata dall’Autorità. ............................................................................................................. 13

L’Impresa Come Capitale Conoscitivo. ....................................................................... 15

La dimensione dell’Impresa – I Confini. ..................................................................... 16

Le Dimensioni Dell’Impresa – Gli Effetti Della Domanda. ........................................... 21

Le Forme Istituzionali Dell’Impresa................................................................................ 22

L’Impresa: interpretazione contrattualistica e olistica. .............................................. 23

I vari modelli istituzionali dell’impresa....................................................................... 23

Alcune Classificazioni Relative alla Proprietà Del Capitale. ......................................... 25

Motivazioni Delle Varie Forme Istituzionali................................................................ 25

Gli Obiettivi Dell’Impresa Capitalistica. ...................................................................... 28

L’impresa Capitalistica: Efficienza e Limiti. ................................................................. 28

L’Impresa Capitalistica CLassica – Alcuni problemi finanziari. .................................... 29

L’impresa Manageriale – La Sua Diffusione. ............................................................... 30

I Vari Tipi di Impresa Manageriale. ............................................................................ 31

L’Impresa Manageriale. ............................................................................................. 32

Costi e Vantaggi Dell’Impresa Manageriale. ............................................................... 32

Le Imprese Cooperative. ............................................................................................ 33

Le Organizzazioni Non-Profit. .................................................................................... 35

Efficienza E Organizzazione Delle Imprese ..................................................................... 36

Contenuti Ed Effetti Dell’Organizzazione. .................................................................. 36

L’Efficienza D’Impresa e La Teoria Economica............................................................ 37

Il Massimo Impegno: Tempi Moderni e Paternalismo. ............................................... 38

Il Rapporto Di Agenzia Principale-Agente. ................................................................. 39

I costi organizzativi limitano la dimensione? Una risposta dalla teoria neoclassica tradizionale. .............................................................................................................. 41

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I costi organizzativi limitano la dimensione delle imprese? Il problema informativo. . 41

I Costi organizzativi limitano le dimensioni dell’impresa? Organizzazione come strumento per progettare.......................................................................................... 43

Le Forme Organizzative Dell’Impresa. ........................................................................ 43

Il Gruppo. .................................................................................................................. 46

Le Reti Di Imprese. ..................................................................................................... 47

I distretti industriali. .................................................................................................. 49

Incertezza, Evoluzione e Teoria Economica di A. Alchian ............................................... 50

La Massimizzazione Del Profitto Non è Una Guida Per L’azione. ................................ 50

Il Successo E’ Basato Sui Risultati Non Sulle Motivazioni. ........................................... 51

Il Caso o La Fortuna è un Metodo Per Raggiungere il Successo. ................................. 51

Il Caso Non vuol dire Allocazione Delle Risorse Non Diretta e Casuale. ...................... 51

Adattamento Individuale Tramite Imitazione E Tentativi Ed Errori. ............................ 53

Conclusioni e Riassunto. ............................................................................................ 54

La Razionalità in Economia – Simon ............................................................................... 55

La Natura dell’impresa – Ronald coase .......................................................................... 60

L’economia di produzione – Georgescu-Roegen ............................................................ 65

il significato di rischio e incertezza – Knight ................................................................... 70

Il modello comportamentale di cyert e march. .............................................................. 77

Differenze tra R. Coase e Knight. ................................................................................... 87

Differenze tra Coase e Simon......................................................................................... 88

Differenze tra Simon e Knight. ....................................................................................... 89

Il significato di rischio e incertezza ................................................................................. 91

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LA CONCORRENZA

L’economia politica parte immaginando l’uomo com’è, nella sua realtà fattuale, e dunque individua quale elemento naturale e fondante del comportamento di ogni soggetto economico una naturale tensione continua che spinge i diversi soggetti ad operare sistematicamente nel modo più opportuno, così da conseguire i risultati ritenuti migliori. L’uomo è poi anche animale politico e perciò deve essere immaginato immerso nei suoi rapporti di rivalità e interdipendenza con gli altri soggetti economici. La rivalità è ciò che la economia politica indica con il termine di concorrenza, come una gara alla quale partecipano i diversi attori economici, tutti vogliosi di assicurarsi la posizione più vantaggiosa. Come avviene per ogni gara è necessario anzitutto individuare le regole del gioco, e quindi nasce uno dei problemi della filosofia politica ossia quello della definizione del contesto istituzionale più appropriato per far esprimere la concorrenza. L’economia politica nasce alla fine del XVIII secolo con lo scopo di dimostrare come il libero dispiegarsi della rivalità appare vincolato in un contesto istituzionale minimo è in grado di conseguire il massimo benessere sociale. Detto sistema economico è detto laissez-faire. Partiamo dal noto principio della mano invisibile elaborato da Adam Smith che esprima la convinzione che senza alcun intervento della legge i diversi interessi e le passioni portano gli uomini naturalmente a dividere il capitale di ogni società tra tutte le diverse attività che secondo la proporzione più conforme all’interesse della società.

Si pone il problema di individuare l’insieme delle condizioni minime perché si realizzi quanto ipotizzato da Smith, ed è questo il problema che caratterizza il nucleo della ricerca teorica della scuola neoclassica, una riflessione che invece è assente presso i classici. I classici non si sforzano neanche di definire analiticamente il termine concorrenza che viene utilizzato nella sua accezione di gara. La descrizione fatta dai classici del modo di operare della concorrenza richiama sostanzialmente quello che oggi gli economisti chiamano concorrenza sul prezzo. Quando in un certo mercato la quantità domandata supera quella offerta, i consumatori entreranno in competizione tra loro e qualcuno sarà anche disposto a pagare un prezzo superiore a quello di mercato; l’aumento del prezzo a sua volta spingerà i produttori ad aumentare la quantità offerta e ai consumatori marginali di ritirarsi, raggiungendo così l’equilibrio. Un fenomeno contrario lo abbiamo nel caso di quantità domanda inferiore a quella offerta. Per ogni bene aventi caratteristiche da tutti conosciute il processo concorrenziale determinerà un prezzo unico che è uguale ai costi medi minimi di produzione. Questo accade perché ogni acquirente acquisterà da quel venditore che offrirà al prezzo più basso, e dall’altra parte ogni venditore che può produrre a un costo inferiore a quel prezzo avrà convenienza a produrre e vendere, questo porterà alla caduta dei prezzi fino a quando tutti dovranno vendere a un prezzo unico non superiore al costo medio minimo. Come anticipato, i classici non si pongono il problema della individuazione delle condizioni minime.

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La riflessione più interessante in detto senso è quella offerta da Adam Smith nella Ricchezza delle Nazioni. Smith sostiene che affinché la concorrenza possa operare in maniera piena e completa, ciascun soggetto economico deve essere in grado di trasferire rapidamente e senza costi le proprie risorse dagli impieghi che gli appaiono meno convenienti agli impieghi che gli appaiono più convenienti. Deve essere quindi possibile entrare e uscire dal mercato senza costi. I possibili ostacoli in detto senso possono essere:

Di natura istituzionale in virtù di limiti legali o amministrativi; Limiti di natura più strettamente economica che rendono il trasferimento di

risorse costo.

Affinché vi siano ostacoli di carattere economico è necessario che vi sia un elemento di asimmetria tra i soggetti economici già presenti sul mercato come il caso in cui vi sia un fattore scarso che determina una situazione di rendita, vi siano economie di scala o vi siano processi caratterizzati dal learning by doing.

Il tema degli ostacoli istituzionali alla concorrenza ha giocato un ruolo preminenti fino ad Adam Smith, poi ripreso dalla scuola austriaca, gli economisti neoclassici, invece, prediligono le spiegazioni di tipo non istituzionale. Il primo a seguire questo approccio fu A. Cournot che sostenne che la concorrenza opera in maniera piena e completa quando ciascun agente economico tratta il prezzo come un parametro che egli non è in grado di modificare mediante variazioni nella quantità domandata e offerta. Cournot affermò che detta condizione si realizzava nell’economia sociale per le produzioni più importanti, nonostante la sua realizzazione appariva assai complicata. L’intuizione di Cournot venne accolta dai neoclassici come concorrenza perfetta ossia quella situazione dove gli agenti economici assumono i prezzi come dati (price taking behaviour). Gli sviluppi successivi della teorica neoclassica partono dall’elaborazione dei due teoremi fondamentali dell’economia del benessere:

Data la distribuzione iniziale delle risorse e rispettate alcune condizioni sulla natura dei beni, sulle informazioni disponibili e sul comportamenti degli agenti e della tecnologia, la concorrenza perfetta conduce a una distribuzione delle risorse efficienti nel senso di Pareto;

Il secondo teorema è l’inverso, ossia data una posizione Pareto efficiente e data la condizione di sopra è possibile ricavare un’appropria distribuzione delle risorse che sostenga quella posizione efficiente.

La concorrenza perfetta genera efficienza nell’uso delle risorse scarse disponibili. Le condizioni sono tuttavia molto restrittive:

Il comportamento dei consumatori e dell’impresa deve essere razionale;

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Non vi devono essere rendimenti di scala crescenti altrimenti si avrebbero situazioni di monopolio che renderebbero la razionalità incompatibile con il comportamento di price taking;

I consumatori devono conoscere esattamente la natura dei beni oggetti dello scambio, altrimenti abbiamo il mercato dei bidoni (market for lemons);

La presenza di incertezza in generale impedisce il funzionamento efficiente del processo concorrenziale;

I beni non devono essere pubblici, nel senso di beni il cui consumo non riduce il consumo da parte di altri;

Non vi deve essere esternalità, ossia effetti vantaggiosi o negativi causati dall’attività produttiva o di consumo di un soggetto sull’utilità o la produzione di un altro.

Dalla seconda all’ultima condizione abbiamo situazioni di market failure ossia situazioni dove il mercato concorrenziale non è in grado di risolvere in maniera efficiente e quindi richiedono l’intervento di regole diverse o autorità esterne.

Nella disciplina normativa della concorrenza, il paradigma di Cournot ha avuto fino ad anni recenti un ruolo prevalente, tuttavia la necessità di offrire ai responsabili delle politiche antimonopolistiche uno schema di riferimento operativo si scontra con l’impossibilità delle condizioni nel mondo reale. Questa difficoltà ha portato alla elaborazione della workable competition. L’idea è che, sebbene nessun settore soddisfi le condizioni del modello di concorrenza perfetta, tuttavia i benefici possono essere ottenuti se l’impresa si conforma a taluni standard concorrenziali. Generalmente questi sono ricondotti alle seguenti condizioni:

La presenza nel mercato di un numero sufficientemente grande di imprese dove nessuna ha una posizione dominante;

L’assenza di barriera all’entrata artificiali; Un’informazione accessibile a tutti; L’assenza di collusione tra produttori e pratiche di prezzi predatori; Volumi contenuti di spese pubblicitari e promozionali.

Il ricorso alla workable competition è indicato dell’insoddisfazione nei confronti del modello neoclassico. I motivi di insoddisfazione possono essere grossomodo ricondotti a quattro elementi:

E’ trascurata la rilevanza operativa del modello; E’ trascurata la lettura della concorrenza come processo concorrenziale; Si assume che gli agenti abbiano tutti una conoscenza completa dell’ambiente in

cui operano. La ragione più importante è tuttavia che il modello di concorrenza perfetta

conduce a dei risultati profondamente pessimisti nei confronti della mano

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invisibile. Infatti le condizioni perché si realizzi la concorrenza perfetta sono fortemente restrittive e si verificano solo raramente e accidentalmente nel mondo reale.

Sulla base di dette premesse, la ricerca economica contemporanea ha cercato di elaborare teorie della concorrenza perfetta che conducessero a risultati più rilevanti dal punto di vista operativo e più ottimistici nei confronti dell’efficienza della mano invisibile. Abbiamo a tal proposito tre diversi approccio ossia quello della teoria evoluzionistica, quello della teoria di Von Hayek e quello della teoria della concorrenza di J. Schumpeter. Dette teorie si sono sviluppate a partire da:

Un recupero del concetto classico di concorrenza come processo concorrenziale; L’osservazione che gli agenti economici devono prendere decisioni in condizioni di

informazione incompleta e di incertezza in relazione a un ambiente che cambia continuamente.

Un importante tentativo di recupero della concorrenza come processo concorrenziale nel quale sono coinvolti gli agenti economici è l’approccio evoluzionistico proposto da Alchian e noto come tesi di Alchian. La tesi di Alchian non è tanto una critica al modello della concorrenza perfetta quanto piuttosto un tentativo di rendere conto dell’agire dinamico del meccanismo di interazione tra soggetti economici, implicito nelle condizioni statiche descritte dall’equilibrio di concorrenza perfetta. Si consideri la predizione del modello di concorrenza perfetta ossia che se ogni impresa persegue l’obiettivo della massimizzazione del profitto, ciascuna produrrà, in equilibrio, la quantità corrispondente al livello di costi medi minimo. Tuttavia, dato che operiamo in un contesto dove le informazioni sono incomplete, le imprese non avranno conoscenza piena di tutti i dati per risolvere i complessi calcoli impliciti nelle ipotesi di comportamento massimizzante della concorrenza perfetta. In generale le imprese non conoscono la funzione di domanda e hanno informazioni incomplete sulle funzioni di costo delle imprese rivali e perfino sulla propria. La teoria vuole che l’interazione tra le imprese che massimizzano il profitto conduce a un equilibrio caratterizzato dalla proprietà che il bene è poi realizzato al minimo costo è di difficile applicazione fatturale. La teoria evoluzionistica ritiene che implicito nella concorrenza perfetta vi sia l’operare di un processo concorrenziale che ha la stessa efficacia di un processo darwiniano di selezione. Le imprese che operano a costi più alti sono eliminate da quelle che operano a costi più bassi. Il processo di selezione continua fino a quando le imprese sono in grado di produrre a un costo inferiore dei concorrenti e termina quando tutte le imprese sul mercato producono al costo medio minimo di produzione, realizzando l’obiettivo della concorrenza perfetta. Si arriva alla stessa conclusione senza assume le condizioni eroiche tipiche della teoria neoclassica.

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In un famoso saggio del 1948 The meaning of competition, F. Von Hayek sviluppava una critica radicale al concetto neoclassico di conoscenza perfetta proponendo il ritorno alla concezione classica di concorrenza come processo concorrenziale. Un’economia di concorrenza perfetta è un sistema di informazione dove tutto il bagaglio informativo necessario alle decisioni consiste nella conoscenza completa di un vettore di prezzi, dati, noti a tutti: a priori viene postulata l’esistenza delle condizioni che il processo deve generare. Von Hayek vuole che sia proprio la natura della concorrenza come processo concorrenziale ad essere rilevante per l’analisi dei fatti economici. Nell’analisi di Von Hayek, ogni soggetto è caratterizzato da una irriducibile individualità che consiste nell’essere dotato di un certo bagaglio di informazioni che è limitato e specifico. Nessuno ha la completa conoscenza di ogni cosa, ed è fuorviante l’ipotesi che vuole tutti i soggetti completamente informati. Il problema è dunque fare in modo che un’informazione frammentaria presso ciascun agente in maniera limitata sia utilizzata nella maniera più benefica per tutta la società, ed è questo il ruolo che, secondo Von Hayek, svolge il processo concorrenziale, ossia consentire la ricerca e la scoperta di nuove decisioni di profitto, e meccanismo attraverso cui i mercati si adeguano alle condizioni che vanno a svilupparsi. Hayek ritiene che non vi si possa partire dalla completa conoscenza in quanto è solo con la concorrenza che questa conoscenza completa potrà svilupparsi, si finirebbe con il presumere esogeno il principale compito del processo concorrenziale. In un mondo di individui onniscienti non vi sarebbero ragioni contrarie a una gestione programmata della vita sociale ed economica, è l’informazione distribuita in maniera spara e limita che giustifica il metodo politico secondo cui deve esistere per ciascun individuo un’ampia sfera di scelta. Il progresso di una società è la conseguenza dell’operato impersonale e anonimo di una sorta di mano invisibile che guida e individua al meglio le scelte le azioni individuali. In detto senso il processo concorrenziale è un meccanismo impersonale di coordinamento ottimale tra soggetti economici dotati ciascuno di un bagaglio di informazioni specifico e limitato. L’influenza del pensiero di Von Hayek ha permesso lo sviluppo della scuola neo-austriaca che ritiene che le condizioni che rendono possibile il completo esplicitarsi del processo concorrenziale devono essere individuate nella piena libertà per qualsiasi soggetto economico di sfruttare ogni opportunità di profitto e di conseguenza l’assenza di meccanismi coercitivi nella vita economico. La scuola neo-austriaca ritiene che in assenza di vincoli, la presenza di extra-profitti non deve essere vista come un indice di scarsa concorrenzialità e quindi inefficienza ma solo come incompletezza e asimmetria delle informazioni cui hanno accesso gli operatori economici e rappresentano un impulso positivo alla concorrenza, e non sono che temporanei in assenza di vincoli all’imitazione da parte dei concorrenti.

Concorrenza come processo e informazione incompleta sono elementi centrali anche nell’analisi di Schumpeter. In una pagina ormai famosa di Capitalismo, socialismo, e democrazia Schumpeter distingue il concetto di concorrenza da quello che è per lui il vero stimolo a lungo andare, ossia la leva che espande le produzioni e riduce i prezzi,

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l’introduzione di nuovi prodotti o di processi produttivi. Scrive Schumpter che la visione fino a quel momento era abbastanza miope in quanto era limitata ai prezzi ma questa non era che una forma di concorrenza. Nella realtà capitalistica ciò che è veramente importante è la concorrenza creata dalla nuova merce, dalla nuova tecnica, dalle nuove fonti di approvvigionamento, ecc. che può costituire un vaantaggio di costo o di qualità. Per poter intendere la teoria di Schumpter è necessario rimuovere l’ipotesi che l’insieme dei beni producibili e l’insieme delle possibilità tecniche di produzione siano dati a priori e noti a ciascun agente. Mentre Von Hayek concentra la sua attenzione sui meccanismi di diffusione di coordinamento delle informazioni che il processo concorrenziale rende possibile, in Schumpter il ruolo essenziale è quello svolto dalla introduzione del nuovo, che è fattore di rottura rispetto a un certo ordine o equilibrio. Schumpter ritiene che un certo grado di potere monopolistico, purchè temporaneo, se funzionale al processo di sviluppo sia necessario e che esso può poi essere poi nel tempo eroso dall’entrata nel mercato di nuovi soggetti, dall’incertezza, da altre invenzioni e dai concorrenti. Solo la possibilità di ottenere la posizione di monopolio e di rendita, tuttavia, offrono un adeguato incentivo all’innovazione.

Gli strumenti concorrenziali, dunque, sono di due tipi: abbiamo la concorrenza prezzo e la concorrenza non prezzo che sono la innovazione e la pubblicità nonché l’innovazione. L’innovazione è un concetto abbastanza ampio che significa introduzione di nuove tecniche, nuovi prodotti o apertura di nuovi mercati. La pubblicità è invece lo strumento attraverso il quale si informano i clienti effettivi o potenziali sulle caratteristiche del prodotto o si cerca di influenzare la domanda anche attraverso strumenti persuasivi. L’obiettivo della concorrenza non-prezzo è ottenere o eliminare la concorrenza-prezzo. Sia Von Hayek sia Schumpter vedono la concorrenza composta anche da queste ulteriori variabili. Gli strumenti di concorrenza-prezzo e concorrenza-non prezzo non sono tra loro alternativi e spesso sono utilizzati in maniera assolutamente combinata per ottenere la massima efficacia.

LA NATURA E DIMENSIONE DELL’IMPRESA

L’impresa è quell’agente economico che svolge la funzione produttiva. LA teoria economica esamina l’impresa da due punti di vista: da un lato l’impresa è agente economico che produce con l’obiettivo di massimizzare il profitto, dall’altra studia l’efficienza dell’impresa come istituzione alternativa al mercato. La linea guida che andrà a guidare la nostra analisi è anzitutto la teoria dell’impresa che, fino agli anni 70, si identificava con quella tradizionale neo-classica elaborata da Cournot e a cui negli anni si aggiunge la teoria della grande impresa manageriale. La nostra seconda stella cardinale riguarda l’andare a riflettere circa i problemi reali sottostanti la teoria. La teoria recente, infatti, si è preoccupata di esaminare come e se la grande impresa utilizza in maniera adeguata le proprie risorse, e quale forma istituzionale e quali dimensioni sono le più efficienti.

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LA DIMENSIONE DELL’IMPRESA

Si è soliti distinguere tra piccole, medie e grandi imprese. Questa classificazione in tre gruppi introduce un elemento di carattere discreto là dove in effetti vi è una successione dimensionale continua. Questa classificazione mostra diversi elementi di arbitrarietà. Anzitutto grande, medio e piccolo dipendono da un riferimento di base e dalla unità di misura utilizzata. Da un punto di vista teorico la dimensione normalmente è misurata in base alla produzione, nella pratica tuttavia il parametro più utilizzato è il numero degli addetti. Altro problema è quello del soggetto di cui si misura la dimensione, in quanto all’interno dell’impresa potrebbero esservi più unità produttive, e vi potrebbe essere la partecipazione ad un gruppo.

Alcuni fatti.

Il prodotto nazionale potrebbe essere il prodotto di un’unica grandissima impresa che coordina al suo interno tutti i lavoratori di quel paese, o all’opposto potrebbe derivare dall’operato di tanti lavoratori indipendenti quanti sono i lavoratori totali. In ambedue casi vi sarebbe divisione del lavoro, in un caso coordinata da un ambiente centrale mentre nel secondo caso dal mercato. Nessuna delle due ipotesi tuttavia può considerarsi realistica, e infatti ogni sistema economico si colloca in qualche posizione intermedia.

La produzione industriale si ripartisce da un punto di vista dimensionale. Vi è una forte diversità circa la dimensione dell’impresa da paese a paese e in Italia la dimensione media è inferiore rispetto a tanti altri: in Italia, infatti, abbiamo una forte incidenza delle imprese piccole. Vi sono, in particolare, tre settori cruciali per il settore italiano che sono da sempre a basso livello dimensionale ossia pelli e cuoio, calzature e abbigliamento ed estrazione minerali non metalliferi. Si potrebbe pensare che la dimensione media sia il risultato del peso di questi settori in Italia, in realtà questo effetto di composizione settoriale ha per l’Italia un peso assai limitato. Vi sono fattori di altra natura che spingono la distribuzione dimensionale delle imprese. Il peso delle grandi imprese è ovunque elevato nonostante la differenza da paese a paese, l’Italia è un’eccezione e le grandi imprese hanno un peso molto basso. Cerchiamo di trovare una spiegazione a questo fenomeno.

NATURA E DIMENSIONE DELL’IMPRESA.

Il problema della natura dell’impresa e della sua dimensione sono tra loro strettamente legati. La teoria economica contemporanea parte dall’ipotesi che il mercato sia il modello organizzativo elementare o standard. Il mercato, tuttavia, regola solo un certo tipo di transazioni ossia quelle che vincolano le parti in un certo istante ma non comportano rapporti precedenti o successivi rispetto il momento in cui la transazione ha luogo e l’oggetto scambiato deve essere fungibile. L’impresa, per contro, regola quelle transazioni che hanno natura più complessa, che danno luogo a rapporti gerarchici e quindi le parti che entrano in contatto instaurano tra loro legami di dipendenza reciproca e di natura

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specifica. Lo studio circa la natura dell’impresa riguarda la natura di queste transazioni e dei vantaggi che ne derivano. Lo studio della dimensione riguarda la motivazione che spinge la scala complessiva dell’attività. La dimensione dipende anche dal livello delle altre attività collegate alla produzione. Le dimensioni dell’impresa sono molteplici e come vedremo possono essere tutte egualmente efficienti.

La teoria neoclassica.

L’obiettivo dell’analisi neoclassica non è quello di spiegare o prevedere il comportamento delle imprese concrete ma spiegare e prevedere i cambiamenti circa i prezzi osservati per effetto del mutamento di particolari situazioni. In questo legame causale l’impresa è solo un legame tecnico, una costruzione causale che aiuta a capire come si va dalla causa all’effetto. La teoria neoclassica non si sforza di descrivere l’impresa come organizzazione complessa ma si limita a collocarla come elemento alla base della teoria dei prezzi. L’impresa neoclassica tradizionale è rappresentata dalla funzione tecnica x= f(y) dove x è il vettore degli output, e y è il vettore degli input tecnologici. Questa funzione è scelta dall’imprenditore al fine di ottenere il massimo profitto. In genere si suppone che i costi medi di lungo periodo abbiano una forma a U. Il tratto decrescente si spiega in virtù delle c.d. economie di scala, quello crescente invece presuppone che l’impresa si imbatta in qualche fattore fisso che la teoria neoclassica postula, senza neanche argomentare, sia quello organizzativo. Il limite della teoria non è neanche il realismo, il problema è che non spiega perché esiste l’impresa e quindi la sua natura. Da un punto di vista formale, il problema organizzativo trova una sua sistemazione nel modello neo-classico tradizionale introducendo nella funzione di produzione accanto agli input di produzione quelli necessari ad organizzare. Questa formalizzazione, tuttavia, non dice nulla sul contenuto dell’attività organizzativa e quindi sul perché l’impresa ha bisogno di organizzarsi per esistere. Nella teoria neoclassica tradizionale ogni impresa conosce la funzione di produzione che utilizza e il prezzo pagato agli input produttivi. Se la domanda del prodotto è nota, l’impresa conosce anche ex-ante il profitto che massimizza. In realtà in genere la domanda è incerta e i prezzi e quantità sono noti solo ex-post e si decide la produzione in base ad aspettative e non a certezze. L’impresa massimizza il profitto atteso non il profitto certo. Knight sviluppa detto concetto e descrive l’imprenditore come il soggetto che sulla base delle proprie informazioni accetta l’incertezza intrinseca, e a conclusione del processo produttivo egli percepirà il reddito residuo o sosterrà le perdite. In base al fatto che l’imprenditore sostiene il rischio è lui che ha il potere decisionale superiore. Si distingue a tal proposito tra soggetti risk neutral che non attribuiscono disutilità al rischio in quanto tale e accettano una retribuzione incerta e altri che sono risk averses che attribuiscono disutilità al rischio e percepiscono un reddito certo. Gli imprenditori sono neutrali al rischio, i dipendenti sono avversi.

Tre interpretazioni della natura dell’impresa.

La teoria economica più recente ha sviluppato il problema sviluppando tre interpretazioni:

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L’impresa è istituzione a cui fanno capo una serie di contratti di natura analoga a quelli stipulati nelle transazioni di mercato; questi contratti sono stipulati per produrre utilizzando una funzione di produzione di squadra che consente livelli di efficienza superiori ma fa sorgere anche una serie di problemi organizzativi;

L’impresa è un insieme di contratti ma di natura molto diversa dal semplice scambio; l’impresa è quella istituzione che consente l’organizzazione di rapporti di autorità, nascenti dall’esistenza di contratti incompleti;

L’impresa è conoscenza ossia saper fare certe cose.

Queste tre teorie valorizzano il contenuto contrattuale, organizzativo e conoscitivo dell’impresa. Tutte e tre riconoscono un fallimento del mercato e quindi la necessità di trovare un meccanismo alternativo a questo.

L’IMPRESA COME SQUADRA.

Secondo ALchian e Demesetz l’impresa è un insieme di contratti tra il titolare, detto principale che agisce per interesse e conto proprio o per conto altrui, e i proprietari degli input. I contratti sono stipulati al fine di ottenere un certo output. I proprietari degli input hanno totale autonomia rispetto il titolare e il loro rapporto è limitato solo da quanto stabilito nel contratto, il titolare ha la facoltà di rimaneggiare i contratti senza che questo incida sugli altri. Detti contratti hanno la stessa natura di quelli attraverso il quale avvengono le transazioni sul mercato, si ritiene che non vi sia specificità e che sia possibile rescindere senza costi. Infine, il titolare può disporre del reddito residuo e ha il diritto di alienare il proprio status di titolare. La convenienza a essere titolare sta nel fatto che l’uso combinato degli input da risultati che la produzione separata non darebbe. Formalmente ciò equivale a dire che l’impresa usa una funzione di produzione superadditiva. L’uso congiunto determina un livello di produzione superiore a quello che si avrebbe utilizzando separatamente gli stessi input. Una conseguenza della superadditività è la non separabilità dell’effetto della variazione dei singoli input nella variazione dell’output. In un team, quindi, il prodotto marginale di ogni input non è immediatamente evidente come risultato della variazione marginale dell’output. Il prodotto del team ha la natura di bene pubblico ossia ciascuno contribuisce al risultato della squadra ma non è possibile sapere fino a che punto ogni singolo ha contribuito e quindi retribuirlo di conseguenza. Tutti i soggetti titolari degli input e il titolare perseguiranno l’obiettivo della massima utilità soggettiva, a tal proposito sarà probabile che un lavoratore voglia sfruttare a proprio vantaggio il carattere pubblico della produzione e fare il furbo (free riding) e quindi offrire una prestazione inferiore a quella presente nel contratto data l’impossibilità di verificare. Il free riding può essere limitato o eliminato ottenendo informazioni sul comportamento dei dipendenti e quindi ponendo a misurazione la produttività marginale. Il principale si giustifica proprio come controllore al fine di retribuire il base all’effettivo contributo, e per controllare dovrà utilizzare delle risorse. Finché il vantaggio della

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produzione di squadra supera il costo del controllo converrà aumentare la squadra. La dimensione è dunque data dalla capacità di controllare efficacemente la squadra.

L’IMPRESA COME RELAZIONE DI LUNGO PERIODO E COME ORGANIZZAZIONE GOVERNATA DALL’AUTORITÀ.

E’ bene indagare perché a volte il coordinamento è lasciato ai prezzi e altre volte all’imprenditore. Il perché è da ricercarsi nel fatto che in alcuni casi rivolgersi al mercato è più costoso, come evidenziato dalla teoria transazionale di Williamson. Molto spesso le transazioni di lungo periodo che dobbiamo affrontare presentano delle opportunità inizialmente non previste. Come è possibile risolvere detto problema?

Bargaining o contrattazione continua.

La relazione di lungo periodo è suddivisa in contratti che si riferiscono a periodi più brevi al termine dei quali i soggetti rinegoziano le condizioni contrattuali. Questo minimizza il costo della stipulazione dato che ne limita temporalmente il contenuto. Affinché sia possibile è necessaria l’esistenza di un’autorità esterna che possa intervenire nel caso che una o ambedue le parti non rispettassero alcuni dei termini del contratto, un’autorità giurisdizionale. Il costo della contrattazione è spesso assai elevato e questo può impedire che la transazione si concluda anche quando questa sarebbe efficiente. In secondo luogo vi può essere il costo dell’effetto di lock-in derivante dal fatto che le parti al momento t in cui stipulano sostengono un costo specifico per quel contratto, che non è recuperabile. Al tempo t+1 avrà luogo lo scambio e le parti si troveranno legate da un rapporto bilaterale, vincolate dalla natura specifica del costo, e a secondo della loro forza contrattuale si ripartiranno i vantaggi della loro relazione. Questo per una parte potrebbe significare vantaggi limitati o nulli. Infine, il fatto che il contratto si concluda alla fine di ogni breve periodo espone le parti a una nuova negoziazione.

Contratti di lungo periodo completi.

Questo tipo di contratti presuppongono che le parti sappiano prevedere tutti i possibili stati di natura che si potrebbero verificare attribuendo a ciascuno di essi una probabilità. Il contratto quindi descrive il comportamento delle parti nelle diverse ipotesi. Anche in questo caso si richiede un’autorità che sia in grado di far rispettare l’accordo in caso di inadempienza. Spesso il contratto è così complesso e/o i tempi di decisione sono così lunghi che le parti individuano un arbitro. La soluzione del contratto completo non ha costi di contrattazione della contrattazione continua ma ha altri svantaggi. Anzitutto, è molto costosa la definizione di tutti i contenuti del contratto e in secondo luogo la rigidità del contratto aumenta il potenziale grado di contrasti e quindi le spese di giudizio.

Contratto di lungo periodo incompleto.

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Le parti non incorporano nel contratto tutte le evenienze possibili ma decidono che è meglio attendere e vedere cosa succede. A una delle due parti viene attribuita l’autorità di decidere anche per l’altra parte nei casi non previsti contrattualmente. Il termine autorità significa che una parte ha la possibilità o il potere di imporre all’altra parte la propria decisione che coinvolga quest’ultima. L’impresa può essere intesa come alternativa alla contrattazione continua.

Nell’attività produttiva si realizza sempre che le relazioni che si devono instaurare tra proprietari degli input siano di lungo periodo e quindi comportano investimenti specifici e quindi un effetto lock-in. Una situazione, questa, non prevista nel modello dell’impresa come team. In virtà di questo, i proprietari degli input e il titolare sono interessati a regolare i loro rapporti con contratti di lungo periodo completi o incompleti. Nel caso dei contratti completi, l’impresa può essere intesa insieme di relazioni transazionali tra i proprietari degli input dove i contratti completi fissano i contenuti e le modalità di esecuzione della produzione. Nel secondo caso, dei contratti incompleti, al titolare spetta il diritto di controllare e decidere per le situazioni residue non specificate. La natura dell’impresa come insieme di contratti completi o incompleti si evidenzia soprattutto rispetto al problema dei contratti di lavoro o dell’integrazione.

I contratti di lavoro dipendente.

Supponiamo che esista un proprietario dei mezzi di produzione e un lavoratore che invece possiede solo la propria forza lavoro. L’utilità del proprietario è data dal profitto che può ottenere mente quella del lavoratore dipende dalla retribuzione oltre che dal tipo di lavoro eseguito. Il tipo di lavoro dipende da tante circostanze. Lo stato di natura al tempo t è noto al proprietario, mentre non sono noti gli stati successivi, per tale ragione le parti non possono stipulare un contratto completo, anche perché non vi sono le condizioni per l’esistenza di un arbitro dato che gli stati di natura non sono conoscibili da persone diverse dal titolare. Supponiamo che esiste un salario e un tipo di lavoro corrispondente per il quale le parti hanno interesse ad attuare un rapporto di scambio che si configura come contratto di lavoro dipendente, da intendersi come contratto incompleto che attribuisce al proprietario l’autorità di scegliere il tipo di lavoro prestato all’interno di una certa scelta di tipi alternativi concordati dalle parti. Il vantaggio di questo contratto è la possibilità di adattarlo ai diversi stati di natura che si possono realizzare e ad ogni tipo di lavoro risponde una certa retribuzione. Se il lavoratore fosse un perfetto esecutore del contratto di lavoro non vi sarebbero problemi, ma così non è, vi è spesso un rapporto di moral hazard dove il titolare è in grado di osservare il lavoratore ma non di comprendere il suo grado di impegno. Il lavoratore potrebbe impegnarsi meno di quanto previsto dal titolare (shirking). La qualità della prestazione non è controllabile e il più delle volte neanche specificabile contrattualmente, rientra in una serie di norme non scritte come l’etica, o dipende da altri fattori come la reputazione del capo o la paura di ritorsioni. La possibilità che ha il capo di scegliere il lavoro e quindi la retribuzione corrispondente rappresenta un

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deterrente credibile e quindi un incentivo a lavorare secondo norma; tanto il salario sarà modificato quanto più forte sarà la minaccia. La situazione può essere interpretata come un gioco dove i due giocatori ossia il capo e il dipendente dispongono di diverse strategie in virtù dell’impegno e del tipo di lavoro. Il capo sa che il dipendente avrà convenienza a effettuare il minimo sforzo, e il dipendente sa che il capo sulla base dei risultati potrà scegliere la sua posizione e la sua retribuzione. La soluzione al gioco è quella che definisce il contratto, e quindi che definisce esplicitamente il salario e il tipo di lavoro nelle diverse ipotesi ma implicitamente anche l’impegno che bisognerà applicare. L’autorità è quindi anche in grado di influenzare l’impegno.

L’IMPRESA COME CAPITALE CONOSCITIVO.

Detta teoria vuole enfatizzare la funzione di raccolta, elaborazione e utilizzazione nel tempo di informazioni dell’impresa. La funzione dell’impresa, quindi, non è tanto quella di produrre in senso tecnico ma la sua capacità di accumulare conoscenza che le consentirà di scegliere le tecniche produttive e organizzative e i comportamenti più adatti ad affrontare le situazioni nuove. La dimensione della conoscenza, associata alla capacità di utilizzarla, determina la dimensione dell’impresa. Le teorie che si basano sulla conoscenza sono molto eterogenee dal punto di vista analitico, alcune infatti nascono come critica al modello neoclassico altre nascono all’interno della teoria dei contratti. Secondo R. Nelson e S.Winter l’impresa è conoscenza o memoria organizzativa ossia capacità di risponde automaticamente seguendo delle routines o procedure prefissate. Ciò significa che ogni membro dell’organizzazione è in grado di interpretaare il flusso di informazioni che provengono sia dall’interno sia dall’esterno e sa comportarsi di conseguenza adoperando le apposite procedure. L’impresa definisce condizioni e regole in maniera tale da ridurre i conflitti e i tempi decisionali e non dover coinvolgere sempre gli alti livelli. E’ anche prevista la regola secondo cui, quando mutano le situazioni esterne in una maniera diversa dalla norma, o quando si dovessero modificare obiettivi o condizioni interne, allora le routines vengano ridiscusse ed eventualmente modificate. Esistono quindi delle super regole che definiscono come e quando cambiare le regole. Questo capitale conoscitivo si riferisce alla burocraticizzazione e alla conoscenza organizzativa: le imprese che hanno regole decisionali efficaci sono quelle con maggiore possibilità di sopravvivenza.

Un secondo tipo di conoscenza è il saper fare qualcosa. La risorsa umana di un’impresa non sono specializzate in maniera rigida ma la loro capacità può trovare applicazione in più prodotti finali; vi è tuttavia un limite a questa estensione, infatti la nostra conoscenza solo eccezionalmente si sviluppa secondo traiettorie che significano profonde fratture. Finché non si ha una sostituzione del titolare originario che introduce nuove capacità di apprendere in nuove direzioni, l’impresa migliorerà nella direzione originaria.

Un’altra importante dimensione è la reputazione, che è un’attività intellegibile molto utile nelle transazioni. La teoria dei contratti incompleti vuole come implicita premessa di un

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ragionevole e corretto comportamento nel caso si verifichino eventi non previsti e a tal proposito maggiore è la fiducia tra i partners minori saranno i costi di transazione.

LA DIMENSIONE DELL’IMPRESA – I CONFINI.

Un’impresa può sviluppare al suo interno una o più fasi del processo complessivo di trasformazione degli input in output. Il livello produttivo minimo è quello in cui un’impresa svolge un’unica attività rappresentata dalla sola fabbricazione senza fasi collegate: questo livello sarà definito unità elementare che rappresenta l’unità di misura della dimensione dell’impresa, data la tecnologia produttiva di base. La dimensione misurata dal livello di produzione è data dall’effetto coordinato delle dimensioni delle singole unità elementari e dal numero di unità che svolgono attività direttamente produttive o ad essere collegate.

Definiamo i confini che delimitano la dimensione dell’impresa. Abbiamo visto come l’impresa può essere definita come un insieme di contratti o conoscenza facente capo a un unico soggetto che esercita una certa autorità sui proprietari degli input. I confini dell’impresa sono quindi anche i confini dell’autorità; tuttavia questi contorni sono assai sfumati in quanto i rapporti possono assumere varie forme. Quando più impresa fanno capo ad un unico soggetto economico e costituiscono un gruppo sono legate da un rapporto di autorità tale da attribuire al soggetto economico centrale un potere decisionale e di controllo. Il gruppo è il confine entro cui si esercita il controllo per via del possesso del capitale ma non è il confine oltre il quale il rapporto di autorità svanisce; infatti, un’impresa può avere rapporti con imprese che non sono parti del gruppo, a volte vincolanti al punto tale da porre la controparte di fatto in posizione di dominio come avviene nel caso del franchising, della agenzia, della fornitura, ecc. Il controllo potrebbe anche esprimersi senza contratto ma di fatto come nel caso della piccola impresa che ha la grande impresa come acquirente principale. La dimensione dello spazio dell’autorità e del controllo può essere quello della singola unità produttiva ma anche quello del gruppo, o di tutto l’insieme delle imprese legate da stretti rapporti contrattuali o di fatto. In genere per dimensioni ci si riferisce alla prima accezione e quindi all’unità economica e giuridica.

L’integrazione.

Si usa il termine integrazione per indicare il fatto che più unità elementari si sono raccolte in un’unica impresa: maggiore è l’integrazione maggiore sarà la dimensione dell’impresa. Si parla di integrazione orizzontale quando un’impresa unisce più unità che producono lo stesso bene o un bene differenziato: più l’impresa è integrata orizzontalmente più ampia sarà la sua dimensione in un dato mercato e maggiore sarà la sua quota. Si parla di integrazione verticale quando si vanno ad acquisire diverse unità elementari nella stessa filiera produttiva. Un’impresa può poi anche aumentare la sua dimensione operando su output diversi, in quel caso avremo la diversificazione.

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L’indicatore più utilizzato per tenere conto dell’integrazione verticale è il rapporto V= VA/(VA + costo degli acquisti) = VA/ fatturato, dove VA è il valore aggiunto, V è uguale a 1 se vi è integrazione totale e tende a 0 al diminuire dell’integrazione. Si usa il termine di quasi-integrazione per indicare il caso in cui due imprese intrecciano un legame stresso senza però diventare un’impresa unica. Tre sono le ragioni che spiegano perché un’impresa dovrebbe integrare: la monopolizzazione del mercato, la dimensione delle risorse impiegate e quindi lo sfruttamento delle economie di produzione e i costi di transazione.

La monopolizzazione del mercato.

L’obiettivo della monopolizzazione è alla base della scelta della integrazione orizzontale ma spesso anche di quella verticale e quindi delle dimensioni dell’impresa. Ne consegue che è interesse del produttore inglobare il distributore e vendere a un prezzo che massimizza il suo profitto di produttore monopolista senza aggiungere alcun costo di distribuzione, una motivazione che converge con gli interessi dei consumatori.

La dimensione dell’impresa e le economie di scala e di varietà.

La presenza di economie di scala motiva l’aumento del livello di produzione di un singolo output fino a che non viene raggiunta la dimensione ottima minima. In certe circostanze le economie di scala possono essere raggiunte attraverso la integrazione verticale. L’aumento della scala di produzione porta con sé la necessità di creare attività di supporto della maggiore scala di produzione oltre che una crescente complessità organizzativa e quindi aumentano i costi. L’aumento della scala di produzione può anche essere il fatto che spiega la de-integrazione. Si potrebbe avere una dimensione ottima minima differente ai diversi livelli e quindi si potrebbe avere convenienza a scorporarsi. Quando, invece, unendo la produzione di più output o più attività di servizio si hanno costi medi inferiori rispetto al caso in cui questi fossero separati allora abbiamo le economie di varietà. Questo tipo di economie sono la spiegazione dell’integrazione orizzontale e conglomerale. Descrivendo la funzione degli output come il risultato della coordinazione di input produttivi e attività non direttamente produttive è importante soffermarsi su questi secondi e quindi:

Produzione di servizi utilizzati per acquistare gli input e vendere gli output come i servizi finanziari, di pubblicità, di ricerca ecc. Servizi che potrebbero anche essere acquistati sul mercato;

Attività organizzativa che si svolge a più livelli di amministrazione, funzioni manageriali subordinate e funzioni manageriali decisionali e di controllo generale.

Possiamo quindi descrivere l’impresa come produttrice di due tipi di output ossia i prodotti finali e i servizi che normalmente sono utilizzati dall’impresa stessa ma questi potrebbero anche essere interpretati come output intermedi che si produce per sé stessi

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ma che potrebbero anche essere scambiati sul mercato. I vantaggi della produzione congiunta ossia in relazione a più di un output deriva da:

Economie di varietà strettamente tecniche nel caso di due o più output prodotti secondo coefficienti tecnologicamente fissi;

Economie di varietà nascenti dall’opportunità di differenziazione offerti da input flessibili;

Economie di varietà in senso proprio ossia quando la produzione di output anche diversificati consente lo sfruttamento di input sottoutilizzati.

Il vantaggio della produzione interna dei servizi deriva dal fatto che questi hanno natura specifica e sono utilizzati frequentemente. Transazioni frequenti e specifiche i cui costi sono minimizzati dalla struttura gerarchica interna. Si può avere interesse anche a collocarli sul mercato così da sfruttare risorse interne altrimenti sottoutilizzate attraverso le economie di varietà.

Secondo la teoria dell’impresa come capacitale conoscitivo, il capitale conoscitivo è input indivisibile, il cui uso può essere opportunamente distribuito nella produzione di più beni nella stessa unità di tempo o in tempi successivi. L’impresa ha quindi interesse alla differenziazione e alla diversificazione anche nella produzione dei servizi.

Un fatto che può influenza la convenienza a integrare attività separabili da un punto di vista tecnologico è il costo connesso alle relazioni di lungo periodo. Queste generano costi non recuperabili legate al cambiamento (switching cost) e/o incrementi specifici. La continuazione di un rapporto determina quindi un surplus rispetto al cambiamento. Per quanto riguarda, invece, gli investimenti specifici, questi sono costi non recuperabili e le parti si trovano in una condizione di monopolio bilaterale in quanto questi hanno convenienza a scambiare tra loro anziché con gli altri ma il beneficio per ogni parte dipende dalla forza contrattuale. Esaminiamo il caso in cui abbiamo un comprato e un venditore che vogliono instaurare tra loro una relazione verticale, questi possono fare riferimento alla contrattazione continua o ai contratti di lungo periodo completi o incompleti. Nel caso in cui le due parti valutino l’opportunità di scambiarsi un prodotto semilavorato che il compratore utilizzerà per produrre un bene finito. Immaginiamo che la relazione avvenga in due tempi ossia al momento t=1 e t=2. Sia dato V che è il valore del bene per COM e che è il costo di produzione per VEN. In t=1 vi è una situazione concorrenziale tale che C è per COM il costo opportunità. Se V>C allora VEN e COM devono dividersi il surplus: se P è il prezzo a cui ha luogo lo scambio, il surplus di VEN è P-C e quello di COM è V-P. Esaminiamo due ipotesi:

Transazione che non richiede investimenti specifici.

Supponiamo che le parti non sostengono alcun costo specifico e che non prendono nessuna decisione nel tempo t=1 rinviando la contrattazione al tempo t=2. Se VEN e COM

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sono ugualmente informati sul valore di C e di V vi sarà comunque e sempre uno scambio per V>C in quanto a qualsiasi prezzo V>P>C ad entrambe le parti converrà scambiare. Se, invece, vi sono informazioni private e quindi asimmetriche e quindi VEN conosce C e COM conosce V, la faccenda si complica. Le parti potrebbero essere troppo esigenti e potrebbe accadere che VEN voglia P>V e COM voglia a un prezzo P<C, in questi casi avrebbe una distribuzione sbagliata e dipende dalla forza contrattuale delle due parti, il risultato comunque non sarà un ottimo paretiano. La difficoltà della informazioni asimmetrica può spingere le parti a mettere in essere la negoziazione al tempo t=1. Supponiamo in questo caso che la parte informata sia COM e si stipuli quindi un contratto dove questo è in grado di stabilire un prezzo, poiché C è noto ad entrambi mentre V è noto solo a COM questo fisserà un prezzo P=C e si approprierà di tutto il surplus. Il contratto crea ex-ante la possibilità che vi sia un surplus, e la divisione del surplus dipende dalla forza contrattuale: in questo caso si potrebbe fissare una certa somma per VEN così da dividere il surplus. Questo è un contratto a prezzo fisso e rappresenta una forza debole di integrazione, COM e VEN mantengono la loro autonomia.

Transazione che richiede investimenti specifici.

Supponiamo che VEN debba investire per ridurre C e COM per incrementare V . Anche in questo caso abbiamo l’alternativa della contrattazione continua in t=2 e un contratto completo in T01. Esaminiamo la prima possibilità con una informazione simmetrica e V>C. Supponiamo che V=3 e il costo dell’investimento I=2, se VEN investe avrà un C=0 se non investe avrà un C=4. Si suppone che alla fine le parti si dividono equamente il surplus dello scambio. Se VEN non investe il surplus è negativo e non vi è scambio, se investe il surplus è 3 e ogni parte ottiene 1,5 tuttavia il costo di I è 2 e quindi egli non investe e non vi è lo scambio. Questa tuttavia non è una soluzione efficiente poiché comunque si avrebbe un surplus di tre a fronte di un costo di due. Questo mostra che la contrattazione può portare a risultati non efficienti. Chi investe non godrà di tutti i vantaggi dell’investimento in quanto l’altra parte può usare la minaccia di non scambiare per appropriarsi dal surplus generato. Si parla in questi casi di quasi-rendite appropriabili di attività specializzate.

Supponiamo ora che l’investimento non sia verificabile nel senso che non è possibile ottenere ex post l’esecuzione del contratto, e non è verificabile neanche il costo. La soluzione sarà quella di stipulare un contratto completo che preveda il tipo di scambio e la divisione del surplus. Siccome le parti sopportano il rischio che l’altra non rispetti l’accordo, il contratto potrebbe contenere delle penalità nel caso di non rispetto. La formalizzazione delle penalità potrà essere attenuata o eliminata se le parti hanno una certa reputazione. Un metodo spesso utilizzato per far fronte ai problemi di informazioni è l’auditing volto a raccogliere informazioni sulle caratteristiche delle parti che vogliono entrare in un rapporto, ed eventualmente avere informazioni sul comportamento successivo.

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Esaminiamo ora quando le parti hanno convenienza ad integrarsi e quindi ad assumere un’autorità decisionale che viene esercitata nelle situazioni non previste nel contratto.

Supponiamo che COM e VEN sono già legati da un contratto che prevede la produzione di un certo bene intermedio di cui sono definite le caratteristiche di base al tempo t=1. Si ritiene tuttavia che al tempo t=2 possa essere necessario un mutamento del modello base del prodotto di VEN e quindi decidiamo di mantenere il rapporto che li lega ma è necessario valutare mutare il modello; tuttavia gli elementi necessari per decidere se operare si avranno solo in t=2. COM deve prendere una decisione d’investimento e quindi aumentare la sua flessibilità per rispondere alle nuove opportunità. Il costo addizionale per VEN in t=2 è già noto in t=1 e sarà k ma non sono necessari investimenti specifici. COM deve investire in t=1 e conosce solo che in t=2 il valore di W del miglioramento sarà maggiore di k con una probabilità X e sarà nullo con probabilità (1 – X). Il livello degli investimenti scelto X varia da 0 a 1. Il costo dell’investimento è quindi 푋 /2. COM deve decidere quanto investire e poi le due parti decideranno la ripartizione. Il problema è dunque quello di trovare il livello di investimento X che rende il surplus massimo. Il valore massimo del surplus sarà (푤 − 푘) /2.

Consideriamo quattro modi alternativi per risolvere il rapporto tra COM e VEN e scegliamo poi quello che massimizzerà il surplus.

A – Contrattazione illimitata – Le parti contrattano in t=2 e la divisione del surplus avviene dividendolo in parti uguali. Vi sarà un accordo quando (w-k)>0 e quindi ciascuno ottiene