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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza A cura del Dott. Andrea Castiglione [email protected]

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Gli uomini che hanno scritto

la storia della finanza

A cura del Dott. Andrea Castiglione

[email protected]

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

Indice

pag.

1. Premessa III

2. I Pionieri IV Louis Bachelier

Alfred Cowles

Sir John Burr Williams

Frederick R. Macauley 3. La Moderna Teoria di Portafoglio VIII Harry M. Markowitz

James Tobin

William F. Sharpe 4. La Teoria delle Opzioni XX

Fisher Black e Myron S. Scholes

John C. Cox, Stephen A. Ross, Mark E. Rubinstein

5. Finanza Aziendale XXIX Myron J. Gordon

Franco Modigliani e Merton Miller 6. La Teoria del Mercato Efficiente XXXV Eugene Fama

7. Conclusioni XXXVII

Dott. Andrea Castiglione II

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

1. Premessa Osservando l’evoluzione attraversata negli ultimi secoli dalla scienza economica si può

affermare agevolmente che lo spazio occupato dalla teoria della finanza nell’ambito della

storia degli studi economici è sorprendentemente esiguo. Questo fatto potrebbe apparire

inspiegabile, se solo si pensasse a come gli economisti abbiano da sempre avuto a che fare

con l’analisi dei mercati e di uno di questi in particolare: il mercato del credito.

Concentrando l’attenzione sulla data di fondazione dei più antichi istituti di credito e mercati

finanziari, ci si accorge di come la precedente questione appaia ancor più inspiegabile: la più

antica banca del mondo, il Monte dei Paschi di Siena, fu fondata nel 1472 mentre il più antico

mercato di borsa del mondo, quello di Anversa, fu fondato nel 1531.

Ad una lettura più attenta della storia delle dottrine economiche si potrebbe però notare che

nel corso degli ultimi secoli diversi furono i tentativi, seppur spesso estemporanei, di

impostare lo studio dei mercati finanziari su basi scientifiche.

In particolare, si rilevano almeno due aspetti:

1. Diverse ipotesi riguardanti le regole che sottendono al funzionamento dei mercati

finanziari vennero formulate, assai prima della loro successiva “riscoperta” da parte di

docenti ed accademici, come frutto del lavoro di “operatori del settore” ed erano

basate per lo più su geniali intuizioni;

2. Tali intuizioni furono per molto tempo ignorate o addirittura derise dagli esperti

studiosi delle materie economiche, i quali consideravano gli “operatori” nient’altro

che una sorta di bassa manovalanza del ramo.

Partendo da tali presupposti, appare spontaneo chiedersi quale sia stato il percorso che ha

portato alle bizzarrie della realtà odierna: mentre la diffusione del lessico tipico del mondo

della finanza presso il vasto pubblico dei risparmiatori farebbe pensare ad una semplificazione

dei mercati, la crescente complessità dei prodotti finanziari fa apparire sempre più il mondo

della finanza come il regno di pochi eletti “alchimisti”.

Il presente articolo, lungi dal voler essere un trattato sintetico ed esaustivo della storia della

teoria finanziaria, intende rendere omaggio ad alcuni di quegli uomini che, con le loro geniali

intuizioni o con la loro altissima capacità di “modellizzare il comune buon senso”, poiché su

concetti di semplice buonsenso spesso si basano le teorie più importanti, hanno contribuito a

far giungere la teoria finanziaria ai livelli odierni.

Dott. Andrea Castiglione III

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2. I Pionieri

Louis Bachelier (1870-1946)

Nel 1900 il francese Louis Bachelier scrisse a Parigi, nell’ambito dei suoi studi di dottorato in

economia, una dissertazione dal titolo “Theorie de la Spéculation”. In quest’opera Bachelier

anticipava molti concetti oggi comunemente accettati dagli studiosi di finanza: movimento

“random walk” dei prezzi delle azioni, moto browniano e processo di martingala, questi

ultimi concetti addirittura in anticipo rispetto alle successive teorie di Einstein e Wiener.

Tuttavia, come sempre accade ai geni incompresi, le idee di Bachelier vennero irrise dai suoi

contemporanei: la dissertazione fu valutata negativamente e Bachelier, umiliato, fu relegato

nel sottobosco di una grigia carriera da insegnante che condusse in totale anonimato nella

cittadina di Besançon.

Il lavoro di Bachelier rimase nell’ombra fino al 1964, quando il professor Paul Cootner del

MIT pubblicò una ponderosa raccolta di 500 pagine di studi sul movimento dei prezzi

azionari dal titolo “The Random Character of Stock Market Prices”. In quest’opera fu

pubblicato, tradotto per la prima volta in inglese, il contributo di Louis Bachelier che Paul

Cootner ebbe a presentare con le seguenti parole: “Il suo lavoro è così eccezionale da poter

affermare che lo studio dei prezzi speculativi ha il suo momento di massima gloria al

momento della stesura di quest’opera”.

Dott. Andrea Castiglione IV

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Alfred Cowles (1891-1984)

L’incapacità dimostrata dagli studiosi di economia nel prevedere la crisi economica del 1929

convinse Alfred Cowles, affermato uomo d’affari del Colorado, dell’importanza di un

miglioramento delle metodologie quantitative utilizzate in ambito economico. Fu così che

Cowles fondò, nel 1930, la “Econometric Society” ed il suo giornale “Econometrica” e

successivamente, nel 1932, la “Cowles Commission for Economic Research” col motto

“Science is measurement”. La Commissione, che fu trasferita presso l’università di Chicago

nel 1938 e successivamente presso l’università di Yale ha avuto tra i suoi collaboratori quasi

tutti i vincitori statunitensi del Premio Nobel per l’Economia.

La necessità di avere dati “misurabili” portò Cowles, nel 1938, a creare un indice dei prezzi

azionari che rappresentò la base dell’odierno Standard & Poor’s 500: il suo obiettivo divenne

quello di stabilire, su solide basi quantitative, se fosse davvero possibile, per qualcuno, battere

sistematicamente il mercato. Alfred Cowles analizzò circa 12.000 raccomandazioni effettuate,

in quattro anni, dalle venti società leader nel ramo dell’assicurazione contro il rischio

d’incendio e pubblicò le sue conclusioni nel 1933. La risposta alla domanda che egli stesso

poneva nel titolo del suo articolo “Can Stock Market Forecaster Forecast?” fu: “It’s doubtful”.

Cowles giunse alle stesse conclusioni nei suoi studi successivi ma rimase comunque convinto

del fatto che i risparmiatori avrebbero continuato a credere agli “stregoni che prevedono

l’andamento dei mercati” semplicemente perché gli uomini hanno bisogno di credere che

qualcuno possa prevedere il futuro.

Dott. Andrea Castiglione V

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Sir John Burr Williams (1902-1989)

Sir John Burr Williams era in piena salute quando scomparve, alla veneranda età di

ottantasette anni, nel 1989 lasciando dietro di sé un vuoto incolmabile ed una impronta

indelebile sulla teoria della finanza. Williams iniziò ad interessarsi di economia relativamente

tardi, nel 1930: nel suo percorso da “undergraduate student” ad Harvard, infatti, i suoi studi si

erano concentrati soprattutto sulla matematica e sulla chimica. Dopo la laurea, conseguita nel

1923, Williams iniziò a collaborare dapprima con la Harvard Business School e, in seguito,

con una importante agenzia di brokeraggio col ruolo di analista. Diversi anni dopo, Williams

ricorderà queste esperienze con le seguenti parole: “La stima del valore corretto di un titolo

era un vero puzzle. L’esperienza mi aveva insegnato che per essere un buon analista,

occorreva anzitutto essere esperti economisti.” Fu così che Williams decise di iscriversi alla

Graduate School of Arts and Sciences di Harvard nel 1932 per prendere un Ph.D in economia.

Al momento di redigere la sua tesi di dottorato, Williams discusse con uno dei più grandi

docenti di Harvard, Joseph Alois Schumpeter al fine di scegliere un tema appropriato.

Schumpeter suggerì a Williams di studiare il valore intrinseco delle azioni, anche in

considerazione delle passate esperienze professionali di Williams. In realtà Schumpeter,

suggerendo tale argomento, fece una sorta di favore a Williams: gli diede, cioè, l’occasione

di sfidare i preconcetti tipici dell’ambiente accademico di Harvard, il quale si era sempre

mostrato ostile alle sue idee in tema di investimenti finanziari. Williams completò la sua tesi

nel 1937, e, ancor prima di aver conseguito il proprio dottorato, la spedì alla casa editrice

Macmillan per la pubblicazione. Il manoscritto fu respinto poiché conteneva “simboli

algebrici”: la McGraw-Hill oppose lo stesso diniego. Il lavoro fu finalmente pubblicato, dietro

parziale copertura delle spese di stampa da parte dello stesso Williams, nel 1938 dalla

Harvard University Press col titolo “The Theory of Investment Value”. Williams discusse la

sua tesi solo nel 1940: nella commissione, oltre a Schumpeter, sedevano Wassily Leontief e

un John Hansen particolarmente disturbato dal fatto che il lavoro fosse stato pubblicato prima

di essere discusso. Solo dopo un intenso dibattito a Williams fu concesso il Ph.D.

“The Theory of Investment Value” può essere ragionevolmente considerato come il lavoro dal

quale tutta la moderna teoria finanziaria trae spunto. Williams anticipò concetti che vennero

ripresi diversi anni dopo da autori come Markowitz, Modigliani-Miller e Fama.

Dott. Andrea Castiglione VI

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Frederick R. Macauley

Il prezzo di un titolo obbligazionario può essere espresso, così come quello di una qualunque

attività finanziaria, come valore attuale dei flussi di cassa futuri. In formula:

Nell’accingersi a selezionare i titoli nei quali investire il risparmiatore oculato dovrebbe, non

potendo essere sicuro a priori di condurre l’investimento fino a scadenza, valutare la reattività

del prezzo del titolo ad eventuali variazioni del tasso di interesse, onde avere un’idea delle

possibili perdite in conto capitale in caso di dismissione anticipata. Nel caso di scelta fra

emissioni che non abbiano caratteristiche comuni e, quindi, confrontabili tale scelta sarebbe

pressoché impossibile. In un lavoro del 1938 dal titolo “Some Theoretical Problems

Suggested by the Movement of Interest Rates, Bond Yields and Stock Prices in the US since

1856”, Frederick R. Macauley propose, quale indicatore sintetico della reattività dei prezzi dei

titoli obbligazionari al variare dei tassi di interesse la “duration”. In formula:

La duration, nota in italiano come “Durata Media Finanziaria", non è altro che la media

ponderata della durata di un titolo, dove i pesi per la ponderazione sono dati dal rapporto fra i

flussi di cassa attualizzati e il prezzo:

La duration di Macaulay è uno strumento che ha avuto un crescente successo a partire dagli

anni settanta quando, cioè, alla fine di un lungo periodo di stabilità i tassi di interesse

iniziarono ad oscillare notevolmente. La duration risulta essere uno strumento assai utilizzato

in virtù della relativa facilità di calcolo e dell’immediata leggibilità delle informazioni che

essa fornisce. Se, ad esempio, la duration di un generico bond fosse pari a tre ciò

significherebbe che, al variare dei tassi di interesse di un punto percentuale, il prezzo del titolo

subirebbe una variazione, di segno opposto alla variazione di tasso, di circa il tre percento.

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3. La Moderna Teoria di Portafoglio

Harry M. Markowitz (1927), Premio Nobel per l’Economia 1990

“Don't bet the ranch.

Get more bang for your buck.

Maximize output relative to input.

Nothing ventured, nothing gained.

Diversify instead of striving to make a killing.

Don't put all your eggs in one basket; if it drops, you're in trouble.

High volatility is like putting your head in the oven and your feet in

the refrigerator."

La filosofia di Harry M. Markowitz, può essere agevolmente riassunta da queste semplici

frasi di comune buonsenso che lo stesso Markowitz, giovane studente di 25 anni, pare abbia

annotato sul proprio block notes mentre leggeva “The Theory of Investment Value” di Sir

John Burr Williams all’interno della libreria della Chicago University.

Markowitz concentrando la sua attenzione sulla comune pratica della diversificazione di

portafoglio dimostrò nel suo articolo “Portfolio selection” del 1952, che gli varrà il Nobel 38

anni dopo, come fosse possibile ridurre lo scarto quadratico medio dei rendimenti del

portafoglio scegliendo azioni che hanno andamenti non perfettamente correlati. Il contributo

di Harry Markowitz non si fermò a questo punto ma si spinse oltre fino a formulare i principi

base della costruzione di un portafoglio e della relazione fra rischio e rendimento.

I principi base della teoria di Markowitz

Lo studio di Markowitz si basa sull’analisi del processo che genera la domanda e l’offerta di

attività finanziarie in funzione del rapporto rischio/rendimento da esse espresso. Il principio

base che governa la teoria di Markowitz è che al fine di costruire un portafoglio efficiente

occorre individuare una combinazione di titoli tale da minimizzare il rischio e massimizzare il

rendimento complessivo compensando gli andamenti asincroni dei singoli titoli. Per far sì che

ciò accada, i titoli che compongono il portafoglio dovranno essere incorrelati o, meglio, non

perfettamente correlati.

Dott. Andrea Castiglione VIII

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Gli assunti fondamentali della teoria di portafoglio secondo Markowitz sono i seguenti:

1. Gli investitori intendono massimizzare la ricchezza finale e sono avversi al rischio.

2. Il periodo di investimento è unico.

3. I costi di transazione e le imposte sono nulli, le attività sono perfettamente divisibili.

4. Il valore atteso e la deviazione standard sono gli unici parametri che guidano la scelta.

5. Il mercato è perfettamente concorrenziale.

Il rendimento di un’attività finanziaria viene definito come il rapporto tra il capitale iniziale e

gli utili prodotti da operazioni di investimento o di compravendita in un periodo di tempo

specificato. Il rischio può essere definito come il grado di incertezza che il mercato esprime

sulla effettiva realizzazione dei rendimenti attesi. Tanto il rendimento, quanto il rischio,

possono essere oggetto di misurazione ex-ante ovvero sono ex-post.

Il rendimento di un titolo azionario misurato ex-post su un periodo T, può essere espresso

come:

(1.1)

dove P(t) e P(t+T) sono i prezzi di mercato negli istanti t e t+T e DT il dividendo per azione

riconosciuto dall’emittente. L’assunzione della (1.1) presuppone che il dividendo DT, sia

percepito all’istante T e che non sia reinvestito, che i costi di transazione siano nulli, che sia

nulla la ritenuta fiscale sui dividendi e, infine, che T sia l’istante di valutazione.

Il rendimento ex-ante è quello stimato all’inizio del periodo di investimento T. Poiché per i

titoli azionari le variabili P(t+T) e DT non sono note con certezza è necessario, per quantificare

il rendimento atteso ex-ante, fare delle previsioni sul loro valore futuro. L’approccio classico

considera RT, valutato ex-ante, come una variabile casuale caratterizzata da un valore medio

(µ), che misura il rendimento atteso sul titolo, da un livello di varianza (σ2), assunto come

misura attendibile dell’incertezza che venga perseguito quel livello di rendimento atteso e da

una distribuzione di probabilità che identifica statisticamente il processo generatore dei prezzi.

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In formula il rendimento atteso viene definito come:

(1.2)

dove p(Ri) è la probabilità che il rendimento atteso, per il titolo i-esimo, sia Ri. La probabilità

è definita come limite del rapporto tra il numero degli eventi favorevoli (Ni) e il numero totale

di osservazioni (N):

(1.3)

La (1.2) richiede, per essere calcolata, la stima di p(Ri) ottenibile dai modelli di analisi delle

serie storiche o dall’analisi fondamentale. Avendo a disposizione un campione di N

osservazioni sotto forma di serie storica dei rendimenti, si potrà dunque considerare la media

aritmetica delle osservazioni come uno stimatore attendibile del rendimento atteso µ.

Il rendimento atteso è dunque in questa ipotesi definito dalla relazione:

(1.4)

Nell’ambito della moderna teoria del portafoglio un’attività finanziaria si considera tanto più

rischiosa quanto più elevata risulta la probabilità che i rendimenti futuri si disperdano rispetto

al valore medio stimato. Una valida misura statistica di questo effetto è rappresentata dalla

varianza, definita come somma degli scarti dalla media al quadrato pesati per le rispettive

probabilità di realizzazione ed espressa dalla relazione:

(1.5)

La funzione σ2 assunta come una stima attendibile della rischiosità finanziaria del titolo, viene

valutata mediante modelli matematico-statistici.

Considerando la varianza campionaria come una stima attendibile della varianza dell’intera

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popolazione e indicato con N il numero di osservazioni delle quali si dispone, il rischio di

un’attività finanziaria si calcola utilizzando la formula seguente:

(1.6)

Un’assunzione fondamentale del mondo markowitziano, riguarda la distribuzione delle

probabilità sulla quale si regge il meccanismo di formazione dei rendimenti, la quale si

ipotizza essere di tipo Gaussiano. Ciò significa considerare che i prezzi siano generati da un

processo casuale che esprime un valore medio atteso uguale a µ e una varianza pari a

σ2, assunzione assai utile dato che le variabili casuali distribuite normalmente sono descritte in

modo completo dalle sole funzioni media e varianza.

Per calcolare il rischio e il rendimento di un portafoglio costituito da N titoli è necessario fare

riferimento alla correlazione esistente tra i titoli e al rapporto tra la frazione di ricchezza

investita su ciascun titolo e quella totale di portafoglio wj = Wj/W.

Si può dimostrare che per un portafoglio composto da n attività rischiose le espressioni del

rendimento e della varianza ex-ante sono le seguenti:

(1.7)

(1.8)

dove wi è il rapporto tra la quantità di ricchezza investita sul titolo i-esimo e quella totale a

disposizione dell’investitore, Cij e ρij sono rispettivamente la covarianza e il coefficiente di

correlazione tra il titolo i-esimo e il titolo j-esimo.

E’ importante sottolineare che i rendimenti e le varianze attese per i singoli titoli che

compongono il portafoglio sono considerate variabili casuali, governate da una distribuzione

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di probabilità condizionata che tiene conto del legame esistente tra un titolo e la rimanente

parte del mercato.

Nel caso di un portafoglio composto da due titoli si avrà:

(1.9)

(1.10)

La (1.10) può essere riscritta come:

(1.11)

sostituendo alla funzione di covarianza la sua espressione in termini di coefficiente di

correlazione lineare, cov(R1,R2) = ρ σ1 σ2 .

La (1.11) ci dice che il rischio associato all’assunzione di un portafoglio composto da due

titoli dipende anche dalla correlazione lineare esistente tra essi.

Si riconosce che, se ρ è nullo la varianza del portafoglio è uguale alla media ponderata delle

varianze dei singoli titoli, pesate dalla percentuale di ricchezza in essi investita. In pratica se

non c’è alcuna correlazione tra i due titoli il rischio di assunzione di un portafoglio è analogo a

quello che caratterizza i singoli titoli.

Se ρ è positivo allora alla crescita del rendimento di un titolo corrisponde l’aumento del

rendimento del secondo titolo, la variabilità del portafoglio, in questa situazione, è maggiore

di quella che caratterizza ciascun titolo.

Se ρ è negativo, il termine 2w1 w2 ρ σ1 σ2 ha segno negativo e la varianza del portafoglio

risulta minore di quella di ciascun titolo. Si deduce che nel caso di andamenti contrapposti dei

rendimenti dei titoli, il rischio di detenzione di un portafoglio si riduce.

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Alle equazioni (1.9) e (1.10), nell’ipotesi che tutta la ricchezza a disposizione sia investita

nelle attività rischiose, è necessario aggiungere anche la condizione:

(1.11)

che definisce il vincolo nel processo di ottimizzazione del rapporto rendimento/rischio.

La costruzione della frontiera efficiente

Se si considerano n alternative rischiose, allora è possibile, a partire dalle equazioni (1.9) e

(1.10), definire nel piano rischio/rendimento una regione ammissibile (opportunity set),

calcolando per ogni suddivisione possibile degli n pesi wi i corrispondenti valori di

rendimento (µp) e di rischio (σp) di portafoglio attesi.

Si definisce frontiera efficiente l'insieme di quei portafogli, cosiddetti dominanti, che a parità

di rendimento sono i meno rischiosi oppure che a parità di rischio sono quelli più redditizi.

Tale insieme di portafogli coincide con l'estremo superiore della regione ammissibile sul

piano (µ−σ).

Dal punto di vista formale, un portafoglio può dirsi efficiente solo se il vettore dei pesi wp

risulta essere soluzione del seguente problema di minimizzazione quadratica:

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(1.12)

dove e denota il vettore a n componenti dei rendimenti attesi, con E[rp] il rendimento atteso

per il portafoglio p e con 1 il vettore unità.

La soluzione del sistema di equazioni (1.12) definisce sul piano rischio/rendimento un

insieme infinito di portafogli ottimali, nel senso che ognuno di essi massimizza il rapporto

rendimento/rischio. Con riferimento alla figura seguente, pertanto, si riconosce che la scelta

del portafoglio A piuttosto che B dipende dalla propensione al rischio dell'investitore.

Un investitore maggiormente propenso al rischio si ritroverà a scegliere il portafoglio B,

perché esprime un rendimento atteso maggiore, mentre per un investitore meno propenso al

rischio la scelta ricadrà, presumibilmente sul portafoglio A.

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James Tobin (1918-2002), Premio Nobel per l’Economia 1981

Il contributo di James Tobin allo sviluppo della “Moderna Teoria di Portafoglio” è talvolta

ingiustamente trascurato, essendo lo stesso Tobin ricordato solo per una fra le sue tante

“invenzioni”, cioè la Tobin Tax. In realtà, l’allievo di Wassily Leontiev e Joseph Alois

Schumpeter presso la Harvard University, partendo dall’idea di Markowitz che la

diversificazione di attività rischiose riducesse il rischio all’interno del portafoglio contribuì ad

un notevole perfezionamento della teoria chiedendosi: cosa succede in termini di rischio e di

rendimento se si combinano attività rischiose con attività risk-free quali la moneta o i bond?

Tobin presentò il risultato dei suoi studi in un articolo del 1958, il quale gli valse il Nobel

diversi anni dopo, dal titolo “Liquidity Preference as Behavior Towards Risk”. I concetti che

egli descrisse in quest’articolo sono conosciuti come “Teorema di Separazione”: separazione

dall’approccio di Markowitz, il quale separava nettamente la scelta se investire in attività

rischiose o attività risk-free.

Il modello di Tobin

Se tra le opportunità di investimento si ha a disposizione un'attività priva di rischio allora la

frontiera efficiente deve tenere conto del punto Rf sull'asse delle ordinate. Questo evento, che

allarga la regione ammissibile, fa sì che la combinazione efficiente di portafogli sia

determinata dalle tangenti alla frontiera efficiente ricavata per le attività rischiose.

Dott. Andrea Castiglione XV

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

La frontiera efficiente 1 è definita dal tasso di rendimento (risk-free) Rf e dall'attività

rischiosa A, mentre se il tasso privo di rischio è dato da Sf allora la frontiera efficiente è la 2 e

il portafoglio costituito da tutte le attività rischiose coincide con B. I punti sulla retta 2 che

giacciono a sinistra di B definiscono portafogli che possono essere composti combinando con

le dovute percentuali il tasso risk-free e il portafoglio B. I punti sulla retta 2 che giacciono a

destra di B definiscono portafogli che possono essere composti finanziandosi al tasso risk-free

e comprando una quantità maggiore rispetto alla ricchezza iniziale di titoli rischiosi.La

differenza tra il rendimento privo di rischio e il rendimento espresso dall'attività rischiosa

efficiente è denominato premio al rischio.

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William F. Sharpe (1934), Premio Nobel per l’Economia 1981

Il Single Index Model

Un importante contributo alla moderna teoria del portafoglio è stato fornito, negli anni

sessanta, da William F. Sharpe con lo sviluppo di un modello di mercato, il “Single Index

Model”, basato sull’idea di scomponibilità del rischio in due dimensioni: la prima legata

all'andamento generale del mercato (rischio sistematico), l'altra legata alla variabilità del

rendimento del singolo titolo (rischio non sistematico).

Verso il rischio non sistematico si interviene diversificando il portafoglio, cioè ricercando

titoli con coefficiente di correlazione negativo. Nei confronti del rischio sistematico è

necessario, invece fare delle scelte. La variabile considerata da Sharpe per misurare il rischio

sistematico è il beta del titolo che coincide con la pendenza della retta di regressione espressa

dai rendimenti del titolo e del mercato.

Il modello di Sharpe ipotizza un meccanismo di generazione dei rendimenti che fa riferimento

ad un unico fattore comune a tutto il mercato. Il rendimento atteso per il generico titolo è

definito dall’equazione:

(1.1)

essendo a sua volta

(1.2)

Nella (1.1) e nella (1.2) si è indicato con Rit il rendimento del titolo i-esimo, con Rmt il

rendimento del mercato di borsa, con αi la componente costante del rendimento del titolo i-

esimo, con βi il beta del titolo i-esimo e con eit la componente erratica del rendimento di

periodo indipendente dall'andamento del mercato.

Dott. Andrea Castiglione XVII

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Nell'ambito del modello di Sharpe il rischio di portafoglio viene definito dalla espressione:

(1.3)

nella quale si assume che tutte le componenti di rischio residuale rispetto al mercato abbiano

lo stesso peso. E’ facile constatare che il rischio residuale medio si riduce all'aumentare dei

titoli in portafoglio. La conseguenza più immediata è che per portafogli di grandi dimensioni

il rischio non sistematico è nullo, mentre risulta rilevante il rischio sistematico.

Il significato del β

Il coefficiente beta (β) è inteso, nel modello di Sharpe, come misura del rapporto tra il grado

di variabilità del rendimento di un'azione rispetto alle variazioni del mercato azionario nel suo

complesso. In formula:

(1.4)

dove Cov(Rm , Rj) esprime la covarianza esistente tra il rendimento espresso dal portafoglio di

mercato (Rm) e quello del titolo j-esimo (Rj), Var(Rm) rappresenta la varianza espressa dai

rendimenti del portafoglio di mercato, ρjm indica il coefficiente di correlazione lineare

esistente tra il rendimento del titolo j-esimo e quello espresso dal portafoglio di mercato e,

infine, σ rappresenta la deviazione standard dei rendimenti.

Dalla (1.4) si deducono facilmente le fondamentali implicazioni del modello di Sharpe:

1) Il portafoglio di mercato ha un β=1, in quanto il rapporto covarianza/varianza è

calcolato rispetto allo stesso mercato. Il valore 1 segna anche la linea di demarcazione

fra due diversi tipi di titoli;

2) I titoli con β>1 esprimono una variabilità maggiore rispetto a quella del portafoglio di

mercato e per questo sono definiti in gergo “aggressivi”: questi titoli “battono” sempre

il mercato, tanto in positivo quanto in negativo cioè guadagnano più del mercato in

caso di rialzi, perdono più del mercato in caso di ribassi;

Dott. Andrea Castiglione XVIII

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

3) I titoli con β<1 sono caratterizzati da una variabilità minore rispetto a quella del

portafoglio di mercato e per questo sono definiti in gergo “difensivi”: questi titoli

“sono sempre battuti” dal mercato, cioè guadagnano meno del mercato in caso di rialzi

e perdono meno del mercato in caso di ribassi.

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4. La Teoria delle Opzioni

Fisher Black (1938-1995)

Myron S. Scholes (1941), Premio Nobel per l’Economia 1997

Il mondo della finanza si presenta spesso come un mondo difficile da comprendere ai non

addetti ai lavori, un mondo in cui dominano regole astruse, termini incomprensibili e modelli

matematici impossibili da decifrare. Tuttavia, fra le equazioni utilizzate dagli “uomini di

finanza” ne esiste una estremamente semplice: Teoria delle Opzioni = Black & Scholes. Ciò

in quanto il contributo di Black e Scholes allo sviluppo della teoria e della pratica finanziaria

è stato “epocale”: il loro modello di formulazione del prezzo per le opzioni su azioni di tipo

europeo, ovvero non esercitabili prima della data di scadenza, ha influenzato le metodologie

di definizione del prezzo di qualsiasi strumento finanziario.

I modelli di pricing delle opzioni sono spesso considerati fra i più complessi dal punto di vista

matematico tra quelli applicati in finanza. Tali tecniche, pur essendosi sviluppate in epoca

recente, derivano in realtà da idee proposte sin dal 1877 da Charles Castelli nel suo libro “The

Theory of Options in Stocks and Shares”. L’opera di Castelli, pur avendo il pregio di aver

introdotto i principi di hedging e di speculazione presso il vasto pubblico mancava di solide

basi teoretiche. Ventitré anni più tardi, Louis Bachelier propose il primo approccio analitico

di valutazione delle opzioni nella sua "Theorie de la Spéculation". Bachelier era sulla strada

giusta: il suo errore consistette nell’utilizzare un processo matematico di generazione dei

prezzi che dava luogo a prezzi negativi del sottostante nonché prezzi dell’opzione che

eccedevano il prezzo del sottostante, ipotesi ovviamente inaccettabili. Al lavoro di Bachelier

si interessò il professor Paul Samuelson del MIT il quale, nel 1955, scrisse un articolo non

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pubblicato dal titolo "Brownian Motion in the Stock Market". Nello stesso anno uno studente

di Samuelson, Richard Kruizenga, citò il lavoro di Bachelier nella sua dissertazione intitolata

"Put and Call Options: A Theoretical and Market Analysis". Nel 1962, una nuova

dissertazione, stavolta di A. James Boness, intitolata "A Theory and Measurement of Stock

Option Value" proponeva un modello di pricing che costituì un grande balzo in avanti rispetto

ai lavori precedenti.

Nel 1969 Fischer Black era un ricercatore a contratto di 31 anni e Myron Scholes era un

assistente di finanza di 28 anni, entrambi presso il MIT. Black lavorava presso Arthur D.

Little a Cambridge, Massachussets, quando si imbatté nel lavoro di un suo collega per

stimare il prezzo di azioni ed altri titoli: fu la scintilla che “risvegliò” il Ph.D in Matematica

Applicata di Fischer Black e che lo spinse a concentrare la sua attenzione sulla valutazione

delle opzioni.

Il primo passo verso la realizzazione del modello consistette nel cercare di comprendere la

dinamica del tasso di sconto di un warrant in relazione al trascorrere del tempo ed al variare

del prezzo dell’azione sottostante. Black notò subito la somiglianza fra l’equazione risultante

dai suoi studi e l’equazione del calore: era il primo passo verso la soluzione. Poco tempo dopo

Myron S. Scholes si unì a Black: i due, traendo ispirazione dal modello proposto da A. James

Boness, arrivarono ad una prima bozza del loro modello agli inizi del 1973. Il lavoro fu

proposto al “Journal of Political Economy” per la pubblicazione ma venne prontamente

rigettato. Convinti della bontà delle loro idee, Black e Scholes proposero l’articolo alla

“Review of Economics and Statistics”, ottenendo un nuovo diniego. Dopo alcune revisioni in

parte basate sui preziosi suggerimenti di Merton Miller e Eugene Fama, entrambi della

University of Chicago, Black e Scholes riproposero il lavoro al “Journal of Political

Economy”. Nel numero di maggio-giugno 1973 del “JoPE” venne finalmente pubblicato “The

pricing of options and corporate liabilities”: iniziava una nuova era per la finanza.

Il lavoro di Black e Scholes ha aperto la strada ad una nuova generazione di studiosi: fra

questi, si distinse in particolare Robert Merton, il quale apportò non pochi correttivi al

modello originario di Fisher Black e Myron Scholes. Merton fu insignito del premio Nobel

per l’Economia assieme a Scholes nel 1997. Fisher Black, scomparso prematuramente nel

1995, non fece in tempo a godere della fama derivante dalla sua scoperta.

Dott. Andrea Castiglione XXI

Page 22: economia

Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

Il modello Black-Scholes

L’obiettivo del modello è quello di valutare al tempo t il prezzo di una opzione call di tipo

europeo avente scadenza in T, con un prezzo di esercizio pari a K, scritta su un’attività

sottostante, tipicamente un’azione, di valore S nell’ambito di un mercato in cui sono presenti

oltre ad attività rischiose quali le azioni attività prive di rischio quali i bond, il cui tasso di

rendimento risk-free è pari a r.

La bellissima costruzione di Black e Scholes si fonda su alcune ipotesi di base: assenza di

costi di transazione e di imposizione fiscale; tasso di interesse privo di rischio costante;

distribuzione simmetrica delle informazioni fra gli operatori che implica impossibilità di

arbitraggio; possibilità di vendere allo scoperto; non c’è distribuzione di dividendi.

A queste ipotesi si aggiunge quella per cui il rendimento dell’attività rischiosa S (il nome ed il

valore dell’attività vengono confusi) sia caratterizzato da una duplice componente, una

tendenziale ed una aleatoria. Ne consegue che il rendimento del titolo ∆SS può essere

scomposto in una componente tendenziale µ∆t, dove ∆t esprime l’accrescimento medio nel

tempo, ed in una componente aleatoria σdX che assume tanto maggior peso quanto più è

grande σ. A variazioni infinitesimali di rendimento corrisponderà una dinamica del prezzo

spiegabile come:

dSS = µ∆t + σdX

dove dX è un movimento browniano standard, un processo stocastico che vanta, tra le altre

proprietà, quella per cui E(dX2)=dt.

Caratteristiche del “derivato”

Il prezzo della call C, scritta sul sottostante S, dipende da S e da t. Sviluppando C(S,t) in serie

di Taylor limitata, ignorando quindi i termini di ordine superiore a dt (dt2, dt3,..), si avrà:

con

e

Dott. Andrea Castiglione XXII

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

si otterrà

Caratteristiche del portafoglio P Consideriamo adesso un generico portafoglio P, lungo di una opzione e corto di ∆ titoli

sottostanti:

per cui

Cercando di rendere P insensibile alle variazioni del titolo S si ottiene la copertura ∆ :

P è quindi adesso un portafoglio senza rischio, insensibile alle variazioni di S che dovrà avere

un rendimento pari al tasso risk free r, pena la possibilità di arbitraggio :

dP = rPdt

ovvero

P = C - ∆S = C - C

dSδ

S

da cui

dP = r (C - δCδS S ) dt

Dott. Andrea Castiglione XXIII

Page 24: economia

Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

Semplicemente… Black & Scholes

Sostituendo a dP la sua espressione ottenuta dalla (3) e tenendo conto della (4), si ottiene

l’equazione di Black e Scholes:

La soluzione analitica o numerica della precedente equazione permette di ottenere il prezzo di

una call europea su un titolo che in t ha prezzo S, da esercitare alla scadenza T, con prezzo di

esercizio K, in presenza di un tasso di interesse privo di rischio r, ed una volatilità annua del

titolo pari a σ:

( ) ( ) ( )2 )

1 d N e K d N S Call t T r ⋅ ⋅ − ⋅ = − −

dove

( ) ( ) ( )

t T

t T r K S

d −

− + + =

σ

σ 2 2 1 1

log

tTdd −−= σ12

Per l’opzione put, sulla base della “put-call parity”, si avrà:

( ) ( ) ( )1 2

) d N S d N e K Put t T r − ⋅ − − ⋅ ⋅ = − −

“Le greche”

Delta Misura la variazione istantanea del prezzo dell’opzione per ogni variazione unitaria del

prezzo del titolo:

Dott. Andrea Castiglione XXIV

Page 25: economia

Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

Theta

Misura la sensibilità del prezzo dell’opzione al trascorrere del tempo:

Rho Misura la variabilità del valore dell’opzione al variare del tasso di interesse.

Vega Misura la variabilità del prezzo dell’opzione al variare della volatilità:

Gamma

Misura la variabilità del valore dell’indice “delta” al variare del prezzo del sottostante:

Omega

Misura la sensibilità dell’opzione in rapporto al sottostante:

Dott. Andrea Castiglione XXV

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

John C. Cox, Stephen A. Ross, Mark E. Rubinstein

Nel settembre del 1979 John C. Cox, Stephen A. Ross e Mark E. Rubinstein proposero, in un

articolo pubblicato sul “Journal of Financial Economics” dal titolo “Option Pricing: A

Simplified Approach” un metodo di valutazione delle opzioni europee alternativo a quello

proposto sei anni prima da Fisher Black e Myron Scholes.

Il ragionamento sottostante al modello di Cox, Ross e Rubinstein è tanto semplice quanto

geniale: per ottenere il valore della Call è sufficiente costruire un portafoglio composto da

azioni e da zero coupon risk free che “replichi” la dinamica del valore dell’opzione nel tempo.

Ipotesi base del modello sono che la dinamica del valore del sottostante S segua una legge

lognormale e che da un istante all’altro S possa assumere un valore alto (h) o basso (b): è

proprio per questo che il modello di Cox, Ross e Rubinstein è conosciuto come “modello

binomiale”. Conseguentemente, sarà come se S venisse moltiplicato per h (S(1) = hS(0) con

h > 1) oppure per b (S(1) = bS(0) con 0 < b < 1). La probabilità che il valore sia alto (h) sarà

p, quella che il valore sia basso (b) sarà (1 - p). Ogni rialzo/ribasso annullerà quindi il

precedente ribasso/rialzo cioè:

hb = 1 (1)

Il modello binomiale Sia C il valore di una call europea iscritta sull’attività S e P il portafoglio “lungo” di una

opzione e “corto” di ∆ titoli sottostanti:

Il calcolo di ∆ è fondamentale al fine di rendere P insensibile alle variazioni di S tra t0 e t1,

ricordando che δt è l’intervallo temporale fra tra t0 e t1.

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

I valori corrispondenti ad un rialzo di S si indicheranno con il segno (+), quelli corrispondenti

ad un ribasso di S si indicheranno con un segno (-).

Affinché non esistano delle possibilità di arbitraggio senza rischio, il rendimento del

portafoglio P dovrà essere esattamente pari al tasso risk free R. Conseguentemente, varrà

l’equazione:

dove

Dalla (3) e dalla (4) si deduce C, ovvero il valore dell’opzione in t0:

Rimangono quindi da valutare i valori h e b. Essendo δt l’intervallo temporale fra t0 e t1, µ la

media ed σ la varianza dei rendimenti di S per unità di tempo, si avranno le seguenti relazioni:

Utilizzando la (1) si otterrà :

Le equazioni (5), (6) e (7) permettono di ricavare il valore dell’opzione C al tempo t0 dai

valori della stessa opzione al tempo t1, t2, …, tn. Ciò è possibile dal momento che, ad ogni

istante successivo, il valore del titolo sottostante potrà assumere solo due valori, alto o basso.

Procedendo a ritroso, di nodo in nodo, sarà quindi possibile risalire al valore dell’opzione al

Dott. Andrea Castiglione XXVII

Page 28: economia

Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

tempo t0. In generale, se tn è la data di scadenza dell’opzione, il problema sarà risolto

facilmente, giacché il valore della Call in tale data è dato da max(S - K, 0).

L’albero binomiale può essere così rappresentato :

Valore Sottostante Valore Call

HhS max(hhS-K,0) hS C+ S C HbS Max(S-K,0) bS C- BbS max(bbS-K,0)

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

5. Finanza Aziendale

Myron J. Gordon

Il problema della definizione del valore di mercato di una qualsivoglia azienda fu affrontato in

maniera sistematica per la prima volta da Sir John Burr Williams, il quale nel suo “The

Theory of Investment Value” del 1938 elaborò un sistema per l’epoca rivoluzionario.

Williams introdusse per la prima volta l’idea che il valore di un’azienda dovesse essere

calcolato sulla base dei dividendi attesi in futuro. Egli, inoltre, ben conscio delle difficoltà di

stima dei dividendi futuri e, soprattutto, del tasso di incremento degli stessi, arrivò ad

ipotizzare dei modelli con differenti tassi di crescita.

Sebbene con Williams si ebbero dei notevoli passi in avanti verso un efficiente modello di

valutazione degli investimenti, occorrerà attendere la pubblicazione, nel 1956, di un articolo a

cura di Gordon e Shapiro “Capital Equipment Analysis: the Required Rate of Profit” e la

successiva “sistematizzazione” della teoria ad opera di Gordon nell’articolo “The Investing,

Financing and Valuation of the Corporation” del 1962 per poter parlare di un vero e proprio

“Modello dei Dividendi Scontati”.

Il Dividend Discount Model (DDM) è anche noto, in lingua italiana, come “Modello a

Crescita Costante”: ciò in quanto il prezzo di una attività finanziaria è ottenuto come somma

dei flussi dei dividendi futuri attualizzati ad un tasso di sconto costante.

Il valore attuale del flusso dei dividendi attesi può essere espresso come:

Dott. Andrea Castiglione XXIX

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

P0 = E(D1)(1+r) +

E(D2)(1+r)2 + ... +

E(Dt)(1+r)t = ∑ E(Dn)

(1+r)n

dove:

P0 = prezzo corrente dell’azione

E(Dt) = dividendo atteso per l’anno t

n = numero degli anni di attività dell’impresa

r = tasso di attualizzazione aggiustato per il rischio.

Questa equazione ipotizza che l’investitore detenga il titolo per tutta la durata della vita

dell’azienda. Essendo tale ipotesi assai irrealistica il modello prevede che il valore del titolo

possa venir calcolato anche nel caso in cui il titolo sia detenuto per periodi inferiori. Se, ad

esempio, il titolo è detenuto per due anni il prezzo sarà calcolato come:

P0 = E(D1)(1+r)1 +

E(D2)(1+r)2 +

E(P2)(1+r)2

dove:

E(P2) = prezzo atteso alla fine del secondo anno.

Ad una prima lettura si potrebbe obiettare che il prezzo dell’azione non sembra essere

spiegato dai dividendi attesi. In realtà è possibile dimostrare che la (2) sia uguale alla (1):

basterà supporre che un ipotetico investitore, alla fine del secondo anno, offra un prezzo

basato su i dividendi futuri ( D3, D4,…) e che le aspettative sui dividendi e sul tasso di sconto

siano uguali a quelle precedenti. Il prezzo atteso dopo il secondo anno sarà:

Sostituendo questo valore all’E(P2) nell’equazione (1), avremo:

P0 = E(D1)(1+r)1 +

E(D2)(1+r)2 +

1(1+r)2 [

E(D3)(1+r)1 +

E(D4)(1+r)2 + … +

E(Dn)(1+r)n-2 ]

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Page 31: economia

Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

che è uguale alla (1).

E’ possibile concludere, quindi, che tutti gli investitori si preoccupano solamente del prezzo

di acquisto, dei dividendi ricevuti durante il periodo di detenzione del titolo e del prezzo di

vendita. L’equazione (1) stima tutti i dividendi pagati nella vita dell’azienda: in realtà quanto

visto finora è solo una “introduzione” al modello di Gordon vero e proprio.

Il Dividend Discount Model assume tre ipotesi di base:

1. il flusso dei dividendi è perpetuo

2. i dividendi crescono sempre ad un tasso costante g

3. il tasso di sconto è maggiore del tasso di crescita (r > g)

Partendo dalle prime due ipotesi l’equazione (1) diverrà:

P0 = D0 = [ (1+g1+r )1 + (1+g

1+r )2 + … + ( 1+g1+r )∞]

Si tratta di una equazione in forma geometrica, in cui il fattore geometrico è (1 + g)/(1 + r).

Ricostruendo la (4) secondo la progressione geometrica, otterremo:

P0 = D1r-g

dove:

D1 = dividendo da riscuotere

E facile notare come D1 sia uguale a D0(1 + g): quest’ultima equazione rappresenta “il succo”

del modello di Gordon.

Sebbene l’ipotesi di un tasso costante nel tempo risulti alquanto forte, l’equazione si pone

come un ottimo strumento per analizzare le principali determinanti dei prezzi e dei

rendimenti. L’equazione (5) può essere riscritta come:

Dott. Andrea Castiglione XXXI

Page 32: economia

Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

r = D1P0

+ g

Si può quindi concludere che il rendimento complessivo può essere scomposto in due

componenti, il tasso di dividendo D1/P0 e il tasso di crescita g: se il tasso di capitalizzazione,

r, è costante, la crescita del prezzo dell’azione sarà uguale al tasso di crescita dei dividendi.

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

Franco Modigliani (1919), Premio Nobel per l’Economia 1985

Merton Miller (1923-2000), Premio Nobel per l’Economia 1990

Per gli uomini di finanza “M&M” non è un prodotto dell’industria dolciaria o una catena di

supermercati ma bensì il richiamo ad uno dei modelli fondamentali della teoria finanziaria: il

modello di “Modigliani & Miller” pubblicato nel 1958 nell’articolo “The Cost of Capital,

Corporation Finance and the Theory of Investment”.

Il lavoro di Modigliani e Miller era stato in un certo senso anticipato, ancora una volta, da Sir

John Burr Williams in “The Theory of Investment Value” del 1938 e da D. Durand in “Cost

of Debt and Equity Funds or Business: Trends and Problems of Measurement” del 1952.

Modigliani e Miller riuscirono, però, a fornire più solide basi teoriche alle idee dei loro

predecessori aprendo così la strada al filone di studi sulla creazione del valore nelle imprese.

Il modello “M&M” dimostrò, in particolare, come il valore di mercato non dipenda né

dall’utile contabile, né dalla politica dei dividendi, ma dalla capacità di selezionare

investimenti di capitale che rendono più di quanto costano.

I destini di Franco Modigliani, italiano emigrato negli Stati Uniti nel 1939 in seguito alla

promulgazione delle leggi razziali in Italia, e Merton Miller, originario di Boston,

Massachussets, si incrociarono nel 1954 al Carnegie Institute of Technology (ora Carnegie

Mellon University). Dalla loro collaborazione nacque, oltre ad altri numerosi contributi, il

modello “M&M”. Entrambi sono stati premiati con il Nobel per l’Economia: Modigliani per

la “Teoria del Ciclo Vitale” nel 1985, Miller per i suoi studi sui mercati finanziari nel 1990.

Dott. Andrea Castiglione XXXIII

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

Il Modello “M&M” La risorsa più ricca di un’impresa è costituita dai flussi di cassa generati dalle proprie attività:

se l’impresa è completamente finanziata con capitale azionario tutti questi flussi appartengono

agli azionisti; se, invece, l’impresa si finanzia in parte con capitale obbligazionario, occorre

distinguere i flussi “azionari” da quelli “obbligazionari”. L’insieme dei titoli emessi da una

qualsivoglia impresa è detta struttura finanziaria: Modigliani e Miller dimostrano che in

mercati perfetti la politica dei dividendi e le decisioni di finanziamento sono irrilevanti.

“La proposizione I”

Se si fosse responsabili finanziari di una qualsivoglia impresa e ci si ponesse il problema di

trovare la combinazione di fonti di finanziamento che massimizzano il valore dell’impresa ci

si chiederebbe: come fare? Modigliani e Miller risponderebbero che questo non è un

problema, visto che in mercati perfetti le scelte di finanziamento sono tutte equivalenti.

Immaginiamo due imprese, A e B, che generano lo stesso flusso di reddito e che sono tra loro

diverse solo per la struttura finanziaria. L’impresa A non è indebitata, per cui il valore del suo

capitale netto EA coincide col valore globale dell’impresa VA . In formula:

EA = VA

Per l’impresa B, indebitata, il valore delle azioni EB sarà uguale al valore dell’impresa VB

meno il valore del debito DB :

EB = VB - DB

A prima vista l’impresa nella quale converrebbe di più investire sembrerebbe l’impresa non

indebitata, cioè l’impresa A: ebbene, Modigliani e Miller dimostrano che ciò non è vero e che

visto che entrambi gli investimenti debbono avere lo stesso costo, si può concludere (è

proprio questa la famosa “proposizione I”) che il valore di mercato di qualsiasi impresa è

indipendente dalla struttura finanziaria.

“La proposizione II”

La seconda proposizione di Modigliani e Miller afferma che il tasso di rendimento atteso delle

azioni ordinarie di una impresa indebitata aumenta in proporzione al rapporto debito/capitale

netto (D/E) espresso a valori i mercato. Il tasso di aumento dipende dalla differenza fra rA , il

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

tasso di rendimento atteso di un portafoglio comprendente tutti i titoli dell’impresa, e rD, il

rendimento atteso del debito.Se l’impresa non è indebitata si avrà rA = rD.

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

6. La Teoria del Mercato Efficiente

Eugene F. Fama (1939)

Agli inizi degli anni sessanta, un giovane studente universitario di Boston, Eugene Fama, di

chiare origini italiane, lavorava per una piccola casa editrice col compito di analizzare i dati

dei mercati finanziari e cercare di trarre delle indicazioni di “buy” o “sell” sui titoli. La

frustrazione derivante dalla difficoltà nell’interpretare i “segnali” lanciati dai mercati spinse

Fama a buttarsi a capofitto negli studi di economia presso la University of Chicago ed a

conseguire un Ph.D nel 1965. E’ proprio alla tesi di dottorato di Eugene Fama che si deve la

definizione della “Teoria del Mercato Efficiente”: Nel gennaio del 1965 il “Journal of

Business” pubblicò l’intera tesi di dottorato di Fama, un lavoro di ben 70 pagine, con il titolo

“The Behavior of Stock Market Prices” mentre nove mesi dopo una sintesi del lavoro venne

pubblicata sul “Financial Analysts Journal” col titolo "Random Walks in Stock Market

Prices".

Nel suo lavoro Fama sosteneva che stante l’utilizzo di ingenti risorse da parte delle società di

brokeraggio al fine di condurre studi sui trend nell’industria, sugli effetti delle variazioni dei

tassi, sui bilanci delle aziende e sulle aspettative di managers e/o politici gli analisti delle

stesse società avrebbero dovuto essere in grado di battere sistematicamente un generico

portafoglio titoli con le stesse caratteristiche di rischio. Poiché, secondo Fama, in ogni

situazione l’analista professionista ha il cinquanta percento di probabilità di battere il mercato,

anche se le sue capacità specifiche non esistessero egli non batterebbe di molto il mercato.

L’analista di fatto “aiuta” il mercato a restare efficiente: se tutti gli investitori, infatti,

detenessero portafogli costituiti da indici azionari, si aprirebbero notevoli opportunità per i

traders professionisti di avvantaggiarsi della situazione. Ma proprio il movimento dei traders

verso tale “nuovo mercato vergine” farebbe sì che il vantaggio scompaia, confermando ancora

una volta, quindi, la “Efficient Market Theory” di Fama.

Dott. Andrea Castiglione XXXVI

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

L’analisi di Fama tendeva a confermare, quindi, la “Random Walk Theory” dei prezzi

azionari già investigata da autori quali Louis Bachelier nel 1900, Holbrook Working nel 1934,

Alfred Cowles nel 1937, Clive Granger e Oskar Morgenstern nel 1963 e Paul Samuelson nel

1965. Alla loro opera Fama aggiunse un più rigoroso approccio statistico-matematico ed una

maggiore forza nell’esposizione: si trattava di una nuova rivoluzione per la finanza.

Fama formula tre diverse ipotesi in merito all’efficienza dei mercati.

“Weak Hypothesis”

Secondo Fama un mercato è efficiente in forma debole laddove i prezzi incorporino tutte le

notizie che possono essere tratte dal mercato: se, ad esempio, esiste un andamento stagionale

dei prezzi, il mercato capta immediatamente il fenomeno e vi si adegua. Se il mercato è

efficiente quindi “il passato è nel prezzo”.

“Semi-Strong Hypothesis”

L’efficienza in forma semi-forte allarga il campo dell’analisi alle informazioni “pubbliche”

quali ad esempio i profitti conseguiti o i dividendi distribuiti dalla società. Nel momento in

cui tali notizie divengono di pubblico dominio, il prezzo le ha già incorporate. Scegliere,

quindi, i titoli sulla base di queste informazioni non permette di battere il mercato.

“Strong Hypothesis”

L’efficienza in forma forte assume che tutti gli investitori dispongano dello stesso set

informativo e che nessuno possa beneficiare di informazioni privilegiate: l’informazione

giunge quindi “a pioggia” sul mercato.

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Gli uomini che hanno scritto la storia della finanza

7. Conclusioni

Il “viaggio virtuale” condotto nella storia della finanza ci ha portato ad analizzare, nei limiti

del possibile, la vita e l’opera di persone non troppo comuni che hanno lasciato in eredità a

noi tutti un patrimonio inestimabile di conoscenza. Molti altri studiosi, oltre a quelli da noi

considerati, hanno contribuito allo sviluppo della teoria finanziaria. E’ doveroso ricordarne

almeno il nome: Irving Fisher, John Maynard Keynes, Sir John R. Hicks, Nicholas Kaldor,

Jacob Marschak, Benjamin Graham, Samuel Eliot Gould, William J. Baumol, John Lintner,

Richard Roll, Roy Radner, Oliver D. Hart, David M. Kreps, Darrell J. Duffie, Chi-Fu Huang,

Jonathan E. Ingersoll Jr., Michael C. Jensen, Jacques H. Drèze, Sanford J. Grossman, Joseph

E. Stiglitz, Paul R. Milgrom, Douglas Gale, Holbrook Working, Oskar Morgenstern, Paul A.

Samuelson, Benoit B. Mandelbrot, Hendrick S. Houthakker, Robert E. Lucas Jr., Burton G.

Malkiel, Robert Shiller.

Le idee di questi uomini hanno avuto un peso rilevante nel plasmare la società nella quale tutti

noi oggi viviamo: una società che propone agli uomini, giorno dopo giorno, nuove sfide da

affrontare con strumenti “ancora più nuovi”. Ci si domanda sempre più spesso, a ragione

secondo noi, se la corsa continua verso il progresso, verso “il miglioramento della

performance”, possa davvero protrarsi ad infinito. Noi risponderemmo, consci della modestia

del nostro contributo, che la corsa non può continuare all’infinito semplicemente perché gli

uomini hanno dei limiti, limiti che non si può pensare di superare con un uso distorto degli

strumenti a nostra disposizione. La conoscenza, le tecnologie, la quasi totale mancanza di

limiti alla mobilità delle persone, delle cose e dei capitali, altro non sono, infatti, che degli

strumenti a nostra disposizione: a noi il compito di usare lo strumento nella giusta maniera.

Dott. Andrea Castiglione XXXVIII