ECCOCI DI NUOVO! N.B.: assieme alla pagella. · Le api in cerca di una nuova casa Pag. 6...

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ECCOCI DI NUOVO! Il giornalino, a quanto pare, ha suscitato un vivo interesse. È parso utile e bello, e ciò è già, per tut- ti noi che lo facciamo, una bella soddisfazione. Questa si amplifica vieppiù per le collaborazioni che iniziano a giungere, in particolare dalla colle- ga di San Pietro in Campiano Elisa Biguzzi. A tal punto contiamo di far l'en plein il prossimo anno! Purtroppo, dopo tante belle cose, dobbiamo ap- purare che la dura realtà rattrista i nostri cuori. La guerra sembra vieppiù vicina, col suo carico di morti e devastazioni. Ed è perciò straordinario che si alzino voci di PACE da parte dei nostri alunni! Non solo ci aiutano a capire ma ci pro- spettano un mondo migliore, una luce in questi anni di tenebra. prof. Libero Vallicelli LA PACE Ognuno di noi vive la propria vita fatta di passio- ni, desideri e valori. Dentro tutti c'è anche il desi- derio di condurre un'esistenza serena e pacifica. Purtroppo nella storia le persone potenti ed i popo- li hanno commesso crimini contro gli esseri umani dalla nascita delle grandi civiltà antiche ad oggi. Gli uomini dovrebbero capire che la pace si ottiene non imponendo sofferenza, ma con la propria soffe- renza. Sofferenza nel senso di impegno per capire il punto di vista degli altri, utilizzando la diploma- zia politica e la compassione umana. Quello che è importante capire è che siamo tutti esseri umani, e che le differenze di razza, religione, cultu- ra e politica non devono mai essere scuse per scate- nare guerre e distruzioni. Solo le nostre singole scelte ed azioni, se orientate a questi ideali di pace e fratellanza, possono fare la differenza ogni giorno della nostra vita. La storia è piena di di uomini di pace di qualsiasi cultura o religione, basti pensare a S. Francesco, Gandhi, Mandela, Martin Luther King, che con le loro idee ed azioni quotidiane hanno ottenuto più di mille eserciti. Dipende quindi solo da noi se vogliamo veramente un mondo di pace. "La pace non è un sogno: può diventare realtà, ma per custodirla bisogna essere capaci di sognare" (Nelson Mandela). Elena Guberti 1 Scuola Media Statale "Romolo Gessi" - San Pietro in Vincoli - Ravenna Sommario La PACE Pag. 1 A noi, futuri costruttori di Pace Pag. 2 Poesie - Alziamo la testa! - Discoteca? No, grazie! Pag. 3 Adolescenza e amicizia - Due pianeti diversi Pag. 4 Come sono cambiata - Una nuova scuola Pag. 5 Le api in cerca di una nuova casa Pag. 6 L'intelligenza di Sofia - Problemi... Pag. 7 Il ponte delle parole - La Posta dolente Pag. 8 N.B.: ogni alunno riceverà una copia del giornalino assieme alla pagella.

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ECCOCI DI NUOVO!

Il giornalino, a quanto pare, ha suscitato un vivo interesse. È parso utile e bello, e ciò è già, per tut-ti noi che lo facciamo, una bella soddisfazione.

Questa si amplifica vieppiù per le collaborazioni che iniziano a giungere, in particolare dalla colle-ga di San Pietro in Campiano Elisa Biguzzi. A tal punto contiamo di far l'en plein il prossimo anno! Purtroppo, dopo tante belle cose, dobbiamo ap-purare che la dura realtà rattrista i nostri cuori. La guerra sembra vieppiù vicina, col suo carico

di morti e devastazioni. Ed è perciò straordinario che si alzino voci di PACE da parte dei nostri alunni! Non solo ci aiutano a capire ma ci pro-

spettano un mondo migliore, una luce in questi anni di tenebra.

prof. Libero Vallicelli

LA PACE

Ognuno di noi vive la propria vita fatta di passio-ni, desideri e valori. Dentro tutti c'è anche il desi-derio di condurre un'esistenza serena e pacifica.Purtroppo nella storia le persone potenti ed i popo-li hanno commesso crimini contro gli esseri umani dalla nascita delle grandi civiltà antiche ad oggi.Gli uomini dovrebbero capire che la pace si ottiene non imponendo sofferenza, ma con la propria soffe-renza. Sofferenza nel senso di impegno per capire il punto di vista degli altri, utilizzando la diploma-

zia politica e la compassione umana.Quello che è importante

capire è che siamo tutti esseri umani, e che le differenze di razza, religione, cultu-ra e politica non devono mai essere scuse per scate-nare guerre e distruzioni.Solo le nostre singole scelte ed azioni, se orientate a questi ideali di pace e fratellanza, possono fare la differenza ogni giorno della nostra vita.La storia è piena di di uomini di pace di qualsiasi cultura o religione, basti pensare a S. Francesco, Gandhi, Mandela, Martin Luther King, che con le loro idee ed azioni quotidiane hanno ottenuto più di mille eserciti.Dipende quindi solo da noi se vogliamo veramente un mondo di pace. "La pace non è un sogno: può diventare realtà, ma per custodirla bisogna essere capaci di sognare" (Nelson Mandela).

Elena Guberti

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S c u o l a M e d i a S t a t a l e " R o m o l o G e s s i " - S a n P i e t r o i n V i n c o l i - R a v e n n a

SommarioLa PACE Pag. 1

A noi, futuri costruttori di Pace Pag. 2 Poesie - Alziamo la testa! - Discoteca? No, grazie! Pag. 3

" Adolescenza e amicizia - Due pianeti diversi Pag. 4Come sono cambiata - Una nuova scuola Pag. 5

Le api in cerca di una nuova casa Pag. 6L'intelligenza di Sofia - Problemi... Pag. 7

Il ponte delle parole - La Posta dolente Pag. 8

N.B.: ogni alunno riceverà

una copia del giornalino assieme alla pagella.

A noi, futuri costruttori di pace

La guerra scoppia per volontà, decisione e interesse di pochi. La pace può essere costruita ogni giorno da ognuno di noi. Io concordo pienamente con queste affermazioni. Se si guardano i motivi dei vari conflit-ti non sarà difficile rendersi conto di come chi davve-ro ci abbia guadagnato siano stati gruppi estrema-mente ristretti di persone. Consideriamo ad esempio l'ingresso dell'Italia nella Prima Guerra Mondiale. In molti potranno pensare che gli interventisti fossero parte del popolo, ma analizziamo i motivi per cui hanno fatto questa scelta. I proprietari delle indu-strie belliche e i banchieri ave-vano forti interessi economici, tanti invece speravano in una possibile rivoluzione. Ma i con-tadini? E i semplici operai? So-no stati ammaliati da promes-se mai mantenute, illusi di tro-vare nella guerra la possibilità di una vita migliore. In realtà, appena ci si rese conto di quan-to fosse disastroso e fine a se stesso quel massacro, sorse un forte sentimento di pace. Gli uomini si ritrovarono barricati nelle trincee, morendo per la conquista di pochi me-tri di terra. La triste condizione dei soldati è espressa in tutta la sua tragicità nei versi di una poesia di Giu-seppe Ungaretti: Soldati.

“Si sta come d'autunno sugli alberi le foglie”

Ciò indica che si era nel costante terrore di venire uc-cisi, situazione peggiore anche della morte stessa. E per che cosa? Per una conclusione della guerra ricca solo di delusioni? Delusioni e risentimento. E a cosa ha portato tutto ciò se non allo scoppio di un secon-do conflitto? Nessuno ha guadagnato nulla. Anche per gli altri paesi fu la stessa cosa. Nel Natale del 1914 tra i soldati inglesi e tedeschi c'era un così diffuso senso di pace, che i combattimenti furono so-spesi e addirittura si disputò una partita di calcio fra

i nemici. Quindi alla fine gli unici contenti della guer-ra sono stati i ricchi proprietari delle industrie belli-che e delle banche, che mentre gli altri morivano, se ne stavano comodamente a casa contando i quattrini.Considerando gli eventi più recenti il risul-tato non cambia.Nella Guerra del Golfo il vincitore avrebbe ottenuto il controllo dei pozzi, ma per la popolazione locale non sarebbe cambiato assolutamente nulla. Tutto il profitto resta comunque nelle mani di pochi, che vi-vono nel lusso sulle spalle dei lavoratori.Ognuno di noi può contribuire a costruire la pace ogni giorno perché se c'è la consapevolezza dell'inu-

tilità della guerra e non si guardano gli altri co-me nemici da distrugge-re, non si può che arriva-re ad un futuro migliore. Qualcuno potrà obiettare che non basta la volontà di una persona per arri-vare all'eliminazione dei conflitti nel mondo. Ma hanno mai pensato a quanti non difendono la loro opinione per paura? Vedendo che c'è chi agi-

sce con coraggio potrebbero farsi forza e, allora, non saremmo più una minoranza irrilevante. Si arriverà ad essere come il mare, formato da tante piccole goc-cioline è un elemento incontrastabile.In ogni situazione c'è sempre qualcuno che ha desi-derio di pace, che capisce l'assurdità dei conflitti.Un esempio è nel libro “Una bottiglia nel mare di Ga-za”, di Valérie Zenatti. I due protagonisti sono una ragazza israeliana e un giovane palestinese. Le condi-zioni di vita sono difficili e l'ostilità tra i due popoli è più accesa che mai. Nonostante ciò rimane in loro un acceso desiderio di pace, espresso in una corrispon-denza via e-mail, che terminerà con la promessa di incontrarsi. Questa storia mi ha fatto riflettere, anche se è solo un romanzo, ho compreso che tutti possia-mo contribuire alla pace o come minimo a far nasce-re una speranza.

Martina Bombardi

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POESIE

Tutti meritano la pace,di cui ogni cuore è voraceMa come si ottiene?Si mischia un po’ di bene al buon cuoretutto amalgamato con l’amore.La pace è come il cielo,lo dice anche il vangelo.Azzurro come il mare,dove ai bambini piace nuotare.Il contrario della pace è la guerrache ogni gioia butta a terra.A causa sua molti sogni sono stati infranti.A causa sua ci sono stati molti pianti.La guerra è come un’armache uccide ogni speranza.Però non tutto è perduto,Il futuro è ancora sconosciuto.Buttate le armi prima che sia troppo tardi.Stringetevi la manoper andare lontano.

Rondoni Nicolò

La pace è serenità e vivere in libertàessere tutti amici

e sentirsi più felici.Non vogliamo la guerra

ma vivere bene sulla Terraanche le persone diverse da noi

sono un tesoro se tu lo vuoi. In televisione vediamo la guerra

però noi ragazzi qui sulla Terra con tanto impegno e determinazione possiamo cambiare la situazione.

Giada Lombardi e Arianna Calistri

DISAGIO GIOVANILEContinua la nostra "inchiesta" .

Alziamo la testa!

I ragazzi, al giorno d’oggi, passano la maggior parte del tempo utilizzando il cellulare. Col passare degli anni, da

semplice apparecchio creato per poter comunicare con una persona, il cellulare è diventato in grado di fare molte co-

se: messaggiare, navigare in internet, scaricare foto, musi-ca, giochi, eccetera. Tutte queste applicazioni lo rendono

indispensabile in molti momenti della giornata.Un altro fattore importante è la moda. I ragazzi, compra-

no gli ultimi modelli di cellulare, cercando di scatenare negli altri compagni un forte interesse e involontariamen-te di omologarsi. Il cellulare, ultimo strumento di comuni-cazione, diventa un oggetto obbligatorio fra i giovani che

non hanno abbastanza coraggio e personalità per essere diversi e si trasformano in una “massa” con le teste chine

sullo schermo, incurante di tutto ciò che accade attorno. Ma il cellulare ha altri lati negativi.

Io passavo molto tempo utilizzando il mio cellulare. Non tanto per moda, ma per i giochi, soprattutto quelli che ti

permettono di comunicare tramite messaggi con gli amici. Più giochi scaricavo e più ne risentivo il richiamo, come

una droga. Senza che me ne accorgessi questo passatempo stava riempiendo le mie giornate e non mi curavo più di tutto ciò che mi accadeva intorno. Iniziai a rifiutare gli

inviti dei miei amici a giocare e poi i miei voti scolastici si abbassarono per il poco studio.

Me ne accorsi quando dimenticai il cellulare a casa di ami-ci che abitavano molto distanti da noi. Durante quel perio-do ebbi tempo per capire: benché sapessi che il cellulare mi

privava di tante cose belle, non avevo la forza di allonta-narlo quando lo avevo tra le mani. Oggi cerco di usarlo

con moderazione, a volte ci riesco… altre no.

Ballelli Alessandro

Discoteca? No, grazie!

Partiamo dal presupposto che la discoteca sia un luogo di divertimento, quindi non è vietato a nessuno frequentarla. Essa resta un posto di socializzazione in cui i ragazzi pos-sono divertirsi in compagnia, ballare e fare nuove cono-scenze. Malgrado abbia numerosi pregi essa presenta pur-

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troppo anche numerosi difetti. Infatti se da una parte puoi avere la fortuna di incontrare gente buona, amichevole, gentile, puoi anche avere la sfortuna di conoscere persone non troppo affidabili, le cosiddette “cattive compagnie” dalle quali meglio stare alla larga. La nostra generazione considera la discoteca come un gio-co. Molti ragazzi, anche della nostra età accettano subito ciò che viene offerto loro, senza pensare. Presi dall'euforia di essere in un posto frequentato da persone “giuste”, for-se solo per il fatto di essere più grandi, si lasciano influen-zare e smettono di pensare con la propria testa. In discote-ca un quattordicenne non si fa tante domande del tipo: «Come rispondo se mi offrono qualcosa di alcolico da be-re?». Alla nostra età se vedi gli altri che bevono, per non sembrare un imbranato, bevi anche tu e questa cosa non va assolutamente bene!Avendo espresso numerosi giudi-zi negativi sulla discoteca, posso semplicemente dirvi che ci sono comunque tantissime altre op-portunità di divertimento e sva-go per noi giovani. Le prime che mi vengono in mente sono: la pizzeria, il cinema, una partita a bowling, un giro in centro, eccetera.Logicamente... libera scelta a tutti! Solamente pensiamo con la nostra testa e riflettiamo su ciò che stiamo per fare.

Caterina Bernardi

Adolescenza e amicizia

Molto nostri coetanei spesso si sentono già adulti e di con-seguenza assumono atteggiamenti lontani da quelli che avevano poco prima.Ai ragazzi piace andare in giro con i più grandi, lo vedono un modo per entrare a piccoli passi nella società dei mag-giorenni. Immaginano che conoscere cose da grandi piano piano li aiuti ad entrare nella loro vita. Essere nel gruppo dei grandi offre vantaggi come l'esperienza di chi ha già affrontato, seppure da poco tempo, i nostri stessi dubbi e problemi. Ovviamente il risultato finale varia dal tipo di

amico più grande che ognuno possiede; infatti se è sbaglia-to può rovinare l'adolescenza di un giovane e a volte, pur-troppo, anche la vita.La sensazione che si prova è gradevole: ti senti accettata e pronta per compiere alcune azioni. In questo caso i più grandi sono una specie di giovane guida in fatto di primi amori, scuola, luoghi divertenti e qualche volta addirittu-ra lavoro. Ti fanno pensare al presente e ti aiutano a viver-lo in modo stupendo.Le amicizie che stringiamo adesso le porteremo dietro tut-ta la vita ed è fantastico crescere con una persona che ti conosce da sempre ed è capace di capirti in ogni tuo gesto. Paragono quest'amicizia ad una specie di diario segreto, con cui puoi sfogarti e parlare di tutto senza paura perché

di quella persona ti fidi. Crescere con i tuoi coetanei ti porta a conoscere le cose man mano che ti capitano; al contra-rio gli amici più grandi sanno darti una prospettiva sul futuro.

Elisabetta Minardi

Un tema spesso sottovalutato è il passaggio imperioso che c'è dalla Primaria alla Secondaria. Ecco come lo raccontano alcune alunne...

Due pianeti diversi...

Due pianeti diversi... così si possono definire le elementari e le medie. Un passaggio che abbiamo o altri devono anco-ra affrontare. Un posto misterioso che non conosciamo da

cui poche informazioni giungono a noi per saziare la no-stra curiosità. È vero, può spaventare, ma basta impegnar-

si, dare il meglio di se stessi e superare i propri limiti e paure per ottenere buoni risultati. Un' esperienza che ci

regalerà tante emozioni più o meno belle e che ci aiuterà a crescere. Per me ad esempio non è stato tanto facile. È un pianeta diverso... mi ripetevo senza sosta. Avevo paura di

non farcela e cedere... Ho sprecato tanti pianti che solo adesso mi rendo conto inutili. Mi mancavano le elementa-

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ri e al solo pensiero cadevo nella tristezza. Nel tempo però mi sono resa conto che questo percorso mi avrebbe fatta

maturare e cambiare la visione del mondo che avevo e che per stare meglio dovevo guardare avanti e non più indie-tro ma godermi questo percorso che mi avrebbe aiutata a diventare grande, rendendomi conto di com'era veramen-te il mondo; non più un gioco facile da affrontare ma un luogo pieno di problemi da risolvere e dove qualche volta

ci può regalare dispiaceri o non... Sono cambiati il mio modo di pensare e parlare che comunque potrebbe sembra-

re una cosa banale ma per me importante... Queste non sono neanche la metà delle cose di me che sono cambiate perché potrei fare una lista intera di una pagina ma che

però non servirebbe a niente quindi, per riassumere, posso dire di essere certa di essere cambiata: IO.

Elisa Strazzeri

Come sono cambiata

Quando ho realizzato che tutto stava cambiando ho solo pianto, non sapevo che fare. Non so ben spiegare cosa pro-

vavo, che sentimento, emozione, era racchiuso nelle mie lacrime; forse paura o semplicemente tristezza.

Quel momento segnava il passaggio da una piccola scuo-la, una classe di poche persone e due insegnanti che da 5 anni erano il mio punto di riferimento ad una realtà del

tutto diversa: LE SCUOLE MEDIE.Era un bel cambiamento, ero molto agitata, triste, impauri-

ta e allo stesso tempo felice.Avevo la certezza di non poter più avere tutti i miei com-

pagni e amici con me. Appena ho visto le classi ricordo solo di aver nuovamente pianto, ma stavolta so cosa prova-vo: tristezza. Tutte le persone che speravo fossero in classe

con me erano sparse nelle altre classi.Il primo giorno, entrando in classe, mi sentii come un pe-

sce fuor d'acqua; c'erano i gruppetti formati, perciò decisi di sedermi in un banco vuoto vicino ad una persona che

non conoscevo, sperando di fare amicizia e così è successo.Dopo qualche settimana mi sono accorta che i gruppi non

esistevano, era solo una mia brutta sensazione, infatti non mi è stato difficile fare altre nuove amicizie.

Ma non tutto poteva andare bene. Se da una parte ero feli-ce e mi sentiva apprezzata e senza paura dall'altra era tut-

to il contrario: ciò che mi faceva paura erano i ragazzi di

terza. Si comportavano come re e noi eravamo delle sotto-specie, degli animali: in modo schietto plebei.

Iniziai a capirlo in autobus: noi di prima media potevamo stare solo nelle tre file davanti, tutti spiaccicati.

Dopo poco capii che anche nei corridoi sarebbe successo: sgambetti, spinte, a volte insulti e persone che ti arrivano addosso. Era orrendo, mi faceva sentire malissimo, la cosa

più brutta era il fatto di non riuscire a parlare con nessu-no perché credevo di non essere capita.

Ho capito che non essere in classe con le persone che avrei voluto mi ha aperto gli occhi: ho scoperto chi mi vuole be-

ne veramente e chi no. Ma non solo: se fossi stata in classe con quelle persone mi sarebbero bastate loro. Nel senso:

non mi sarei aperta a nuove persone, coloro che ora, dopo averle conosciute, sono sostegni in più, amiche in più, le

amiche più speciali. Ora che sono in seconda è cambiato tutto, mi rendo conto che sono diventata più forte e sono molto meno chiusa in me stessa. Mi sono accorta che non solo i miei compagni ma anche i professori sono molto disponibili e si può dire

loro di tutto. Essere capitata in questa classe mi ha arricchita tanto, an-

che grazie ai professori, e sono molto felice di questo.

Giulia Muceli

Una nuova scuola!

È stato difficile lasciare le mie maestre!Sono in prima e ho fatto molta fatica ad abituarmi alla nuova scuola: troppi compiti, non pensavo così tanti!Mi ha messo molto in difficoltà la diversità del modo di rapportarsi dei docenti con noi alunni: abituarsi a dare del “LEI” è stato difficilissimo!Un'altra difficoltà è capire le esigenze di tutti i professori., perché già ci si era adeguati a qualcuno (maestre) ed ora bisogna adeguarsi a molti altri; insomma, è come ricomin-ciare di nuovo!Per me è stato molto difficile, soprattutto perché sono mol-to emotivo e mi “lego” in modo speciale alle persone che vivono con me e mi aiutano; quindi spero di “legarmi” altrettanto ai professori e ai nuovi compagni.

Filippo Trerè

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Ora, se permettete, un bel vanto della nostra scuola! Pubblichiamo le due favole vincitrici del concorso

nazionale di scrittura "Favole senza frontiere".

LE API IN CERCA DI UNA NUOVA CASA

In un bellissimo prato con tante margherite, viole e fiorda-lisi viveva l’ape Zuri con la sua famiglia e tanti altri suoi simili. Era molto felice e trascorreva le sue giornate a svo-lazzare con gli amici, a giocare a nascondino, a succhiare il dolce nettare dei fiori e a riposare all’ombra delle foglie.

Un giorno però arrivò un gruppo di calabroni,

un esercito di terribili guerrieri. La loro malva-

gità era nota a molti, ma fino a quel momento le

api non avevano avuto la sfortuna di incontrarli. Il

capo dei calabroni disse: “Ve ne dovete andare per-

ché noi siamo i padroni di questo territorio. Tutto quello che vedete attorno

a voi appartiene a noi”. Le api risposero: “Noi

non ce ne andiamo, qui ci sono le nostre case: que-sto è il nostro villaggio”. Il calabrone replicò: “Noi

siamo molto più forti di voi e vi conviene ascoltar-

ci e ubbidire o ve ne pentirete”. Ma le api non avevano nessuna intenzione di abbandonare quel luogo e i calabro-ni le attaccarono, distruggendo ogni cosa e uccidendo tut-

te le api che incontravano sul loro cammino. Nell’aria non si respirava più quel buon profumo di erba fresca misto

all’odore dei fiori, ma solo polvere. L’ape Zuri perse tutti i suoi cari, rimase senza casa e senza cibo. Aveva molta pau-ra, non sapeva dove andare perché non conosceva nessuno

in altri posti; non sapeva cosa ne sarebbe stato della sua vita e che futuro spettava a lei e ai suoi simili. Disperata

insieme alle altre api sopravvissute si mise in viaggio alla ricerca di un nuovo luogo dove costruire nuove case e rico-

minciare. Volarono a lungo, erano stanche; alcune erano ferite e anche molto affamate. Improvvisamente si trovaro-

no in un campo dai colori bellissimi, nascosto da grandi alberi ed erano molto felici: era un posto meraviglioso, pie-no di papaveri. L’ape Zuri disse alle sue amiche di sceglie-

re il proprio fiore quando di colpo si presentarono i topi. Zuri chiese al più vecchio: “Questo è il vostro villaggio?”.

Il topo guardandola in modo strano rispose di sì. Allora Zuri disse: “Siamo state aggredite dai calabroni che han-no distrutto tutto quello che avevamo. Abbiamo bisogno

di un nuovo posto dove vivere. Vi chiediamo solo qualche fiore per costruirci una nuova casa. In cambio siamo pron-te a lavorare e a darvi una mano: aiutateci!”. Il topo rispo-

se bruscamente: “Noi non vi vogliamo qui;

non vi conosciamo e non sappiamo che intenzioni avete. E poi come potete aiutarci: siete così picco-

le! Ve ne dovete andare”. Le api volevano rimane-

re lì e cercarono di far capire in ogni modo ai

topi che le loro intenzio-ni erano buone e che vo-levano convivere con lo-

ro. Quando Zuri volava con le sue amiche si sen-tiva addosso gli occhi di tutti i topi, sentiva sem-

pre bisbigliare e si chiede-va cosa avessero di stra-

no: “Perché non ci vo-gliono? Perché ci guarda-no come se fossimo diver-

se? Siamo esseri viventi come loro; non siamo pericolose, siamo solo in pericolo”. Le api erano continuamente isola-te da tutti quando un giorno il nipote del vecchio topo si

ammalò e non si riusciva a trovare il rimedio. Zuri disse: “Lascia che mi occupi di lui. Vedrai che con le mie cure

guarirà”. Il topo rispose che non si fidava. Ma Zuri curò il topolino con il suo miele speciale e tutti i topo la ringra-ziarono e chiesero scusa a tutte le api per essere stati così

diffidenti. Il vecchio topo disse:” Siamo diversi, è vero, ma insieme uniti possiamo fare grandi cose”. E così i topi e le

api vissero insieme aiutandosi e rispettandosi.

Manuel Petrini

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L'intelligenza di SofiaMi chiamo Peter e sono nonno, mia nipote ha sei anni e si chiama Sofia. Trascorriamo molto tempo insieme e ci diver-tiamo sempre. Un giorno, mentre stavamo parlando, mi chiese: "Cos'è l'immigrazione, nonno?". Rimasi un atti-mo in silenzio e poi le risposi: "Oh piccola mia, l'immigra-zione è una cosa un po' complicata da spiegare: avviene quando un popolo scappa dal proprio Paese, in particolare quando c'è la guerra e molte persone perdono la vita". In fondo anche io sono stato un immigrato. Ancora oggi mi capita di pensare alla fortuna che ho avuto. Era il 17 novembre del 1959, mi trovavo insieme alla mia famiglia e ai miei amici in Russia. Era una giornata tranquilla come tante, un lunedì di preciso, stavo mangiando la mia solita insalatina preparata da mia nonna Elsa, quando ad un tratto sentii uno stano rumore e mi accorsi che erano ve-nuti ad attaccarci. Subito mia mamma Sarah preparò tut-to il necessario e l’essenziale: cibo, acqua, vestiti e i pochi soldi che avevamo. Salimmo in un furgone assieme ad al-tre persone, avevamo tutti tanta paura, ma fortunatamen-te arrivammo sani e salvi la mattina del giorno seguente. Tutti sopravvissuti, a parte quattro anziani che morirono durante il viaggio. Eccoci qua! In Italia! Eravamo tutti molto contenti specialmente i bambini di dieci anni come me, pronti a qualsiasi avventura. Decidemmo subito di dividerci per famiglie, in vari appartamenti, ovviamente poco costosi. Il giorno seguente io e mia sorella Norma an-dammo in un parco con scivoli, altalene, costruzioni e tan-ti altri giochi. Appena arrivati ci trattarono tutti male e ci insultarono; mia sorella che nel 1959 aveva otto anni, si mise a piangere. Ovunque andavamo ci trattavano molto male, c'eravamo davvero stancati così decidemmo che non li avremmo ascoltati. Non mi stavano molto simpatici que-sti italiani, finché un giorno non incontrai Giulia, una ragazza di nove anni e mezzo. Parlammo tanto, e quello fu il pomeriggio più bello di tutta la mia vita. Prendemmo un gelato e andammo a fare una lunga passeggiata. Passarono gli anni e finalmente Giulia ed io decidemmo di sposarci. Così ci trasferimmo a Roma, perché Giulia era originaria di quella città. Pian piano gli italiani impararo-no ad apprezzarmi. Esattamente dopo tre anni nacque mio figlio Luca: ero davvero l'uomo più felice della terra! La vita con la mia Giulia e il mio Luca passò molto in fret-ta, fino a quando egli non decise di sposarsi con una bella ragazza di nome Mara e pochissimo tempo dopo diventai nonno di Sofia. Sono contento che si sia preso come sposa

una ragazza del suo Paese. "Pensa nonno a quei poveri immigrati che hanno dovuto cambiare tutta la loro vita", mi disse Sofia, e poi aggiunse anche: "Io accetterò gli im-migrati, perché in fondo SIAMO TUTTI UGUALI". Queste parole mi fecero subito cambiare idea. Pensavo che mia nipote, così piccola, non capisse nulla di tutta la pau-ra e il dolore che avevo vissuto. E invece mi stupì. Ecco perché bisogna essere tutti amici perché tutti siamo uguali e abbiamo gli stessi diritti (immigrati compresi).

!!!!!!!! ! Gemma Oliva

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Come più volte ripetuto, il Giornalino non è solo il luogo delle cerimonie tra noi, ma anche momento per sollevare alcuni problemi, per confrontarci. Per questo comincia-mo da quelle cose che non vanno a scuola, a partire dal-

l'edificio scolastico che pure è stato rinnovato…

Il nome della nostra scuola è Romolo Gessi, che è sta-to un geografo, esploratore e militare italiano.Partiamo dai problemi strutturali della scuola. Le lu-ci al neon sono particolarmente fastidiose e dispen-diose e potrebbero essere sostituite per le migliori e più economiche (a lungo andare) lampade a led. Per non parlare del mal funzionamento dei vari impian-ti: il riscaldamento con assordanti termosifoni obsole-ti che a volte non riscaldano l’ambiente adeguata-mente oppure l’impianto idrico, da rivedere per evi-tare rotture come l’anno passato dove la scuola è do-vuta rimanere chiusa per ben due volte.Le classi sono sproporzionate, in alcune è presente un elevato numero di ragazzi mentre in altre troppo pochi. I bagni sono poco capienti per gli alunni che ospita la scuola. Le uscite di sicurezza sono impervie e forse una, dal lato delle terze, potrebbe essere ag-giunta visto che occorre solo aprire un varco.Il cortile, quando piove, si allaga spesso, e questo ac-cade perché non sono sufficienti gli scoli, quindi ren-de difficoltoso il passaggio degli alunni.Ma, anche se la scuola non è perfetta, svolge lo stes-so il suo dovere...

Redazionale

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Il ponte delle parole

È con piacere che accolgo l’invito della redazione di Sulla punta della lingua, e in particolare del Caporedattore, prof. Libero Vallicelli, a collaborare con il giornale per la stesura di articoli e la prosecuzione di tale progetto edito-riale. Insegno presso la Scuola Secondaria di S. Pietro in Campiano, mi piacciono le sfide, le novità, i progetti ambi-ziosi: un giornale d’istituto in una scuola di periferia, co-me la nostra, è una sfida stimolante da sostenere e alimen-tare, un’opportunità di scambio culturale per i nostri stu-denti, uno strumento per affinare sinergie e collaborazioni produttive. Per questo ho esteso l’invito del prof. Vallicelli agli alunni delle mie classi che hanno subito accettato con entusiasmo tale proposta. E così a partire dal prossimo an-no scolastico anche noi docenti e studenti di S. Pietro in Campiano daremo il nostro contributo “giornalistico”.In una società in cui il tempo per la lettura e per la scrittu-ra è ridotto al minimo, impegnarsi come docenti e come adulti nella realizzazione di un giornale d’istituto mi sem-bra possa essere un segno distintivo, un’occasione per i nostri giovani studenti di confrontarsi, esprimere libera-mente idee, imparare ad argomentare attraverso motivati ragionamenti. La stesura di un articolo è il risultato finale di un attento e approfondito lavoro di ricerca, documenta-zione, studio, ideazione, scrittura e revisione; richiede mol-to spesso un lavoro in team, capacità di analisi e sintesi, importanti da acquisire non solo per il proprio percorso scolastico, ma in generale nella vita.I giovani di oggi, e anche molti adulti, sono poco abituati a leggere: si scorrono i titoli degli articoli dei giornali pre-feribilmente sul cellulare, tablet o altro dispositivo elettro-nico, si approfondiscono poche notizie, si fatica a leggere integralmente un libro, perché la lettura richiede una capa-cità di concentrazione per tempi prolungati a cui non si è più abituati. Quante pagine o addirittura righe di un ro-manzo si è in grado di leggere senza essere distratti da un sms, una email, una telefonata o altro? Quanti giovani si avvicinano spontaneamente alla lettura di un articolo di giornale? Se la lettura versa in queste condizioni, la scrit-tura non gode di una sorte migliore: nella nostra società, non c’è il tempo per scrivere, se non sms sincopati con emoticon per tutti i gusti (o meglio per tutte le emozioni), chat “sgrammaticate” con abbreviazioni e sigle di ogni tipo, twitter, blog, ecc. La scrittura non è questo o perlome-no non è solo questo: è scrittura ragionata, che richiede un’attività di analisi, riflessione, ideazione e che necessita di allenamento, esercizio, tempo.Credo che sia compito di noi insegnanti e in generale di noi adulti stimolare i giovani al piacere della lettura e del-la scrittura, educarli a forme di scrittura e a generi lettera-ri a cui non si avvicinerebbero spontaneamente.

Seminare parole può produrre messi più fruttuose di qua-lunque altra semina, per questo intendiamo collaborare con la redazione di Sulla punta della lingua, per costruire un solido ponte di parole su cui alunni, docenti e genitori possono incontrarsi, conoscersi e camminare in un libero scambio di idee e riflessioni.

prof. Elisa Biguzzi

La posta dolente..."La posta dolente" è una rubrica del giornalino, aperta a tutti. A tal fine è stata collocata una cassetta sul tavo-lo prospiciente l'aula insegnanti, dove in genere i geni-tori aspettano di colloquiare coi docenti. Si può inseri-re nell'urna, anche in forma anonima, una lettera oppu-re inviarla all'indirizzo di posta elettronica del Capore-

dattore ([email protected]).

La LETTERA di un genitore

Leggendo il primo numero ero curiosa di vedere qua-li fossero gli argomenti che potevano stimolare rifles-sioni e coinvolgere la partecipazione di tutti. Ho no-tato tanta freschezza e trasparenza negli articoli scrit-ti dai nostri ragazzi, una sincerità e sensibilità che stentiamo sempre più a riconoscere perché pensia-mo offuscata dalla frenetica tecnologia mediatica. I nostri ragazzi hanno veramente tanto da offrirci e vanno giustamente stimolati: da parte dei genitori, cercando di farci sentire presenti e pronti a suppor-tarli nelle loro decisioni; da parte dei professori che li accompagnano nel loro percorso scolastico, come i già citati «veste da prof.» in un articolo del primo nu-mero. I prof. migliori sono percepiti come “missiona-ri”, amanti del sapere e del far sapere, che sanno tra-sferire entusiasmo ai nostri ragazzi dove noi non arri-viamo. Non perdiamo di vista le cose importanti e ricordiamoci che questi ragazzi sono il nostro futuro e che le cose che tutti facciamo con passione so-no quelle che riescono sempre bene.

Silvia Lagosti

Nr. 2 [ giugno 2016 ]Caporedattore: Libero Vallicelli

Col patrocinio del Comune di Ravenna

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