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DOCUMENTI DI ARCHEOLOGIA Collana diretta da Gian Pietro Brogiolo e Sauro Gelichi

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DOCUMENTI DI ARCHEOLOGIA

Collana diretta da Gian Pietro Brogiolo e Sauro Gelichi

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LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA

Giornata di studio

Milano – 1 Ottobre 1999

a cura di

MARINA DE MARCHI, MIRELIA SCUDELLARI, ANTONIO ZAVAGLIA

DOCUMENTI DI ARCHEOLOGIA

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ASSOCIAZIONE STORICO ARCHEOLOGICA DELLA RIVIERA DEL GARDA

Editrice S.A.P.Società Archeologica Padana s.r.l.

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Il volume è stato pubblicato con il contributodell’ Assessorato Culture, Identità e Autonomie

della Regione Lombardia

2001, © Società Archeologica Padana s.r.l.

Via R. Ardigò, 7 - 46100 MantovaTel./Fax 0376-369611

In copertina:

Serena Franceschi, Adelmo Lazzari, Sandro Salvatori:

Padova, Casa di Via Boccalerie: lettura stratigrafica

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I N D I C E

• Presentazione, di P. MARINA DE MARCHI, ANTONIO ZAVAGLIA

• Presentazione, di MIRELIA SCUDELLARI

• Introduzione, di TIZIANO MANNONI

• Progetto RISPL: ricerche lungo l’Adda e nel territorio garde -sano, di GIAN PIETRO BROGIOLO

• Itinerari di ricerca in territorio gardesano - Il ProgettoCavaion - La carta archeologica del Comune di CavaionVeronese: aspetti metodologici, linee di ricerca e pianifica -zione territoriale. Esperienze e confronti, di FABIO SAGGIORO,NICOLA MANCASSOLA

• L’esperienza dell’insegnamento di Archeologia Medievale aSiena nel campo dell’informatica applicata, di LUCA ISABEL-LA, FEDERICO SALZOTTI, MARCO VALENTI

• Il paesaggio antropico come palinsesto: il caso dell’ager tici-n e n s i s e della Mediolanum Ticinum, di MA U R I Z I O BO R I A N I,ANNAMARIA BONIARDI, SUSANNA BORTOLOTTO, PIERO FAVINO

• Uscire dal paesaggio: il contributo dell’ecologia storica edella storia locale, di DIEGO MORENO

• La carta del rischio per l’edilizia storica: un esempio appli -cativo, di NINFA CANNADA-BARTOLI

• Il caso di Cornello del Tasso - Val Brembana (Bergamo), diP. MARINA DE MARCHI, ANTONIO ZAVAGLIA

• Recupero e valorizzazione di Cornello del Tasso, di PA O L O

MASOTTI

• La mappatura culturale della città vecchia di Genova: unmetodo per una lettura nuova della città, di RI T A VE C C H I A T T I N I

• Dieci edifici storici di Padova: una proposta operativa per ilcatalogo monumentale, la tutela e la programmazione, diSERENA FRANCESCHI, ADELMO LAZZARI, SANDRO SALVATORI

• Tavola rotonda

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La Direzione Generale Cultura, anche in relazione alla gestione diretta di leggi inerenti le attività diconservazione e valorizzazione dell’edilizia storica, si è posta da tempo il problema di individuare gli stru -menti per una programmazione territoriale degli interventi volta alla migliore conoscenza dei beni, allaloro relazione con l’ambiente e alla loro integrazione nella pianificazione urbanistica regionale. In questalogica l’attivazione della Carta del Rischio dell’Edilizia Storica, interna al Sistema Informativo Territo -riale Regionale, realizzata in stretta collaborazione con L’Istituto Centrale del Restauro, ha avuto il meri -to di evidenziare la necessità di uno strumento puntuale e concreto per la conoscenza e il controllo dei sin -goli beni e del loro contesto territoriale, nell’ottica di rendere operativa la conservazione programmata e diindividuare le priorità di intervento sui beni.

Le diverse esperienze che la Regione Lombardia ha maturato in questi anni, anche nel settore dellericerche archeologiche promosse in singoli siti e in microbacini territoriali, ci hanno convinto della neces -sità di un confronto tra operatori che toccasse metodi, mezzi e discipline, in un sistema di conoscenze cheva via via estendendosi fino comprendere oltre all’archeologia e all’architettura anche l’ambiente antropi -co e l’ecologia storica.

Gli Atti del Convegno, nella loro apparente disomogeneità, illustrano bene le diverse linee di sviluppodella ricerca in questo settore. Si va dall’analisi storica di singoli siti, o di caratteristiche del paesaggioantropizzato lombardo - inteso come risultato di un processo di stratificazione degli interventi umani -alla ricerca capillare per microaree geografiche omogenee connesse a sviluppi storici peculiari e coerenti,mediante l’utilizzo di strumenti di indagine mirati (ad esempio la fotointerpretazione aerea).

Contemporaneamente hanno ampio spazio i saggi relativi all’apprestamento e alla gestione di sistemiinformatici per la conoscenza e la tutela di ampie aree d’interesse archeologico, nonché la realizzazione dimappe territoriali e urbane indispensabili per una pianificazione che si ponga l’obiettivo concreto dellaconoscenza storica e della tutela dei beni e dell’ambiente.

Il confronto tra esperienze di ricerca, gestione delle conoscenze e tutela conferma che la strada da per -correre è ormai segnata.

L’invito alla riflessione operato in apertura da T.Mannoni coglie l’essenza del problema: le “macchinepotenti” non rappresentano per sé ottimi strumenti di ricerca e di servizi di pubblico interesse, se nonquando si siano chiariti i problemi, gli obiettivi e, conseguentemente, si siano selezionati in modo coeren -te i dati utili alla realizzazione di uno strumento conoscitivo per la tutela, conservazione, valorizzazionedei beni culturali e del loro contesto storico e ambientale.

Si ringraziano i relatori e, non ultima, l’Associazione Storico Archeologica della Riviera del Garda conla quale il Servizio Musei e beni culturali ha maturato una lunga e proficua collaborazione sui temi dellaricerca e della salvaguardia dei beni del territorio regionale.

P. MARINA DE MARCHI, ANTONIO ZAVAGLIA

PRESENTAZIONE

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Con questo convegno dedicato al tema “lo spessore storico in urbanistica”, l’Associazione StoricoArcheologica della Riviera del Garda compie una parabola che unisce i luoghi della storia dell’archeolo -gia, finora privilegiati nei nostri incontri, con le più recenti istanze legate alla gestione del territorio e allapianificazione urbanistica.

Rimane sotteso il filo che conduce a quegli strati dello “spessore storico” a cui tutti “guardano con inte -resse” ma che rischiano di scomparire progressivamente sotto le trasformazioni e le distruzioni del terri -torio prodotte dall’azione umana. È pur vero che tutti i segni lasciati dall’uomo, sia esso distruttore,costruttore o conservatore, si sedimentano e vanno a costituire la storia come stratificazione dell’attivitàumana, complementare alla stratificazione del paesaggio naturale.

Che cosa dunque fa parte di questo “spessore storico”? Con quali nuove tecniche di indagine lo si puòdocumentare e conoscere? Chi lo deve tutelare e gestire? E come formare professionisti e tecnici in unamateria così complessa?

Intorno a tali questioni e intorno ad uno stesso tavolo hanno discusso i relatori; la presenza, insieme atanti archeologi, di tanti architetti e funzionari dello Stato e delle Regioni dimostra la volontà di dialoga -re e pone in evidenza gli elementi di intersezione.

Attraverso la pubblicazione degli Atti intendiamo offrire ai lettori la possibilità di partecipare, seppu -re indirettamente, a questo confronto di esperienze e di idee.

Ringraziamo la Direzione Generale Cultura Servizio Musei e Beni Culturali per il supporto che anco -ra una volta ci ha offerto.

Ringraziamo i relatori per il loro qualificato intervento.Ringraziamo le collaboratrici, Silvana Ciriani e Miriam Musesti per la disponibilità dimostrata nel

lavoro di redazione.

MIRELIA SCUDELLARI

Associazione Storico Archeologica della Riviera del Garda

Palazzo Fantoni25087 Salò (BS)

[email protected]

PRESENTAZIONE

LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA8

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Sarà un’introduzione vista più da un membrodell’ISCUM (Istituto di Storia della Cultura Mate-riale) che da un urbanista, come sembra ispirare iltitolo della Giornata di studio.

1. Non si può fare uno stato dell’arte in questoimportante settore, senza premettere quali sianole grandi possibilità che il progresso dei mezziinformatici ha oggi messo a disposizione per inda-gare e rappresentare lo spessore storico del terri-torio. Tali possibilità, oltre a richiedere del tempocome sempre per la loro diffusione, molto probabil-mente non sono state ancora viste in tutte le loropossibili articolazioni: si tratta in realtà di avereimboccato una strada nuova, della quale è difficileprevedere ora tutti i percorsi. Ma già ora sono statisuperati molti ostacoli.

Quando all’inizio degli anni Settanta il genera-le Giulio Schmiedt, ex direttore dell’Istituto Geo-grafico Militare, insegnava “Topografia antica”all’Università di Genova, tentò con la nostra colla-borazione di impostare una carta dettagliata deibeni culturali che superasse i limiti delle preceden-ti carte archeologiche: limiti non soltanto nei conte-nuti (cronologia e genere dei beni presi in conside-razione), ma anche nei mezzi di gestione dei dati(carte a scala troppo grande e schede descrittivestampate). L’esperimento urtò tuttavia in altrilimiti: la scala più bassa delle carte tridimensiona-li esistenti era il 25.000 dell’IGM, dove cioè i nucleiabitati sono reali, ma non i singoli edifici; la carta astampa non riceve più di tre gruppi di informazio-ne (numerazione, lettere, colori), e gli aggiorna-menti richiedono nuove edizioni; le uniche schedeche era possibile selezionare e incrociare meccani-camente erano quelle perforate IBM, dove eranecessario ridurre a simboli semplici un numerolimitato di informazioni per ragioni di memoria.

La Carta Tecnica Regionale 1:5.000, le banche-dati computerizzate ed il loro abbinamento con iGeographical Informatic Systems, hanno in pochidecenni superato tali ostacoli, praticamente senzalimiti nella quantità delle informazioni georefe-renziate (150.000 informazioni ad ettaro); senzacontare che le carte numeriche sono continuamen-te aggiornabili. Si è cioè, passati da una fase nella

quale i dati esistenti erano quantitativamente equalitativamente superiori ai mezzi informaticidisponibili, ad una fase dove i mezzi stessi hannopossibilità superiori ai dati disponibili, non perchéil patrimonio culturale presente in un territoriosia abbastanza semplice, ma proprio perché lelimitazioni dei mezzi hanno determinato per moltotempo la tendenza a semplificare le informazioni.

2. È evidente che disporre di grandi mezziinformatici non crea automaticamente degli ottimistrumenti di ricerca e dei nuovi servizi di pubblicointeresse: superati gli ostacoli tecnologici, tuttodipende da che cosa realmente si mette dentro alle“macchine potenti”. La possibilità di accedere velo-cemente a molti dati, anche in modo incrociato,con facili rimandi ad altre informazioni, dipendo-no certamente dalla “macchina”, ma se tali daticontengono o no certi problemi dipende da ciò chesi decide di mettere nelle schede di partenza. Leelaborazioni dei dati caricati nel sistema informa-tico possono mettere in luce certi aspetti del patri-monio culturale che non erano stati osservatiprima: questo accade specialmente se si tratti dinuovi dati che emergono dal confronto particolaredi molti casi schedati, ma funziona se in tutte leschede siano stati immessi i dati di base necessari.

La prima idea che viene in mente è quella distudiare una scheda che possa contenere tutte leinformazioni che riguardano i beni culturali. Bastaprovare a costruirla per capire, però, che non è pos-sibile. Non si è mai sicuri in primo luogo di ricorda-re tutte le caratteristiche che un bene possieda, e,passando il tempo, ne vengono sempre in mente dinuove: alcune sembrano in parte comprese in qual-che voce già ordinata, ma queste ultime non sem-brano esaurire tutta l’informazione. L’altro incon-veniente dipende dal fatto che le caratteristichevanno classificate per categorie, con dei gradiniprecisi all’interno di ciascuna di esse, ma ciò non èpossibile. Anzi in molte caratteristiche esistonovariazioni continue, ma persino fra una caratteri-stica e un’altra non vi sono dei confini ben precisi,come sa chi ordina le biblioteche.

Le difficoltà incontrate non sono casuali, madipendono dal fatto che qualsiasi realtà non è

INTRODUZIONETiziano Mannoni

Tiziano Mannoni 9

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strutturata a compartimenti autonomi come lanostra mente razionale: quando non si riesce adimbrigliare una realtà analizzata in schemi razio-nali si parla della sua complessità, per giustificarela mancata analisi. Ci sono tre problemi principalida affrontare, che nella realtà saranno più o menoconnessi tra loro, ma che per non uscire dal nostromodo di pensare analizziamo separatamente.

A) Anche nella classificazione di un bene cultu-rale molto circoscritto come la ceramica medieva-le, nel 1973 ho dimostrato che una scheda in gradodi distinguere qualsiasi tipo e sottotipo conosciutodiventerebbe non gestibile: ogni piccola differenzanon contemplata dalle caratteristiche prese inesame, ma che permette di distinguere nell’osser-vazione due tipi tra loro, obbliga ad aumentare levoci della scheda. Senza contare che ogni volta cheuna nuova differenza di questo genere vienemessa in luce, bisognerà aggiornare tutte le sche-de già compilate.

B) In qualunque modo si studino i criteri chenormano le categorie di classificazione, esisteran-no sempre dei beni che non troveranno in esse col-locazione, o che potrebbero appartenere contempo-raneamente a più categorie. Le banche-dati com-puterizzate, come ogni altro sistema razionale, nonsono in grado di risolvere questo problema allabase, ma permettono di diminuire notevolmente ildisagio usando il criterio delle configurazioni a vociincrociate, ed inserendo una voce “imprevisto”.

C) All’interno delle singole categorie di infor-mazione della scheda, il sistema numerico binariofunziona molto bene per valori assoluti: “si-no”,“presente-assente”. È sempre necessario peròaggiungere le voci con il significato “non rilevato” e“domanda non proponibile”, perché tali situazioninon vengano confuse con le risposte: “no”, “assen-te”. Per valori intermedi tra si e no, quando questisiano misurabili in modi quantitativi, si possonousare scale decimali, o fasce quantificate. Quandole variazioni non siano quantificabili, bisogna spe-rimentare su campioni già noti le voci che siano ingrado di rappresentare il fenomeno studiato, cam-biandole fino alla copertura dei casi reali.

3. Si può affermare che non esiste la vera sche-da di un oggetto, così come non esiste il vero postodi un libro nella biblioteca: la vera schedadell’oggetto è l’oggetto stesso. Questo non per ilimiti e gli errori dei mezzi di ricerca, ma perché lascheda è un mezzo analitico, e, come tale, nonpotrà mai essere totale. Non si dispone, d’altraparte, di nessun altro strumento conoscitivo tota-le, se si escluda l’intuizione, che non essendo razio-nale, non è ripetibile e trasmissibile.

Lasciar perdere i modelli idealistici non vuoldire però passare alla passività degli scettici. Chi si

occupi di beni culturali non può non conoscere imetodi della cultura materiale con i quali l’uomo,in mancanza di strumenti scientifici, ha semprecercato di risolvere i problemi: tentativi, e miglio-ramenti, per eliminazione delle prove sbagliate. Ilmetodo dell’evoluzione culturale, che in ciò assomi-glia a quella biologica, è un modo di procedere chenon è idealistico, ma neanche scettico: Karl Popperlo definisce realistico. Non bisogna dimenticarequali e quanti “monumenti”, le cui realizzazioni edurate sono ancor oggi di difficile spiegazione, sonostati prodotti in passato con questa logica: l’interopatrimonio culturale di un territorio, oltre a posse-dere indiscussi valori estetici, e spesso ancor oggifunzionali, rappresenta proprio le fondamentalitestimonianze dell’evoluzione culturale.

Non va infine dimenticato che anche l’informa-tica, per affrontare i problemi complessi, si stamuovendo nella linea della “logica empirica” cheagisce per tentativi e correzioni degli errori. Èmolto probabile che, in un futuro non lontano i pro-grammi a reti neurali ci permetteranno di affron-tare in un modo diverso i problemi oggi discussi. Èprobabile, però, che anche le reti neurali presenti-no qualche controindicazione pratica, e che percerti problemi con minori complessità classificato-rie i sistemi attuali resteranno preferibili.

4. A questo punto il realismo impone, cheprima di ogni progetto di ordinamento di dati a finiconoscitivi o informatici, si debba stabilire qualeproblema si voglia affrontare. Esso stabilirà, contutti i margini di sicurezza che si vogliano adotta-re, quali dati vadano raccolti e quali modi debbanoessere messi a confronto.

Tornando al patrimonio culturale di un territo-rio, già le prime esperienze hanno dimostrato chesi possono affrontare problemi assai differenti traloro, con banche-dati e logiche selettive altrettan-to differenti, pur usando gli stessi strumenti infor-matici e gli stessi dati di partenza.

A) Se lo scopo è quello di creare un servizio digrande utilità per le ricerche di archeologia globa-le del territorio, e per qualsiasi progettazione epianificazione ai fine della conservazione e dellosviluppo di un territorio, o di sue parti, non ènecessario conoscere tutti i particolari che costi-tuiscono ogni bene culturale, ma soltanto certecategorie generali. È indispensabile invece cheogni “segno” di attività umana conosciuto e geore-ferenziabile, piccolo o grande, sia messo in eviden-za con continuità su aree estese, come provincie eregioni. Questo è proprio il principale significato diarcheologia globale introdotto dall’ISCUM nel19811, allo scopo di ricavare informazioni dai rap-porti tra territorio e insediamenti, ed altre attivitàdi qualsiasi epoca e funzione.

LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA10

1 T. MANNONI, D. CABONA, I. FERRANDO, Archeologia globa -le del territorio. Metodi e risultati di una nuova strategia dellaricerca in Liguria, in Structures de l’habitat et occupation du sol

dans les pays méditerranéens: les méthodes et l’apport de l’archéo -logie extensive, (Parigi 1984), Roma-Madrid 1988, pp. 43-58.

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Su questa linea si muove, per esempio, la“Carta del Patrimonio Archeologico, Architettoni-co e Storico Ambientale” della Regione Liguria. Sitratta di un GIS MAPINFO che utilizza la CartaTecnica Regionale, con banca-dati ACCESS eduna scheda unica per ogni classe di bene immobile(puntuale, lineare o areale), o beni mobili consignificato di attività legata ad un’area precisa delterritorio. In essa si è data un’importanza rilevan-te alla classificazione funzionale, per la quale èstato possibile superare le differenze dovute sol-tanto ai vari linguaggi accademici: non ha sempresenso infatti stabilire un confine netto tra edificiostorico e rudere archeologico di un edificio cheaveva le stesse funzioni, tra una taberna v i a r i aromana ed una locanda stradale medievale, ecce-tera. Seguono: la cronologia; lo stato di conserva-zione, e i vincoli; le modalità delle ricerche chehanno portato alla conoscenza del bene; le fontiimpiegate criticamente; la frequenza nel territoriodella classe a cui appartiene il bene preso inesame; quanto quest’ultimo rappresenti la classe acui appartiene; rischi e bisogni di conservazione(dieci categorie, compresa l’individuazione e l’ubi-cazione, con cinquanta voci e centocinquantaquat-tro tipi funzionali di beni immobili)2.

La nuova legislazione urbanistica prevede, perevitare che ogni progetto si attardi in sequenze ditagli da parte degli Enti di tutela e di controllo, cheil progettista possa già rendersi conto ampiamen-te del contesto culturale su cui va ad operare, e delsuo contorno. A meno che non si vogliano fare leleggi soltanto per far lavorare i legislatori ed i pro-fessionisti che li aiutano, un servizio del genereora esaminato diventa indispensabile.

B) Volendo affrontare problemi meno generali,gli stessi strumenti possono essere impiegati percarte tematiche, sempre a scala provinciale oregionale, ma anche nazionale. Qualsiasiapprofondimento su singole classi di beni richie-derà ovviamente schede particolari che vannoarticolate sulla base dei problemi affrontati.Esempi tipici sono: la “Carta del Rischio del Patri-monio Culturale” del Ministero per i Beni Cultura-

li e Ambientali, dove è prevalente il problema dellatutela e della conservazione in relazione ai variagenti di degrado (dati prediagnostici per i proget-ti di restauro); la “Carta dei siti fortificati di altu-ra della Regione Toscana” che, data la geomorfolo-gia prevalentemente collinare della regione,diventa un’interessante chiave di lettura della sto-ria del territorio3.

C) I sistemi A e B non possono però affrontareveramente tutti i dati scaturiti dalle analisi detta-gliate dei singoli beni, già eseguite o ancora dafare. Per scendere a questo livello particolarediventa però veramente impossibile cercare diuniformare le categorie distintive, pur rimanendogli stessi i mezzi informatici: i singoli problemidiventano dominanti nelle scelte.

Lo scavo archeologico condotto in modo raziona-le richiede, per esempio, una collocazione e unarappresentazione tridimensionale delle giacituredei reperti mobili ed immobili, associate alle anali-si della sequenza stratigrafica ed alle schede delleunità stratigrafiche e dei reperti. Specialmentequando aumenti notevolmente il numero delle u.s.,la gestione manuale diventa difficile e molto lenta,diminuendo la quantità e la qualità delle elabora-zioni dei dati registrati, mentre una banca-datiassociata ad un GIS può gestire velocemente fino a150.000 informazioni ad ettaro. Come si può vede-re dalla “Carta Archeologica della Provincia diSiena”, si può passare gradualmente dalla scala del“territorio”, sulla base della Carta Tecnica Regio-nale, a quella 1:20 delle rappresentazioni di scavoarcheologico, fino ad ubicare ogni singolo reperto4.

Al di sopra del suolo, lo stesso sistema può esse-re impiegato, sempre ai fini della conoscenza stori-ca, nell’architettura che viene studiata con metodiarcheologici. Non è questo il caso della “Mappatu-ra culturale della città vecchia di Genova”, dove idati archeologici, assieme a quelli storici e deldegrado, sono stati invece usati su tutto l’esisten-te, soprattutto per creare uno “sportello del citta-dino” in grado di migliorare la qualità della vitanel centro storico, mediante una sua conservazio-ne intelligente5.

Tiziano Mannoni 11

2 F. BANDINI, T. MANNONI, S. VALERIANI, Dall’archeolo -gia globale del territorio alla carta archeologica numerica, inLa carta archeologica fra ricerca e pianificazione territoriale,(Firenze 1999), in corso di stampa.3 Si vedano, negli atti di questa stessa Giornata di studio: N.CANNADA BARTOLI, La carta del rischio: un esempio applica -t i v o; M. VALENTI, Informazione archeologica nel territorio emetodi d’indagine.

4 Il Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Univer-sità di Siena ha condotto le ricerche più avanzate in questocampo, come si può anche vedere dalla già citata comunicazionedi M. Valenti negli atti di questa Giornata di studio.5 Questo esperimento è stato descritto dettagliatamente da R.Vecchiattini negli atti di questa Giornata di studio.

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L’associazione, senza fini di lucro, denominata“Ricerche fortificazioni altomedievali” è statacostituita nel 1993, con lo scopo di promuovere nonsolo ricerche e attività di studio e di divulgazionesulle fortificazioni tardoantiche-altomedievali esul loro territorio, ma più in generale sull’evolu-zione dell’insediamento medievale

Al fine di realizzare le numerose iniziative incorso, l’associazione si è articolata in gruppi terri-toriali (attualmente attivi sono i gruppi Adda,Garda, Trento, Udine) e tematici (aereofotointer-pretazione e studio ceramiche).

Numerose sono le iniziative che hanno preso ilvia grazie alla collaborazione fra studiosi ed enti diricerca e di tutela.

Tra queste il progetto “Risorse storiche dellePrealpi Lombarde” (RISPL), avviato nel 1995 daigruppi Adda e Garda, che si è sviluppato fino al 1999secondo un programma prestabilito, ma flessibile.

RISPL è stato infatti pensato come un progettocontenitore per dare complementarietà di indiriz-zi ad una serie di ricerche storico-archeologicheavviate nel corso degli anni ‘80 nel territorio dellePrealpi lombarde. Comprende sia sottoprogetti dianalisi sistematica di aree campione, sia indaginitematiche: a) ricostruzione dei paleoambienti, b)analisi di paesaggi antropici, c) insediamentirupestri, d) fortificazioni tardo-antiche e altome-dievali, e) castelli ed edilizia di età feudale.

Si è avvalso della collaborazione scientifica di stu-diosi e studenti di tre Università (Università di Bir-mingham, Dept. of Archaeology and ancient History;Università di Padova, Dipartimento di Scienzedell’Antichità; Università di Siena, Dipartimento diArcheologia e Storia della Arti), di tre Musei (MuseoGiovio di Como, Museo di Manerba, Museo diCavaion), di numerosi Enti Locali (Comunità Monta-ne della Val San Martino (Lc) e dell’Alto Garda bre-sciano, Parchi di Monte Barro e Adda Nord, Comunidi Cornate (Mi), Paderno d’Adda (Lc), Manerba delGarda (Bs), Cavaion (Vr), Garda (Vr) e di alcune asso-ciazione operanti nell’ambito dei Beni Culturali(Associazione Storico Archelogica della Riviera, Fede-razione delle Associazioni gardesane, Gruppo archeo-logico di Cavaion, Gruppo Alpini di Monte Marenzo).

La domanda generale che ha fatto da leganteper una quindicina di sottoprogetti apparente-mente eterogenei ha riguardato i modi e le conse-guenze sull’ambiente dell’utilizzo delle risorse daparte delle società preindustriali.

Il progetto R I S P L prevedeva un impegno plu-riennale, attraverso distinti momenti operazio-nali, di un percorso cognitivo che muoveva da unaconoscenza complessiva del territorio verso livel-li di approfondimento analitico mirati alladimensione del singolo sito e/o monumento. Condue concomitanti obiettivi: (a)-l’apprestamentodi una schedatura sistematica, premessa di unsistema informativo territoriale, strumento indi-spensabile per una salvaguardia ed una valoriz-zazione delle testimonianze documentate; (b)-laprogettazione, nelle aree campione e d’intesa congli enti territoriali e le istituzioni culturali locali,di ecomusei territoriali (centri espositivi collega-ti ad itinerari storico-archelogici-ambientalia t t r e z z a t i ) .

Si è trattato di un progetto ambizioso che haprodotto risultati significativi, sia per quantoriguarda le metodologie adottate che per i singoliprodotti scientifici

Nei territori campione esaminati (Val SanMartino, territorio di Cornate, Isola brembana,Area gardesana per campioni significativi: i n f r a)l’indagine ha seguito un modello standard distintoin due fasi.

La prima fase prevedeva un approccio comples-sivo al territorio, realizzato attraverso tre momen-ti operativi.

1-La schedatura e l’individuazione su base car-tografica esistente (1/10.000 e/o 1/5.000) di tutti idati cartografici e documentari editi o conservatiin archivio, relativi allo sfruttamento delle risorsenaturali (terreni agricoli, bosco, acqua, cave, grot-te e ripari ecc.). Tali dati rappresentano il livello diconoscenza casuale, dal quale conviene tuttaviapartire per individuare le coordinate culturalidella nostra indagine.

PROGETTO RISPL: RICERCHE LUNGO L’ADDA E NEL TERRITORIO GARDESANO

Gian Pietro Brogiolo

Gian Pietro Brogiolo 13

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2-La ricerca delle tracce osservabili in superfi-cie, attraverso l’interpretazione di immagini mul-tispettrali, riprese da differente altezza (palloneaerostatico, aereo, satellite) e osservate a differen-te scala. L’esame allo steresoscopio e l’applicazio-ne di software di image-processing ha consentitodi identificare una vasta gamma di anomalie,naturali ed antropiche e di ricostruire, attraversoun confronto tra dati fisico-ambientali ed antropi-ci, un primo quadro a maglie larghe dello sfrutta-mento del territorio.

3-Il controllo sul terreno delle evidenze docu-mentate dalle foto aeree, attraverso un program-ma sistematico di ricognizioni e di localizzazione,sulla cartografia esistente.

Tali ricognizioni hanno permesso di verificarele tracce sul terreno delle informazioni fornitedalle fonti cartografiche storiche e documentarie eil grado di rappresentatività delle informazionidesunte dalle immagini aeree; di classificare, daun punto di vista funzionale e cronologico, le evi-denze riscontrate; di individuare altre tracce disfruttamento delle risorse naturali, non testimo-niate al livello 1-2.

Un’indagine specificatamente orientata hannorichiesto i siti rupestri, generalmente non identifi-cabili da riprese aeree zenitali, ma segnalati nellacartografia geologica e speleologica. Nel corso delprogetto RISPL sono state effettuate ricerche sugliinsediamenti rupestri dell’alto Garda bresciano edel lago di Como.

Nella seconda fase ci si è invece proposti l’ana-lisi di singoli siti o di specifici tematismi.

1-Per i siti archeologici ritenuti più interessan-ti (insediamenti abbandonati e tracce fossili disfruttamento delle risorse) caratterizzati da strut-ture osservabili in superficie, è stata realizzatauna ricerca più approfondita, ottenuta con rilievidella distribuzione dei reperti, con l’osservazione ela descrizione delle sezioni esposte, con carotaggi esaggi di scavo. Sono stati in tal modo documentati,in tutti i territori analizzati, siti archeologici dirilevante interesse.

2- Sono state avviate campagne di scavo archeo-logico in tre siti del lecchese (S. Stefano di Garlate,S. Margherita di Monte Marenzo, Madonna dellaRocchetta di Cornate-Paderno) e in quattrodell’area gardesana (Rocca di Manerba, Rocca diGarda, Monte Castello di Gaino, S. Faustino diCavaion), scelti sulla base di una convergenza trainteresse storico-archeologico, disponibilità di unfinanziamento locale, prospettive di valorizzazione.

3-In alcune aree campione (Valtenesi e Cavaion)è stata studiata l’evoluzione dei centri abitati attua-li, sulla base della cartografia storica combinata conl’analisi stratigrafica dell’edilizia superstite.

Per quanto riguarda la gestione e la valorizza-zione dei risultati erano previsti cinque differentistrumenti:

1- la gestione delle informazioni prodottemediante un data base da sviluppare poi in unsistema informativo territoriale (GIS) in grado dicorrelare i dati archeologici (alfanumerici, grafici efotografici) con quelli relativi alle risorse ambien-tali, e di restituire perciò in tempo reale le infor-mazioni richieste;

2- la divulgazione scientifica mediante semina-ri e convegni e la pubblicazione scientifica deirisultati in monografie;

3- la predisposizione di itinerari turistico-cul-turali, attraverso cartellonistica e materiali astampa o informatizzati illustranti le peculiaritàstoriche ed archeologiche di ciscun territorio;

4- la musealizzazione di singoli siti (attraversoprogetti di sistemazione e di gestione);

5- attività di formazione per i giovani impegna-ti nei progetti, con corsi di aereofotointerpretazio-ne archeologica, di tecnica di scavo, di apprendi-mento di software dedicato.

I singoli progetti

Nel fornire una sintetica scheda dei singoli pro-getti seguirò un ordine topografico dall’Adda alGarda.

1- RI C E R C H E N E L T E R R I T O R I O C I R C O S T A N T E I L

MONTE BARRO.

Nel corso del 1995 è stata eseguita l’aereofo-tointepretazione del territorio di Galbiate e di Val-madrera. È stato individuato un sito di interessearcheologico sulla sommità del monte Regina. Sitratta di un’anomalia circolare che il controllo sulterreno ha permesso di riconoscere in un fossato.Non sono stati trovati reperti e non ne sono chiarené la funzione, né la cronologia.

2- PIEVE DI S. STEFANO DI GARLATE (1995-97)

Tre campagne di scavo hanno interessatorispettivamente la sacristia (1995), l’interno(1996) e un’area esterna (1997) della Pieve diSanto Stefano.

Lo scavo, finanziato oltre che nel progettoRISPL, anche con specifici contributi della CARI-PLO, della Comunità Montana e del Comune di Gar-late, ha permesso di individuare tre distinti edifici eun’ininterrotta sequenza di sepolture, alcune dellequali, di età longobarda, erano provviste di corredo.

L’edificio più antico è un edificio romano dispo-sto sul versante della collina in riva al lago di Gar-

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late. I frammenti superstiti di pavimenti in mosai-co a terrazzo con fasce laterali bianche e nere e diaffreschi a grandi campi colorati indicano una ele-vata qualità e suggeriscono, unitamente ai reperticeramici, una sua datazione al I secolo d.C.

Alcune murature della villa vennero riutilizza-te, nel corso del V secolo, per una cappella funera-ria privata. Ad aula unica, con abside semicircola-re e antistante nartece, accolse una quindicina ditombe gentilizie. Una era in sarcofago; le altre acassa litica. Lapidi funerarie in marmo, databilitra il 489 e il 539 e collocate in origine sulle paretidella cappella, sono da riferire a questa prima fasedi inumazione. Lo scavo ne ha restituito numerosiframmenti che si aggiungono alle tre rinvenute nelXVIII secolo e ancora nel 1896.

Personaggi di alto rango continuarono ad esseretumulati in queste tombe fino al VII secolo. Avvoltiin preziosi vestiti (ne è rimasta l’impronta nel fangoin due tombe) e con ricco corredo funerario furonooggetto di ripetute spoliazioni. Solo una sepolturadella prima metà del VII secolo si è conservataintatta. Gli oggetti più minuti (elementi di cinturain ferro con agemine d’argento, non riconoscibili inquanto ossidate; un minuscolo anello d’oro di unabambina) o più modesti (pettini), sfuggiti alladepredazione, ne attestano peraltro la ricchezza.

La cappella altomedievale non subì modifichestrutturali di rilievo fino attorno al Mille, quando, alsuo posto, venne edificata una più ampia chiesa roma-nica a tre navate, della quale sopravvive in alzato ilcampanile. Una nuova fase di sepolture interessò sial’interno che l’esterno del nuovo edificio. Deposizioniper lo più in nuda terra e senza alcun corredo, maimportanti comunque per ricostruire, attraverso leanalisi antropologiche, uno spaccato della popolazio-ne della zona nei secoli centrali del Medioevo.

3- VAL SAN MARTINO (LECCO) (1995-1997)

Nella prima fase del progetto triennale, finanzia-to dalla Comunità della Val San Martino, si è proce-duto alla raccolta sistematica della documentazionefotografica, catastale, cartografica, bibliografica rela-tiva ai beni culturali della valle. Una tesi di laurea(discussa da F. Bonaiti presso il Dipartimento di sto-ria dell’Università statale di Milano) ha trascritto estudiato i documenti del XII-XIII secolo del monaste-ro di Pontida riguardanti questo territorio.

La fotointerpretazione del volo del 1955 ha por-tato all’individuazione di numerosi siti, alcuni deiquali, come l’abitato di Cremellina, distruttidall’espansione urbanistica di questo dopoguerra.Due anomalie d’altura, Scarlascio e S. Margheritasolo infine risultati castelli bassomedievali.

Nella seconda fase è stata documentata l’edili-zia medievale di potere. Castelli, chiese e case torrisono stati schedati e documentati con riprese foto-grammetriche dei prospetti esterni.

4- SCAVO DI MONTE S. MARGHERITA (1998-2000)

Lo scavo, finanziato dalla Comunità Montanadi Val San Martino, ed eseguito in collaborazionecon il Dipartimento di Scienze dell’Antichitàdell’Università di Padova, ha permesso di identifi-care un sito fortificato costituito da una cinta checirconda interamente la parte più alta del colle epresenta più fasi costruttive. Al suo interno sonostati individuati una torre isolata e una sequenzadi edifici. Monete di XII secolo sembrano apparte-nere alle fasi più recenti di occupazione, mentrenon è al momento certa la cronologia della fase ini-ziale dell’insediamento.

Conclusi gli scavi sono state restaurata e lemurature ed è stato predisposto un progetto dimusealizzazione del sito.

5- TERRITORIO DI CORNATE (1995-96)

Il progetto, finanziato oltre che da RFA da duesponsorizzazioni di ditte locali, si è sviluppato tra1995 e 1996 con la fotointerpretazione dei voli1980, 1989 e voli a bassa quota con aereo da turi-smo, seguita dal controllo sul terreno. Sono statiindividuati due siti di peculiare interesse archeo-logico: una villa romana in località Villa Paradiso,con fasi tardo antiche e altomedievali segnalataalla Soprintendenza archeologica che vi ha subitoavviato campagne di scavo, e una fortificazionealtomedievale nel sito di S. Maria della Rocchetta,che è stata indagata con sistematicità a partire dal1998.

6 - SC A V O D E L C A S T E L L O D I S. MA R I A D E L L A RO C-CHETTA (1998-2000)

Lo sperone di conglomerato di forma ellittica,sul quale sorge la chiesa trecentesca di S. Mariadella Rocchetta, è sopraelevato di una cinquantinadi metri rispetto all’Adda (q. 204.2 rispetto a 154circa) e strapiomba sul fiume nei versanti nord edest, mentre denota un declivio meno accentuatonegli altri due.

Il sito è in una posizione strategica nel control-lo del tratto dell’Adda prima delle rapide di Pader-no, che il famoso trattato del 715 tra Liutprando ei Comacchiesi annovera tra i principali approdifluviali della Pianura Padana. L’importanza dellalocalità è sottolineata dalla presenza di una secon-da chiesa, intitolata a S. Giovanni, che sorgeva aipiedi della Rocchetta in prossimità del porto flu-viale, chiesa che è stata distrutta all’inizio delsecolo.

Il cocuzzolo sommitale (diametri massimi m 115per m 45) è difeso da un muro in ciottoli fluvialidisposto lungo il bordo, provvisto di alcune torri. In

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una è stata ricavata l’abside della chiesa. Unaseconda torre era forse sul lato sud in corrisponden-za di una sporgenza rettangolare della roccia.

La chiesa, costruita verso est nella parte piùelevata del cocuzzolo, nella sua configurazioneattuale è un edificio distribuito su due livelli chesfrutta, oltre alla torre, anche la cinta difensivacome perimetrale nord. Il luogo di culto, al primopiano, è costituito da un atrio rettangolare con pre-sbiterio anch’esso rettangolare ricavato nella torree una sacrestia aggiunta in età moderna. In origi-ne, vi era plausibilmente un unico accesso allacappella, tramite una scala esterna, addossata alperimetrale sud del vano.

Alla fase più antica sono attribuibili due ampiefinestre, aperte rispettivamente nel lato estdell’abside (già torre) e nel muro di cinta setten-trionale: hanno spalle in muratura e archivolto inlaterizi di modulo romano-altomedievale.

Lo scavo all’interno della torre ha restituitoframmenti di sigillata africana contenuti nellostrato di cantiere.

Sul lato opposto del pianoro sommitale è venu-ta in luce una grandiosa cisterna (m 12x4x4,5 diprofondità) collegata ad un edificio che, a suavolta, verso nord, si addossava plausibilmente allacinta. Dal riempimento originario della cisternasono stati recuperati reperti di VI secolo che nesegnano l’abbandono a seguito di una frattura lon-gitudinale che l’ha resa inservibile.

7- ISOLA BREMBANA (BERGAMO) (1995-96)

Nell’ambito di un progetto predispostodall’Università di Bergamo, il prof. Cosci (Univer-sità di Siena) ha individuato tramite aerofotoin-terpretazione (voli del 1955 e del 1980) 35 anoma-lie. Con una tesi di laurea (discussa da CristinaCarletti presso il Dipartimento di Scienzedell’Antichità dell’Università di Padova) sono statieseguiti i controlli sul terreno che hanno riscontra-to come la maggior parte dei siti sia stato distruttoda costruzioni e sbancamenti o inaccessibile inquanto recintato. Un paio di siti (Baccanello e S.Margherita) sono ancora integri e meriterebberoun’ulteriore indagine archeologica.

8- GARDA BRESCIANO (dal 1995)

A partire dal 1995, il gruppo Garda, in collabo-razione con l’Associazione Storico Archeologicadella Riviera (ASAR) e con la cattedra di Archeolo-gia Medievale del Dipartimento di Scienzedell’Antichità dell’Università di Padova, ha svi-luppato quattro progetti di ricerca sulle trasfor-mazioni del territorio tra età romana e altome-dioevo. Hanno interessato l’intero arco collinaremorenico compreso tra l’Adige a est, le Prealpi bre-

sciane a ovest, l’alto mantovano a sud e hannocomportato ricognizioni sistematiche e due scavi(Rocca di Manerba e Monte Castello di Gaino).

Le aree interessate da aereofotointerpretazionee controllo a terra delle anomalie sono state: 1) ilterritorio dell’Alto Garda tra Toscolano e Tremosi-ne; 2) il medio Chiese tra Gavardo e Virle Treponti(oggetto di una tesi di laurea in Archeologia Medie-vale discussa da G. Tononi presso l’Università diPadova) di cui è stata indagata l’evoluzione tra etàromana e medioevo; 3) le colline dell’alto mantova-no per le quali è stata realizzata una carta archeo-logica dalla preistoria al medioevo (tesi di laurea inArcheologia Medievale, discussa da A. Crosatopresso l’Università di Padova); 4) il territorio circo-stante la Rocca di Manerba, oggetto di ricognizionisistematiche, nell’ambito del progetto di scavo.

9- ROCCA DI MANERBA (1995-1999)

RFA ha collaborato con il Comune di Manerbae con il Dipartimento di Scienze dell’Antichitàdell’Università di Padova e con l’Università di Bir-mingham ad un progetto che ha sinora realizzato:

a) l’avvio dello studio dei materiali di età roma-na e medievale rinvenuti nelle ricognizioni di super-ficie nella zona compresa tra Salò e Padenghe (tesidi laurea in Archeologia Medievale discussa da F.Cortiana presso L’Università di Padova);

b) una prima sintesi dei risultati della ricercarelativamente all’età romana e altomedievale (L.Barfield, G.P. Brogiolo, S. Buteux 199);

c) lo scavo integrale delle fortificazioni sommi-tali, eseguito tra il 1995 e 1999;

d) un progetto di musealizzazione della Roccamedievale, completato nel 2000.

10- ANALISI DEI CENTRI STORICI DELLA VALTENESI

Nella prima metà degli anni ‘70, l’AssociazioneStorico Archeologica della Riviera aveva censitofotograficamente gli edifici storici del Garda Bre-sciano. Le foto relative ai centri storici di Polpenaz-ze, San Felice del Benaco e Manerba del Garda sonostate messe a confronto con la cartografia del catastonapoleonico ed austriaco e con la cartografia attualeper verificare, mediante carte tematiche, le trasfor-mazioni e le distruzioni intervenute negli ultimi duesecoli. L’intera documentazione è stata trasferita suCD e fatta oggetto di una nota a cura di A. Crescini.

11- PROGETTO CAVAION (1995-2000)

Il progetto, finanziato dall’ammistrazioneComunale di Cavaion e diretto da G.P. Brogiolo(Dipartimento di Archeologia e Storia delle artidell’Università di Padova) e L. Salzani (Soprinten -

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denza archeologica del Veneto), si è proposto, sullascia di altri progetti consimili avviati nel territoriolombardo, come un intervento pilota attraverso ilquale affinare metodi di ricerca interdisciplinare.

Sono state attivate cinque linee di indagine:a) ricognizioni negli archivi storici di Verona

(prof. A.M. Varanini e dr. B. Chiappa);b) indagine sui catasti (C. Carletti);c) aereofotointerpretazione dei voli disponibili

(N. Mancassola, F. Saggioro);d) controllo a terra delle anomalie riscontrate

(N. Mancassola, F. Saggioro, B. Parolotti e collabo-ratori locali);

e) analisi del centro storico (A. Crescini);f) saggi di scavi in siti di particolare interesse o

minacciati (chiesetta altomedievale di S. Fausti-no, insediamento tardo romano di Cordevigo).

I risultati sono andati al di là delle aspettative,sia per la ricca documentazione inedita di XIII eXIV secolo che è stata rintracciata negli archivi delmonastero di S. Zeno, il maggior proprietario fon-diario a Cavaion nel medioevo, sia per i risultatidell’aereofotointepretazione e delle ricognizioniche hanno portato al riconoscimento del modelloinsediativo di età romana, sia per i saggi di scavopresso S. Faustino che hanno portato all’identifi-cazione di un insediamento tardo antico altome-dievale.

12- PROGETTO GARDA (dal 1998)

RFA collabora dal 1998 con il Comune diGarda, la Soprintendenza archeologica del Venetoe l’insegnamento di Archeologia Medievaledell’Università di Padova al progetto pluriennaleche prevede scavi sulla sommità della Rocca eun’indagine territoriale nei comuni di Garda, Bar-dolino e Costermano.

Nella prima fase (1998) sono state concluse leseguenti indagini:

(a)- schedatura e individuazione su una base car-tografica preesistente di tutti i dati documentariediti o conservati in archivio, relativi ai rinvenimen-ti archeologici della Rocca e del territorio circostante;

(b)- ricerca delle tracce osservabili in superfi-cie, attraverso l’interpretazione di immagini mul-tispettrali (dal visibile all’infrarosso fino al radar),riprese da differente altezza (pallone aerostatico,aeromobile) e osservate a differente scala;

(c)- ricognizioni sistematiche a controllo delle ano-malie, con individuazione di siti fortificati di sommitàe di insediamenti romani nelle zone pianeggianti;

(d)- rilievo con distanziometro elettronico deiresti strutturali visibili della sommità della Roccae predisposizioni di carte tematiche di valutazionee di progetto;

(e)- documentazione delle murature conservatein alzato con rilievo di dettaglio e riprese fotografi-che raddrizzate;

(f)- pulizia di sezioni esposte e carotaggi siste-matici per valutare la potenzialità archeologicadel sito;

(g)- rilievo e analisi stratigrafica delle chiese di S.Vito di Cortelline (indagine completata, con il rico-noscimento di una fase altomedievale ancora con-servata in alzato) e di S. Severo di Bardolino (inda-gine avviata con la realizzazione dei fotopiani);

(h)- avvio della gestione delle informazionimediante un sistema informativo territoriale(GIS) interfacciato da un data-base relazionale ingrado di correlare i dati sinora raccolti;

(i)- avvio di cinque tesi di laurea (quattro inArcheologia Medievale presso l’Università diPadova e una in economia dei Beni Culturali pres-so l’Università Bocconi di Milano): due riguardanole architetture medievali della Gardesana (di cuiuna a cura di S. Merlo sulla chiesa di S. Severo diBardolino, discussa nell’a.a. 1999-2000, l’altra diLaura Rodighiero nel 2000-2001), una i paesaggiagricoli del territorio circostante la Rocca (AnnaDalla Vecchia), una gli insediamenti di altura (acura di B. Mancini, discussa nell’a.a. 1999-2000),una sulla prospettive di valorizzazione della Rocca(la tesi di M. Nuccio, discussa alla Bocconi nell’a.a.1998-99, riguardava sia la Rocca di Garda chequella di Manerba).

I risultati di queste indagini confermano da unlato la presenza sulla sommità della Rocca di alcu-ni depositi archeologici dello spessore di circa unmetro ancora integri, dall’altro la sopravvivenzanel territorio circostante, nonostante l’alto gradodi urbanizzazione, di insediamenti romani emedievali ancora parzialmente integri.

Nella seconda fase del progetto, sulla sommitàdella Rocca è stato scavato esaustivamente un edi-ficio rettangolare che due monete suggeriscono didatare al V secolo; è stata individuata una chiesacon numerose sepolture e una fibula gota a discocon teste d’aquila; sono stati localizzati altri edifi-ci, di cui tre sono attualmente in fase di scavo.

Nel territorio circostante sono state condottericerche su alcuni castelli medievali. In uno di que-sti, Castion, la pulizia delle sezioni esposte ha por-tato alla luce una sequenza con reperti altomedie-vali, tra cui un puntale di VII secolo.

Nell’ambito della valorizzazione, è stato predi-sposto un itinerario longobardo carolingio con unacartellonistica che presenta, oltre alla Rocca, iresti architettonici e scultorei delle chiese di S.Maria di Cisano, S. Severo, S. Zeno e S. Vito diBardolino.

13- SCAVO DEL CASTELLO DI GAINO (1997-98)

RFA ha collaborato con ASAR negli scavi dia-gnostici nel castello di VI secolo di Gaino. È stata

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accertata la presenza anche sulla vetta più alta (m865) di un deposito archeologico prodotto dal crol-lo di un edificio sommitale (una torre?). Ricogni-zioni di superficie nel versante nord hanno, inol-tre, portato al rinvenimento di reperti ceramici,tra cui altri frammenti di sigillata chiara di VIsecolo.

14- INSEDIAMENTI RUPESTRI DELL’ALTO GARDA

Sono state esplorate, grazie al supporto logisti-co di alcuni alpinisti bresciani, tre impervie grotteinteressate da insediamento rupestri.

Le prime due si trovano presso la frazione diSermerio di Tremosine, sul lato occidentale delfiume Tignalga, a due terzi della parete rocciosapressoché verticale, ad una ottantina di metrisopra il fiume. Sono chiuse da muri legati da maltae gli unici reperti visibili in superficie sono costi-tuiti da frammenti di tegole piatte di tipo romanoo altomedievale.

La terza grotta, che secondo la tradizione loca-le venne abitata dal vescovo bresciano Erculiano,vissuto in un periodo non meglio precisato, macomunque dopo la metà del VI secolo, è invece sullago, in loc. Campione di Tremosine, dove sfocia ilfiume Tignalga. È anch’essa chiusa da un muro,che presenta due fasi costruttive, al più recentedelle quali mostra un’apparecchiatura di tiporomanico. In quella più antica sono impiegati tego-le piane di tipo romano-altomedievale.

Pur mancando dati cronologici puntuali, èplausibile che le tre grotte siano riferibili ad unamedesima fase di insediamento eremitico che laleggenda di S. Erculiano suggerisce di collocare,pur con cautela, nelle fasi turbolente della conqui-sta longobarda.

15- ATTIVITÀ DI FORMAZIONE

Come si è accennato nel paragrafo introdutti-vo, uno degli obiettivi principali del progettoRISPL è stato quello di formare sul campo giovaniricercatori. A tal fine sono stati realizzati: (a) uncorso di aereofotointerpretazione in collaborazionecon ASAR, tenuto a Toscolano da F. Saggioro e N.Mancassola; (b) un corso teorico-pratico di analisidei Centri storici, sempre in collaborazione conASAR, tenuto presso la fondazione Cominelli diCisano di San Felice per complessive 80 ore; (c)due corsi residenziali, di 40 ore ciascuno, di intro-duzione all’archeologia, organizzato a MonteBarro, in collaborazione con il Parco.

Infine nel 2001 è stato organizzato a Desenza-no del Garda, in collaborazione con la Federazionedelle Associazioni Gardesane e con specificofinanziamento dell’Assessorato regionale alle

Culture e alle Identità locali della Regione Lom-bardia, un corso per operatori culturali delladurata di 360 ore.

16- SEMINARI E CONVEGNI NELL’AMBITO DEL PRO-GETTO RISPL

Nell’ambito del progetto RISPL e in collabora-zione con l’Associazione Storico Archeologica dellaRiviera del Garda, sono stati infine organizzatinove convegni e seminari, tutti già pubblicati,tranne gli ultimi due:

1- Atti del 5° seminario sull’Italia centrosetten-trionale tra Tarda Antichità e Altomedioevo sultema: Città, castelli e campagne nei territori diconfine (secc. VI-VII) , a cura di G.P. Brogiolo,(Monte Barro, 9-10 giugno 1994), Mantova 1995;

2- Atti del 6° seminario sull’Italia centrosetten-trionale tra Tarda Antichità e Altomedioevo, L eceramiche altomedievali (VI-X secolo) in Italia set -tentrionale: produzioni e commerci, a cura di G.P.Brogiolo e S. Gelichi, (Monte Barro, 21-22 aprile1995), Mantova 1995;

3- Atti del I° convegno archeologico del Garda,La fine delle ville romane: trasformazioni nellecampagne tra Tarda Antichità e Alto Medioevo, acura di G.P. Brogiolo, Gardone Riviera, 14 ottobre1995, Mantova 1996;

4- Atti del 7° seminario sul tardo antico e l’altomedioevo in Italia centrosettentrionale, Sepolture traIV e VIII secolo, a cura di G.P. Brogiolo e G. CantinoWataghin, Gardone Riviera 1996, Mantova 1998;

5- Atti del II° convegno archeologico del Garda,Le fortificazioni del Garda e i sistemi di difesadell’Italia settentrionale tra tardo antico e altomedioevo, Mantova 1999, pp. 1-167;

6- Progetto archeologico Garda.I.1998, a curadi G.P. Brogiolo, Mantova 1999, pp. 1-131;

7- Atti dell’8° seminario sul tardo antico e l’altomedioevo in Italia centrosettentrionale, Le cera -miche in Italia settentrionale tra II a.C. e VII d.C.,a cura di G.P. Brogiolo e G. Olcese, Desenzano1999, Mantova 2000;

8- Atti convegno, Lo spessore storico in urbani -stica, Milano 1999, c.s;

9- Atti del 9° seminario sul tardo antico e l’altomedioevo in Italia centrosettentrionale, Le chiesetra VIII e IX secolo, a cura di G.P. Brogiolo, Garda2000, c.s.

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BIBLIOGRAFIA

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Premessa

“L’identità dei luoghi non è un prodotto defini-to una volta per tutte, non rappresenta l’immaginestatica dello stato dell’arte, ma al contrario rap-presenta l’esito concreto e tangibile di un processoevolutivo dinamico che ha avuto luogo nel tempo”1.Crediamo che con queste efficaci parole, MaurizioCarta individui, concettualmente, quelli che sono iproblemi legati ad una pianificazione territorialeche voglia tenere conto anche degli “elementi cul-turali”, questione, quest’ultima, sulla quale ènecessario soffermarsi a riflettere.

L’archeologia, a dire il vero, si è spesso sottrat-ta ad un “confronto deciso” su questi temi, spessodivisa tra “un’archeologia del recupero”, di quantoera oramai irrimediabilmente compromesso, e“un’archeologia della ricerca”, più orientata allaricostruzione storica del territorio2. Questa artifi-ciosa, ma di fatto esistente divisione, ha spessocondizionato i metodi e le strategie d’interventoall’interno di progetti, ma soprattutto ha consenti-to, troppo spesso, che si escludesse un terzo fonda-mentale approccio: quello dell’integrazione deldato allo sviluppo del territorio. Uno “sviluppos o s t e n i b i l e ”3, ben inteso, poiché non si tratta diabbandonare il dato archeologico alla sua distru-zione, né tantomeno di selezionare tra siti quellisacrificabili e quelli da salvare. Piuttosto è il casodi riflettere sulle reali possibilità e sulle modalità

di integrazione tra i dati ottenuti da ricerche pro-grammate (ma anche dei recuperi!) e politiche disviluppo di un territorio (comunale, provinciale,regionale).

Il problema dunque non è solo quello di una ricer-ca che tenga conto dei problemi della tutela, ma, aquesto punto, anche quello di uno studio che sappiarelazionarsi effettivamente con gli enti amministra-tivi, affinché si possa creare una gestione4 c o n s a p e-vole e coordinata del patrimonio culturale5.

(Fabio Saggioro)

Introduzione

Le zone prese in considerazione, per tracciarequesto primo bilancio su come il dato archeologicosi conserva e si modifica in relazione all’utilizzodel territorio, corrispondono grossomodo allasponda orientale del Lago di Garda6, in territorioveronese quindi, con particolare attenzione alcomune di Cavaion Veronese in cui da tre anni è incorso un articolato progetto di ricerca denominatoCarta Archeologica del Comune di Cavaion Vero-n e s e7, il quale, attualmente, risulta essere nellafase conclusiva di studio e permette dunque ditrarre bilanci e considerazioni complete e precise.

Abbiamo inoltre deciso di affiancare a questaesperienza, altre ricerche, svolte in parte, con fina-lità e strategie diverse, ed in parte ancora in corsosu territori limitrofi: si tratta del progetto Adelai-

ITINERARI DI RICERCA IN TERRITORIO GARDESANOIL PROGETTO CAVA I O N

LA CARTA ARCHEOLOGICA DEL COMUNEDI CAVAION VERONESE: ASPETTI METODOLOGICI,

LINEE DI RICERCA E PIANIFICAZIONE TERRITORIALE. ESPERIENZE E CONFRONTI.

Fabio Saggioro, Nicola Mancassola

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1 CARTA 1999. 2 Per un inquadramento generale CAMBI, TERRENATO 1994e GUIDI 1992. 3 CARTA 1991.4 CARTA 1991, FABBRI 1997.5 L’esempio senese, in questi anni, ha rappresentato sicura-mente un costante punto di riferimento in questa direzione, maè apparso, purtroppo, isolato e confinato.

6 Si tratta di aree interessate da una serie di esperienze di stu-dio che si sono consolidate nel corso degli anni.7 Si tratta di un progetto di ricerca finanziato dall’Amministra-zione Comunale e dall’Associazione Archeologica Cavaionese ecoordinato dal prof. Gian Pietro Brogiolo dell’Università diPadova, con la collaborazione del prof. Gian Maria Varanini(Università di Trento) e del dott. Luciano Salzani (Soprinten-denza Archeologica del Veneto, Nucleo Operativo di Verona).Alcuni dati preliminari su un sondaggio di scavo sono stati pub-blicati. Si veda CERVIGNI 2000.

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de Rocca di Garda8 e dello studio di alcune areedell’alta pianura veronese e della Valpolicella.

Il territorio che andremo a considerare è dun-que sostanzialmente omogeneo, sia per quantoriguarda gli aspetti geomorfologici (eccettuando inquesto caso la Valpolicella, che useremo comunquecome riferimento solo su un piano di confrontometodologico), sia per quanto riguarda gli aspettidello sviluppo urbanistico.

Il territorio di Cavaion era stato già dall’iniziodegli anni ‘80 oggetto di studi9, anche se non siste-matici, proprio per la ricchezza e l’interesse dei datiche offriva. Agli inizi del 1997, anno in cui è iniziatoil progetto di ricerca sotto la coordinazione scientifi-ca del prof. Gian Pietro Brogiolo, si sono intrapresele prime ricognizioni sistematiche sul campo conl’obiettivo di giungere alla creazione di una cartaa r c h e o l o g i c a1 0. Ma di che carta archeologica si trat-ta? La questione non è oziosa, né tantomeno puòessere considerata superflua. Diverse, in questosenso, sono infatti le esperienze maturate nel corsodi questi anni sull’intero territorio italiano1 1.

(Nicola Mancassola)

Carta archeologica del comune diCavaion. Metodi e strategie

Nel progetto di Carta Archeologica del Comunedi Cavaion si sono impiegati principalmente trestrumenti: il survey, l’aerofotointerpretazione e loscavo stratigrafico. Per ciò che concerne le ricogni-zioni si è deciso di campionare il territorio diCavaion in modo d’analizzarne una porzione stati-sticamente significativa. Gli obiettivi erano insostanza due:

1) definire il modello di popolamento nellevarie epoche (storiche-preistoriche);

2) giungere alla stesura di una carta del rischioarcheologico, che fornisse al Comune uno stru-mento di tutela attiva del proprio patrimonioarcheologico-culturale.

Per ottenere tali risultati finali si è deciso disuddividere dapprima la zona in classi d’utilizzo(individuando aree urbanizzate, settori marginalilasciati a bosco, aree agricole con colture arative,zone adibite a vigneto), passando poi a ricogniresistematicamente solo le ultime due classi, ovveroi campi arati e le vigne, in quanto le precedentipresentavano una visibilità nulla.

I dati dei survey sono stati integrati con lo stu-dio delle fotografie aeree, sia per permettere dicogliere l’articolazione interna dei siti individuatisul campo, sia per analizzare in maniera sistema-tica le aree non comprese nella campionatura. Da

un punto di vista metodologico si sono ricognitisistematicamente i campi con visibilità anchebassaprocedendo per file parallele e in presenza dimateriali archeologici è stata eseguita la raccolta,materiali da costruzione compresi, quadrettandol’area di affioramento con un modulo costante didue metri. Dove fosse necessario si sono studiatesezioni esposte, compiuti sondaggi stratigrafici discavo e rilievo dettagliato tramite Stazione Totale.Tutte le informazioni acquisite sono in seguitoconfluite in apposite piattaforme informatiche chehanno permesso vari tipi d’analisi: modello tridi-mensionale del territorio (figura 1) elaborazionespaziale dei vari cluster di reperti documentati,ecc., nonché la gestione informatica, tramite data-base, dei dati archeologici desunti.

Solo dopo una valutazione articolata delle areeè stato possibile giungere ad una sintesi dei dati.Si è quindi proceduto (fase ancora in corso di svol-gimento) a strutturare le due cartografie finali: lacarta del rischio archeologico e la carta archeologi-ca digitale.

L’indagine si è articolata, come detto, attraver-so l’impiego differenziato e diversificato di trestrumenti: le ricognizioni di superficie, lo studiodella fotografia aerea e i sondaggi di scavo. Essinon rappresentano, a nostro avviso, tre momentiseparati di indagine, pur presentando necessaria-mente approcci di studio diversi: sono stati, infat-ti, impiegati in modo dialettico, finalizzati tuttialla massima comprensione delle evidenze archeo-logiche individuate. Si sono dunque, distinte trefasi nello studio dei siti:

1) l’individuazione;

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8 MANCASSOLA, SAGGIORO 1999.9 Per la bibliografia dei rinvenimenti editi si rimanda a CARTAARCHEOLOGICA 1990.1 0 L’aspetto delle ricognizioni è solo una parte del ProgettoCarta Archeologica, che comprende uno studio dettagliato dei

documenti storici, l’analisi della cartografia e dei catasti e lostudio degli elevati.1 1 APROSIO 1997, BOATO 1998, BROGIOLO 1999, CAMBI1996, CARTA ARCHEOLOGICA 1990, AA.VV. 1996, MAN-CASSOLA, SAGGIORO, SALZANI 1999, VALENTI 1989,VALENTI 1995, VALENTI 1999.

Fig. 1 - Modello tridimensionale del territorio diCavaion Veronese.

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2) la fase di studio;3) la sintesi e la restituzione delle informazioni.La fase di studio si è articolata in modo diverso,

a seconda dei dati in nostro possesso. È stato pre-ciso obiettivo, nel caso di siti ritenuti particolar-mente significativi, giungere ad una valutazioneminima dell’area, che fornisse quantomeno la pos-sibilità di inquadrare cronologicamente il sito, dicomprenderne o ipotizzarne la tipologia e definir-ne, almeno globalmente, anche la topografia. Inquesto senso anche la raccolta del materiale disuperficie è avvenuta secondo criteri precisi. Comegià accennato, si è spesso proceduto ad una qua-drettatura (oppure si è mantenuta la divisione deifilari delle viti -3m. x 5m. in genere-) e ad un’ana-lisi per classi differenti di materiali eseguita acomputer (figura 2).

Tuttavia se vogliamo effettivamente capire lereali potenzialità di un tale approccio dobbiamo con-siderare alcuni dati. La Carta Archeologica dellaRegione Veneto1 2 risulta essere un’ottima raccoltabibliografica delle evidenze note sui vari territori. Di

per sé dunque non rappresenta una ricerca sul ter-reno, ma piuttosto una raccolta di studi diversi etale aspetto è abbastanza evidente: in alcune zonel’assenza di ricerche mostra un corrispettivo vuotonella documentazione archeologica.

Anche tuttavia in un territorio come quello diCavaion, dove studi sono già stati svolti e dove èpresente un’attiva Associazione Archeologica, ildato, a nostro avviso, è comunque significativo, dalmomento che registriamo, rispetto ai siti noti, unaumento di oltre il 400% delle aree archeologiche.

In pratica si passa da sei siti conosciuti ed editia poco meno di una trentina. Considerando che ilterritorio è stato in parte campionato e che presen-ta delle oggettive difficoltà di valutazione nellezone a vigneto (figura 3), il dato registrato mostrachiaramente come una ricerca sistematica, perquanto limitata da problemi e difficoltà, forniscaindubbiamente un approccio più efficace nellavalutazione complessiva di un territorio. Infatti,non si tratta solo di un, sicuramente cospicuo, macomunque numerico, incremento del dato, bensì

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12 CARTA ARCHEOLOGICA 1990.

Fig. 2 (a lato) - Cavaion Veronese, UT 192.

Fig. 3 (sopra) - Rapporto tra siti individuati e classi divisibilità.

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piuttosto di una valutazionecompleta di ogni singola evi-denza, anche già nota. L’inte-grazione, specificamente fina-lizzata, tra la diversa stru-mentazione impiegata (fotoaeree, ricognizioni, notizieecc.) ha portato, infatti, ad unacomprensione più completadel tessuto insediativo antico.

L’impiego di tre sistemi distudio diversi ha fornito, alme-no nella fase di individuazio-ne, risultati differenti (figura4). La maggior parte dei siti èstata scoperta attraverso rico-gnizioni di superficie e sololimitatamente è stato efficaceil contributo della fotografiaaerea. Questo è dovuto princi-palmente alle caratteristichedel territorio dove si è operato:un’area morenica presentanumerosi disturbi tonali acausa dell’affioramento didepositi glaciali e non è possi-bile distinguere, se non in pre-senza di evidenze particolar-mente significative, le poten-zialità archeologiche di unoggetto individuato. In territo-ri di bassa o d’alta pianura,come ad esempio la Valpolicel-la, è invece possibile ottenererisultati più incisivi e numero-si e la fotografia aerea diviene,a nostro avviso, uno strumento d’indagine impre-scindibile.

Tuttavia, anche in un territorio come quello diCavaion, fortemente condizionato dagli aspettigeomorfologici - si tratta infatti di un’area compre-sa tra fasce di cordoni e depositi morenici - non sipuò prescindere da uno studio, seppur prelimina-re, delle forme naturali e da una valutazione urba-nistico-ambientale. L’analisi delle fotografie aereeha avuto anche il compito di comprendere l’evol-versi del paesaggio negli ultimi cinquant’anni econseguentemente valutare a quali rischi e a qualimodificazioni il record archeologico può esserestato sottoposto.

Nello studio dei siti il contributo della fotogra-fia aerea aumenta leggermente (figura 5), ci aiutainfatti a definire la topografia dell’area in alcunicasi, in altri localizza zone archeologiche non piùverificabili. Il contributo maggiore, come si puònotare, resta comunque quello fornito dalle rico-gnizioni e dallo studio della distribuzione spazialedei materiali. Quest’ultima, in genere, si è artico-

lata in due fasi: una di studio (eseguita tramiteuno specifico software) e l’altra di restituzione gra-fica ed interpretativa, che tiene conto dei dati rac-colti sul campo, delle analisi differenziate per clas-se di materiale, dei tipi di materiali, ecc. La valu-tazione stratigrafica dei depositi è stata effettuatasolo nei casi in cui non fosse possibile verificareappieno le potenzialità del record archeologico.

È questo il caso di San Faustino1 3 sempre nelcomune di Cavaion Veronese. Si tratta di un’anti-ca chiesa campestre, oggi abbandonata e fino apoco tempo fa adibita ad abitazione contadina,datata in base alle tecniche costruttive generica-mente al periodo romanico, nei pressi della qualesono visibili i resti di un pozzo. Si sono eseguiti duesaggi di scavo per una superficie complessiva dimq 14, il primo all’esterno dell’abside, il secondo afianco dell’edificio di culto sul lato nord. È statainoltre eseguita la pulizia di una sezione espostain prossimità del pozzo. Dai dati emersi durante loscavo si è potuto appurare con certezza la presen-za di almeno due fasi di necropoli, la prima, la più

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13 CERVIGNI 2000

Fig. 4 - Strumenti utilizzati e siti rinvenuti.

Fig. 5 - Impiego degli strumenti nell’analisi infrasito.

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antica, composta da inumati deposti in tombe allacappuccina, la seconda, più recente, caratterizzatada sepolture in fossa semplice (figura 6). Entram-be le fasi non presentavano corredo, ma in base airapporti stratigrafici, ai materiali raccolti ed alleidentità formali con altre sepolture del nord Italia,sono state genericamente datate al V-VII secolo, leseconde, mentre anteriori possono essere conside-rate le prime. La pulizia della sezione in prossi-mità del pozzo ha stabilito che la struttura erasenz’altro in uso tra IV-VII secolo e, probabilmen-te, è stata riutilizzata in epoca più tarda conl’impianto di una nuova vera. Si è potuto inoltredeterminare con certezza, in base ai rapporti stra-tigrafici tra le fondazioni dell’abside e il periodo diabbandono della necropoli, che le fasi più antichedella chiesa sono anteriori al XII secolo.

La valutazione spaziale dei reperti è stataimpiegata nel 48% dei casi possibili, e ha datorisultati soddisfacenti nella maggior parte dellesituazioni. Il caso dell’Unità Topografica 3017 èesemplificativo a tal riguardo. In superficie ilmateriale si presentava secondo cluster -concen-trazioni- di reperti affioranti di forma allungata(soprattutto il materiale da costruzione) nonorientate rispetto agli assi del campo entro le qualisi trovavano. La raccolta ha messo in evidenza pic-chi di materiale da costruzione ben differenziati,non omogenei tra loro e sostanzialmente separatida zone (di dimensioni variabili) caratterizzate daun calo deciso, a livello numerico, del materiale(figura 7). In base a queste peculiari caratteristi-che dissonanti, ad esempio, da quelle verificateper alcuni edifici rustici d’epoca romana, semprenella zona, si sono interpretate queste concentra-zioni di materiali come i probabili resti di un“vicus” d’epoca romana. La restituzione del datoraccolto sul campo resta indubbiamente una fasedi estrema importanza. Dal momento, infatti, checi confrontiamo con un Ente pubblico, quale adesempio un Comune, una Provincia, una Regione,o una Soprintendenza, esso può avere in sostanza,riteniamo, due tipi di esigenze: quella di una rico-struzione storica del territorio e quella di una valo-rizzazione e tutela delle aree principali, maggior-mente significative. Con questa divisione nons’intende sottolineare una diversità d’approccio,anzi, sia nel primo caso, quanto nel secondo, laricerca sul campo diventa un passaggio obbligato enecessario. La restituzione delle informazioniacquisite può, poi, essere distinta in due fasi: unafinalizzata alla ricerca storica, l’altra finalizzataalla tutela del territorio. Abbiamo distinto in que-sto senso la carta archeologica, dalla carta dirischio archeologico. In quest’ultima confluisconoanche dati relativi alla situazione di giacitura deidepositi archeologici, al loro stato, se sono cioèintaccati, parzialmente o interamente, distrutti ointegri (figura 8) e alla loro topografia. Il grado dirischio, poi, è determinato da fattori convergenti

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Fig. 6 - San Faustino, sepoltura altomedievale.

Fig. 7 - Cavaion Veronese. UT 3017 carta di sintesi delleprincipali tracce.

Fig. 8 - Stato di conservazione del deposito archeologico.

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sull’area del sito (densità urbanistica, impattoagricolo sul record, valutazione archeologica delsito, ecc.), che traducono, in una scala di valori pre-determinata, schemi di valutazione e di interpre-tazione anche per chi non è archeologo.

In sostanza si è trattato di fornire di uno stru-mento non specialistico, l’ente stesso, per la valuta-zione del rischio al quale un sito può essere sogget-to. Per far ciò, tuttavia, non sarebbe stato sufficien-te la sola individuazione delle aree e la loro identi-ficazione. Era, ed è, necessaria una valutazione piùcompleta e articolata. La strategia della ricerca èstata in questo senso impostata proprio per fornireun duplice strumento nelle mani del comune.L’Unità Topografica è stata fatta coincidere, perevitare difficoltà interpretative, con gli appezza-menti di terreno attuali, entro i quali si è poi posi-zionato il sito, o i siti, archeologici individuati.

(Nicola Mancassola)

Confronti

In un territorio come Cavaion, dove le praticheagricole sono i principali agenti di disturbo, ladistruzione di un deposito archeologico può avve-nire in modo lento (figura 9), a causa dell’azioneripetuta dei mezzi meccanici. Il dato, anche secomunque intaccato e/o totalmente distrutto,mantiene un’informatività minima, ridotta nelpeggiore dei casi alla segnalazione di un sito. Puòessere considerato un esempio d’approccio metodo-logico, quello riguardante il dato dell’UT 118, nelterritorio di Bardolino, in zona ancora sostanzial-mente agricola. In seguito ad alcuni affioramentidi materiale d’epoca romana durante i lavorid’impianto e di aratura superficiale del nuovovigneto, si è deciso di eseguire una serie di ricogni-zioni mirate per valutare le potenzialità archeolo-giche dell’area. Considerata dunque l’elevata pre-senza di materiale da costruzione, pietre o laterizi,si è preferito limitare la raccolta dei reperti ai solielementi ritenuti indicativi – in genere ceramici –indicando con precisione la localizzazione deglistessi.

Il materiale da costruzione invece è stato con-tato e distinto in due classi:

-pietre lavorate o coperte da residui di calce;-laterizi, dove questi ultimi sono quasi esclusi-vamente rappresentati dai tegoloni.

Il campo interessato dallo studio si presentavagià suddiviso, per l’impianto del vigneto, in rettan-goli di 3x 4,5 metri e si è pertanto deciso di mante-nere tale suddivisione.

Ulteriori classi di materiale sono state poi inse-rite direttamente sul campo, dopo averne verifica-to la presenza: tessere di mosaico, laterizi per ipo-causto, o piccole lastre marmoree.

Dopo un primo sopralluogo preliminare, effet-tuato nel mese di marzo, si sono svolte tra settem-

bre ed ottobre tre distinte ricognizioni di superfi-cie. In ognuna di queste si sono raccolti i dati rela-tivi al numero dei reperti per i rettangoli in cui ilsito è stato diviso. Il risultato è stato quello di otte-nere, non solo l’area di distribuzione del materialee quindi individuare la zona occupata dal sito,bensì, anche, grazie ad un indubbia e fortunatacoincidenza, alcune murature, ben visibili sul ter-reno al momento della raccolta ed evidenziate niti-damente anche dalle successive elaborazioni infor-matiche (figura 10).

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Fig. 9 - Cause della distruzione del deposito archeologico.

Fig. 10 - Bardolino, San Vito, UT 118.

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Al contrario, un altro sito nel territorio diCavaion Veronese (UT 225), nonostante le elabo-razioni e lo studio svolto, non ha fornito risultati senon relativi all’areale complessivo occupato daireperti e alla cronologia (figura 11). È tuttavia danotare come, nel caso di San Vito (UT 118), ci sitrovasse di fronte ad un affioramento di materialeavvenuto dopo un primo scasso: il campo era cioèstato arato in profondità per la prima volta dopocinquant’anni di deboli arature superficiali e dibrevi periodi dov’era lasciato a riposo; mentre nelcaso dell’UT 225 l’aratura si protraeva oramai dacinque anni con interventi di scasso in profonditàoramai da dieci. In territori come questi i depositid’epoca storica e, con tutta probabilità anche pro-tostorica, non raggiungono profondità tali da evi-tare la distruzione nel caso di scassi in profonditàsuperiori ai 50 centimetri. Lo studio delle sezioniesposte presenti in alcune aree archeologiche, o idati ottenuti dai saggi di scavo, hanno evidenziatocome il materiale d’epoca romana, ad esempio, sicollochi in genere a partire dai 50 centimetri diprofondità e, salvo casi eccezionali, non giunga asuperare il metro e venti, tutte profondità, comun-que, facilmente raggiungibili dalle attività agrico-le attuali.

La progressiva distruzione dei siti archeologici(figura 12) è fenomeno comunque che si deve nota-re specifico per aree differenti: se ad esempio con-sideriamo territori comunali limitrofi, Bardolino-Garda da una parte e Cavaion dall’altra, divergen-ti sono le tendenze della conservazione del recordarcheologico. Nel primo caso i due comuni, sogget-ti ad uno sviluppo urbanistico sempre più intensodagli anni Settanta ad oggi, mostrano una notevo-le flessione, non solo numerica, nei dati relativi aisiti archeologici, ma anche e soprattutto qualitati-va. Si deve, infatti, notare come la maggior partedelle evidenze individuate siano totalmente o inparte sconvolte, praticamente illeggibili e difficil-mente interpretabili. In questi casi sarebbe spessonecessario intervenire con sondaggi di scavo, pervalutare la consistenza del deposito e l’importanzadello stesso. Il caso già citato dell’UT 118 di SanVito di Cortelline, resta significativa: si situa,infatti, in una fascia di territorio del comune diBardolino ancora agricola e solo marginalmenteinteressata dallo sviluppo urbanistico che invececaratterizza la fascia costiera del lungolago, dovenon è possibile intervenire se non con azioni direcupero e/o d’emergenza. In questo senso è inte-ressante richiamare alcuni dati, recentementediscussi, su una classe tipologica particolare disiti: quelli d’altura (figura 13). La scomparsa pro-gressiva, non tanto del dato, quanto piuttostodella leggibilità dello stesso, risulta un problemadi non indifferente portata. Nell’area considerata,quella del Garda veronese, si nota chiaramentecome i siti distrutti, oppure comunque “obliterati”,

Fig. 11 - Cavaion Veronese, UT 225 concentrazione direperti per quadrato.

Fig. 12 - Progetto Adelaide, siti non verificabili.

Fig. 13 - Cause della scomparsa dei siti d’altura.

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siano progressivamente aumentati dagli anni ‘80ad oggi in modo considerevole. Lo studio, eseguitosulla fotografia aerea, mostra ed indaga un feno-meno che, se esteso, può pregiudicare in alcunezone, soprattutto quelle densamente urbanizzate,lo sviluppo di ricerche e lo studio di programmi disalvaguardia e tutela.

A tal riguardo è indubbiamente significativosottolineare come, ad esempio, non si tratti di con-siderare ai fini di una valorizzazione i soli sitiarcheologici. Altri elementi possono rappresentareil patrimonio culturale archeologico di un territo-rio. I paesaggi storici ad esempio. Si consideri ilcaso di una zona della Valpolicella, ed i cambia-menti avvenuti tra gli anni Sessanta e gli anniNovanta. Il tratto chiaro, visibile sulla foto aerea,risulta essere un elemento di viabilità sepoltoantico, forse un tratto della Via Claudia AugustaPadana o della Via Alemanna. Solo il contributodell’infrarosso ed il trattamento digitaledell’immagine restituiscono il tracciato, ma non èpossibile indagare ad esempio la parcellizzazionepresente nel 1962 ed ora non più visibile. L’esem-pio serve a mostrare le rapide modificazioni a cuiun territorio agricolo risulta comunque sottopostoe con le quali tuttavia ci si deve confrontare.

La distruzione del record archeologico è un

fenomeno forse inevitabile, indubbiamente, e cheinteressa in primo luogo i siti di modeste dimensio-ni. Tuttavia si pone il problema di come tutelare ilpatrimonio storico di un territorio, che non si puòesprimere solo attraverso la conservazione di unsito, senza la completa o parziale comprensione dicome esso si sia relazionato con il paesaggio, con glialtri siti (figura 14). Se accettiamo che il territoriosia un complesso sistema di stratificazioni storiche,come è stato oramai da più parti notato, è necessa-rio che anche l’indagine archeologica si presti allo-ra a considerare tale complessità. La gestione deidati, la loro informatizzazione, risulta essere inquesto senso un momento, in genere l’ultimo, di unpiù articolato percorso di studio. La creazione diuna carta del rischio archeologico non contribuisce,a nostro avviso, alla tutela di un territorio se nonviene concepita come un sistema aperto e relazio-nale, e soprattutto se non è il risultato di un per-corso critico di ricerca. L’indagine svolta sul terri-torio di Cavaion veronese, ad esempio, se si fossebasata sui siti noti in bibliografia, avrebbe trala-sciato l’esistenza di almeno sei siti di importanzanotevole, tutti valorizzabili ed indagabili, ancora inbuono stato di conservazione, sarebbe andata atutelare zone la cui effettiva importanza, alla lucedi una valutazione più complessiva, è ora perbuona parte ridotta. Ma quest’esempio è conferma-to attualmente da altre indagini in corso su territo-ri limitrofi che hanno evidenziato l’importanza dialcune zone archeologiche, ancora non conosciute opoco considerate. Il problema, dunque, non risultaessere solo quello di una pianificata gestione delleinformazioni note, ma, soprattutto, risiede nellosviluppo di una strategia d’indagine per l’acquisi-zione delle informazioni - e solo poi della gestione.

Il rischio è quello di creare sistemi chiusi digestione dati non preparati ad accogliere nuoveinformazioni e basati su ricerche non territoriali,su rinvenimenti occasionali o su notizie, e non suindagini specificamente finalizzate alla valutazio-ne del patrimonio archeologico di un territorio. Inquesta direzione, anche la tutela non può esseree f f i c a c e .

L’esperienza maturata nel corso di questericerche, e di altre eseguite in zone della provinciadi Verona, ha confermato l’efficacia del metodo(l’indagine sistematica), ma si è notata la neces-sità di modificare la strategia a seconda del terri-torio considerato, a causa delle diversità e dellepeculiarità proprie di ogni paesaggio.

(Fabio Saggioro)

Fig. - 14.

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BIBLIOGRAFIA

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Introduzione - L’informatizzazione nellaarcheologia italiana

L’informatizzazione è oggi uno dei principaliargomenti di discussione in archeologia. A livellodisciplinare, stenta però ad affermarsi come unsistema di documentazione necessario ed impre-scindibile per governare la mole enorme di datiprodotti dalle nostre ricerche.

Nonostante alcune nicchie di sperimentazione(in particolare le università di Padova, Bologna-Ravenna, Roma-La Sapienza, Napoli-Federico II,Lecce e Siena), sono ancora molte le resistenzeaccademiche di fronte ad una serie di strumentiinizialmente ostici.

Già dalla metà degli anni ottanta, la tradiziona-le chiusura degli ambienti umanistici nazionaliaveva creato un’arretratezza macroscopica a con-fronto con molte aree della ricerca archeologicaeuropea e costituiva, come d’altra parte costituisceancora, una forte remora all’ottimizzazione deglistrumenti a disposizione. A questo proposito è par-ticolarmente significativo richiamare l’insuccessodi un qual si voglia progetto organico di inventaria-zione del patrimonio archeologico a livello naziona-le, nonostante il largo investimento operato nel set-tore dal Ministero del Beni Culturali a partire dalfallimento delle iniziative nate con i finanziamentierogati nell’ambito dei progetti sui cosiddetti “gia-cimenti culturali” (FRANCOVICH 1999).

In quegli anni l’incontro della ricerca archeolo-gica italiana con la computer science si rivelava unrapporto non risolto ed ha colto quasi di sorpresaun ambiente scientifico ancora intento a perfezio-nare la sua metodologia di ricerca. Provare a “flet-tere” alle esigenze della disciplina gli algoritmi, leapplicazioni e le strategie sviluppate nell’informa-tica pura, rappresentava di fatto un’impresa diffi-cile se non un ostacolo insormontabile (VALENTI1998a). Si aspettava l’impiego del calcolatore comeuna sorta di magico strumento per la soluzione deiproblemi connessi alle esigenze di uniformare edaccellerare la registrazione dei dati e di semplifi-carne la consultazione. Ci si augurava, inoltre, ilsuperamento di operazioni ripetitive nella pratica

dell’archeologia attraverso l’automatismo (FRAN-COVICH 1990). Dopo un decennio ci siamo resiconto di quanto limitata fosse la conoscenza dellepotenzialità dello strumento informatico, il concet-to stesso di multimedialità era ancora lontano daessere percorso efficacemente e nello stessomomento il nostro grado di alfabetizzazione non ciautorizzava ad usare al meglio i personal compu-ters. Una delle grandi difficoltà, inoltre, era costi-tuita dal fatto che stavamo cercando un rapportocon una tecnologia che proprio in quella fase subi-va una lenta, ma inesorabile, fase di trasformazio-ne. Guardavamo agli informatici come ad unasorta di alchimisti dai quali ottenere la cura per inostri mali ed al computer come ad una macchinacapace di restituire velocemente il risultato richie-sto (FRANCOVICH 1999).

La situazione veniva complicata da esempi disistemi informativi territoriali provenienti soprat-tutto dall’esterno. In particolare la tecnologia GIS,al di là delle poche nicchie con forme di applicazio-ni già avanzate (in particolare Roma: AZZENA1992), trovò (e trova ancora) un ambiente che,nella quasi totalità dei casi, non solo dovevacostruire le proprie banche dati, ma non avevaancora le idee chiare delle cognizioni informaticheimprescindibili per realizzare, interrogare e fareparlare una piattaforma del genere. Pensiamo peresempio allo smarrimento di fronte al confrontofra le sigle GIS e SIT. In molti hanno creduto perlungo tempo a due diversi tipi di gestione: il primocome uno strumento capace di gestire i dati e tra-sformali in informazioni storiche e “predittive”della resa archeologica, il secondo come semplicebanca dati geografica per amministrare la risorsaarcheologica di un territorio definito.

Quindi, contrariamente a quanto accadutonegli Stati Uniti ed in Inghilterra, dove l’archeolo-gia ha potuto disporre di esperienze di avanguar-dia nel campo dei sistemi di informazione geogra-fica (LOCK-STANCIC 1995), le applicazioni GISnon hanno sinora goduto, nonostante il gran par-larne, di una generalizzata diffusione.

La ragione del ritardo nazionale è forse daricercare anche nella relativa novità dello studio

L’ESPERIENZA DELL’INSEGNAMENTO DIARCHEOLOGIA MEDIEVALE A SIENA NELCAMPO DELL’INFORMATICA APPLICATA

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dei paesaggi storici ed in generale della dimensio-ne territoriale e geografica della ricerca archeolo-gica rispetto alle altre tradizioni. Più probabil-mente lo sviluppo di sistemi GIS, richiedendo unaforte assimilazione delle basi informatiche, trovanel nostro paese un ostacolo nella mancanza diuna massiccia diffusione nelle strutture di ricercadel calcolatore come strumento collettivo e cumu-lativo di lavoro interdisciplinare. È vero che inquegli anni la tecnologia GIS forniva strumentiche non apparivano immediatamente utili agliarcheologi, costringendoli al dialogo con specialistio a dover compilare i necessari algoritmi di pro-grammazione (i primi pacchetti software, comeArc/Info, Moss, Grass, Idrisi, sono stati commer-cializzati più tardi); ma è altrettanto vero che leresistenze delle scuole archeologiche mediterra-nee (ad eccezione dei francesi) verso una prospetti-va rivoluzionaria, ha causato un forte ritardo nellosviluppo di tali strumenti ed una grande incertez-za circa le loro potenzialità. Esisteva in definitivaun forte problema di adeguamento ai tempi, diinformazione sulle esperienze internazionali edanche di conoscenza dello stato di avanzamentodella tecnologia.

Eppure era nata, e stava muovendo i primipassi, una piccola tradizione di applicazione delcomputer nell’archeologia italiana. Soprattutto glianni ottanta hanno visto svilupparsi anche nelnostro paese un’esperienza di “Archeologia Quan-titativa” raccolta in un volume di sintesi uscito nel1987 a cura di Paola Moscati (MOSCATI 1987).Già allora, i paragrafi bene illustravano le temati-che affrontate all’estero ed in parte anche da noi(soprattutto in ambito protostorico): banche dati,analisi matematico-statistiche e applicazioni, ana-lisi spaziali.

Non crediamo che il volume abbia ricevutol’attenzione meritata. Probabilmente un’assunzio-ne delle problematiche in esso contenute ed unacuriosità maggiore della comunità scientificaverso lo stato dell’arte illustrato dalla Moscatiavrebbero evitato molte delle battute a vuoto o ledifficoltà degli anni seguenti, quando è stato moltoforte l’impatto deflagrante delle possibilità offertedalla crescita tecnologica. La stessa sorte sembrasubire ai nostri giorni la rivista “Archeologia e Cal-colatori” ormai giunta al suo decimo anno di atti-vità che, pur con alcuni difetti insiti soprattuttonegli articoli proposti da molti autori (troppo tec-nicismo e scarsa chiarezza per accedere anche adun pubblico più allargato), rappresenta uno stru-mento fondamentale in questo campo.

Oggi siamo comunque in uno stato di cambia-mento: la rivoluzione digitale ci sta traghettandonel terzo millennio attraverso nuove forme dicomunicazione, gestione e condivisione dell’infor-mazione. Il progresso tecnologico, l’allargamentoad una sempre più ampia fascia di pubblico deicontenuti della nostra disciplina, l’annullamento

del rapporto spazio-tempo prodotto dalle reti tele-matiche e dalla nascita del villaggio globale,hanno costretto anche le scienze umanistiche aconfrontarsi con i computers. Alcune areedell’archeologia non sono rimaste estranee a talidinamiche ed hanno intrapreso attivamente per-corsi, talvolta originali, con esiti diversificati tranazioni ed anche all’interno di ogni singolo paese(in Italia l’area dell’Archeologia Medievale si èproposta come un terreno di sperimentazioneavanzata).

Gli effetti sono quindi stati diversi nel livello dievoluzione raggiunta e possiamo dividere il per-corso affrontato dagli archeologi italiani all’inter-no del mondo digitale in alcune tappe principali: laconoscenza del calcolatore e dei programmi, le spe-rimentazioni di sistemi necessari soprattutto allacostruzione delle banche dati, al trattamento delleimmagini, alle elaborazioni grafiche, alle ricostru-zioni 3D, l’avvento della tecnologia GIS (VALEN-TI 1998a). Sono però osservabili alcuni punti diarrivo.

Dato per scontato che non esistono programmiscritti appositamente per supplire alle esigenze didocumentazione proprie di un archeologo, alcunihanno speso lunghi periodi nel conoscere le molteapplicazioni e scegliere quelle giudicate più adat-te; altri si sono invece limitati ad emulare supina-mente oppure ad assumere suggerimenti prove-nienti da operatori di altri campi disciplinari, macon esperienza diretta solo sul proprio campo spe-cifico. Il risultato si prospetta nella divisione indue categorie di utenza: coloro che, sperimentandoed avendo ben chiaro quale tipo di risultato vole-vano raggiungere, hanno individuato gli standardottimali ed aggiornabili per catastare un composi-to emisfero di dati come quello archeologico; coloroche, per non avere sperimentato direttamente enon avendo passato la fase critica del “come risol-vere?”, rimangono ancorati alle posizioni bene omale raggiunte, progredendo solo ed ancora aseguito dell’evoluzione degli altri.

Negli ultimi anni l’interesse generale si è final-mente posato anche da noi sulle applicazioni GIScome testimoniano i convegni di Ravello nel 1993,la summer school di Pontignano-Siena nel 1995 etutta una serie di workshops a livello nazionale.

Il GIS, insostituibile per una gestione sistema-tica di tutti i tipi di dato archeologico, ha nuova-mente confuso la situazione. Molti, non hannoancora finito di compiere i due passi precedenti edè sopraggiunta a complicare le cose una tecnologiaestremamente impegnativa, senza dubbio inizial-mente criptica, attuabile solo avendo grande confi-denza con una vasta mole di applicativi (graficavettoriale, fogli di calcolo, database, trattamentoimmagine, programmazione).

Conseguentemente, lo sforzo maggiore si è perora concentrato sulla catastazione georeferenziatadel dato; sono però ancora rare le sperimentazioni

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di vere e proprie analisi territoriali con applicazio-ne di modelli di lettura.

D’altronde crediamo che tutto ciò rientri nellanatura stessa del GIS. È infatti una tecnologiamodulare, cioè composta da diverse parti che pos-sono essere scelte secondo gli obiettivi (anche lenumerose definizioni prodotte nella sua storiaesprimono fondamentalmente le esperienze e lescelte professionali effettuate). Ha tre campi diutilizzo: processamento e archiviazione delle infor-mazioni, supporto per analizzare e prendere deci-sioni o programmare interventi, produzione diinformazioni ed ipotesi di lettura dei dati. È paleseche la realizzazione di una buona piattaforma GISrappresenta la fase più impegnativa e indispensa-bile per potere passare alle altre due; si sta quindiancora lavorando alla costruzione di piattaformeben strutturate.

Attualmente siamo in un momento molto dina-mico; l’attenzione è sempre più rivolta versol’impiego di una buona forma tecnologica nellaconsapevolezza ormai raggiunta di un sensibilemiglioramento del proprio lavoro. Il panorama,pur se positivo, non può però ancora definirsi pie-namente soddisfacente. Se dalla metà degli anninovanta sono stati fatti dei passi avanti (in parti-colare nell’ambito universitario), non siamocomunque autorizzati a credere che l’informatiz-zazione abbia definitivamente sfondato. La cresci-ta si abbina soprattutto ad iniziative singole e nonsu progetti organici, inoltre esistono ancora resi-stenze “tradizionaliste” talvolta camuffate dadichiarazioni di apertura verso l’innovazione.Anche se le numerose occasioni d’incontro mostra-no sempre più una sperimentazione diffusa ed unconfronto in atto, ci troviamo in pratica di frontead una sorta di “anno 0” i cui effetti saranno giudi-cabili solo in un prossimo futuro.

Da parte nostra abbiamo fiducia nella capacitàdi crescita degli archeologi, ma vediamo profilarsiall’orizzonte alcuni pericoli di rallentamentonell’ottica di uno sviluppo organico.

Essenzialmente sono tre i fattori da sottolineare: -l’idea ancora esistente di comprare la soluzio-ne ai problemi di informatizzazione; -la nascita di una “corporazione” di iniziati chemal comunica con il resto della comunità scien-tifica; -il rischio di vedere presentato un sempre mag-gior numero di applicazioni che rimangono poial semplice livello di esercizio di stile.a) - Rivolgersi al mercato dietro al principio

“quanto costa la soluzione?” rappresenta un erroremacroscopico ed un atteggiamento privo di sensonell’attuale strategia di progettazione della grandimultinazionali dell’hardware e del software. Que-sta si basa sulla diffusione di macchine ed applica-tivi sofisticati, con capacità di calcolo impensabilisino a due anni fa e sul rendere accessibile la pro-grammazione del proprio computer. Di conseguen-

za, ciò significa mettere in una posizione di domi-nio sulla macchina chiunque decida di approfon-dirne l’uso: riuscire a costruire le proprie soluzio-ni, calibrandone la realizzazione sulle esigenze delproprio campo specifico, aggiornarle, svilupparlesenza essere dipendenti da una società commer-ciale impegnata nella vendita di servizi e con inte-resse a continuare.

b) - Contemporaneamente si sta creando unasorta di gruppo, consapevole di operare in uncampo sperimentale ed ancora ristretto, che adot-ta un linguaggio per soli “adepti” danneggiando invisibilità i lavori presentati in articoli o trattazionie complicando ancora di più un approccio genera-lizzato all’impiego del calcolatore in archeologia.

A nostro avviso un eccessivo tecnicismo nongiova; si rendono infatti inaccessibili a gran partedella comunità scientifica strumenti in grado dirivoluzionare i metodi di documentazione tradizio-nali. La non chiarezza, od il linguaggio “compute-rese”, in un campo di sviluppo recentissimo comel’informatica applicata all’archeologia, produce ilsolo effetto di creare difficoltà a chi si avvicina perla prima volta. Soprattutto circonda di un alone dimistero quelle realizzazioni pratiche che invecepotrebbero essere affrontate da un pubblico piùallargato solo se veicolassimo chiaramente il lavo-ro prodotto (VALENTI 2000 c.s).

Nella nostra esperienza, per esempio, quandoci siamo avvicinati alla tecnologia GIS abbiamodovuto fare una fatica enorme anche solo per arri-vare a capire cosa fosse il GIS; non riuscivamo atrovare una bibliografia per neofiti e lo stessopanorama editoriale non proponeva molte alterna-tive.

Con una leggera forma di provocazione, quindi,affermiamo che è necessario mostrarci poco infor -matici e molto archeologi, senza nessun bisogno di“nobilitare” il nostro lavoro con un linguaggio spe-cialistico di sicuro disorientamento per il lettorealle prime armi, le cui domande più ricorrentisono: a cosa serve un GIS di scavo? Come deveessere costruito? Quali benefici può portarmi? Può(e come può) fungere da strumento per interrogarei dati e produrre modelli storici?

Egli cerca, negli articoli o nelle relazioni a con-vegni, risposte chiare sul lavoro da realizzare, gliostacoli ed i futuri benefici ai quali risultati potràapprodare, non desidera certo imbattersi in un lin-guaggio più adatto ad un trattato di informatica.

Il rischio maggiore si profila quindi nel porreuna netta separazione sino dall’inizio tra chi usa ilcomputer e chi non ne fa ancora uso, quest’ultimopotrebbe però accedervi e uniformarsi ad uno stan-dard sempre più necessario ed imprescindibile seproprio dalle esperienze avanzate non venisseroposti ostacoli. L’informatizzazione ed i metodi ditrasmissione dei dati ad essa legati hanno oltre-tutto come filosofia di fondo la condivisionedell’informazione e l’apertura alla comunità per

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una crescita globale. Si tratta di forme collettive disapere e di metodi di produzione del sapere, l’esat-to contrario di un monopolio dell’informazione edella tecnologia che oggi non ha nessuna ragionedi esistere.

c) – Esiste l’eventualità di un mancato incre-mento di crescita anche all’interno del gruppodegli archeologi impegnati nell’informatica: unasensazione sempre più crescente frequentando lediverse occasioni di incontro.

A tutti i convegni od ai workshops nazionali(ma anche internazionali) ai quali abbiamo pre-senziato, di rado si osserva “girare” un’applicazio-ne. Vengono illustrati, costantemente attraversodiapositive o slide show, progetti dei quali nonsiamo in grado di valutare la reale portata e labontà della soluzione poiché illustrati solo con dia-grammi, schemi e foto di schermate. Anche quan-do ha avuto luogo una dimostrazione non si èandati spesso oltre la semplice proposta di unabase ArcView, con il normale caricamento di sha-pes ed un elementare collegamento tabelle-schedaesterna; in pratica, un’illustrazione dei comandi edelle funzioni del programma dietro un’interfacciadi tipo archeologico. Mai la discussione ha interes-sato la struttura di un DBMS (il sistema degliarchivi) o la costruzione del modello dei dati (con-dizione imprescindibile per capire la bontà dellasoluzione GIS progettata) e quali gli ostacoli supe-rati, in pratica come sono stati tradotti i contenutimetodologici della nostra disciplina in protocollied algoritmi e perché si sono effettuate determina-te scelte e non altre.

Spesso, quindi, siamo di fronte ad una sorta di“esercizio di stile”. Non è più necessario dimostra-re di avere un GIS e “l’informatizzare” non si limi-ta alla sola costruzione dell’applicazione. Signifi-ca, invece, in primo luogo realizzare uno strumen-to ottimale nella gestione di una vasta mole di datied in secondo luogo (ma con valore paritetico)impiegare questo strumento come mezzo di ricercaper la produzione di nuova conoscenza.

Conseguentemente, si rende indispensabile ilconfronto su cinque aspetti ben delineati:

-filosofia di fondo (perché realizzo questo tipo diapplicazione); -struttura dell’applicazione proposta;-caratteristiche delle banche dati;-finalità delle relazioni tra applicazioni e ban-che dati;-metodi di lettura dei dati (produzione di nuoveinformazioni archeologiche). Concludiamo queste note sottolineando come,

parallelamente alla crescita qualitativa del lavoro,altri sforzi dovranno essere indirizzati verso gliaspetti quantitativi. In altre parole, la costruzionedi un sistema informativo non dovrà essere piùimperniata solo su uno o più progetti; vi dovrannoinvece trovare posto tutti i dati prodotti dall’ente odall’organismo di appartenenza, dovranno dialo-

gare ed essere interrelati. Solo realizzando grandibanche dati e facendole interagire raggiungeremoil progresso connaturato all’informatizzazione.

Oggi vediamo come imprescindibile registrarenelle memorie digitali l’intero stato delle ricerchesvolte, costruire degli strumenti di memoria desti-nati ad accrescersi nel tempo andando a comporredei formidabili motori di crescita del sapere.Siamo, forse, in una fase che in parte ripercorre lagrande stagione delle classificazioni positivistichee dell’accumulo di conoscenza ad essa legato,anche se l’impiego della tecnologia ci proietta, con-temporaneamente e quasi in tempo reale, nell’uti-lizzo pratico di tale patrimonio, sia per il progres-so, sia per la ricaduta che può e che deve averenella gestione del patrimonio archeologico.

Dobbiamo dire che, forse, pretendiamo troppoper il reale stato di avanzamento dei lavori e per ilcammino ancora da percorrere nel campo dei com-puters come comunità degli archeologi. Non esisteuna manualistica ad hoc e lo stesso stato di “cultu-ra dell’informatizzazione archeologica” è, forse,ancora basso a livello generale. In un recenteincontro svoltosi a Roma presso l’Ecole Française(“Trattamento informatizzato della documentazio-ne archeologica degli scavi urbani”), per esempio,al dibattito finale è stato chiesto da un partecipan-te: perché dobbiamo usare un GIS per documenta-re lo scavo? Io mi trovo meglio con i metodi tradi-zionali. Ecco, di fronte ad affermazioni come que-sta ci rendiamo conto di quanto lavoro di base siaancora necessario. La strada da percorrere nonpuò, però, che essere questa.

1 - Il Laboratorio di Informatica Applicataall’Archeologia Medievale

Il LIAAM (Laboratorio di Informatica Applica-ta all’Archeologia Medievale) presso il Diparti-mento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Uni-versità di Siena, rappresenta un’unità operativamolto attiva, coordinata da Riccardo Francovich eMarco Valenti.

È composta da quindici membri che da quasiun decennio sviluppano tecniche di documentazio-ne digitale finalizzate ad una gestione ottimale deldato archeologico, ad un suo inserimento in altrisistemi di documentazione ed in politiche di valo-rizzazione e tutela del patrimonio archeologico. Isistemi elaborati sono quindi il mezzo principaleper condividere il record con l’intera comunitàscientifica e per connotarlo di una ricaduta pubbli-ca secondo i canoni dettati dall’odierna societàdell’informazione.

Il team di lavoro non si compone di informatici,bensì di archeologi con il “know how” indispensa-bile per costruire e sperimentare una compiuteriz-zazione interamente tarata sulle esigenze di cata-stazione e di elaborazione dell’indagine archeolo-gica. Si tratta in definitiva di sistemi digitali rea-

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lizzati da archeologi per l’archeologia e conseguen-temente modificabili in qualunque momento sipresentino nuove esigenze di registrazione o diinterazione dei records.

Il Laboratorio inizia a configurarsi tra la finedegli anni ottanta ed i primi anni novanta, periodoin cui già l’ambiente senese percepiva la necessitàormai improrogabile di fare uso massicciamentedel computer come mezzo principe nella gestionedei dati archeologici. Questa raggiunta consapevo-lezza trovava terreno fertile in spunti provenientisoprattutto dall’estero ed in particolare dai nostricontatti con l’Inghilterra, dove avevamo osservatodi persona esperienze avanzate, come la Unit diYork o come il dipartimento di Archeologia di Lei-cester, nelle quali si faceva largo uso dei calcolato-ri e si discuteva, producendo risultati, della tecno-logia GIS.

Il nostro stato di alfabetizzazione era al temporealmente molto elementare. Nella seconda metàdegli anni ottanta riuscivamo ad usare dei wordprocessor e degli elementari database (citiamosoprattutto il “mitico” DB3). È vero che la tecnolo-gia viveva una fase iniziale di crescita e che nean-che immaginavamo i super computers dei nostrigiorni, ma è altrettanto vero che non sapevamorealmente da dove iniziare per documentare lenostre indagini. Sentivamo di dovere lavorare inquesta direzione, ma anche l’hardware a nostradisposizione non ci aiutava molto: possedevamodue PC Olivetti ed un portatile (anzi, sarebbemeglio definirlo un trasportabile) in cui primadovevamo caricare il sistema da floppy disk e poi ilprogramma da usare. Chi scrive per esempio eraappena passato privatamente (e con entusiasmo)da un Commodore 64 ad un Commodore 128!

Il primo tentativo di crescita venne quindi svol-to facendo trasferire dal Centro di Calcolo dell’Ate-neo un tecnico informatico. L’esperienza, nono-stante lunghe sedute di discussione-erudizione(per comprendere cosa ci serviva e come ottenerlo)ed alcune lezioni sull’uso di programmi di video-scrittura e di archiviazione, non ebbe buon fine e siinterruppe bruscamente.

Poco tempo dopo cercammo il contatto direttocon una società di professionisti (l’Italsiel), attra-verso la quale speravamo e credevamo di ottenereun sistema di gestione per immagini e per archivi“chiavi in mano”. Durante gli incontri che seguiro-no si materializzava comunque la difficoltà di coo-perazione. Sentivamo parole strane: algoritmo,database lineare e relazionale, DTP ecc. La nostrapreparazione era veramente di scarso spessore, nonpotevamo dirci neppure alfabetizzati, ma anche lacontroparte aveva seri problemi a comprendere iconcetti di sito, unità topografica, unità stratigrafi-ca, periodo, fase ecc. In conclusione, non esistevanole condizioni per giungere ad un prodotto tangibilee soprattutto immediatamente operativo.

Questa fase può definirsi come la “preistoria”

del nostro incontro con la tecnologia digitale. La“protostoria” può invece essere indicata nel rap-porto instaurato con Antonio Gottarelli, per alcunianni professore a contratto presso il nostro Dipar-timento; ci ha mostrato attraverso le sue applica-zioni quali scenari di progresso potevano schiuder-si in prospettiva. Ad Antonio va anche ascritto ilmerito di avere costituito, su mandato del Diparti-mento, il primo laboratorio di Informatica, impo-stato su tecnologia Macintosh, ed al tempo compo-sto da quattro macchine (un Classic, un FX, dueLC) e tre periferiche (tavoletta grafica A0, scannerApple e stampante Laser). Anche in questo caso,comunque, si commisero alcuni errori di imposta-zione. Gottarelli non venne sfruttato a pieno peralfabetizzare studenti e laureati del Dipartimen-to; invece di avere pazienza nell’aspettare una cre-scita interna si cercò di bruciare le tappe cercandonel suo lavoro quella stessa “panacea digitale” giàsperata nel rapporto con l’Italsiel. La traccia piùimportante lasciata da Gottarelli, con il senno dipoi, si riconosce nella illustrazione di quella filoso-fia di lavoro che, opportunamente sviluppata, èstata in seguito alla base della nascita del LIAAM:domare la tecnologia e realizzare in proprio lesoluzioni.

Alla fine del 1989 nasceva intanto il Laborato-rio di Cartografia Archeologica della Provincia diSiena, un progetto che ci vede ancora oggi coopera-re proficuamente con l’Amministrazione Provin-ciale. Questo evento ha iniziato a coagulare neltempo un gruppo di archeologi e di studenti, ani-mati dalla passione per l’informatica e decisi a svi-luppare la sua applicazione alla nostra disciplina.Con i pochi fondi a disposizione il Laboratoriovenne dotato di alcuni computer Macintosh perquel periodo molto potenti (i Quadra 800 e 950),furono poi acquistati anche alcuni esemplari diLC, memorie di massa, tavolette grafiche da tavo-lo, scanner e stampanti. L’acquisto in proprio delleattrezzature rappresenta una delle note costantinella crescita del LIAAM; mai abbiamo ricevutofinanziamenti pubblici finalizzati e l’implementa-zione di tecnologia è stata sempre effettuata rita-gliando alcune quote da fondi di ricerca diversi.

La trasformazione definitiva del Laboratorio diCartografia nell’attuale conformazione di Labora-torio di Informatica Applicata all’ArcheologiaMedievale si è verificata a partire dal 1993-1994con l’inizio del progetto Poggio Imperiale a Poggi-bonsi (Siena). Questa indagine ha preso il via daun approfondimento della carta archeologica pervalutare il potenziale della fortezza medicea diPoggibonsi. Il progetto nasceva come sperimenta-le; volevamo impiegare l’informatica in ognunadelle sue fasi, sia come strumento di documenta-zione sia come mezzo di lettura dei dati per ottene-re informazioni. Lo sviluppo del progetto PoggioImperiale è abbastanza noto per ripercorrerne letappe; lo sforzo effettuato nel costruire un sistema

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informativo, crediamo, con pochi uguali, hacomunque formato un team di ricerca molto unito,complementare ed altamente specializzato: tutto-ra rappresenta il cuore pulsante del LIAAM.L’informatica ha da questo momento completa-mente trasformato il tipo di lavoro svolto in tutti ilaboratori dell’Insegnamento di ArcheologiaMedievale e poi, per effetto “onda lunga” nell’inte-ro Dipartimento di Archeologia e Storia delle Artidell’Università di Siena.

Essendo una fase di passaggio il cambiamentoè andato di pari passo con l’aumento delle nostrecapacità di gestione dell’hardware e del software econ lo stesso sviluppo dei prodotti immessi sulmercato. Lo spirito di sperimentazione insito nellanostra filosofia di lavoro ha portato il gruppo diricerca ad operare secondo un principio di basecompletamente opposto a quello iniziale: non com-prare sistemi di gestione da una delle numerosesocietà informatiche presenti sul mercato, macostruirli in proprio.

Oggi è chiaro che la passiva adozione di pro-grammi preconfezionati avrebbe avuto come con-seguenza quella di disporre di un sistema calibra-to su macchine e su softwares inadeguati e nonresi flessibili ai sempre nuovi bisogni della ricercasperimentale, senza ricorrere continuamenteall’intervento degli analisti. Un sistema cioè desti-nato a divenire obsoleto di fronte all’eventualità diuna non rinnovata collaborazione con informaticio nell’assenza di risorse economiche per attivarla.

Gli archeologi si sarebbero limitati a riempiredi contenuti le banche dati ed effettuare le opera-zioni illustrate da un manuale o da un help inlinea. Tutto ciò è stato evitato. Invece, la necessitàdi dovere gestire agevolmente masse di dati sem-pre più ampie, di produrre risultati ed avviare pro-cessi interpretativi attraverso l’uso di strumentinuovi di elaborazione, ha permesso di iniziare unlungo cammino, che ha portato poi alla costituzio-ne nell’ambito dell’insegnamento di ArcheologiaMedievale di un laboratorio stabile di informaticaapplicata e di nuove figure professionali cresciuteal suo interno.

In sostanza, la soluzione cercata dieci anniorsono è stata trovata attraverso la crescita, in ter-mini di alfabetizzazione informatica, degli stessiarcheologi. Si è trattato di investire nel progettorisorse umane, mettere in grado un gruppo di per-sone di formarsi lavorando e sperimentando, con-frontando inoltre i punti di arrivo raggiunti conquelli di altre unità operative nella nostra areadisciplinare.

In particolare, il LIAAM, ha sviluppato moltetecniche tra le quali citiamo il processamento alcalcolatore di fotoaeree, la gestione GIS di scavi eterritori, scansione ed editing avanzati, la model-lazione 3D, il rendering foto realistico, animazionee morphing, la video documentazione elettronica,la fotografia digitale, CAD, la programmazione, la

produzione di filmati multimediali, applicazioniQuickTime Virtual Reality, realizzazione di siti epagine WEB. Oggi, queste competenze mettono ingrado il nostro insegnamento di gestire l’interoprocesso di archiviazione e trattamento del recordsino alla sua uscita per la comunità scientifica, peril grande pubblico, per gli enti amministrativi e ditutela, per il mercato.

2 – Obiettivi e filosofia di lavoro del LIAAM

La sperimentazione continua e febbrile, laricerca della soluzione ottimale e la ferma volontàdi superarsi, sconfiggendo la potenza della mac-china e dei programmi, ci ha portati a trovare unapersonale via informatica all’archeologia.

Già dal 1990 abbiamo iniziato a presentarepubblicamente le tappe del nostro percorso. Alcu-ni articoli (FRANCOVICH 1990; VALENTI1998a; VALENTI 1998b; FRANCOVICH 1999;VALENTI 2000 c.s, FRANCOVICH-VALENTI2000 cs.) hanno evidenziato il cambiamento diimpostazione che ci ha contraddistinto, l’evoluzio-ne degli ultimi anni e le nuove frontiere verso lequali ci stiamo proiettando. L’obiettivo dellenostre sperimentazioni, tese ad una gestione glo-bale del dato archeologico, corrisponde essenzial-mente alla produzione ed al perfezionamento pro-gressivo di uno strumento di lavoro che permettala consultazione integrata di tutti i dati raccolti,svincolato da processi interpretativi preliminari,dunque uno strumento non di supporto ad elabo-razioni già compiute.

Come già abbiamo avuto modo di scrivere, lafilosofia di lavoro sulla quale ci siamo mossi si arti-cola su sei punti principali: applicazione di tecno-logia come mezzo di ricerca e documentazione sulcampo, applicazione di tecnologia come mezzo diarchiviazione in laboratorio, uso di tecnologiacome mezzo di interrogazione dei dati e produzio-ne di informazioni, continua apertura ed attenzio-ne alle novità tecnologiche immesse sul mercato,gestione fatta in proprio da archeologi dotati del“know how” e di un generalizzato livello utenza difascia molto alta, usare il computer come un elet-trodomestico più sofisticato della media ed “ordi-nare” alla macchina (attraverso la programmazio-ne) di fare ciò che noi vogliamo.

Solo così la costruzione di un sistema di gestio-ne dei dati, realizzato da archeologi per l’archeolo-gia, ha in fieri l’allargamento delle sue componen-ti e qualsiasi tipo di revisionabilità in qualunquemomento sia reputato necessario.

In sostanza, i nostri prodotti, forse, non sonodel tutto ortodossi dal punto di vista informatico,anche se a fine millennio parlare ancora di “orto-dossia informatica” non ci sembra del tutto coeren-te: come abbiamo già sottolineato, l’attuale filoso-fia vincente di alcuni sistemi operativi (primo tratutti Macintosh), è invece mettere in grado l’uten-

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te di sviluppare le proprie soluzioni e programma-re il superamento dei propri bisogni di gestione. Inostri prodotti sono, infatti, assolutamente funzio-nali e applicabili a tutti i contesti di scavo; consi-deriamo del tutto inutile abbandonarsi alle teoriz-zazioni in eccesso dell’analista tradizionale per poialla fine perdere di vista gli obiettivi che hannoreso necessario l’uso del calcolatore.

Bisogna, soprattutto, avere ben chiaro qualisono i rapporti e le relazioni necessarie all’archeo-logo, conseguentemente articolare la soluzione,applicando la tecnologia non solo come strumentodi archiviazione, ma anche come mezzo di ricerca eproduzione di informazioni. Si rende allora neces-sario decidere quale può e quale deve essere ilgrado di alfabetizzazione informatica degli archeo-logi che vogliono fare un uso realmente buono delcalcolatore, intendendo con ciò la sua applicazionefinalizzata ad ottenere risultati tangibili, progre-dendo sia in conoscenza sia nella costruzione dibanche dati di utilità pubblica.

L’archeologo deve sapere gestire in prima per-sona i processi di catastazione e gestione dei dati; icomputer dei nostri giorni lo permettono. Questoperò richiede che all’interno dei dipartimenti diarcheologia nascano le competenze ed i canalidella sua trasmissione. È quindi necessario lo svi-luppo di esperienze destinate alla formazione diuna sorta di “scuola”, o di una tradizione; alcuneuniversità si sono già mosse in tale direzione, inprimo luogo la stessa Siena, ma anche Lecce eBologna-Ravenna dove esistono insegnamenti diInformatica applicata.

L’archeologia, per l’enorme mole di dati cheproduce, non può più essere efficacemente gestitasenza il calcolatore; non può permettersi di starefuori dai sistemi di comunicazione odierni cherichiedono, e richiederanno sempre di più, la com-pletezza della documentazione e la sua trasparen-za, grande velocità di trasferimento, chiavi di let-tura diversificate.

Lo specialista ed il non specialista devonoavere entrambi la facoltà di accedere alla forma diesposizione delle ricerche più consona alle loro esi-genze ed al grado di interesse nel momento in cui,per ricerca o per lavoro o per semplice curiosità, siconnettono: dal dato oggettivo al dato interpretatoed esposto su piani di narrazione a diverso gradodi difficoltà.

Stanno finendo i tempi in cui un’indaginearcheologica rimaneva inedita per lungo tempo edi dati non potevano essere resi disponibili perl’intera comunità scientifica.

L’archeologia, se vuole realmente avere un dia-logo con le istituzioni che governano il territorio eraggiungere anche una molteplicità di potenzialifruitori del nostro lavoro, dovrà soddisfare questiobiettivi: abbattere lo stereotipo (?) dei tempi lun-ghi di gestazione dell’informazione, “scrivere” inun linguaggio digitale corretto, trasmettere il dato

velocemente nei modi di trasmissione più diffusi erecepibili dalle stesse amministrazioni pubbliche(per esempio da un SIT provinciale o regionale) oda qualunque altro soggetto interessato.

Solo così sarà possibile fare entrare le nostreindagini nelle politiche territoriali, giocando unruolo da protagonisti, ed accedere a finanziamentiche permetteranno lo sviluppo della ricerca; allar-gheremo, inoltre, l’interesse per le nostre indagini,raggiungendo anche la fascia di pubblico dei nonaddetti.

Il mondo può continuare a vivere ugualmenteanche senza gli archeologi (non dobbiamo costrui-re ponti destinati a non crollare od operare perso-ne a cuore aperto). Se non riusciremo ad adeguar-ci ai sistemi di comunicazione attuali (oggi ci sipuò collegare ad Internet anche da un telefono cel-lulare) ed alla filosofia ad essi legata (dati a dispo-sizione di tutti, sapere collettivo, globalizzazionedei contenuti), lavoreremo solo per noi stessi, a cir-colo chiuso.

L’archeologia è perfetta per il digitale; sa tro-vare in questo campo grandi spunti di spettacola-rità che non dobbiamo lasciarci sfuggire per sfrut-tare al meglio le dinamiche ed il linguaggio dellacomunicazione odierna basati molto sull’immagi-ne abbinata a trattazioni stringate, ma al tempostesso esaustive. Attenzione, questo non significasvendere o semplificare, e quindi ridurre, lo spes-sore delle nostre indagini; l’informazione oggirichiede infatti contenuti alti e veicolati con realiz-zazioni tecnologiche elaborate, ma tramiteun’interfaccia di accesso “friendly”.

3 – Il sistema di gestione dei dati delLIAAM: dalla macro scala alla micro scala

Il nostro obiettivo di lavoro principale, comeabbiamo già indicato, si materializza nella costru-zione di un sistema di gestione di tutti i dati pro-dotti dalle indagini dell’Insegnamento di Archeo-logia Medievale.

Il sistema è stato progettato su tre livelli diregistrazione, ognuno corredato da molti tipi diarchivi inerenti le diverse ricerche catastate, dapiattaforme GIS, da prodotti multimediali illu-strativi, da pagine web:

livello macro —-> la Toscana;livello semi-micro —->i territori oggetto di pro-

spezioni;livello micro —-> gli scavi.La chiave di volta per riuscire a pilotare dina-

micamente una struttura di questo tipo è lacostruzione di una soluzione “performante” (defi-nizione oggi alla base di tutti i nuovi computersimmessi sul mercato); ovvero relazionare le piat-taforme GIS di territorio e scavo, le stesse piat-taforme alle banche dati alfanumeriche e multi-mediali, le banche dati fra loro, con link multidire-zionali che attraversano tutti i piani di informa-

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zione originando da una griglia di domande com-pletamente aperta.

Fare interagire i dati a tutte le scale spaziali edi archiviazione richiede la progettazione di unasoluzione di gestione ipermediale.

L’ipermedialità rappresenta, infatti, il nuovopunto di arrivo del rapporto archeologia-informa-tica. Questa categoria di creazioni racchiude tuttociò che è programmabile e riconducibile in unsistema composito di documentazione integrata;la programmazione è così la frontiera che l’archeo-logo deve riuscire a varcare se vuole padroneggia-re il computer come un semplice elettrodomestico.Crescere in termini di elaborazione dei dati e diproduzione di informazioni vuol dire riuscire aprogrammare e scriversi il proprio protocollo digestione; la conoscenza del linguaggio dà infattimodo di creare un sistema non disponibile sul mer-cato, una soluzione ipermediale, composta dimoduli diversi, correlati a seconda delle nostre esi-genze di archeologi.

La soluzione individuata e la nostra attività siè quindi indirizzata verso la creazione di OpenAr-cheo, il prototipo di un sistema integrato ed apertoper la gestione del dato archeologico; tramiteun’interfaccia semplice permette di collegare varitipi di dati (cartografici, planimetrici, alfanumeri-ci, grafici, multimediali, ecc.) in modo multidire-zionale fra le diverse applicazioni usate.

Il concetto di base sul quale si fonda il sistemaruota intorno a due parametri: la documentazione(quale tipo di documentazione intendiamo reperi-re?) e la keyword di relazione (in base a quale chia-ve di ricerca vogliamo reperire la documentazione?).

Per esempio, se dalla base GIS di uno scavointendiamo visualizzare la ceramica pertinente alperiodo dell’oggetto selezionato, la documentazio-ne sarà costituita dai reperti ceramici, la keyworddi relazione dal periodo ed il collegamento avverràfra la base GIS ed il DBMS relazionale dello scavo.

La facilità e l’utilità di una simile gestionerisulta facilmente intuibile, soprattutto se si con-sidera la possibilità multidirezionale dei links(giacché tutte le applicazioni che gestiscono i sin-goli tipi di dati interagiscono con tutte le altre), ilvasto range delle informazioni reperibili dallascala macro (per esempio la carta archeologica diun’intera regione) a quella micro (per esempio lascheda di un singolo coccio) e la rapidità dei colle-gamenti.

Si tratta in definitiva di una vera e propriaapplicazione (da trasformare in sistema conl’immissione di funzioni di controllo), che consenteil monitoraggio ottimale del dato. Da un punto divista tecnico OpenArcheo è, e sarà nella sua ver-sione definitiva, un sistema programmato costi-tuito da routines organizzate in tre livelli: la parteprincipale realizzata con OneClick, gli script loca-li delle singole applicazioni che sfruttano gli even-tuali linguaggi di programmazione residenti ed

alcuni passaggi particolari realizzati con AppleE-vents o AppleScript app’s. In tutti i casi si tratta dilinguaggi object oriented, ma la differenza fra i trelivelli risulta sostanziale.

In questo momento OpenArcheo permette diconsultare l’intera documentazione catastata ecomprende attualmente le seguenti piattaformeGIS (ognuna corredata da archivi alfanumerici emultimediali, da prodotti multimediali illustrativi):

-castelli scavati in Italia: registrazione georefe-renziata, alfanumerica e raster delle informa-zioni edite;-progetto siti d’altura della Toscana (sviluppa-to inizialmente nell’ambito della collaborazio-ne con il gruppo Bassilichi, si tratta forse dellapiù grande carta archeologica esistente a livel-lo regionale; consta di oltre 2000 castelli edoltre 4.000 anomalie su fotoaerea (fig. 1); regi-strazione georeferenziata, alfanumerica eraster (FRANCOVICH-GINATEMPO 2000);-carta archeologica della Provincia di Siena(dati puntiformi e rinvenimenti perimetrati)(fig. 2);-carta archeologica della Provincia di Grosseto(fig. 3);-carta archeologica della diocesi di Massa ePopulonia;-carta archeologica di Siena città contenenteanche lo scavo nella piazza di fronte allo Spe-dale S.Maria della Scala (prevista anchel’immissione dell’attuale cantiere di scavoall’interno del complesso);-carta archeologica di Grosseto città.-scavo di Poggio Imperiale a Poggibonsi (SI);-scavo di Rocca S.Silvestro (Campiglia M.ma-LI);-scavo di Rocchette Pannocchieschi (MassaM.ma-GR);-scavo della Rocca di Campiglia (CampigliaM.ma-LI);-scavo della Rocca di Piombino (Piombino-LI);-scavo di Selvena (GR);-scavo di Castel di Pietra (Gavorrano-GR).Stiamo, inoltre, impostando due ulteriori piat-

taforme GIS, per le quali sono già disponibili gliarchivi alfanumerici e multimediali, cioè l’Atlantedell’edilizia altomedievale europea e l’Atlantedell’edito della rivista Archeologia Medievale.

Questo complesso di piattaforme rappresentauna soluzione GIS ipermediale tale da permetteredi raggiungere contemporaneamente tre obiettivi:gestione di informazioni per la salvaguardia e perla tutela, accellerazione dei tempi d’indagine, ela-borazioni sofisticate dei dati.

Con la fine del 2000, all’interno di un progettopluriennale in comune con la Fondazione Montedei Paschi di Siena, andremo sia ad arricchire ilpatrimonio dei dati catastati sia ad un’apertura“sul territorio” del nostro lavoro. Questo progetto,incentrato sulle province di Siena e Grosseto e sul

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comprensorio Piombino-Val di Cornia, permetteràal nostro insegnamento di incrementare la dota-zione tecnologica, di fare crescere professional-mente (dando quindi anche occupazione) dicias-sette operatori, di fare ricerca informatizzando ecreare un rete informativa e di trasmissione deidati articolata sul LIAAM (sede di alta elaborazio-ne e del server centrale) sullo Spedale del S. Mariadella Scala di Siena, sulla fortezza di Poggio Impe-riale a Poggibonsi (SI), su Grosseto e Piombino(LI). Tra le tante operazioni da compiere, inun’ottica di costruzione di banche dati, si segnala-no l’archiviazione integrale (archivi e GIS) di tuttele ricerche dell’attività quasi trentennale dellacattedra di Archeologia Medievale dell’ateneosenese, la costruzione di un museo virtuale dellaceramica senese, di archivi bibliografici sull’evolu-zione della nostra disciplina, sulla ceramica, suimetalli, sul vetro (compresa la cartografazione suGIS di tutti gli scavi ed i rinvenimenti italiani),sulle ossa animali (anche in questo caso con carto-grafazione su GIS di tutti i rinvenimenti italiani),il completamento della cartografia toscana medie-vale incrementando chiese e monasteri.

Quest’ulteriore evoluzione delle nostre banchedati (amministrata da OpenArcheo) costituirà unostrumento unico per l’Archeologia Medievale; unostrumento che, oltre nei poli collegati in rete traloro, potrà in forme diverse e da definire nel detta-glio, essere reso consultabile dagli specialisti, dagliappassionati, dagli organismi amministrativi.

4 – La piattaforma GIS del territorionell’esperienza senese

Redigere cartografia archeologica prevede ilperseguimento di due obiettivi principali: unoscientifico ed uno politico. Il loro raggiungimentopermette da un lato di comprendere l’evoluzioneinsediativa di una regione e dall’altro di fare entra-re definitivamente l’archeologia nelle dinamiche digestione e valorizzazione che la riguardano.

L’obiettivo scientifico è, quindi, riuscire a leg-gere sincronicamente e nella diacronia le formeassunte da rapporti di tipo residenziale, ovverointerpretare gli spazi che costituivano l’assettodell’insediamento delle collettività, ricostruendocosì il processo di formazione del territorio.L’obiettivo politico corrisponde, invece, alla produ-zione di carte tematiche attraverso le quali legge-re i processi storici susseguitisi nella formazionedel territorio e, soprattutto, mappare la risorsaarcheologica.

Ricostruire l’evoluzione storica e culturaledelle campagne significa pertanto produrre unaserie di supporti cartografici dove leggere lamemoria di un paesaggio rurale progressivamenteed irreversibilmente stravolto dalle nuove tecnolo-gie e da uno sviluppo urbanistico incontrollato. Sitratta di approntare degli strumenti operativi che

permettano una pianificazione territoriale, anno-verante tra le proprie finalità il mantenimentodell’eredità storica; quindi l’individuazione dellestrategie d’intervento più appropriate per sfrutta-re al massimo un patrimonio “sommerso” comel’archeologia.

Questa doppia anima insita nella definizione“Cartografia archeologica” è collegata conseguen-temente ad altrettanti tipi di ricerca: il censimen-to del noto e la ricognizione diretta del terreno. Sitratta di aspetti diversi ed ormai tradizionali dellamedesima attività; ambedue sono indispensabilima entrambi presentano problemi che devonoessere risolti per raggiungere standard competiti-vi e coerenti con gli attuali sistemi digitali di docu-mentazione e gestione del dato cartografico.

Sino a pochi anni fa, la costruzione di cartogra-fia archeologica veniva svolta attraverso il lavoromanuale oltre, naturalmente, al lavoro di ricogni-zione e battitura a terra. Attualmente, la carto-grafia archeologica passa ancora per la ricerca sulcampo, ma il lavoro a tavolino è stato sostituitodall’impiego dei computers. Non si tratta di uncambiamento di comodo (cioè registrazione esteti-camente migliore e di più facile immagazzinamen-to); l’utilizzo ottimale della macchina è ormainecessario per evitare di svolgere ricerche che giàin partenza si collochino ad un grado di arretra-tezza sugli standard di documentazione ormaiimprescindibili.

Oggi si dialoga con le amministrazioni pubbli-che per una progettazione congiunta, se producia-mo e forniamo archeologia come dati digitali di for-mato universale. Il valore di una ricerca risiede,oltre che nella bontà scientifica, nei giga di infor-mazioni archiviati in standard d’avanguardia.Questa “rivoluzione” ha così aperto nuove prospet-tive al lavoro dell’archeologo e ad un impiego perfini pubblici dell’archeologia. Ha indotto un mag-gior peso alle nostre ricerche di fronte agli entipreposti alla tutela ed alla gestione del territorio eai beni culturali (necessitano di inserire la risorsaarcheologica nella cartografia numerica comples-siva del territorio di competenza).

Paradossalmente il progresso non ha portatosolo benefici. L’archeologia che trasmettiamo deverispondere a precisi requisiti di completezza e ciòha messo in luce quelle carenze, oggi drammati-che, che da sempre investono la nostra produzionedi dati, soprattutto per gli aspetti legati alla rile-vazione ed alla loro traduzione in forma geometri-ca, contenente attributi fondamentali di indivi-duazione.

L’informatizzazione dell’edito e dei rinveni-menti, prodotti da ricerche anche recenti all’inter-no delle diverse università, ha quindi sottopostoad una prima, generale e severa verifica la qualitàdel lavoro svolto dalla metà degli anni settanta adoggi. Ad essa sta conseguendo una perdita di datinon indifferente, poiché rappresentati come pun-

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tiformi, fuori scala reale e posizionati in manieraerrata.

Il computer sta, quindi, innescando la neces-sità di svolgere le indagini territoriali in mododiverso da quello tradizionale. Le sue funzioni dicalcolo e di gestione dei dati rappresentano unacartina tornasole impietosa nell’evidenziare lecarenze di documentazione; richiedono registra-zioni esaustive per poterne beneficiare e questopasso sarà effettuato solo attraverso il progressodelle metodologie di indagine.

Misurare, rilevare, posizionare, contare e geo-referenziare sono i cinque attributi essenziali chepermettono all’archeologo la razionalizzazione deipropri rinvenimenti: si ottiene così una trasparen-za interpretativa (quindi comprensibile, contesta-bile e reinterpretabile da qualunque altro ricerca-tore) e l’inserimento reale delle informazioni, sianella gestione digitale ed amministrativa del terri-torio, sia in operazioni di modellizzazione preditti-va, che permettono ipotesi di resa archeologica inaree ancora non battute. L’avvento di questa tec-nologia e la sua applicazione come strumento diricerca, richiede, allora, un progresso nella regi-strazione che dovrà essere realizzato soprattuttonella lettura delle presenze archeologiche disuperficie (necessità di repertori casistico/inter-pretativi comuni ed esplicitati con chiarezza; loca-lizzazione spaziale tramite impiego del GPS) e dicatastazione, interrogazione e verifica del datonella piattaforma GIS.

Come abbiamo già detto, una piattaforma GISterritoriale può essere scissa in due categorie diapplicazione e quindi, nell’esperienza senese,abbiamo deciso di realizzare ambedue le finalità;in più intendiamo lavorare sulla nostra piattafor-ma per produrre modelli di lettura della diacroniainsediativa.

Il primo tentativo svolto, cioè la creazione daparte di Giancarlo Macchi di una piattaforma GISper la catastazione della Carta Archeologica dellaProvincia di Siena ha avuto senza dubbio la fun-zione di consegnare al Dipartimento le prime chia-vi di accesso alla tecnologia GIS, fare intravedereil suo reale utilizzo in archeologia ed i suoi possibi-li impieghi in ottica di elaborazione di modelli sto-rici di lettura della diacronia insediativa.

Si tratta della prima realizzazione GISnell’ambito archeologico senese. L’esperienza ènata nella prima metà del nostro decennio e per lerisorse messe a disposizione dal mercato, nonchèper la nostra iniziale impreparazione sul GIS, èandata ben oltre le aspettative.

Il progetto iniziava allora con mezzi limitati,soprattutto per le difficoltà d’ aggiornamento deiprogrammi e dei sistemi, per l’aumento dellememorie RAM, per la mancanza di dispositive edapparecchiature d’input e output. La progettazio-ne e la costruzione della struttura portante hannoavuto una durata di quasi due anni; era necessario

acquisire quel background di conoscenze indispen-sabili per capire cos’è realmente un GIS e comecostruire un GIS funzionante. La piattaformavenne imperniata sul programma MapGrafix cherappresentava in realtà un modulo cartografico dacollegare ad un database per costituire una realepiattaforma GIS.

Si rendeva, quindi, necessario creare un siste-ma per l’archiviazione dei dati alfanumerici indi-pendente dai files cartografici. Sotto la piattafor-ma Macintosh le scelte non erano molte; in queglianni risultavano affidabili tre soluzioni: 4thDimension, Fox Base e FileMaker. Solo i primi dueprogrammi avevano allora capacità relazionali,mentre FileMaker era invece un database lineare;venne comunque scelto per la facilità d’uso, adesso connaturata, e per la sua diffusione all’inter-no del Dipartimento.

La struttura originale del database di tipo flatmostrò ben presto i suoi limiti e la rigidità con cuicondizionava il DBMS; prima provando a pro-grammare, poi con l’uscita sul mercato del tantoatteso FileMaker Pro, venne finalmente impostatauna struttura relazionale con collegamenti effet-tuati tramite un campo indicizzato (ID). Questodoveva garantire l’univocità delle informazioni inesso contenute, per evitare la creazione di rappor-ti sbagliati tra le diverse informazioni; la sceltacadde quindi su un campo così strutturato: (nume-ro del sito)/(numero dell’ut)/(numero del quadran-te IGM senza la lettere Q e senza spazio fra ilnumero di foglio e il numero di quadrante/(codicedel comune). La stessa stringa ID venne poi usataanche sul programma cartografico. Inoltre, sfrut-tando il linguaggio di programmazione nativo diMapGrafix, venne creata, all’interno del database,un’interfaccia logica che permetteva l’acquisizionedelle coordinate UTM di ogni sito e con esse lacreazione dei layers in formato vettoriale diretta-mente dal database.

La cartografia fu organizzata su due diversilivelli: vettoriale e raster. La prima fu prodottadirettamente digitalizzando supporti cartacei edarticolata in confini della Provincia di Siena, confi-ni comunali, coordinate dei capoluoghi dei Comu-ni, limiti dei quadranti IGM, limiti dei fogli IGM,sistema di quadrettatura o particelle IGM concoordinate UTM; inoltre vennero aggiunti altripiani d’informazione come idrografia, morfologiasemplificata, orografia principale, strade, precipi-tazioni e temperature medie annue. La seconda fuottenuta scansionando e georeferenziando i qua-dranti regionali in scala 1:25.000.

Dietro quest’esperienza e grazie ad una colla-borazione più stabile con il SIT provinciale ed ilSIT regionale, abbiamo continuato a sviluppare lapiattaforma GIS arrivando a cambiare software digestione cartografica, perfezionare il DBMS, uti-lizzando esclusivamente cartografia vettoriale.

La base vettoriale dedicata al territorio provin-

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ciale senese è in realtà un modulo di una piùampia cartografia regionale in via di realizzazionecurata da Federico Salzotti con la collaborazionedi Alessandra Nardini, Vittorio Fronza per gliaspetti legati alla programmazione ed alle ricer-che e di Giancarlo Macchi per il processamento.

Il DBMS è stato revisionato ampliando ilnumero e le definizioni degli archivi lookout,costruendo una scheda sito centrale alla quale sirelazionano schede UT, schede con notizie storichee citazione di documenti d’archivio, schede mate-riali ed uno schedario bibliografico. Il sistema diID progettato inizialmente è stato conservato,anche se attraverso OpenArcheo, le ricerche suglistessi archivi e la loro trasposizione visiva sullabase cartografica viene allargata attraversol’impiego di campi multipli di ricerca.

La piattaforma, impostata sul software Arc-View, è già ampiamente in corso di elaborazione esta già fornendo i primi, significativi risultati. Per-sonalmente, non ci riteniamo completamente sod-disfatti del software adottato; si tratta di un pro-gramma pensato molto bene (anche per l’uscita instampa) ma realizzato con molti limiti e bug perquanto riguarda la versione Macintosh. Anche imoduli di calcolo più complesso devono essereacquistati extra-pacchetto.

Continueremo, comunque, ad usarlo e svilup-parlo nei suoi aggiornamenti per dialogare diret-tamente con il SIT provinciale che utilizza tantoArcView quanto ArchInfo (programma al qualeabbiamo deciso di passare a breve), ma per tuttoquello che riguarda calcoli, ricerche complesse, odapplicazione di modelli lavoreremo su un diversosoftware: MacMap. Questo stesso programma èalla base della piattaforma GIS dello scavo di Pog-gio Imperiale a Poggibonsi.

In ognuno dei casi citati, la costruzione di basiGIS non ha inteso la mera archiviazione georefe-renziata dell’informazione. Piuttosto stiamo ten-tando di sviluppare gli aspetti predittivi e pro-grammatici che permettano a noi di calcolarel’eventuale potenziale archeologico di aree nonancora indagate sul campo e progettare le strate-gie di ricerca adatte; inoltre di mettere in grado leamministrazioni pubbliche di orientare sia sullezone già indagate sia sulle zone ancora da indaga-re (ma oggetto di predittività) le scelte di conser-vazione, tutela, valorizzazione, plausibilità diinterventi distruttivi ecc.

(Marco Valenti)

5 – La cartografia numerica ed i rapporticon gli enti pubblici

La creazione di piattaforme GIS per la gestionedei dati storici ed archeologici non può prescinderedalla disponibilità di un’adeguata base cartografi-ca, nei formati raster e vettoriale e nelle diversescale di acquisizione, dall’1:1.000 o 1:2.000 (centri

storici) all’1:5.000 o 1:10.000 (territori comunali) oancora all’1:25.000, 1:100.000, 1:250.000 (territoriprovinciali o regionali).

Un supporto cartografico così vasto e completosi traduce però, in termini di costi, in grosse spese,difficilmente sostenibili da realtà di ricerca qualiquelle universitarie.

Nel nostro caso la soluzione individuata risiedenella stipula di convenzioni con gli organi pubblicicompetenti (i Sistemi Informativi Territorialidella Provincia di Siena e della Regione Toscana)sulla base di un protocollo che garantisce un arric-chimento reciproco della dotazione cartografica edel bagaglio informativo: da parte nostra la forni -tura di tematismi puntiformi e perimetrali delleemergenze archeologiche; da parte delle ammini-strazioni pubbliche la cessione della cartografianumerica di base.

Questa forma di collaborazione non è certocasuale, bensì il frutto di uno sforzo, mirato al con-seguimento delle capacità tecniche ed informati-che indispensabili all’avvio di un dialogo fraambienti professionali di formazione diametral-mente opposta (umanistica/tecnico-scientifica). Lastessa scelta del software è stata fortementeinfluenzata dal rapporto instaurato. Così si spiegal’adozione, per gestire le indagini territoriali, diArcView, prodotto dalla ESRI come versione lightdi ArcInfo, il più completo e sofisticato programmaGIS in commercio. Le applicazioni ESRI rappre-sentano, infatti, lo standard a livello mondiale esono quindi adottate da tutti gli enti amministra -tivi provvisti di un Sistema Informativo Territo-riale.

In realtà, questa è stata per noi una scelta dicompromesso, dettata dalle necessità di inter-scambio dei dati e della cartografia, fattori checompensano una serie di limiti dell’applicazionealla quale preferiamo, almeno per la gestione degliscavi, MacMap, programma francese che meglio siadegua alle dinamiche della stratigrafia archeolo-gica. Nel futuro prossimo questo problema saràcomunque risolto, considerato che abbiamo decisodi passare ad ArcInfo, risolvendo molti dei nostriproblemi legati alle scarse risorse e potenzialità diArcView.

Grazie alle convenzioni stipulate, il nostrorepertorio cartografico si è progressivamentearricchito di nuovi tematismi e di maggiori sezioniCTR 10.000 richieste per avviare indagini archeo-logiche in varie zone della regione. Le piattaformesulle quali operiamo sono così complete di dati neiformati raster e vettoriale; ultimamente siamoriusciti ad acquisire anche il DTM (Digital TerrainM o d e l) regionale (fig. 4), disponibile in formatogrid e dbf. Non tutto il materiale ci è stato fornitocomunque gratuitamente, anche se le spese sonostate limitate alle forniture che non potevano esse-re considerate cartografia di base.

Il nostro caso è sicuramente fra i più fortunati

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nel panorama italiano, in quanto ci troviamo atrattare con amministrazioni che hanno ben com-preso la necessità dell’allestimento di cartografianumerica per un’agevole ed efficace gestione delterritorio di competenza. Al riguardo, dobbiamorilevare un ritardo generalizzato nella produzionedei supporti. Il governo nazionale aveva posto ladata del 2000 come termine ultimo per la copertu-ra totale del territorio italiano ad una scala di1:10.000. Tale scadenza non è stata rispettata danessuno ed anzi il caso senese, pur non avendoancora completato il proprio compito, risulta esse-re fra i più avanzati in tutta la penisola: in molterealtà amministrative nulla è ancora stato fatto intale prospettiva. Questo potrebbe rappresentareun limite molto forte per qualunque progetto cheintenda avvalersi della tecnologia GIS. In tal casobisognerebbe supplire alle mancanze degli entipredisposti facendo ricorso a ditte private e specia-lizzate nella produzione di cartografia vettoriale,acquisibile però al normale prezzo di mercato,spesso proibitivo in rapporto ai fondi disponibiliper alcune realtà accademiche o, più in generale,di ricerca.

Per quanto concerne la nostra esperienza,abbiamo fin da subito avvertito il bisogno di richie-dere cartografia sia raster (fogli IGM, quadrantiCTR, mappe catastali con relativo file di georefe-renziazione) sia vettoriale (digitalizzata da imma-gini raster ma modificabile, misurabile e arricchi-bile di un archivio alfanumerico che permettal’accumulo di informazioni per ciascun oggettodisegnato). In mancanza di una copertura comple-ta del territorio a tutte le scale e per qualunquetematismo o tipo di cartografia, tendiamo ad accu-mulare quanto più materiale possibile preferendo,in linea di massima, le scale di acquisizione piùbasse possibili, proprio per l’entità relativamentemodesta dei nostri interventi nello spazio geogra-fico. Le evidenze e le concentrazioni di materialirichiederebbero infatti una precisione al metro ocomunque uno scarto non molto superiore. Neicasi in cui queste richieste non siano esaudibili, sipuò, comunque, lavorare anche con gradi di preci-sione più grossolani, senza per questo dover rite-nere falsato il dato finale (è sufficiente dichiararela scala cartografica alla quale sono state condottele ricerche, fornendo così i parametri per tarare irisultati delle analisi).

Nel formato raster, attualmente, ci siamo assi-curati la totalità della copertura regionale dei fogliIGM (scala 1:25.000), base di partenza fondamen-tale, dal momento in cui ci garantisce di poterlavorare in qualsiasi zona del territorio toscanocon margini di precisione minimi. Nel caso dellaprovincia senese la copertura totale è assicurataanche a scale minori: unendo i quadranti CTRdisponibili all’1:10.000 con quelli disponibiliall’1:5.000 si riesce infatti a coprire l’intera esten-sione. Questa è una risorsa formidabile soprattut-

to per i ricognitori; collocata in automatico l’areadi spargimento dei materiali mobili, possonoanche rintracciare con facilità, nell’attività inver-nale di laboratorio, tutti i singoli campi battuti(fig. 5), perimetrando lo stesso stato effettivo dellaricerca (dando cioè attributi relativamente algrado di visibilità, allo stato di conservazione deidepositi, all’estensione effettivamente coperta).

L’intera provincia è inoltre visualizzabile cari-cando un unico file, utilizzabile come generico rife-rimento, presentandola nella sua interezza allascala di 1:100.000. In alcuni casi fortunati, fruttodella collaborazione anche con i singoli comuni, èstato inoltre possibile ottenere, per i soli centri sto-rici (aree per noi di indagine privilegiata) e pochealtre zone significative, una mosaicatura estrema-mente raffinata a scale di maggior dettaglio(1:2.000 e 1:1.000).

Anche nel formato vettoriale abbiamo accumu-lato molto materiale e sicuramente il nostro baga-glio è destinato ad aumentare consistentementeed in progress, poiché su questo tipo di cartografiai SIT stanno maggiormente lavorando. In partico-lare vengono sviluppati due differenti tipi di sup-porti: carte tematiche, a scale d’acquisizione chevariano fra l’1:25.000 e l’1:100.000 (cartografia GisOriented) e quadranti CTR derivati dalla vettoria-lizzazione dei corrispondenti quadranti raster allerispettive scale (cartografia Map Oriented).

La produzione Gis Oriented avviene a copertu-ra regionale o provinciale (a seconda dell’ente for-nitore) ed è mirata all’illustrazione di determinatitematismi, evidenziando le aree e le modalità dellaloro manifestazione. Possiamo, quindi, avere casiin cui vengono semplicemente indicate le zoneinteressate da particolari processi storici o natura-li, o soggette a leggi e/o vincoli (di carattere storico-archeologico, architettonico o ambientale), o anco-ra segnate dalla presenza di elementi antropici onaturali (aree urbanizzate, fiumi, laghi, ecc.). Per itematismi estesi su tutto il territorio, viene inveceoperata una distinzione “qualitativa” che permet-te di leggere i diversi caratteri o le differenti pro-prietà del contesto esaminato, oppure consente dicreare una discriminazione sulla base dell’entitàdei vari fenomeni analizzati (è il caso delle cartegeologiche, climatiche, di uso del suolo o simili).

Più omogenea si presenta, invece, la produzio-ne Map Oriented, trasposizione in formato vetto-riale dei vari quadranti della Carta Tecnica Regio-nale, disponibili alle scale 1:2.000, 1:5.000 e1:10.000 (su quest’ultima si stanno concentrando imaggiori sforzi per il completamento dell’interagriglia). Differentemente dal raster, però, gli ele-menti rappresentati possono essere misurati,modificati, caratterizzati da nuove o mutate pro-prietà, arricchiti di dati ed informazioni, distinti oassemblati sulla base dei valori a ciascun recordassegnati. Od ancora, si possono unire in un unicol a y e r oggetti appartenenti a differenti documenti

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di origine; oppure, al contrario, isolarne alcunisulla base di un qualsiasi criterio frutto di ricercheeffettuate sugli archivi interni dei vari temi.

Insomma, i vari quadranti possono esseremodificati nel tempo ed organizzati a piacimentosecondo diverse chiavi di lettura. Queste possonoanche stravolgere la rappresentazione dei datisenza assolutamente mutarne l’entità o i valoriche sono stati loro assegnati. Addirittura, nelmomento in cui ci vengono forniti, per riuscire aformare un quadrante completo di tutte le sue ori-ginarie informazioni è necessario assemblare piùdi dieci temi.

Così l’idrografia verrà rappresentata tramiteun tematismo puntuale (sorgenti, fonti, ecc.), unolineare (fiumi, torrenti, canalizzazioni, ecc.) e unoareale (laghi e stagni). Altri tematismi puntualiverranno utilizzati per indicare i punti quota o perrestituire convenzionalmente le località minori;altri lineari impiegati per la resa della viabilità odelle curve di livello; quelli areali per una suddivi-sione degli spazi a seconda della loro funzione odella loro destinazione d’uso.

Al fine di una più completa e dettagliata inter-pretazione, inoltre, una serie di codici convenzio-nali permette di distinguere ulteriormente i carat-teri degli elementi di ogni singolo tema: a ciascuncodice corrisponderà così un tipo di strada (auto-strada, strada statale, provinciale o comunale,ecc.) o di corso d’acqua, oppure una differentedestinazione di spazi e edifici (uso privato o pub-blico, agricolo o commerciale, civico o religioso,ecc.).

Al momento risulta disponibile solo una partedei quadranti in scala 1:10.000 componenti lamosaicatura regionale; si devono quindi segnalaredei vuoti che investono anche interi contesti pro-vinciali. Fortunatamente, nel senese, l’attualedisponibilità copre l’intero settore settentrionale egià consistenti porzioni di quello centrale e meri-dionale; il completamento dell’intero quadro pro-vinciale sembra possa realizzarsi entro la prima-vera 2001.

Il materiale cartografico così rielaborato fungeda supporto a tre progetti: la Carta Archeologicadella Provincia di Siena, la Carta Archeologicadella Provincia di Grosseto e l’Atlante dei Siti For-tificati della Toscana.

Per quanto riguarda la carta archeologica pro-vinciale del senese, nell’utilizzo della base GIS cisiamo mossi su due scale d’intervento e di analisi:quella dei singoli comuni (ciascuno indagato tra-mite ricognizione); quella più vasta dei contestiterritoriali con un’omogeneità storico-paesaggisti-ca (Chianti, Valdelsa, ecc.) e per i quali le indaginisono finalmente arrivate alla fase di sintesi inter-pretativa.

Nel primo caso, la piattaforma GIS viene utiliz-zata dagli stessi ricognitori in tutte le fasi del lorolavoro, parallelamente all’attenta compilazione

degli archivi alfanumerici. Dopo l’iniziale opera-zione di censimento del materiale edito e dellefonti d’archivio, la possibilità di valutarne ladistribuzione nello spazio permette allo studentedi tracciare i transetti scelti come aree campionedella propria indagine. Tale scelta non è in realtàcondizionata solo dalla posizione nello spazio dellepresenze già conosciute. Caricando carte di uso delsuolo (fig. 6) e curve di livello, infatti, si tentano dievidenziare i diversi habitat di cui si compone ilterritorio comunale; di conseguenza la campiona-tura verrà orientata in maniera tale da compren-derne una porzione rappresentativa di ciascuno diessi (nuclei urbani, boschi, seminativi, colture sta-bili, a loro volta situati in aree pianeggianti od’altura, con determinate forme di occupazioneantropica) e verificare le tendenze insediative (od imodelli d’insediamento) suggeriti dal GIS. Conl’inizio dell’attività sul campo, oltre alla normaleopera di documentazione basata sulla stesuradegli archivi riguardanti UT e relativi materiali, iricognitori procedono ad un continuo aggiorna-mento della documentazione tramite perimetra-zione sia dei campi battuti che delle evidenzeriscontrate (fig. 7).

Grazie a queste attività è possibile visualizzaree calcolare la reale estensione delle aree concreta-mente indagate; cioè effettuare una valutazionemeno approssimativa di quella fornita dai solitransetti (troppo spesso inglobano nei propri confi-ni porzioni di paesaggio in realtà non controllato) econsegnare anche ai futuri usufruitori della ricer-ca il quadro reale di quanto è stato effettuato e dicome è stato effettuato. In definitiva, si tratta diun’operazione di trasparenza.

Lo stesso processo di delimitazione degli effetti-vi confini delle unità topografiche (tramite GPS)fornisce un inedito valore alle carte archeologiche,in un recente passato operativamente inutilizzabi-li dalle amministrazioni pubbliche in fase di piani-ficazione (tranne per le zone contraddistinte daemergenze monumentali chiaramente percepibili).

Non si esauriscono, comunque, in queste moti-vazioni (censimento finalizzato alla tutela) i van-taggi delle attività di perimetrazione; anche laricerca ne trae giovamento soprattutto per le mol-teplici capacità di calcolo consentite dalle piat-taforme GIS permettendo operazioni complesse diincrocio fra tematismi: un esempio può essere indi-cato nel calcolo della densità di presenze archeolo-giche, ricavato dal rapporto fra perimetrazioni deicampi e delle UT.

Ci sembra però giusto sottolineare come talesvolta non abbia assolutamente coinciso conl’accantonamento del tematismo puntuale cheresta un ottimo strumento soprattutto per la rap-presentazione simbolica dell’evoluzione diacronicadei paesaggi e per la caratterizzazione tipologicadelle maglie insediative in contesti sincronici.

Riassumendo, nel lavoro che uno studente svol-

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ge sul territorio comunale, fin dalle prime fasi diimpostazione della ricerca vengono utilizzatiarchivi alfanumerici per attività di schedatura ebasi GIS per la programmazione dell’attività sulcampo e la scelta delle aree d’intervento. Nel corsodell’indagine diretta sul campo (e nei mesi dedica-ti alla sistemazione della documentazione) si pro-cede contemporaneamente alla perimetrazione diogni singola unità territoriale e alla sua immissio-ne in un archivio dal quale è sempre possibileesportare dati georeferenziati caricabili sulla piat-taforma anche come tematismo puntuale.

Una volta completate le ricerche, viene impo-stata, sempre sulla piattaforma GIS, la lettura el’interpretazione dei processi insediativi sincronicie diacronici. Recenti indagini sulla zona dei comu-ni senesi di Colle Val d’Elsa e Poggibonsi, hannoiniziato a mostrare le potenzialità del sistemacome strumento di elaborazione dei records e diprocessamento dei sistemi insediativi (VALENTI1999). Le funzioni sviluppate dai GIS offrono,infatti, all’archeologo una vasta gamma di soluzio-ni per analizzare e portare a modellizzazione levicende del popolamento e dello sfruttamento delsuolo.

La base di partenza sulla quale si sono mosse leanalisi è l’applicazione dell’overlay topologico, unadelle funzioni di maggiore utilità per l’analisi delterritorio, poiché permette la costruzione di pianicartografici costituiti dai livelli d’informazionegeografico-ambientale predefiniti (geologia,morfologia, vegetazione, orografia ecc.) e dallacasistica di siti archeologici richiamata. Si realiz-zano così analisi sincroniche e diacroniche sovrap-ponendo i dati in successione.

Il riconoscimento dei sistemi insediativi territo-riali si è fondato sull’applicazione di modelli teoricigeografici nella lettura di situazioni archeologichesincroniche; al loro interno il dato statistico vienetrattato nella vasta gamma di relazioni e combina-zioni permesse dal calcolatore (per una rassegna dicasi di studio relativi prevalentemente alla preisto-ria, si veda MOSCATI 1987, pp.125-131).

In generale, il processo interpretativo è statofinalizzato alla formulazione di nuovi modelli inse-diativi e nella verifica della loro trasformazionenel tempo; le tendenze accertate sono poi statecomparate con modelli elaborati per altri contestiregionali.

Il punto di partenza, anche in questo caso, èstato rappresentato da un sistema di archivi il piùpossibile completi ed omogenei. Dati disarticolati eprivi di parametri comuni rischiano infatti di com-plicare, o addirittura falsare, ricerche e tematismi.Una dimenticanza o un errore al momento dellacompilazione delle voci attinenti alla definizioneod alla cronologia comporta l’assenza e la conse-guente mancata visualizzazione del recordall’interno delle viste create.

Al momento dell’elaborazione della sintesi sto-

rica è risultato preferibile l’utilizzo dei temi pun-tiformi, visibili a tutte le scale, e frutto dell’espor-tazione dagli archivi, con la possibilità, quindi, diportarsi dietro le informazioni dei recorddell’archivio utili all’analisi. In effetti, per indagi-ni compiute su territori relativamente vasti non èrichiesta la riproduzione in dimensioni reali dellevarie UT; è sufficiente segnalare la semplice pre-senza, preferendo qualificarla su scala cronologica(macrodivisioni per secoli o epoche) o tipologica(distinzione per realtà insediative). In questi casi,forma e dimensioni delle emergenze in superficiediventano fattori di secondo piano, essendo suffi-ciente evidenziare, tramite legende, le fasi e lanatura degli insediamenti; per tale scopo, un sin-golo punto di forma o colore differente può bastare.Il tematismo puntiforme è stato quindi adottatoper l’applicazione di modelli geografici teorici.

Nella Valdelsa, per esempio, oltre allo studiodel fenomeno incastellamento tramite applicazio-ne dei poligoni di Thyessen, è stata ipotizzatal’articolazione della rete viaria medievale e valuta-ta la natura di luoghi centrali di Colle e PoggioBonizio per il XII-XIII secolo (periodo in cui cono-scevano un processo di grande crescita, al punto dapoter essere considerate come “quasi città”). Laproblematica risiedeva nel comprendere come laCentral Place Theory di Cristaller si adattasse inuna situazione storica e paesaggistica reale; inol-tre, fornire un’ipotesi sull’estensione dei territoricontrollati dai due nuclei e leggerne la progressivaformazione (VALENTI 1999).

Lo studio delle possibili reti di comunicazioni èstato, così, applicato collegandosi da vicino allamodellizzazione necessaria per la definizione deidue central places. Abbiamo costruito una fittatrama di linee tipo polyline che collegano tutti queisiti ritenuti principali e gerarchicamente domi-nanti. Per il X secolo sono stati collegati tutti icastelli e le curtis; per l’XI-XII secolo tutti i castel-li. La sovrapposizione in o v e r l a y topologico dellarete dei villaggi aperti ha fornito una prima verifi-ca delle traiettorie più probabili ed allo stessomodo la successiva sovrapposizione della rete com-posta da chiese e monasteri ha ulteriormente tara-to i modelli proposti.

Il confronto tra le diverse reti viarie delineate-si ci ha dato modo poi di ipotizzare le tendenzedistributive del popolamento nel tempo e di osser-vare le tendenze attuatesi nella scelta degli spazida occupare, di ipotizzare quali insediamenti pote-vano svolgere un ruolo di centri nodali (raccordo dipiù direttrici per l’immissione sulle arterie princi-pali: Francigena e Volterrana). La taratura effet-tuata poi sovrapponendo la cartografia IGM congli shape delle polyline (controllando convergenzeo discrepanze con la viabilità odierna ed adattandole direttrici alla morfologia del paesaggio), ci hapermesso di eliminare i collegamenti sicuramentefalsi e tracciare una nuova cartografia della viabi-

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lità connotata da un buon grado di attendibilità(fig. 8).

In questo caso non si è potuto applicare alcunmodello teorico; la base GIS ci ha, comunque, per-messo di studiare il fenomeno di nostra iniziativa,sfruttando le più elementari funzioni del program-ma e cercando di ingegnarci nel tentativo di inter-rogare nella maniera più appropriata l’applicativo.

La sequenza pratica della ricerca, impostatasul software ArcView, ha visto il seguente anda-mento:

- suddivisione in cronologie (queries sugli sche-dari e creazione di temi);- individuazione di categorie di siti (ricerca suitemi della cronologia in base alle caratteristi-che strutturali dei siti);- comprensione delle tendenze distributive sulterritorio (temi relativi alle diverse componen-ti insediative divise per cronologia in relazionealla posizione, alla geologia, alle quote, alladistanza dai corsi d’acqua);- relazioni tra i diversi siti (rapporti interni dicarattere gerarchico tra i diversi tipi di inse-diamento: se accentrato, o sparso, o per piccolinuclei);- applicazione di modelli geografici (verificadelle relazioni ipotizzate);- taratura del risultato sul dato paesaggisticoreale (adattamento delle forme prodotte sullarealtà paesaggistica);- taratura dei modelli sul dato storico (secondataratura sulla base di variabili gerarchiche edinsediative);- formulazione definitiva del modello.In conclusione, questo nuovo modo di proporre

i risultati di un’indagine territoriale e la trasposi-zione dei modelli prodotti all’interno di situazionistoriche facendo incrociare piani di informazionespaziale orizzontale con piani di informazione ver-ticale, è solo l’inizio dell’esperienza. I lavori cheutilizzeranno parametri diversi vedranno l’appli-cazione di una più ampia gamma di analisi spazia-li, sui quali stiamo lavorando anche in accordo conil Dipartimento di Storia della nostra facoltà, dovele ampie ricerche socio demografiche a livelloregionale impongono un uso integrato di databasee sistemi GIS.

L’interrogazione della base GIS costituisce,quindi, uno strumento di analisi e di interpreta-zione dal quale gli archeologi potranno difficil-mente prescindere. Infatti non solo ci permette diricostruire sincronia e diacronia delle reti/orga-nizzazioni insediativo-produttive confrontando edintegrando (rendendoli cioè interagenti) diversitipi di analisi, ma al tempo stesso ci fornisce glistrumenti per una corretta valutazione e gestionedel potenziale rischio archeologico nei contestit e r r i t o r i a l i .

(Federico Salzotti)

6 - Il sistema degli archivi

Com’è noto il Database managementha rappre-sentato uno dei primissimi obiettivi perseguitinell’ambito delle scienze informatiche. Il modellodi base per la gestione di un archivio si fonda sullateoria matematica delle matrici e si esplicita incampo informatico con il concetto di tabella suddi-visa in righe e in colonne. Una riga rappresentaun’unità d’informazione all’interno dell’archivioed è composta da un numero predefinito di colon-ne, variabile in base alla natura dell’archivio stes-so. Correntemente un’unita d’informazione, inaltre parole la riga di una tabella, è detta record,mentre la colonna, ovvero una voce dell’interainformazione di un record, è detta campo (o attri-buto). In definitiva una tabella è un database sem-plice, bidimensionale; in questo senso è spessodefinito come archivio lineare. Una simile organiz-zazione può risultare molto farraginosa conl’aumentare della complessità e della diversifica-zione delle informazioni; la soluzione è rappresen-tata da una gestione relazionale dei dati, attraver-so la quale più archivi lineari sono messi in rela-zione per mezzo di una colonna comune. La teoriarelazionale si basa su tre concetti fondamentali: letabelle appena descritte, gli identificatori (ovvero icampi comuni a più tabelle che permettono di sta-bilire le relazioni), le relazioni.

Si generano in questo modo archivi complessiche da un punto di vista algebrico sono delle matri-ci multidimensionali. L’algebra, però, non è ingrado di stabilire dei collegamenti logici fra i varielementi di una matrice multidimensionale, senon quelli immediati rappresentati da un’identitàdi riga, di colonna, di “profondità”, ecc. Si è dovuto,perciò, ricorrere alla teoria matematica deglii n s i e m i. Questa prevede la manipolazione di ele-menti aventi almeno una caratteristica in comune,raggruppati appunto in insiemi; fra le operazioniprincipali previste ricordiamo l’addizione, la sot-trazione, l’unione, l’intersezione. Le basi di questateoria, opportunamente riviste e adattate, nonchéampliate in alcune sue caratteristiche soprattuttooperative, sono risultate perfettamente aderentialle necessità di esprimere la relazionalità fraarchivi.

La teoria relazionale classica prevede tre cate-gorie di relazioni:

1:1 si tratta della relazione che collegaun record di un archivio ad uno ed un solo record diun altro archivio.

1:N; N:1 mette in relazione un record di unarchivio (detto principale o master) con N record diun altro archivio (detto secondario), o viceversa.Per gli archivi di uno scavo archeologico si avrà, adesempio, una relazione di tipo 1 : N dalla tabellaUnità stratigrafiche verso la tabella Reperti cera -mici (per uno ed un solo strato si possono avere nschede di reperti ceramici).

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N:N si tratta delle relazioni più complesseda gestire e difficilmente si troveranno applicatein archivi di largo consumo. Tramite questa rela-zione vengono messi in collegamento n record diun archivio con n record di un altro archivio,secondo un criterio logico aderente all’architetturaglobale del database relazionale.

Questa succinta spiegazione della teoria rela-zionale, e l’organizzazione razionale del dato chene deriva, dovrebbe bastare per intuire l’utilizzoche se ne può fare nella gestione dei dati prodottidalle indagini archeologiche. Nel caso di unoscavo, per citare un esempio semplice, l’archiviodelle US messo in relazione con gli archivi deireperti snellisce notevolmente il database. Sievita, infatti, in questo modo la duplicazione deidati relativi alla stratigrafia in ciascuna schedadei reperti (in informatica detta ridondanza deldato); ciò consente di risparmiare spazio sullememorie di massa del calcolatore e, soprattutto,tempo nella fase di immissione dei dati.

Il database sul quale stiamo lavorando nelnostro Dipartimento ha tenuto conto di tali pre-messe teoriche e nell’ultimo anno si va confor-mando ad un modello in corso di elaborazione perla gestione globale degli archivi relativi alle inda-gini archeologiche (dalla ricognizione allo scavo).Dal 1997, infatti, un’apposita commissione isti-tuita dalla Regione Toscana sta lavorando alleLinee Guida per la redazione della Carta Archeo -logica della Toscana (LI N E E GU I D A CA R T A AR C H E O-L O G I C A 1 9 9 8 ). Il Laboratorio di Informatica appli-cata ha intrapreso, dall’inverno 1998, le operazio-ni di codificazione secondo l’analisi scaturita dallavoro della commissione; ciò presenta problemidi diversa natura e riferibili soprattutto all’ade-guamento al software scelto, alla riconversionedegli archivi precedenti e al disegno di un’inter-faccia utente per il data entry e per la consultazio-ne. Si tratta di una mole di lavoro rilevante; insostanza prevediamo la costruzione di una base didati che contempli la gestione di qualsiasi tipo didato archeologico alfanumerico. Le Linee Guida,estremamente complete per quanto riguarda ilventaglio dei dati prodotti da una carta archeolo-gica, sono piuttosto schematiche nell’approfondi-mento dei dati oggettivi ed interpretativi, conna-turati allo svolgimento di un progetto di ricerca; sirenderà pertanto necessario integrarle con gliarchivi di dettaglio, direttamente funzionali alletematiche affrontate e già sviluppati presso illaboratorio; va inoltre prevista l’aggiunta di unaserie di dati particolari relativi ad approfondi-menti in corso di svolgimento presso il Diparti-mento (archivio dei castelli italiani scavati, archi-vio degli insediamenti rurali e dell’edilizia inmateriale deperibile a livello europeo). Fino adora abbiamo portato a compimento i soli archiviper le informazioni provenienti dalle indaginistratigrafiche ma, anche per quanto riguarda le

indagini di superficie, il lavoro è attualmente aduno stato molto avanzato (potevamo già disporredella nostra struttura relazionale sperimentataall’interno del progetto carta archeologica dellaProvincia di Siena e dell’Atlante dei siti d’alturadella Toscana).

L’organizzazione dei dati si fonda su un’archi-tettura gerarchica dove il livello più alto è rappre-sentato dal sito (in relazione 1:1 o 1:N con tutti glialtri archivi), concetto di base per la gestione deldato in archeologia secondo la progettazione logicadelle Linee Guida; sullo stesso piano della schedadi sito si colloca la tabella relativa ai progetti diricerca contenente i dati fondamentali inerenti leindagini stratigrafiche (archivio Scavi) (fig. 9).

Un nodo importante è rappresentato dalla defi-nizione degli identificatori relazionali. I frequentiinterventi sui dati catastati e soprattutto la neces-sità di importazioni ed esportazioni continuedurante la fase di data entry ha suggerito di evita-re l’uso di numeri progressivi; si è invece optatoper campi calcolati, che definissero univocamentei dati. In particolare gli identificatori si compongo-no di una stringa costituita dai diversi tipi di infor-mazioni necessarie a creare i criteri di univocità,preceduti da una sigla di tre caratteri maiuscoliche identifica il tipo di informazione e separati daun carattere convenzionale neutro (nel nostro caso“%”). Per quanto riguarda la struttura dei singoliarchivi, ci siamo basati ancora una volta sulleschede ministeriali, spesso ritoccate per soddisfa-re le nuove esigenze derivate dall’implementazio-ne del sistema di gestione informatizzato edall’approfondimento dei livelli interpretatividella ricerca; in questa sede richiederebbe troppospazio analizzare dettagliatamente, campo percampo, i singoli archivi del database. Va comun-que sottolineato che le modifiche apportate si rife-riscono principalmente alle necessità impostedall’utilizzo della base GIS e del sistema OpenAr-cheo. In questo senso si è provveduto all’aggiuntadi campi specifici, rappresentanti stringhe di iden-tificatori sulla quale si basano le relazioni delsistema e alcune ricerche sulla base GIS.

Ai fini dell’implementazione di OpenArcheo siè rivelato sufficiente creare un indice relazionalegenerico, in relazione con tutte le tabelle attraver-so un identificatore da importarsi ad ogni collega-mento fra i dati e costituito da una stringa che con-catena tutte le chiavi di ricerca previste dal siste-ma. Ovviamente in ogni tabella si ritrova lo stessoidentificatore (denominato I D O p e n A r c h e o) checonsente di rendere operativa la relazione. Insostanza se si vuole accedere alle schede US di uninsieme di oggetti selezionati nella base GIS ilsistema esporterà i relativi identificatori dallatabella interna, effettuerà quindi un’importazionenell’indice di OpenArcheo e visualizzerà relazio-nalmente i dati riferiti alle US, catastati nell’appo-sito archivio.

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7 – La piattoforma GIS dello scavonell’esperienza pilota del progetto PoggioImperiale a Poggibonsi

Dagli inizi degli anni ‘90 il Dipartimento diArcheologia e Storia delle Arti dell’Università diSiena sta conducendo un progetto di studio territo-riale sulla Val d’Elsa, incentrato soprattutto suidistretti comunali di Colle Val d’Elsa e Poggibonsi.

L’indagine è stata articolata sull’integrazionefra fonti storiche e fonti archeologiche; all’internodella diacronia insediativa ipotizzata, abbiamo poiapprofondito la ricerca aprendo un esteso cantieredi scavo in località Poggio Imperiale a Poggibonsi,collina sulla quale si collocava il sito fortificato diPoggio Bonizio, fondato nel 1155 e distrutto nel1270.

Questo castello, filiazione di una tra le piùpotenti famiglie toscane (i Guidi eredi dei Canos-sa), si era sviluppato in una realtà urbana nelcorso del XIII secolo. L’intervento archeologico hapoi rivelato l’esistenza di una lunga frequentazio-ne non attestata dalle fonti scritte (VALENTI1996; VALENTI 1999 con bibliografia); l’agglome-rato di pietra era stato preceduto da un complessotardoantico (del quale ancora non conosciamo lareale consistenza) e da un villaggio di capannepopolato per l’intero altomedioevo (dalla prima etàlongobarda sino alla piena età carolingia).

Il cantiere è nato come sperimentale; volevamoconiugare nuove strategie di indagine con le risor-se messe a disposizione dalle nuove tecnologie. Trai nostri obiettivi principali elenchiamo di seguito:

-ipotizzare la consistenza dei depositi attraver-so un’indagine scandita da steps di avvicina-mento progressivo al terreno (strategia di valu-tazione articolata fra ricognizione del terreno etrattamento al calcolatore di foto aeree a scalediverse);-osservare i risultati di un intervento articolatoper grandi aree (ad oggi è stato scavato più diun ettaro di terreno);-leggere progressivamente il complesso attra-verso un feed back retroattivo incrociando ipiani d’informazione preliminari e di scavo;-testare le risorse dell’informatica per unagestione globale del record;-impiegare l’informatica come strumento perprodurre informazioni.Ognuno di questi obiettivi ha poi dato luogo ad

ulteriori sperimentazioni, tra le quali citiamo ladefinizione di un metodo per la valutazione deicontesti di buche di palo e per la lettura di struttu-re in materiale deperibile (FRONZA-VALENTI1997; inoltre FRONZA-VALENTI 2000 c.s) (fig.10), il tentativo di costruire una griglia di riferi-mento per la ceramica comune altomedievaletoscana (FRANCOVICH-VALENTI 1998), la defi-nizione degli indicatori materiali per individuareun modello di gerarchia sociale in ognuna delle

fasi del villaggio di capanne (VALENTI 1999 esoprattutto NARDINI-SALVADORI 2000 c.s) (fig.11-14) e, non trascurabile, l’immediata diffusionedei risultati progressivi dello scavo accompagnatial grado di sviluppo delle ipotesi interpretative incorso (tra i tanti FRANCOVICH-VALENTI 1996;VALENTI 1996).

Uno dei punti principali della sperimentazio-ne, cioè il tentativo di gestire interamente in digi-tale lo scavo archeologico, si è imposto nel tempocome il contributo di grande novità che il progettoPoggio Imperiale sta portando. Poggibonsi è infat-ti l’unico cantiere interamente catastato all’inter-no di una piattaforma GIS (fig. 15-16) relazionataad un articolato sistema di archivi; contiene l’inte-ra memoria dell’intervento (dalle indagini prelimi-nari al deposito archeologico, dagli scarichi al pro-getto di parco), permette, inoltre, lo sviluppo dinuove metodologie di interpretazione del record ela progettazione mirata sia dell’ampliamento delloscavo sia della sua musealizzazione.

La gestione GIS dello scavo archeologico è inte-sa come uno strumento di ricerca e non di illustra-zione di elaborazioni già compiute. Si tratta inrealtà di una “soluzione GIS”, intendendo per essauna serie di piattaforme e di archivi che interagi-scono tra loro dando accesso, su richiesta, a tuttala documentazione attraverso un’ampia gamma diinterrelazioni. Più nello specifico, la piattaformapermette la gestione immediata di tutti i dati, lacostruzione in tempo reale dei piani d’informazio-ne conseguenti alle interrogazioni effettuate, laformulazione di nuovi interrogativi in base allerisposte ottenute, la costruzione di ipotesi inter-pretative e predittive.

Per fare ciò è stato necessario creare almenotre applicazioni e metterle in relazione dinamica:la piattaforma dello scavo, il DBMS alfanumerico(il sistema degli archivi US, reperti ecc.), il DBMSdelle pictures e della multimedialità (il sistemadegli archivi fotografici e grafici). Questa articola-zione ed il meccanismo operativo costruito (ilmotore OpenArcheo), hanno semplificato l’esecu-zione di interrogazioni complesse e “polverizzato” itempi di elaborazione, accellerando così la costru-zione di modelli interpretativi.

Nelle sperimentazioni italiane realizzate apartire dalla seconda metà degli anni ottanta nonsi è mai giunti ad una vera applicazione GISdell’intervento stratigrafico.

È stata privilegiata la gestione del dato alfanu-merico (gli archivi), considerando come accessoriala parte grafica (il rilievo di scavo) che ha trovatoposto soprattutto in programmi CAD. L’assunzio-ne in vettoriale dei rilievi non è imperniata sulprincipio della digitalizzazione di una macro pian-ta composita (tutti gli strati scavati), bensì di pian-te di fase o di periodo; cioè non tutti i dati, ma datiselezionati e già interpretati.

I sistemi di archiviazione proposti da Roma Tor

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Vergata (ARGO: RICCI 1988), Pisa (NIKE: BIAN-CHIMANI-PARRA 1991), Lecce (ODOS:D’ANDRIA 1997), Napoli (Eurialo: per un’inqua-dratura riassuntiva si veda MOSCATI 1998, pp.226-228) risentono di questa impostazione. Sidistingue il caso di Bologna (Aladino: GUERMAN-DI 1989), datato alla seconda metà degli anni’80 egià impostato secondo la filosofia del sistema aper-to e aggiornabile sulla base delle reali esigenzeconnaturate alla ricerca.

Di recente, in occasione di un seminarioall’Ecole Française di Roma (“Trattamento infor-matizzato della documentazione archeologicadegli scavi urbani, 25 ottobre 1999”: http://www.ecole-f r a n c a i s e . i t / a c t u a l i t e . h t m), sono state presentate alcu-ne relazioni che rappresentano un’evoluzione ditali sperimentazioni.

Nello scavo del Foro di Traiano (diretto daRoberto Meneghini, Silvana Rizzo, Riccardo San-tangeli della Sovraintendenza ai Beni Culturali delComune di Roma) la coperativa Astra ha riorganiz-zato “i sistemi di acquisizione della documentazio-ne grafica e schedografica per rendere disponibiliarchivi informatizzati con la possibilità di operarein tempo reale verifiche multiple sulla correttezzadella sequenza interpretata”, supplendo ai proble-mi legati alla necessità di registrare esaustivamen-te nei tempi ristretti di un cantiere urbano.

Il sistema si propone come efficiente ed è arti-colato in due unità operative (documentazionepregressa; documentazione grafica in formato vet-toriale, pictures, database relazionabile) che pro-ducono tre archivi: grafico, di immagini e alfanu-merico relazionale. Il rilievo generale è ottenutotramite strumento ed “una volta riversato inambiente CAD, genera la cartografia numericadirettamente elaborata sui punti acquisiti e allostesso tempo è utilizzata come supporto alla refe-renziazione e all’elaborazione dei rilievi redattimanualmente in scala 1:20 o superiore. (…) È daquesti elementi cartografici che vengono generatele piante composite e le sezioni interpretate, pro-dotto finale della lettura stratigrafica e punto dipartenza di ogni ricostruzione”. L’archivio relazio-nale si lega a tavole separate “che contengono leinformazioni relative alle generalità dello strato,ai componenti, alle relazioni stratigrafiche,all’inventario materiali, all’inventario dei rilievigrafici ed all’inventario fotografico, tutti legati dalcodice univoco del numero di US”. Infine si affer-ma che gli archivi presentati possono essere age-volmente assimilati in Sistemi Informativi o GISgià operanti sul territorio di Roma e che in futuroverranno integrati “attraverso un l i n k a g g i o c o narchitettura ancora da definire” (h t t p : / / w w w . e c o l e -francaise.it/informatiz/Meneghini.htm).

In questo progetto, pur di fronte ad un interes-sante strategia di documentazione di cantiere, sievita la realizzazione di una piattaforma GIS e lafiducia nell’inserimento del record di scavo in GIS

già esistenti per Roma si scontrerà con il grandeostacolo rappresentato dalla necessità di un model-lo dati ad hoc. Continua l’uso del CAD (non supe-rando così del tutto la logica che vede la parte digestione in digitale delle piante di scavo comeaccessorio subordinato agli archivi alfanumerici) enon viene realizzato un sistema di gestione aperto,dinamico e soprattutto realmente multidirezionaleattraverso l’impiego di molteplici chiavi di ricerca.

Le scelte operate sul cantiere della P o r t i c u sMinucia (presentata da Enrico Zanini dell’Univer-sità di Siena: http://www.ecole-francaise.it/informatiz/Zani-ni.htm) e per gli scavi della cattedra di archeologiae storia dell’arte greca e romana II° dell’Univer-sità di Roma “ La Sapienza” (proposti da PaoloCarafa, Sabatino e Roberto De Nicola), sono abba-stanza simili; utilizzano un software GIS (Arc-View) ed altri software commerciali (essenzial-mente Autocad ed Access) nel tentativo di farecomunicare diversi tipi di record.

Nel complesso si propongono senz’altro comeun passo avanti verso la gestione georeferenziatadello scavo. Non ci sembra, però, adatto il softwareGIS scelto; è troppo rigido e meccanico nella suaesposizione dei dati vettoriali, non ha l’immedia-tezza richiesta per la costruzione delle piante difase o di periodo: le sue funzioni di calcolo e simu-lative risultano senz’altro limitate per il cantierearcheologico.

Manca, inoltre, anche in queste due esperienze iltentativo di realizzare una vera e propria soluzioneGIS aperta e multidirezionale come la letteraturaspecializzata professa ormai da oltre un decennio.

Non condividiamo, infine, l’impostazione “deltutto artigianale” di Zanini, “che concepisce l’infor-matizzazione come uno dei tanti strumenti chel’archeologo utilizza nella sua attività sul cantieree in laboratorio, e che prevede quindi l’adozione distrumenti e di procedure operative anche banali,ma che proprio per la loro semplicità si stannorivelando ben utilizzabili in tutti i contesti - urba-ni ed extraurbani - in cui sono state applicate”.

In altre parole, noi siamo dell’opinione contra-ria; l’informatizzazione non è oggi un accessoriodello scavo, rappresenta, invece, il mezzo pergestire completamente la documentazione prodot-ta. La tecnologia digitale non deve infatti essereconsiderata un completamento dell’indagine; deveinvece trovare applicazione come importante stru-mento di elaborazione del record e della sua tradu-zione in informazione (fig. 17-19). Questo richiedeche l’archeologo abbia un alto grado di alfabetizza-zione, tale da permettergli di costruire il propriosistema di gestione dei dati libero dai condiziona-menti dei soli prodotti reperiti con facilità sul mer-cato. Il sistema deve uscire dall’ingerenza dei pro-tocolli dettati a priori dagli analisti delle societàproduttrici di software; dei protocolli non certa-mente destinati ad applicativi di tipo archeologico.Deve essere, invece, realizzato da archeologi per

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l’archeologia sfruttando chiaramente i software incommercio (come anche noi facciamo) ma inseren-doli, programmando, in un contesto di dialogoaperto. Solo così si ha in fieri l’allargamento dellesue componenti e qualsiasi tipo di revisionabilitàin qualunque momento sia reputato necessario.

Nella nostra esperienza, il GIS dello scavoviene concepito come una piattaforma che contie-ne la memoria di tutte le operazioni e le ricercheeffettuate. La collina di Poggio Imperiale è statainteramente vettorializzata ed inserita nel suoimmediato contesto paesaggistico ed insediativo.

Sono stati poi catastati la carta geologica didettaglio, il lavoro della geoarcheologa AntoniaArnoldus (sezioni geologiche della collina, cartadella probabilità archeologica, ipotesi su un even-tuale sistema di captazione delle acque), le indagi-ni preliminari sul terreno (fieldwalking 1991 e1992), le letture al calcolatore delle fotoaeree effet-tuata nel 1991-1992 (fotoaeree regionali per leva-ta cartografica, volo centri storici, foto da aereo daturismo, foto da pallone), la lettura al calcolatoredelle fotoaeree prese tramite velivolo da turismonegli anni 1996 e 1997. Infine l’intero scavo e learee di scarico nei loro spostamenti progressivi(fanno anch’esse pienamente parte della storiadella collina). I dati stratigrafici riportati sonocompleti, dall’humus al terreno vergine; viene rap-presentata l’intera realtà dei depositi archeologicinella loro successione fisica.

Proponiamo di seguito una breve “carta d’iden-tità” della base GIS di Poggio Imperiale, comples-so esteso per 12 ettari e del quale è stato scavatosinora poco più di un ettaro con 4.139 unità strati-grafiche sino alla campagna del 1999. Ad oggi cen-s i s c e 55.862 elementi vettorializzati e raggiungeun peso di 68 mega; viene gestita su un MacIntoshG4 a 450 MHz - 256 MB di memoria RAM ed hatempi di caricamento dei dati di circa 5-10 secondi,mentre quelli di elaborazione oscillano fra i 15-20secondi per le ricerche più semplici ed i 25-35secondi per quelle più articolate.

I tempi di impostazione e di registrazione nonpossono essere quantificati nel loro complesso conprecisione, in quanto fortemente condizionati siadalla mole dei dati da processare ogni anno (nonsempre uguale) sia dall’abilità dell’operatore (increscita esponenziale).

In genere l’assunzione delle piante di scavoviene svolta da tre operatori nel corso delle attivitàinvernali di laboratorio; la campagna 1998 ha, peresempio, richiesto un totale di 160 ore circa a per-sona nella digitalizzazione di tre grandi settori discavo (il più grande raggiungeva i 30 x 12 m) carat-terizzati da stratigrafie molto articolate.

Nel suo insieme, si tratta di un prodotto che,nonostante una notevole complessità strutturale,consente una fruizione molto agevole e veloce,anche per utenti non alfabetizzati.

Una gestione corretta della documentazione di

scavo passa inevitabilmente dall’inserimentodella grafica all’interno del programma GIS.

La scelta del software è dunque fondamentale edeve orientarsi verso prodotti non condizionati daun’impalcatura logica troppo rigida (come nel casodegli standard usati per il territorio; per esempioArcView). Ci siamo così indirizzati verso MacMap(prodotto in Francia e distribuito in Italia da StepInformatica - Torino), un programma che consentedi costruire ex novo la struttura dei dati attraver-so la creazione di un modello, organizzato per tipie sottotipi, definiti sia geometricamente (superfici,linee, testo e punti) che graficamente.

Questa peculiarità del programma permette dicomporre un’unica base di dati dove vengono peròa convergere tutti i grafi vettorializzati, classifica-ti al momento dell’immissione secondo gli schemilogici impostati dall’utente (facilmente modificabi-li comunque anche in seguito); in questo modo sirende possibile in qualsiasi momento e per qual-siasi operazione integrare tutti i dati, anche sedistribuiti in tipi distinti e con caratteristiche geo-metriche differenti.

Il modello dei dati è stato organizzato in mododa accogliere in maniera stratificata l’intero patri-monio di informazioni concernenti il sito di PoggioImperiale: la morfologia e l’aspetto della collina pre-cedentemente all’intervento archeologico, l’indagi-ne non distruttiva (fieldwalking e rilevamento deicrop marks), l’intervento di scavo, gli approfondi-menti di ricerca effettuati (indagine paleopedologi-ca, test di geomagnetismo e resistività, studioantropologico dei reperti scheletrici), le prospettivedi musealizzazione (parco archeologico) e le elabo-razioni predittive sulla base dei dati già acquisiti.

Tutti questi dati sono stati distinti in 13 tipi,sulla base della coerenza tipologica e della identitàgeometrica, evitando ridondanze. Il principio cor-retto per l’impostazione del modello è quello dicostruire un’impalcatura tenendo conto dellecaratteristiche intrinseche del dato e non del signi-ficato attribuito a seguito di interpretazioni sog-gettive. Per esempio: dovendo inserire la viabilità,risulterebbe incoerente inserire i tracciati già inuso e quelli in fase di progettazione in due tipidistinti, associandoli nel primo caso con gli altriaspetti riguardanti lo stato attuale della collina enel secondo con quelli previsti nel progetto dimusealizzazione del sito: l’incoerenza consistereb-be nel fatto di distinguere due elementi tipologica-mente omogenei sulla base di una lettura indivi-duale e di conseguenza assegnare già in fase diacquisizione un valore predefinito.

Il sistema degli archivi grafici e multimedialivede l’uso di databases appositamente creati perla gestione di immagini, filmati e suoni e rappre-senta uno strumento utile solo se si lavora inten-samente con grafica e files multimediali; i docu-menti che ne fanno parte non sono inseriti in ununico file, ma vengono ricercati dallo stesso data-

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base nelle loro svariate collocazioni; alle immagi-ni, rappresentate in una galleria di miniature (evisibili a grandezza naturale con un semplice dop-pio click), sono associabili uno spazio descrittivo euna serie di chiavi che permettono visualizzazioniper soggetti; le keywords scelte per il nostro archi-vio corrispondono ai numeri delle unità stratigra-fiche rappresentate, area, settore, quadrato, defi-nizione US stratigrafica, definizione US interpre-tata, anno di scavo, struttura, periodo, fase, areaper fase, responsabile di area. Ad oggi sono cata-stati 3.933 documenti tra immagini, filmati e ani-mazioni; con l’estate 2000 è previsto l’inserimentodi altri 1.500 documenti circa.

Il sistema degli archivi alfanumerici è statoconcepito come un’applicazione relazionale chevede convergere in interrogazione i dati di unitàstratigrafiche, schedature ceramica, metalli,monete, vetri, ossa animali, reperti osteologiciumani, eventuali analisi specialistiche, bibliogra-fia. Sono state sinora inserite 19.425 schede.

La base di dati alfanumerica rappresenta unnodo essenziale nell’elaborazione di una soluzioneinformatica che gestisca in modo efficiente il com-plesso dei dati generati da un’indagine stratigrafi-ca. Da essa dipende in buona parte la qualità e lafruibilità delle informazioni catastate.

Sotto questo profilo assume importanza prima-ria il momento progettuale del database relaziona-le; in questa fase occorre, a nostro avviso, basarsiin primo luogo sulle necessità specifiche connessealla ricerca archeologica, elaborando un modelloinformatico che coniughi il rigore logico propriodella computer science con la semplicità d’uso e lafacilità d’implementazione sull’ambiente hardwa-re/software a disposizione (nel nostro caso unaLAN di personal computer gestita attraverso unserver Alpha, e applicazioni commerciali larga-mente diffuse e facilmente reperibili).

Va tenuto presente che i processi cognitiviapplicati dall’archeologia e finalizzati alla produ-zione di modelli storiografici non sempre si adatta-no ai metodi dell’analisi informatica; le incompati-bilità più evidenti si rilevano nella necessità, pro-pria dell’analisi, di giungere ad un modello dei datidefinitivo (le applicazioni classiche nell’ambitodella realizzazione di database relazionali riguar-dano solitamente processi che non mutano neltempo e difficilmente necessitano un aggiorna-mento continuo dell’architettura dei dati; bastipensare alla gestione contabile di un’azienda,all’archivio anagrafico di un comune, ecc.). Unsistema simile è applicabile tutt’al più all’elabora-zione di strumenti per la tutela del patrimonioarcheologico, costituiti da banche dati contenentile notizie essenziali pertinenti ad un sito.

Durante la progettazione di un database (e, piùin generale, di una soluzione informatica globale)che si riveli funzionale alla ricerca si rende invecenecessario porre la massima attenzione a due

aspetti: la creazione di un’architettura aperta efacilmente integrabile con nuove tipologie di infor-mazioni e la definizione, fin dall’inizio, del grado didettaglio cui si vuole giungere nella catastazionedel dato. Non considerare queste problematichesignificherebbe realizzare soluzioni parziali o, nelpeggiore dei casi, inefficienti. L’esigenza diun’architettura aperta si rivela direttamente con-naturata al concetto di ricerca archeologica. Questainfatti, pur partendo da basi metodologiche suffi-cientemente consolidate, presenta spesso dinami-che mutevoli e strettamente connesse al contesto edagli obiettivi del progetto; lo stesso procedere delleindagini è spesso fonte di idee per approfondimentiin direzioni non previste inizialmente. Il grado didettaglio delle informazioni, non necessariamenteuniforme per tutte le categorie dei dati, è invecedirettamente legato all’efficienza della base di dati.

Si tratta di coniugare le esigenze specifichedegli approfondimenti su particolari aspetti delprogetto di ricerca con i criteri di agilità indispen-sabili per una proficua fruizione dei dati; giungeread una soluzione di compromesso che rispetti leesigenze coinvolte rappresenta un momentoimportante nella progettazione del database.

(Marco Valenti)

8 – Un sito Internet per l’ArcheologiaM e d i e v a l e

I vantaggi di Internet sono noti a tutti: facilitàdi consultazione, semplicità d’uso, trasmissione diogni tipo di informazione a più segmenti di utenza.

La rete risulta, quindi, un veicolo perfetto perla comunicazione, per lo scambio di dati e di infor-mazioni, per incrementare i contatti con altriarcheologi ed altri organismi. Inoltre, nel casodella nostra disciplina, ci mette in grado di supe-rare alcuni dei mali che colpiscono a diversaprofondità le unità di ricerca: una di queste pato-logie è rappresentata dalle informazioni che noncircolano per i lunghi tempi di costruzione ed ela-borazione della documentazione. E questo siaccompagna ad un atteggiamento che vede moltiaddetti ai lavori trattare come loro “proprietà”esclusiva i dati, che assai spesso non vengono residisponibili alla collettività scientifica.

Il calcolatore permette di mettere a disposizio-ne dei ricercatori in tempi strettissimi attraversola rete i dati prodotti nelle indagini e quindi darela possibilità di consultare la documentazione erenderla oggetto di critiche e di reinterpretazioni;inoltre permette agli organi di tutela (che a lorovolta dovrebbero fare altrettanto) una possibilitàdi verifica ed un dialogo diretto assai più agevoli.

Infine risolve l’antico e costoso problema dellapubblicazione. La costruzione in proprio di sitii n t e r n e t (e di prodotti ipertestuali o multimedialioggi sempre più connessi al loro impiego in rete),abbatte decisamente i costi di socializzazione

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dell’informazione archeologica. Gli alti costi dellastampa di impegnative edizioni di scavo possonofortemente ridursi e limitarsi all’edizione di elabo-razioni interpretative e a sintesi, lasciando allebanche dati il compito di assolvere la funzione dibanca dati di supporto. È quindi di vitale impor-tanza essere in rete, costruire un sito non solo dipresentazione ma anche e soprattutto di “servizio”e motore per l’attivazione di contatti, scambi, dif-fusione di sapere a tutte le fasce di utenza.

Nella realizzazione del sito Internet dell’Areadi Archeologia Medievale dell’Università di Siena,abbiamo voluto e dovuto tenere conto di questecaratteristiche e di tali necessità. Ci è sembrato,pertanto, di fondamentale importanza l’utilizzo(insieme a foto di scavo, sezioni, piante e disegni direperti per ricostruire la sequenza stratigrafica) ditutti quegli strumenti informatici capaci di farcomprendere, sia allo specialista, sia al grandepubblico le interpretazioni date dagli archeologi(fotografie, ricostruzioni bidimensionali e tridi-mensionali, filmati, QTVR, morphing ecc.).

In questo senso grande attenzione è stata riser-vata anche al linguaggio ed alla presentazionegrafica. Per rendere immediatamente comprensi-bili i contenuti del nostro sito, abbiamo impiegatoun linguaggio non specialistico prestando partico-lare attenzione al rapporto testo–immagine edinserendo immagini in grado di “parlare” ancheautonomamente.

La presentazione grafica è il fattore primarioche rende accattivante e seducente il sito agli occhidel fruitore. La sua funzione si rivela fondamenta-le fin dal primo contatto (la Home Page) e puòdeterminare la scelta di continuare o meno la visi-ta. Per questo motivo grande attenzione è statadata alla scelta del colore e del background, al tipo,alla grandezza ed al colore dei caratteri, allo stiledell’impaginazione, all’utilizzo di gif animati e diquant’altro contribuisse a dare una visione accat-tivante e ad invogliare l’utente a proseguire nellavisita del sito. Tutto questo senza eccedere, cer-cando di facilitare la consultazione delle diversesezioni, ed attenti a rappresentare adeguatamen-te, sia la natura del sito, sia le caratteristiche delgruppo di lavoro che vi si rappresenta.

Nel nostro caso, data la straordinaria ampiezzadel sito (oltre 600 pagine divise in varie sezioni), siè cercato di rendere estremamente flessibile il per-corso di visita; attraverso vari menù laterali e ladivisione in finestre dello schermo, il visitatore hala possibilità di scegliersi gli argomenti a cui èinteressato e di crearsi un percorso personalepotendo sviluppare determinati argomenti e trala-sciandone altri senza essere costretto ad una visi-ta lineare ed obbligata. Il sito, realizzato all’inter-no del LIAAM, restituisce, così, l’immagine delleattività di varia natura svolte dall’Insegnamentodi Archeologia Medievale ed i temi ai quali vienedata larga attenzione.

Da un punto di vista tecnico il sito è stato rea-lizzato utilizzando i programmi Adobe Golive,Adobe Photoshop per il trattamento delle foto eAdobe Image Ready per la compressione delleimmagini in formato gif e jpg necessaria per nonappesantire troppo le pagine e per garantire unanavigazione sufficientemente veloce per ogni tipodi connessione. Il problema principale con cuiabbiamo dovuto confrontarci è stato, infatti, quel-lo del peso delle immagini. Da una parte, paginegraficamente molto elaborate con immagini,morphing, filmati e QTVR di elevata qualità grafi-ca comportano il rischio di aumentare notevol-mente il tempo di caricamento e possono indurre ilvisitatore ad abbandonare subito la visita;dall’altra, pagine composte esclusivamente datesto inducono nel visitatore un senso di noia erendono difficoltosa la comprensione portandoloanche in questo caso ad abbandonare il sito. Per-tanto è risultato necessario arrivare ad una via dimezzo raggiungendo un giusto equilibrio tra testoed immagini e, per quanto riguarda queste ultime,tra peso e qualità grafica (cercando di conciliareentrambe le necessità senza costringere l’utentead attendere tempi di caricamento troppo lunghi).

Al momento le pagine sono consultabili solamen-te in italiano ma, per aumentare la visibilità e perfar conoscere il LIAAM, gli scavi e le ricognizioni alivello internazionale stiamo lavorando alla tradu-zione in inglese ed in francese (entrambe le versionisaranno consultabili al più presto attraverso links).

Accedendo all’Home page (www.archeo.unisi.it/archeologia_medievale/Welcome.html) siè immediatamente accolti da un’interfaccia sem-plice e graficamente gradevole, che tramite settepulsanti permette di esplorare le varie sezioni sud-divise nei seguenti argomenti: I docenti, Il Labora-torio di Informatica, Le ricerche, Il bollettinoSAMI, Le novità, Le informazioni, I nostri links.

a) - I docenti. Si tratta di una sezione dedicata aiprofili dei vari docenti dell’area di ArcheologiaMedievale con il loro curriculum, la bibliografiaaggiornata e la possibilità di contattarli diretta-mente attraverso e-mail. Da segnalare all’internodella pagina dedicata a Riccardo Francovich la pre-senza del “fondo degli estratti Francovich”, donatoalla Biblioteca della Facoltà di Lettere e costituitoda circa 3.300 pezzi che rappresentano quasi com-pletamente la produzione scientifica in materia diArcheologia Medievale ed un patrimonio bibliogra-fico di grande valore. La presentazione delle diver-se figure che operano nell’area di ArcheologiaMedievale, manifesta immediatamente l’articola-zione della ricerca qui svolta, gli interessi e letematiche affrontate. In pratica, anticipano efanno comprendere i contenuti del sito.

b) Il Laboratorio - È presentata in questa sezio-ne l’attività del LIAAM. Oltre ad una breve storiadel Laboratorio, varie sottosezioni sono dedicate aiprodotti hardware e software utilizzati, alla com-

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posizione del team, ai progetti realizzati, allabibliografia e alla presentazione di Open Archeo.(ilsistema integrato ed aperto per la gestione del datoarcheologico presentato ampiamente in questoarticolo), alle nostre esperienze. Qui spiccano, perspettacolarità delle immagini ed approfondimentodei contenuti, le pagine dedicate alle ricostruzionitridimensionali, alle animazioni di reperti e strut-ture ed alla gestione GIS dello scavo archeologico edel territorio. Inoltre, ampio spazio è riservato alleanalisi spaziali finalizzate a studiare la magliacastrense della regione Toscana, al progetto “Vite”(un modello radiocomandato di elicottero modifica-to per ospitare una macchina fotografica ed utiliz-zato per ottenere foto zenitali di ottima qualitàdestinate alla videodocumentazione ed alla fotoin-terpretazione aerea computerizzata), ed alla pre-sentazione di prodotti multimediali da noi realizza-ti essenzialmente a scopo didattico.

c) Le ricerche - Si tratta della sezione più ampiadell’intero sito; in essa sono descritti in manieradettagliata undici scavi e tre ricognizioni territo-riali inerenti il progetto “Carta archeologica dellaprovincia di Siena”, a cui è possibile accedere daun menù laterale o da una carta geografica perso-nalizzata della Toscana.

Vengono illustrati ampiamente gli scavi delloSpedale Santa Maria della Scala di Siena, Mon-tarrenti, (SI), Poggio Imperiale a Poggibonsi (SI),S. Quirico (SI), Grosseto, Scarlino (GR), Selvena(GR), Castel di Pietra (GR), Rocchette Pannocchie-schi (GR), Campiglia M.ma (LI) e Rocca S. Silve-stro (LI). Le ricognizioni territoriali sono quelle diChiusdino (SI), dell’Alta Valdelsa (SI) e di Murlo.

Particolare attenzione è riservata alle oltre 150pagine dedicate allo scavo di Poggio Imperiale aPoggibonsi interamente curato dal LIAAM anchesul campo ed all’avanguardia nella gestione infor-matica in archeologia. Sono proposti, oltre ai datiarcheologici che consentono una ricostruzione sto-rica della frequentazione della collina, anchenumerosi supporti multimediali di ultima genera-zione che integrano e danno un’immagine facil-mente comprensibile non solo agli specialisti maanche al grande pubblico; allo scopo di spettacola-rizzare il contenuto e di fornire la possibilità dieffettuare un viaggio “virtuale” all’interno delloscavo sono utilizzati, oltre a testi scritti, immagini,filmati, ricostruzioni, QTVR e morphing.

Sono inoltre consultabili sottosezioni dedicateall’archeozoologia (Frank Salvadori), allo studiodella ceramica toscana altomedievale (MarcoValenti), alla lettura dei contesti stratigrafici dibuche di palo altomedievali (Vittorio Fronza eMarco Valenti), alla realizzazione di plastici rico-struttivi pertinenti alle diverse periodizzazioniindividuate nello scavo (Filippo Cenni). Inoltreviene presentato il progetto di Parco Archeologico-culturale affidato a Jamie Buchanan con la colla-borazione del Comune di Poggibonsi e del Diparti-

mento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Uni-versità di Siena.

Largo spazio è riservato anche alla presenta-zione dello scavo di Rocca S. Silvestro – CampigliaM.ma (LI), villaggio fortificato scavato fra gli anni1984-1995 sotto la direzione di Riccardo Francovi-ch: oltre ai risultati di scavo, significative sono lericostruzioni realizzate da Paolo Donati (un gran-de illustratore purtroppo prematuramente scom-parso) ed il morphing con l’evoluzione del villaggiotra fine X e XIII secolo.

d) Il Bollettino SAMI - Il sito ospita l’edizionedigitale del Bollettino SAMI (organo della Societàdegli Archeologi Medievisti Italiani). Sono riporta-ti in edizione digitale sette bollettini d’informazio-ne concernenti l’attività della Società dal 1995 adoggi, il calendario delle ricerche svolte sul campo ele modalità di partecipazione. Viene inoltre pre-sentato il convegno svoltosi nel mese di settembre1997 a Poggibonsi dal titolo “La nascita dei castel-li nell’Italia medievale. Il caso di Poggibonsi e lealtre esperienze dell’Italia centro-settentrionale”con la possibilità di scaricare le relazioni contenu-te nel volume dei pre-atti.

Lo scopo dell’apertura di questa sezione risiedenel volere dare ampia visibilità all’associazione,nello stimolare e favorire il contatto fra i soci (i cuiindirizzi personali e di posta elettronica, risoltecautele legate alla legge sulla privacy, verrannoinseriti on line), nel volere pubblicizzare le attivitàdi ricerca dei soci e le pubblicazioni editate.

In prospettiva, la sezione SAMI dovrà esseremaggiormente “vissuta” da tutti i membridell’associazione; dovrà cioè rappresentare unasede di scambio continuo e proficuo, di dibattito eda tale scopo stiamo progettando di aprire a breveuna chat line espressamente dedicata alla discus-sione di temi inerenti la nostra disciplina.

e) Le novità - Sono presenti in questa sezionetutte le ultime notizie riguardanti le iniziative ed iconvegni ai quali i membri dell’insegnamento par-tecipano, le recensioni al sito da parte di riviste diarcheologia e informatica, nonché la presentazio-ne di pubblicazioni inerenti l’area di ArcheologiaMedievale dell’Università di Siena.

Va segnalata, inoltre, un’estesa trattazione delCofanetto Franks curata da Nicoletta OnestiFrancovich. Il Cofanetto Franks è un oggetto assaiparticolare: ritrovato in Francia a Auzon ma pro-babilmente northumbro e risalente all’VIII secolo,è uno scrigno composto oggi da cinque pannelli inosso di balena, ciascuno fittamente decorato conscene in bassorilievo e con iscrizioni correnti suibordi come dei nastri, insieme decorativi e funzio-nali, che integrano le immagini rappresentate.

f) Le informazioni - Sono presentate tutte leinformazioni pratiche riguardanti la possibilità dipartecipare agli scavi e alle ricognizioni territoria-li organizzati dall’insegnamento di ArcheologiaMedievale con il periodo di scavo, le modalità di

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partecipazione e la possibilità di iscriversi diretta-mente tramite email, fax o telefono.

g) I nostri links (www archeologico) - Sono pro-poste ventuno sezioni tematiche per un totale di2500 links a siti di archeologia ed informatica ditutto il mondo ed una sezione di indirizzi utili perla navigazione nell’immenso mondo di Internet.La sezione è aggiornata settimanalmente ed ha loscopo di fare del nostro sito un vero e proprio por-tale sull’archeologia in genere, sull’archeologiamedievale e su archeologia-informatica.

Questa scelta rientra nella filosofia di base illu-strata nell’intero articolo: porsi al centro dell’infor-mazione, fornendo informazione ed indirizzandoverso informazioni a noi esterne. Rappresental’unico sistema possibile per dialogare con l’interacomunità scientifica europea ed extraeuropea,mantenendo viva la conoscenza delle ricercheeffettuate in tutti i paesi e favorendo così l’inter-scambio. Non solo, forniamo anche un servizio aglistudenti, dando la possibilità di muoversi autono-mamente ed approfondire la propria conoscenzadella disciplina e del suo stato attuale.

Il sito ha per ora una media di oltre 30 visitato-ri al giorno (….ricordiamo che si tratta di Archeo-logia Medievale!) ed ha già raggiunto in 5 mesioltre 10.000 visite. Gli indirizzi dei contatti dimo-strano una visibilità molto alta; i collegamenti pro-vengono dall’intera Europa, molti da Canada,Stati Uniti ed Australia.

Nonostante il successo riservatoci dalla criti-ca (e l’emulazione: alcuni siti hanno chiaramentecopiato ed inserito alcune delle nostre immagini,altri hanno addirittura replicato i nostri back-ground) ed il consenso (da più parti ci arrivanorichieste di inserire i propri siti nelle diversesezioni dei nostri links), il sito entro alcuni mesicambierà pelle. A seguito del progetto in collabo-razione con la Fondazione Monte dei Paschi (giàillustrato in precedenza), andremo alla costruzio-ne di un laboratorio di alta tecnologia; tutte lepostazioni di Archeologia Medievale (oltre 40)saranno collegate da una rete interna ammini-strata da un server che sarà impiegato anche conle sedi esterne del progetto e per la gestione quo-tidiana del sito Internet. Questo evento portaobbligatoriamente ad un rinnovo della veste gra-fica (dovrà accogliere anche una nuova sezionededicata al progetto stesso ed alla sua evoluzio-ne), all’inserimento di banche date consultabili eGIS interrogabili dagli utenti poiché tradotti inuna veste grafica multimediale ed in applicazio-ne autonoma.

In conclusione, stiamo andando ad un uso glo-bale dell’attuale tecnologia informatica, mettendo-la al servizio dell’archeologia e cercando di realiz-zare un circuito informativo di larga fascia cherappresenti un punto di riferimento per l’archeolo-gia medievale, l’heritage, l’informatica applicata.

(Luca Isabella)

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Fig. 1 - Atlante dei siti fortificati della Toscana. Vista generale dei siti fortificati (2266 attestazioni, pallino nero) edelle anomalie aeree (4235 attestazioni, cerchio bianco).

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Fig. 2 - Carta archeologica della Provincia di Siena. Vista generale di tutti i siti con transetti e confini marcati per icomuni già indagati.

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Fig. 3 - Carta archeologica della Provincia di Grosseto. Vista generale di tutti i siti con transetti.

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Fig. 4 - Atlante dei siti fortificati della Toscana. Vista generale dei comuni toscani con DTM regionale.

Fig. 5 - Carta archeologica della Provincia di Siena, Comune di Buonconvento. Zoom su un’area di perimetrazionicon sovrapposizione della Cartografia Tecnica Regionale in versione raster (scala 1:5.000); sono visualizzati anche icampi battuti, l’uso del suolo e l’idrografia.

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Fig. 6 - Carta archeologica della Provincia di Siena, Comune di Buonconvento. Territorio comunale con visione com-pleta dei transetti e con idrografia e uso del suolo.

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Fig. 7 - Carta archeologica della Provincia di Siena, Comune di Buonconvento. Campi battuti e perimetrazioni delleUT rinvenute con uso del suolo e idrografia.

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Fig. 8 - Carta archeologica della Provincia di Siena, comuni di Colle Val d’Elsa e Poggibonsi. Maglia insediativa com-pleta con viabilità tarata. Sono evidenziati a parte i tracciati viari della Francigena e della Volterrana.

Fig. 9 - Database di scavo. Schema dell’architettura con rappresentazione delle principali relazioni.

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Fig. 10 - Poggio Imperiale (Poggibonsi – SI). Capanna 1; età carolingia. Visualizzazione sulla base GIS dei dati rela-tivi alla pianta ipotizzabile e all’interpretazione funzionale delle buche di palo.

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Fig. 11 - Poggio Imperiale (Poggibonsi – SI). Piattaforma GIS dello scavo: carta distributiva dei reperti osteologicianimali (areali di massima concentrazione) all’interno delle capanne di età carolingia.

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Fig. 13 - Poggio Imperiale (Poggibonsi – SI). Piattaforma GIS dello scavo: carta distributiva dei reperti osteologicianimali all’interno delle capanne di età carolingia (visualizzazione per cerchi proporzionali).

Fig. 12 - Poggio Imperiale (Poggibonsi – SI). Piattaforma GIS dello scavo: carta distributiva dei reperti osteologici ani-mali all’interno delle unità stratigrafiche pertinenti alle capanne di età carolingia (visualizzazione grafico a torta).

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Fig. 14 - Poggio Imperiale (Poggibonsi – SI). Piattaforma GIS dello scavo: carta distributiva dei reperti osteologicianimali per strutture di capanna di età carolingia (visualizzazione grafico a torta).

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Fig. 15 - Poggio Imperiale (Poggibonsi – SI). Piattaforma GIS dello scavo: pianta composita (stratigrafia completa)dell’area 2.

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Fig. 17 - Poggio Imperiale (Poggibonsi – SI). Piattaforma GIS dello scavo. Piani di informazione incrociati per laredazione dell’ipotesi urbanistica dell’insediamento di metà XII secolo (ricognizione di superficie, crop marks di fotoaeree a scale diversificate, strutture murarie rinvenute sullo scavo).

Fig. 16 - Poggio Imperiale (Poggibonsi – SI). Piattaforma GIS dello scavo: cimitero altomedievale. Distribuzionedelle patologie riconosciute.

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Fig. 18 - Poggio Imperiale (Poggibonsi – SI). Piattaforma GIS dello scavo: piani di informazione incrociati e redazio-ne dell’ipotesi urbanistica dell’insediamento di metà XII secolo.

LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA62

Fig. 19 - Poggio Imperiale (Poggibonsi – SI). Piattaforma GIS dello scavo: ipotesi finale concernente la topografiadell’insediamento di metà XII secolo.

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1. La metodologia della ricerca

L’archeologia del paesaggio

Il modificarsi del concetto di monumento, didocumento e di paesaggio ha avuto importanti rica-dute anche all’interno della disciplina del restauroche ha spostato il suo obiettivo dalla ricostruzionedi una originaria, quanto arbitraria, forma dell’edi-ficio o del territorio alla conservazione di ciò che ciperviene con tutta la sua complessità e tutte le suestratificazioni storiche non più considerate comesemplici interferenze col progetto iniziale, madiventate esse stesse documenti della storia.

Questa importanza del dato materiale avvicinail lavoro dell’architetto restauratore ad alcunediscipline da più tempo orientate a indagini diquesto tipo quali l’antropologia, la geografia stori-ca, l’archeologia. Soprattutto con quest’ultimasembrano essersi create contaminazioni interes-santi ricche di ricadute pratiche per la conoscenzadella complessità dell’oggetto su cui deve interve-nire il progetto di conservazione.

Nel campo specifico dello studio del territorio siè sviluppata la cosiddetta “…archeologia del pae-saggio inteso come metodo di analisi delle struttu-re territoriali basato su uno studio attento deglioggetti che costituiscono un dato paesaggio e dellerelazioni intercorrenti fra essi”1.

L’espressione archeologia del paesaggio ha lasua motivazione d’essere nel metodo di lavoro chela contraddistingue, che si fonda sull’analisi esull’interpretazione dei resti materiali lasciatidall’uomo sul territorio e che si caratterizza comestudio di reperti intesi come fonti storiche.

Sono considerati reperti tutti gli oggetti pre-senti sul territorio che ne costituiscono la struttu-ra e che sono ricchi di informazioni storiche, siaconsiderati in se stessi sia nelle relazioni intercor-renti fra gli uni e gli altri.

Il paesaggio attuale diventa così interpretabilecome stratificazione di paesaggi del passato equindi conoscibile più a fondo nella sua comples-

sità applicando i principi del metodo archeologicodella scavo stratigrafico, pur trattandosi in questocaso di uno scavo ipotetico e non distruttivo.

Gli strati così definiti però non sono mai indi-pendenti gli uni dagli altri, ma spesso quelli piùantichi penetrano nei più recenti cosicché il pae-saggio attuale contiene in sé frammenti di assettiterritoriali a volte anche molto antichi.

La considerazione di questi assetti diventa allo-ra di fondamentale importanza in campo proget-tuale dal momento che il nuovo andrà sempre adinsistere anche su questi frammenti del passato.

L’archeologia del paesaggio non si ferma, però,allo studio delle singole stratificazioni ponel’accento anche sui rapporti intercorrenti fra i varistrati così da affiancare l’ottica sincronica a quelladiacronica, l’evento alla sua durata con l’obiettivodi capire i meccanismi di trasformazione del terri-torio nel tempo storico. Da qui discende che carat-teristica fondamentale di questo metodo diventala ricerca sul campo secondo una logica induttiva:procedendo cioè dal particolare (la raccolta deldati) al generale (conoscenza ottenuta con la com-parazione dei dati). La ricerca sul campo è, però,preceduta da un accurato lavoro preparatorio diricerca in archivi e biblioteche per la raccolta el’interpretazione dei numerosi indizi che ci pro-vengono da fonti scritte, toponomastiche, carto-grafiche, iconografiche e fotografiche (in particola-re foto aeree e satellitari).

In questo modo l’archeologia del paesaggio siconfigura come ricerca a fonti integrate combinan-do insieme quelle documentarie ed oggettuali.

I risultati ottenuti da questo lavoro saranno poinecessariamente da interpretare, considerandol’evidenza tanto delle presenze quanto delle assen-ze riscontrate, per passare dalle forma alle funzio-ni e da queste al sistema sociale che le ha accolte ogenerate. “Con l’archeologia del paesaggio è [dun-que] possibile porre in luce uno spaccato del pae-saggio considerando tutte le possibili relazioni fragli oggetti che lo occupano simultaneamente nellospazio geografico e nel tempo storico”2 a r r i v a n d o

IL PAESAGGIO ANTROPICO COME PALINSESTO:IL CASO DELL’AGER TICINENSIS E DELLA

MEDIOLANUM TICINUM.

Maurizio Boriani, Annamaria Boniardi, Susanna Bortolotto, Piero Favino

Maurizio Boriani, Annamaria Boniardi, Susanna Bortolotto, Piero Favino 65

1. SERENO in BORIANI, SCAZZOSI 1987, p. 52. 2. SERENO in BORIANI, SCAZZOSI 1987, p.57.

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ad una sorta di “archeologia totale [...] in quantopriva di limitazioni cronologiche di un tempo [...] epriva di limitazioni qualitative perché indaga siasul paesaggio agrario che sui centri urbani, suisingoli edifici, sui giardini, sulle strade, ed è liberadi utilizzare strumenti provenienti da moltepliciambiti disciplinari”3.

Il metodo così definito sembra delinearsi comepossibilità di ricomposizione della frattura fral’esigenza della conservazione e quelle della tra-sformazione, ponendo le basi per una conoscenzaprofonda dei paesaggi storici in modo da poternecomprendere le linee di evoluzione e quindi pro-gettarne lo sviluppo futuro nella speranza che lapianificazione territoriale si faccia sempre piùattenta al rischio archeologico così da poter salva-guardare anche quei resti, non facilmente ricono-scibili benché spesso imponenti, distribuiti sul ter-ritorio rurale: “la conservazione (infatti) [...] nonesclude il dovere della qualità architettonica, dellasperimentazione tecnologica, della valorizzazionepaesaggistica”4.

L’area di indagine, il metodo

Il nuovo concetto di paesaggio, e il metodo dell’archeologia del paesaggio fin qui indagati rappre-sentano la base concettuale e metodologica di que-sto studio. La seguente ricerca è stata affidatadall’ IReR (Istituto regionale di ricerca della Lom-bardia) al Politecnico di Milano, Dipartimento diProgettazione dell’Architettura, sotto la responsa-bilità degli scriventi nel 19995.

Il lavoro si è configurato come analisi e cono-scenza propedeutica ad una futura proposta ditutela e valorizzazione dei resti centuriali dellamatrice romana, nonché dei tracciati stradali edelle permanenze delle canalizzazioni storiche:l’area di indagine scelta comprende l’ ager ticinen -sis nella parte nord della Provincia di Pavia aven-te come confine naturale ad ovest il Ticino.

L’ambito così identificato è stato indagato par-tendo dalla raccolta dei dati bibliografici confron-tati poi, in un secondo tempo, con le “ricognizionicartografiche” alle varie soglie storiche.

In particolare i confronti sono avvenuti con lemappe dei catasti (Catasto Teresiano, CatastoLombardo Veneto, Catasto Cessato ed attuale) econ gli I.G.M. storici.

Le tracce di centuriazione sono state scoperte e

portate all’attenzione degli studiosi di storia anti-ca già negli anni Quaranta dal prof. Plinio Fracca-ro; tali studi si sono intensificati negli anni Set-tanta. Tuttavia si vuole sottolineare come, ad oggi,vi sia una grave lacuna: la mancanza di una cartaarcheologica per la Provincia di Pavia, strumentoconoscitivo indispensabile per una tutela e pianifi-cazione consapevole del territorio.

Ad oggi fortunatamente, grazie ancheall’assenza di grandi trasformazioni territoriali,non si registrano ancora gravi distruzioni dei restimateriali della matrice romana riconoscibile, con-servatasi in virtù del fatto che le aziende agricolelocali partecipano alla continua manutenzionedelle infrastrutture agrarie esistenti.

L’impostazione metodologica per l’approccio elo sviluppo della ricerca si può sinteticamente rias-sumere in tre sezioni: una sezione storica, unatematica e una relativa alle indagini analitiche diapprofondimento attraverso l’elaborazione di“schede” campione.

Esito di tutti questi studi analitici è riconosce-re le emergenze della stratificazione del territorioe di conoscerne le loro caratteristiche, al fine ditutelarle, conservarle, valorizzarle e soprattuttospiegare e documentare quali uomini, quali coltu-re e quali diverse qualità della vita stiano dietro aqueste testimonianze materiali nei rispettivi con-testi sociali.

2 . Gli studi storici sulla Mediolanum -Ticinum e la centuriazione dell’agro ticinese.

Gli studi di Plinio Fraccaro. La scoperta della cen -turiazione ticinese e della Mediolanum - Ticinum6.

È nei primi anni Quaranta del nostro secolo chePlinio Fraccaro affronta lo studio delle straderomane convergenti su Pavia, riscoperta comeimportante nodo viario dell’Impero, e rileva cosìanche l’esistenza di un tracciato che da Milano sidirigeva, appunto, su Pavia.

Si trattava del tronco iniziale di percorsi più lun-ghi che, attraverso Pavia, arrivavano a Bordeaux,passando per Torino e Susa; mentre dirigendosi suVercelli e poi Aosta raggiungevano Lione o Vienna,attraverso il Piccolo S. Bernardo, oppure la Germa-nia attraverso il Gran S.Bernardo. Questa situazio-ne è confermata anche da una notizia di Ammiano

LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA66

3. BORTOLOTTO in BORIANI (a cura di) 1997, p. 62.4. BORIANI 1997, p. 8.5. Il titolo della ricerca è “Tessiture storiche del territorio (via-bilità, canali, centuriazioni).6. Plinio Fraccaro, nasce a Bassano del Grappa l’8 gennaio1883. Laureato in lettere, ordinario di storia antica alla facoltàdi lettere dell’università di Pavia; direttore della rivista “Athe-naeum”. È dottore honoris causa dell’università di Oxford emembro onorario della Society for the promotion of Roman Stu-dies di Londra. Membro emerito dell’Istituto Lombardo di

Scienze e Lettere, della Societé des antiquaires de France, dellaSocietà Scentiarum Bohemica. Membro di varie accademie (fracui Accademia dei Lincei, Accademia delle scienze di Berlino,Accademia Virgiliana).Varie sue dissertazioni si trovano sulle riviste di antichità clas-sica; principali pubblicazioni: Studi varroniani, Padova, 1907; Iprocessi degli Scipioni, Pisa, 1912; Studi sull’età dei Gracchi,Città di Castello, 1915; Atlante storico (in collaborazione conaltri autori), Novara, 1923 - 24; Grande atlante storico geogra-fico (in collaborazione con altri autori), Novara, 1938.

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Marcellino il quale ricorda che il primo dicembre del355 d.C. il Cesare Giuliano lasciava Milano perrecarsi nella Gallia minacciata dai Germani. Insie-me con l’Imperatore Costanzo II, suo cognato, siporta a Pavia per raggiungere poi la grande stradadella Gallia. A tutto ciò corrisponde il fatto che ledistanze sulla via Ticinum - Augusta Taurinorum(Pavia - Torino) erano misurate da Milano.

La prima conferma dell’esistenza del trattostradale Mediolanum - Ticinum viene dallo studiodegli itinerari antichi giunti fino a noi7.

In particolare nell’Itinerarium provinciarumA n t o n i n o è individuato come tratto iniziale deipercorsi per Arles, Argentorato e Vienna e vienecalcolato nella lunghezza di 22 miglia romane.

Nell’itinerario Burdigalense o H i e r o s o l y m i t a -n u m (Bordeaux - Gerusalemme) è indicato cometratto iniziale del percorso Milano - Torino e vienefissato nella lunghezza di 20 miglia. In questosecondo itinerario viene indicata anche la Mutatioad Decimum, posta a metà strada fra Pavia e Mila-no, a 10 miglia dunque da entrambe le città8.

Maurizio Boriani, Annamaria Boniardi, Susanna Bortolotto, Piero Favino 67

7. Alcune sommarie indicazioni sugli Itineraria antichi: i vasi diVicarello o itinerari gaditani, sono quattro bicchieri d’argentotrovati nel 1852 a Vicarello, a nord di Roma, in una stipe votivaalle salutari acque di quel luogo, e sulle pareti esterne portanoincise le stationes del percorso fra Cadice e Roma con le distan-ze in miglia fra l’una e l’altra. Sono quindi delle tazze itinera-rie. Il cosiddetto Itinerarium provinciarum o Antonini è unaraccolta di itinerari a tabella delle varie province dell’Impero,che sembra risalire agli ultimi anni del sec. III a.C. Si crede chegli itinerari siano trascritti da una grande carta itinerariadell’Impero, la quale sarebbe l’archetipo di quella giunta sino anoi e che è nota come tabula di Peutinger, dal nome di un uma-nista tedesco che l’ebbe in possesso. L’Itinerario Burdigalense oHierosolymitanum è un itinerario a tabella. Esso è datato

dall’anno 333 d.C. La tabula peutingeriana è invece in un certosenso un itinerarium pictum, una carta itineraria del mondoantico, sulla quale è indicata la rete stradale, colle relative cittàe stazioni e le distanze fra di esse. La tabula è giunta a noi inuna copia del sec. XII - XIII d.C., ma si crede che l’originalepossa risalire verso la fine del sec. II d.C.8. La differente distanza indicata fra Milano e Pavia è da ascri-versi al fatto che queste misure venivano arrotondate, sugli iti-nerari antichi, talora in difetto e talora in eccesso. La distanzafra Milano e la Mutatio ad Decimum è di 10 miglia mentre diqui a Pavia la distanza è di poco superiore. L’Itinerario Burdi-galense deve quindi essere arrotondato per difetto e quelloAntoniniano, viceversa, per eccesso (vedi FRACCARO 1949b,pp. 7 – 27).

Fig. 1 - Plinio Fraccaro - Schizzo del territorio fra Milano, Pavia e Vercelli con indicazione dei tratti ancora ricono-scibili della Mediolanum - Ticinum e di altre strade romane.

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L’identificazione della Mutatio ad Decimumdel percorso Mediolanum - Ticinum sul territorioattuale non presenta alcuna difficoltà allo studio-so avendo conservato il suo nome nei secoli. Sitratta infatti della località Cascina Decima, situa-ta all’incirca a 15 km da Milano (corrispondenti acirca 15 miglia romane).

L’integrazione ai “dati itinerari” che potrebbeinvece venire da indizi di carattere più stretta-mente archeologico (iscrizioni e reperti archeologi-ci in genere) è piuttosto scarsa per quanto riguar-da il tratto stradale oggetto di questo studiosoprattutto nel tratto che da Cascina Decima por-tava a Pavia.

Scarsità sospetta se si considera l’uso romanodi seppellire lungo le strade o anche solo la proba-bilità di seppellimenti o smarrimenti lungo i trac-ciati viari.

Ma l’ipotesi dell’esistenza di questo tronco stra-dale e soprattutto il suo andamento potrebberoessere verificati attraverso lo studio di eventualiavanzi ancora visibili sul territorio.

La rete stradale antica infatti ha teso a rima-nere in uso finché necessità pratiche non ne hannoimposto l’abbandono ed anche in questo caso molteantiche strade di grande traffico sono sopravvissu-te per servire il traffico locale.

Considerato poi che su terreni pianeggianti iromani tendevano a costruire le loro strade rettili-nee, le tracce rimaste di questi percorsi sono spes-so agilmente riconoscibili in lunghi rettifili segna-ti oggi da strade secondarie, strade campestri o,alle volte, da sentieri e fossati.

Partendo dunque da questi presupposti Frac-caro cerca una verifica dell’esistenza e dell’anda-mento della Mediolanum - Ticinum i n t e r r o g a n d odirettamente il territorio attraverso lo studio dellacartografia dell’Istituto Geografico Militare inscala 1:25.000 con risultati decisamente soddisfa-centi. “Il nostro lettore si porti ora un momento aMilano e precisamente al Carrobbio, all’estremitàdell’attuale via Torino. Al Carrobbio egli si trovasul percorso della cinta di Milano dell’età imperia-le romana, ed ivi sorgeva la più antica porta Tici-nese9”. Da questo punto ha inizio il moderno Corsodi Porta Ticinese, che va diritto sino all’attualePorta Ticinese, passando dinanzi a S. Lorenzo eper la Porta Ticinese medioevale, i cui resti sivedono ancora poco oltre le colonne di San Loren-zo. Le tre Porte Ticinesi, la romana, la medioevalee la spagnola, situate su una linea retta, indicanocertamente la direzione che teneva uscendo daMilano sino dall’epoca romana la strada per Tici -n u m. Fuori di Porta Ticinese, questa stessa dire-zione è mantenuta per un certo tratto dal corso S.

Gottardo. Infatti il corso S. Gottardo continuadiritto per via Giuseppe Meda e uscendo a mano amano dalla zona cittadina continua nell’apertacampagna per più di 7 km misurati dall’anticacinta romana, cioè dal Carrobbio. Questo rettifiloha subito qua e là qualche leggera inflessioneavvenuta indubbiamente durante i secoli per adat-tamenti dell’antica strada alle esigenze dei fronti-sti. Ma poiché certamente questo rettifilo non futracciato nei tempi moderni, perché non avrebbeavuto scopo, dato che esso non conduce a nessunimportante centro abitato, e non è d’altra parteprobabile che esso lo sia stato nell’epoca medioeva-le, la quale non si curava di aprire strade rettili-nee, non c’è dubbio che noi siamo innanzi ad unampio frammento di strada romana, come è prova-to dal fatto che questo rettifilo usciva, come abbia-mo visto, dall’antica Porta Ticinese di Milanoromana10.

L’antichità di questo rettifilo trova confermaanche nella toponomastica, cioè nei nomi di alcunelocalità sorte in sua prossimità. Ci stiamo riferendoa Quinto Stampi e a Ponte Sesto i cui nomi ricorda-no probabilmente il loro sorgere in corrispondenzadel quinto e del sesto miliare della strada.

Ipotesi confermata dalla loro distanza dal Car-robbio di Milano pari all’incirca a cinque o seimiglia romane (benché attualmente entrambe gliinsediamenti si siano discostati dalla strada diqualche centinaio di metri).

Un secondo rettifilo, che si allinea con quelloprecedente, è individuato da Fraccaro più a sud fraGambarone e Basiglio: si tratta di strade campe-stri che si dispongono secondo una linea retta percirca quattro chilometri.

Prolungando questa linea verso sud si passa invicinanza della Cascina Decima, già identificatacome la Mutatio ad Decimum indicata nell’Itinera -rio Burdigalense e la cui importanza sopravviveper tutto il medioevo, durante il quale assumeruolo di capopieve, come è ricordato anche nellaCarta della Diocesi di Milano del 1300.

Più avanti la pieve fu spostata nella vicina Lac-chiarella e la località di Decimo perse importanzariducendosi all’attuale cascina.

Nella Carta d’Italia di Giovanni Magini (Bolo-gna, 1620) poco a nord di Decimo compare ancheuna località di nome Nono di cui attualmente peròsi sono perse le tracce: sorgeva probabilmente neipressi di Cascina Crosina.

Proseguendo la linea retta identificata dai duerettifili già descritti si infila una strada campestrerettilinea di circa tre chilometri fra Turago Bordo-ne e Cascina Darsena seguita da un tratto dellaRoggia Cavetto. Superata la depressione percorsa

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9. FRACCARO 1949b, pp. 19 – 20.10. Secondo un’antichissima tradizione, il terreno assegnato daRomolo in privata proprietà ai romani, heredium, avrebbeavuto l’estensione di due jugeri, cioè mezzo ettaro circa. Un

quadrato di 2400 piedi di lato, che corrispondevano a 710,4 mcirca, comprendevano circa cinquanta ettari, cioè duecentojugeri e cento heredia, perciò era detta centuria, quasi gruppodi cento heredia (vedi FRACCARO 1949a, p. 4).

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dalla Roggia Barona, all’altezza di Moriago, ha ini-zio una strada carrozzabile che, passando poco adest della Certosa di Pavia, prosegue fino al cimite-ro di Borgarello dove, infine, si perde.

Da qui non si riconoscono altre tracce dellaMediolanum - Ticinum e due sono le ipotesi sultratto terminale avanzate da Fraccaro: o piegavaverso est per entrare da una delle porte del latosettentrionale delle mura di Pavia o proseguivadritta per entrare in città dalla porta occidentale.

Probabilmente questa strada viene abbando-nata già nell’alto Medioevo quando, caduto l’Impe-ro romano, venne meno la sua manutenzione e,attraversando essa un tratto di terreno basso eumido, si deteriorò rapidamente divenendo inuti-lizzabile.

Nel 1946 compare la pubblicazione nella qualeFraccaro descrive i suoi studi sulla Mediolanum -Ticinum mentre di pochi anni successiva (1949) èquella sulla scoperta della centuriazione dell’agroticinese a nord di Pavia.

Giunge a questa nuova acquisizione quandoaffronta un minuzioso studio delle zone pianeg-gianti dell’Italia settentrionale alla ricerca diavanzi di centuriazioni romane ancora sconosciuteper preparare una serie di rappresentazioni carto-grafiche in occasione dell’allestimento di unamostra sull’Italia dei romani.

Consistendo la centuriazione in una grigliadefinita per delimitare gli appezzamenti da desti-nare a proprietari privati, essa veniva realizzatatracciando sul terreno linee rette che andavanoalcune da nord a sud, i c a r d i n i, e altre da est aovest, i decumani (anche se spesso l’orientamentoteorico di queste linee variava per assecondare lanaturale pendenza del terreno mantenendo peròla perpendicolarità degli assi della griglia). Gliappezzamenti così delimitati erano quadrati di2.400 piedi, circa m 710 di lato detti centurie11.

Cardini e decumani erano nello stesso tempolimites (linee di divisione) e c a l l e s (strade) dalmomento che uno degli scopi della centuriazioneera di assicurare il libero accesso ai fondi. Gliincroci fra cardini e decumani erano indicati dacippi o altri segni12.

La griglia così definita in epoca romana fuusata a lungo anche nei secoli successivi e perciòdove il terreno non subì radicali trasformazioni, adopera degli uomini o degli agenti naturali, le trac-ce di queste misurazioni si conservarono fino adoggi.

Fondamento delle ricerche di Fraccaro sugliagri centuriati del nord Italia sono di nuovo lemappe della cartografia IGM, in particolare lelevate di campagna in scala 1:25.000.

La prima osservazione fatta sul territorio tici-nese riguarda il fatto che la campagna fra Binasco

e Pavia e fra l’Olona e la strada Casorate - Trivol-zio - Pavia o la Roggia Grande si presenta tuttaorientata. “Io dico orientata una campagna nellaquale strade, sentieri, canali, fossi, piantagioni,tutti o in gran parte, si svolgono secondo lineerette che si intersecano ad angolo retto e chehanno quindi, rispetto al meridiano, la medesimadeclinazione angolare. La cosa si osserva percor-rendo la regione anche sulla grande strada Pavia -Milano, si rileva dalla carta topografica e meglio sivedrebbe dall’aereo”1 3. Quali possono essere leragioni di questo fenomeno?

L’unica spiegazione convincente è farlo risaliread un’opera di bonifica che abbia interessato l’inte-ra zona, opera di cui però non si ha notizia in seco-li recenti.

In conclusione l’orientamento della campagnaa nord di Pavia fa sospettare che il terreno siastato sottoposto a regolare misurazione findall’antichità.

Una seconda osservazione ha condotto Fracca-ro ad identificare alcuni rettifili fra loro paralleli:il primo passante da Trivolzio - Torradella - Vel-lezzo Bellini - Giovenzano - Casatico - Cavo Borro-meo - Cavo Carlasca a nord ovest di Gualdrascolungo circa km 12 segnato da tronchi di strade car-rozzabili o campestri, fossi, tratti di confini comu-nali. “È impossibile ammettere che tutti questielementi si siano disposti per caso su una linearetta così lunga: questa linea retta doveva rappre-sentare qualche cosa. Inoltre essa fu tirata con lasquadra, con la groma, da esperti misuratori.

La linea è indicata oggi specialmente da strade,ed è quindi verosimile che essa fosse in origine per-corsa tutta da una strada, fiancheggiata o no dafossati”.

Il secondo rettifilo staccandosi dalla strada Tri-volzio - Pavia poco a sud est della Cappella dellaMadonna dell’Assunta passa per Origioso - Lico-nasco - Gualdrasco. Dista dal primo circa 710metri: misura equivalente al lato di una centuria.L’ipotesi che si trovasse in presenza di due decu-mani trova conferma nell’identificazione di unterzo rettifilo (cascina Montalbano - cascina Tiro-gno - Torriano - Villanova de’ Beretti poi, dopoun’interruzione, Moriago - cascina di Novedo -ponte sulla Caronna - ecc.) 710 metri circa a suddel secondo e prende definitivamente corpo almomento del riconoscimento di alcuni cardini -rettifili perpendicolari ai precedenti - sebbenemolto meno conservati.

Cominciando dalla strada che da Rognanopunta a sud, perpendicolare alla linea Torradello -Vellezzo Bellini - Giovenzano, si nota, 700 e qual-che metro più ad est un canale che scorre ad essaparallelo per circa km 1,5.

Altre tracce trovate a distanze pari a multipli

11. FILIPPI 1984.12. FRACCARO 1949a, p. 7.

13. FRACCARO 1949a, p. 8.

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del lato della centuria sia nella direzione dei cardi-ni che dei decumani danno conferma definitiva checi troviamo in presenza dei resti di una centuria-zione.

L’ultima osservazione fatta è quella che lamaggior parte degli abitati e delle grosse cascinedella zona si trovano proprio in prossimità deil i m i t e s individuati a provare che, fin dall’anti-chità, gli insediamenti sorsero di preferenza lungole strade limitari della centuriazione.

La scomparsa di queste tracce a nord di Bina-sco oltre il Ticinello è giustificata dal fatto che quisi trovava probabilmente il confine fra l’agro tici-nese e quello di Milano.

La centuriazione di questi terreno risale proba-bilmente al I sec. a.C. quando Ticinum divenne, nel49 a.C., municipium romano per opera di Cesare.

La profonda romanizzazione di questo paeseviene così dimostrata da Fraccaro attraversol’intero complesso della sua organizzazione agrico-la e catastale.

Gli studi di Gianfranco Tibiletti. La fedeltà deiromani alle caratteristiche del territorio14.

Negli anni che succedono gli studi fondamenta-li di Plinio Fraccaro sulla centuriazione della cam-pagna ticinese e sul tracciato della Mediolanum -Ticinum questi argomenti vengono più volte ripre-si e approfonditi. È dei primi anni Settanta unapubblicazione di Gianfranco Tibiletti che concen-tra la sua attenzione però solo sul percorsodell’antica strada romana.

La prima parte di questo studio è tutta dedica-ta a provare che i gromatici romani erano perfet-tamente in grado di unire due punti del territoriotracciando un rettifilo con assoluta precisione1 5.Questo per dimostrare che se la Mediolanum -Ticinum non puntava perfettamente su Pavia nonera da imputarsi ad un errore di esecuzione, ipote-si più volte affiorata e già a suo tempo avanzata daFraccaro, ma ad una precisa volontà.

Unendo infatti Milano e Pavia con una linearetta ci si rende facilmente conto che il tracciato sitroverebbe ad attraversare il Lambro e, più a sud,l’attuale Roggia Barona in due punti assai sconve-nienti e proprio questo, secondo Tibiletti, è il moti-vo per cui i romani indirizzarono la strada a occi-dente di Pavia scegliendo dei punti di attraversa-mento dei principali corsi d’acqua più appropriati.

La seconda parte dello studio di Tibiletti è inve-ce dedicata a risolvere il problema dell’ingressodella Mediolanum - Ticinum in Pavia dal momen-to che le tracce superstiti si perdono all’altezza delcimitero di Borgarello. “Orbene che la stradaromana Milano - Pavia sia artificiale è fuori dub-

bio e che l’impianto della porta per cui essa entra-va a Pavia possa essere anteriore o coevo alla stra-da, e non posteriore, è del pari necessario ammet-tere, considerata la struttura topografica dellacittà e, inoltre, la situazione di essa rispetto allacampagna circostante. [...]. Le quattro porte diPavia, infatti erano condizionate dalla rigidastruttura geometrica della città, e ad essa dovevaadattarsi la rete stradale circostante”16.

Partendo da questo presupposto lo storico arri-va a concludere che, all’altezza del cimitero di Bor-garello, la strada cambiava sensibilmente direzio-ne per puntare sulla città di Pavia nella qualepenetrava attraverso la porta settentrionale dellemura romane, raggiunta seguendo un percorso

14. Gianfranco Tibiletti, nasce a Milano il 29 Maggio del 1924.Laureato in lettere, Professore ordinario di storia greca e storiaromana con esercitazioni di epigrafia nella Facoltà di Letteredell’università di Pavia.

15. TIBILETTI 1978, pp. 336 – 337.16. TIBILETTI 1978, pp. 338 – 339.

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Fig. 2 - Gianfranco Tibiletti - Carta schematica (scala1:50.000) della zona a settentrione di Pavia con l’indica-zione dei corsi d’acqua naturali (Vernavola e Navigliac-cio), del Naviglio Pavese e della ferrovia che hannoinfluenzato l’andamento e la conservazione della Medio -lanum - Ticinum.

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ancora oggi visibile, e qui si innestava sul ca r d om a x i m u s (oggi Strada Nuova) all’altezzadell’attuale piazza Italia.

Questa ipotesi è rafforzata dal fatto che,seguendo questo tracciato, la strada si sarebbeadattata perfettamente alle caratteristiche delterritorio (attenzione questa già dimostrata dairomani nella definizione del resto del percorso)correndo, in quest’ultimo tratto, su quella sezionedel territorio definito dal Navigliaccio e dalla Ver-navola (sicuramente corsi d’acqua antichi) cheunisce Pavia al resto della pianura evitando così lacostruzione di altri ponti.

La data di realizzazione di questo percorso èanticipata però dal Tibiletti all’89 a.C. rifacendosiad un fatto specifico: data l’irregolare disposizionedelle porte della Milano romana queste dovevanoessere sorte in corrispondenza delle strade uscentidalla città: “Se è vero, [...], che gli impianti urbanivennero fissati nell’89 a.C., (anche se qualcheanno sarà stato necessario per l’esecuzione prati-ca), e se il sito della Porta Ticinese è artificiale,come la via che ne esce, bisogna considerare, ancheper l’ossatura delle rete viaria, l’89. Che a impian-ti urbani e viari consolidati, alcune opere, sianostate rifatte in forma più solenne nel 49, altroanno storico, o anche più tardi, non disturba”17.

Gli studi di Pierluigi Tozzi. L’approfondimentodei primi studi18.

Quasi contemporaneamente al Tibiletti si dedi-ca a questi studi anche Pierluigi Tozzi, che rivolgela sua attenzione a tutto il territorio pavese nellesue ricerche di topografia antica, considerando,insieme alla centuriazione della campagna pave-se, anche il tracciato della Mediolanum - Ticinum.

Proseguendo questi studi, praticamente fino adoggi, è l’autore che dà una veste più compiuta aquesta trattazione.

Comincia aderendo all’ipotesi che la centuria-zione pavese sia strettamente legata alla defini-zione dell’impianto urbano di Pavia risalenteall’89 a.C., ma, rispetto al Fraccaro, ricostruiscecon più completezza le griglie di cardini e decuma-ni scoprendone nuove tracce sul territorio.

In un secondo tempo rileva la diversità di anda-mento di cardini e decumani dell’impianto urbanoda quelli dell’organizzazione agraria: mentre quel-li della città si dispongono parallelamente e per-pendicolarmente al letto del fiume Ticino quellidella campagna seguono un andamento NordOvest - Sud Est, per i cardini, e Ovest Sud Ovest -

Est Nord Est, per i decumani. Inoltre l’ager divisuspavese non comincia alle porte della città ma leprime deboli tracce sono rilevabili solo poco a suddi Borgarello.

A est si spingeva fino a Zeccone, Gualdrasco eSiziano; a ovest fino a Trivolzio e Moncucco mentrea settentrione giungeva fino a Rosate e Noviglio.

Tozzi si serve quindi dei limiti dell’area centu-riata per definire i confini dell’ager ticinensisversoMilano che fissa più a nord di quello attuale: Lac-chiarella infatti era parte del territorio di Paviamentre il territorio milanese cominciava conCascina Decima.

Anche le caratteristiche fisiche del territoriostesso rafforzano questa teoria: lungo questa lineasi fa più marcata la pendenza della pianura e si hauna maggior tendenza delle acque ad impaludarein un’area di risorgive. “Il che tanto più potrebberiuscire significativo, se pensiamo che in questotratto probabilmente la definizione di confine del Isec. a.C. riprendeva una precedente linea divisoriafra gli Insubri di Milano e i Levi e i Marici di Pavia,appartenente ad un’età in cui stagnazioni di acquee boschi dovevano dominare prima delle grandiopere di bonifica delle centuriazioni”19.

A questo punto Tozzi si domanda perché questaparte della campagna non sia stata tutta centuria-ta e, soprattutto, perché il territorio scelto non èquello più a ridosso della città e trova le ragioni diquesta scelta, ancora una volta, nella natura delterreno stesso: “Dall’esame della pendenza geo-grafica delle tracce della centuriazione appareimmediatamente che la divisione agraria non sispingeva fin sul ciglio del terrazzo diluviale, chegli agrimensori inizialmente evitarono comeun’ampia fascia prospiciente il fiume, ma occupa-va una zona interna. La definizione dell’altimetriaattuale del Pavese nelle linee fondamentali indicauna significativa coincidenza dell’ager divisus conun tratto di pianura sufficientemente ampia erelativamente uniforme e una non meno significa-tiva assenza in prossimità di Ticinum, centro diterrazzo, dove l’andamento del terreno è notevol-mente irregolare e tormentato, a motivo del solchivallivi della Vernavola e del Navigliaccio edell’erosione del Ticino”20.

Ancora alla natura del terreno, di cui dunque iromani si dimostrano fini conoscitori, è fatto risa-lire l’orientamento di cardini e decumani, che siadattano perfettamente alla pendenza del terreno,favorendo così il deflusso dei canali di irrigazioneartificiali. “Dobbiamo alla capacità dei romani diosservare e tenere conto delle condizioni morfolo-

17. TIBILETTI 1978, p. 342.18. Pierluigi Tozzi, nasce a Roma il 4 - 6 - 1937. Laureato in let-tere classiche, ordinario di antichità greca e romana poi di geo-grafia storica del mondo antico presso la facoltà di Lettere eFilosofia dell’Università di Pavia. Ha pubblicato alcune suedissertazioni su riviste di antichità; principali pubblicazioni:Storia padana antica, Milano, 1972; Il territorio fra Adda e

Mincio, Milano, 1972; Saggi di topografia antica, Pavia, 1974;Storia di Pavia, (in collaborazione con altri autori), Pavia, 1984;Eraclea veneta, Parma, 1984; Opicino a Pavia, Pavia, 1990;Storia illustrata di Milano, (in collaborazione con altri autori),Milano, 1992.19. TOZZI 1984a, p. 155.20. TOZZI 1974, pp. 25 – 26.

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Fig. 3 - Traduzione grafica su cartografia IGM 1889 dei risultati degli studi di Pierluigi Tozzi relativi alla centuria-zione dell’ager ticinensis e della Mediolanum - Ticinum.

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giche su cui operavano e al grado di penetrazione,scientifica assai più che empirica, nell’affrontare iconnessi problemi, se l’assetto che essi diedero alterritorio pavese fu durevolmente operante neltempo e tuttora contribuisce ad assolvere a prima-rie funzioni, come quello del deflusso delle acqueattraverso un sistema di canali orientati e dellaviabilità minore attraverso una rete di vie comu-nali, carrarecce, vicinali”21.

Dunque con questa opera di bonifica i romanitrasformano le terre pianeggianti per lo più incol-te in terre coltivate e produttive e allo stessotempo fissano le linee essenziali del paesaggioancora oggi riconoscibili e funzionali.

Tozzi passa poi ad indagare la distribuzione degliinsediamenti sul territorio accorgendosi così che lapresenza stessa del reticolato geometrico ed unifor-me delle centurie rappresentò un ostacolo notevoleal costituirsi di grosse concentrazioni fondiarie chetrovano invece libero spazio di formazione ad esem-pio il Lomellina, non centuriata (per rimanerenell’ambito territoriale della provincia di Pavia).

Nel caso pavese oltre ad una atomizzazionedegli insediamenti si può rilevare anche una corri-spondenza fra assi della centuriazione e località dimaggior rilievo del territorio.

Di tutte queste località che ricadono su cardinie decumani quelle di origine romana sono ricono-scibili per la desinenza in -ano del toponimo22.

Oltre che sulle centuriazioni del Pavese Tozzipunta la sua attenzione anche sulla Mediolanum -Ticinum confermando, in linea generale, i risulta-ti raggiunti dai suoi colleghi. Riconosce quindicome resti di questo antico tracciato il rettifilouscente dal Carrobbio milanese e quelli che suc-cessivamente si stendono nella campagna a sud diMilano fino a Borgarello, e come indizi dell’anticapresenza di miliari romani i toponimi di QuintoStampi, Ponte Sesto, Nono (oggi scomparso) ecascina Decima (coincidente con la Mutatio addecimum). Non trascura nemmeno lo studio degliitinerari antichi che sono comunque la provadell’esistenza di questo tracciato.

La sua attenzione si concentra però sul trattoterminale di questa via in prossimità di Pavia dovele sue tracce si perdono.

Riconosciute nella costruzione del Naviglio diPavia e della linea ferroviaria i due interventi di

epoca moderna che più a fondo hanno sconvoltoquesto territorio in Tozzi nasce l’esigenza di stu-diare una cartografia storica che risponda a preci-si requisiti: preceda cioè la sistemazione del Navi-glio e il tracciato della ferrovia e al tempo stessosia redatta a grande scala e con un soddisfacentegrado di precisione anche nei dettagli.

È dunque Tozzi il primo ad applicare a questaricerca lo studio delle mappe del Catasto Teresia-no (perfettamente rispondenti ai suddetti requisi-ti) per approfondire la questione. “L’esame dellemappe del Catasto Teresiano, che fissano una con-dizione di paesaggio anteriore alle profonde tra-sformazioni dell’800, consente di ricostruire consicurezza anche l’ultimo tratto della via da Borga-rello a Pavia, per cascina Repentita e cascina Pan-taleona, fino al confine dei Corpi Santi di Pavia, elungo il corso del Navigliaccio, fino al bastioneoccidentale delle mura spagnole”23.

All’interno della città riconosce, come Tibiletti,il tracciato della Mediolanum - Ticinum n e l l eattuali vie Albertini, Grinziotto, Ferrero fino apiazza Italia. Risulta in questo modo essere prati-camente ricostruito l’intero percorso della Medio -lanum - Ticinum.

Va fatto per ultimo un cenno al fatto che Tozziè stato l’unico a fare uso anche della fotografiaaerea in queste sue ricerche, ausilio non ignoratoma neanche sfruttato, da Fraccaro e Tibiletti.

Gli studi di Ambrogio Palestra. La posizionedei miliari e “la Madonna del Pilastrello”24.

L’ultimo storico che, anch’esso negli anni Set-tanta, si occupa della Mediolanum - Ticinum ,nell’ambito più ampio dell’indagine sulla rete stra-dale della Cisalpina in epoca romana, è AmbrogioPalestra il quale imposta i sui studi in modo assaidiverso dagli storici di cui fin qui si è detto.

Innanzitutto preferisce non dare molta impor-tanza alla ricognizione di rettifili stradali rilevabi-li ancora sul territorio quasi fossero sempre fram-menti superstiti di strade romane, ma rivolge lasua attenzione ad altri elementi, che ritiene piùconcreti, come i toponimi derivanti dai miliari,miliari stessi superstiti o documentati in archivio.

Anche le località contrassegnate dal toponimo“miliare” o le espressioni chiesa, casa, campo muli-

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21. TOZZI 1974, p. 27.22. Toponimi di probabile formazione latina: Calvenzano,Albuzzano, Cura Carpignano, Copiano, Calignano, c.na Cor-maiano, Comairano,Marzano, Monte Pagano, Torriano, Guin-zano, Misano, Vairano, Rognano, Giovenzano, Landriano,Siziano, Gnignano, Bubbiano, Coazzano. Ma l’unico toponimoche abbia un preciso riscontro nell’onomastica latina di Pavia èAlbuzzano: nelle epigrafi è ripetutamente attestata la famigliadegli Albucii. Per il resto non è possibile rilevare alcun positivorapporto fra l’onomastica epigrafica e la toponomastica (TOZZI1984a, pp. 162 – 163).23. TOZZI 1984a, p. 167.24. Ambrogio Palestra, monsignore. Laureato in teologia e let-

tere, diplomato in paleografia, diplomatica e scienze archivisti-che. Parroco della chiesa di Santa Maria presso San Celso diMilano e direttore dell’archivio storico della Curia Arcivescovi-le di Milano; membro del comitato direttivo dell’ “ArchivioAmbrosiano” per le ricerche storiche sulla chiesa ambrosiana,membro effettivo dell’Accademia di San Carlo. Autore di volu-mi e studi monografici di archivistica, di storia della chiesaambrosiana e di storia locale.Principali pubblicazioni: Storia di Abbiategrasso, Abbiategras-so, 1956; Regesto delle pergamene dell’archivio arcivescovile diMilano, Milano, 1961; Ritrovamenti di età romana presso SanCelso, Milano, 1964; Lineamenti di archivistica ecclesiastica,Milano, 1965; Visite pastorali di Milano, Roma, 1977.

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no, ecc. “in strada” oppure “strada regia, regina,maestre, ecc.” sono da lui considerate come rivela-trici di strade consolari romane25.

Altro presupposto di partenza dei suoi studi èla coincidenza appurata fra la dicitura “miliare” e“pilastrello” e il fatto che a volte questi pilastrellivenissero usati, nei secoli scorsi, per elevare edico-le o chiesette dedicate alla Vergine del Pilastrelloo ad altri Santi.

Passando poi allo studio specifico delle singolestrade Palestra affronta anche la via Mediolanum- Ticinum approvando i risultati degli studi diFraccaro.

In questo caso specifico è pronto a riconoscerel’importanza della fonte topografica e quindi deiresti materiali ancora concretamente rilevabili sulterritorio che indicano inequivocabilmente l’interopercorso di questa antica via.

Conoscendone dunque l’andamento è in gradodi ricostruire ipoteticamente la localizzazione deisingoli miliari partendo da Milano:

ad I lapidem - al termine di corso S. Gottardoad II lapidem - presso la cascina Scudera,

angolo tra via Bazili e via Marteganiad III lapidem - presso la Cascinazza di Grato-

soglioad IV lapidem - presso Ronchetto dove stava il

Pilastrello di Ronchettoad V lapidem - presso Quinto Stampiad VI lapidem - a Ponte Sesto dove un ponte

sorpassava il Lambro presso la CascinaGamberone

ad VII lapidem - presso la località Persichettoad VIII lapidem - a nord di Basiglioad IX lapidem - a sud di Basiglioad X lapidem - a nord della cascina Decima

qui c’era la Mutatioad XI lapidem - a sud della cascina Decimaad XII lapidem - tra la cascina Catenaccia e

Casirate Olonaad XIII lapidem - tra Turago Bordone e Giussa-

goad XIV lapidem - a est di Casaticoad XV lapidem - a nord est della Certosa di

Paviaad XVI lapidem - presso la cascina Porta d’Ago-

stoad XVII lapidem - a sud est di Borgarelload XVIII lapidem - a sud est della località Canto-

ne delle Tre Miglia a tre miglia daPavia

ad XIX lapidem - a nord della cascina Campeggiad XX lapidem - presso la cascina Caimaad XXI lapidem - Pavia per cui si entrava per

Porta Milano (29).

L’elenco evidenzia i già ricordati toponimi diQuinto Stampi, Ponte Sesto, Cascina Decima men-tre non fa menzione di Nono. Nei suoi studi il Pale-stra infatti non ha mai riscontrato l’esistenza diquesto toponimo in documenti posteriori allaCarta d’Italia di Giovanni Magini (1620) e ipotizzaquindi che si possa trattare della località Anonoricordata invece nei pressi di Gratosoglio fino agliinizi del ‘90026.

Compare invece ad VI lapidem la citazione delPilastrello di Ronchetto che pare si trovasse nellacascina Pilastrello di Ronchetto la cui denomina-zione compare in alcuni documenti della metà delXIV sec.27.

Alla memoria di queste quattro pietre miliariPalestra aggiunge quella di S. Maria del Pilastrel-lo a Badile. Si tratta di una chiesetta sorta nel1535 e oggi andata perduta, e benché sia piuttostodiscosta dal percorso della Mediolanum - Ticinumprobabilmente vi era giunto un miliare di questavia che nel tratto fra Basiglio e Mettone era anda-ta distrutta o era stata sensibilmente deviata.

D’altro canto è vero che la popolazione della cam-pagna non capiva il significato delle iscrizioni cheerano incise sulle colonne miliari anche perchè quasitutte le parole erano più o meno abbreviate e spessousarono queste pietre trasformandole in sacre iconeposte al centro di un tempietto o di un’edicola innal-zati in mezzo ai campi o lungo i tratti superstiti distrade consolari laddove la colonnetta di pietra cilin-drica era stata posta dai legionari romani.

Altro esempio simile è indicato dal Palestranell’immagine miracolosa di Maria dipinta su unmiliare (probabilmente della Mediolanum - Tici -num o forse della Milano - Roma) conservato nellaChiesa di S. Maria presso S. Celso sorta pare suuna chiesa più piccola dedicata appunto allaMadonna del Pilastrello.

Uno sguardo d’insieme. Il grado di romanizza-zione del territorio. Dunque i più importanti stori-ci che si sono occupati dello studio della sistema-zione della Cisalpina in epoca romana sono concor-di nel riconoscere, nelle campagne fra Milano ePavia, le profonde tracce della pianificazione risa-lente al I sec. a.C.

Il tracciato della Mediolanum - Ticinum è datutti accettato senza ombra di dubbio, almeno neltratto da Milano a Borgarello, grazie soprattuttoagli imponenti resti materiali riconoscibili sul ter-ritorio che, oltre a provare l’esistenza di questa viaconsolare finora conosciuta solo attraverso le noti-zie date dagli itinerari, ne definiscono chiaramen-te anche l’andamento.

Allo stesso modo non fa problema riconoscere glielementi della struttura romana degli impianti urba-ni di Milano e Pavia da altri già ampiamente studiati.

LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA74

25. Palestra conduce questo studio durante la compilazionedell’inventario - regesto del Fondo delle Visite Pastorali dell’Archi-vio Storico Diocesano di Milano, che è costituito da 2.500 volumicontenenti i documenti riguardanti le visite dal 1423 al 1856.

26. PALESTRA 1978.27. PALESTRA 1978, p. 35.

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L’unico tratto della Mediolanum - Ticinum chepone qualche problema interpretativo è quello fraBorgarello e Pavia, andato completamente personella sua consistenza materiale, a seguito dellamoderna sistemazione del Naviglio e della realiz-zazione della linea ferroviaria Milano - Genova.

Lo sviluppo nel tempo della ricerca sull’argo-mento, a partire dalle ipotesi iniziali di Fraccaro,sembra però far prendere corpo abbastanza decisa-mente alla teoria che quest’ultimo tratto piegasseprogressivamente verso Pavia, adattandosi allecaratteristiche fisiche del territorio, fino a raggiun-gere la Porta settentrionale delle mura romaneattraverso la quale faceva il suo ingresso in Pavia.

Conosciuto a questo punto il completo anda-mento della strada consolare non è difficile definirela probabile posizione degli antichi miliari benchétutti scomparsi, fissati in numero di 21 dagli anti-chi itinerari romani (Antonino e Bourdigalense).

Ancora i toponimi di Quinto Stampi, PonteSesto e Cascina Decima si pongono come segniforti del percorso stradale romano anche se nonvolessimo considerare la località di Nono, la cuiesistenza non è unanimemente riconosciuta.

Gli studi sulla campagna ticinese hanno poimesso in evidenza i resti dei cardini e dei decuma-ni della centuriazione che ha profondamentesegnato l’organizzazione di questo territorio, trac-ce scoperte da Fraccaro e confermate e approfondi-te da Tozzi verso la definizione dell’intera griglia.

Sulla base di questa pianificazione antica si ècostruito tutto il territorio nella sua organizzazio-ne agricola e insediativa.

Le campagne rimangono a tutt’oggi orientate,anche nelle semplici divisioni particellari, come gliassi della centuriazione che, riprendendo per altrola pendenza del territorio, ben si prestano alle esi-genze di irrigazione e scolo delle acque.

Di nuovo si può osservare, con Tozzi, come lapresenza della centuriazione e dell’organizzazioneagricola impostata nel I sec. a.C. abbia impedito laformazione di insediamenti di dimensioni rag-guardevoli favorendo la dispersione sul territoriodi numerosi piccoli centri alcuni dei quali costitui-ti da sole cascine, seppur di notevoli dimensioni.

Anche in questo caso è facilmente rilevabile laconcentrazione di toponimi di origine romana (condesinenza -a n o)2 8 presenti in gran numero nellaporzione di territorio pavese centuriato.

Se questa organizzazione territoriale è giuntafino a noi è grazie alle evolute conoscenze tecnico -scientifiche dei romani che hanno loro permesso diimpostare la pianificazione del territorio adeguan-dosi il più fedelmente possibile alle caratteristichegeografiche del terreno.

Questo principio, benché perfettamente rispet-tato nel tracciamento della Mediolanum - Ticinum

come dimostrato da Tibiletti (la direzione data aquesta via consolare dipende dalla scelta dei puntidi attraversamento dei principali corsi d’acqua)non è stato sufficiente a salvarla dal rapido dete-rioramento, soprattutto nel tratto fra Basiglio eMettone, dove incrociava numerosi corsi d’acquacon un’inclinazione troppo acuta, quando, cadutol’Impero Romano, è venuta meno l’assidua manu-tenzione.

È in questa occasione che la strada Vigentina e,più tardi, l’alzaia del Naviglio, prenderanno ilsopravvento nella comunicazione viaria fra Mila-no e Pavia.

3. Gli elaborati grafici

Definizione dell’area di studio

L’area di studio corrisponde con la perimetra-zione dell’evidenza storica delle tracce dell’ a g e rticinensis. La prima tavola di - “Quadro di unionedel territorio centuriato” - schematizza la matriceromana in un reticolo, con riferimenti impostati suun sistema di assi cartesiani, che orienta l’indivi-duazione delle schede analitiche di approfondi-mento.

Il “Quadro di unione” in scala 1:50.000 identifica,da subito la pertinenza dei confini dei comuni ogget-to dell’area di studio. Tale riferimento verrà, di voltain volta, riproposto nelle singole tavole di dettaglio.

La permanenza dei segni

Il tematismo “Permanenza dei segni” è svolto subase cartografica CTR 1994 in scala 1:25.000. Latavola traduce graficamente l’evidenza della viabi-lità romana e del sistema centuriato riconosciutoattraverso la ricerca storica. A questa si affiancauna lettura dei principali elementi morfologici e diuna interpretazione della toponomastica.

Per quanto riguarda la centuriazione romanaviene applicato un ulteriore approfondimento, cioèil risultato del confronto tra la cartografia IGM1889 (base di riferimento degli storici) e la CTR1994. Tale confronto evidenzia la permanenza o lanon permanenza delle tracce centuriate, ed esatta-mente individua:

• la traccia già presente in cartografia IGM1889 permanente sulla CTR 1994;

• la traccia presente in cartografia IGM 1889e “labile” sulla CTR 1994;

• la traccia “labile” in cartografia IGM 1889 e“labile” sulla CTR 1994;

• la traccia “labile” in cartografia IGM 1889 e“scomparsa” sulla CTR 1994;

• la traccia non esistente in cartografia IGM1889 e “ricomparsa” sulla CTR 1994.

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28. La desinenza -ano deriva dall’usanza, iniziata dai romani,di estendere alla proprietà il nome del proprietario con l’uso delsuffisso aggettivale –anus.

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Si accenna, altresì, sulla tavola ad una ricono-scibilità anche dei limes principali e di “altri segni”rilevanti quale quello della “Roggia grande” chepur non avendo relazione certa con la centuriazio-ne ne rispetta l’orientamento rafforzandone lamatrice stessa. In sintesi si nota una prevalentepermanenza dei segni centuriali est-ovest.

Ricerca e interpretazione toponomastica

Per i centri edificati ci è parso opportuno svol-gere un’analisi comparata con la toponomasticache può avere una giustificazione in sé in quantodistribuisce i vari nomi di luogo in categorie distin-te ciascuna relativa al popolo da cui è nata, maogni nome locale può assumere una funzione diindizio relativamente a quello che è scomparso eche stava dietro al nome.

In un più ampio raggio di azione questa disci-plina potrebbe dunque fornire un certo ausilio inrelazione alla conoscenza degli stanziamenti dellevarie civiltà e - ciò che più a noi interessa -dell’organizzazione delle proprietà terriere, deglieventuali latifondi o del loro frazionamento più omeno grande, delle qualità dei terreni coltivati odelle piantagioni arboree e delle caratteristichefisiche del territorio stesso.

Esistono comunque due diversi modi di classifi-care i toponimi:• in riferimento alla collocazione temporale ed

etnografica (e qui va considerato in modo parti-colare lo studio linguistico del toponimo: parti-celle prefisse o suffisse, fonetica con mutamen-ti di accento, consonanti, ecc. morfologia);

• in riferimento alle caratteristiche del territorio.Nel caso specifico si sono individuati: toponimi

preromani, romani, e post-romani. I toponimi lati-ni si localizzano in massima parte sugli assi dellacenturiazione e lungo i percorsi della viabilitàromana.

Quelli concentrati nella zona centuriata sonotutti toponimi di origine prediale, cioè derivanti dainomi personali dei proprietari terrieri secondo unaconsueta pratica romana; questo potrebbe confer-mare la nascita di tali insediamenti contestual-mente alla centuriazione del territorio. Le localitàcon toponimi di origine più antica, infatti, sembra-no essere localizzate con sostanziale indifferenzaper la maglia centuriata (come è giusto che sia, dalmomento che questa ancora non esisteva) prefe-rendo la vicinanza dei corsi d’acqua. Le centuria-zioni, canalizzando l’acqua e portandola in tutto ilterritorio assieme alle strade, svincolano gli inse-diamenti romani dal legame con i corsi idrici natu-rali e danno quindi loro la possibilità di localizzarsisul territorio secondo una logica diversa.

Anche gli insediamenti medievali sorti nelpavese hanno in gran parte rispettato la regola dilocalizzarsi lungo gli assi della centuriazione che,probabilmente, strutturava ancora fortemente ilterritorio al momento della loro fondazione. L’evi-denza degli elementi morfologici interpreta lepeculiarità delle caratteristiche fisiche del territo-rio. La qualità dominante è costituita dall’unifor-mità della pianura. A ciò si aggiunga la riconosci-bilità delle aree golenali (presenti lungo il Ticino,il Po) e degli alvei fluviali abbandonati da antichicorsi d’acqua attualmente solcati da una rete idri-ca minore (vedi Roggia Barona).

Gli elementi morfologici sono un indicatore daleggersi in modo complementare con le tracce dellapermanenza del sistema centuriato. Nel pavese sipuò vedere come questi elementi non creanodisturbo alla continuità della matrice romana purcostituendone in parte i confini.

La qualità della permanenza.

Gli elementi della “Qualità della permanenza”sono importanti per conoscere in modo approfondi-to la “natura” della strutturazione del territorio

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Fig. 4 - Esempi di paesi nel Pavese la cui posizione topografica è in stretto rapporto con i limes della divisione agra-ria dei romani (base cartografica tavoletta IGM 59 IV NE, Binasco).

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letto come palinsesto. Dopo aver riconosciuto lepermanenze della matrice romana, dell’area distudio, si passa a indagarne le caratteristiche qua-litative.

Le “linee guida” per questo tipo di lettura sonoriconducibili agli elementi fisici che costituisconola struttura stessa del territorio: le strade, i corsid’acqua, i confini di coltura. A questo si aggiungal’evidenza dei confini comunali.

La metodologia adottata in dettaglio esaminaper i corsi d’acqua quelli principali e secondari (icorsi principali si identificano per il “nome” appo-sto in cartografia e per un segno grafico più mar-cato rispetto a quelli secondari); per le strade sisottolineano quelle a fondo naturale e a fondo arti-ficiale secondo la classificazione della CTR 1994.

Nei casi in cui i corsi d’acqua si sommano allestrade, questo dato viene cartografato poiché talesovrapposizione altro non è che un ulteriore raffor-zamento della permanenza della traccia dellamatrice romana.

Particolarmente interessante è il fatto che lapermanenza del confine comunale, segno di natu-ra “politica”, va a rafforzare, in certi casi, le traccedella centuriazione.

La quantità della permanenza

Dopo aver individuato la permanenza anchequalitativa del segno della matrice romana ci si èproposti di sondare la quantità dei segni orientatipermanenti all’interno delle singole centurie.

Un tematismo secondario, inserito nella stessacartografia, è l’indicazione di principali infrastrut-ture e permanenze storiche con andamento indif-ferente rispetto alla centuriazione. In particolarequesti segni sono: l’autostrada, la ferrovia, il confi-ne del Barco Visconteo e il Naviglio Pavese.

La finalità della tavola “Quantità della perma-nenza”, pertanto è volta – dopo aver svolto gli studianalitici preliminari sino a qui descritti – a ricono-scere aree con diversi gradi di permanenza grafi-camente campite con colori diversi (dal più scuroal più chiaro per sottolineare rispettivamente lamaggiore o minore concentrazione di segni orien-tati) comunicando in modo immediato e chiaro“zone omogenee” per il livello di conservazionedell’impianto antico.

L’analisi così concepita è un valido strumentodi sintesi della conoscenza del palinsesto territo-riale e potrà essere indubbiamente premessa ade-guata per una pianificazione consapevole voltaalla tutela, alla conservazione e valorizzazione delterritorio.

4. Schede analitiche di approfondimento

La metodologia sin qui esposta – analisi per-manenze, qualità, quantità - indica le modalità diapproccio per uno studio sulle centuriazioni ad

una scala 1:25.000. Le schede di approfondimento,invece introducono una fase conoscitiva che nonpuò prescindere dall’utilizzare cartografie a scalemetriche più particolareggiate. A questo propositoqui di seguito è enunciato il metodo seguito esem-plificato da una scheda-tipo.

Ogni scheda è dotata di una tabella riassuntivache ne definisce la localizzazione sul territorio e iriferimenti cartografici adottati per le traduzionigrafiche e organizzata in sezioni nelle quali siapprofondisce la “Qualità dei segni orientati” inscala 1:10.000; la lettura dei catasti storici (secon-do parametri quali i proprietari, le destinazionid’uso, la permanenza o non permanenza deisegni); la toponomastica (in particolare quella delCatasto Lombardo Veneto); la conoscenza e l’ana-lisi dei ritrovamenti archeologici diffusi; lo statoattuale dei vincoli vigenti sul territorio con unacaratterizzazione legata alla tutela dei beniambientali, architettonici ed archeologici ed infinel’interpretazione delle foto aeree e le ricognizionisvolte in sopralluogo (sotto l’indice di una Scheda-tipo).

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TABELLASCHEDA - TIPO

SEZ. 1 INQUADRAMENTO GENERALEPermanenza dei segniQualità della permanenzaQuantità della permanenzaLegenda

SEZ. 2 QUALITÀ DEI SEGNI ORIENTATI

SEZ.3 CATASTI STORICICatasto Teresiano (1722-1725)Catasto Lombardo Veneto (1865- 1867)3.1 Catasto Teresiano: proprietari3.2 Catasto Lombardo Veneto: proprietari3.3 Catasto Teresiano: destinazioni d’uso3.4 Catasto Lombardo Veneto: destinazioni d’uso3.5 Lettura della permanenza o non permanenza dei segni delCatasto Teresiano sul Catasto Lombardo Veneto3.6 Lettura della permanenza o non permanenza dei segni delCatasto Lombardo Veneto sulla Carta Tecnica Regionale3.7 Lettura della permanenza dei segni del Catasto Teresianoe del Catasto Lombardo Veneto sulla Carta Tecnica RegionaleLegenda

SEZ.4 TOPONOMASTICA (Storico - etnica, Storico -fisica,Catastale)4.1 Toponomastica storico - etnica e storico - fisicaInterpretazione toponomasticaLegenda4.2 Toponimi catastali Catasto Lombardo VenetoLegenda

SEZ.5 ARCHEOLOGIA

SEZ.6 STATO ATTUALE VINCOLI

SEZ.7 DOCUMENTAZIONE FOTOGRAFICAFotografia aerea Volo 1984Foto

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Fig. 5 - Tessiture storiche del territorio - Elementi permanenti della pianificazione territoriale romana.

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Fig. 6 - Tessiture storiche del territorio - Qualità dei segni permanenti della pianificazione territoriale romana.

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Fig. 7 - Tessiture storiche del territorio - Quantità dei segni permanenti sul territorio con orientamento omogeneoalla maglia centuriale.

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Fig. 8 - Tessiture storiche del territorio -Quadro d’unione di riferimento per le schede analitiche di approfondimento.

Fig. 9 - Fotografia aerea diun settore della campa-gna pavese in cui comparela Certosa di Pavia che siinserisce perfettamentenell’ossatura del paesag-gio creata dai l i m e s p e r-manenti della centuria-zione romana e dellaMediolanum - Ticinum.

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5. Conclusioni

Il metodo così definito attraverso lo studio ese-guito per l’IReR ha permesso di rilevare una buonapermanenza dell’ antica matrice centuriale dell’ager ticinensis così come della traccia della Medio -lanum - Ticinum individuando anche, attraversoil confronto con la cartografia storica, i punti piùdegradati dell’impianto a seguito dall’evolversidella forma del territorio.

Il sistema irriguo riveste un ruolo fondamenta-le in questo ambito territoriale riprendendo spessoi segni permanenti della centuriazione, soventeaffiancato dal sistema viario.

Nonostante la forte antropizzazione risultanoancora in gran parte orientati - secondo la matriceantica - anche i segni minori nelle singole centurie:un buon numero di queste ultime rivelano ancoral’esistenza al loro interno del 75 – 100% di segniorientati rispetto alla totalità dei segni contenuti.Tali segni vengono quindi indagati con l’ausilio delle

schede di approfondimento analitico che ne permetteuna precisa valutazione della consistenza materialein previsione di un puntuale intervento di tutela.

Il territorio pavese coincidente con l’antico agert i c i n e n s i s è da considerarsi, con giusta causa, un“paesaggio culturale” da conservare non solo conun vincolo ai sensi della legge 1497/39, peraltro giàvigente su parte del territorio oggetto di studio,ma anche con un intervento volto alla sua tutela evalorizzazione più propositivo come ad esempiol’istituzione di un PLS (Parco locale di interessesovra comunale).

Attraverso la valorizzazione dei punti di forzadel territorio pavese (i resti della matrice romanacon i numerosi nuclei rurali di antica formazione;le zone umide con la loro particolare accezionefloro - faunistica; le tradizionali colture agricole,come quella risicola che si estende su gran parte diquesto territorio) sarà possibile anche una fruizio-ne culturale atta ad una consapevole conoscenzastorica del paesaggio agrario.

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“Se in Italia avrà successo l’indirizzo che oggi sichiama ecologia storica, si avrà soltanto se daparte dei naturalisti delle scienze ambientali edelle scienze naturalistiche ci sarà attenzione perun approccio storico”. A 10 anni di distanza, setogliamo Lanfredo Castelletti e un pugno di pochealtre persone che lavorano in Italia su questi siste-mi, l’attenzione del mondo della ricerca ambienta-le e del mondo dei naturalisti per i problemi teori-ci e pratici che l’ecologia storica porta a chi si occu-pa della ricostruzione dei quadri ambientali, ionon la riscontro. Non la riscontro e vedo che il pro-blema che si presenta qui è lo stesso. Le cose chedirò adesso risulteranno, credo, un po’ complicate.Recentemente proprio a questo tema ho dedicatoun paio di articoli, uno sulla rivista “Archeologiapostmedievale” e uno su “Quaderni storici”. Questiarticoli sono risultati illeggibili, difficilissimi,rigettati da quasi tutti i lettori. Quindi dispero diriuscire ad essere chiaro, però vorrei riuscire acomunicare almeno l’idea di fondo.

Quello che è avvenuto in questi anni, credo,all’interno della ricerca in archeologia, è propriouna continua evoluzione e direi una continua cre-scita delle capacità analitiche degli strumenti diindagine dell’archeologo. Ora, se io dico, capacitàanalitiche degli strumenti, sono sicuro che la metàdegli archeologi che sono qui presenti, pensano aquello che abbiamo visto questa mattina: l’archeo-logia analitica è fondamentalmente un’archeologiaquantitativa, è l’informatica in archeologia. Questoè sicuramente uno degli aspetti importanti, ancheMannoni l’ha ricordato. Quando io parlo di capa-cità analitiche mi rifaccio, invece, a un concetto sto-riografico. Dove sta la differenza? Nel sistemainformatico applicato alla geografia abbiamo difronte un attrezzo interessantissimo che ci permet-te rapidissimi cambi di scala di osservazione, mal’informazione contenuta ai diversi livelli di scalanon cambia, cambia solo la scala spaziale.L’archeologo, invece, se adotta strumenti analiticidurante il suo lavoro, mentre cambia la scala cam-bia anche l’oggetto dell’osservazione: l’oggettodell’archeologia dipende dalle domande chel’archeologo si fa mentre affronta la sua ricerca.

USCIRE DAL PAESAGGIO: IL CONTRIBUTO DELLAECOLOGIA STORICA E DELLA STORIA LOCALE

Diego Moreno

Tra i modi in cui queste capacità analitiche sisono accresciute c’è un diverso e completamentenuovo rapporto con quelle che un tempo erano con-siderate discipline ausiliarie quali l’archeo-botani-ca e la geo-archeologia. Il rapporto di dipendenzache poneva queste discipline di carattere ambien-tale-naturalistico in qualche modo al serviziodell’archeologia è cambiato. È talmente cambiatoche ormai è facile trovare contributi che parlano diarcheologia-ambientale in un rapporto pariteticocon l’archeologia. In Italia se ne parla ormai,credo, da 3 anni, mentre il gruppo che si occupa diquesti problemi in Inghilterra lavora da una deci-na d’anni ed è presente anche in Francia.

Lo studio analitico micromorfologico dei suoli ècambiato rapidamente nel corso degli anni ’90.Nell’89 le strutture micromorfologiche dei suolierano considerate indicatori di clima, vegetazionee pressione antropica. Pochi anni dopo gli stessiautori precisano il ruolo di questi indicatori e lemicromorfologie sono ora studiate, ad esempio,come indicatori di pastorizia. Nell’ultimo lavoro incui proponevo agli archeologi postmedievalisti difare dell’archeologia ambientale, suggerivo che idati, tipo quelli micromorfologici, fossero testimo-nianza di pratiche di utilizzazione e di attivazionedelle risorse ambientali.

Oggetto di analisi storica sono la pressioneantropica, la pastorizia, le pratiche di utilizzazionedel suolo. La pressione antropica (attività antropi-ca, paesaggio antropico), è un concetto fondamen-tale che è stato fondante per le ricerche ambienta-li, come lo è stato il concetto di paesaggio per lericerche geografiche e ambientali sicuramente finoagli anni ’60. Ora, se noi ci chiediamo che cosa sia lapressione antropica, su cosa si esercita, ci rendia-mo conto che abbiamo un clima e una vegetazioneda una parte e la pressione antropica dall’altra.Dietro all’idea di paesaggio che ha Emilio Sereni,per parlare, ad esempio, di qualcuno che di storiadel paesaggio se ne intendeva, vi è una definizionedi paesaggio che è antropo-geografica; il paesaggioagrario corrisponde a quelle forme che vengonoimpresse dall’uomo sull’ambiente naturale. Insostanza, il paesaggio agrario non si poteva defini-

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re che per differenza da un paesaggio naturale. Unprima naturale su cui, poi, si avvia la pressioneantropica. Questo modello è molto poco storico, per-ché se ci si limitasse a riconoscere la pressioneantropica negli indicatori dei micromorfologi o deipaleontologi, la dimensione storica della nostraanalisi sparirebbe per quello che riguarda i rappor-ti con le risorse ambientali.

Gli indicatori che analiticamente vengono viavia messi in luce dalla ricerca archeologica eambientale, possono diventare segni di attivitàstoriche. In sostanza il problema è quello dellacostruzione del documento archeologico. Il recordarcheologico non è un dato, non esiste un datoambientale, ma esiste il dato che l’archeologo, inqualche modo, estrae dai suoi depositi. L’archeolo-gia è diventata analitica nel momento in cui hadichiarato le procedure con cui estrae le sue infor-mazioni dai depositi. Nel caso dell’archeologiaambientale le procedure possono essere ispiratealle tematiche della paleo-archeologia, oppurepossono ispirarsi all’ecologia storica.

Per qualcuno che studia la paleo-archeologiatrovare le prime tracce di pressione antropicasignifica passare da un mondo intatto di equilibrionaturale, a un mondo in cui c’è una pressioneantropica che prima non c’era. Questo prima biso-gna vedere quando lo si colloca: il problemaarcheologico è questo e qui la fantasia si sviluppa.Su un numero di “Nature” dell’anno scorso, i sedi-mentologi marini hanno messo in evidenza che leattività antropiche, contrassegnate da fuochi arti-ficiali, sul continente africano sono registrate neisedimenti marini a partire da 400.000 anni orso-no. Il fuoco geologicamente è abbastanza recente,il fuoco naturale comincia col terziario, ma l’atti-vità antropica interferisce a partire da 400.000anni fa. Dove sta l’ambiente naturale? Dovete con-siderare che questo fuoco antropico non è un fuocodi poco peso, pensate che le culture a livello tecno-logico paleolitico, come quelle aborigene del conti-nente australiano, hanno controllato l’intera vege-tazione in meno di 40.000 anni. In sostanza qual èil problema? Che il referente naturale è cosi’ lonta-no che non ci può servire a costruire modelli stori-ci dei rapporti tra la società e le risorse, soprattut-to se la scala diventa la scala locale. Ripeto, glistrumenti analitici gli archeologi li hanno; lo stru-mento di generalizzazione nei confronti della sto-ria non funziona: normalmente si pensa al paesag-gio ed è proprio quello strumento che ci rimanda aun prima naturale che non ci permette di ritrovarequello spessore storico che mi sembra lo scopo diquesto convegno. Allora, l’archeologia ambientalepuò diventare analitica? Io penso di sì. Ci voglionodei programmi appositi. Altrove sono già avviati;da noi ci sono poche persone, poche risorse; èun’idea che avanza lentamente.

Credo che un esempio a questo punto potrebberendere più esplicito il discorso. Si tratta, di un

bacino intorbato a quota 1.400 metri, il bacino dellago Spilla, nell’Appennino ligure-tosco-emiliano.Riguarda le fasi in cui l’ambiente, le oscillazionidelle diverse componenti vegetali del popolamentodella copertura non sono più determinate solo esoltanto da fattori naturali come clima, vegetazio-ne e suolo, ma dal controllo che è stato esercitatodall’uomo sulle risorse Da quando? Il diagrammapollinico che parte dall’ultima interglaciazione, da10.000 anni fa circa, indica che l’attività antropicaè diventata determinante da almeno 5.000 anni. Enotate bene che c’è il dubbio che in realtà ci sia giàun’attività delle culture mesolitiche e preneoliti-che (7.000-8.000 anni fa). Questo diagramma pre-senta un caso interessante, di cui voglio rapida-mente discutere: la datazione C14 a 1.400 anni“before present” di due variazioni polliniche inte-ressanti in corrispondenza di uno strato di distur-bo dei suoli. Due variazioni che avvengono in unregime, per così dire, economico: c’è un aumentodel popolamento di faggio e un aumento generaledel popolamento di graminacee. Cioè due aumentiche sulla stessa area non possono verificarsi natu-ralmente. Vi è stato, dunque, un nuovo assettodella vegetazione completamente diverso. Siamoin età alto medioevale, in età longobarda, allorchési mette in atto una riorganizzazione delle risorsedell’allevamento, con prati e pascoli alberati.Nella fase precedente vi è, invece, un bosco misto,quello che possiamo immaginarci essere un saltusdi età classica.

Che cosa è un prato pascolo alberato di faggi? Èun sistema di produzione del foraggio intensivo,ben noto nelle regioni settentrionali dell’Europa,ci sono molti lavori su questo. Una carta tardo cin-quecentesca mette in evidenza il diverso sistemadi conduzione della faggeta sovrastante il pascolo,sistema per la produzione di foraggio fresco dallefoglie.

La carta della vegetazione di questo settoredell’Appennino costruita su ricognizioni di terrenoe uso dell’aerofotografia, mostra l’Alpe di Bagiolet-to con alcuni degli elementi di questo tipo di pae-saggio che gli Inglesi ormai chiamano di savana,ma in realtà, appunto, è un prato pascolo alberato.Bene, se questo tipo di paesaggio, usiamola questaparola, viene interpretato per quello che sembraattraverso la foto aerea o un’indagine puramentevegetazionale sul terreno, è considerato una formadi degradazione della faggeta; una forma di transi-zione tra il limite della faggeta e i limiti del pasco-lo. È, invece, un residuo post-culturale di un siste-ma di produzione vegetale, che impiegava gli albe-ri nella produzione foraggiera e aveva intensifica-to la produzione erbacea. Questo sistema, tral’altro, è rimasto attivo fino ai primi anni di questosecolo. È stato abbandonato negli ultimi 70 forse100 anni; si trova, quindi, ormai a frammenti.Qualche frammento si è conservato perché c’èancora un po’ di attività di pascolo. Su queste

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forme di uso del suolo nel corso del XIX secolo ècaduto un forte oblio dovuto ad una variazioneamministrativa fondamentale: sono caduti tutti isistemi di uso comunitario delle risorse.

Tutta questa storia sparisce di colpo se questoaspetto della vegetazione viene classificato comefase di transizione o di degrado della faggeta. Sepoi, anziché affidarci a categorie generali di descri-zione di tipo paesaggistico, facciamo un’analisi dicarattere ecologico, per esempio ci poniamo il pro-blema di andare a misurare la biomassa che si pro-duce, per quello che riguarda la produzione erba-cea, al di sotto delle aree coperte dai singoli faggiisolati, e la confrontiamo con la biomassa che siproduce nelle parti esterne a quella quota, noi

vediamo che c’è quasi un raddoppio. Cioè il pratopascolo alberato rende in produttività il doppio.Chi usava questo sistema conosceva benissimoquesto dato, ma c’è un dettaglio ancora più inte-ressante. Se voi fate il calcolo del rapporto tra lespecie erbacee foraggere che stanno all’esternodella zona aperta di prato pascolo, rispetto allespecie buone foraggere che si concentrano nellearee sotto la faggeta, il rapporto si raddoppia. Que-ste sono le relazioni ipotetiche, ma di carattereenergetico che legano la copertura erbacea e arbo-rea e la sua utilizzazione come foraggio. Bene, que-sto sistema, che è un sistema di prati con raccoltadi foglie, come vedete, è quello che risulta esseretra i più produttivi.

(Trascritto dalla registrazione e rivisto dal Prof. G. P. Brogiolo.)

Diego Moreno 87

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Premessa

Il tema del Convegno è stimolante e, nello stes-so tempo, di grande complessità, come rivelano gliinteressanti e diversificati interventi che mihanno preceduto.

Tali interventi testimoniano lo stato di avanza-mento della ricerca nei diversi campi disciplinariche afferiscono a tale tema, a fronte delle trasfor-mazioni del territorio che hanno portato alla per-dita di identità, di singolarità, di diversità dei luo-ghi e del paesaggio, con la distruzione e la radicalemodificazione di innumerevoli beni architettonici,ambientali e paesistici.

Si può toccare con mano lo iato tra la ricerca ele pratiche di intervento dei diversi attori sul ter-ritorio, e nello stesso tempo la mancanza, spesso,di iniziative finalizzate all’applicazione di taliapprofondimenti allo scopo di migliorare l’inter-vento sul costruito e di preservare le testimonian-ze storiche costitutive dell’identità e della storialocale.

In questo quadro occorre sottolineare, in positi-vo, come, all’interno delle “Linee generali di asset-to del territorio”2 recentemente approvate dallaGiunta Regionale, sia stato assunto come riferi-mento fondativo lo Schema di Sviluppo dello Spa-zio Europeo (SSSE), che, approvato a Posdam nel1999, rappresenta il tentativo di far convergerepolitiche territoriali e politiche economiche esociali a scala europea, coniugando l’obiettivodell’integrazione europea con quello della valoriz-zazione delle specifiche diversità locali.

Tra i principali obiettivi di tale documento, chela Regione ha fatto propri e che vengono declinatiin specifici indirizzi alle Province per la formazio-ne dei Piani Territoriali di Coordinamento, siritrovano anche quelli correlati alla tutela dei beniculturali e paesistici.

I tre grandi campi di azione individuati per ilterritorio dell’Unione comprendono infatti:

• uno sviluppo policentrico e un nuovo rapportocittà-campagna;

• la parità di accesso alle infrastrutture e alleconoscenze;

• un uso prudente dei beni naturali e culturali.Quest’ultimo obiettivo, che maggiormente inte-

ressa in questa sede, viene ulteriormente declina-to con riferimento alla conservazione, alla valoriz-zazione e alla gestione “creativa” del patrimonioculturale e naturale quali potenziali fattori di svi-luppo economico e sociale.

Il Polo regionale della Carta del Rischiodell’edilizia storica, realizzato in collaborazionecon l’Istituto Centrale del Restauro, concorreràalla realizzazione di tali obiettivi fornendo suppor-to alle decisioni relative:• alla definizione delle priorità di intervento sul

patrimonio storico-architettonico;• all’avvio sistematico di azioni di prevenzione e

conservazione programmata dei beni;• agli interventi di tutela e valorizzazione del

patrimonio culturale e paesistico.

La Carta del Rischio, che risale, come noto, alPiano Pilota per la Manutenzione Programmatadell’Umbria voluto nel 1970 da Giovanni Urbani,ha anticipato i principi di sviluppo equilibrato esostenibile e di prevenzione dei fattori di rischioper il patrimonio culturale e ambientale che infor-mano i più recenti documenti dell’Unione Europea.

A Giovanni Urbani risale il cambio di paradig-ma che connota la stessa Carta, cioè il passaggioda una modalità di intervento sul costruito ex-post, a danno avvenuto, ad un approccio ex- ante dicarattere preventivo, fondato su una approfonditaconoscenza del manufatto nelle sue relazioni conl’ambiente circostante.

La manutenzione, intesa come cura costante deibeni culturali e come atto necessario per rallentare iprocessi di degrado che possono portare anche alla

LA CARTA DEL RISCHIO PER L’EDILIZIA STORICA:UN ESEMPIO APPLICATIVO1

Ninfa Cannada-Bartoli

Ninfa Cannada-Bartoli 89

1 Il testo che segue è stato rivisto e ampliato rispetto all’inter-vento nell’ambito del Convegno, in considerazione dei piùrecenti sviluppi del progetto e della normativa regionale.

2 D.g.r. 7 aprile 2000, n.6/49509, “Approvazione delle lineegenerali di assetto del territorio lombardo ai sensidell’art.3,comma 39, della legge regionale 5 gennaio 2000 n.1”,B.U.R.L., 2°supplemento straordinario al N.22

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perdita dell’oggetto, è una prassi costantementepraticata in epoca preindustriale, che viene applica-ta, più in generale, al territorio e al paesaggio. Gio-vanni Urbani ripropone tale prassi in senso moder-no, attraverso una lettura del manufatto nelle sueinterrelazioni con il territorio, estendendo il concet-to di prevenzione e cura dal manufatto in séall’ambiente in cui è inserito. Lo “stato di salute”, la“vulnerabilità” degli edifici, vengono letti conte-stualmente, quali risultati dell’interazione tramanufatto nella sua consistenza progettuale ematerica e ambiente nelle sue diverse componenti dirischio. Questo processo è rilevante, non solo perchépermette di arrivare alla qualificazione del rischioindividuale di ciascun monumento, ma perché ricol-loca il patrimonio nel contesto della pianificazioneterritoriale, mette in luce i rischi non solo naturali,ma anche derivanti da una inadeguata e insosteni-bile politica ambientale e territoriale, ponendo ilproblema della riduzione dei potenziali fattori didegrado. Il manufatto architettonico diventa, inquesto modo, anche un potenziale indicatore dellostato di salute dell’ambiente in cui è inserito, cosìcome più comunemente, nel campo della tutelaambientale, lo sono gli elementi naturali.

In questa lettura di carattere fenomenologico,l’evidenza di un elevato grado di rischio dovrebbecomportare, almeno in linea teorica, un contestua-le intervento sia sul manufatto sia sull’ambienteche lo circonda.

Proprio perché realizzata dalla Regione - sog-getto di governo con responsabilità di programma-zione del territorio- la Carta del Rischio potràcostituire il supporto conoscitivo e il presuppostoper interventi integrati di conservazione e valoriz-zazione dei beni culturali e dell’ambiente.

Avviata nel 1998, la Carta del Rischio entra afar parte, insieme ad altri grandi progetti di valo-rizzazione del patrimonio monumentale,dell’Accordo di Programma Quadro che la RegioneLombardia, prima tra le altre Regioni, firma con ilMinistero per i Beni e le Attività Culturali: il PoloRegionale diventa, in tal modo, obiettivo comunedell’intervento dello Stato e della Regione, dandosostanza al principio di cooperazione ampiamenterichiamato dal D.lgs.112/98 e concretamenteattuato attraverso il crescente e sistematico ricor-so agli strumenti della “programmazione negozia-ta”3 nella individuazione, progettazione e realizza-zione degli interventi sul territorio.

Tale principio, a fronte di un quadro di “rifor-me” sostanzialmente deludenti per le Regioni inmateria di beni culturali, è stato in questi due anniampiamente sperimentato attraverso il quotidianoe proficuo lavoro di costruzione del progetto in col-laborazione con l’Istituto Centrale del Restauro.

In questo contesto la Carta del Rischio, purproponendosi come standard di riferimento, rap-

presenta un progetto in “progress”, che, a partiredal sistema messo a punto nel corso degli anni ’80dall’Istituto Centrale del Restauro, si arricchiscevia via dei contributi derivanti dalla sua concretaapplicazione e gestione.

La realizzazione del Polo Regionale della Lom-bardia si è inserita in questo percorso, contribuen-do a dare ulteriore corpo alla visione che GiovanniUrbani, per primo, si propose di mettere in attocon il Piano Pilota per la conservazione program-mata dei beni culturali in Umbria.4

Completata la fase di test e sperimentazionedel sistema, la Carta evolverà, quindi, su tre fron-ti: l’attività di catalogazione, l’incentivazione degliinterventi di conservazione programmata sul ter-ritorio regionale, l’approfondimento delle relazionicon la pianificazione territoriale e paesistica.

Il Polo regionale della Carta del Rischiodel Patrimonio Culturale

La finalità del sistema regionale della Cartadel Rischio è quella di approfondire e razionalizza-re le conoscenze già comprese nella banca dati cen-trale dell’Istituto Centrale del Restauro, con parti-colare riferimento al rapporto tra bene e territorio,raccogliendo informazioni puntuali sui beni e sulloro stato di conservazione, integrando i dati rela-tivi al rischio ambientale e correlando gli edificistorici al contesto territoriale. Tutto ciò con l’obiet-tivo di valutare preventivamente, su base statisti-ca e per aree geografiche, il rischio di danni cuisoggiacciono i beni culturali ed in particolare gliedifici storici, al fine di poter progettare la preven-zione anche attraverso il diretto controllo dei fat-tori che possono interagire negativamente conl’evoluzione conservativa dei manufatti edilizi.

La schedatura dello stato di conservazioneeffettuata su tutti i monumenti permette di asso-ciare ai dati sulla vulnerabilità di ciascuno diessi i fattori di pericolosità ambientale che glisono pertinenti, arrivando a una qualificazioneindividuale e “personalizzata” del livello di rischiocui ogni monumento è soggetto.

Il Polo Regionale della Carta del Rischio si pro-pone principalmente due obiettivi nei confronti delPolo centrale:

• alimentare la banca dati con le informazionirelative ai beni compresi sul territorio regio-nale attraverso rilevazioni sul campo e ren-derla disponibile per il Polo centrale;

• definire una metodologia che consenta di preci-sare la pericolosità del contesto in cui il bene èinserito al fine di pervenire ad una valutazionedel rischio individuale attinente al bene stesso.

LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA90

3 Si veda in proposito AA. VV. 1999. 4 Per una trattazione più completa e approfondita del progettosi veda AA.VV.2000.

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Nei due anni di attività sono stati schedati 400edifici e circa 3.200 opere d’arte in questi compre-se, in aree geografiche diverse dalla pianura allu-vionale alla zona prealpina, fino ad aree ad eleva-to rischio idrogeologico come la provincia di Son-drio. Si è potuto così “testare” il processo comples-sivo e sperimentarne la complessità, mettendo apunto tempi e costi di catalogazione.

Per quanto riguarda il secondo aspetto, cioè iltema della pericolosità territoriale, è stato messo apunto un prototipo che effettua il calcolo degli indi-ci di pericolosità statico-strutturale nell’intornodell’edificio, relativamente ai tematismi previstidal modello ICR e presenti in Lombardia (frane edissesti, valanghe, sismicità, esondazioni). Taleprototipo, a titolo di comparazione con quanto pre-sente nel Polo centrale, effettua anche lo stessocalcolo a livello di area comunale. Alcuni temati-smi, infine, non esplicitamente presenti nel model-lo centrale, ma disponibili in sede locale, sono statiutilizzati come “sfondo” per completare, almenovisivamente, le informazioni relative alla pericolo-sità statico-strutturale (aree a rischio idrogeologi-co molto elevato, aree storiche di esondazione,aree soggette a vincolo ambientale).

Sono stati realizzati, in parallelo, corsi percatalogatori junior e senior, che hanno formatocirca 100 professionisti in grado di intervenire inmodo qualificato a scala territoriale nei prossimianni.

La diffusione del progetto e della cultura dellaprevenzione è stata realizzata attraverso più di 20presentazioni pubbliche per un totale di più di1.200 contatti

La Carta del Rischio come strumento disupporto alle decisioni di intervento sulpatrimonio storico-architettonico

In parallelo la riflessione si è centrata sullemodalità di utilizzo della Carta del Rischio comereale strumento di supporto alle decisioni ai diver-si livelli territoriali, senza attenderne il completa-mento. Con particolare riferimento alla “vulnera-bilità” del bene, ci si è chiesti come poter coniuga-re la fase conoscitiva al processo decisionale, a par-tire dalla programmazione degli interventi a scalaregionale e locale, fino alla loro realizzazione,messa in esercizio e gestione. Solo tale integrazio-ne garantirebbe l’aggiornamento del sistema e, inconseguenza, la sua “utilizzabilità” nel tempo.

Per quanto riguarda la fase di programmazio-ne degli interventi a scala regionale, la soluzionepiù semplice e praticabile è sembrata quella di cor-

relare la compilazione dei tracciati schedograficiagli interventi di restauro e conservazione finan-ziati o cofinanziati dalla Regione anche nell’ambi-to di Accordi di Programma.

In questo modo, da un lato si incentiverebberole amministrazioni locali a contribuire alle campa-gne di catalogazione, dall’altro si otterrebbe, adintegrazione della scheda catalografica, il rilievocompleto dell’edificio.

L’onere aggiuntivo sarebbe assolutamente tra-scurabile: il tracciato schedografico comprende,infatti, informazioni che il progettista deve giàraccogliere a supporto del progetto. Si tratterebbe,quindi, esclusivamente di presentare tali informa-zioni in un formato standardizzato.

L’indicatore relativo alla vulnerabilità del bene(attualmente fondato su un giudizio) sostanziereb-be il parametro relativo all’urgenza dell’interven-t o, rendendolo più aderente alla realtà, anche inassenza di un’ampia base statistica di riferimento.

Il rischio individuale diventerebbe, insieme conaltri, criterio e indicatore di priorità negli inter-venti, ponendo, così, le basi anche per l’aggiorna-mento della banca dati correlato ai finanziamentiregionali.

Più complessa appare, invece, l’estensionedella catalogazione a tutti gli interventi sul patri-monio monumentale, si pensa in particolare:• agli interventi di conservazione di diversa

entità realizzati da privati e soggetti all’auto-rizzazione delle Soprintendenze;

• agli interventi di conservazione e manutenzio-ne del patrimonio ecclesiastico;

• agli interventi programmati dagli Enti localinell’ambito del Programma triennale delleopere pubbliche, previsto dalla legge Merloni.

La conservazione programmata

Il progetto di “Ricerca/intervento per l’innova-zione delle professionalità tecniche nel campodella conservazione preventiva e programmata delpatrimonio storico-architettonico”5, c o f i n a n z i a t odalla Regione Lombardia, dal Ministero del Lavo-ro e dal Fondo Sociale Europeo, recentemente con-cluso, ha approfondito i temi correlati alla manu-tenzione preventiva del patrimonio storico-archi-tettonico, con risultati articolati che affrontano gliaspetti tecnici e contrattuali (con la formulazionedi linee guida per la conservazione programmatanel quadro della legge Merloni), la qualificazionedegli operatori del processo di conservazione, e ilsistema informativo, come modulo integrativo delsistema della Carta del Rischio. Quest’ultima rap-presenta l’elemento di innesco del processo: il

5 Il progetto è stato realizzato in collaborazione con C E S T E CS . p . A .. Centro Lombardo per lo Sviluppo Tecnologico e Produttivodell’Artigianato e delle Piccole Imprese – (soggetto attuatore),ECIPA-Lombardia e Politecnico di Milano. Hanno collaborato alla

ricerca rappresentanti della Regione Lombardia, dell’Istituto Cen-trale per il Restauro, del Ministero per i Beni e le Attività Cultura-li, delle imprese, dell’Associazione Restauratori d’Italia, del Poli-tecnico di Milano, del C.N.R. Centro Dino Bozza, di Italia Nostra.

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“punto zero” della vicenda conservativa dell’edifi-cio, cristallizzando idealmente in tale data la dina-mica del danno. Il tracciato schedografico dellaCarta del Rischio rappresenta il “cuore” degli stru-menti tecnici della conservazione programmata, dicui viene garantito il costante aggiornamentoattraverso il Programma di conservazione, cheprevederà attività di ispezione e manutenzionenon specialistiche, in funzione del livello di rischio,uno o più interventi a “sistema”.

Le linee guida sono state testate sullo storicoPalazzo Bagatti Valsecchi, di proprietà della Regio-ne, nell’ambito del corso di formazione per “Progetti-sti della conservazione programmata”, gestito dallaScuola di specializzazione in Restauro dei monu-menti del Politecnico di Milano. I partecipanti gui-dati da tutor e da docenti del corso hanno messo apunto il Programma di conservazione dell’edificio,predisponendo i relativi Manuale d’uso, Manualeutente e Programma di conservazione.

La ricerca ha anche dimostrato, per ora dalpunto di vista teorico, che la pianificazione dellaconservazione comporta, in ultima analisi, una piùefficiente allocazione delle risorse globali, metten-do a punto, in parallelo, un sistema di incentivi,che saranno implementati nei prossimi due annidalla Regione Lombardia. La politica degli incenti-vi proposta, oltre a seguire il principio della sussi-diarietà, aiuterà ad avviare una procedura di persé remunerativa per chi la attua, liberando risorseche saranno rese disponibili per innalzare la qua-lità dell’intero processo.

La transizione ad una politica di conservazionepreventiva e programmata non potrà che esseregraduale, allo scopo sia di creare preliminarmenteun consapevole consenso tra gli operatori, sia ditestare e sviluppare ulteriormente gli strumentitecnici e contrattuali di supporto, sia infine di ren-dere operativo il sistema degli incentivi. Tale fasedi sperimentazione sul campo dovrebbe concluder-si alla fine del 2001, prevedendo per il 2002 la pro-grammazione degli interventi di conservazioneestesa a tutto il territorio regionale.

In parallelo si proseguirà l’attività di cataloga-zione secondo la metodologia della Carta delRischio, per costituire un primo supporto informa-tivo agli interventi, rendendo nello stesso tempoobbligatoria la compilazione della scheda per tuttigli interventi cofinaziati dalla Regione.

Dal manufatto al contesto di intervento: consi -derazioni sulle relazioni tra Carta del Rischio epianificazione territoriale e paesistica6

Se la valutazione dello stato di conservazione si

avvale di strumenti e metodologie standardizzateelaborate nel corso degli ultimi anni dall’IstitutoCentrale per il Restauro, la valutazione delle peri-colosità territoriali a livello locale richiede invecel’utilizzo organico e sistematico di informazioni emetodologie definite all’interno del Sistema Infor-mativo Territoriale Regionale.

Il tema della pericolosità territoriale è statoquello più complesso da definire nel passaggio dallivello centrale alla scala regionale7. La maggiorecomplessità è correlata non solo alle diversità dellebasi informative e cartografiche elaborate dallaRegione, ma anche alla diversa “missione” dellaRegione e dell’Istituto Centrale per il Restauro.Alla Regione, infatti, fanno capo ampie competen-ze in materia di pianificazione del territorio, ditutela dell’ambiente, di salvaguardia attiva delpaesaggio; la Regione istituzionalmente è “tenuta”a costruire e mantenere un Sistema InformativoTerritoriale a supporto del processo decisionale inmateria di pianificazione e tutela del territorio edell’ambiente, l’ICR “dipende”, invece, da diversialtri enti e soggetti per l’implementazione el’aggiornamento della Banca Dati Centrale.Quest’ultima è stata progettata, per così dire, “unatantum”, mentre devono essere ancora definiti iflussi informativi e le fonti che possano alimentarestabilmente il sistema.

I tre domini statico-strutturale, ambiente-ariae antropico, le relative variabili e indicatori sonostati analizzati e definiti in relazione al patrimonioinformativo del Sistema Informativo Regionale.

La qualificazione individuale del livello dirischio cui ogni singolo bene è soggetto, diventaquindi lo strumento di valutazione sintetica dellasituazione permettendo una programmazionedegli interventi di conservazione più mirata e,indirettamente, una pianificazione territoriale piùoculata alla luce dei rischi di origine naturale, ocausati da errate politiche ambientali.

Nei due anni di sperimentazione, sono stateinvestite risorse su un modello di rischio indivi-duale strettamente correlato al monumento, cheintegri tendenzialmente le informazioni già dispo-nibili all’interno del S.I.T. regionale. Questoapproccio sta per essere ulteriormente sviluppatoin collaborazione con l’Istituto Centrale per ilRestauro, che partecipa insieme alla RegioneLombardia, alla Regione Lazio (capofila), ad altresei regioni italiane e ad una spagnola nell’ambitodi un progetto europeo (Interreg II), con l’obiettivodi mettere a punto modalità comuni per l’istituzio-ne dei poli locali e di ridefinire il concetto di peri-colosità territoriale al fine di arrivare alla costru-

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6 Questo paragrafo fa riferimento, tra l’altro, al capitolo “LaCarta del Rischio e la pianificazione territoriale”, curato daF.Bargiggia, all’interno del volume Il Polo Regionale dellaCarta del rischio del Patrimonio Culturale. Dalla catalogazio -ne alla conservazione Programmata,op.cit.

7 Per ulteriori indicazioni su questo argomento, si rimanda aitesti pubblicati a cura dell’Istituto Centrale per il Restaurocitati in bibliografia.

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CICLO PRODUTTIVO DEGLI INTERVENTI DI CONSERVAZIONE PROGRAMMATASituazione auspicabile

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zione di un modello standard di rischio individua-le condiviso dalle Regioni.

Il rischio-statico strutturale sarà dunquerivisitato nell’ambito di tale progetto, con partico-lare riferimento al rischio idrogeologico, moltorilevante in Lombardia. Occorre sottolineare che,anche in seguito degli eventi calamitosi del 1987 inValtellina e in attuazione della relativa normativanazionale, la Regione Lombardia si è dotata di unastrumentazione molto avanzata per l’analisi e laprevenzione di tale fattore di rischio. Tale stru-mentazione va dalla costituzione di sistemi infor-mativi molto puntuali relativi ai dissesti, a pre-scrizioni cogenti per la redazione degli strumentiurbanistici, di cui la componente geologica èdiventata elemento costituente, a consistenti inve-stimenti per interventi di prevenzione nelle areead elevato rischio idrogeologico.8

La georeferenziazione preliminare di tutto ilpatrimonio monumentale, prevista per il 2001, e laparallela digitalizzazione delle aree soggette a dis-sesto, consentirà di porre in immediata evidenza imanufatti maggiormente a rischio sotto questoprofilo, prevedendo conseguentemente, oltre allacatalogazione, i necessari interventi di prevenzio-ne. In modo analogo si dovrà operare per i comuni(fortunatamente pochi in Lombardia) a rischiosismico, per i quali in ambito regionale in collabo-razione con il C.N.R. sono già stati condotti speci-fici studi e approfondimenti.

Per quanto riguarda il rischio ambiente-aria, la carenza di informazioni attendibili relati-ve alla maggior parte del territorio lombardo (lereti di rilevamento collegano attualmente centra-line localizzate esclusivamente nei centri maggio-ri) richiede l’avvio di una sperimentazione cheabbia come oggetto i singoli monumenti. A taleproposito è prevista, per il 2000, una rilevazione abasso costo delle concentrazioni medie annue dialcuni agenti inquinanti con il metodo dei campio-natori passivi: ciò contribuirà non solo alla valida-zione dei modelli per la diffusione degli inquinantiattualmente utilizzati, ma anche a una più precisaconoscenza della situazione specifica delle areeextra-urbane della Regione.9

Il fattore di rischio più complesso e critico daaffrontare nel passaggio ad una gestione regionaledel Polo della Carta del Rischio è certamente quel-lo antropico, che richiede una profonda revisioneconcettuale: esso non può essere esclusivamente“puntuale”, limitato, cioè, alla pur significativaraccolta di dati e all’elaborazione di indicatori dirischio relativi alla pressione antropica sul singolo

monumento, ma deve estendersi al contesto, alluogo in cui è inserito il bene, tenendo anche contodegli effetti, delle interazioni, della compatibilità edelle previsioni degli strumenti urbanistici.

È precisamente sul rischio antropico che sigioca la capacità della Regione di sviluppare ulte-riormente la Carta del Rischio per garantire il rag-giungimento degli obiettivi espressi in premessa ela ricomposizione tra tutela dei beni architettonicied archeologici, pianificazione urbanistica e delpaesaggio, valutazione e gestione dell’impattoambientale.

In altri termini, perché la Carta del Rischiopossa effettivamente diventare uno strumento disupporto alle decisioni ai diversi livelli territoriali,dovranno essere individuate e definite le relazionitra il Sistema Carta del Rischio e gli strumentidella pianificazione territoriale e urbanistica nelquadro delle linee generali di assetto del territoriolombardo precedentemente citate.

Di seguito cercherò di fare alcune considerazio-ni in merito, del tutto preliminari rispetto a suc-cessivi approfondimenti previsti in questa legisla-tura.

La prima è quasi banale: il processo di georefe-renziazione del patrimonio sulla cartografia tecni-ca regionale è un primo passo in questo senso.L’immediata evidenza del bene sulla Carta e la let-tura contestuale dei fattori di pericolosità costitui-scono, già di per sé, un importante informazione asupporto della pianificazione territoriale. Inoltre,nel momento in cui il bene viene catalogato e docu-mentato in modo approfondito anche nei suoiaspetti materici e nelle sue interazioni con il con-testo, si innesca un processo di valorizzazione delbene stesso, che è tanto più significativo quantopiù si estende dalla sfera degli addetti ai lavori,fino a diventare patrimonio comune degli abitantidel luogo.

La progressiva estensione della catalogazione edella conseguente georeferenziazione al patrimo-nio non solo vincolato, ma, più in generale, alpatrimonio di interesse storico-architettonico dif-fuso, secondo forme di collaborazione da indivi-duare con Province e Comuni, costituisce un ulte-riore passaggio, al quale deve conseguire la catalo-gazione dei centri storici e la loro perimetrazionesecondo metodologie standardizzate e condivise.Se è vero, infatti, che il tema del recupero dei cen-tri storici risulta spesso centrale negli obiettividegli strumenti urbanistici di ultima generazione,più fortemente orientati alla riqualificazione dellacittà esistente piuttosto che alla individuazione dinuove aree di espansione, è anche vero che sono

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8 Si fa riferimento alla Legge 18 maggio 1989, n.183 “Norme peril riassetto organizzativo e funzionale della difesa del suolo,(G.U.n.120 del c25 maggio 1989), che ha dato il via alla riorga-nizzazione di tutta la materia riguardante la difesa del suolo ealla Legge regionale 41/1997 che norma la prevenzione delrischio idorogeologico nell’ambito dei Piani regolatori comunali.

9 Per quanto riguarda più in generale le problematiche di tute-la ambientale in Regione Lombardia, si veda il recente Rappor -to sullo stato dell’ambiente in Lombardia, Regione Lombardia,Direzione Generale Tutela Ambientale, Milano 2000.

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10 Si fa riferimento alla legge l2 maggio 1990, n. 102,“Disposi-zioni per la ricostruzione e la rinascita della Valtellina e delleadiacenti zone delle province di Bergamo, Brescia e Como, non-

ché della provincia di Novara, colpite dalle eccezionali avver-sità atmosferiche dei mesi di luglio ed agosto 1987”.

tuttora molto frequenti strumenti generali deltutto privi di tali studi o con una documentazioneestremamente carente.

Si dovranno perciò definire metodologie perl’individuazione di altri edifici o ambiti costruiti,oltre a quelli tutelati ex L. 490/99, aventi valorestorico ed architettonico, innestando questa meto-dologia all’interno di quella già definita dellaCarta.

L’estensione del concetto di conservazione pro-grammata e dei relativi incentivi anche al patri-monio storico-architettonico diffuso e agli edificidei centri storici – così come in parte è già avvenu-to in Valtellina per gli antichi nuclei storicinell’ambito della Legge di ricostruzione 1 0 – ,l’applicazione di linee guida a supporto di taliinterventi, potranno contribuire a superare unapolitica di recupero all’interno della pianificazioneurbanistica che ha portato alla sostituzione conedilizia corrente di edifici con un valore storico ditestimonianza dei tratti caratteristici dell’abitarein quel luogo, o, nel migliore dei casi, a una visionevernacolare del progetto di recupero edilizio.

L’integrazione tra Carta del Rischio e SistemaInformativo dei Beni Ambientali nel quadro delPiano Territoriale Paesistico Regionale rappre-senta un passaggio obbligato per recuperare lerelazioni tra monumento e paesaggio sotto il profi-lo antropico e naturalistico. Approvato dalla Giun-ta regionale e presentato al Consiglio nel 1999,tale piano costituisce, come noto, un atto generaledi indirizzo per l’avvio di coerenti politiche di tute-la del paesaggio regionale ai diversi livelli. Fruttodi anni di studi e approfondimenti, esso è il princi-pale riferimento per individuare le aree a maggio-re rischio di degrado sotto il profilo paesistico.

In questo contesto, dovranno essere ricompresenel Polo Regionale della Carta, secondo metodolo-

gie da concordare con l’I.C.R. e la SoprintendenzaArcheologica, anche le aree di interesse archeolo-gico, già oggetto di precedenti studi e ricerchenella costituzione dello stesso Piano Paesistico.

Conclusa la fase di sperimentazione e test delprogetto, dal 2001 la gestione della Carta delRischio passerà secondo modalità da concordarealle Province. In questo modo si costituiranno ipresupposti perché la Carta, integrata con le infor-mazioni derivanti dal Sistema Informativo deiBeni Ambientali, costituisca uno degli elementi disupporto dei Piani Territoriali di CoordinamentoProvinciali, per la definizione di interventi di con-servazione programmata dei beni e di valorizza-zione e tutela delle risorse paesistico-ambientali.

È del tutto evidente che l’intero processo potràavere successo solo se impostato in una logica disussidiarietà e di condivisione di obiettivi, metodo-logie e strumenti da parte delle Soprintendenze,delle Province, dei Comuni e dei cittadini. Sottoquesto profilo è strategico intervenire su più fron-ti prevedendo, come si è già sottolineato, un ade-guato sistema di incentivi, qualificando gli opera-tori, attraverso interventi mirati di formazione,incrementando la conoscenza del patrimonio stori-co- architettonico e del paesaggio, la coscienza delvalore della “diversità” dei luoghi dell’abitare, laricchezza e la varietà delle stratificazioni storichedel territorio.

Infine, a partire dal Piano Paesistico, dal siste-ma dei parchi e della rete verde territoriale, laCarta del Rischio del Patrimonio Culturalepotrebbe essere ripensata e riletta come Cartadelle Opportunità di Valorizzazione Integrata, inuna logica di “gestione creativa”, del patrimonioculturale e del paesaggio, così come indicato negliobiettivi dello Schema di Sviluppo dello SpazioEuropeo.

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Ninfa Cannada-Bartoli 97

Fig. 1 - Mappa del Rischio dovuto aerosione dei materialli (ICR)

Fig. 2 - Polo regionale della Cartadel Rischio

Fig. 3 - Un esempio dal Piano Territoriale Paesistico Regionale

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1. Introduzione

La valle Brembana si estende a nord/ovest delcapoluogo bergamasco per un’area pari a Ha.75.350, corrispondenti ad un quarto dell’interaestensione provinciale. È una valle caratterizzata daun ampio bacino comprendente numerose convalli(Adda, Brembo ed altri fiumi minori) (Tav. I e II).

La conformazione fisica del territorio, piuttostovaria e inadatta a facili comunicazioni tra centriabitati, e un fondovalle scosceso hanno contribuitoa mantenere a lungo l’isolamento di questa valle.La morfologia del territorio comprende le AlpiOrobie ed altri rilievi montuosi (Pizzo dei TreSignori, Pizzo del Diavolo, Corte, Arera, Grem edAlben); in altura prevalgono i piccoli insediamentidi tipo alpino, le aree montane caratterizzate daboschi e foreste di conifere venivano utilizzati pre-valentemente a pascolo, scendendo verso la pianu-ra le specie arboree prevalenti sono faggi e casta-gni. L’estrema punta meridionale della valle èl’abitato di Villa d’Almè2.

L’area è stabilmente occupata dall’età preisto-rica (insediamenti in grotta): già da allora le popo-lazioni locali si dedicavano ad attività non stanzia-li, quali la pastorizia e l’estrazione di metalli dalleminiere della zona3.

Fino ad anni recenti dalle miniere della valle siestraeva ferro, a Valfondra galena, zinco e rame.Aree minerarie attive si trovavano alle pendici delmonte Arera e del Monte Vaccarego, Dossena fuper secoli un’importante località di estrazione dimetalli. Numerose erano anche le cave di marmi,pietre calcaree, puddinga, ardesia.

Probabilmente a seguito dello svilupparsi

dell’attività mineraria e del relativo mercato ebbe-ro origine i più antichi tracciati viari: una mulat-tiera che partiva dalla zona di estrazione e pas-sando per i valichi di Dossena, Valpiana, Selvino,attraverso Nembro e Albino giungeva a Bergamo,dove venivano venduti materie prime e manufatti.Da questo primo tracciato probabilmente si svi-luppò la “via dei Trafficanti”4.

2. La viabilità storica in valle Brembana

La struttura geografica e morfologica del terri-torio ha sempre costituito un problema per lo svi-luppo di vie di comunicazione adeguate a promuo-vere i commerci, gli scambi e lo sviluppo dei centriabitati. La costruzione della strada Priula, termi-nata nel 1594, costituì un fatto importante inquanto garantì collegamenti stabili e sicuri tramolti centri abitati della regione5. Prima della suaedificazione esistevano tre strade di valle, due chescorrevano lungo le rive del Brembo e la s t r a t am e r c a t o r u m, o via dei trafficanti. Questa stradascendeva dalla medio-alta Val Brembana passan-do per Nembro, posto all’inizio della Val Seriana e,scavalcando i monti intorno a Selvino, ridiscende-va poi sul Brembo nei dintorni di S.Giovanni Bian-co. Solo in un secondo tempo, con l’apertura di unavia più a monte per Aviatico e Cornalba, la stradaassume la configurazione definitiva, completandoil percorso con il passaggio per S. Giovanni Biancoe Cornello e giungendo fino alla Goggia.

Nel periodo precedente alla sistematizzazionedella via dei mercanti venivano utilizzati percorsisedimentatisi nel tempo, grosso modo corrispon-denti alle vie cavalcatorie che costeggiavano le due

IL CASO DI CORNELLO DEL TASSOVAL BREMBANA (BERGAMO)

P. Marina De Marchi, Antonio Zavaglia1

P. Marina De Marchi, Antonio Zavaglia 99

1 A Marina de Marchi si devono i § 1-6, ad Antonio Zavaglia il§ 7. Il testo con scheda edilizia in appendice è opera di PaoloMasotti.2 L. Pagani, Lineamenti geologici e morfologici della Provinciadi Bergamo, in Carta archeologica della Lombardia. II. La Pro -vincia di Bergamo, a cura di R. Poggiani Keller; Modena, 1992,pp. 23-42. 3 I. Cantù, Bergamo e il suo territorio. 1860, Milano 1860, p. 980ss.. R. Poggiani Keller, Aspetti culturali funerari tra Paleolitico

ed età del ferro, in Carta archeologica della Lombardia. II. LaProvincia di Bergamo, a cura di R. Poggiani Keller; Modena,1992 pp. 67-114.4 A. Fumagalli, Architettura alpina nella bergamasca. Ricerchenella valle Brembana, Imagna, Serina, Taleggio, Milano, 1979. 5 L’itinerario da Bergamo puntava su Albino e Nembro e da quiandava a Selvino, Rigosa, Ambriola, Pagliaro, Frerola, Serina,Dossena ed infine giungeva a S.Giovanni Bianco, per cui B.Belotti, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, Bergamo 1959,p. 357 ss.

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LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA100

Tav. I e II - Carte regionali Val Brembana e Cornello

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sponde del Brembo. Di queste una probabilmentecorreva lungo la riva destra del fiume, partendo daAlmenno S.Salvatore6 - forse ricalcando il traccia-to della strada romana - saliva a Costa Cavallina,giungeva in località Postiera e di qui, seguendo iltorrente Brembilla, giungeva a Sedrina e poi adInzogno. Oltre questo percorso la strada prosegui-va lungo tratti impervi raggiungendo Cà Pajana,Boer, Zogno, S. Pellegrino, S. Giovanni Bianco e laGoggia. La seconda strada, che correva sulla rivasinistra del Brembo, documentata da un atto dipace privato del 1253, forse aveva più tracciati. Èperò certo che Alvise Priuli, podestà veneto di Ber-gamo nei primi decenni del XVI secolo, venne invi-tato dalla popolazione a renderla carrabile7.

Il percorso previsto da Bergamo saliva adAlmenno fino all’odierna Madonna della Casta-gna, proseguiva per Villa d’Almé, superava i diru-pi della Botta, prendendo quota in corrispondenzadella località Ventolosa e Cà dell’Ora, infinecosteggiava il monte Bastia e giungeva a Sedrina.Da questa località, superato il ponte sul Brembo,si raggiungeva Zogno sulla riva destra del fiume,passando per Inzogno. In un disegno di PietroRagnolo datato al 1596, è segnato il percorso dellanuova via che da Zogno a S.Pellegrino costeggiavail Brembo, proseguendo poi fino a S.GiovanniBianco, a Cornello e a Camerata8.

Altri tracciati oggi non facilmente identificabi-li e probabilmente di origine antica collegavano icentri di valle.

La strada Priula, patrocinata da Alvise Priuli,fu voluta innanzittutto per ragioni strategiche emilitari connesse al quadro politico internazionaledi quegli anni, solo secondariamente per migliora-re la viabilità della valle e i trasporti di derrate ali-mentari (foraggi, varie forme di attività collatera-li) e di prodotti tra i diversi centri di valle.

I rapporti con Milano, passata agli spagnoli conla morte di Francesco Sforza (1553), richiedevanodi potenziare il tratto che conduceva al passo S.

Marco e di qui alla Valtellina e ai valichi transal-pini, onde evitare i transiti lungo il lago di Como,che comportavano il pagamento del dazio ai Mila-nesi e agli Spagnoli. Si trattava in realtà per laRepubblica di San Marco di garantirsi i transiti,attraverso la Valtellina9, per il Tirolo e i paesiasburgico renani10. Le varianti di percorso seguiteda questa strada, rispetto alle precedenti (la diret-trice Bergamo, Morbegno, Chiavenna raggiunge ilpasso Cà S.Marco attraverso la Valle di Mezzoldoanziché la Val Mera), produssero notevoli muta-menti economici e produttivi in valle e contempo-raneamente cambiarono i rapporti di egemonia trai diversi abitati di Valle. Alcuni vennero favoriti,altri rimasero tagliati fuori come Cornello delTasso e la stazione postale relativa. Nuovi centriemergenti furono, ad esempio, Zogno, Serina, Mez-zoldo.

Vincoli oggettivi fisico-geografici e tecnologicinon consentivano però lo sviluppo della Priulaoltre certi limiti, essa infatti non poteva essere tra-sformata in una carreggiabile, al massimo e solo inalcuni punti in una “birocciabile”, in altri rimane-va una mulattiera, anche per questi motivi si ebbeil parziale fallimento di questo percorso11.

A questa strada che facilitava gli scambi con iterritori imperiali oltr’alpe si deve senz’altro ilsuccesso della famiglia Tasso, gli Sturm undTaxis, imprenditori dei servizi postali tra laRepubblica di Venezia e le regioni settentrionaleeuropee.

Le strade porticate di valle sono l’elementocaratterizzante la struttura dei borghi servitidalla via mercatorum o “dei Trafficanti”. Le vielastricate generalmente attraversavano il centrodel paese costituendone la spina centrale: erano,quindi, integrate nel tessuto urbano; il tratto por-ticato fungeva da luogo di sosta per le carovane deimercanti, ma assolveva anche al cambio dei caval-li, aveva stalle, botteghe per i servizi e per gliscambi commerciali, stazioni di posta12.

P. Marina De Marchi, Antonio Zavaglia 101

6 Corte regia collegata a Bergamo in età longobarda quando undocumento d’archivio già segnalava una via pubblica, citata neltestamento del gasindio regio Taidone del 774, CDL. 293, 774,maggio. Archivio della Cartiera Lucchi di Zogno. B. Belotti, op.cit…, pp. 358-359.7 Archivio della Cartiera Lucchi di Zogno. B. Belotti, op. cit…,pp. 358-359. 8 B.Belotti, op. cit…, p. 360. 9 La Valtellina e i Grigioni, divengono in quest’epoca, il puntodi intersezione delle due grandi direttrici lungo cui si muove lapolitica internazionale: la direttrice nord/sud dominata dagliinteressi degli Asburgo e la direttrice est/ovest lungo la qualecorre l’alleanza tra Francia e Venezia, le due potenze che sisforzarono di tagliare la strategia, praticata dagli Asburgo, diconservare una continuità territoriale al proprio impero, F.Monteforte, La strada Priula tra commerci, politica e religione,Le strade storiche. Un patrimonio da salvare, a cura di M.Boriani e A. Cazzani, Milano 1993, pp. 233-245. 10 G. Scaramellini, La strada Priula: un nuovo itinerario nellaviabilità transalpina dell’età moderna, in Le strade storiche.

Un patrimonio da salvare, a cura di M. Boriani e A: Cazzani,Milano 1993, pp. 223-227. 11 Vedi n. 8.12 A. Cagnana, T. Mannoni, Archeologia e storia della culturamateriale delle strade piemontesi, in Archeologia in Piemonte, acura di L. Mercando e E. Micheletto, Torino 1998, pp. 39-50. Laprima stazione postale studiata stratigraficamente è il valicoappenninico della Suvera, che collegava l’Astigiano con il portodi Genova. Al nucleo medievale (fine XIII secolo) venne addos-sata alla fine del XVI secolo la corte centrale, delimitata su trelati da un portico colonnato. All’ampliamento cinquecentesco sidevono l’erezione della torre a protezione dell’accesso principa-le. L’ampliamento dei magazzini seminterrati (accessibilimediante botole) e le stalle per accogliere i muli. Tale strutturacaratterizza le s t a t i o n e s postali sia nell’Appennino che nelleAlpi. Generalmente la costruzione di complessi stradali si col-loca tra XVI e il XVII secolo, quando abbiamo il maggiore svi-luppo della rete stradale terrestre. Gli edifici delle stazionihanno conservato l’antico nome di volte, derivato dalla presen-ze di portici e magazzini voltati.

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Il minimo comune denominatore delle stazionipostali è dato dalla vicinanza ad un corso d’acqua edalla posizione in altura, quindi di difesa, di quiforse l’aspetto fortificato e protetto che distingue, adesempio, Cornello. Lo stretto spazio a disposizionetra fiume e monte concedeva all’abitato scarse pos-sibilità di espansione1 3. La mancanza di spazio nonconsentiva di separare il sistema viario dal sistemaedilizio. Il paese è un esempio di aggregazione spa-ziata lunga la linea di massima pendenza1 4.

La tecnica costruttiva delle vie porticate è sem-pre la stessa: “un’ ampia volta di accesso al porticoin blocchi squadrati di pietra poggianti su pilastritramite una spalletta aggettante pure in pietra”;la soffittatura è a travi in legno; le strutture mura-rie verso il fiume o la valle si aprono in arcate atutto sesto per dare luce al portico, mentre sulfronte opposto si affacciano le botteghe interne allecase del borgo. La strada porticata di Cornello pos-siede, a differenza di altri centri, la peculiarità diessere ancora oggi un elemento architettonico per-fettamente integrato al tessuto urbano, come adAverara il cui porticato conserva affreschi attri-buiti a G. Battista Guerinoni (1576)15.

A Zogno la via porticata è appena fuori dell’abi-tato lungo la provinciale presso un ponte sulBrembo, che si collegava ad una mulattiera per laVal Seriana1 6; e a S. Giovanni Bianco ove si con-serva per alcuni tratti (uno che segue la rivadestra del Brembo con ampi archi verso il fiume eutilizza parte della Priula; un secondo derivatodalla strata mercatorum, un terzo lungo il torren-te attraversato dalla via Milano/Val Taleggio).

3. L’architettura rurale in Val Brembana

L’elemento comune agli abitati della valle ècostituito dall’adeguamento delle strutture edili-zie aggregate per nuclei agli scarsi spazi disponi-bili, determinato dalla particolare morfologia delterritorio. Sono nuclei che si dispongono nellepoche zone aperte e accessibili e presso corsid’acqua, adattandosi e sfruttando le caratteristi-che del terreno. Nel caso di Cornello questa carat-teristica è evidente, il borgo di esigue dimensionisi adegua allo spazio libero tra lo strapiombo occi-dentale e la cima del monte. Il suo nucleo apparecompatto ed estremamente raccolto anche graziealla disposizione “quasi a ferro di cavallo” delle

case che si adeguano ai caratteri orografici delluogo.

Il materiale usato è prevalentemente la pietralocale tagliata in grossi blocchi sbozzati a vista,legati con malta, raramente intonacate e solo perle porzioni destinate ad elementi decorativi affre-scati. Gli archi e gli elementi decorativi sono inpietra, i più antichi in macigno scuro, i più tardi intufo e puddinga.

L’edificio inteso come unità edilizia vede preva-lere strutture a volumetrie ben definite, a muratu-ra pesante solo in rari casi intonacata. Le architet-ture risultano spesso il prodotto dell’aggregazionedi più corpi organicamente aggiunti nel tempo, perrispondere a necessità di ampliamento degli spaziabitativi e di servizi. Architettonicamente parlan-do l’effetto di volume prevale sulla parete. In fac-ciata le aperture sono scarse, gli edifici più curatihanno spesso logge in legno originariamente uti-lizzate per l’essicamento dei prodotti agricoli oboschivi, poi come spazi aggiuntivi della casa. Lacopertura è a falde o a doppio spiovente in lastre diardesia di forma irregolare, raramente in laterizi.All’interno il piano terreno è generalmente a volta,il superiore a solaio ligneo17.

4. Camerata e Cornello del Tasso

Una località in Val Brembana denominataC a m a r a t a viene citata per la prima volta in unapergamena conservata all’Archivio vescovile dellaCuria di Bergamo datata al 9 gennaio 1181.Dell’abitato non vi è invece menzione negli Statutidi Bergamo del 133118. Solo negli statuti del 1353si ricorda un comune “de S.ta Maria de Camerata”,cui spettava insieme ad altri centri la manutenzio-ne della strada che dal ponte della Morla conduce-va in Val Brembana19. Queste denominazioni sicu-ramente identificano l’attuale comune di Camera-ta Cornello.

Non si hanno notizie certe riguardo alla chiesache dovette precedere quella consacrata nel 1447dedicata a S. Maria delle Grazie20, riedificata nel1707 e dedicata alla Beata Vergine Assunta nel1737.

Per quanto riguarda Cornello la prima descri-zione del suo territorio risale al 1596, ed è conte-nuta nella relazione presentata dal Capitano Gio-vanni da Lezze al Senato Veneto, vi si specifica:

LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA102

13 N.Basezzi, T. Terzi, Le strade porticate, in Orobie, 10 (giugno1991).14 L.Dematteis, Case contadine nelle valli Bergamasche e Bre -sciane, Ivrea 1992, pp. 17, 58-59. 15 Ibidem.16 Zogno era un mercato delle biade e del lino, ruolo che avevastrappato alla concorrenza di Cornello e di S.Giovanni Bianco,con autorizzazione attribuibile a periodo precedente al XVsecolo, cfr. i cronachisti locali analizzati in Basezzi, Terzi vedin. 10, riportano che sotto i portici del paese si leggeva la scritta“mercato delle biade e dei lini”.

17 A. Fumagalli, op. cit…. 18 T. Salvetti, San Giovanni Bianco e le sue contrade, Clusone(Bg), 1994; Cornello a quei tempi forse costituiva un’appendicedel vicino centro abitato di Camerata, C. Colleoni, H i s t o r i aquadripartita di Bergamo et suo territorio nato gentile e rinatoc r i s t i a n o, Bergamo 1618. Il toponimo Cornello deriva da“corna” che in dialetto significa rupe, U. Zanetti, Paesi e luoghidi Bergamo, Bergamo, 1985. 19 Vedi n. 5.20 G. Rubsan, G. Figini, 8 maggio 1899. Giubileo dei PrincipiThurn und Taxis, Bergamo 1899.

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a) l’ubicazione rispetto al Brembo e alla ValBrembana;

b) la posizione ai piedi del monte e che, inoltre,“sotto terra vi è una strada nuova presso il Brem-bo con un mulino per grani”;

c) che nel territorio comunale vi sono altri duemulini e un maglio21.

La relazione aggiunge altri dati interessantiper comprendere la struttura sociale e le attivitàdei suoi abitanti: le case censite sono 73, 320 leanime, la popolazione conta 75 individui maschiadulti, oltre a donne, vecchi e bambini. Nel borgosoggiornano anche 6 soldati archibugieri, 4 pic-chieri, 1 moschettiere e 5 galeotti; inoltre vi erano150 vacche e 13 tra cavalli e muli. L’alto numero diarmati, in proporzione ovviamente all’estensionedel borgo, è indizio delle necessità di controllo, didifesa e di mercato, delle attività postali del luogo.Mentre l’economia del paese per la parte connessacon l’ allevamento indica l’autosufficienza con unamedia di circa due vacche per nucleo famigliare,all’allevamento si affiancava l’agricoltura. Altriintroiti erano garantiti dall’affitto delle osterie,che venne a cessare quando i traffici commercialifurono assorbiti dalla nuova strada Priula.

Le altre attività economiche sono costituite dallalavorazione di panni bassi, che venivano venduti almercato di Bergamo, e soprattutto di negotj fuoridella patria, in riferimento ai mercanti e agli addet-ti ai servizi postali ancora in funzione, nonostante inquesta data il declino del paese avesse già avuto ini-zio per l’apertura della strada Priula, che lo esclude-va dal principale percorso viario della zona.

G. Maironi da Ponte (1820) nel secolo scorsoricorda così il borgo: nel villaggio si vedono tuttoradei grandi caseggiati smantellati e crolati, i qualiindicano che quivi altra volta soggiornarono agia -te e signorili famiglie. A fregio poi singolare di que -sto alpestre luogo ridonda l’avervi avuto culla lanobile ed illustre famiglia de’ Conti Tassi22.

Il primo documento che menzioni la famiglia deTassi di Camerata risale al 1233, successivamentealtri membri della casata vengono ricordati: nel

1309 muore ser Homodeus de Taxis de Cornello,che si suppone abbia fondato l’attività di gestionedelle poste con il permesso della Repubblica Vene-ta, gettando così le basi per quella che sarebbedivenuta la compagnia dei corrieri della Serenissi-ma23. Altre fonti riportano che nel 1313 un mem-bro della famiglia Torriani di Milano si rifugiò aCornello prendendo il cognome de’ Tassi 2 4. Lostemma del borgo si compone di un cornetto, lostrumento usato dai corrieri per segnalare il loroarrivo, e di un tasso (che oltre a raffigurare un ani-male diffuso nella zona, richiama anche la deno-minazione della montagna Tasso, vicina al paese,e della casata dominante del borgo)25.

Poche sono le ricerche sul borgo di Cornello nelsuo complesso, gli storici bergamaschi si soffermanoparticolarmente sul legame stretto che unì questopaese, posto al crocevia tra la Valle Brembana supe-riore e l’Oltre Goggia, e sulla giogaia che separa laVal Brembana dalla Valsassina2 6, al sistema posta-le regolare fondato dalla famiglia Tassi (1290), cheperdurò almeno fino a coprire buona parte del XVIsecolo, dando al borgo un ruolo di rilievo rafforzatodalla fama del casato locale2 7. A questo proposito unde’ Taxis è ricordato con il titolo di c o n s u l di Cornel-lo e in questa veste pubblica partecipa ad una riu-nione che stabiliva le modalità di verifica di misuree pesi ogni tre anni2 8. Andrebbe verificata, anchecon ricerche archeologiche approfondite, l’ipotesiche ben prima di quanto indicato dalla documenta-zione nota, per altro disordinata e a carattere spo-radico, il borgo fortificato di Cornello costituisse ilcentro di potere e di controllo territoriale di unafamiglia nobile (i Tassi), che ne avrebbe fato un cen-tro difensivo, da attribuire cronologicamente aglianni delle lotte intestine, condotte tra Guelfi (gene-ralmente rappresentati dai comuni posti nellaBrembana meridionale) e Ghibellini, condotte consaccheggi e rapine tra un paese e l’altro2 9, come sot-tolinea anche I. Cantù (1860, p. 987), ricordandoche attraversando la valle si incontrano numerosiavanzi di antichi fortilizi che attestano le violenzericordate dagli storici locali del tempo.

P. Marina De Marchi, Antonio Zavaglia 103

2 1 Relazione dei Rettori Veneti in terraferma. Podestaria eCapitanato di Bergamo, vol. XII, Collana a cura dell’Istituto diStoria economica dell’Università di Trieste, Milano 1978; Gio-vanni da Lezze, Descrizione di Bergamo e suo territorio 1596, acura di V. Marchetti e L. Pagani, Fonti per lo studio del territo -rio bergamasco, VII, Bergamo 1988, pp. 296 ss.. 22 G. Maironi da Ponte, Dizionario adeporico o sia storico poli -tico naturale della Provincia bergamasca, Bergamo 1819-20,Vol. II, pp. 45-47. Una serie di carte relativa ai Tassi di Came-rata Cornello sono conservate nel Fondo Rovelli (dal 1340 al1630), conservato presso la biblioteca A. Maj di Bergamo. 23 Il Servizio postale si trasformò in una società per azioni consede a Roma, avente a sua disposizione: “Il bancho D. Lauren -tii de Taxis”, il legame dei Tassi con Cornello viene sottolineatodalla visita che il Principe Federico della Torre Taxis fece il 22aprile 1849 al paese d’origine della famiglia, di cui resta unalapide posta nella chiesa locale, cfr. B.Bellotti, Storia di Berga -mo e dei bergamaschi, Bergamo 1960, vol. 3, p. 396, vol. 6, p. 89,n.. 106.

24 Appendice I, in Gli Statuti della Valle Brembana Superiore,Fonti per lo studio del territorio bergamasco. Statuti, II, Berga-mo 1994, p. 355. 25 B. Bellotti, op. cit..., p. 395. Note sul casato principesco deiTassi (Thurn und Taxis), ormai legati all’impero, che gli avevariconosciuto dignità principesca sono anche in G. Maironi daPonte, Dizionario odeporico, o sia storico politico naturale dellaProvincia bergamasca, Bergamo 1819-20, Vol. II, p. 989. 26 I. Cantù, Bergamo e il suo territorio, Milano 1860, p. 989.27 Vedi B. Bellotti, G. Maironi da Ponte, G. da Lezze. 28 Appendice I, in Gli Statuti della Valle Brembana Superiore,Fonti per lo studio del territorio bergamasco. Statuti, II, Berga-mo, 1994, p. 355. 29 G.M. Varanini, Tradizione statutaria della valle Brembananel Tre-Quattrocento e lo statuto della Valle Brembana superio -re del 1468, in Gli Statuti della Valle Brembana Superiore.Fonti per lo studio del territorio bergamasco. Statuti, II, Berga-mo 1994, p. 21.

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LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA104

Tav. III - Planimetria di Cornello del Tasso

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5. L’abitato di Cornello

Cornello è uno dei più interessanti nuclei forti-ficati, di probabile origine medievale, della monta-gna bergamasca:

- per lo stato di conservazione ancora leggibilenel suo impianto urbanistico (Tav. III);

- per le tipologie edilizie e le modalità di aggre-gazione, che ricalcano attività economiche di tipoarcaico;

- per la morfologia dell’abitato, strutturalmen-te plasmata dalle caratteristiche naturali e dalleattività che ne hanno caratterizzato la storia: ladifesa abbinata alla funzione di luogo di stazionepostale e transito posta su lunghi percorsi.

Il borgo è organizzato attorno ad una spina cen-trale disposta parallelamente al corso del Bremboe all’andamento delle curve di livello del terreno esi compone di tre nuclei.

Il primo nucleo, parte fondante dell’edificato, siattesta su due fronti della cortina difensiva. Laparte orientale, più bassa, unifica più funzioni:fronte fortificato verso valle, area di servizio pub-blico poiché comprende la strada porticata, che neè parte integrante, e le botteghe aperte lungo i por-tici. Il carattere fortificato è accentuato:

- dall’accesso monumentale al borgo, costituitodal portale ad arco affiancato da una torre, checomprende un vano di raccolta e controllo (?) aduna campata; cui corrispondeva al termine oppo-sto della via porticata, un secondo accesso turrito,oggi demolito, ma visibile in un’incisione pubblica-ta da I. Cantù (1860, p. 990);

- dal doppio fronte di abitazioni disposte a cor-tina compatta che costituiscono la spina che attra-versa longitudinalmente l’abitato, il primo cheaggetta all’esterno verso valle e il secondo conaffaccio verso la parte interna del paese che è col-legata ed ha come epicentro la chiesa;

- dalla successione di corti comunicanti checostituiscono il porticato.

La strada porticata lastricata sul fronte a valleè aperta in ampie arcate (figg. 1 e 2), che dividonolo spazio interno in campate, corrispondenti cia-scuna ad una unità abitativa; sul lato a monte è

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Fig. 1 e 2 - Via Porticata e dettagli

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invece costeggiata da botteghe che ospitavano iservizi di mercato e di sosta dei corrieri (stalle,alloggio, deposito di mercanzie e di posta), sopra ilporticato corre un secondo ordine di edifici, d’usoabitativo che si ricollega al fronte opposto. Strada,strutture difensive, servizi, abitazioni compongo-no quindi un unico aggregato di elementi ediliziinseparabili. Le strutture murarie attestano lemodificazioni apportate nel tempo: tamponaturedi aperture ad arco, rifacimenti murari, interventidi adeguamento a nuove funzioni abitative. Unalettura attenta di queste stratificazioni, come dialtre documentate nei diversi edifici del borgo,permetterebbe una maggiore conoscenza dei feno-meni di formazione e di trasformazione dell’orga-nismo urbano.

Il secondo ordine di abitazioni, sopra il portica-to, occupa il piano superiore di ciascuna bottega.Un accesso, costituito da un sottopassaggio porti-cato, aperto appena oltre la porta di ingresso alborgo, immette ad una via interna, parallela aquella porticata, che dà accesso alla schiera dicase, costituenti il lato interno al borgo, dellastruttura abitativa-fortificata. Quest’area è colle-gata sia al nucleo della chiesa che, un tempo, alcimitero adiacente (situato nell’area del sagrato ?),

ricordato in una visita pastorale del 1548, sia allecase “signorili”, connesse al casato dei Tasso, cheracchiudevano il complesso urbano a sud.

Uno studio compiuto negli anni ‘70 ha appura-to che i vani interrati o posti lungo la via porticatapotevano essere separati dalla parti abitativeposte ai livelli superiori, poiché comunicavano conesse tramite botole, cui si appoggiavano scalemobili, accentuando il carattere difensivo o quantomeno di separazione tra funzioni pubbliche e vitaprivata. Un’analisi più recente dei percorsi internia questo specifico nucleo dell’abitato ha evidenzia-to camminamenti sotterranei e trasversali allesingole unità abitative, che mettevano in comuni-cazione abitazioni anche poste su diversi livelli.Questo artificio permetteva agli abitanti di comu-nicare tra loro senza avere contatti con l’esterno30.Anche la suddivisione degli spazi interni dell’edifi-cio ad uso abitativo risponde a tipologie modulari eripetitive31.

Un secondo nucleo di edifici, distribuiti lungola parte più interna del porticato e lungo il lato suddel borgo, sembrerebbe aver raggruppato in passa-to le case “signorili”, riferibili in buona parte alcasato dei Tasso. Una testimonianza lasciataci daA. Tiraboschi3 2 ricorda il palazzo “Tasso del Cor-

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3 0 I. Lacagnina, P. Masotti, “Il Cornello, paese ove nacque B.Tasso”. Proposta di salvaguardia e di recupero, tesi di laureaPolitecnico di Milano-Facoltà di Architettura, aa. 1998, relato-re prof. Andrea Bruno.

31 P. Tosetti, Il costruito nei secoli, in Cornello dei Tasso , Ber-gamo 1982, pp. 41-61. 32 A. Tiraboschi, Cornello di Val Brembana patria dei Tasso, inL’Eco di Bergamo, 19-20 settembre 1882; ma anche in B e r g o -mum, fasc. III (1968).

Fig. 3 - Stemma della Casata de’Tassi

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nello”, riconoscibile oggi nell’edificio che costitui-sce la testata della linea di fabbricati che si affac-ciano sulla strada centrale del borgo. Esso ai tempiin cui scriveva lo storico, recava ancora tracce diun utilizzo a dimora signorile, poiché conservavaal suo interno fregi dipinti, stemmi, affreschi e unsoffitto a cassettoni, ancora parzialmente conser-vati. Oggi rimane solo un stemma dei Tassi (fig. 3).Il secondo edificio nobile, anch’esso affacciato sullastrada principale interna, conserva l’aspetto delpalazzo: in facciata è visibile lo stemma del casato,eseguito ad affresco (restaurato), con aquila impe-riale in campo oro al piano superiore, corno posta-le in campo bianco, nella fascia mediana, e tasso incampo azzurro, nella fascia inferiore.

Di più certa attribuzione alla famiglia Tassosono i ruderi di un fabbricato a più ambienti (figg.4/5), distribuiti su più terrazzamenti posti a diversaquota verso il dirupo sul Brembo – situati su unpiano inferiore rispetto a quello di calpestio dellastrada porticata - che chiude a sud/est il paese.Dall’indagine operata nell’area si può dire che essoha i caratteri di un edificio forse compostodall’aggregazione di più corpi edilizi circondati daun muro di contenimento. L’edificio era fortificato eaffiancava, su un diverso piano di calpestio, la torremeridionale della via porticata. Nell’incisione pub-blicata da I. Cantù (1860) (figg. 6/7), questo fabbri-

cato mostra uno sviluppo in altezza corrispondentea cinque piani, ha spesse murature nella fascia infe-riore del lato sud e un ridotto numero di aperturesul fronte meridionale)3 3, la posizione panoramicapermette il controllo della valle e del corso del fiume(figg. 7/8), la vicinanza con le aree commerciali con-nesse al servizio postale e di mercato assicura con-temporaneamente verifiche su tutte le attività eco-nomiche che si svolgevano nel borgo. I restauri com-piuti nei primi anni ‘90 da A. Angelini3 4, hannomesso in luce le murature già restaurate nell’800 equelle sopravvissute dell’edificio originario che con-servano in parte malte probabilmente originali. Letecniche edilizie e i materiali rispondono alle carat-teristiche degli altri edifici del paese (pietre di cavalocale, spalle e conci degli archi in tufo), in dueambienti si conservano, integri o in parte, grandiarcate di comunicazione tra i vani, che sembranodenunciare un’eleganza propria all’edilizia pubbli-ca del paese (porte di accesso, ecc.). Gli scavi opera-ti durante le fasi del restauro hanno evidenziato chei piani di calpestio sono in parte in battuto, in partein acciottolato e in parte in roccia naturale. Sonostati messi in luce anche una canaletta di scarico,una fossa per calce e un pozzo. Non si conosce peròla sequenza stratigrafica delle evidenze conservateper cui è difficile ricostruire le relazioni d’uso e cro-nologiche intercorrenti tra gli elementi scoperti,

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33 La documentazione iconografica è citata in I. Lacagnina, P.Masotti, Vedi n. 30.

3 4 A. Angelini, Restaurati i ruderi delle case dei Tasso a Camera -ta Cornello, in Istituzioni e territorio, a. VII (1992), n.1, pp. 30-35.

Fig. 4 - Casa dei Tassi

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Fig. 5 - Casa dei Tassi

Fig. 6 - Incisione 1860 con veduta d Cornello

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così come risulta difficile individuare la funzione ele relazioni tra i diversi ambienti. Reperti ceramiciemersi in questa occasione (non rinvenuti in fasestratigrafica) danno interessanti indicazioni crono-logiche relative ai momenti di vita dell’edificio,abbondano i frammenti di ceramica graffita datatiai secoli XV, XVI e XVII, sono attestate ceramicheottocentesche probabilmente di scarico3 5.

Attualmente quanto è visibile della pianta per-mette di cogliere la divisione in più vani, separatida murature in pietra connesse con legante dimalta di calce, gli ampi archi di separazione tra gliambienti, la pavimentazione per lo più in pietra.

La posizione decentrata e direttamente volta avalle, permette di controllare le più importanti stra-de di accesso al paese: la strada di fondovalle prove-

niente da S. Giovanni Bianco, S. Pellegrino e Zogno,quella da Dossena, dalla quale si raggiungeva lacittà, la strada a mezzacosta che, attraversando ilvicino paese di Oneta, portava in Valsassina.

Oltre alla ceramica graffita, altre testimonian-ze storico-artistiche, come gli affreschi quattrocen-teschi e cinquecenteschi, talvolta sovrapposti stra-tigraficamente, visibili nell’attuale chiesa di Cor-nello dedicata ai SS.Cornelio e Cipriano, portano ariconoscere il momento di maggior sviluppo delborgo nel XV secolo, quando già in paese si cele-brava una festa in onore di S.Cornelio, contestual-mente alla conquista del territorio bergamasco daparte della Repubblica di Venezia (1428), che sisostituì al dominio dei Visconti. La chiesa è stataedificata probabilmente nel XII/XIII secolo36, forse

3 5 Conservate presso il locale Museo della Posta. In corso distudio da parte del dr. Mangili.36 Quando era dedicata alla Beata Vergine, Cornello del Tasso,Bergamo 1982, pp. 63-70; Ecclesia SS. Corneli et Cypriani lociCorneli, membrum suprascriptae parochialis: sacrata et asseri -tur iuris patronatus magn. Rugerii de Tassis, cfr. Gli Atti dellavisita apostolica di San Carlo Borromeo a Bergamo (1575), acura di Angelo Giuseppe Roncalli, Firenze 1945, 2 voll., p. 277.Una prima analisi della facciata della chiesa romanica mostranumerosi interventi edilizi, costituiti principalmente dal tam-ponamento di tre finestre nella sezione superiore della facciatae dall’apertura successiva di due monofore a tutto sesto affian-cate ad un’apertura ovale centrale, che sovrastano il portale a

sesto acuto in pietra con chiave di volta. Le aperture del secon-do ordine in facciata sono state riaperte in seguito ai restaurieseguiti a metà degli anni ‘80. In precedenza queste apertureerano murate, al loro posto era stata praticata una finestra ret-tangolare. Il recente restauro non ha tenuto conto della neces-sità di preservare alcuni elementi relativi alla tecnica costrut-tiva delle murature (malte) e delle testimonianze dei numerosirifacimenti sulle strutture murarie dell’intero complesso (com-prese le fiancate). Sono ormai scomparsi anche i lacerti degliaffreschi che affiancavano il portone, raffiguranti i SS. Cri-stoforo (a destra) e Antonio (a sinistra), cfr. Inventario deglioggetti di arredamento esistenti negli edifici di culto della Par -rocchia di Camerata Cornello , Bergamo, 28 luglio 1958. Incopia presso l’archivio parrocchiale.

Fig. 7 - Cartolina di Cornello risalente agli anni intorno al 1950

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negli anni cui risale la prima memoria della fami-glia Tasso di Camerata (XIII secolo), che già dadocumenti degli inizi del XIV secolo risulta legataalla famiglia de’ Tassi.

Il terzo nucleo interno al borgo può considerarsicomposto dalla chiesa romanica in posizionesopraelevata rispetto ai piani di calpestio del restodel paese, preceduta da un sagrato in terra battuta.A sud è protetta dalle case che formano il frontemeridionale del paese, alle quali era collegatamediante un viottolo a gradoni. Probabilmente unsottopasso, ora chiuso, ma attestato dalle tracce diun arco leggibile nella sezione inferiore della casache la fronteggia (oltre la piazza), la congiungeva altratto meridionale della via lastricata 3 7. Nelleadiacenze dell’edificio di culto doveva estendersi ilcimitero locale, forse distrutto o trasferito altrove,di cui si fa menzione nella relazione della visitapastorale del vescovo Vittore Soranzo (1548) chericorda “come detta chiesa era cimiteriale”3 8. Dalle

visite pastorali successive (vescovo Gian BattistaMilani, 1605) si può solo riscontrare il generaledeperimento dell’edificio, sia per quanto riguardagli altari, sia per lo stato di abbandono. Nei docu-menti successivi il cimitero non sarà più ricordato,e anche oggi non ve ne è traccia3 9. Nel 1615 il vesco-vo Giovanni Emo ordina che l’altare della Madda-lena, già in pessime condizioni nella descrizionecontenuta nella relazione della visita del 1548, siaabbattuto; probabilmente in connessione alla diffu-sione della peste, per questione igieniche, gli affre-schi della chiesa vengono inoltre coperti da calce.

L’edificio di culto è a navata unica monoabsida-ta. Sul fianco a monte è addossata la torre campa-naria in pietra a vista e ad impianto rettangolare.Essa ha due aperture a bifora sui lati della cellacampanaria, sul medesimo lato aggetta la cappel-la semicircolare dedicata a S.Antonio da Padova(costruzione aggiunta nel XVII secolo). Anche lasagrestia costituisce un altro corpo aggiunto, al

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37 Questo percorso che collegava la via meridionale di accessoal paese e la chiesa può essere anche messa in relazione, comealtri percorsi all’interno del paese, con la festa dedicata aS.Cornelio celebrata in loco Cornello iurisdictionis vallis pre -dicte e celebre in tutta la valle poichè lo Statuto che la legittimastabilisce parallelamente che nei giorni che precedono e seguo-no questa festa siano considerati festivi, Statuti della ValSeriana n. 31, 1430 e 1468 (revisione), cfr. G.M. Varanini, Latradizione statutaria della valle Brembana nel Tre-Quattrocen -to e lo statuto della Valle Brembana superiore del 1468, in Gli

Statuti della Valle Brembana Superiore, Fonti per lo studio delterritorio bergamasco. Statuti,II, Bergamo 1994, p. 43.38 G. Rubsan, G. Figini, 8 maggio 1899. Giubileo dei PrincipiThurn und Taxis, Bergamo 1899. 3 9 La maggiori notizie sulla chiesa ed il suo arredo liturgicosono contenute nella relazione della visita pastorale di S. CarloBorromeo del 1575, A.G. Roncalli (a cura di), Atti della visitaapostolica di S. Carlo Borromeo a Bergamo. 1575 , Firenze1945, voll. 2, pp. 277 ss.

Fig. 8 - Panoramica della valle dalla casa dei Tassi

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quale si accede dall’interno della chiesa. Essa sitrova in posizione opposta e simmetrica rispettoalla torre campanaria, accostata all’abside sul latoa valle. La chiesa situata nella parte interna delborgo, è protetta a ovest dal monte e a est dal fron-te porticato di case. L’edificio che fiancheggia lachiesa (lato est) è di recente costruzione.

6. Considerazioni conclusive

Cornello del Tasso è da considerare un unicum.Gli elementi ambientali e storici più significativisono:

- la posizione geografica su un dirupo di 482m.s.l.m. e la conformazione del suolo, che hannocondizionato l’assetto morfologico dell’abitato, chegode di un’ampia panoramica delle principali viedelle vicine valli;

- il legame stretto con la casata dei Tasso (fon-datori del sistema postale, dai quali discendevanoanche Bernardo e lo stesso Torquato, la nobilefamiglia degli Thurn und Taxis);

- l’essere stato integrato fino al XVI secolo (quan-do la costruzione della strada Priula lo escluse daigrandi traffici), in qualità di fulcro, nel sistema via-rio postale che coinvolgeva l’intera valle Brembana;

- il carattere di abitato fortificato.La funzione di statio postale e di mercato avuta

da Cornello nei secoli XV e XVI 4 0, hanno incisoprioritariamente sulla morfologia del nucleo abi-tato, che ingloba nel centro storico la via porticatadi transito dei mercanti e degli addetti postali finoa quando questa ebbe vita. Un riferimento a que-ste specifiche attività si ravvisa, oltre che nellostemma dei Tasso, nell’affresco conservato nellachiesa del borgo, che raffigura S.Eligio (590-660),orafo e cesellatore, vissuto presso la corte mero-vingia, protettore dei maniscalchi, mentre ferraun cavallo sull’uscio di una bottega nella qualefanno bella mostra tutti gli strumenti del mestiere(fucina, incudine, chiodi, tenaglie, ecc.) (fig. 9)41.

Perse le sue funzioni di luogo di sosta, perchètagliato fuori dalla viabilità maggiore della vallenon agevolato dalla posizione geografica suun’altura isolata, Cornello è rimasto immobilizza-to nel suo sviluppo e ha assistito ad una costanteemorragia di abitanti, ulteriore causa di degrado edi mancata manutenzione. Questa decentralizza-

zione, che si concretizza nell’ eccentricità e margi-nalità del borgo, ha fatto, però, si che il nucleo ori-ginario potesse sostanzialmente rimanere intatto,ma pone attualmente il problema della sua tutela,che per evitare l’abbandono o la musealizzazione,chiede una reintegrazione nel tessuto insediativodella valle, con le sole possibilità di un utilizzoturistico che non prescinda dalla conservazione edalla valorizzazione della memoria storica edell’identità culturale passata. Lo sviluppo turisti-co può aiutare42 il ripopolamento del borgo, secon-do principi di uno sviluppo sensibile e sensibilizza-to alla tutela: una mediazione tra le esigenze degliabitanti e la conservazione delle memorie storiche.

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4 0La funzione di mercato venne attribuita a Cornello, comu-nità Guelfa, da Pandolfo Malatesta (signore di Bergamo tra il1409 e il 1418), in Statuti della Val Brembana superiore, Coll.IV, n. 60, come atto di ostilità contro altri comuni della valle,oltre la Goggia, protetta dai Visconti, ASMI, Registri ducali,23, f. 207, Nel documento si ribadisce che il mercato viene toltoagli uomini Ultra Augugiam che erano sempre stati fedelissimiai Visconti. La contesa fra Cornello e S. Giovanni Bianco per ildiritto di mercato si riapre nel 1429, con la conquista venezia-na del territorio, BCB, S, VIII, 30, (AB 127), f. 18v, B. Belotti,Storia di Bergamo e dei bergamaschi, Bergamo 1960, vol. 3, pp.17, 49, 89, fa risalire la presenza del mercato a Cornello ad etàprecedente al 1430, funzione che viene messa in dubbio nel1439 per la richiesta di svolgere questa attività da parte del

consueto paese avversario di S.Giovanni Bianco, a seguito degliscontri tra la repubblica di Venezia e i Visconti di Milano,quindi ribadita a favore di Cornello nel 1451 dai Veneziani alloscopo di riattivare l’attività economica.41 Un dato curioso, del tutto insufficiente a dimostrare l’originedel borgo fortificato all’altomedioevo, è che molti dei santi raffi-gurati negli affreschi della chiesa rimandano ad età paleocri-stiana e longobarda: S. Agata, S. Stefano, S. Giorgio, lo stessoS. Eligio visse in età merovingia, G.P. Bognetti, I Loca Sancto -rum, in L’età longobarda, III, Milano 1967, pp. 305-345.42 Indicadores para l’evaluation del estado de conservation deCiudades Hostoricas, Junta de Andalusia, Granada 1999, pp.49 (a proposito delle diverse potenzialità

Fig. 9 - Affresco raffigurante S. Eligio nella chiesa diCornello

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Fig- 11 (in alto a destra) - Tamponamenti di finestre enuove aperture

Fig. 10 (in alto a sinistra) - Tamponamento conseguen-te alla privatizzazione di un passaggio pubblico

Fig. 12 (in basso a sinistra) - Chiusura della porta late-rale di accesso alla chiesa

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7. Il borgo medievale di Cornello del Tassotra tutela, distruzione e abbandono

Il borgo di Cornello del Tasso – per lo stato dileggibilità dell’intero complesso urbanistico – èuno dei nuclei storici più interessanti della Provin-cia di Bergamo e dell’intera Lombardia. Di esso,infatti, è ancora possibile cogliere appieno le carat-teristiche di morfologia urbana dell’edificato(apparato viario, dislocazione degli edifici) e leconnotazioni architettoniche dei singoli fabbricati.

Pur riconoscendo questa situazione di leggibi-lità, occorre tuttavia constatare come nel tempo, ein special modo negli ultimi decenni, siano avve-nute tutta una serie di trasformazioni, in teoriafacili da ripristinare, dovute a fenomeni superfeta-tivi, alla modificazione dei confini di proprietà,alla privatizzazione di aree pubbliche (corti aperted’ uso comune, strade, accorpamenti di unità edili-zie, etc).

Gli interventi conseguenti ai nuovi assetti pro-prietari hanno inciso significativamente nella pos-sibiltà di una immediata lettura dei percorsi edegli utilizzi originari di spazi connessi alla vitadella comunità.

Pur essendosi conservato l’aspetto fortificatoaffacciato a strapiombo e sviluppatosi lungo il cri-

nale del dirupo, ne risulta mutata la superficie deifabbricati, connotato distintivo dell’ edilizia tradi-zionale di questo territorio. Sono in tal senso evi-denti tamponamenti (figg. 10, 11, 12) e nuoveaperture (figg. 11, 12), nonché eliminazione e rifa-cimenti di rinforzi d’ angolo, di cornici, di stipiti.Gli stessi interventi di restauro hanno teso, piùche a conservare e a valorizzare il costruito, arestituire un’immagine mondata e pittorica dell’aura storica del paese, con un atteggiamento men-tale assolutamente estraneo al rispetto filologicodel bene e all’ esigenza di trasmettere dati oggetti-vi per analisi e ricerche storiche di settore.

I nuovi bisogni abitativi, lasciati senza control-lo, hanno indotto modifiche pesanti e, per altro, incontraddizione con la presunzione di restituireuna rappresentazione da cartolina del luogo.

In sequenza queste le alterazioni più frequenti:costruzione di balconi continui lungo l’intero fron-te dei fabbricati, di forme e in materiali incoerenticon la tradizione del luogo (figg. 13 e 14), che, lad-dove permane, si compone prevalentemente di log-giati lignei; chiusura a vetri continui e finiture inalluminio anodizzato di logge ad arcatelle (utiliz-zate originariamente per la conservazione di der-rate alimentari, come spazi di servizio e fienili);sostituzione di tetti in coppi con coperture in

Fig. 13 e 14 - Nuovi loggiati

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Fig. 16 - Intonaci recentiFig. 15 - Tetto in lamiera di recente impianto

LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA114

lamiera o in eternit (fig. 15); proliferazione di gab-biotti tecnologici, in ottemperanza alle nuovenorme di sicurezza, per le quali si sarebbero potu-te cercare soluzioni diverse.

Per quanto attiene gli apparati murari, soltan-to in alcuni edifici si è conservata la tessitura ori-ginaria in bozze di pietra o ad intonaco. Gli inter-venti più massicci e negativi si sono avuti nelladistruzione degli intonaci, sostituiti da materiali etecniche moderne, adatti a villini residenziali diperiferia urbana, ma assolutamente estranei allatradizione locale (fig. 16). Anche i colori utilizzatirispondono ai modelli sottoculturali che si sonodiffusi negli ultimi decenni, purtroppo non solo aCornello.

Tutto questo è stato possibile in mancanza diuna cultura diffusa del rispetto della storia nellesue varie manifestazioni, specie in quanti per for-mazione e titoli accademici avrebbero dovuto assu-merne la cura.

In carenza di rilievi storici dell’abitato, unamigliore conoscenza delle origini di Cornello e deisuccessivi sviluppi storici di questo organismourbano andava operata con una ricerca storico-architettonica comparata e con le tecniche offertedalla ricerca stratigrafica applicata all’analisi

degli apparati murari, di rilievi cartografici e foto-grammetrici, di indagini dei materiali edilizi e deileganti. Cosa che è ancora fattibile in alcuni casi,per altri è purtroppo troppo tardi.

In questo la facoltà di indirizzo degli enti ditutela sembra essersi scarsamente espressa. Ilborgo, infatti, seppure formalmente vincolato conD.M. 2 aprile 1965, ai sensi della legge 29 giugno1939, n. 1497, che dichiara il “notevole interessepubblico” del vecchio nucleo abitato di Cornello delTasso e nonostante la redazione nel 1982, ad operadegli architetti Brambilla e Tosetti, di un Piano diRecupero, non ha goduto di quell’attenzione alta epartecipe, che la sola esistenza e il vincolo ambien-tale gli avrebbe dovuto garantire.

D’altronde nessuno intende mummificare lastoria, che ha tutti i diritti di esprimersi anche nelpresente, ma è evidente che abbiamo perso notevo-li occasioni di conoscenza storica e di tecniche emodalità costruttive, quando bastava almenodocumentare l’edilizia com’era giunta a noi, cioègià stratificata dalle vicende storiche, per procede-re poi a dare una serie di indirizzi per gli interven-ti, sia volti alla conservazione, sia alla compatibi-lità tra nuove esigenze e funzioni originarie. Ècerto che in assenza di conoscenza è difficile forni-

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Fig. 17 - “Restauro” del fianco meridionale della chiesa

re linee di indirizzo, al massimo si può evitare ilcattivo gusto.

L’impressione che oggi si ricava visitando ilpiccolo centro urbano è quella di un’assenza ditutela, da parte di tutti gli attori che, a vario tito-lo, ne avrebbero avuto competenza: lo stato, laregione, la provincia e lo stesso comune.

È ben vero che negli ultimi anni molte iniziati-ve hanno cercato di promuovere il sito – nel 1990 èstata anche costituita la Fondazione “MuseoTasso” – però tutto questo non ha costituito, al dilà del recupero di un edificio con destinazione pub-blica, l’imbocco di un possibile percorso di valoriz-zazione di Cornello.

Nel 1993 la Direzione Generale Cultura hafinanziato, su richiesta della provincia di Berga-mo, ente proprietario, il progetto di recupero eriuso con destinazione museale di un’altra unitàabitativa. Al momento è stato completato l’inter-vento edilizio, manca tuttavia l’allestimentomuseale vero e proprio.

È prevista la realizzazione di un terzo polomuseale nell’ultima unità abitativa, recentementerestaurata, della strada coperta. Nel medio perio-do Cornello del Tasso avrà probabilmente la piùalta concentrazione museale nazionale in rapportoalla dimensione urbana e alla popolazione resi-dente (40 abitanti).

Tutto questo è sicuramente importante ai finidella valorizzazione del nucleo urbano; bisognatuttavia chiederci come si rapporta e si intrecciaalle esigenza di tutela, che sono alla basedell’incontro odierno e costituiscono un obiettivoirrinunciabile, a vario titolo e con diverse respon-sabilità, della nostra operatività.

Lo stesso Piano di Recupero ha in qualchemodo garantito la conservazione delle volumetriee degli spazi, ma non ha potuto impedire la mas-siccia manomissione degli interni per adeguarli aimodelli cittadini, cosicché la struttura internadegli edifici, anch’essa parte essenziale dell’iden-tità storico-architettonica del borgo, è stata dan-neggiata con interventi irreversibili.

Il risultato è una “idealizzazione” della formaattraverso la preservazione pittoresca del sito,utile magari per l’odierna comunicazione turistica,ma scarsamente sensibile alle esigenze di tutela,perché in buona sostanza si è conservato un simu-lacro di forma, ma non la sua storicità (fig. 17).

Il problema di Cornello del Tasso – cioè delruolo e del significato che le parti più vecchiedell’insediamento hanno tuttora nel sistema dellenostre città e del territorio – è un problema diffu-so, assimilabile nelle sue manifestazioni peculiaria quello dei centri storici. È un problema che si èprospettato in Italia e in Lombardia già dai tempidella ricostruzione postbellica, anche se solo intempi recenti esso è stato soddisfacentementechiarito nei suoi fondamenti teorico-politici e i

fenomeni evolutivi hanno ricevuto un’organicadefinizione. Una questione quindi maturata direcente, ma anche una questione urgente da sem-pre – come ci ricorda dal lontano 1961 la Carta diGubbio, l’atto ufficiale di un impegno operante peri centri storici italiani – la quale rischia di diven-tare una delle tante malattie croniche che il paesesi trascina.

Tutti problemi generati dal processo di trasfor-mazione della nostra struttura socio-economica, dicui si sono misurate le manifestazioni, si conosco-no le cause e i meccanismi e si prevedono anche gliulteriori sviluppi negativi, ma che restano sostan-zialmente immutati e continuano a riprodursinella misura in cui non vengono affrontati perquello che sono, e cioè in quanto effetti di unmodello disarmonico di sviluppo della nostrasocietà.

Il problema di Cornello, così come quello deicentri storici – e, per alcuni versi, di quei manufat-ti in disuso che oggi vengono definiti “archeologiaindustriale” – è sostanzialmente una questione diincongruenza fra i modi di organizzazione dellospazio e delle attività in esso insediate quali eranonel passato e quali sono ora o nel futuro che si pro-spetta. Vi sono cioè siti, contrade, parti di città,

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porzioni di territorio, che “non funzionano” secon-do la logica del meccanismo complessivo che si èvenuto determinando, in Italia e in Lombardia,per quanto riguarda le forme dell’abitare e dellavorare, dell’organizzarsi della vita di relazione,dei modelli di vita degli individui e delle famiglie:“non funzionano” secondo la logica attuale, perchèsono stati fatti per funzionare secondo logichediverse, cui erano estranee – per esempio – le auto-mobili, gli arredi di serie in misura unificata, lastessa attività industriale, oltre alle funzioni delterziario e del tempo libero di massa. Questi pro-blemi, già complessi, si intrecciano, nel caso diCornello del Tasso, a quelli specifici di un borgomontano decentrato: fondamentalmente la scar-sità di risorse e di servizi.

È evidente come qualunque obiettivo di tutelanon possa prescindere dal coinvolgimento dellapopolazione stabilmente insediata in un piano di

salvaguardia attiva, che non mortifichi i bisognielementari e contemporaneamente faccia emerge-re le opportunità positive di tale atteggiamento,non solo da un punto di vista culturale, ma anchein rapporto alle possibili ricadute economiche.

La risorsa principale di Cornello appare almomento quella turistico-culturale. Bisognerà tut-tavia evitare i pericoli che questa vocazione puòcostituire per le dimensioni oggettive del borgo.Anche per questo andrebbe allargato l’ambito terri-toriale, estendendolo all’intera Val Brembana, chepresenta caratteri di grande unitarietà: basti pen-sare al “sistema” delle vie porticate, che lega Cor-nello ad Averara, S. Giovanni Bianco e Zogno. Inquest’ottica il “sistema” museale di Cornello potreb-be svolgere un ruolo importante di stimolo alla cono-scenza e di promozione di un “sentimento” diffusodella tutela, premessa indispensabile per una salva-guardia partecipe e cosciente del bene culturale.

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Il lavoro che è qui illustrato deriva, in granparte, da una tesi di Laurea discussa nell’annoaccademico 1996/97 presso la Facoltà di Architet-tura del Politecnico di Milano, relatore il Prof.Andrea Bruno e correlatore l’Arch. GualtieroOberti. Tema di questa tesi è il recupero e la valo-rizzazione di Cornello dei Tasso mediante lo stru-mento urbanistico attuativo del Piano di Recupe-ro.

Per fare ciò, evidentemente, la scelta dellametodologia di raccolta, studio ed elaborazionedella notevole quantità dei dati richiesti ha costi-tuito un momento fondamentale della fase istrut-toria; per conciliare le esigenze di accuratezzadelle analisi e di chiarezza espositiva si è deciso diricorrere ad un tipo di schedatura analitica model-lata su quella definita in precedenti esperienzeaccademiche, badando di studiare le opportunemodifiche per adattarla ad una realtà senza dub-bio peculiare come quella di Cornello.

Dovendo occuparci sia dell’aspetto esternodegli edifici, sia delle loro caratteristiche distribu-tive interne, si è deciso di articolare la schedaturain due fasi distinte, la prima dedicata esclusiva-mente agli edifici nel loro insieme (unità edilizie) ela seconda orientata invece all’analisi dei singoliappartamenti (unità immobiliari).

La prima necessità è stata quella di individua-re in modo univoco e chiaro le “unità minime” dianalisi del tessuto urbano; edifici accorpati tra diloro per esigenze di tipo difensivo e di protezionedagli agenti atmosferici fin dalla loro costruzione eprofondamente modificati in seguito nella distri-buzione interna da ripetuti frazionamenti e darecenti trasformazioni, hanno reso l’analisi piutto-sto complessa. Gli stessi dati catastali, spesso nonrilevati o non aggiornati da oltre quarant’anni, sisono dimostrati non in grado di fare chiarezzanelle situazioni più incerte; nonostante tutto ciò, èstato infine possibile definire le unità edilizie conuna certa precisione, tenendo conto dell’omoge-neità tipologica e formale delle singole abitazioni,oltre che dello stato di conservazione uniforme dimolte parti del tessuto edilizio.

Una volta definite le singole unità edilizie, ne

abbiamo rilevato le planimetrie, utilizzando alloscopo in parte le planimetrie catastali ed in partequelle del precedente piano di recupero, confron-tando poi il tutto con un controllo diretto sull’edifi-cato; è stato così possibile stendere, in scala 1:200,l’aggiornamento delle planimetrie di tutto il cen-tro abitato, sia nel suo complesso, sia separandotra loro le singole unità edilizie.

L’esiguità dell’abitato, l’omogeneità della suastoria ed il relativo isolamento dello stesso cihanno suggerito di privilegiare un’analisi di tipoquantitativo e qualitativo, limitando lo studiodell’evoluzione storica soprattutto al paese nel suocomplesso, senza approfondire in modo specifico lastoria dei singoli edifici; per ognuno di essi è statofatto riferimento alle sole eventuali variazioniintercorse tra la stesura delle principali soglie sto-riche esistenti.

Ogni scheda, caratterizzata da un numero pro-gressivo, prevede una prima parte di “dati genera-li”, necessari per l’individuazione senza incertezzedell’edificio, nella quale vengono rilevati la pro-prietà, l’ubicazione del fabbricato, i dati catastali,la dotazione essenziale di servizi e la destinazioned’uso corrente. Chiude il primo settore di ognischeda una breve sezione dedicata ad un’analisi ditipo “qualitativo”: vengono rilevati tipologia edili-zia, valore morfologico ed eventuale presenza dielementi “in contrasto” rispetto al valore dell’edifi-cio.

La seconda parte della scheda, che costituiscela sezione più rilevante della stessa, consiste inuna minuziosa analisi di ogni edificio articolatamediante nove voci; in esse viene rilevato per ognielemento strutturale o di complemento il materia-le costitutivo ed il livello di degrado, espresso perogni categoria in valori crescenti da 1 a 3 in passida 0,5. Una formula finale esprime in forma divalore numerico il degrado caratteristico dell’edifi-cio analizzato, utilizzando una media matematicaottenuta “pesando” ogni voce con un valore specifi-co.

L’ultima sezione della schedatura per unitàedilizie raccoglie alcune osservazioni di caratteregenerale sull’edificio, oltre ad una vera e propria

RECUPERO E VALORIZZAZIONE DI CORNELLO DEL TASSO

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proposta di tutela e valorizzazione dell’unità ana-lizzata, espressa mediante l’elenco schematicodegli interventi ritenuti necessari per struttura,facciate e complementi. L’indicazione delle desti-nazioni d’uso compatibili e di quelle consigliatechiude la scheda.

Per effettuare la seconda schedatura, ogniunità edilizia è stata poi suddivisa nelle singoleunità immobiliari presenti, indicate poi con ilnumero arabo della loro unità edilizia più una let-tera maiuscola; compito meno agevole del previ-sto, soprattutto a causa del particolare fraziona-mento esistente all’interno dei singoli edifici, checi ha spesso costretto ad integrare i dati in nostropossesso con colloqui chiarificatori con i singoliproprietari. In generale, è stata definita unitàimmobiliare ogni insieme di locali appartenentialla medesima unità edilizia ed allo stesso pro-prietario; i locali accessori come le cantine ed idepositi, quando non direttamente collegati alresto delle proprietà, sono state indicate a partecome unità immobiliari indipendenti.

Per ogni unità immobiliare sono stati eviden-ziati le unità edilizie coinvolte, il numero dei pianie dei locali abitabili; per ogni scheda è stato indi-cato il nome del proprietario, con l’indicazione dieventuali altre proprietà possedute nella frazione,il titolo di godimento ed il tipo di uso prevalente(residenziale, saltuario, affitto turistico a terzi,inutilizzato). Le informazioni sono state completa-te da destinazione d’uso, dotazione di servizi e pla-nimetria in scala 1:200 di tutti i vani compreso

quelli eventualmente in comune con altri apparta-menti; ogni locale è stato numerato e per ciascunoè stata indicata la superficie complessiva, la desti-nazione d’uso prevalente ed infine il grado di salu-brità, utilizzando allo scopo gli indicatori richiestidal Regolamento di Igiene della Regione Lombar-dia. Le note finali descrivono in generale la distri-buzione interna dell’appartamento e riportanoeventuali particolari non altrimenti descrivibili.

Anche in questo caso, la destinazione multipladi molti locali, insieme ai numerosi casi di sottou-tilizzo o addirittura di completo abbandonodell’immobile hanno spesso reso difficoltosa l’attri-buzione della corretta destinazione d’uso; nei casiin cui l’attribuzione è rimasta incerta, è stata indi-cata quella prevalente, segnando eventualmentein nota i riferimenti alternativi.

La duplice schedatura così ottenuta costituisceuno strumento importante per la conoscenza diCornello e rappresenta una base informativa sullaquale eventualmente proseguire in altre e più spe-cifiche direzioni la ricerca. La scelta di privilegiarealcune voci rispetto ad altre, funzionale allo scopoche la ricerca accademica si prefiggeva, potrebbeagevolmente essere ridiscussa in modo da orienta-re l’intero lavoro ad altre esigenze. La trasposizio-ne in chiave informatica dei dati raccolti, oltre chepiuttosto semplice dal punto di vista dell’esecuzio-ne, permetterebbe infine di ottenere un archivioelettronico consultabile come un comune d a t a b a -s e, con innegabili vantaggi per la consultazione,l’aggiornamento e, all’occorrenza, la distribuzione.

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La “Mappatura culturale della città vecchia diGenova”, la cui prima parte è stata eseguita tra il1994 ed il 1996 e la seconda tra il 1997 ed il1 9 9 91, ha riunito i sottoprogetti 2 e 3 del ProgettoCivis Ambiente, cofinanziato dal Comune diGenova e dall’Unione Europea nell’ambito delprogramma Life. I sottoprogetti riguardavano lacreazione di strumenti di supporto alla pianifica-zione urbana ed in particolare il sottoprogetto 2prevedeva la realizzazione di un sistema infor-mativo territoriale ambientale per il centro stori-co ed il sottoprogetto 3 la realizzazione di unsistema di ricognizione archeologica dei suoli estatica degli edifici.

Il gruppo di lavoro, costituito da dodici archi-t e t t i2 facenti capo al Laboratorio di cartografia edocumentazione dell’ex Istituto di storiadell’architettura (attuale Dipartimento Polis)della Facoltà di architettura dell’Università deglistudi di Genova, è stato coordinato, per i diversiambiti disciplinari, dai professori Andrea Buti3,Tiziano Mannoni4 ed Ennio Poleggi5.

Credo sia doveroso, prima di passare ad indica-re le modalità di realizzazione ed i risultatidell’operazione, accennare brevemente alla conce-

zione della città che ha ispirato il lavoro ed almetodo che ha guidato con sistematicità l’esecu-zione della mappatura. Il concetto urbanistico, rie-laborato ed applicato in questo lavoro, nascedall’approfondimento di studi condotti da storicifrancesi quali Bloch6, Poete, Braudel ed Chastel7.Le loro applicazioni hanno dato vita ad una sferaculturale decisamente innovativa basata sullamolteplicità delle letture ed è da questo nuovo con-cetto di storia e di società che discende il modo piùcoerente ed efficace di analizzare ed interpretarela dinamica materiale ed urbanistica degli inse-diamenti. Con tali premesse e nella convinzioneche non sia possibile imbrigliare una realtà com-plessa, come quella di un patrimonio edilizio oanche di un singolo manufatto, in definizioni stati-che che fotografano un aspetto od un momentocaratteristico dell’edificio, è stata redatta la map-patura che senza dubbio ha arricchito la storiaurbana ed ha contribuito ad innovare il governourbanistico della città8.

Il gruppo di lavoro ha messo a punto, non senzadifficoltà, un data baserelazionale9 (Software Ora -c l e) comprendente più di 40.000 schede di rileva-zione documentate da circa 15.000 foto digitali1 0

LA MAPPATURA CULTURALE DELLA CITTÀ VECCHIA DI GENOVA: UN METODO PER UNA

LETTURA NUOVA DELLA CITTÀRita Vecchiattini

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1 Attualmente è ancora in fase di conclusione l’operazione diinserimento dei dati in Internet ma la maggior parte delleinformazioni sono comunque accessibili al seguente indirizzo:http://bianco.arch.unige.it/oralink.2 Daniela Barbieri, Carlo Bertelli, Silvana Brunetti, MarinoFiorito, Cristina Giusso, Tulliola Guglielmi, Ilaria Ivaldi, IvoMassardo, Nicoletta Poleggi, Claudia Resasco, Anna Utke eRita Vecchiattini. Con la partecipazione in alcune fasi dellaricerca di Nicoletta Bevilacqua, Claudio Cicirello, GabrieleFezia, Maria Rosa Merello, Lucilla Paci, Elisabetta Pieracci eMaximilian Rizzardi.3 Professore associato del Corso di Consolidamento degli edificistorici (DIP.ARC.).4 Professore associato del Corso di Caratteri costruttividell’edilizia storica e Rilievo ed analisi tecnica dei monumentiantichi (D.E.U.I. M.).5 Professore ordinario del Corso di Storia dell’Urbanistica(POLIS).6 M. BLOCH 1949, Apologia pour l’historie ou métier d’histo -rien, “Cahiers des Annales”, Paris.

7 Il metodo, nato dal lavoro della é q u i p e parigina istituita daAndré Chastel per studiare il quartiere delle Halles prima chefosse demolito in favore della costruzione del Beaubourg(1965/1977), consente un produttivo ritorno alla descrizionepuntuale degli oggetti edilizi e degli elementi urbani comedocumenti di una dinamica di proprietà e di uso. F. BOUDONet al. 1977, Système de l’architecture urbaine. Le quartier desHalles à Paris, Paris.8 Il lavoro è servito da supporto alla redazione del nuovo P.R.G.della città.9 Durante la prima fase del lavoro, che ha coinciso con l’effet-tuazione dei sopralluoghi, è stato utilizzato il softwarePanora -ma che è in grado di gestire in modo semi-relazionale tabelle informato testo con dimensioni del record particolarmenteampie. Inoltre P a n o r a m a ha consentito di archiviare, in f i l eP i c t separati e predisposti per la conversione finale in J F I F -JPEG, le numerose immagini digitali.1 0 Realizzate con Quick Take 100, una macchina fotograficache realizza immagini con lo stesso angolo visuale dell’occhioumano e pertanto strumento adeguato per documentare detta-gli, quali portale o balaustre, meno efficiente per documentarequadri di insieme, quali prospetti o coperture.

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ed oltre 1.500 schemi funzionali, redatti sullabase del rilievo dei piani terra eseguito dal prof.Luigi Vagnetti1 1 nel 1972. Tutte le informazionisono collegate ad una mappa numerica (S o f t w a r eM a p I n f o) della città vecchia realizzata sulla basedelle carte tecniche regionale1 2 (scala 1:5.000) em u n i c i p a l e1 3 (scala 1:1.000), digitalizzate aschermo con l’aiuto di scansioni, e verificate sullabase dei contorni del rilievo comunale 1 4 ( s c a l a1:500). Il ricorso a tale sistema di gestione dellacartografia consegue alla ricerca di una logicanuova che permetta una migliore interrogazionedei fenomeni e dei dati reali. Il fatto di disporre diuna struttura versatile migliora i risultati otteni-bili permettendo di scomporre in modo capillaregli elementi, di attribuire ad essi molteplici classidi valore o di accedere ad una rappresentazionevisiva asservibile alle diverse necessità. Lamappa realizzata offre infatti la possibilità dicostruire carte inventariali (Fig. 1), che mostranola distribuzione delle variabili rilevate, e cartetematiche (Fig. 2), che consentono di evidenziaretemi specifici. Oltre alla mappa attuale della cittàsono state restituite alcune fonti cartografiche

storiche in modo da consentire la visualizzazionedelle variazioni occorse nel tempo all’internodell’edificato, mediante la sovrapposizione dellestesse. La “scoperta” di tali modificazioni, esteseo particolari, unita all’analisi di altre fonti,dall’iconografia al dato materiale, porta a colma-re le grandi lacune esistenti nella conoscenzadello sviluppo urbanistico ed architettonico dellacittà (Fig. 3). In particolare sono state digitalizza-te la cartografia relativa alla Gabella Possessio -num 1 5 del 1414, la carta dei Padri del Comune1 6

del 1656, la carta del Catasto napoleonico1 7 d e l1810 e la carta del Catasto fabbricati del Regnod ’ I t a l i a1 8 del 1907.

Altri elementi dell’indagine, oltre la cartogra-fia, sono le fonti archivistiche e la relativa loca-lizzazione dei dati. Sono state infatti trascrittealcune fonti a carattere seriale capaci di offrireriscontri quantitativi quali i dati catastali pre-senti nell’Estimo della Repubblica DemocraticaLigure per il centro urbano1 9 del 1798 e nel Cata-sto fabbricati del Regno d’Italia2 0 del 1907 ed idati censuari relativi al Censimento dellea n i m e2 1 del 1804 ed al Censimento della popola-

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11 Il rilievo venne curato dal prof. Luigi Vagnetti ed eseguito daricercatori e studenti facenti capo all’ex Istituto di rappresen-tazione architettonica della Facoltà di architettura dell’Uni-versità degli studi di Genova. Venne pubblicato nel “Quadernodell’Istituto di progettazione” nell’aprile del 1972.12 Gli errori sono considerevoli per quanto riguarda la limitataaccuratezza della forma geometrica degli oggetti restituiti masono invece ridotti per quanto riguarda l’esattezza geometrica.Tuttavia gli errori non hanno carattere sistematico perciò leincongruenze nella misura tendono a compensarsi.13 L’accuratezza geometrica risulta superiore rispetto a quelladella carta tecnica regionale ma subentrano errori a caratteresistematico dovuti alle deformazioni dei supporti cartacei percause legate al meccanismo di riproduzione eliografica o a fat-tori igrometrici.14 Tale rilievo mostra una maggiore precisione nell’individua-zione dei principali elementi edilizi.15 A.S.Ge., FONDO ANTICO COMUNE, n. 559.La Gabella Possessionum era un tributo, istituito nel Quattro-cento, sui fondi e sulle case basato su una sorta di catasto rin-novato di tempo in tempo e del quale si hanno notizie per il1414, per il 1443 e per il 1454. Un tentativo di utilizzo globaledei dati contenuti in uno dei registri della Gabella venne con-dotto nel 1980 da Luciano Grossi Bianchi e da Ennio Polegginell’ambito della restituzione grafica della proprietà immobi-liare nobiliare genovese al 1414. È proprio su tale restituzioneche si è basata la digitalizzazione cartografica.16La Carta dei Padri del Comune, realizzata a tratto ed olio sutela, costituisce il primo rilievo ufficiale che si conosca dellacittà di Genova. La rappresentazione planimetrica mostra cin-que obiettivi informativi: il perimetro lineare che distingue lospazio edificato da quello non edificato, le aree verdi, la sezioneorizzontale delle principali opere pubbliche, le vie e lo specchioportuale. Una copia della planimetria, risalente al 1786 e rea-lizzata ad inchiostro su carta, è conservata nella Collezionetopografica del Comune.17 A.S.Ge., FONDO CATASTI, Section O (dite de Molo), Section P(dite de la Magdalaine) e Section Q (dite de Pré).Secondo le istruzioni del Ministero, la carta di rilevazionedell’Impero doveva essere realizzata in scala 1:5000, ma nel

particolare caso genovese fu opportuno scendere ad unapprofondimento maggiore ed elaborare le informazioni inscala 1:1250. Il Catasto napoleonico costituisce uno sforzo dirappresentazione e di controllo del territorio decisamente inno-vativo sia nell’uso delle più aggiornate tecniche di rilevamentoed estimative sia nella concezione fiscale di perequazione e disgravio dalle imposte. Innovativo è soprattutto la scelta di uti-lizzare come base della rilevazione la particella, elemento rico-noscibile mediante i suoi attributi quali proprietà e reddito e diconseguenza oggetto identificabile sul terreno ed anzi connota-tivo di esso. Il catasto è all’origine sia geometrico (cartografia disupporto recante le suddivisioni particellari) sia descrittivo(elaborazione estimativa) ma per quanto riguarda il centro sto-rico genovese ci è giunta soltanto la mappatura di riferimento.18 A.S.Ge., FONDO CATASTI, Catasto Edilizio Urbano.Il Catasto Unitario Secondo la regola del Nuovo catasto geome-trico particellare (Legge n° 3682 del 1 Marzo 1886), la registra-zione delle proprietà dei terreni viene distinta da quelle dei fab-bricati: vengono pertanto istituiti ufficialmente il Catasto Ter-reni ed il Catasto Edilizio Urbano (Catasto Fabbricati).19 A.S.Ge., ESTIMO, n° 25.L’Estimo della Repubblica Democratica Ligure venne redatto,per ordine del Consiglio dei Sessanta (Legge del 7 e 29 Maggio1798), in seguito ad un provvedimento di urgenza al fine di for-mare un Catasto provvisorio che permettesse la riscossionedelle contribuzioni, necessarie alla sussistenza della Repubbli-ca. Tale catasto viene mantenuto invariato fino all’emanazionedella Legge n° 3682 del 1 Marzo 1886 che costringe tutti i comu-ni italiani ad uniformarsi alla regola del Nuovo catasto geome-trico particellare.20 A.S.Ge., FONDO CATASTI, Catasto Edilizio Urbano.21 A.S.Ge., MAGISTRATO DELLE COMUNITÀ, n° 561.Il censimento del 1804 è un censimento parrocchiale basatosulle rilevazioni che venivano eseguite durante la benedizionedelle case in occasione della Pasqua. Tale “stato delle anime” èin grado di censire solo la popolazione cattolica, che accoglie isacerdoti incaricati della benedizione delle case. Non è nota lafinalità del censimento ma, visto che l’Ufficio che promuove lastesura è quello delle Finanze, si può ipotizzare che tale raccol-ta di dati costituisca una base conoscitiva per un’imposizionefiscale personale.

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Fig. 1 - Tipi strutturali: in azzurro strutture a setti continui con orizzontamenti voltati; in rosa strutture a setti con-tinui con orizzontamenti misti; in rosso strutture a setti continui con orizzontamenti di legno; in verde strutture apilastri con orizzontamenti di legno; in giallo strutture a pilastri in cemento armato.

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Fig. 2 - Epoca prevalente (campitura) ed epoca antiquaria (simbolo): in rosso XII-XIII-XIV secolo; in giallo XV secolo; inceleste XVI secolo; in azzurro XVII secolo; in viola chiaro XVIII secolo; in viola scuro XIX secolo in grigio XX secolo.

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Fig. 3 - Grado di integrità rispetto alla consistenza catastale del 1907: in grigio edifici esistenti; in rosso edifici rico-struiti parzialmente o completamente; in arancione edifici parzialmente demoliti; in giallo edifici demoliti; in verdearee rilottizzate.

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Fig. 4 - Strutture semplici e strutture complesse: in nero strutture composte da più corpi; in grigio strutture compo-ste da un solo corpo.

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Fig. 5 - Il civico, il corpo e l’edificio.

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Fig. 6 - Conservazione storica: in nero strutture con caratteri di epoca medievale; in grigio strutture con caratteri diepoca moderna.

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Fig. 7 - Conservazione storica: in nero strutture che conservano elementi di epoca medievale; in grigio strutture checonservano elementi di epoca moderna.

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Fig. 8 - Localizzazioni (simbolo) e cause (campitura) dell’umidità: in azzurro condensa; in viola perdite localizzate;in rosa acque non raccolte; in giallo fatiscienza della copertura; in verde risalita; in grigio cause multiple.

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z i o n e2 2 del 1871. Il Catasto Unitario del 1907costituisce l’unica fonte in cui coesistono i daticartografico e proprietario ed è proprio a partireda questo che è stata realizzata una complessaoperazione di riconoscimento delle singole parti-celle, eseguita secondo un procedimento a rove-scio nel caso di identificazione proprietaria ed unsistema di verifica dei possibili rapporti tra confi-nanti nel caso di identificazione cartografica. Èimportante sottolineare come il dato originale siasempre stato conservato nella stessa forma pre-sentata dalla fonte e siano stati aggiunti solocodici di collegamento con tabelle standard diattributi normalizzati per unificare i tipi diversidi informazione.

Pur in presenza di un insieme così vasto di dati,la fonte principale di informazione rimane tutta-via l’indagine diretta sul costruito eseguitamediante sopralluoghi durante i quali sono statiraccolti numerosi elementi riassumibili in alcuneprincipali categorie caratterizzate da problemati-che e contenuti molto diversificati. Il contattodiretto con i manufatti è risultato essere indispen-sabile dal momento che la città vecchia di Genovaè caratterizzata da una straordinaria stratificazio-ne la cui “longue durèe” porta a privilegiare pro-prio quest’ultima rispetto all’identità. La conti-nuità si manifesta, paradossalmente, nel privile-gio che l’osservatore è costretto ad accordare alledifferenze ed è proprio nelle differenze che si fondal’impressione di unitarietà attribuita ad una cosìricca sovrapposizione di elementi.

I sopralluoghi hanno manifestato subito unaprima difficoltà consistente nell’impossibilità diindividuare l’entità “casa” da schedare e da map-pare. Le ragioni sono da ricercare nell’evoluzionedell’insediamento della città la quale, a partire dalXII secolo quando era uno dei porti più importantidel Mediterraneo, non ha mai veramente mutatole proprie caratteristiche. Infatti fino al XIX secoloil nucleo cittadino rimase confinato nelle muramedioevali, nonostante la cinta muraria fossestata già largamente ampliata nel Seicento. Lemodificazioni sono sempre avvenute all’internomediante sopraelevazioni, accorpamenti, avanza-menti di fronti, creazione di ponti e passaggi da unisolato all’altro ovvero quelli che possiamo definire“tentacoli immobiliari” magari protesi verso affac-ci migliori. La proiezione planimetrica del sedimedi un edificio come un parallelepipedo che rag-giunge il livello di gronda è per la città vecchia diGenova totalmente infedele ed impropriamenteutilizzata per la rappresentazione di unità immo-biliari che hanno forme e modalità di relazione

assai complesse. Non tenere conto di una tale pro-blematica avrebbe significato descrivere una cittàche non esiste e, di conseguenza, restituire unaimmagine falsa ed ingannevole.

La rilevazione ha mostrato quanto sia diffusala ricchezza di stratificazione nella città vecchia(Fig. 4), pertanto è stato necessario realizzare tremappe (al piano terra, al terzo piano ed al pianodelle coperture) nonché individuare tre entità dif-ferenti che solo insieme sono in grado di descrive-re la complessa realtà: il civico, il corpo e l’edificio(Fig. 5). Ogni entità riflette un livello di percezionedifferente: il civico descrive il livello funzionalecosì come è percepito dai residenti; il corpo descri-ve il livello strutturale; l’edificio descrive il livellocostruttivo così come percepito da chi ha un baga-glio di esperienze tale da saper leggere ed inter-pretare i segnali di processi di stratificazione o dimutazione avvenuti nel manufatto.

La struttura del data base è caratterizzata dadieci tavole principali di descrizione che si riferi-scono a:• l’edificio nel suo complesso, secondo una visio-

ne sintetica mutuata da tutte le informazioniraccolte nelle altre schede;

• le strutture verticali, quali muri interni e/o fac-ciate;

• le aperture, quali porte e/o finestre;• le strutture orizzontali, quali solai, volte e/o

balconi;• l’atrio di ingresso;• il vano scala;• gli appartamenti, limitatamente a quelli acces-

sibili;• gli accessori strutturali, quali puntoni e/o cate-

ne;• le coperture;• le attività commerciali al piano terreno; e da

cinque tavole secondarie di relazione che siriferiscono a:

• i corpi;• i corpi e le coperture;• i civici e gli eventuali accessi secondari;• i civici e le relative immagini digitali;• i civici ed i vincoli dei beni mobili ed immobili

secondo le leggi di tutela del 1939.In generale tutti i dati rilevati si possono ricol-

legare alle tre tematiche principali affrontatedall’indagine:

- le modalità della trasformazione edilizia neltempo, i suoi principali caratteri e le possibilità diulteriore modificazione;

- le caratteristiche dei materiali ed il loro esitonella produzione architettonica, in quanto costi-

22 A.S.C.Ge., REGISTRIDELLAPOPOLAZIONE , n° 1/169.Il censimento della popolazione fu realizzato sotto la direzionedel Ministero di agricoltura, industria e commercio ed eseguitodagli uffici comunali sotto la direzione dei Sindaci. I dati sonogiudicati attendibili anche in virtù del fatto che nel censimento

viene definitivamente superato il tentativo di computare la“popolazione di diritto” spesso attuato con procedimento stati-sticamente discutibili di sottrazione di individui facenti partedi un nucleo familiare ma temporaneamente assenti o addizio-ne di soggetti momentaneamente ospiti.

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LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA140

tuenti elementi singoli o appartenenti a sistemicomplessi;

- le condizioni di stabilità dell’edificato e lecaratteristiche dei fenomeni di degrado dellestrutture.

Tra gli altri sono stati individuati due obiettivifondamentali legati al tema della conservazioneche determinano il valore degli immobili ed incido-no sulla qualità della vita degli abitanti:

- la conservazione storica, per valutare il gradodi integrità ed autenticità dei corpi edificati edanalizzare le dinamiche di trasformazioneall’interno della città vecchia;

- la conservazione dei materiali, per valutare lostato dei materiali di superficie ed analizzare ilgrave problema relativo all’umidità.

La lettura storica dei manufatti reali, effettua-ta attraverso la ricostruzione delle principali fasicronologiche (con metodi stilistici ma soprattuttotipologici, poiché la maggior parte degli elementiarchitettonici non è valutabile stilisticamente),permette di stabilire il valore socio-economico ed ilvalore storico di ogni corpo edificato. Mentre ilprimo è legato all’importanza del manufatto nelsuo tempo, per la sua rarità e/o significatività, ilsecondo è legato invece alla sua omogeneità ed allacapacità di rappresentare oggi una situazione sto-rica. Se un edificio, sia pure poco significativo nelsuo tempo e quindi con un basso valore socio-eco-nomico, rimane oggi l’unico o uno degli ultimicapace di esprimere la situazione storica che lo haprodotto è evidente che il suo valore storicoaumenta e che i criteri di intervento da adottaredovranno essere gli stessi previsti per l’“architet-tura maggiore”. Al contrario un palazzo di grandeimportanza e valore, all’epoca della costruzione,che è giunto a noi completamente privato dei suoicaratteri peculiari per aver subito pesanti trasfor-mazioni e stravolgimenti, avrà un basso valorestorico poiché oggi non rimane più nulla a testimo-nianza dell’elevato valore socio-economico passa-to, se non documenti scritti che non trovanoriscontro nell’oggetto reale.

È possibile pertanto individuare, per i vari edi-fici, alcune categorie oggettive, poiché basate suidati reali, che tengano conto di entrambi i valoriconfrontando i dati storici con quelli materiali perogni singolo corpo edificato, in modo da creare unamappa su cui impostare l’analisi delle dinamichedi trasformazione all’interno della città vecchia.

Il rilievo eseguito ci ha restituito l’immagine diuna città lontana da quella di una città medievale,immagine probabilmente influenzata dalla tessi-tura urbana costituita da stretti vicoli e dai nume-rosi elementi messi in luce nel corso dei restaurifilologici eseguiti soprattutto nel XIX secolo. Inrealtà il medioevo resiste, tranne pochi casi, alivello di lottizzazione ed al piano terreno mentrela maggior parte degli edifici ha subito trasforma-

zioni tali da stravolgere il carattere medievale,conservato solo a livello di reperti archeologici(Figg. 6 e 7).

Come già avvenuto in altri centri storici italia-ni, anche a Genova occorre affrontare, a livellourbano e non di singolo cantiere, la difficile proble-matica relativa al mantenimento del valore storicodei manufatti attraverso indicazioni generali edinterventi volti alla conservazione. Non si intendela conservazione di qualche elemento storico, confunzione puramente decorativa o celebrativa, madell’intera unità abitativa, sia pure con gli inevita-bili compromessi dettati dalle esigenze di vitaattuali. È evidente infatti che la pratica diffusa diconservare, magari esaltandone la presenza,colonnine di polifore, tratti di archetti pensili infacciata o porzioni di muratura in conci o in lateri-zi non significa conservare la storia dell’edificioma solo distruggere la sua unitarietà per scoprire,in modo esemplificativo, alcune tracce del passato.Ritengo che questo sia il modo migliore per creareun divario non più colmabile tra passato e presen-te negando la continuità della storia e l’apparte-nenza dell’uomo al corso degli eventi.

Parallelamente a quella storica è stata condot-ta l’analisi dello stato di conservazione dei mate-riali di superficie quali rivestimenti e coloriture edelle cause dell’eventuale degrado. I criteri divalutazione sono stati quanto più possibile ogget-tivi, basati cioè sull’osservazione e sulla descrizio-ne dei fenomeni. In tale modo si è cercato di evita-re la soggettività della maggior parte delle valuta-zioni sullo stato di conservazione le quali si riduco-no ad aggettivi come buono, mediocre e cattivo,giudizi che dipendono dal grado di esperienza e daltempo di riflessione di ognuno e pertanto risultanodifficilmente interpretabili.

La possibilità di confrontare dati relativiall’intera città vecchia ha permesso inoltre l’indi-viduazione, localizzazione e caratterizzazione deiproblemi più diffusi. In particolare già dalle primeelaborazioni che hanno portato a realizzare, tra lealtre, la carta tematica relativa alle “Localizzazio-ni e cause dell’umidità”, è emersa l’importanza diapprofondire tale problema che riguarda circa lametà dei corpi edificati (Fig. 8). La diffusione delfenomeno, anche in aree in cui non è possibile col-legare la risalita di umidità con la geomorfologiaed idrogeologia del territorio, ha indirizzato lericerche su altri fronti. Sono infatti state indivi-duate almeno altre tre cause di cui una estesaall’intera città vecchia, ovvero lo stravolgimentodelle pendenze relative alla maggior parte dellestrade, e due legate a differenti tipologie costrutti-ve, l’assenza di un sistema efficiente di raccoltadelle acque, soprattutto negli edifici del XVIIIsecolo e la presenza di antiche cisterne non piùmanutenute, particolarmente diffuse in edificirisalenti al XVI-XVII secolo.

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Rita Vecchiattini 141

Tali esempi evidenziano l’obiettivo principaledella banca dati la quale non si propone solo comestrumento di informazione, direttamente utilizza-bile da fruitori pubblici e privati, ma anche comeveicolo di conoscenza utile all’individuazione diproblemi a carattere generale e pertanto alla pia-nificazione urbana.

Infatti sia la conservazione storica sia quelladei materiali incidono sul valore del patrimoniopoiché coinvolgono l’immagine, la durata, la qua-lità della vita e concorrono a stabilire i terminidella recuperabilità dello stesso. Dall’incrocio diquesti due aspetti della conservazione si possonotrarre criteri a carattere generale, ma semprebasati su dati reali, da adottare in diversi casi diintervento. Non si propone in tal modo di sosti-tuire l’indagine sul singolo edificio, sempre vali-da ed indispensabile per la comprensione delmanufatto, ma di tradurre i dati quantitativi equalitativi del costruito della città vecchia in cri-teri di intervento che considerino il singolo ogget-to sempre in relazione al contesto in cui è inseri-to ed agli altri edifici simili o differenti, che divolta in volta possono modificarne il significato ela capacità rappresentativa, ovvero il valore sto-rico. È evidente infatti che ogni corpo edificatodeve essere sempre considerato in rapporto alcontesto, poiché questo può, entro certi limiti,modificarne il valore.

L’elaborazione dei dati, unita all’approfondi-mento dei singoli casi, potrà tradursi in una seriedi utili indicazioni volte alla soluzione dei proble-mi più diffusi. Tali indicazioni concorreranno acreare una valida base progettuale per gli inter-

venti sui singoli corpi edificati e determinerannoindiscutibili vantaggi, a breve ed a lungo termine,per operatori pubblici e privati, contribuendo a:

- ridurre i costi di progettazione, spesso eccessi-vamente onerosi per i piccoli proprietari che fini-scono per rinunciare al professionista ed alla suaimportante funzione di controllo rivolgendosidirettamente alle imprese, presso le quali spessodomina la logica del maggior guadagno anche ascapito della qualità del lavoro;

- creare manodopera specializzata, secondo ilprincipio per il quale la domanda crea l’offerta, ingrado di eseguire le lavorazioni indicate tornandoall’uso delle tecniche e dei materiali antichi chehanno dato i migliori esiti e maggiormente consa-pevole dei limiti e delle possibilità dei prodottimoderni;

- consentire un maggiore controllo da partepubblica sugli interventi attuati dai privati anchenel caso di edifici non soggetti a vincolo secondo leleggi di tutela del 1939;

- permettere di monitorare gli interventi neltempo e valutarne gli esiti al fine di adeguare lesoluzioni adottate e renderle sempre più idonee erispondenti alle problematiche della città vecchia.

È proprio la costante attenzione, dalla realizza-zione delle schede di rilevazione a quella dei possi-bili tematismi, rivolta a ricadute reali nelle moda-lità di intervento sul costruito storico della cittàche rende la “Mappatura culturale della città vec-chia di Genova” uno strumento concepito e realiz-zato secondo criteri del tutto innovativi, pur nellaconsapevolezza di non rappresentare in alcunmodo un’analisi esaustiva della realtà.

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LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA142

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Osservazioni preliminari

Il lavoro che qui presentiamo su dieci edifici sto-rici, prevalentemente bassomedievali, del comunedi Padova, non costituisce, in termini di approccio edi metodo, una novità nel campo degli studi dellearchitetture medioevali. L’analisi stratigraficadelle architetture è, infatti, diventata, negli ultimidecenni, un procedimento analitico conoscitivo uti-lizzato con sempre maggior frequenza e rigorositàdi metodo. Tuttavia ci sembra ancora largamenteinesplorata la sua potenzialità come strumento dibase nei processi conoscitivi che sottendono i com-piti istituzionali di tutela del patrimonio architet-tonico del nostro paese. Il restauro architettoniconon è infatti un campo esclusivamente tecnico, maprima ancora storico nel senso specifico che gli edi-fici che giungono fino a noi sono spesso il risultatodi manipolazioni strutturali o epidermiche larga-mente dipendenti da processi culturali, economici,ideologici, ecc. che scandiscono in modo assoluta-mente peculiare e distintivo il flusso storico. Così,molto spesso, le architetture antiche ci si presenta-no non più come elementi di un tempo unitario, macome veri e propri palinsesti in cui sono giustappo-ste, sovrapposte o coordinate fasi stilistiche e tecni-che distintive di momenti assai diversi del percorsostorico. È ovviamente, questa, una coscienza diffu-sa tra gli operatori del settore che tuttavia spesso siscontra con esigenze, pur oggettive per quanto con-trastanti, nel momento in cui si pone mano alrestauro e, ancor più, alla ristrutturazione deglistessi per gli adeguamenti funzionali del caso.

Il problema, sulla scorta di una pluridecennaleesperienza di lavoro nell’ambito pubblico, ci sem-bra invero nascere dalla oggettiva carenza di cono-scenza analitica e strutturata degli edifici soggettia tutela, tale da ingenerare troppo spesso atteg-giamenti e comportamenti idiosincratici, neglioperatori istituzionali, di fronte ai limiti da porreagli interventi di restauro e ristrutturazione degliedifici tutelati. A nostro avviso non si tratta di nor-

mare in termini astratti le attività di restauroarchitettonico, quanto invece di arricchire eapprofondire il processo culturale che porta ameglio identificare e rendere a tutti evidente ilsenso profondo della conservazione del bene enello stesso tempo i limiti invalicabili del nostroagire diretto o indiretto sul “monumento”.

In questa direzione ci è sembrato utile avanza-re una proposta organica per l’inserimento, entrola griglia fornita dalla scheda di catalogo elabora-ta dall’ICCD (Istituto Centrale per il Catalogo e laDocumentazione), di uno strumento strutturato diconoscenza ai fini della tutela monumentale qualela lettura stratigrafica degli alzati e l’analisi deldissesto strutturale. In questa ottica, infatti, lostudio analitico del palinsesto murario ovverol’analisi stratigrafica degli edifici, formalizzatacon il concorso delle tecnologie informatiche cheoggi permettono il facile e comodo abbinamento diimmagini raster e vettoriali ed il loro dialogo con lerelative basi di dati, dovrebbe diventare corollariostabile e consueto dell’apparato informativo-cono-scitivo delle schede di catalogo con una finalitàorientata ad agevolare in termini qualitativi sia latutela diretta che quella indiretta, vale a dire icompiti istituzionali degli organi territoriali delMinistero per i Beni e le Attività Culturali. Èinfatti evidente che solo una base conoscitiva ana-litica del monumento, che diventi riferimentoobbligato culturalmente condiviso, permette diorientare in modo più organico ed efficiente l’azio-ne di controllo e di indirizzo delle Soprintendenzesulle proposte progettuali di interventi sugli edifi-ci storici (tutela indiretta) e di sviluppare proget-tazioni complessivamente più trasparenti e para-digmatiche (tutela diretta).

Ma l’obbiettivo del nostro lavoro è forse anchepiù ambizioso e comprende la proposta di un inse-rimento di questo tipo di conoscenze di base dellarealtà monumentale di un centro storico, nella fat-tispecie Padova, in uno strumento urbanisticoquale il Piano Regolatore nella forma di “carta del

DIECI EDIFICI STORICI DI PA D O VA: UNA PROPOSTAO P E R AT I VA PER IL CATALOGO MONUMENTALE,

LA TUTELA E LA PROGRAMMAZIONE1

Serena Franceschi, Adelmo Lazzari, Sandro Salvatori

Serena Franceschi, Adelmo Lazzari, Sandro Salvatori 143

1 Il presente contributo rappresenta una sintesi del lavoro “ L alettura stratigrafica di dieci edifici storici di Padova”, eseguito

dagli autori in collaborazione con la Soprintendenza per i BeniArchitettonici e Ambientali del Veneto Orientale, Padova, 1998.

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rischio architettonico”, in grado di fornire almondo della progettazione privata e pubblica unostrumento concreto di conoscenza e di valutazionepreventiva dei limiti che la tutela pone e la cultu-ra impone alla progettazione nel momento in cuiquesta affronta i temi della rifunzionalizzazione edel restauro di un edificio storico-monumentale.

Questo approccio nasce direttamente dall’espe-rienza maturata in seno alla Soprintendenza per iBeni Ambientali ed Architettonici del VenetoOrientale che negli anni ha condiviso con il sistemadella progettazione privata e pubblica il disagioprodotto dalla separazione troppo marcata, nontanto delle funzioni, quanto delle culture espressein strumenti di indirizzo tra organismi statali eamministrazioni locali. Il concorso di entrambequeste realtà alla costruzione di strumenti comuni,efficienti ed orientati al servizio e all’indirizzo delletrasformazioni compatibili anche all’interno di tes-suti storicamente determinati non potrà che agevo-lare entrambe e la comunità nel suo complesso nelconiugare le cangianti esigenze della societàmoderna con la generalmente condivisa volontà dirispettare i segni del nostro passato.

Si può osservare che la Scheda di Catalogodell’ICCD, così com’è oggi strutturata, dà sola-mente delle prime indicazioni e descrizioni gene-rali del manufatto, che si basano prevalentementesulle “fonti indirette” (documenti storici scritti,documenti iconografici e fotografici)2.

Si è vista quindi la necessità di introdurre,all’interno del processo conoscitivo, le “fonti diret-te”3 per avere delle maggiori indicazioni sulla com-posita e complessa configurazione materiale delmanufatto.

Nel caso specifico uno degli strumenti d’indagi-ne utilizzati è stata la lettura stratigrafica , laquale permette di conoscere i processi di costruzio-ne e di trasformazione che il manufatto ha subitonel corso del tempo, attraverso l’osservazione e laregistrazione delle caratterizzazioni materialidelle superfici e dei contatti fisici tra le diverseparti (nessi stratigrafici).

È proprio la superficie che rappresenta il terre-no sul quale la stratigrafia compie la propriaesplorazione, alla ricerca delle omogeneità e dellediscontinuità, delle unità e dei bordi che la qualifi-cano, al fine di comprenderne il processo di forma-zione e trasformazione; è “quella parte visibiledella costruzione su cui è impressa e stratificatal’azione dell’uomo nel tempo, e che nel contatto conl’ambiente esterno subisce e manifesta le variega-te azioni del degrado”4; essa mostra i segni delletrasformazioni, del “trascorrere del tempo e deldeclinare delle cose”5.

La superficie si dà quindi come “un complessosistema di segni culturali, ossia dell’insieme delletracce materiali che sono espressione dell’impegnointellettuale e pratico di una data tradizionecostruttiva e di segni naturali, che testimonianol’età e il trascorrere delle cose; inoltre essa si dàcome struttura materiale che più di ogni altraparte dell’architettura ne condiziona l’apprezza-mento formale”6.

“Al centro è quindi l’attenzione per la materiadella fabbrica e per i numerosi indizi con cui si pre-sta ad essere indagata”7 nei quali si manifestal’autenticità del manufatto.

Al riconoscimento delle tracce e dei nessi è col-legato un apparato di registrazione in forma grafi-ca, attraverso l’ausilio di legende grafiche, che per-mettono di descriverli e qualificarli.

Si è vista l’opportunità di eseguire la letturastratigrafica sulle immagini fotografiche raddriz-zate poiché l’utilizzo dell’icona realistica consentedi mantenere un contatto diretto con la materia-lità diffusa delle superfici, permette di documenta-re, senza mediazioni e selezioni, i caratteri e letracce presenti sulle superfici, con la possibilità diverificare di continuo le interpretazioni date e isignificati attribuiti alle varie parti.

Però la lettura stratigrafica non ha esclusiva-mente lo scopo di potenziare la capacità della com-prensione materiale della fabbrica: essa è in gradodi renderla trasmissibile e di trasferirla all’operadi restauro dal momento che la stessa stratigrafiarappresenta un parametro sensibile ai mutamentidella materialità e della struttura delle relazioniche sostiene l’autenticità dell’edilizia ed “è ingrado di descrivere ed interpretare gli eventi dicostruzione, di demolizione, di modificazione”8;perciò le stesse modalità di descrizione ed inter-pretazione, lo stesso linguaggio possono essere uti-lizzati sia per guidare le modificazioni introdottedal progetto di restauro che per collaudare gli esitidi un restauro già compiuto.

Quindi l’ingresso nel procedimento di restaurodi una “mentalità stratigrafica”, ossia della consa-pevolezza dell’agire per strati, che possono avereun segno positivo se di costruzione, negativo didemolizione, neutro di modificazione, permette diacquisire una maggiore consapevolezza delle pro-prie azioni in termini di conservazione e demolizio-ne delle tracce materiali e dei nessi stratigrafici. Ilprogettista, nel momento in cui acquisisce una“mentalità stratigrafica”, diventa più responsabile,riesce a valutare meglio i danni che ogni azione puòcausare alla fabbrica, agisce con maggiore cautela,evitando gli interventi distruttivi ed omogeneiz-zanti, poichè la conoscenza rende più prudenti.

LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA144

2 PARENTI 1988b, p. 280.3 Ibid.4 DOGLIONI 1997, Dattiloscritto.5 BELLINI 1990, p. 10.

6 QUENDOLO 1998, Dattiloscritto, Venezia.7 TORSELLO 1997, Scritture di pietra, in F. DOGLIONI 1997,p. 7.8 DOGLIONI 1996b, p. 1.

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Il rilievo stratigrafico-costruttivo dei 10edifici storici di Padova

La chiesa di S. Michele di Pozzoveggiani (fig. 1)viene presentata come esemplificazione dell’itermetodologico adottato per lo studio degli edifici inoggetto.

Il processo di conoscenza della fabbrica, dellasua storia e della sua configurazione viene condot-to innanzitutto attraverso una serie di ricerchestorico-d’archivio; vengono poi eseguiti il rilievometrico e fotogrammetrico9, che forniscono infor-mazioni relative agli aspetti geometrici, dimensio-nali e all’articolazione spaziale del manufatto e lalettura stratigrafica che consente di collocare cia-scuna parte entro la struttura storica e materiale

dell’insieme; infine l’analisi del dissesto che studiail “comportamento nel tempo della fabbrica, descri-vibile con i cinematismi dei fenomeni che si svilup-pano in rapporto alla configurazione, alla costitu-zione e all’ambiente della fabbrica”10.

Sono stati individuati 5 periodi di attivitàcostruttiva, che sono: (Figg. 2-4)

1° periodo (VII - VIII secolo circa): corrispondepresumibilmente la realizzazione della primitivachiesetta a pianta quadrata (m 6,70 x 6,70), conabside semicircolare ad ovest; a tale fase appar-tengono le murature costituite da materiali direcupero romani (US 1001-1002).

Al 2° periodo (XII - XIII secolo circa) è riferibilela demolizione e trasformazione della primitivachiesetta in basilica a tre navate.

Serena Franceschi, Adelmo Lazzari, Sandro Salvatori 145

9 Il rilievo metrico e fotogrammetrico è stato eseguito dalladott. Rossana Gabrielli.

10 DOGLIONI 1997, p. 221.

Fig. 1 - Prospetto ovest della chiesa di S. Michele di Pozzoveggiani (Salboro): lettura stratigrafica

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Nel prospetto ovest sono leggibili le superfici diinterfaccia negativa di demolizione delle muraturee della volta della preesistente abside (T 1000 b-c,T 1023 a).

Nel prospetto sud (Fig. 3) a tale fase corrispon-de l’intera muratura (US 1101a-b).

Sono leggibili le arcate di separazione dellenavate laterali con la centrale, (EA 212 – 215), chesi appoggiano su colonne in mattoni (EA 220 – 223),le finestrelle (EA 228 – 231), una serie di formellerettangolari in cotto raffiguranti delle figure simbo-liche (colombe, colonne del tempio, croce, ecc.: (EA202, 203, 205, 211); due decorazioni circolari a spic-chi in cotto (EA 204 e 210) e una decorazione in mat-toni disposti a “spina di pesce” (EA 200).

Si può supporre che corrisponda a tale fase lamuratura in mattoni del campanile (US 1101).

In fase con la muratura sono i fori pontai (EA225a-b, 226a-d, 227a-e), per l’inserimento delletravi della copertura della navata laterale.

È inoltre leggibile la spalla sinistra dell’arcodell’abside della navatella sud, (EA 237).

È riferibile presumibilmente al 3° periodo(XVII secolo circa) la demolizione delle navatelaterali, delle quali è leggibile nel prospetto sud la“superficie di interfaccia negativa” di demolizionedell’absidiola della navatella laterale sud (T 1122),il tamponamento delle arcate di separazione tra lenavate (US 1119), con l’inserimento di una colon-na in trachite, (EA 215).

LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA146

Fig. 2 - Interpretazione e collocazione grafica delle diverse US nelle relative alle fasi di costruzione

Fig. 3 - Prospetto sud della chiesa di S. Michele di Pozzoveggiani (Salboro): lettura stratigrafica

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Si può ipotizzare che corrisponda a tale periodola sopraelevazione del campanile, (US 1107 e1108), con l’inserimento di un’apertura ad arco(EA 209), e il tamponamento in mattoni della pree-sistente apertura (US 1105).

Al 4° periodo (dal XVIII alla prima metà XXsecolo) corrispondono una serie di rifacimenti dellamuratura in mattoni e sul lato ovest la chiusurainterna del campanile con conseguente apertura diuna porta d’accesso solo dall’esterno (T 1006, US1006). Inoltre nel lato nord viene inserita la sacre-stia e costruita la cappella dedicata alla Madonna.

Al 5° periodo (seconda metà XX secolo) è riferi-to il restauro degli anni ‘80 che comporta la demo-lizione e ricostruzione di parti della muratura,senza rendere “riconoscibili” le parti aggiuntedalle preesistenti, uniformando e falsificando glielementi di apporto con quelli esistenti.

Si può notare che uno degli interventi direstauro è stata la rifugatura dei giunti di maltadel paramento murario, che anche se limitato in sestesso come intervento, ha comportato un parzialeoccultamento dei contatti fisici esistenti tra lediverse US, causando la perdita della leggibilitàdella struttura delle relazioni storico-costruttiveche legano reciprocamente le parti della fabbrica,ossia della “autenticità per relazione”11.

Nel prospetto sud vengono demolite due aper-ture rettangolari e realizzati due tamponamenti(US 1113 e US 1120).

Vengono inoltre demoliti e ricostruiti i tampo-namenti delle arcate (US 1121 a-d), con l’inseri-mento di un’apertura rettangolare (EA 224).

Le osservazioni e considerazioni sulla configu-razione materiale delle superfici desunte dalla let-tura stratigrafica hanno innescato una serie diriflessioni sul probabile comportamento struttura-le nel tempo della navatella nord della chiesa,attuale sacrestia12 (Fig. 5):

a) si può notare che all’inizio nella navata norddel lato est della chiesa, inizialmente con absidiola,oggi non più esistente, l’abside stessa costituiva unsistema di controventamento verticale per gli sforziorizzontali dell’intera chiesa, creando un unico corpoestremamente rigido, con comportamento scatolare;

b) in seguito, a causa di un probabile distaccodell’abside dalla muratura e a causa del progrediredel degrado, si viene a creare un meccanismo strut-turale labile della parete con apertura ad arco(prima, collegata con l’absidiola, era una strutturachiusa a lama di controventamento, poi invecediventa una struttura ad arco senza catena) che,per effetto dei flussi tensionali, comporta la rota-zione della base dell’angolata (tracce di tale rota-zione sono leggibili attualmente sulla muratura);

c) la messa in sicurezza della struttura avvieneattraverso la realizzazione di un contrafforte che

si oppone ai moti di rotazione della muratura conapertura ad arco;

d-e) con la perdita dell’absidiola vi è la neces-sità di tamponare l’apertura ad arco.

Il tamponamento della muratura, anche se conmodalità diverse, ricostituisce il sistema di contro-ventamento con comportamento a lama (inizial-mente svolto dall’absidiola) e, allo stesso tempo, vaa sostituire, a livello funzionale, il contrafforte nelmomento in cui si manifestano nuovi dissesti; que-sto, per la sua progressiva perdita di utilità, vienedemolito (sono ancora leggibili le superfici didemolizione e le fondazioni, emerse dagli ultimiscavi archeologici).

Altre osservazioni sono state fatte relativa-mente al sistema di copertura in legno ad unafalda della ex navatella:

f) si è visto che lo schema strutturale era a mezzacapriata con puntone, monaco, catena e saetta;

Serena Franceschi, Adelmo Lazzari, Sandro Salvatori 147

11 DOGLIONI op.cit., p. 238. 1 2 L’analisi del dissesto è stata svolta in collaborazione conl’Ing. Massimiliano Lazzari.

Fig. 4 - Ricostruzioni assonometriche delle fasi costruttive: Fase 1° (VI-VII sec.): Cappella a pianta quadrataFase 2° (XII-XII sec.): Trasformazione in basilica a tre navateFasi 3°-4°-5° (XVII-XX sec.): Demolizione delle navatelaterali e costruzione della sacrestia e di un altare

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LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA148

Fig. 5- Schematizzazione delle interpretazioni sul probabile comportamento strutturale nel tempo della navatellanord della chiesa (attuale sacrestia) attraverso l’interazione tra la lettura stratigrafica e l’analisi del dissesto

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g) in seguito all’ultimo restauro tale sistemaviene completamente modificato mantenendoesclusivamente il puntone che, essendo privo dicatena, sollecitata a trazione e di saetta a com-pressione, genera una spinta nella muratura diappoggio provocando uno spanciamento nellaparete stessa, attualmente leggibile.

Nel XIII e XIV secolo la città di Padova, come lealtre città italiane, conosce un notevole sviluppoeconomico e demografico e quindi urbanistico edarchitettonico. “I cantieri aperti sono numerosi, e digrandissimo impegno. Il comune finanzia le grandicostruzioni ecclesiali (S. Agostino, gli Eremitani, ilSanto), ma soprattutto dà il via ad una pianificazio-ne sistematica e razionale dell’assetto urbano,dagli accessi viari, alle difese, alle vie d’acqua...”1 3

Il Palazzo del Consiglio fa parte dell’imponentecomplesso di tre edifici (gli altri sono il Palazzodegli Anziani e il Palazzo del Podestà), sedi rap-presentative del Comune padovano (Fig. 6).

Tale manufatto viene costruito probabilmentealla fine del XIII secolo per opera dell’architettoBocaleca; esso è costituito da un porticato in pietrad’Istria (US 1000) a tre arcate sostenute da grosse

colonne con capitelli bizantini di recupero e duepoderosi pilastri; al primo e secondo piano da unamuratura in mattoni (US 1001), la quale definiscelateralmente le poderose paraste angolari. In essasono presenti tre grandi aperture rettangolari adarco a tutto sesto bardellonato (EA 105-106-107), edue più piccole parzialmente leggibili (EA 108-109).

È incerto se appartenga a tale fase la muraturadel 3° piano (US 1003), alla quale “si legano” in un“rapporto di contemporaneità” tre bifore (EA 112a-c, 113 a-c).

In un ipotetico 2° periodo vengono tamponatele tre grandi monofore ad arco e le due piccole erealizzate tre ampie aperture rettangolari alsecondo piano (US 1006, 1007, 1008).

Queste, probabilmente in una successiva 3°fase, sono tamponate (US 1009, 1010, 1011) e ven-gono ricostruiti in parte o completamente, alcuniarchetti pensili e relativi peducci in pietra d’Istria(EA 119, 120).

Poi presumibilmente nel 4° periodo vengonoinserite al primo piano delle aperture rettangolaridefinite da elementi in pietra d’Istria (US 1012,1013, 1014).

Serena Franceschi, Adelmo Lazzari, Sandro Salvatori 149

13 ZULIANI 1975a, p. 10.

Fig. 6 - Palazzo del Consiglio: lettura stratigrafica

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In un probabile 5° periodo avviene il tampona-mento delle tre arcate del portico (US 1031-1032-1033), che definiscono le spalle di tre apertura edeseguiti dei parziali rifacimenti della muratura.

La casa di via Boccalerie (Fig. 7), situataall’angolo tra via S. Lucia e via Boccalerie, costitui-sce uno dei pochi esempi conservatisi di edilizia pri-vata del XIV secolo. Tale manufatto presenta lungovia S. Lucia un portico mentre su via Boccalerie con-serva i barbacani; essa è definita da una muraturain mattoni (US 1000) che è in fase con l’arco a tuttosesto bardellonato del portico (EA 100) e con le men-sole in mattoni e in trachite che sorreggono un bar-bacane (EA 103, definito sia da archi a tutto sestobardellonati che ribassati), ai quali “si lega”, supe-riormente, una muratura in mattoni (US 1001).

Si può quindi presupporre che nella muratura(US 1001), sorretta dai barbacani, fossero presen-ti inizialmente quattro finestre ad arco bardello-nato, delle quali una si è conservata (EA 109) men-tre delle altre sono leggibili solo alcune tracce degliarchi (EA 106, 107) parzialmente demolite perl’inserimento di quattro aperture rettangolari.

In fase con la muratura (US 1001) è la cornice adentelli (EA 119).

Presumibilmente ad un 2° periodo appartengonodue elementi rettangolari (EA 110a-b) in pietra diNanto, che probabilmente, data la posizione e laforma, rappresentano due mensole di sostegno di unbalcone. Successiva è la stesura dei diversi intonacie il rifacimento della parte inferiore della muraturadestra della facciata (US 1015) con la quale sono “infase” le aperture ad arco a tutto sesto con elementidi pietra d’Istria (EA 120, 121, 122, 123).

Per quanto riguarda gli edifici religiosi la chie -sa di Ognissanti sorgeva in una zona di ingressoalla città molto importante e frequentata, nellaquale esistevano strutture di accoglienza per pel-legrini e commercianti tra l’antica città e la zonalagunare (Fig. 8).

La chiesa, con l’annesso ospizio, rappresentavail centro religioso del piccolo borgo di barcaioli delporto di Fistomba.

Al 1° periodo (IX - X secolo14/ XI - XII secolo15),relativo alla costruzione della chiesa a croce latinacon abside semicircolare internamente e pianaesternamente, è riferibile il basamento costituitoda blocchi di trachite euganea di riporto, con evi-denti tracce di lavorazioni precedenti (US 1000); laparte superiore della muratura (US 1001) presen-ta un paramento in mattoni di grandi dimensioni(7,5/8 x 30 x 40 cm) molto simili ai sesquipedaliromani, con struttura interna “a sacco”, con giuntidi malta molto sottili; con essa sono probabilmen-te “in fase” l’apertura rettangolare con elementi inblocchi di trachite (EA 100), la bifora con archi atutto sesto (EA 101) (la colonnina e il capitello sonostati inseriti durante i lavori di restauro degli anni‘20), la feritoia che illumina il vano scala del cam-panile (EA 103).

In fase con la muratura (US 1001), sono i foripontai (EA 104a-g, 105a-c, 106a-f, 107a-d, 108a-h,109a-e, 110a-d, 111).

Si può ipotizzare che corrisponda alla 2° fase lamuratura (US 1003) che definisce superiormenteil campanile, il cui paramento è costituito da mat-toni di dimensioni molto più piccole rispetto aquelle della muratura sottostante (US 1001); infase sono i fori pontai (EA 113a-c) e la piccola aper-tura ad arco (EA 130).

In un probabile 3° periodo di trasformazionedella chiesa da pianta a croce latina a pianta adaula unica (seconda metà XVII secolo), viene fattasquadrare internamente l’abside semicircolare eallargato il presbiterio di 50 cm nel lato nord adopera di Francesco Fasolato. Per fare ciò vienedemolito parte del muro perimetrale esterno estdell’adiacente Cappella del Crocifisso (XV secolo) einserita una nuova muratura perpendicolare,della quale all’esterno è leggibile la testata in mat-

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14 FORATO 1991, p. 40. 15 BELTRAME, TAGLIAFERRO, p. 209.

Fig. 7 - Casa di Via Boccalerie: lettura stratigrafica

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Serena Franceschi, Adelmo Lazzari, Sandro Salvatori 151

toni. Tale muratura (US 1002), “si appoggia” al“vero bordo di strato” della preesistente angolatadell’abside della chiesa (US 1001) e alla “interfac-cia negativa di demolizione” della muratura dellaCappella, anche se tale rapporto oggi è leggibilesolamente nella parte inferiore, a causa della pre-senza dell’intonaco che occulta ciò. È probabile checon l’inserimento di tale muratura (US 1002) siastato ricostruito superiormente parte del para-mento che delimita ad est e a nord l’abside e adoriente il transetto nord; si può infatti osservareche la muratura che delimita a nord l’abside equella che definisce a nord il transetto “si legano”in un “rapporto di contemporaneità”; inoltre è leg-gibile la “interfaccia negativa di demolizione” dellamuratura nord del transetto, appartenente al 1°periodo, alla quale “si appoggia” la nuova muratu-ra. Probabilmente in tale fase vengono inseritinella muratura cinque elementi parallelepipedi in

pietra d’Istria (T 1009, EA 120, T 1010, EA 121, T1011, EA 122, 123, 124) e due elementi rettangola-ri sempre in EA pietra d’Istria (T 1006, US 1006,1007, EA 117, T 1004, US 1004, 1005, EA 114) chepresentano una “superficie grezza”, non rifinita, iquali “si appoggiano” a mensole in mattoni (EA115, 118). Si può presupporre che tali elementi,disposti tra loro in linea, costituiscano sette puntidi ancoraggio del nuovo altare interno inserito dalFasolato, dopo aver squadrato e allargato il pre-sbiterio; quindi i due elementi rettangolari rappre-sentano la parte posteriore delle due statue in pie-tra interne.

Nel 4° periodo (seconda metà XVIII secolo) didemolizione e ricostruzione della cella campanariacon forme settecentesche ad opera dello Squarcina(come è possibile osservare da foto storiche di finesecolo) e di realizzazione di una controsoffittaturaa volta e vele della chiesa, corrisponde probabil-

Fig. 8 - Chiesa di Ognissanti: lettura stratigrafica

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mente la muratura superiore in mattoni del pro-spetto (US 1013), con l’inserimento di una grandefinestra centinata (EA 125), lunettone diverso performa e per dimensioni da quelli presenti nei pro-spetti sud, nord ed ovest; in fase con tale muratu-ra (US 1013), sono i fori pontai (EA 126a-b).

Al 5° periodo (1921-1926) è riferibile l’interven-to di restauro stilistico della cella campanaria:viene demolita la settecentesca cella campanariache gravava con un carico eccessivo sulla strutturasottostante e ricostruita una con forme semplici estilisticamente congrua con la base duecentesca(US 1014), secondo il progetto dell’allora soprin-tendente Ferdinando Forlati. Per questo il Forlatifece richiesta al Comune di Padova di utilizzarealcuni materiali presenti nel magazzino municipa-le, quali mattoni antichi, capitelli e fusti di colon-ne16. In fase con tale muratura (US 1014), è la bifo-ra (EA 127) ad arco a tutto sesto sorretta da uncapitello (EA 128) e colonna (EA 129).

Come si può osservare dalle fotografie deiprimi del ‘900 la bifora alla base della torre cam-panaria era tamponata e vi era una piccola fine-stra rettangolare; è quindi riferibile a tale periodoil tamponamento di tale apertura (T 1015, US1015), previa demolizione degli stipiti e l’aperturadella bifora. Inoltre, come può essere rilevato dalladocumentazione relativa ai lavori di restauro delForlati, il capitello e la colonna della bifora vengo-no inseriti durante tale restauro (EA 131, 132).

Al 6° periodo (dopo il 1976) è riferibile la maltadi risarcitura della lesione della muratura, (US1017), causata dal sisma del 1976 e l’intonaco (US1018).

La chiesa di S. Michele (Fig. 9) fu probabilmen-te fondata dai Bizantini ed è forse la prima chiesadi Padova costruita dopo l’incendio distruttore diAgilulfo (602 d.C.). La chiesa si trovava aldilà delcanale su cui si affacciava il castello della Torlon-

ga: era di tipo basilicale a una navata di modestedimensioni (m 18 x 9), con caratteristico orienta-mento est-ovest.

A questo periodo corrisponde probabilmente lacostruzione della parte inferiore e delle angolatedella facciata della chiesa (US 1000 a-b), il cuiparamento murario è costituito da materiale lapi-deo romano di riporto: grandi blocchi di trachite lacui squadratura rivela l’origine romana, mattoniromani “sesquipedali” (mattoni quadrati di unpiede e mezzo per lato), e una lapide in pietra rosa-ta (EA 101) sulla quale è scolpita la figura di unguerriero. (Simile elemento di riporto è presenteanche nel muro settentrionale della chiesa).

In un probabile 2° periodo (XIV secolo) si veri-ficò l’incendio della chiesa e di alcune case, inseguito alla battaglia di Francesco Novello controgli Scaligeri. Il Bellinati1 7 afferma che l’incendiointeressò il tetto e soltanto parte del paramentomurario. Di conseguenza la chiesa fu probabil-mente ricostruita e fu eretta una cappella sul latosettentrionale (affrescata nel 1397 da Jacopo daVerona). Presumibilmente in tale periodo fu rico-struita la parte centrale della muratura della fac-ciata (US 1001), la cui apparecchiatura è costitui-ta da mattoni più piccoli, quasi rotti, rispetto allamuratura adiacente (US 1000) che presenta mat-toni lunghi e regolari.

Nel 3° periodo (XV - XVIII secolo) con il passag-gio di proprietà della chiesa di S. Michele dal Mona-stero delle Carceri di Este alla Congregazione di S.Spirito di Venezia, viene costruito il convento adia-cente al prospetto sud della chiesa e quest’ultimaviene dotata del presbiterio con profondo coro, delcampanile, della sacrestia e del vestibolo. Si puòpresupporre che corrisponda a tale fase l’inserimen-to di due grandi aperture (EA 102 e 103), le qualiprobabilmente erano definite da elementi in pietra(ciò può essere ipotizzato per la presenza di riseghe

LO SPESSORE STORICO IN URBANISTICA152

16 FORLATI 1921-26. 17 BELLINATI 1969.

Fig. 9 - Chiesa di S. Michele: lettura stratigrafica

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nella parte superiore di tali aperture, probabili sedidi stipiti), la stesura dell’intonaco (US 1002a-b),l’inserimento della porta d’ingresso (T 1016, US1016, 1017a-c) e del relativo arco in mattoni (EA106), dell’ architrave e degli stipiti in pietra dellaporta (EA 107a-c), di tipo “romano - esarcale”, pro-babili elementi di riporto.

Ad un 4° periodo (inizi XIX secolo) sono ipoteti-camente riferibili una serie di lavori di demolizio-ne che interessano la chiesa: il presbiterio e il tettodella chiesa vengono demoliti, il muro settentrio-nale e la facciata ovest dell’antica chiesa vengonodimezzati, infatti nel prospetto ovest è leggibilel’interfaccia negativa di demolizione (T 1003). Atale fase corrisponde il tamponamento in mattoni(US 1004a-b) delle due finestre (EA 103 e 104).

Probabilmente al 5° periodo (1831) appartienela sostituzione dei due architravi delle due finestretamponate (EA 103, 104) con due archi (EA 108 e109). Inoltre viene aggiunta la muratura superio-re (US 1005) di completamento e finitura del pro-spetto ovest e la muratura (US 1015).

In seguito nel 6° periodo vi è l’aggiunta dellacopertura del prospetto ovest (US 1007) e la stesu-ra di vari intonaci e risarciture in mattoni.

L’Ospizio di S. Daniele (Fig. 10) viene costruitoprobabilmente nel XIII-XIV secolo da Giovannidegli Abbati, arciprete della cattedrale, costituitoda una muratura di mattoni con la quale sono infase le cinque arcate del portico (EA 100 a-e),sostenute da snelle colonne con capitelli scantona-ti (EA 102 a-d) e da due pilastri in trachite (EA 101a-b). Gli archi del portico sono a tutto sesto le cuighiere, con bardellone, sono costituite da mattonicon l’inserimento di tre conci di pietra d’Istria,motivo tipicamente lombardo e molto diffuso aVerona, da far ipotizzare l’intervento di un archi-tetto forse veronese; in fase con la muratura sonole aperture del primo piano ad arco a tutto sestobardellonato (EA 103, 104, 105) e la cornice deltetto in mattoni (US 1031).

In un probabile 2° periodo viene inseritaun’apertura rettangolare con elementi in pietra diNanto (T 1001, US 1001, EA 107), una piccola nic-chia in pietra di Nanto con la raffigurazione dellaMadonna e del Bambino (T 1004, US 1004, EA110) e vengono realizzati degli intonaci (US 1002,1003) sui quali vi era probabilmente un affresco.

Successivamente vengono rifatti i bancali delleaperture in mattoni e pietra d’Istria, viene tampo-nata un’apertura ad arco ribassato, vengono ese-guite delle risarciture di lesioni murarie, di giuntidegradati e delle parti murarie per l’inserimentodi tiranti.

In epoca medievale la tipologia delle case-torriera molto diffusa nella città di Padova: Torre delComune, Torre di Palazzo Zabarella, Torre diPalazzo Capodilista in via Umberto I, Torre DaRio, Torre della Specola.

La Torre di Ezzelino (Fig. 11) appartiene a taletipologia; essa è costituita da una poderosa base inblocchi di trachite (US 1000) e dalle soprastantimurature in mattoni disposti a corsi orizzontaliregolari (US 1001-1002); in fase è l’elemento oriz-zontale di marcapiano in trachite (EA 101), l’aper-tura ad arco a tutto sesto bardellonato (EA 102) ela parte destra di un’altra (EA 103).

In una 2° fase viene costruita la muratura inmattoni del 2° piano (US 1003) alla quale “si lega-no” in un “rapporto di contemporaneità” le dueaperture ad arco prive di bardellone (EA 104-105).

La presenza di monofore ad arco a pieno centronei piani superiori e di una vigorosa base trachiti-ca completamente chiusa ribadisce emblematica-mente la funzione difensiva di tale casa-torre e latotale chiusura verso l’esterno.

In fase con la muratura (US 1003) sono unaserie di elementi costituiti da mattoni che rappre-sentano una cornice a dentelli (EA 110) e parte diuna sequenza di archetti in mattoni ad arco a tuttosesto, detti lacunari, dalla funzione incerta (EA106a-d), presenti anche in altri edifici di Padova:

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Fig. 10 - Ospizio di S. Daniele: lettura stratigrafica

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Palazzo Zabarella, il castello di Casalserugo, ilcastello Cini di Monselice, la casa detta di Ezzeli-no il Balbo in via S. Lucia.

In un probabile 3° periodo (XIV-prima metàXVI secolo) avviene probabilmente la demolizionedella maggior parte degli archetti (EA 106, 110),relativa sostituzione con una nuova muratura inmattoni (US 1004) e il tamponamento (US 1005 a-b) dei due conservati (EA 106 a,d).

Nell’ipotetico 4° periodo (XVI-XVII secolo) ven-gono inserite presumibilmente due ampie finestrerettangolari a finto bugnato in mattoni, la cuimuratura presenta una forma simile a dei petali difiore (T 1006, 1006, 1007, 1008), con bancale inpietra di Nanto (EA 107 e 108).

Si può osservare che la superficie della mura-tura con l’inserimento delle finestre si presentacome una “superficie di interfaccia negativa didemolizione”, poichè a tale muratura, realizzata afinto bugnato, è stata demolita la parte sporgente.

È interessante notare che sul prospetto ovest èancora leggibile una apertura uguale con fintobugnato in mattoni.

È probabile che in tale fase la superficie ester-na dei blocchi di trachite della parte basamentalesia stata lavorata a creare degli “specchi”.

In un 5° periodo vi è la realizzazione di unanuova merlatura in mattoni (US 1009 a-e), il ridi-mensionamento delle aperture cinquecentesche(US 1011 a-b) e la creazione di una piccola apertu-ra (T 1012, US 1012).

In seguito nel 6° periodo vi è la formazione diuna serie di aperture tra i merli con l’inserimentodei rispettivi bancali (US 1010 a-d), superiormentela costruzione di una muratura (US 1013), l’inseri-mento di un bancale in pietra d’Istria (EA 109).

La Torre della Specola (Fig. 12), costruita pre-sumibilmente nel XI-XIII secolo, è inseritaall’interno del complesso edilizio del castello car-rarese, ed è costituita, come la torre di Ezzelino e

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Fig. 11 - Torre di Ezzelino: lettura stratigrafica

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la torre del palazzo Zabarella, da una base di gran-di blocchi di trachite (US 1000) e da una sopra-stante muratura in mattoni (US 1001), con laquale è “in fase” un’apertura rettangolare ad arcoa tutto sesto (EA 100).

In età carrarese (XIV-XV secolo) viene proba-bilmente ricostruita la parte sommitale della torrecon beccatelli di rinforzo in mattoni ed elementi dipietra di Nanto (US 1002); si può osservare che talielementi sono presenti nella torre di Porta Legna-go a Montagnana, nella torre del castello di S.Martino a Cervarese S. Croce e nelle due torridella cinta di Este. A tale muratura “si lega” in un“rapporto di contemporaneità” un’apertura inmattoni ad arco ribassato bardellonato (EA 101).Vengono inoltre inserite delle aperture rettangola-ri con bancale in pietra di Nanto, parzialmenteleggibili (US 1003, EA 102, 103).

In un successivo 3° periodo (seconda metà

XVIII secolo) sulla sommità della torre viene eret-to ad opera dell’architetto Domenico Cerato unosservatorio astronomico, costituito da una grandesala ottagonale con enormi finestre, con sopra tretorrette (US 1022, EA 113); inoltre viene inseritoun elemento rettangolare in pietra d’Istria (EA111), una serie di aperture rettangolari in fintobugnato di mattoni (T 1004, US 1004, 1005, T1006, US 1006, 1007, T 1011, US 1011, 1012, 1014,1015) con bancali in pietra d’Istria (EA 104, 105,106, 107), un’apertura circolare (T 1009, US 1009,1010) che comporta il tamponamento delle preesi-stenti aperture (US 1008, 1009, 1013); vienecostruito a lato della torre un nuovo edificio (US1017, 1019, 1021), che “si appoggia” alla torre, conl’inserimento di trabeazioni in pietra d’Istria (T1016, US 1016, EA 108; T 1018, US 1018, EA 109;T 1020, US 1020, EA 110); infine viene realizzatoun finto bugnato sull’angolo sud-est della muratu-

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Fig. 12 - Torre della Specola: lettura stratigrafica

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ra della torre formando una “superficie rifinitacome superficie architettonica”.

In fase con i lavori del Cerato è la stesuradell’intonaco che copre la superficie muraria dellatorre (US 1023).

Il Palazzo Zabarella rappresenta un esempio dipalazzo fortificato nella città di Padova (Fig. 13).

L’indagine stratigrafica è stata resa difficiledagli interventi di risarcitura dei giunti che la fac-ciata ha subito a causa dei recenti restauri, chehanno comportato una parziale illeggibilità deirapporti stratigrafici esistenti tra le diverse US.

Il palazzo sorgeva in un’area nevralgica dellacittà antica, limitrofa al ramo principale del Bren-ta (attuale Riviera Ponti Romani) dove vi era ilporto fluviale.

Inizialmente sorgeva l’attuale torre a protezio-ne di un primo nucleo abitativo, quasi a ridossodella preesistente cerchia di mura medievali; essaè costituita da un possente basamento di elementidi trachite, probabilmente di recupero (US 1000), eda una muratura abbastanza omogenea, costituitaper la maggior parte da laterizi romani di reimpie-go (US 1001), con la quale è “in fase” l’apertura ret-tangolare con architrave in trachite (EA 100).

L’ipotesi che la torre sia sorta come struttura asè stante ed autonoma è confermata dal fatto chela facciata del Palazzo non è in linea con questa,ma è leggermente inclinata.

In un probabile 2° periodo (prima metà XIII seco-lo) viene riferita probabilmente la maggior partedella facciata del palazzo delimitata nella partebassa da un basamento di blocchi di trachite, men-tre nella parte superiore è costituito da mattoniromani di riporto, di notevole dimensione e di coloregiallastro, disposti a corsi irregolari(US 1002).

In fase con tale muratura è un arco in mattonia sesto ribassato (EA 101) che rappresenta la pree-sistente apertura di ingresso al palazzo, della

quale è ancora leggibile la spalla destra (EA 102),parte della quale è stata poi demolita.

Al piano superiore si possono osservare le trac-ce di due archetti, con cornice dentellata (EA 103-104), che probabilmente facevano parte di apertu-re multiple (bifore o polifore), “in fase” con lamuratura (US 1002).

In un ipotetico 3° periodo viene costruita la mura-tura di completamento della facciata meridionale(US 1003), il cui paramento è costituito da mattonidisposti a corsi più regolari, con la quale è “in fase”l’arco (EA 105 a-b) del quale non è stata conservata laparte centrale, probabile apertura di servizio.

Al 4° periodo (XIV-XV secolo circa) corrispondepresumibilmente la sopraelevazione della facciatache uniforma il prospetto (US 1004), il cui para-mento è costituito da mattoni di piccole dimensio-ni senza reimpieghi di mattoni romani, con laquale è “fase di cantiere” la muratura (US 1005),alla quale “si legano” in un “rapporto di contempo-raneità” una serie di archetti (lacunari) (EA 106).

Al 5° periodo (XVI secolo) appartiene ipotetica-mente l’inserimento cinquecentesco di nuove fine-stre e balconi in pietra di Nanto, con architraveaggettante (da T 1007 a T 1015, da US 1007 a US1015, da EA 107 a EA 127), gli elementi orizzonta-li di marcapiano (EA 130-131) e un elemento circo-lare decorativo (patera) (EA 129), tutti in pietra diNanto.

Nel 6° periodo in relazione agli interventi otto-centeschi del Danieletti, di creazione di un atriomonumentale e di uno scalone interni, è riferibileprobabilmente il tamponamento dell’entrata car-rozzabile sul lato sinistro (T 1016, US 1016), il rifa-cimento della spalla destra della stessa e con l’inse-rimento di un’apertura cinquecentesca (EA 132).(Da un disegno di rilievo di Tomaso Sforzan del1672 si può osservare che l’ingresso si trovava anco-ra nel lato sinistro del Palazzo). Al centro della fac-

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Fig. 13 - Palazzo Zabarella: lettura stratigrafica

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ciata viene collocata una grande apertura ad arcocon elementi in trachite (T 1017, US 1017, EA 133).

È incerto se con la realizzazione del nuovoingresso le finestre e i balconi cinquecenteschisiano stati riposizionati per realizzare una simme-tria centrale delle aperture, come scrive lo Zabeo,anche se sono leggibili alcune discontinuità fisicheattorno alle aperture.

Successivamente nel 7° periodo (XIX secolo inpoi) sono riferibili presumibilmente l’inserimentodi una finestra nella torre (T 1018, US 1018), laformazione di un foro rettangolare (T 1019, US1019), il tamponamento di quattro fori (T 1020 a-d), la parte terminale della torre (US 1021) e dellafacciata (US 1022), l’inserimento di una bocca dalupo (T 1023, US 1023).

Un altro edificio oggetto di studio è l’ A r e n aR o m a n a, che rappresenta uno dei più prestigiosimonumenti della città inserito all’interno del com-plesso monumentale degli Eremitani.

Attualmente si sono conservati solamentealcuni tratti di muratura dei cinque muri ellitticiconcentrici esistenti.

L’anfiteatro di Padova, come quelli di Lecce,Pola, Verona e Nimes, era di tipo “canonico”, emer-gente dal terreno, la cui struttura, detta anche“cava”, era costituita da una sequenza di arcate.Esso era definito internamente dall’arena e dallac a v e a: la prima era a pianta ellittica e all’estre-mità dell’asse maggiore vi erano le grandi porteper l’entrata degli animali e dei gladiatori, la“triumphalis”, e per l’uscita dei caduti, la “libiti-niensis” o porta della morte.

Attorno all’arena (m 102,5 x 65,5) vi era lacavea, simile ad un grande anello ellettico, diforma concava, definita dall’insieme dei gradini.

Le murature dell’anfiteatro sono in opus vitta -tum, costituite da due paramenti esterni in piccoliblocchi parallelepipedi squadrati a spigolo vivo inpietra di Custoza, tipico calcare dei Colli Euganei,disposti a corsi orizzontali regolari con giunti dimalta sottili e da un nucleo interno, l’ opus cae -menticium, costituito da un impasto di malta e dic a e m e n t a, ossia di frammenti molto irregolari dipietra di calcare di Custoza. I paramenti esterninon sono collegati con il nucleo cementizio internoe ciò rende tale sistema costruttivo poco coeso.

Il terzo muro elittico si è conservato maggior-mente rispetto agli altri per circa 2/3 del suo svilup-po iniziale e costituisce l’oggetto del nostro studio.

Attualmente parti della muratura hanno con-servato la loro struttura iniziale con lo “opus vitta-tum” in pietra di Custoza (US 1000, 1001; US1200), mentre in altri tratti, a causa del degrado edell’erosione del tempo, l’ “opus vittatum” non si èmantenuto, rendendo leggibile il nucleo internocementizio (T 1001, T1200).

Nella parte interna di tale muro per tutta lasua estensione si è osservata la presenza di unadoppia fila di mattoni romani (US 1002, US

1201) di lunghezza variabile da cm 30-31 a cm20-21, altezza cm 7-7,5, che sono “in fase” con lamuratura sopra descritta e sono alla stessa quotadella base dei fornici d’ingresso presenti sulla

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Fig. 14 - È importante sottolineare che la materia non èequipotenziale sotto il profilo stratigrafico, ma può pre-sentare degli addensamenti e rarefazioni: possono esse-re infatti individuati dei “punti sensibili”, dei “nodi rive-latori” nei quali vi è un’alta concentrazione delle infor-mazioni e quindi una maggiore qualità del dato.Per esempio nella Torre di Ezzelino si può osservarecome, in uno spazio limitato, sia possibile notare la pre-senza di una spalla destra e una parte dell’arco a tuttosesto di un’apertura appartenente al 1° periodo, la qualeviene in seguito tamponata per l’inserimento diun’ampia apertura a finto bugnato in mattoni, la cuisuperficie, sporgente a bugnato, viene demolita e resacomplanare con la muratura adiacente, creando quindiuna “superficie di interfaccia negativa di demolizione”;si viene a creare quindi una separazione cronologica trala materialità in se stessa dell’US e la sua superficiearchitettonica.Tali tracce materiali, seppur limitate di estensione, con-servano in sè un alto potenziale informativo e un flussodi relazioni di importanza fondamentale per la com-prensione materiale della struttura stratificata che infase di restauro devono essere mantenuti e conservati.

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stessa muratura; probabilmente questi avevanola funzione di piano di posa della muraturas o p r a s t a n t e .

Inoltre sono stati individuati una serie di foripontai (EA 102a-o) ad intervalli di m 1,30-1,50sopra alla doppia fila di mattoni (US 1002), “infase” con quest’ultimi, i quali presumibilmenteerano la sede delle travature che sostenevano iltavolato del pavimento dell’ambulacro compresotra il muro precedente e questo.

Ad una altezza di m 3 dalla quota della doppiafila di mattoni vi è una “superficie di interfaccianegativa” di degrado o causata da azioni antropi-che (T 1001, T 1200) che rappresenta la volta checopriva l’ambulacro, della quale è leggibile l’“opuscaementicium” interno, costituito da frammenti dipietra più grandi rispetto a quelli della muraturasottostante.

Delle aperture arcuate, che si aprivano ad inte-rasse di m 8,70, sono leggibili alcune tracce (EA100 a-b, 200a-e), mentre sono quasi totalmenteleggibili le tre centrali sull’asse minore, che hannoun interasse di m 2,90 (EA 100 c-d, 200 f-g).

Nella parte esterna sono leggibili le “superficidi interfaccia negativa” del punto di contatto con icorridoi di accesso alla cavea, i quali erano costi-tuiti da due muri radiali, coperti da una volta dialtezza dal doppio corso di mattoni all’intradossodi m 4,65 che si prolungavano dal muro oggettoverso l’esterno per una lunghezza di m 10,55 innumero di 80. Questi erano aperti in corrispon-denza delle aperture arcuate presenti sul muro, aldi sopra dei fornici praticabili, mentre erano chiu-si dove non vi erano i fornici (EA 206a-l).

In epoche successive tale manufatto ha subitocontinue modifiche, tamponamenti, sopraeleva-zioni, addossamenti di nuovi edifici in seguitodemoliti.

Tale lavoro ha quindi permesso di evidenziarela complessa configurazione materiale dei manu-fatti, gli indizi materiali delle costruzioni, poten-ziali veicoli di comprensione, che costituiscono eformano quindi quella “carta del rischio architet-tonico” utilizzabile sia come strumento di cono-scenza del manufatto ma anche di controllodell’opera di restauro.

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Dott. ANTONIO ZAVAGLIA (Presiede la tavo-la rotonda)

Iniziamo subito la tavola rotonda. Ci scusiamoper i tempi che sono andati troppo oltre rispetto aquanto previsto, ma l’interesse delle problemati-che trattate ha causato questo ritardo. Darei per-ciò subito la parola al dott. Petraroia.

Dott. PIETRO PETRAROIADirettore Generale della Direzione Generale

Culture Identità e Autonomie della Lombardia.

Saluto coloro che hanno seguito questa giorna-ta di lavori che pone in evidenza gli elementi diintersezione nel lavoro di quanti operano sul patri-monio culturale, sia a livello dello Stato, come aquello della Regione, dell’imprenditoria, degli entilocali. Ma prima di fare il mio intervento lascereila parola all’arch. Rinaldo Luccardini, della dire-zione Cultura Turismo e Sport della regione Ligu-ria che, per una esigenza di servizio, che lo richie-de in Liguria in serata, ha chiesto di intervenireper primo.

Arch. RINALDO LUCCARDINIDirigente del Servizio Programmi e Strutture

Culturali della Regione Liguria

Ho assistito a questa giornata di studio sindall’inizio e mi compiaccio per la presenza, insie-me a tanti archeologi, di tanti architetti. Ho vistoanche qualche botanico e non ancora rappresen-tanti di altre discipline, come è presumibile chesucceda in futuro quando gli strumenti di prospe-zione del suolo saranno arricchiti di macchine,come quelle che adesso servono per guardare den-tro al cervello con l’eco-doppler. Avremo in futurostrumenti che potenzieranno e le nostre modalitàdi studio e dunque anche le nostre cognizioni.

In questo quadro di dialogo fra architetti earcheologi, vorrei brevemente ricordare ciò che stasuccedendo, perché abbiamo vissuto da architetti

un’esperienza nelle Regioni, che ha registrato, suquesto tema, anche fastidiosi ritardi. La mia espe-rienza si è svolta nel contesto della Regione Liguria.

Le decisioni in tema di gestione del territorionelle Regioni sono state assunte in modo moltodistorto rispetto alla imperativa domanda di con-servazione del proprio patrimonio culturale.Ricordo che le Regioni sono state individuate comeamministrazioni parzialmente autonome dalloStato in quanto distintamente riconoscibili nonsoltanto per la loro entità geografica, ma soprat-tutto per il loro portato culturale.

Dico ciò pensando al fatto che, proprio in questeore, il Parlamento sta esaminando una legge,pro-posta dal Ministro per i beni e le attività culturali,nella quale si parla di una “architettura naziona-le”, di un necessario miglioramento nella qualitàdella progettazione architettonica. Se ne parla intermini nazionali, non in termini regionali, comese questa espressione culturale e anche artisticache è l’architettura, non avesse poi dei riscontrilocali o per quanto meno regionali.

Se la legge non verrà gestita in modo congruoassisteremo, ma non voglio fare cattivi presagi,alla costruzione di opere pubbliche fra loro identi-che indipendentemente dal contesto (il Palazzo diGiustizia di Palermo è identico a quello di Milano:soltanto la loro posizione topografica è diversa).

Ma torno a descrivere come abbiamo vissutonelle Regioni la gestione dei beni culturali attra-verso l’urbanistica degli anni Settanta. Si è tratta-to di un’urbanistica di “contenimento”. Di frontealle espansioni disordinate comunemente conside-rate come abusi edilizi, sono stati compiuti, alme-no in Liguria, tentativi per arginarle con strumen-ti urbanistici generali, obbligatori, nei quali tuttociò che poteva costituire patrimonio storico- arti-stico veniva “incapsulato” in una disciplina urba-nistica più rigida rispetto al contesto. Tuttora glistrumenti urbanistici generali conservano questa“isola rossa” (il colore delle zone A è sempre statodi un rosso vivo).

Il colore rosso delle zone “A” significa, come neisemafori stradali, “blocco”, “impedimento”. Quiperò l’impedimento era ed è tuttora in atto, perché

TAVOLA ROTONDA

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i piani approvati tra gli anni 75 e 85 sono ancora lì. La generazione dei piani di contenimento pre-

vede che nel centro storico sia obbligatorio proce-dere con piani di strumento attuativo e lo stru-mento urbanistico attuativo in genere consiste inuna disciplina a maglie più piccole, più strette, conobbligo di procedure basate su un maggior numerodi collegamenti: inevitabilmente è consideratocome uno strumento ostile alla trasformazione.Ma ecco il paradosso: questo strumento, a nostrogiudizio, è diventato ostile anche alla conservazio-ne, rendendo difficili anche le semplici operazionidi restauro.

Questo blocco ha dato la stura ad una quantitàdi abusivismi piccoli e grandi che hanno poi con-dotto il legislatore ad adottare altri strumenti checostituiscono una famiglia numerosissima; l’ulti-mo ha anche un nome simpatico, il PRUST, (ilpiano di recupero urbanistico sostenibile). Si vaquindi verso una contrattazione tra chi pone laquestione della trasformazione o della conserva-zione e chi gliela deve approvare. Contrattazioneche per altro non è nuova al nostro ordinamentoperché viene adottata anche per i progetti dellegrandi infrastrutture a livello nazionale: gli accor-di di programma e i contratti di programma hannosostituito da tempo la programmazione per pro-getti, che era stata l’ultimo esempio della pro-grammazione basata su un piano.

Nel piano di recupero urbanistico sostenibile, èchiaro che si può trattare tutto fino alla fine.

Quello che manca in questa gestione dei feno-meni culturali fisici sul territorio, è prima di tuttol’attenzione verso ciò che non è centro storico. Insecondo luogo manca, se proprio non se ne dà cari-co il progettista, la considerazione del portato cul-turale, si direbbe dello spessore culturale che puòessere, in quel caso, l’ultima occasione urbanisticaper riportare alla dignità i valori che ci ha conse-gnato il suolo. Manufatti, ad esempio, che in quelpunto del territorio non ci sono più, fisicamenteimpercettibili: la loro traccia è solo un toponimo,una parola che dice che lì c’era un mulino, ma ogginon c’è più, è stato demolito e s’é perso. Bisogne-rebbe compiere scavi per ritrovarlo, ma spesso,come abbiamo già visto anche stamane, del sedi-mento storico di un sito è rimasto esclusivamenteil nome.

Credo che in questa partita che stiamo giocan-do con il territorio prima l’urbanistica e dopohanno superato il tempo che avevano per risolverei problemi.

Abbiamo moltissimi casi irrisolti, mentre siaffacciano altre competenze, altre discipline. Neparlo con disappunto perché, mentre dall’esternopuò sembrare che l’ente di governo territorialeprincipale, cioè la Regione, sia un soggetto unico, inrealtà all’interno della Regione, e lo vediamo anchequi da voi in Lombardia, ci sono delle differenze,degli steccati, delle strutture che non si parlano.

In tema di rischio del patrimonio culturale, perfare un esempio che calza con quanto abbiamo sen-tito due relazioni fa, da noi c’è una frammentazio-ne di competenze che vanno dalla Protezione Civi-le (esondazione, incendi) all’Ambiente (frane) oltreche alla Pianificazione Territoriale (tutela paesi-stica) ai Trasporti (infrastrutture). Ma poi ci sonoanche il Turismo (demanio marittimo e fenomenierosivi) ed i Beni Culturali la cui competenza èassolutamente irrisoria perché fino a quando, esappiamo che durerà ancora parecchio, il Ministe-ro, lo Stato mantiene le competenze primarie nelsettore dell’archeologia dei monumenti e deimanufatti che sono sul territorio, questo potere diintervento pianificatorio unico della Regione nonci sarà.

Questo mi consente di fare una piccola rifles-sione sul modo con cui questo Parlamento, questoGoverno, in sostanza questo Stato hanno gestito ilfenomeno culturale che ha ora un gran bisogno difederalismo, cioè della necessità delle genti di rico-noscersi all’interno di un’entità diversa dalloStato.

Questa situazione non è un fenomeno italiano,come tutti sanno, e non è nenche sconosciuto ilfatto che l’Unione Europea tratta con gli Stati perquanto riguarda la gestione dei finanziamenti, mapoi sostanzialmente si rivolge alle Regioni perchél’Europa, l’Unione Europea sostiene progetti, spe-cialmente nel settore dei Beni Culturali, cheimpongono interrelazioni fra le Regioni.

Disponiamo di leggi che hanno regionalizzatol’istruzione o il prelievo fiscale, ma non di quelleche isolano il valore regionale della cultura, anzic’è stato un fenomeno di direzione opposta per cuinelle prime bozze della legge che riformava ilMinistero dei Beni delle Attività Culturali c’eraaddirittura il recupero delle competenze che dal‘72 lo Stato aveva dato alle Regioni in materia dibiblioteche.

Perciò quella che tipicamente è l’identità diun’area geografica, cioè la cultura regionale, comei dialetti e il modo di manifestare le proprie costru-zioni, lo Stato italiano ha cercato di accentrarla,probabilmente come reazione al fenomeno disgre-gativo che sembrava avvertibile dal decentramen-to di tutte le altre funzioni.

Ma io dico che è proprio sui Beni Culturalisparsi sul territorio che le Regioni possono giocareuna partita autorevole utilizzando tutte le lorocompetenze. Probabilmente si tratta di organizza-re delle regie uniche, raccordando le varie compe-tenze che già sono all’interno delle Regioni.

(Zavaglia) Ringrazio il dott. Luccardini perl’interessante contributo. Ha trattato tutta unaserie di temi della situazione ligure. La tematica èancora più complessa, tipo il rapporto del bene cul-

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turale nella fase attuale, tra ufficialità e decentra-mento, con tutte queste spinte federalistiche chesembra tendano sempre di più ad affermarsi.

Io mi ricordo che circa tre anni e mezzo fa quiabbiamo fatto un convegno che aveva come titolo:“Il Bene Culturale tra centralità e decentramen-to”. Aveva partecipato il dott. Guzzo della Soprin-tendenza di Pompei, quindi lo inviterei a prenderela parola.

Dott. PIETRO GIOVANNI GUZZOSoprintendenza Archeologica di Pompei

Ringrazio, ma francamente non vorrei parlaredi accentramento e decentramento perché questo èun argomento che da una parte attaglia a livellostorico- culturale, anche ideologico se vogliamo, edall’altra si riferisce a competenze istituzionali inParlamento dal quale, grazie a Dio, io sono fuori.Dico soltanto che la figura di chi gestisce il patri-monio culturale è assolutamente secondaria,secondo me. L’importante è che i criteri di questagestione, le norme, le regole di questa gestionesiano esemplati su due criteri: uno, quello dellostandard della qualità da discutere, da vedere maevidentemente da costruire in maniera uniformedal Brennero a Lampedusa, secondo che il perso-nale tecnico, al di là di chi sia poi il funzionariopagatore dello stipendio e quindi l’organizzatoredel servizio, addetto alla gestione, alla tutela, ecc.ecc. del patrimonio culturale, possa essere recluta-to anche su scala regionale, ma converga poi in uncorpo tecnico unico nazionale, perché il pericoloche qualcuno nasca, si cresimi, si laurei, lavori emuoia sempre nello stesso luogo è contrario adogni forma di cultura.

Ciò detto, deviando, penso che l’interesse prin-cipale di questa giornata sia stato nel farci vederecome da cenni o da indizi così nascosti o da eviden-ze invece così evidenti, all’interno del complessodei segni sedimentati del territorio o nel paesag-gio, anche di questo si potrebbe fare un seminarioforse, se lo intendiamo come stratificazione delleattività umane, esista, si veda, risalti fuori unospessore, ed è il titolo della giornata, che attieneprevalentemente alla storia.

Questo fatto che è stato così evidente nella rela-zione del prof. Moreno oggi pomeriggio, la storiacome attività umana, insomma, da una parte sbu-giarda questa voga ecologista verde, che ogni tantoprende queste vampate nelle quali l’accentuazionesull’attività dell’uomo è vista esclusivamente innegativo. L’uomo ha tutte le colpe naturalmente,perché è l’attore principe della sua storia, ma unavisione totalmente negativa di queste attività, nonè possibile, perché è antistorica, perché la storia èfatta anche di distruzioni, di modifiche, di cambitotali di direzione. A questi cambi però le soprav-vivenze che si notano e si possono documentare,

come si è visto nel corso delle relazioni di questagiornata, propongono un contraltare. Ora il gover-no di queste spinte, di queste situazioni conver-genti, distruzioni da una parte, costruzionidall’altra, impalpabilità di dati o evidenze pesantidi manufatti, di situazioni, richiede per esseregovernato quella che è stata definita la gestionedella complessità. La gestione della complessitàd’altra parte non credo che possa essere primaancora che governata, capita, se chi lo deve fare olo vuol fare non è dotato di cultura storica. Ora,quando si vede che le formazioni professionali dicoloro che gestiscono o che progettano prescinda-no, in buona parte, da una formazione storica, allo-ra comincia a insorgere una preoccupazione per-ché, se la complessità è data dalla stratificazionestorica degli eventi, positiva o negativa, e se chideve gestire questi strumenti non è dotato deglistrumenti ermeneutici per sfogliare questo car-ciofo delle stratigrafia storica e quindi di identifi-care i pieni e i vuoti, che sicurezza noi abbiamo chelo sfogliare il carciofo sia fatto secondo le buoneregole della storia? La tecnologia che oggi ha impe-rato, è una bellissima cosa, per carità, siamo tuttischiavi del computer; ormai,non possiamo piùfarne a meno, ma poiché la tecnologia non ha sto-ria in quanto mangia se stessa, ogni nuovo prodot-to mangia il precedente, quindi non serve più cono-scere il precedente, che magari fino a ieri abbiamousato. Ma si rischia una sottovalutazione dellastoria e una sottovalutazione dello strumentoermeneutico storico, per sfogliare il carciofo, pergestire la complessità del territorio.

Il problema, è capire bene chi deve fare, checosa, quale istituzione deve far sì che si formino itecnici di questo genere e che tipo di competenzadebbano possedere. Serve un corpo tecnico, appun-to, che si sia nutrito di storia e che quindi possariconoscere la complessità del carciofo, lo sappiasfogliare secondo un metodo corretto.

Io credo che qui dobbiamo andare a vedere, piùche dire“ lo Stato unitario, il federalismo, le regio-ni, il centro, i privati”, chi si sobbarca, come canta-va il poeta, di formare il giovane a queste cose,dalla prima media, poi man mano all’università,nei corsi post-universitari. Chi garantisce,all’interno degli ordinamenti normativi, dei qua-dri istituzionali e così via, che le reali conseguenzee competenze di responsabilità siano date a pro-fessionisti formati in questa maniera. Chi garanti-sce le risorse finanziarie per far sì che si faccia inquesta maniera, chi se la piglia questa responsabi-lità, perché, ammesso che io abbia ragione, la con-seguenza logica di seguire un percorso del genere,comporta che non siano più possibili o siano piùstretti i giochi sulle delimitazioni dei piani regola-tori, dei piani di sviluppo ecc., perché la tecnica cheha sfogliato il carciofo, che ha fatto vedere questicenni impalpabili, questi toponimi, ecc. ecc. ponedei punti fermi contrari ad interessi d’altro genere

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che sono, credo, quelli che ci hanno condotto a scel-te di pianificazione e infrastrutture con conse-guenze ambientali pericolose o addirittura disa-strose: alluvioni dalla Liguria al Sarno, insommatutta l’Italia, al di là della sua latitudine, soffre diuna gestione territoriale e ambientale talmentedeficitaria che la gente poi ne muore. Appunto,ripeto, chi se la prende questa responsabilità,quale livello istituzionale della nostra Repubblicase lo prende? Questa domanda che io ho semprenella testa, nella giornata di oggi mi si è radicataancora più forte, perché vedo che ci sono risposteche tendono a presentare delle candidature adassumere questo ruolo. C’è soltanto da augurarsiche, da questa confusione di linguaggi, nel giro dipoco tempo possa uscire una risposta univoca esoddisfacente nella direzione che ho cercato di rap-presentare.

(Zavaglia) Grazie. Il Soprintendente Guzzo haposto problemi di grande complessità. Mi sembrache il Professor Brogiolo sia molto attento su que-ste tematiche, quindi lo inviterei a prendere laparola:

Prof. GIAN PIETRO BROGIOLODipartimento di Scienze dell’antichità, Univer-

sità di Padova

Il problema di questa conoscenza, di questospessore storico, che con un titolo ad effettoAndreina Ricci ha definito “ I mali dell’abbondan-za”, a me pare che oscilli tra un sogno positivista,quello che si coltivava ancora negli anni sessanta,sulla scia della contestualizzazione del bene cultu-rale, di chi pensa di documentare tutto, e crede chel’obiettivo sia quello di dare una documentazioneesaustiva di un territorio, e un ritorno pragmaticoa una concezione idealistica in cui si vede soltantociò che emerge da un punto di vista storico - arti-stico o da un punto di vista di valorizzazione eco-nomica e di gestione del bene culturale.

A me sembra che tra questi due poli ci sianotante posizioni intermedie e mi sembra che cisiano anche degli strumenti in grado di dare, senon una conoscenza, quanto meno una documenta-zione esaustiva. Se noi riteniamo che la conoscen-za sia il frutto di una interpretazione messa a fian-co di una documentazione, io ritengo che si potreb-bero scindere questi due temi. Forse non avremomai, come diceva l’architetto Cannada, una docu-mentazione 1:1 del territorio, però abbiamo avutouna carta napoleonica che è talmente ricca diinformazioni che la possiamo utilizzare ancoraduecento anni dopo per tutta una serie di indaginitematiche. E oggi disponiamo delle foto aeree chevanno semplicemente adattate alle nostre esigen-ze. Voli a una certa quota con un certo tipo di pelli-

cola sono in grado di dare un certo tipo di docu-mentazione, l’applicazione del radar ne dà altre; eper quanto riguarda, ad esempio, i beni immobilisparsi nel territorio, una documentazione esausti-va, fatta attraverso fotopiani o rilievi dall’alto,sarebbe già mettere da parte un archivio che cer-tamente fra qualche anno non sarà più realizzabi-le. Quindi, io penso che si debba fare uno sforzo, daun lato, nella direzione dell’ esaustività utilizzan-do gli strumenti che abbiamo, e dall’altro, si debba,invece, puntare a un approfondimento tematicodove gioca un ruolo importante l’interpretazione.A noi interessa sapere, ad esempio, qual è la per-centuale a chilometro quadrato dei siti archeologi-ci. Lo possiamo fare, abbiamo gli strumenti perfarlo, possiamo campionare in modo da avere deidati statistici che ci dicono qual è la distruzioneche avremo in un dato territorio se non lo salvia-mo. Oppure potremo scendere a un dettaglio mag-giore e analizzare all’interno di quel chilometroquadrato, alcuni siti e avere una campionaturaraffinata. Certamente questo approfondimento lopossiamo realizzare soltanto per campioni. Quindia me pare che si debba, da un lato, cercare di per-correre, là dove è possibile con gli strumenti dellaesaustività, una documentazione totale, edall’altro cercare invece di approfondire in detta-glio. Rispetto a questo, mi chiedo se siamo attrez-zati con gli strumenti della tutela, me lo chiedosoprattutto nel momento in cui mi accorgo che latutela si fa se si sta sul territorio, la tutela si fa sesi sta in rapporto con la pianificazione urbanistica,si fa se vi è un rapporto organico tra chi detiene latutela, lo Stato e gli Enti locali. Di questo problemasi parla da tanti anni, ma strumenti concreti diraccordo tra i vari Enti non sono attuati.

(Zavaglia) Darei, a questo punto, la parola alprofessor Moreno che è stato anche citato dal dot-tor Guzzo

Prof. DIEGO MORENODipartimento di Storia moderna e contempora-

nea, Università di Genova.

Ovviamente cerco di riprendere. Ho sentito ilprofessor Guzzo fare questo intervento altre volte.È chiaro che il tema che propone è quello della cul-tura dei conservatori: l’alta qualità, l’omogeneità,la capacità analitica che, su questo siamo tuttedue d’accordo, mi pare non può che essere di natu-ra storica. È chiaro che la richiesta di spessore sto-rico c’è a tutti i livelli. Io non saprei risponderesulla questione del piano istituzionale, se deveessere lo Stato o le Regioni, certo quello che fino adora abbiamo avuto non è proprio il massimo, eposso dire che lo Stato ha in mano l’Università,non so per quanto, e quest’Università non è certa-

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mente oggi la fucina, mi scuso con i colleghi diSiena che sono invece una delle punte, ma l’Uni-versità media italiana che si occupa di archeolo-gia, e che se ne occupa in funzione della cultura delconservatore, quindi con riferimento per esempioalla conservazione su aree specifiche di territorio,è un mondo molto chiuso. C’è qui Tiziano Manno-ni, ricorderà che al corso dei Beni Culturali, isti-tuito all’Università di Genova, non si è riusciti insei anni ad avere una convenzione con le Sovrin-tendenze, sei anni di attività senza nessun rappor-to istituzionale, quindi è impossibile, quella stradaè ormai chiusa, è finita. Forse Guzzo pensa a dellegrandi scuole, alla Francese, ma questo è un pro-getto napoleonico, molto bello, ma non so, potrebbeessere un’idea, può darsi che lo faccia lo Stato.

(Guzzo) Vedi, non è mio mestiere dire come sideve fare, è porre problemi.

(Moreno)..ecco, il problema c’è, direi che sareb-be interessante vedere se si potesse entrare neicontenuti, non qui ovviamente…; mi pare però chela giornata di oggi abbia messo parecchio. Adessoper arrivare ai contenuti, io vorrei ricordare alme-no due cose, anche l’intervento di Brogiolo me lo hasuggerito, non continuerei a praticare questadistinzione tra storiografia, cultura storica e meto-do, tecnologia nello scavo. Io ho cercato di dirlo,non c’è. È chiaro che uno può utilizzare metodiquantitativi informatici, ma il problema è quello diun approccio analitico, cioè se oggi un problema diapproccio analitico sia più conveniente quando siaffrontano problemi di gestione dei Beni Cultura-li, e soprattutto, questo era il caso che malamente,dato il tempo e la quantità di cose che oggi volevoraccontarvi, sono riuscito a dirvi, se questo approc-cio analitico storico non ampli, con danno proba-bilmente dei curatori, il concetto del bene che sivuole conservare. In altri termini, è possibile conun semplice tratto di penna, annettere al Patrimo-nio Archeologico tutto il Patrimonio Forestale ita-liano, tutto. È chiaro che questa è una battuta, ilproblema è di natura culturale. Vogliamo conse-gnare, per esempio il Patrimonio Forestale delleregioni italiane a una gestione di tipo ”naturalisti-co”, di tipo puramente “economicistico” ? Non èpossibile introdurre una gestione che sia compati-bile con la loro natura di “boschi post–culturali”,che hanno una quantità enorme d’informazionearcheologica e storica? Certo complica le cose, ma,in certe situazioni, è auspicabile un patrimonioarcheologico che comprenda le coperture vegetali,gli assetti, chiamiamoli ancora una volta dei pae-saggi agrari, ma che sia gestibile.

Noi abbiamo fatto uno studio all’interno diun’area parco, la quale area parco, per quegli spaziche noi stavamo indagando, non aveva nessun

altro piano se non quello dell’abbandono. Cioè, si èpensato, e questa è la filosofia che ha anche ispira-to i Piani Territoriali di Coordinamento Paesisticoche abbiamo adottato in Liguria, che questo patri-monio lasciato a se stesso raggiungesse un livello dinaturalità. Questo assioma è sbagliato, quel patri-monio non è in origine naturale e non torna ad unostato di naturalità, si conserva in una stato post-culturale con tutti i problemi di gestione ambienta-le che abbiamo. È necessario mantenere, dove pos-sibile, attività produttive all’interno di questosistema, qui l’intervento è quello di un parco, di ungruppo di comuni, di una comunità montana, insituazione di dettaglio, riuscire a mantenere picco-le produzioni locali per il fatto che la piccola produ-zione locale si valorizza collegandosi alla storia diuna risorsa, al suo contesto, vicino o all’interno diun sito, di un’area, di un complesso d’interesse sto-rico–ambientale, di un sito archeologico. Bene,questo è un modo di immaginare delle valorizzazio-ni nuove del patrimonio, un patrimonio che èsuscettibile di essere usato e di essere valorizzato.Mi sembra che questa in fondo non è una grandenovità, almeno in piccoli casi potremmo sperimen-tarla. Forse non ce la faremo al livello della legisla-zione nazionale, dove si fanno abbastanza pasticcianche su queste cose delle produzioni locali, mapenso che le Regioni, nella loro autonomia potreb-bero tentare degli esperimenti per uscire un po’ daquesto schema per cui i siti archeologici si ricono-scono, sono riconoscibili, sono storici ed il resto ènatura. Su questo siamo tutti d’accordo che nonfunziona, mi sembra che (era la conclusione nonfatta del mio primo intervento) se si riuscisse adaprire all’analisi storico-archeologica il resto diquesto patrimonio, per chi deve gestirlo si aprononon nuovi vincoli, ma nuove possibilità, perché ilvincolo peggiore è lasciarlo così com’è,cioè lasciarloalla naturalizzazione. Siamo poi noi Stato a ripa-gare le conseguenze di questi abbandoni, è ovvioche qui mi riferisco ad incendi, cioè a tutte le situa-zioni di squilibrio ambientale derivate dal fatto chesi considera nelle nostre pianificazioni un ambien-te in equilibrio o un ambiente rinaturalizzato, unasituazione post – culturale. L’ultima diapositivache non sono riuscito a far vedere era quel boscoche, pur abbandonato ormai da quaranta o cin-quant’anni, si schianta sotto la galaverna e si erodemolto di più di quand’era utilizzato. Peggio ancoraovviamente che un edificio lasciato lì, un bosco cheè stato pensato, progettato come sorgente di com-bustibile, brucia. La metà dei boschi liguri è statapiantata negli ultimi cento vent’anni con resinose,con un progetto che era quello di farne un combu-stibile; il progetto è caduto, i boschi sono lì e la fab-brica continua a produrre combustibile; chi si stu-pisce se poi brucia?

Questi sono meccanismi che devono essere corret-ti con una visione completamente diversa della risor-sa, che non può che essere che una visione storica.

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(Zavaglia) Grazie, darei la parola al Dott.Petraroia

Dott. PIETRO PETRAROIA

Tra il luglio 1979 e il maggio 1980, mi capitò dilavorare insieme a due colleghi, Pio Baldi e Gian-carlo Mainini, a un documento la cui stesura fupiuttosto impegnativa, un documento della sedenazionale di Italia Nostra che nasceva attornoall’impegno preso nel ’77 dal legislatore di dotare ilnostro Paese di una legge di tutela entro il dicem-bre ’79. Sappiamo bene che la nuova legge di tute-la non fu più scritta, anche se, oggettivamente,alcuni passaggi legislativi recentemente sviluppa-tisi attorno al cosiddetto “pacchetto di norme Bas-sanini”, che ridefinisce il rapporto tra lo Stato e leAmministrazioni Territoriali e Tocali, ha indub-biamente fatto sentire più pesantemente e piùesplicitamente l’assenza di questo nuovo strumen-to. Quest’assenza, d’altra parte, deriva diretta-mente dal dibattito verificatosi nella Costituente epoi anche nella commissione del ’70,per la defini-zione sia dell’art. 9 della Costituzione,sia dell’art.poi divenuto 117, che definisce le competenze delleRegioni in alcune materie inerenti il Patrimonio ei Servizi Culturali e il Territorio.

In realtà, quando Guzzo dice “Io pongo il pro-blema ma non ho la soluzione in mano..”, il proble-ma cioè di una ricomposizione, se non capiscomale, in fin dei conti della tutela puntuale dei BeniCulturali per un verso, con la pianificazione Urba-nistica dall’altro, e quando si pone anche più afondo il problema della consistenza della profes-sionalità di coloro che a qualsiasi livello istituzio-nale, amministrativo, siano chiamati a gestire lacomplessità del rapporto tra tutela dei Beni Cultu-rali e Pianificazione Urbanistica, quando Guzzoappunto dice: “Io non ho la soluzione in mano”, ilproblema non è che non ce l’ha lui, il problema èche noi abbiamo in mano una carta costituzionaleche questo problema ha eluso; non era, evidente-mente, ritenuto un problema così pesante da con-dizionare un ritardo nell’adozione della CartaCostituzionale, pertanto è stato lasciato sostan-zialmente irrisolto con una soluzione apparente-mente di compromesso, quella che fa riferimentoalla Repubblica come responsabile della tutela delpatrimonio storico-artistico del Paesaggio, che lìsignifica in qualche modo Territorio, ma in qual-che modo soltanto, e poi in realtà con una giuri-sprudenza che di fatto ha ricondotto comunque incapo allo Stato la competenza nella materia dellatutela in tutte le sue reali espressioni. Anche se ilD.P.R. del ’72 aveva passato effettivamente alleRegioni le competenze in materia di PianificazioneUrbanistica e di Tutela Ambientale, quindi lagestione della legge 1497 del ’39.

Insomma noi non abbiamo in questo momento

né uno strumento costituzionale, né delle legginazionali che abbiano definito un obbiettivo genera-le assunto dal legislatore ai suoi livelli più alti, inrapporto al quale le azioni possano svilupparsi intermini coerenti, sia per armonizzare la tutela delsingolo bene culturale con la tutela del suo comples-so e poi più in generale la tutela con la Pianificazio-ne Urbanistica sviluppando gli elementi di valoriz-zazione dello Spessore Storico appunto nell’Urbani-stica. Non abbiamo neanche delle leggi ordinamen-tali, cioè di contenuto, adeguate ad affrontare que-sto problema, e nei cosiddetti “pacchetti Bassanini”,cioè in tutto il processo di revisione del rapporto traStato, Regioni, Enti Locali, nella gestione di questacomplessa materia, non possiamo pensare di trova-re una soluzione, perché la soluzione va data poi suicontenuti, sugli obbiettivi finali della tutela, nonpuò essere data soltanto nel momento delle artico-lazioni delle competenze. Quindi, da questo puntodi vista, io mi trovo, in linea di principio, d’accordocon Guzzo, quando dice: ”in fin dei conti non m’inte-ressa, in termini prioritari, quale sia il livello istitu-zionale che assicura la ricomposizione della tuteladei beni culturali con la pianificazione urbanistica”,di fatto, però, poi, questo problema rimane, e, secon-do me, rimane e rimarrà anche dopo la conferenzan a z i o n a l e .

Intervento delDott. PIER GIORGIO PANZERIDirigente del Servizio Tutela Ambientale e Par -

chi della Regione Lombardia

Porto il saluto del Direttore Generale dellaTutela Ambientale, quale dirigente di una struttu-ra organizzativa particolarmente interessata altema di questo convegno. Purtroppo vi deluderò,perché non ho la preparazione specifica e tecnicadi chi mi ha preceduto, quindi darò la mia testimo-nianza sulla base del lavoro, in concreto, che fac-cio.

La Regione Lombardia ha un sistema di areeprotette molto importante. Il 20% del suo territo-rio è vincolato a parco ed a riserva naturale, senzacontare l’area del parco nazionale dello Stelvio. Glienti gestori dei parchi, nati negli ultimi vent’anni,hanno dovuto predisporre e preparare gli stru-menti urbanistici di tutela, con un sistema di vin-coli e di indicazione di zonizzazione diretta a favo-rire la vocazione di ogni area interessata. Per pas-sare alla gestione di questi vincoli, è necessarial’approvazione dei piani territoriali di coordina-mento, che sono gli strumenti urbanistici per farfunzionare i parchi, per la tutela del loro valorepaesaggistico, delle loro presenze naturali, dellepresenze storiche e architettoniche. Quindi riten-go che ci sia una stretta relazione tra questo lavo-ro di formazione dei piani territoriali di coordina-mento, e quindi la pianificazione territoriale, con

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l’evoluzione storica e culturale del territorio. Ipiani dei parchi, infatti, hanno effetto di pianopaesistico e quindi rispecchiano, in questo proces-so di pianificazione, la realtà caratterizzatadall’evoluzione storica del paesaggio nei suoiaspetti di evoluzione naturale e di cambiamentodirettamente legato all’attività antropica.

Ci sono parchi molto urbanizzati che hannosubito, soprattutto negli anni ’50 e ’60, una selvag-gia urbanizzazione e quindi, i piani territoriali dicoordinamento, devono salvaguardare gli aspettinaturalistici ancora importanti, con una ricostru-zione e recupero fin dove è possibile delle zonedegradate.

Abbiamo due tipi di aree naturali; le riservenaturali, con superfici minori, dove il processo dipianificazione è soprattutto rivolto alla tuteladelle presenze naturali, della fauna, della flora; iparchi dove è indispensabile che l’individuazionedelle linee evolutive del territorio prendano in con-siderazione, congiuntamente, gli aspetti naturali-stici e gli elementi legati alla interrelazione uomo-ambiente e quindi: organizzazione urbanistica,attività antropiche agricole e produttive, culturalie sociali.

Per dare agli amministratori dei parchi ancheuna guida per poter costruire piani territoriali dicoordinamento che tengano conto di queste pre-senze, abbiamo adottato una linea guida, con lostrumento della delibera che è vincolante nelle suelinee fondamentali. In questa delibera, pratica-mente, si dice che il paesaggio italiano ha unacaratteristica prevalentemente storico-culturale;la legge 1497 e anche la più recente 431 del ‘91 cheistituisce i parchi naturali è basata, appunto, sulrapporto tra uomo e ambiente, tra cultura e natu-ra. Si ritiene che l’analisi paesaggistica da condur-re in tutto il territorio del parco, per una letturaattenta delle preesistenze, debba essere impernia-ta sullo studio delle diverse stratificazioni cultura-li, dei diversi modi di trasformazione e d’interven-to delle culture che sul territorio si sono, poi, suc-cedute. Quindi noi mettiamo a disposizione deigestori dei parchi, anche somme significative erilevanti per gli studi preliminari, in modo tale chelo strumento urbanistico, poi, debba tener conto,quasi obbligatoriamente, di questi studi prelimi-nari nelle sue determinazioni, quindi nello stabili-re l’evoluzione, gli interventi e le tutele.

La prima fonte di questi studi, i primi docu-menti che si devono raccogliere per questo tipo dianalisi è un’attenta valutazione del territorio. E’necessario che ci sia un contatto molto più precisotra gli amministratori dei parchi, gli urbanistiincaricati della redazione del Piano Territoriale e iresponsabili degli studi preliminari, perché sianoconsapevoli dell’importanza di queste analisi chedevono prendere in esame i segni, le memorie ter-ritoriali dovute alla presenza dell’uomo che in essoha abitato, che ha tracciato strade, che ha fatto

sentieri, che ha fatto canali. Pensate alla Lombar-dia, l’importanza e la delicatezza del suo sistemadi utilizzo delle acque, progettato nel medioevo erealizzato man mano nei secoli, che va dal sistemadei navigli, alla regimazione dei grandi laghiprealpini che consentono anche in periodi di sic-cità di garantire l’acqua per l’irrigazione deicampi, per gli usi civili e per la produzione di ener-gia elettrica.

L’ottimizzazione dell’acqua ha consentitograndi opere di bonifica dei suoli paludosi, trasfor-mati in aree produzione agricola intensiva.

E’ chiaro che tutto questo lavorio che ha fattol’uomo negli anni e nei secoli, l’ha fatto per viveresul territorio, per sfruttare le sue risorse in agri-coltura, costruendo edifici industriali, producendoricchezza, attraverso l’utilizzo e la manipolazionedelle riserve del territorio. Ecco, questi segni, avolte, sono evidenti e facilmente individuabili conun’attenta lettura, a volte, invece, sono sovrappo-sti o parzialmente cancellati. Quindi è possibileuna lettura solo confrontando quanto è rimastocon documenti e cartografie d’archivio, guide edizionari corografici, pubblicazioni di storici locali,monografie di vario argomento, reperti conservatinei musei, toponimi e memorie delle popolazione.Dovrà essere, questa, una lettura del territoriotesa a comprendere di ogni elemento il significatodella collocazione, la funzione e il valore in un rap-porto ad altri elementi.

Per semplificare, indico territori che ho avutomodo di conoscere direttamente. Accenno, peresempio, al medio corso dell’Adda, da Lecco fino aRivolta, dove ci sono delle presenze di archeologiaindustriale e dove, effettivamente, la manodell’uomo ha operato conservando e tenendo inconsiderazione la natura. Quando si viaggia attor-no a questi luoghi, è facile evocare la figura di Leo-nardo, sia perché è stata sua la prima intuizione disuperare attraverso un canale le rapide dell’Adda esia perché lì, con un occhio attento, si possonovedere, soprattutto in questa stagione, i paesaggiche poi hanno fatto da sfondo ad alcuni suoi qua-dri. Ecco, per leggere queste cose, è necessario for-mare una coscienza ed una cultura tra gli ammi-nistratori e tra chi poi progetta i piani territorialidi coordinamento. Quindi, io penso che, all’internodei piani territoriali di coordinamento, ci possanoessere delle zone con una maggior tutela e c’è spa-zio, in molti parchi della regione Lombardia, perdei parchi archeologici. Cito l’esempio del parco delmonte Barro, dove ultimamente è stato individua-to, all’interno del perimetro della legge istitutiva, ilparco naturale che comprende anche un sitoarcheologico risalente al Medioevo di eccezionaleimportanza. Quindi vuol dire che sarà di estrematutela questo territorio, sotto ogni aspetto, non soloper questa presenza archeologica, ma anche per-ché ci sono delle presenze naturali importanti.Anche nel territorio del parco dell’Adda Nord vi è

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un altro esempio, anche se di data più recente, chemerita una tutela particolare. Infatti il Villaggio diCrespi d’Adda, pur non avendo un valore archeolo-gico, individua un’epoca industriale importante,da cui è derivata anche un originale progetto urba-nistico. Infine, sempre lungo l’Adda, nel territoriodel Comune di Cornate d’Adda è stata scopertarecentemente una villa rustica romana, suun’estensione di 20.000 mq. Il ritrovamento è statopossibile perché si è proceduto con metodo nellaricerca, partendo da un’analisi di superficie e suc-cessivamente un volo aereo ha confermato l’esi-stenza di un possibile giacimento archeologico;sono state poi raccolte delle testimonianze orali eindagini a scacchiera. Finalmente, (nel marzo-aprile 1999), dopo aver scavato circa 1000 mq sonostate trovate delle tombe, un pozzo quadratocostruito con mattoni a spina di pesce e una tramamolto elegante dove si individua che effettivamen-te la ricerca ha avuto esiti importanti. E’ stato pos-sibile questo intervento per un finanziamentoavuto direttamente dall’amministrazione delParco dell’Adda Nord e quindi per un’attenzioneche è stata portata avanti da parte dei tecnici, daparte dei ricercatori e degli amministratori. Così

per la Rocchetta di Porto d’Adda, dove scavi e ricer-che hanno dimostrato che la chiesetta esistente èstata ricostruita sui ruderi di un antico fortilizio, dietà longobarda, denominata “Torre Rauca” e citatoin un documento dell’anno 1000.

Questi esempi dimostrano come all’interno deiparchi deve nascere anche questa sensibilità e ipiani territoriali dei parchi essere visti, valutati,costruiti con un’attenta considerazione dello spes-sore storico che c’è in ogni territorio, con studi pre-liminari molto attenti e, una volta costruito ilpiano territoriale di coordinamento, la gestione delpiano, la gestione dei vincoli, la continuità che cideve essere, in modo tale che i parchi non vivanosolo per i vincoli che sono stati posti per la conser-vazione del territorio, ma tengano in considerazio-ne queste presenze importanti, le facciano vivere ele facciano soprattutto conoscere alla generalitàdei cittadini.

Questo è l’indirizzo che ho dato al mio ufficio eper realizzare questi obiettivi sono necessari, dauna parte, molti finanziamenti, ma al di là deifinanziamenti, è necessaria una matura consape-volezza delle ricchezze che ci sono nel territorio,come salvaguardarle, tutelarle e farle conoscere.

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