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Finito di stampare nel mese di luglio 2008dalle Grafiche Scarponi s.r.l. Via Pergolesi, 15 - 60027 Osimo (AN)www.grafichescarponi.com

La Marchigiana:una razza da esportare

Regione MarchePF Pesca e ZootecniaLead Partner del progetto MarcbalVia Tiziano, 4460125 Anconatel +39 0718063738fax +39 0718063055www.regione.marche.itfunzione.PescaZootecnia@regione.marche.it

Sviluppo Marche SpASocietà UnipersonaleArea Territorio e Sviluppo RuraleVia Martiri della Resistenza, 2460125 Anconatel +39 071 289941fax +39 071 [email protected]

L’iniziativa è stata realizzata con il co-finanziamento del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale nell’ambito del NuovoProgramma di Prossimità Adriatico INTERREG-CARDS/PHARE

REGIONEMARCHE

Università Politecnica delle MarcheFacoltà di Agraria - Dipartimento di scienzeambientali e delle Produzioni vegetaliSezione Agronomia e Coltivazioni erbacee

EuromediterraneaAssociazione di Promozione Sociale

Regione AbruzzoDirezione Agricoltura, Foreste e SviluppoRurale, Alimentazione, Caccia e Pesca

Università degli studi TeramoDipartimento di Scienze degli Alimenti

Università degli Studi di UdineFacoltà di Medicina VeterinariaDipartimento di Scienze Animali

Università di SarajevoFacoltà di Agricoltura

Ministero dell’Agricoltura, Alimentazione e Tutela del consumatore dell’Albania

Facoltà di Agricoltura - Tirana

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Prefazione

La razza bovina Marchigiana è stata per decenni “motore” dell’economia rurale e fonte di reddito

per molte famiglie, comunità ed imprese che si sono avvalse delle prestazioni lavorative di que-

sto bovino forte e docile. In questo percorso, la razza bovina Marchigiana evoca le tradizioni con-

tadine, la laboriosità della gente marchigiana, la mezzadria e le condizioni che hanno portato allo

sviluppo della società marchigiana nel secolo scorso.

Se è vero che l’identità di una comunità, di una regione, passa attraverso denominatori comuni sto-

rico-culturali per i marchigiani uno di questi, e tra i più evidenti, è dato sicuramente dalla razza

bovina Marchigiana.

Non è un caso che questa razza bovina è denominata Marchigiana; è una razza che è stata selezio-

nata fin dalla fine dell’800 dagli allevatori della nostra regione per i lavori dei campi argillosi e per

il sostentamento delle loro famiglie.

Essere un allevatore di “tori” marchigiani dava, allora come oggi, prestigio sociale; quando si arri-

vava in una casa di campagna la prima cosa ad essere mostrata, prima di entrare in casa, era la

stalla. È nella stalla che ci si riuniva d’inverno per riscaldarsi e, mentre i bovini sdraiati flemmatica-

mente ruminavano, si giocava e si raccontavano storie.

E’ una razza frugale, docile, ma soprattutto forte e resistente, con spiccata capacità materna; il

carattere dell’uomo “marchigiano”, concreto, riflessivo e di poche ma sagge parole, sembra tem-

prato dal rapporto tenuto nei secoli con questo animale.

Oggi le condizioni socio-economiche sono diverse; la razza bovina Marchigiana allevata negli ulti-

mi anni è il risultato di una efficiente selezione che ha portato ad ottenere una razza specializzata

per la carne di ottima qualità.

Nella Regione Marche sono presenti oltre 20.000 vacche in selezione, iscritte al libro genealogico;

gli allevatori hanno sostituito le stalle dall’allevamento a posta fissa con strutture per l’allevamento

in box e per l’allevamento semi brado e brado. Allevare la “Marchigiana ”allo stato brado o semi-

brado contribuisce a custodire e dare risalto al nostro paesaggio montano e collinare, aiuta a tene-

re vive le tradizioni legate alla ruralità, con risvolti positivi anche sul turismo rurale; significa,

soprattutto, puntare ad una attività imprenditoriale che da reddito e occupazione per tante imprese

rurali spesso a conduzione familiare.

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Parlare oggi della razza bovina Marchigiana significa parlare di un modello “Marche” che è sino-

nimo di buona alimentazione, di carne di qualità, di protezione dell’ambiente, di igiene e benessere

degli animali, di sicurezza alimentare, insomma di benessere e di qualità della vita delle persone.

La Marchigiana può essere quindi considerata un fiore all’occhiello della zootecnia italiana, un

modello da esportare, per favorire uno sviluppo sostenibile e di qualità nelle aree marginali, e, al

contempo, uno strumento reale di cooperazione tra le due sponde dell’Adriatico. Questo lavoro,

quindi, sintetizza le attività del Progetto Marcbal ma, al contempo, vuole essere una sorta di com-

pendio, rivolto ad un’ampia platea, di conoscenze tecnico-scientifiche utile alla comprensione delle

caratteristiche della razza Marchigiana e dei vantaggi connessi al suo allevamento.

Un doveroso ringraziamento è rivolto a tutti partner del progetto che hanno creduto nelle potenzia-

lità della razza ed hanno permesso di gettare le basi per nuove reti di conoscenza tra le regioni tran-

sfrontaliere adriatiche.

Il Vice Presidente e Assessore all’Agricoltura

Paolo Petrini

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La cooperazione transfrontaliera nei Paesi Adriatici Orientali ed il progetto MARCBALa cura di SVIM - Sviluppo Marche

Il sostegno ai preparativi per una futura integrazione dei Balcani Occidentali nelle strutture europeein vista dell’obiettivo finale dell’adesione all’Unione è un tema prioritario per l’UE. Attualmente, il processo d’integrazione tra i paesi europei e l’allargamento dell’Unione europearichiede all’attività di cooperazione transfrontaliera un compito istituzionale ancora più impegnati-vo in quanto per favorire la coesione economica e sociale, come ribadito dai regolamenti che disci-plinano la programmazione europea 2007-2013, è necessaria più che mai anche un’integrazione ditipo politico.A tal scopo, si sono fatti notevoli progressi anche con il supporto della cooperazione transfronta-liera: i Paesi Adriatici Orientali sono sempre più consapevoli della complementarietà della coopera-zione transfrontaliera con il processo di integrazione europea; la partecipazione ai programmicomunitari può, infatti, contribuire considerevolmente all’integrazione dei paesi dei Balcani occiden-tali nell’UE promuovendo gli scambi di competenze e di buone pratiche, coinvolgendo gli interes-sati in attività comuni ed incentivando lo sviluppo degli investimenti transfrontalieri.

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A questo scopo, la riorganizzazione dell’assistenza esterna proposta dalla Commissione per il perio-do 2007-2013 prevede una semplificazione dell’insieme di strumenti tematici e geografici finoraimpiegati: tra i nuovi strumenti previsti vi è lo strumento di pre-adesione IPA (Instrument for Pre –Accession Assistance) rivolto ai paesi candidati (Turchia, Croazia,) ed ai Paesi potenziali candidati(Albania, Bosnia Erzegovina, Serbia, Montenegro ed ex Repubblica iugoslava di Macedonia), rim-piazzando i precedenti programmi rivolti all’area (Phare, Ispa, Cards e Sapard) e coprendo settoriquali il rafforzamento istituzionale, la cooperazione regionale e transfrontaliera, lo sviluppo rurale edelle risorse umane. I paesi candidati riceveranno maggiore assistenza per il raggiungimento deicriteri di adesione, per l’adozione e l’attuazione dell’ acquis communautaire e per prepararsi a gesti-re i fondi strutturali , di coesione e per lo sviluppo rurale.

Contestualmente, sulla base della diffusa volontà di assicurare partecipazione ad una più ampia ini-ziativa, intesa largamente come strumento di cooperazione e di integrazione dei paesi dei balcaninello Spazio europeo, è stata istituita l’Euro regione Adriatica, con lo scopo di consolidare unaconcreta collaborazione tra enti regionali e locali e di contribuire alla soluzione o al miglioramentodi numerose questioni che riguardano la risorsa comune “mare Adriatico”.L’obiettivo di definire dei settori chiave e comuni all’area adriatica, e conseguentemente di costitui-re delle commissioni tematiche permanenti di lavoro, è quello di promuovere lo sviluppo sosteni-bile e la coesione economica e sociale, rafforzando la stabilità e il processo di pace in corso nel-l’area balcanica. La Regione Marche, che partecipa attivamente, sin dall’inizio, ai lavori dell’Euroregione, ha ritenutostrategico promuovere ed attuare i principi dell’Euroregione Adriatica nel proprio territorio, individuando nell’azione di cooperazione transfrontaliera un’ importante opportunità anche per l’av-vio di processi di sviluppo equi e sostenibili.

In questo contesto, lo sviluppo di reti di conoscenza fra le due sponde dell’Adriatico per l’am-modernamento della struttura produttiva primaria e l’innovazione dei servizi e delle tecnologieofferte rappresenta una sfida innovativa, a fronte soprattutto dei differenziali oggi esistenti nellaqualità reale e percepita delle produzioni delle due aree e tenendo conto delle difficoltà rappresen-tate dalle notevoli differenze esistenti nei sistemi economici, amministrativi e giuridici delle RegioniAdriatiche Italiane (RAI) e dei Paesi Adriatico Orientali (PAO). La promozione dello sviluppo sostenibile del territorio rurale, il rafforzamento della strutturapubblica e privata di assistenza e servizi al settore primario rappresentano le premesse su cuisi basa il progetto Marcbal promosso dalla PF Zootecnia e Pesca della Regione Marche nell’ambi-to del Nuovo Programma di Prossimità Adriatico INTERREG/CARDS/ PHARE. La creazione di una rete di collaborazione tra i diversi stakeholders interessati allo sviluppo del ter-ritorio ha permesso di considerare ed individuare un settore di collaborazione comune, predispo-nendo a livello regionale l’adeguata assistenza tecnica ed organizzando attività che hanno promos-so la collaborazione transfrontaliera.

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Il progetto, attraverso il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati, ha stimolato la diffusione dinuove tecniche di gestione aziendale, di nuovi prodotti, tecnologie produttive e nuovi metodi coltu-rali nelle imprese operanti nel settore agricolo, attraverso la valorizzazione dei sistemi di qualità nelsettore delle carni bovine. Mediante il trasferimento di know-how fra i partner delle due sponde dell’Adriatico, la RegioneMarche ha fornito un contributo alla futura costruzione di un sistema di governo della zootecnia diqualità della razza bovina Marchigiana nei Balcani Occidentali (anagrafico, genetico, ricerca e vete-rinaria) attraverso la diffusione di buone prassi nell’allevamento di bovini da carne di razza marchi-giana e metodologie di valorizzazione delle produzioni agricole zootecniche.La Regione Marche, avvalendosi dell’assistenza tecnica e del coordinamento generale del progettodi SVIM – Sviluppo Marche Spa, ha attivato un partenariato multidisciplinare che coinvolge entipubblici e strutture di formazione nel settore d’intervento, formato da sei partner italiani provenien-ti da tre Regioni Adriatiche (Marche, Abruzzo e Friuli Venezia Giulia) e due partner dei Balcani occi-dentali (Albania e Bosnia Erzegovina).La sfida dei prossimi anni consisterà nell’intensificare la cooperazione mediante interventi congiun-ti e misure d’accompagnamento che, valorizzando il territorio adriatico, promuovano stabilità, sicu-rezza e prosperità contribuendo al percorso d’integrazione dei Balcani nel contesto europeo.

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INDICE

1 - LA POLITICA DELL’UNIONE EUROPEA SUI PRODOTTI AGRO-ALIMENTARI . . . . . . . . . . . . . . . pag. 15

1.1 Il settore della carne sul piano comunitario 1.1.1 Le carni bovine nell’Unione Europea1.2 La protezione delle Indicazioni Geografiche a livello comunitario 1.3 Certificazioni dei prodotti agro-alimentari provenienti dai Paesi terzi 1.4 La creazione di un sistema internazionale per la tutela delle indicazioni geografiche1.5 Gli obiettivi dei marchi di certificazione 1.6 Il marchio europeo dell’Indicazione Geografica Protetta

2 - IL SETTORE DELLA CARNE IN ITALIA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 21

2.1“Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale - IGP”2.2 Consorzio di Tutela del “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale - IGP”

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3 - IL SETTORE DELLA CARNE NEI BALCANI OCCIDENTALI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 25

3.1 Il settore della carne in Bosnia Erzegovina3.1.1 Normativa e sistemi di registrazione dei bovini in Bosnia Erzegovina3.2 Il settore della carne in Albania3.2.1 Normativa e sistemi di registrazione dei bovini in Albania

4 - LA RAZZA MARCHIGIANA: LA STORIA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 30

4.1 Dalle origini al Congresso di Fermo: la razza Marchigiana:la mezzadria ed il territorio.4.2 La consistenza degli allevamenti in Italia: evoluzione dal dopoguerra ai giorni nostri.4.3 L’attualità: lo standard di razza

5 - LA DIFFUSIONE: LA MARCHIGIANA NEL MONDO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 45

5.1 Le possibili tecniche di diffusione della razza Marchigiana5.2 Vantaggi e svantaggi dell A.I e dell’embryo transfer5.3 La diffusione nei Balcani Occidentali: le Attività del progetto Marcbal in Bosnia Erzegovina5.4 Programmi di intervento finanziati per la promozione e diffusione della razza nei Balcani Occidentali

6 - LA SELEZIONE ED IL MIGLIORAMENTO GENETICO DELLA RAZZA. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 52

6.1 Gli obiettivi6.2 Gli strumenti6.3 Le prospettive

7 - L’ALLEVAMENTO E L’ALIMENTAZIONE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 61

7.1 I sistemi di allevamento7.2 L’area montana7.2.1 Le problematiche e le priorità di intervento7.2.2 Il caso di studio di Macereto7.3 L’area di alta-media collina7.3.1 Le problematiche e le priorità di intervento7.3.2 La sperimentazione nell’azienda “Putido” del comune di Fabriano7.4 L’area di bassa collina e pianura7.4.1 Le problematiche e le priorità di intervento7.4.2 Sperimentazioni sulle foraggere utilizzate negli allevamenti intensivi7.5 Considerazioni conclusive

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8 - LA RAZZA MARCHIGIANA: LA PRODUZIONE DELLA CARNE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 86

8.1 Qualità della carcassa e relativa classificazione8.2 Qualità della carne8.2.1 Qualità igienico-sanitaria8.2.2 Qualità tecnologica8.2.3 Qualità chimico-nutrizionale

9 - VALUTAZIONE DELLE CARATTERISTICHE CHIMICO-NUTRIZIONALI IN CAMPIONI DI CARNE BOVINA DI RAZZA MARCHIGIANA A MARCHIO IGP . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 93

9.1. Analisi dei risultati ottenuti9.1.1 Confronto tra campioni di carne a marchio IGP della regione Abruzzo, Marche e di provenienza

commerciale9.1.2 Sostanze ad importante attività antiossidanti

10 - SERVIZI AGLI ALLEVATORI E ASSOCIAZIONISMO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 102

10.1 I servizi agli allevatori 10.2 La struttura associazionistica ed i servizi resi10.3 Mostre e Convegni10.4 Certificazione ISO 9001:200010.5 La certificazione elettronica della carne

11 - CONCLUSIONI . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 107

Ringraziamenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 109

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1 - LA POLITICA DELL’UNIONE EUROPEA SUI PRODOTTI AGRO-ALIMENTARIA cura di:Regione Abruzzo - Direzione Agricoltura, Foreste e Sviluppo Rurale, Alimentazione, Caccia e PescaRegione Marche - Servizio Agricoltura, Forestazione e Pesca - PF Pesca e Zootecnia

La politica alimentare dell’Unione Europea, sia per gli alimenti prodotti in Europa, sia per quelliimportati da Paesi terzi, si basa su due concetti essenziali: • tendenza a tutelare e a propagandare l’utilizzo dei marchi alimentari. I prodotti DOC, DOP, IGP e

STG devono rappresentare i prodotti target per diffondere le caratteristiche positive delle produ-zione tradizionali;

• garantire la sicurezza igienico-sanitaria delle produzioni. La non nocività degli alimenti è il prere-quisito di qualsiasi produzione e, a maggior ragione, nel caso dei prodotti protetti senza la qualesarebbe impossibile l’esistenza di una politica dei marchi.

Per garantire i requisiti di sicurezza alimentare devono essere implementati una serie di prerequisi-ti su cui basare la politica sanitaria:• tutti i soggetti della filiera devono essere cointeressati. Si auspica, infatti, l’aumento di associazioni, di coo-

perative tra produttori di alimenti e trasformatori, nonché la nascita di aziende agro-alimentari integrate;

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• la conoscenza delle caratteristiche dei prodotti agro-alimentari europei deve essere diffusa, evi-denziata e tutelata nella sua specificità;

• le aspettative dei consumatori, soprattutto riguardo alle caratteristiche igienico-sanitarie, devonoessere assolutamente soddisfatte;

• lo stato di salute degli animali allevati deve essere costantemente migliorato.Al fine di perseguire tali obiettivi si è resa necessaria la certificazione di qualità, un riconoscimentorilasciato dall’Unione Europea, su proposta del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali(MiPAF), il quale si avvale di organismi terzi affinché controllino che il prodotto certificato sia con-forme ad un predeterminato disciplinare di produzione e, quindi, a determinati standard qualitativi. In particolare, a partire dal 1992, la Comunità Europea ha adottato un quadro giuridico relativo allaprotezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni di origine dei prodotti agro-alimen-tari – DOP e IGP con il Regolamento CE 2081/92 – e delle Specialità Tradizionali Garantite (STG)con il Regolamento CE 2082/92. I prodotti pregiati della certificazione di qualità sono, in questo modo, in grado di penetrare nuovimercati, di superare lo scetticismo dei consumatori e di essere maggiormente apprezzati.Purtroppo i sistemi di certificazione risultano piuttosto costosi e, se da un lato garantiscono il valo-re e la bontà di un prodotto, dall’altro lato rendono il prodotto meno competitivo a livello mondia-le. Inoltre, per quanto riguarda le filiere animali, queste si presentano estremamente diversificate inrelazione alle tipologie di animali allevati e, di conseguenza molto complesse, poiché che numero-si sono i fattori che contribuiscono alla garanzia della salubrità del prodotto finito: alimentazione,modalità di allevamento, eventi patologici, trasporti ecc….Tuttavia, il quadro legislativo comunitario originario si è dimostrato, nel corso degli ultimi anni, pocoadatto a rispondere ad una serie di mutamenti intervenuti all’interno dell’Europa e a livello globale. Infatti, i cambiamenti legislativi, l’allargamento a dieci nuovi Paesi e, in particolare, le richieste sottoforma di contenziosi introdotte presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) da parte diPaesi terzi (Australia e Stati Uniti, in particolare), nonché problemi tecnici nell’attuazione dei dueregolamenti, hanno dimostrato la necessità di un cambiamento della normativa vigente. Il recepimento di tale necessità ha portato, il 20 marzo 2006, all’adozione da parte del Consiglio deiMinistri dell’UE dei Regolamenti CE 510/2006 e 509/2006, in sostituzione rispettivamente deiRegolamenti CE 2081/92 e 2082/92.

1.1 Il settore della carne sul piano comunitario

Il settore della carne rappresenta uno dei comparti più importanti dell’agricoltura, la produzione dicarne nell’Unione Europea è il 16% di quella mondiale.L’Unione Europea possiede un vasto ed eterogeneo patrimonio zootecnico che è oggetto di valoriz-zazione attraverso il miglioramento della filiera dal punto di vista della qualità e della certificazionein tutte le fasi della produzione.In Paesi come Irlanda, Belgio, Francia; Germania e Paesi Bassi l’allevamento contribuisce in modo

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significativo alla produzione agricola lorda interna mentre, in regioni come la Finlandia, la Svezia enelle zone montuose di Italia e Austria, la zootecnia riveste un ruolo vitale poiché rappresenta l’uni-ca fonte di reddito possibile. Le politiche comunitarie mirano ad incoraggiare le produzioni di qualità fornendo una risposta chetenga conto, al contempo, delle istanze dei consumatori, allevatori e della tutela dell’ambiente.Il mercato agro-alimentare è improntato alla concorrenza e le norme di commercializzazione sonoil principale strumento per far sì che i produttori improntino la produzione su qualità, sicurezza edinformazione nell’ottica della salvaguardia ambientale. I principali obiettivi di tali normative sonorivolti all’armonizzazione e all’agevolazione degli scambi sia interni all’UE che con Paesi terzi, agarantire l’approvvigionamento dei consumatori europei. In quest’ottica la classificazione delle car-casse e i sistemi di etichettatura e tracciabilità si sono rivelati strumenti imprescindibili per un effet-tivo miglioramento della qualità delle carni, garantendo un controllo in ogni fase della filiera, dall’al-levamento al consumo. e rispondendo alla richiesta di informazioni da parte del consumatore.Dal punto di vista del produttore le normative, rendendo più rigorosa l’accezione del termine“carne”, hanno permesso di aumentare il valore aggiunto dei prodotti attraverso la creazione di“marchi di qualità”che diversificano le produzioni, proteggendo da abusi e imitazioni.La salvaguardia ambientale nell’ambito zootecnico, obiettivo prioritario della Politica AgricolaComunitaria (PAC), viene perseguita attraverso la “condizionalità”che subordina gli aiuti ed i finan-ziamenti al rispetto delle norme ambientali e alla pratica dell’allevamento estensivo. Nel caso di alle-vamenti che necessitano di stabilimenti chiusi, carni bianche ma anche bovini e ovini, le misureriguardano, ad esempio, lo smaltimento dei reflui ed il loro stoccaggio.

1.1.1 Le carni bovine in UE

Le carni bovine occupano il secondo posto nella produzione agricola complessiva dell’Ue e la maggiorparte di tali prodotti provengono direttamente o indirettamente dalle mandrie ad orientamento lattieromentre circa un terzo è rappresentato da vitelli nati da “vacche nutrici”. Annualmente la produzione mediadi carne bovina oscilla tra i 6,5 ed i 7 milioni di tonnellate, il 13% della produzione totale.Nelle regioni dell’Europa del margine occidentale e nelle aree montane, in cui non è possibile pra-ticare la cerealicoltura, è diffuso l’allevamento di tipo estensivo. In tali zone si ricorre come tecnicadi allevamento alla linea vacca-vitello. Nelle regioni dell’Europa meridionale i cereali, ampiamentecoltivati, costituiscono l’alimentazione base dei bovini che vengono allevati secondo sistemi di alle-vamento intensivi: solo un 10% dei bovini viene allevato con una dieta essenzialmente liquida.I regimi di allevamento presentano variazioni regionali alle quali sono legate anche differenti tradizioni culi-narie, i consumatori europei dispongono, quindi, di un’ampia gamma di scelta di carni bovine. La produzione di carne ha subito un crollo in seguito alla BSE e, per la ripresa del settore, è statofondamentale il ruolo dell’Unione Europea che ha adottato misure al fine di garantire il controllo diqualità dei mangimi, di identificare la provenienza degli animali a tutela del consumatore.

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1.2 La protezione delle Indicazioni Geografiche a livello comunitario

Il nuovo Reg. CE 510/2006 chiarisce e semplifica le norme relative alle indicazioni geografiche (IGP)e alle denominazioni di origine dei prodotti agricoli e alimentari (DOP), materia disciplinata fino al2006 dal Regolamento CE n. 2081/92 del Consiglio. Il nuovo regolamento, in ambito comunitario, rende più snella la procedura di riconoscimento delleindicazioni geografiche con una abbreviazione dei tempi per le opposizioni e con un maggiore coor-dinamento tra istituzioni nazionali e comunitarie. Quanto al sistema di controllo, l’inserimento delle disposizioni in materia nel quadro delRegolamento (CE) n. 882/2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla nor-mativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali,intende rafforzare la credibilità del sistema (cfr. articolo 10).Infine, altro elemento volto al rafforzamento della credibilità del sistema indicazione geografica edenominazione di origine è l’obbligo di inserire sull’etichetta le diciture DOP e IGP e i simboli comu-nitari loro associati. Queste disposizioni (articolo 8.2) sono operative dal 1° maggio 2007.

1.3 Certificazioni dei prodotti agro-alimentari provenienti dai Paesi terzi

Passati 14 anni dalla prima introduzione delle norme di settore, l’Unione Europea semplifica e chia-risce le procedure di registrazione dei prodotti certificati. Accoglie anche le richiestedell’Organizzazione Mondiale del Commercio per equilibrare la concorrenza, sicché i Paesi terzi nonsono più tenuti al requisito della reciprocità e della equivalenza delle forme di protezione. Infatti, le principali modifiche introdotte riguardano le norme che disciplinano la procedura di pre-sentazione delle indicazioni geografiche non comunitarie. In particolare, i produttori dei Paesi terzi potranno presentare domanda di registrazione direttamen-te alla Comunità Europea, anziché passare attraverso i governi nazionali (articolo 5, paragrafo 9.2del Reg. 510/2006). Con tale modifica viene altresì abrogato il requisito in base al quale il paeseinteressato deve disporre di un sistema equivalente di protezione geografica (principio della reci-procità). Infatti, l’art. 12.1 del Regolamento CE 2081/92 prevedeva, nello specifico, una serie di con-dizioni di equivalenza e reciprocità applicabili ai Paesi terzi che, non soddisfatte, rendevano nulla ladomanda di registrazione di una indicazione geografica.Sulle condizioni di reciprocità e di equivalenza, che figuravano all’articolo 12 e segg. del Reg. CE2081/92, è stata basata la decisione dell’Organo di Risoluzione delle Controversie (ORD) dell’OMC,in seguito alle denuncie presentate dagli Stati Uniti e dall’Australia. L’ORD ha concluso che il Reg.CE 2081/92 è incompatibile con l’articolo 3.1 dell’accordo Trips (la sezione 3 di questo accordo èinteramente dedicata alla tutela delle indicazioni geografiche, che vengono perciò riconosciutecome diritti di proprietà intellettuale) e con l’articolo III:4 del GATT del 1947 i quali non consento-no, per i paesi membri dell’OMC, l’applicazione di un trattamento meno favorevole, rispetto a quel-lo nazionale, in relazione alla protezione della proprietà intellettuale e dei prodotti importanti ai quali

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deve essere riservato lo stesso “trattamento nazionale”. Con l’abrogazione dell’articolo 12 e segg. del Reg. (CE) n. 2081/92, che richiedeva l’applicazionedel principio di reciprocità, si garantisce la parità di trattamento fra i prodotti comunitari e quelli deipaesi terzi. Inoltre, il nuovo regolamento, non prevedendo più l’intervento dei governi dei paesi terzinell’ambito delle procedure di domanda di registrazione e di opposizione, e in materia di controlli,elimina gli elementi che determinavano una discriminazione formale nel trattamento rispetto aipaesi dell’UE, incompatibile con l’art. III:4 del GATT.In sostanza, concedendo la possibilità ai produttori di indicazioni geografiche di paesi terzi di regi-strare i loro prodotti nel registro europeo delle Indicazioni Geografiche, senza sottoporsi al princi-pio di reciprocità, l’UE adempie pienamente al rispetto delle regole del commercio internazionale,rafforzando la sua posizione negoziale nei confronti dell’OMC. Inoltre, la norma che stabilisce i controlli sul rispetto dei disciplinari per tutte le IGP presenti sulmercato sia esse nazionali, europee o provenienti da paesi terzi, garantisce maggiormente la sicu-rezza dei consumatori.

1.4 La creazione di un sistema internazionale per la tutela delle indicazioni geografiche

L’adozione del Reg. CE 510/06 rappresenta un’apertura dell’Europa a livello internazionale e favori-sce la promozione delle indicazioni geografiche quali strumenti di proprietà intellettuale. È comun-que indispensabile che la tutela riconosciuta dal Reg. (CE) 510/2006 (allegato 1) in ambito comu-nitario venga estesa ai mercati dei Paesi terzi tramite un accordo in seno all’OMC, al fine di garan-tire che i sistemi di tutela delle indicazioni geografiche, già in essere presso numerosi Paesi terzi,siano perfettamente conformi alle norme dell’OMC.

1.5 Gli obiettivi delle certificazioni

È importante sottolineare che, nell’ambito della CE, i prodotti certificati (con qualunque certificazio-ne), come tutti gli altri prodotti alimentari immessi sul mercato, devono rispettare gli stessi stan-dard di produzione nel rispetto della sicurezza sulla sanità e salubrità, tramite l’attuazione di un pro-gramma controllo su tutta la filiera del prodotto. In particolare, i sistemi di rintracciabilità attivati nell’ambito della sanità animale e nell’industria ali-mentare, oltre a fornire requisiti di sicurezza, hanno anche lo scopo di documentare la storia di unprodotto lungo l’intera catena produttiva, dalle materie prime al prodotto finito allo scopo di sup-portare i processi di assicurazione della qualità. Certamente la “certificazione” rappresenta, per la sicurezza del prodotto, un valore aggiunto anchesolo considerando i maggiori controlli, da parte delle autorità e dei consorzi di tutela.

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1.6 Il marchio europeo di protezione dell’Indicazione Geografica Protetta (I.G.P.)

Nell’ambito della filiera carne l’IGP indica ai consumatori non solo le caratteristiche tec-niche del prodotto, ma anche l’origine, il sistema di allevamento e di alimentazione delbestiame, la provenienza di ogni singolo capo, dalla nascita al banco della macelleria odel punto vendita. Infatti, una volta ottenuto il riconoscimento, la denominazione deveessere, presso i singoli produttori, costantemente soggetta a:

• controllo di conformità al disciplinare di produzione, funzione per cui è competente l’ente terzodi certificazione (che, di fatto, vigila anche sulla perfetta affidabilità igienico-sanitaria del prodot-to) autorizzato dal MiPAF;

• vigilanza sulla commercializzazione, funzione affidata ai Consorzi di Tutela. In particolare, il Consorzio di Tutela, organismo rappresentativo dei produttori, svolge anche le atti-vità necessarie alla promozione e valorizzazione del prodotto sul mercato. Gli oneri dell’attività dicertificazione sono a carico dei produttori che pertanto, in questo modo, investono per migliorarela propria professionalità e, soprattutto, per trasmettere ai consumatori una “sostanza” (non solouna “immagine”) di serietà e passione per il proprio lavoro. La IGP (Indicazione Geografica Protetta) è un marchio di qualità che viene attribuito a quei prodotti agri-coli e alimentari per i quali una determinata qualità, la reputazione o un’altra caratteristica dipende dal-l’origine geografica e la cui produzione, trasformazione e/o elaborazione, avviene in un’area geograficadeterminata. Per ottenere la IGP, quindi, almeno una fase del processo produttivo deve avvenire in unaparticolare area. Chi produce IGP deve attenersi alle rigide regole produttive stabilite nel disciplinare diproduzione , e il rispetto di tali regole è garantito dall’ organismo di controllo.

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2 - IL SETTORE DELLA CARNE IN ITALIAA cura di Regione Marche - Servizio Agricoltura, Forestazione e Pesca - PF Pesca e Zootecnia Regione Abruzzo - Direzione Agricoltura, Foreste e Sviluppo Rurale, Alimentazione, Caccia e Pesca

In Italia, la filiera del settore della carne si presenta frammentata e ancora poco integrata a causadelle limitate dimensioni medie delle aziende agricole, delle imprese di macellazione e anche diquelle per la lavorazione dei prodotti. Secondo uno studio della struttura e della dinamica dei costi di produzione condottodall’Osservatorio sul mercato dei prodotti lattiero-caseari, la produzione di carme bovina in Italiaavviene secondo sistemi di allevamento molto diversi tra loro a causa del differente grado di spe-cializzazione delle aziende e per tecniche produttive adottate. La struttura dell’offerta si caratterizzaper due sistemi di allevamento presenti in Italia, quello di vitelli da ingrasso ed il ciclo chiuso la cuilocalizzazione è concentrata nelle aree del Nord della penisola, soprattutto nelle regioni Veneto,Lombardia, Emilia-Romagna e Piemonte in virtù della disponibilità di ampie superfici per la produ-zione di cereali foraggieri ad alta produttività e della facilità di reperire sottoprodotti. Nelle realtàzootecniche che praticano l’allevamento a ciclo chiuso prevale la razza Piemontese mentre nellatipologia a ciclo aperto si ricorre a razze locali o a bovini da ristallo importati per lo più dalla Francia.

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Nelle aree vocate dell’Appennino Centrale o del Sud Italia si ricorre invece all’allevamento estensi-vo delle tradizionali razze italiane bianche da carne, in unità produttive di ridotte dimensioni a causadella scarsa produttività delle foraggiere permanenti, che permettono di valorizzare il territorio mini-mizzando i costi di produzione in termini di costo della manodopera per kg di carne. La presenza dipascoli, inoltre, implica una minore intensità di lavoro per vacca nutrice.Il modello produttivo italiano quindi, se da un lato è indirizzato verso aziende di ingrasso specializ-zate dall’altro vede la presenza di allevamenti di limitate dimensioni che svolgono un ruolo di pre-sidio ambientale, avvantaggiandosi degli aiuti economici comunitari, e che rappresentano un puntodi forza del settore della carne in Italia.L’analisi s.w.o.t. condotta dall’ ISMEA (2005)ha individuato, nel settore italiano della carne, iseguenti punti di forza:• forte rilevanza economica, sia in termini di produzione sia di capacità occupazionale; ruolo stra-

tegico dell’allevamento per l’attivazione di importanti processi produttivi a monte (industria man-gimistica e lattiero-casearia) e a valle (macellazione e trasformazione);

• consistente presenza degli allevamenti stabulazione fissa che assicura un know how di elevatovalore (management, tecnologia,genetica);

• la presenza di alcuni gruppi industriali distributivi con “orientamento al mercato”attraverso unelevato livello di integrazione verticale, realizzano il controllo dell’intero produttivo;

• presenza di produzioni estensive, attraverso l’allevamento di razze autoctone, con attitudine allavalorizzazione di zone marginali.

2.1“Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale - IGP”

L’ IGP “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” rappresenta l’unica IGP ricono-sciuta in Italia dall’Unione Europea per le carni fresche ed appartiene al ConsorzioProduttori Carni Bovine Pregiate Italiane (C.C.B.I.), che la gestisce a livello localeper il tramite delle Associazioni Provinciali Allevatori. Attualmente l’allevamento disoggetti di razze bovine bianche da carne iscritti al C.C.B.I. interessa otto regioni

(Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Marche, Abruzzo, Molise e Campania) per un totale dicirca 2400 allevamenti.L’Indicazione Geografica Protetta è l’unico marchio di qualità IGP per le carni bovine fresche pro-dotte in Italia, approvato dalla Commissione Europea con Reg. CE 134/98. Le razze del “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”, la Chianina, la Marchigiana e la Romagnola,oggi allevate come razze da carne, fino a metà Ottocento sono state utilizzate per il lavoro dei campinella tipica azienda mezzadrile italiana. La particolare conformazione fisica, dovuta al loro patrimonio genetico, ma anche alle tecniche diallevamento e di alimentazione dei bovini, dona alle carni degli animali caratteristiche qualitativespecifiche e identificabili. Infatti, nel 1993 il Ministero e la Commissione Europea riconoscono il marchio dell’IGP per il

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“Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”, ovvero per la carne prodotta da bovini delle razzeChianina, Marchigiana o Romagnola, macellati ad età compresa tra i 12 e i 24 mesi , nati, allevati emacellati all’interno dell’area tipica di produzione nel rispetto del disciplinare di produzione, que-st’ultimo strutturato in modo tale da essere molto vicino alle normative vigenti in materia di zoo-tecnia a basso impatto ambientale e recupero delle aree marginali.La denominazione “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”attribuita all’IGP intende marcare:• “Vitellone”, perché da sempre la produzione migliore dei bovini da carne si ottiene da soggetti

giovani, di età compresa tra i 12 ed i 24 mesi, la cui carne presenta caratteristiche chimiche edorganolettiche molto positive. La carne ottenuta da queste razze rimane molto magra ed è riccadi acidi grassi, favorevoli alla nutrizione umana;

• “Bianco” perché i bovini di queste razze hanno il mantello bianco “porcellana” (alla nascita è rossofomentino, ma a tre - quattro mesi di età cambia colore ) che ben risalta sulla cute nero ardesia; ciòpermette a questi bovini di tollerare ottimamente le radiazioni del sole quando vivono all’aperto;

• “dell’Appennino Centrale” rappresenta l’indicazione geografica di origine, poiché questa è la zonadove tradizionalmente Chianina, Marchigiana e Romagnola sono allevate da oltre 2000 anni, ali-mentandosi con foraggi e mangimi tipici dell’area.

2.2 Consorzio di Tutela del “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale - IGP”

Il Consorzio di Tutela del “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” ha come scopiprincipali la tutela del marchio “IGP- VITELLONE BIANCO DELL’APPENNINO CEN-TRALE” attraverso la protezione da abusi e contraffazioni, la promozione e la valo-

rizzazione del prodotto, l’attività di informazione al consumatore sul marchio e sulle caratteristiche,i pregi del prodotto oltrechè la cura generale degli interessi relativi alla produzione IGP. Esso svolge, inoltre, attività di supporto nella programmazione e coordinamento della produzionein funzione delle esigenze di mercato, nella realizzazione di piani di miglioramento qualitativo e dipunto di incontro tra domanda ed offerta. Il Consorzio opera, quindi, per favorire la qualità delle produzioni, garantire la tracciabilità, delle carni e rac-cordare la produzione con la distribuzione a garanzia del consumatore. I bovini utilizzati per la produzione delle carni IGP, oltre ad essere identificati secondo quanto previsto dallanormativa vigente, devono rispondere alle condizioni ed ai requisiti stabiliti in un apposito Disciplinare diproduzione, approvato secondo le norme previste nel Regolamento CE 510/2006. In particolare:• la carne è prodotta da bovini, maschi e femmine, Chianina, Marchigiana e Romagnola di età com-

presa tra i 12 e i 24 mesi. Il bestiame deve essere nato in Italia in allevamenti iscritti al LibroGenealogico Nazionale, al fine di consentire la verifica della purezza della razza. Ogni animale deveessere identificato secondo quanto previsto dalla normativa vigente;

• il Disciplinare di produzione prevede che gli animali vengano allattati naturalmente dalle madri fino almomento dello svezzamento. Successivamente la base alimentare deve essere rappresentata da forag-gi freschi o conservati provenienti da coltivazioni erbacee tipiche della zona di allevamento (Appennino

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Centrale) all’interno della quale deve avvenire anche l’ingrasso e, successivamente, la macellazione;• il bestiame destinato alla produzione delle carni viene ispezionato prima della macellazione da

Esperti appositamente addestrati dal Consorzio. Gli stessi Esperti marchiano a fuoco le carni“Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” al fine di garantire la riconoscibilità durante tutte le fasidella distribuzione. La carne è posta in vendita al taglio o in confezioni sigillate e sempre in puntivendita convenzionati. Questi si impegnano a mantenere separate la carne “Vitellone Biancodell’Appennino Centrale” dalle altre e si sottopongono volontariamente ad ulteriori impegnativi con-trolli. Solo tali punti vendita possono esporre il marchio “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”.

Ogni punto vendita deve esporre copia del Documento di Controllo al fine di rendere accessibili leinformazioni ai consumatori. La vigilanza per l’applicazione del Disciplinare di Produzione del“Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” è svolta dal Ministero per le Politiche Agricole Alimentarie Forestali che ha individuato, al fine di rendere le verifiche puntuali ed indipendenti, un ente terzodi controllo rappresentato da 3A-PTA Parco Tecnologico Agro-alimentare dell’Umbria.

Bibliografia Capitoli 1 e 2

- Associazione Provinciale Allevatori di Chieti, (2005); “Linee guida per la elaborazione di un manuale di buona pras-si di conduzione aziendale per l’allevamento di animali destinati alla produzione di carne”

- Disciplinare di produzione dell’ Indicazione Geografica Protetta Vitellone Bianco dell’ Appennino Centrale (Iscrizione nelRegistro delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette ai sensi del Reg. CE n. 134/98)

- Federici C., .Rama D; (2007); “Il mercato della carne bovina. Rapporto 2007 -Studi di economia agroalimentare” Ismea.- Filippini F., Sbarra F., Tufi C., Di Gennaro A., De Nardo, (2005); “Il recupero e l’incremento in purezza per la zootec-

nia di qualità: l’esempio della Marchigiana in provincia di Frosinone” Atti del 4° Congresso Mondiale delle RazzeBovine Italiane da carne

- Mengoli S, (2005); “L’IGP vitellone bianco dell’Appennino Centrale, strumento di valorizzazione delle carni delle razzeitaliane: i risultati dei primi cinque anni”Atti del 4° Congresso Mondiale delle Razze Bovine Italiane da carne 55-64

- Rapporto ISMEA – FEDERALIMENTARE, (2003); “Il sistema agro-alimentare italiano – Profili di uno scenario globale”.- Regolamento (CE) n. 510/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alla protezione delle indicazioni geogra-

fiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari- Regolamento (CE) n. 509/2006 del Consiglio, del 20 marzo 2006, relativo alle specialità tradizionali garantite dei

prodotti agricoli e alimentari - Regolamento (CE) n. 1216/2007 della Commissione, del 18 ottobre 2007, recante modalità di applicazione del regola-

mento (CE) n. 509/2006 del Consiglio relativo alle specialità tradizionali garantite dei prodotti agricoli e alimentari

Siti Web di riferimento

- www.veterinariaalimenti.marche.it- www.sicurezzalimentare.net- www.ec.europa.eu/agriculture/foodqua (legislazione europea sulla sicurezza alimentare)- www.efsa.europa.eu- www.eufic.org/index/it/ (European Food Information Council) - www.ismea.it- www.osservatoriolatte.it

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3 - IL SETTORE DELLA CARNE NEI BALCANI OCCIDENTALIA cura di: Regione Marche - Servizio Agricoltura, Forestazione e Pesca - PF Pesca e ZootecniaEuromediterranea - Associazione di Promozione sociale

con il supporto di:Università di Sarajevo - Facoltà di Agricoltura Ministero dell’Agricoltura, Alimentazione e Tutela del consumatore dell’AlbaniaFacoltà di Agricoltura - Tirana

3.1 Il settore della carne in Bosnia Erzegovina

Il settore della produzione della carne è stato gravemente compromesso dalla guerra civile che ha quasicompletamente distrutto il patrimonio zootecnico del Paese. La ricostruzione del settore è stata avvia-ta prevalentemente grazie a fondi internazionali. La consistenza delle specie di interesse zootecnico per-mane, tuttavia, notevolmente inferiore rispetto alla superficie utilizzabile. Nel 2000 il totale della carneimportata ammontava a 89,9 milioni di euro, mentre l’esportazione è stata di soli 8,24 milioni. Nel 2006la situazione ha subito un ulteriore peggioramento: 127,2 milioni di euro per l’importazione a fronte8,33 milioni di esportazione. Un fattore di grande criticità è rappresentato dall’importazione illegale dicarne dai Paesi confinanti che ha creato seri problemi di controllo nell’ambito della tracciabilità, quali-

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tà e sanità del prodotto. Le industrie di produzione di carne sono circa 30, di cui il 30-35% di carnebovina, e per 50-55% nella Federazione della Bosnia e Erzegovina.Il consumo medio annuo di carne prima della guerra era stimato intorno ai 100 Kg pro capite, inlinea con gli standard dei Paesi europei più sviluppati.La ricostruzione del settore della produzione della carne in termini di patrimonio zootecnico, strutture, pro-duzione ed esportazione sta avvenendo con ritmi lenti e senza una stabilità. Le razze bovine autoctone del-l’area di indagine sono rappresentate dalla Buša e dalla Gatačko govedo, un incrocio derivante dal Buša. La razza Buša, adattabile a bassissimi livelli nutritivi e ad avverse condizioni climatiche, ha una pro-duzione media annua di latte pari a 1500 litri, con una percentuale di grasso intorno al 4-5%. I capiappartenenti a tale razza raggiungono il peso medio di 300 kg per i maschi e di 250 per le femmi-ne. La razza Gatačko govedo presenta migliori performance produttive rispetto alla Buša, la pro-duzione media annua di latte si attesta intorno ai valori di 1660-2500 litri.Dal punto di vista strutturale prima della guerra sul territorio erano presenti più di 200 macelli, dicui il 60% gestiti da privati. Attualmente sono presenti circa 30 macelli di medie dimensioni ed ungran numero di realtà minori che non sono registrati in quanto importano illegalmente animali. Unnumero esiguo di macelli adotta protocolli di controllo della qualità.

3.1.1 Normativa e sistemi di registrazione dei bovini in Bosnia Erzegovina

Il supporto al settore agricolo-veterinario è iniziato immediatamente nel periodo di ricostruzionepostbellica, con la distribuzione di animali, macchinari e strumenti. Questi interventi sono statiseguiti da un supporto più strutturato, con un iniziale sforzo di rafforzamento istituzionale rivolto aiservizi veterinari, servizi suppletivi e associazionismo tra agricoltori. Il valore totale di questo suppor-to tra il 1996 e il 1998 ammonta a 40 milioni di uro, inclusi 7 milioni destinati al settore forestale.L’UE ha inoltre contribuito con 2.2 milioni di uro per fondare in BiH il “Sistema di IdentificazioneAnimale e Controllo dei Movimenti” e laboratori veterinari in cinque città sono stati completati congli strumenti per monitorare la salute animale. Attualmente, animali vivi e prodotti animali prove-nienti dalla BiH non possono essere esportati in UE ed in molti altri paesi, in cui i bisogni dei con-sumatori sono tutelati da alimenti importati con origine in paesi con servizi veterinari attendibili. Aseguito del Functional Review, il programma CARDS ha incluso 1 milione di uro per la seguenteassistenza tecnica volta ad aiutare la BiH a migliorare la sua capacità amministrativa a livello stata-le. L’assistenza tecnica ha facilitato il recente completamento di una “Bozza di Legge perAgricoltura, Alimentazione e Sviluppo Rurale” attraverso la costituzione di un gruppo di lavoronominato dal governo. Essa ha definito le linee delle strutture istituzionali e competenze a tutti ilivello del governo, inclusa la proposta di un Ministero per l’Agricoltura, Alimentazione e SviluppoRurale che a tuttoggi non esiste e determina, pertanto, la frammentazione delle normative a livellodi enclave. La legge inoltre definisce la struttura legale ed istituzionale iniziale necessaria per pre-parare gradualmente il settore all’integrazione con l’UE. Il programma di gestione e controllo degli animali e della loro salute sono delineati nella legge

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“Veterinaria” pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Bosnia Erzegovina il 22 novembre 2002; laRegistrazione ed identificazione di ciascun animale e proprietà sono essenziali per l’implementa-zione del programma di salute animale. La Bosnia ha iniziato con successo l’identificazione deibovini (cfr rapporto missione Dethlefssen e Carmanns). Nel 2006 circa 120.000 proprietà con700.000 bovini. Tuttavia l’intero processo di registrazione di tutti i bovini in Bosnia verrà completatoin tre anni e mancano ancora regolamenti definitivi per i processi di registrazione. È stato infatti dichia-rato che solo i bovini da latte hanno bisogno di essere registrati e che, apparentemente, i bovini mortinon possono essere eliminati dal database centrale e non tutte le specie sono coperte. Alcuni dati delle proprietà ed animali sono raccolti in maniera volontaria dagli enti, ma non sonostati stabiliti ad oggi sistemi di raccolta dati e di registrazione uniformi. La registrazione in parte èristretta al numero di bovini presenti in un villaggio. Alcuni dati sono raccolti per malattie specifi-che (CSF, rabbia, Brucellosis, Trichinellosis, AI ecc.). Casi manifesti, vaccinazioni, campioni, test ecosti sono documentati. Registrazione ed identificazione di altre razze zootecniche come suini,cavalli, ovini, pollame, api e pesce non sono effettuate. Supporto e finanziamento per la registrazio-ne di proprietari animali non è presa in considerazione. L’identificazione finale e movimento deglianimali non sono monitorate e la tracciabilità non è possibile. In base alla succitata legge l’amministrazione veterinaria in Bosnia è rappresentata dall’UfficioVeterinario Statale, servizi veterinari della Federazione di BiH, Repubblica Srpska e distretto di Brcko.Le tre autorità qui elencate responsabili per l’implementazione delle norme e regolamenti veterinari.L’UVS è parte del Ministero del Commercio Estero e delle Relazioni Economiche (MoFTEA) edovrebbe essere il raccordo tra i ministeri della BiH, l’EVS e i servizi veterinari del distretti di Brcko.L’USV è inoltre il punto di riferimento per le istituzioni internazionali. Il suo ruolo principale dovreb-be essere di coordinamento tra le autorità competenti e armonizzazione della legislazione veterina-ria nel paese così come il miglioramento del sistema in base a standards UE.Le autorità competenti della Federazione di BiH, Rupubblica Srpska e Distretto di Brcko sono stabiliti permotivi politici e storici; una centralizzazione per ragioni politiche ad oggi non è accettabile. Apparentemente,unità geografiche e settori epidemiologici non sono presi in considerazione. Le stesse autorità competentisono dipendenti da situazioni politiche instabili entro le entità. Programmi e ricerche veterinarie a lungo ter-mine sono minate da decisioni politiche come ad esempio continuo cambiamento di ministri.

Bovini al pascolo in Bosnia Erzegovina

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Le autorità sopra menzionate sono subordinate all’UVS ma le responsabilità tra le entità e l’USVnon sono chiaramente definite. Un sistema amministrativo veterinario in Bosnia, coordinatodall’USV e dalle autorità competenti non è trasparente. Tutti i rappresentanti delle entità hanno confermato che tranne che per l’Ordine Annuale – stabilito dalConsiglio dei Ministri – principalmente seguono le loro normative locali e regolamenti; tuttavia sonoresponsabili per l’implementazione di norme e regolamenti in base alla legge Veterinaria Statale. Le nor-mative locali e strutture amministrative delle tre autorità competenti non sono armonizzate. L’OrdineAnnuale sembra avere più carattere di raccordo, tramite l’ordine nessun fondo è reso disponibile.Ad oggi dunque non esistono normative che stabiliscano la tenuta di Libri Genealogici per le razzezootecniche in Bosnia Erzegovina e allo stato delle cose anche i Registri Anagrafici – ovvero la sem-plice tenuta di un registro in cui siano indicati gli ascendenti – non sono realizzati se non in manie-ra volontaria o dalle autorità agricole locali o dai singoli allevatori.

3.2 Il settore della carne in Albania

Da un’attenta analisi della tradizione zootecnica albanese si è rilevata una forte tradizione legataall’allevamento bovino; tuttavia attualmente il 70% dei consumi interni di carni bovine è coperto daimportazioni di vitelli da ingrasso. Da ciò, come anche evidenziato dai documenti ufficiali dellaDirezione per l’Informazione Alimentare del Ministero dell’Agricoltura, il potenziamento del settorezootecnico appare come prioritario. Un problema evidenziato dal momento della caduta del regimeriguarda le modalità mediante cui sono state effettuate numerose riproduzioni zootecniche: senzaalcun controllo a causa del collasso di tutte le strutture che si occupavano del materiale genetico edella sua diffusione. Ciò ha provocato un deterioramento della qualità dovuto all’uso di materiale diriproduzione inadatto e alla mancanza di qualsiasi tipo di strategia genetica per bovini, suini e pic-coli ruminanti. L’attuale stato di cose costringe la popolazione a considerare commercialmente l’ac-quisto di carne da capi bovini di peso inferiore ai 100 kg con bassissimo contenuto proteico e quin-di di scarsa qualità alimentare. Una azione di rafforzamento della zootecnia passa quindi attraversoun rinforzamento della presenza di razze qualificate e, quindi, geneticamente certificate per svilup-pare azioni commerciali che offrano al consumatore indicatori qualitativi attualmente inesistenti. Lapropensione alla macellazione di capi di così modeste dimensioni 100/150 Kg è dovuta alla strut-tura della proprietà agricola : 466.809 aziende, di cui solo 9.946 superano i 3 ettari, pari al 2,1 %delle imprese agricole, non consentono una gestione programmabile e/o sistematica delle rotazio-ni. Da studi sul settore si è evinto che la maggior parte della carne autoctona è prodotta da metic-ci di incrocio (vacche da latte con inseminazione di razze europee austriache, tedesche, francesi)che vengono venduti da allevatori del settore latte al 2/3 giorno dalla nascita; oppure, se di piccoliprivati, vengono venduti immediatamente alla fine dello svezzamento (4°-5° mese), in quanto illatte, il cui prezzo è di circa 30 Lek/litro, non appare redditizio per la sussistenza familiare quantoinvece la vendita del vitello stesso.

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3.2.1 Normativa e sistemi di registrazione dei bovini in Albania

La legge 9426/2005 “Sulla Gestione degli Allevamenti” stabilisce i criteri fondamentali per la prote-zione, miglioramento e protezione delle qualità delle risorse genetiche animali, con lo scopo di sol-lecitare gli imprenditori agricoli ad implementare gli allevamenti e migliorare la qualità dei prodottialimentari. Di particolare interesse in relazione al tema discusso, risultano le disposizioni previstenei capitoli III e IV in merito ai programmi di miglioramento genetico delle razze: all’articolo 32 èprevista l’istituzione di Libri Genealogici, a tenuta di organizzazioni che gestiscano programmi rela-tivi alle razze e nominate dal Ministero, in cui vengano registrati tutti i capi che soddisfino gli stan-dard di razza e con particolare attenzione ai soggetti riproduttori di migliore qualità.L’implementazione di questa parte legislativa ovvero la tenuta di un vero e proprio libro genealogi-co non è ancora giunta in fase attuativa dal momento che non sono stati ancora nominati enti/asso-ciazioni preposti alla tenuta dei libri genealogici. Attualmente, date ancora le problematiche gestio-nali relative all’implementazione delle registrazioni anagrafiche condotte a livello distrettuale,l’obiettivo primario è di arrivare ad una completa e corretta registrazione dei capi zootecnici imple-mentati tramite programmi di supporto finanziario europeo CARDS, ormai a buon punto per quan-to riguarda i bovini ma ancora difficili per ovini e caprini. Nel caso della razza bovina Marchigiana presente con capi iscritti al Libro Genealogico Italiano dal2004, a livello di azienda agricola, sono effettuate tutte le registrazioni anagrafiche di ascendenti ediscendenti. L’inseminazione artificiale è realizzata con seme importato dal Centro Tori di Macerata;il materiale biologico è depositato all’Istituto di Trasferimento di Tecnologie Agricole di Fushe Kruja(uno dei cinque enti preposti a livello statale e presenti in diverse regioni del territorio) al controllonelle importazioni, alla produzione e distribuzione del seme. Ha a disposizione delle aziende agrico-le uno staff di veterinari e tecnici preposti alle operazioni di inseminazione nonché si occupa di tene-re relazioni con le associazioni degli allevatori presenti nel territorio.Si può concludere dunque che negli ultimi anni, tramite la pubblicazione di nuove normative chehanno riconfigurato ruoli, metodi e possibilità nel settore agro-alimentare, l’Albania sta facendodiversi passi avanti verso la standardizzazione delle procedure previste anche dal Patto diAssociazione e Stabilizzazione siglato con l’UE nel luglio 2006. Per quanto riguarda le razze bovineper il 2008 sono previsti incentivi statali per l’implementazione degli allevamenti preposti alla pro-duzione di latte e sono in previsione per i prossimi anni anche incentivi per lo sviluppo delle razzebovine da carne.

Bibliografia e siti internet consultati

- www.osservatoriobalcani.org- www.balcanicooperazione.it- www.cameraitalobosniaca.it- www.vet.gov.ba/twinning-proj- www.legjislacionishqiptar.gov.al

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4 - La razza Marchigiana: la storiaA cura di:Regione Marche - Servizio Agricoltura, Forestazione e Pesca - PF Pesca e Zootecnia

4.1 Dalle origini al Congresso di Fermo: la razza Marchigiana:la mezzadria ed il territorio.

La razza Marchigiana trova il proprio areale di origine nella regione Marche e, come la maggior partedelle razze presenti in Italia, è riconducibile alla “razza podolica italiana”derivante da quello che vieneidentificato come “ceppo podolico”: la Podolia era una regione che si estendeva tra Galizia ed Ucraina.Numerosi studi effettuati sul cranio delle razze bovine podoliche hanno infatti permesso di dimo-strare la loro discendenza dal ceppo “Bos taurus asiaticus”, conosciuto in Europa con il nome di“razza delle steppe”, che, fino al 1800, era presente nelle steppe asiatiche con duplice attitudine:lavoro e carne.Le caratteristiche del bos taurus asiaticus sono la grande mole, le corna lunghissime ed appuntite,il mantello grigio o giallastro con una notevole varietà nell’intensità dei colori, palpebre, fiocco dellacoda , corna e corno delle unghie di colore nero. È possibile far risalire gli attuali bovini podolici al progenitore Bos taurus primigenius (Figura 1) diorigine asiatica, proprio l’Asia, infatti, viene individuata da molti autori come il luogo in cui ebbe ini-zio l’addomesticamento dei bovini, tesi avvalorata dai reperti fossili appartenenti al “leptobos indi-

Famiglia Leoni: mezzadri nelle colline di Petritoli (AP), anno 1924

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cus”. Tali bovini avrebbero poi seguito i flussi migratori umani fino alla Russia, Ungheria, Rumeniadove avrebbero costituito il ceppo delle “razze grigie del Sud asiatico”.La storia vera e propria della razza Marchigiana inizia nel 1800 e si intreccia con le vicende storico-economiche dell’ambiente in cui essa si è sviluppata, accompagnandosi alle profonde trasforma-zioni avvenute nel tanto peculiare contesto agricolo marchigiano. Nella seconda metà del 1800 nelle Marche si assiste al completamento delle opere di disboscamen-to, bonifica, sistemazione e messa a coltura iniziate nel corso del XIII secolo, interrotte nel 1600 acausa delle avverse condizioni atmosferiche e dell’epidemia di peste e, successivamente, riprese nel1700. L’agricoltura marchigiana dei primi dell’800 era caratterizzata dalla mezzadria, quel pattoagrario che prevedeva la spartizione del raccolto a metà tra il proprietario della terra ed il contadi-no che la lavorava, definendo compiti, competenze e oneri (Figura 2). Già dal 1600, coloro che lavo-ravano la terra si potevano ricondurre a tre categorie: i proprietari coltivatori, i mezzadri, i “casano-lanti” cioè i contadini senza terra che vivevano per lo più in miseria. La mezzadria o “patto coloni-co” vedeva sul “podere” un unico nucleo familiare di dimensione correlata alla necessità di “unitàlavorative” per ettaro e di non superare il carico di una bocca adulta per ettaro. La famiglia mezza-drile era di tipo è patriarcale ed era governata dal “vergaro”che si occupava trattava gli affari perconto ed a nome della famiglia mentre la “vergara”, solitamente sua moglie, curava all’andamentodella casa e l’allevamento di animali di bassa corte. Il podere poteva appartenere ad un piccolo proprietario o essere parte di un’azienda più grandefacente capo ad un unico possidente.Tale appezzamento di terreno era provvisto di una casa (Figura 3)per la famiglia mezzadrie e di unastalla per i bovini che rappresentavano la forza motrice per il lavoro nei campi ed erano gestiti dal“bifolco”. Il “bue aratore” fino al 1800 apparteneva soprattutto al proprietario del fondo che lo affit-tava con un contratto, in genere della di due anni, a chi lavorava la terra e che, per tale prestazio-ne, pagava un compenso, la “collara”, in natura o in denaro oppure con prestazione in lavoro. Talepratica ostacolava la bovinicoltura ed è possibile affermare che fino al 1800 l’allevamento bovinoera competenza del grande proprietario terriero. Dal 1800, invece, nelle province di Ancona eMacerata il capitale di mezzadria inizia ad includere anche gli armenti. Progressivamente anchenelle aree più povere l’allevamento diviene industria ed il contadino mostra più cura e attenzioneverso gli animali che, fino a quel momento, si erano dimostrati indispensabili per il traino e, soprat-tutto, per la lavorazione del terreno.

Figura 1: Bos taurus primigenius Figura 2: Paesaggio mezzadrile Figura 3: Particolare casa mezzadrie (www.picasaweb.com)

Figura 4: Il mezzadro (www.casentino.it)

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La stalla diviene quindi un “male necessario” ed assolve a due funzioni: rappresenta la “forza motri-ce” per lavori quali l’aratura con l’aratro in legno e luogo di produzione del letame, unico elementoreintegratore di fertilità ed apportatore di materia organica (Guidi e Mondini, 1985).Come produttore di carne, scarsa era l’importanza del bovino il cui uso si limitava al “lesso”. Dalpunto di vista dell’agricoltura in questo periodo storico si assiste ad un’alternanza colturale quin-quennale o settennale con l’introduzione del prato di medica di due anni e la riduzione della super-ficie a grano, nell’avvicendamento però mancano i prati pascoli ed i pascoli permanenti e ciò rendei foraggi subordinati al prato avvicendato. L’alimentazione del bestiame era frugale, caratterizzata daforaggi e dall’impiego di tutti i sottoprodotti nella costituzione di zuppe o mistiche. I bovini allevati agli inizi del XIX secolo erano per lo più di ceppo podolico con statura non moltoelevata, pellame grigie detto marino o brino, dotati di rusticità ed elevata attitudine al lavoro sia ditraino che di trasporto (Bartolocci, 1900). Questi bovini erano mediocri produttori di carne sia peril lento sviluppo corporeo sia per la poca disposizione e scarsa facilità all’ingrasso (Venturi, 1893).Al fine di aumentare l’attitudine alla produzione di carne le bovine locali furono prima incrociate contori di razza di Valdichiana (Figura 5). Dall’incrocio con i primi, datato intorno a metà ‘800, deriva-vano soggetti maschi detti “cornetti”a mantello grigio chiaro, con corna grosse e corte, di taglia ele-vata (Falaschini, 1974). L’ingrassamento del vitellone riguardava qualche capo della mandria utiliz-zata per il lavoro e vi si dedicavano alcune famigli di casanolanti. La tabella 1 illustra la produzione,nelle province delle Marche, di vitellone nel 1910 (Ciaffi, 1960).

Nel periodo storico in oggetto nelle Marche erano diffuse prevalentemente le seguenti razze:• razza indigena podolica, varietà di montagna della razza Marchigiana di tipo podolico con qualità

comuni a maremmana e romana (Palombi, 1883);• la varietà locale “bianca o gentile”, diffusa nelle pianura e poco adatta al pesante e con poca resa

al macello;• la varietà “brina” dal pellame grigio, diffusa soprattutto nella fascia collinare e derivante dall’in-

crocio tra la razza indigena montanina con la varietà gentile.Erano inoltre presenti piccoli nuclei di bovini nati da incroci tra razza podolica locale e tori pugliesi.La necessità di selezionare bovini con spiccata attitudine alla produzione della carne si accompa-gna all’aumento della richiesta del prodotto che porta nel 1902 a preferire di fatto l’incrocio con toriromagnoli rispetto ai maremmani poiché “il bestiame ha il sentito bisogno di essere irrobustito e

Figura 5: Toro razza Chianina (Anabic, 2007)

Provincia Vitelli prodotti Capi bovini presenti(#) (#)

Ancona 2.190 80.459Macerata 2.125 79.897

Ascoli Piceno 682 54.100Totale 4.997 214.458

Tabella 1: Vitelli prodottie capi presenti nelle province delle Marche nel 1910(Mondini e Guidi, 1984)

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meglio allevato…la mancanza di selezione deve sparire”(Sabbatici, 1910). Bartolucci, BruniSabbatini e Venturi stabilirono che per raggiungere l’obiettivo di favorire attitudine al lavoro e allaproduzione di carne erano necessari i seguenti strumenti:• miglioramento dei tori gentili attraverso l’incrocio con razze progredite come la Romagnola;• miglioramento dei bovini montanini con accurata selezione di fattrici maremmane;• miglioramento, mediante la selezione, dei bovini brini;• creazione di stazioni di monta con tori scelti e approvati;• istituzione di libri genealogici e delle Società di allevatori • adozione di standard di valutazione mediante schede da compilare;• istituzione di mostre zootecniche; • miglioramento delle condizioni alimentari e igienico-sanitarie di allevamento (Guidi e Mondini, 1985).

Nel 1908 ad Ancona viene costituita la “Commissione zootecnica provinciale permanente” che face-va decretate in provincia di Ancona il “Regolamento provinciale per l’approvazione preventiva deitori destinati alle pubbliche monte” in applicazione dell’articolo 1 della legge n. 392 del 5/7/1908.Ad essa seguì la creazione delle Commissioni ad Arcevia, Fabriano, Osimo. A partire dal 1910 l’in-dirizzo zootecnico fu quello di selezionare il tipo marchigiano e di provare l’incrocio con il tororomagnolo, continuando, nonostante ciò, ad usare anche il toro Chianino.L’impiego del toro Romagnolo (Figura 6) portò alla sua importazione nelle principali stazioni di monta. Un censimento del Ministero dell’Agricoltura, Foreste ed Industria e Commercio del tempo, condot-to” con circolare 31/10/1908, fornisce un quadro delle Associazioni allora presenti sul territoriomarchigiano.Le realtà censite erano riconducibili a tre categorie: 1. Associazioni agrarie, Comizi e Consorzi agrarie che non avevano come scopo l’allevamento;2. Associazioni, Commissioni zootecniche permanenti (provinciali, circondariali, mandamentali,

intercomunali), Comitati ed altri Enti dedite esclusivamente all’allevamento.3. Società di allevatori, Sindacati di allevamento a carattere volontario.Il concetto auspicato dal Ministero era finalizzato a“guidare la zootecnia bovina verso un piùmoderno assetto tecnico ed economico” come avveniva già in altri Paesi europei, il LibroGenealogico per la razza Angus era stato infatti istituito nel 1802, quello dello Shorthorn nel1822, quello della Hereford nel 1846 e quello della Charolaise nel 1864.

L’introduzione del toro Romagnolo aveva comportato modifica-zioni nella popolazione bovina locale, migliorando soprattutto laproduzione della carne, che tra il 1920 ed il 1930 si presentavaspiccatamente polimorfa in quanto, pur possedendo una propriafisionomia, non aveva uniformità dei caratteri (Consolani,1933). Nasceva quindi la necessità di raggiungere “un’unità nelsangue e del tipo”(Marchi e Mascheroni, 1925), una tappa fon-damentale nella storia della razza Marchigiana è rappresentata

Figura 6: Toro razza Romagnola (ANABIC, 2007)

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infatti dal Congresso di Fermo del 1928 (Guidi e Mondini, 1985).In tale occasione il professore Cesare Gugnoni decise la sospensione di ogni forma di incrocio perprocedere alla “selezione genotipica morfo-funzionale”per l’ottenimento di un bovino differentedagli altri soggetti appartenenti alle popolazioni bovine del versante adriatico.A quel periodo storico è legata una politica di ruralizzazione che mirava ad aumentare i lavoratoridella terra, con “la battaglia del grano” del 1925 poi si era verificato, sulla base di una politica diautosufficienza nazionale, uno sviluppo abnorme della cerealicoltura che aveva comportato allariduzione delle superfici a pascolo e bosco.Dal punto di vista zootecnico nel 1931 il Ministero Agricoltura e Foreste emanava direttive preciseper il miglioramento delle razze bovine, attraverso la selezione genotipica morfo-funzionale, e perpiù razionali metodi di allevamento (Guidi e Mondini, 1985).Nel 1928 si stima che la consistenza della popolazione bovina nelle Marche fosse di circa 374.324capi, i bovini della razza Marchigiana presentavano adesso, oltre a capacità dinamiche particolar-mente idonee all’aratura profonda, una buona attitudine alla produzione della carne. Il bestiame veniva valutato quindi dal punto di vista dei caratteri funzionali, peso vivo, aumentostruttura fisica, precocità (% peso vivo a 18-24 mesi), e morfologici.Nel 1931 viene istituito il Libro Genealogico, poi attivo dal 1933, che raccoglieva, dal punto di vistaorganizzativo, tutto il lavoro di selezione attuato dai controllori zootecnici e effettuato in base airegolamenti in materia. I soggetti così selezionati potevano essere iscritti al Libro poiché rispon-denti allo standard della razza, elaborato nel 1932, sulla base dei pesi e delle principali rilevazionisomatiche di soggetti che si avvicinavano maggiormente all’ideale di bovino. Gli animali iscritti allibro venivano raggruppati in nuclei di selezione di 60-70 vacche coperte da un toro caponucleo.Con l’avvento della IIa Guerra mondiale il patrimonio bovino della regione dal 1940 al 1943 nonviene intaccato, ciò è riconducibile principalmente a due fattori: le caratteristiche di frugalità, rusti-cità, precocità di sviluppo, facilità all’ingrasso della razza e alle capacità degli allevatori marchigia-ni nella cura degli animali.Dopo una gravissima perdita di materiale bovino nel 1944 con il passaggio del fronte, nel 1945 siassiste invece alla vivace ripresa del settore, nel 1951 si avviava il piano di risanamento daBrucellosi e Tubercolosi (Guidi e Mondini, 1985).

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4.2 La consistenza degli allevamenti in Italia: evoluzione dal dopoguerra ai giorni nostri

Il 14 luglio del 1959 le Associazione Provinciali Allevatori di Ancona, Ascoli e Macerata approvanolo statuto che sancisce la costituzione dell’A.N.A.B.R.M (Associazione Nazionale Allevatori BoviniRazza Marchigiana). La Marchigiana viene quindi riconosciuta come “razza bovina che presenta imigliori requisiti per venire impiegata in zone che presentano anche più marcate,in senso negati-vo, le nostre condizioni ambientali” in riferimento al territorio della regione Marche, tenendoconto della crescente importanza dell’allevamento bovino in seguito all’evoluzione della tecnica edell’economia agricola.

Nel 1963 le Associazioni delle razze Chianina, Romagnola,Maremmana e Marchigiana fondendosi davano vita all’ANABIC,l’Associazione Nazionale Allevatori Bovini Italiani Carne, le cui finalitàerano: la selezione ed il miglioramento, la programmazione e la valo-rizzazione all’estero della razze in oggetto. L’ANABIC, con Decreto delMAF del 18/10/1969, il 22/11/69 iniziava a gestire direttamente il LibroGenealogico della razza Marchigiana ed il Registro tori, lasciando alleAssociazioni Provinciali degli Allevatori i controlli morfo-funzionali. Glianni ’50 e ’60 vedono lo sviluppo industriale del Paese e la diminuzio-

Figura 7: Famiglia Albanesi, mezzadri nella proprietà Cesare Marini Castagnetti (Ascoli Piceno), raccolta olive 1955

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ne degli addetti in agricoltura. In questo periodo si verificano cambiamenti nel tessuto socio-eco-nomico italiano: esplode la meccanizzazione con progressiva perdita di importanza del bovino comeforza motrice, il numero dei poderi a mezzadria si riduce, aumenta il numero delle imprese a con-duzione diretta. Nelle Marche si assiste ad un cambio degli ordinamenti produttivi con notevolediminuzione della superficie a seminativo (Guidi e Mondini, 1985). Sul piano nazionale il cambiamento delle abitudini alimentari degli italiani con l’entrata massicciacarne, soprattutto bovina, rappresenta il miglioramento del tenore di vita della popolazione conse-guentemente al miracolo economico.Il divario creatosi tra domanda ed offerta nella produzione della carne imponeva reali cambiamentialle strutture produttive dovevano far fronte anche all’evoluzione, in atto, del rapporto tra agricoltu-ra italiana nel suo complesso e quella dei partner europei, nel quadro di una non sempre agevolepartecipazione dell’Italia alla politica agricola comunitaria. Il 1° luglio del 1967, in ottemperanza allapiena realizzazione del Mercato Comune Comunitario, si verificava la libera circolazione dei prodot-ti agricoli e un’organizzazione anche nel settore delle carni. L’offerta del Paese di carne bovina noncommisurata all’aumento del consumo aveva determinato una massiccia importazione di vitelli daristallo ai danni della produzione da razze bianche italiane. Iniziava quindi una progressiva diminu-zione numerica dei bovini di razza Marchigiana con allevamenti concentrati soprattutto nelle zonedi alta collina-montagna, ad indicare un probabile ritorno vocazionale delle aree interne. Agli inizidegli anni 70, la maggior parte dei capi di razza Marchigiana si colloca fuori dalle Marche. In taleperiodo i controlli morfofunzionali vengono effettuati dai “controllori zootecncici” delle APA cheprovvedono, inoltre, all’iscrizione definitiva dei tori dopo l’esame della “commissione provincialezootecnica” (Guidi e Mondini, 1985).A partire poi dal 1982 inizia l’applicazione di un piano volontario di lotta contro le Leucosi, patolo-gia che colpisce soprattutto il bestiame pezzato nero ma non, forse per mancanza di contatto o perfattori genetici, i bovini di razza Marchigiana.Nel 1983 si assiste ad una diminuzione del capitale bovino delle Marche e tale fattore si inseriscein un dibattito che prende atto della diminuzione del capitale bovino in genere, della diffusione mas-siccia di concimi chimici e l’aumento delle rese unitarie per ettaro delle colture agrarie. Sul piano nazionale con l’importo massiccio di carni bovine dalla CEE, le problematiche da affron-tare riguardano la quota minima di autosufficienza da garantire e come poter produrre carne inmodo competitivo con il mercato estero (Guidi e Mondini, 1985).In questo momento quindi si inserisce il discorso delle razze bovine da carne italiane, di cui circa90.000 vacche di razza Marchigiana, come un potenziale strumento di competitività.La razza Marchigiana aveva però rese minori rispetto ad altre razza da carne di qui la necessità dioperare il miglioramento di tale carattere e, dall’altro lato, di individuare una “nicchia ecologica” cherendesse economica la scelta del suo allevamento.Il grafico 1(ANABIC, 2007) riporta il trend, nel periodo 1988-2007, relativo al totale dei capi, dellecinque razze di pregio italiane, iscritti al Libro Genealogico, si evidenzia la preponderanza di bovinidi razza Marchigiana.

La tabella 3 (ANABIC, 2007) riassume, in modo sintetico, il totale dei capi distinto per ogni singo-la categoria e razza al 2007.

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La tabella 2 (ANABIC, 2007) illustra il numero di capi di razza Marchigiana e dei relativi allevamenti al 2007.

70.000

60.000

50.000

40.000

30.000

20.000

10.000

01988

MARCHIGIANA

1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007

CHIANINA ROMAGNOLA PODOLICA MAREMMANA

Totale Capi Iscritti

Grafico 1: Totale capi iscritti al L.L.G con riferimento alla razza Marchigiana (www.anabic.it)

Razza Allevamenti Capi(#) (#)

Marchigiana 2.784 50.077Chinina 1.347 42.663

Romagnola 592 16.723Maremmana 183 8.812

Podolica 585 24.018Totale 5491 142.293

Tabella 2: Totale capi e allevamenti cinque razze bianche da carne italiane(ANABIC, 2007)

A.P.A. Vacche Manze Giovani Tori TotaliMarchigiana 24.192 6915 21386 611 53104

Chinina 20.181 5655 17923 739 44498Romagnola 8.097 2044 5649 359 16149Maremmana 5.245 2011 2326 171 9753

Podolica 15.427 4048 4639 151 24265TOTALI 73.142 20.673 51.923 2.031 147.769

Tabella 3: Totale capi razza Marchigiana (ANABIC, 2007)

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Ad oggi in Italia (Figura 8) vengono allevatioltre 50.000 capi di razza Marchigiana e la car-tina ne riporta la distribuzione territoriale.

MarcheAbruzzo MoliseBasilicataLazioSicilia Campania

4.3 L’attualità: lo standard di razza

Elaborato per prima volta nel 1932, lo standard di razza, attualmente, indirizza la selezione versoanimali più affini alle esigenze di mercato. Gli obiettivi che l’ANABIC ha voluto perseguire sono iseguenti:• porre il risalto le caratteristiche relative alla produzione di carne;• usare maggiore tolleranza verso caratteri morfologici di tipo “formale” e non funzionale;• eliminare parti superflue relative a concetti di zoognostica generale;• usare la massima semplicità nell’esposizione onde evitare interpretazioni soggettive.

Figura 8: Regioni italiane in cui è diffusa la razza Figura 9: Razza marchigiana RACI 2006(ANABIC, 2006)

Figura 10: Toro di razza Marchigiana (ANABIC, 2008)

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CONFORMAZIONE E TIPOTipo di carne caratterizzato da notevole sviluppo somatico, muscolare e del treno posteriore, tron-co lungo e tendenzialmente cilindrico. Particolarmente precoce. Adattabile ad ambienti anche diffi-cili. Del bovino Marchigiano (Figura 10) devono colpire principalmente la lunghezza del tronco, laforza dei diametri trasversali e la finezza dello scheletro, leggero in rapporto alla mole. tale finezzaè ravvisabile anche a carico della testa e della pelle. L’ insieme deve essere armonico, il movimen-to sciolto, il temperamento docile. Bovino da carne di taglia elevata, il Marchigiano è caratterizzatoda alti incrementi giornalieri e raggiunge nell’età adulta pesi considerevoli, che superano con faci-lità i 1200 Kg. nei tori e i 750 nelle vacche.MANTELLO - Bianco. Si possono riscontrare gradazioni grigie diffuse nelle parti anteriori del corpo.PIGMENTAZIONE - Nera con intensità varia della cute, mucose orali e aperture naturali. La persi-stenza di peli rossi limitatamente alla regione del sincipite, la coda grigia e la depigmentazione par-ziale delle mucose orali sono tollerate in soggetti in possesso di requisiti morfo-funzionali prege-voli. Il mantello bianco e la cute pigmentata assicurano alla razza la nota resistenza alle irradiazio-ni solari. Il pelo è bianco con sfumature grigie sul treno anteriore particolarmente nei tori. I pelirossi eventualmente presenti sul sincipite non indicano meticciamento ma solo l’espressionediscontinua di geni presenti nel patrimonio genetico della razza. Il vitello nasce fromentino e diven-ta bianco intorno al terzo mese di età. La pigmentazione è ben marcata.CUTE - Sottile, facilmente sollevabile e morbida al tatto. La cute è fine; la giogaia e il pisciolare sonoleggeri, a tutto vantaggio del valore commerciale dell’animale da macello oltre che della funzionetermoregolatrice.TESTA - Leggera, a profilo rettilineo. le corna sono brevi e a sezione ellittica, dirette lateralmente edin alto. E’ consentita la decornificazione. La testa deve essere a profilo rettilineo, con fronte piana,leggera, espressiva, con caratteri sessuali secondari ben manifesti; musello ampio; masseteripotenti; occhi neri vivaci, attenti; orecchi ampi e mobili. La finezza della pelle sulla regione faccialeè ravvisabile nelle numerose pliche e lascia trasparire l’irrorazione sottocutanea. COLLO - Corto e muscoloso. Massiccio e gibboso nei maschi. Giogaia leggera. Il collo è muscolo-so, con fini pliche cutanee. Il toro presenta un coppo pronunciato già in giovane età.

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SPALLE - Larghe, muscolose, ben aderenti al tronco,parallele al piano sagittale mediano e giustamen-te angolate. L’ampiezza della spalla garantisce adeguata base d’impianto ai potenti muscoli della regio-ne. L’aderenza al tronco è garantita dal buon tono della muscolatura del cinto toracico. Inoltre un appro-priato angolo articolare scapolo-omerale (115°) assicura l’adeguata funzionalità motoria.GARRESE - Largo e muscoloso Pur fornendo tagli di terza qualità deve essere largo e pianeggian-te, raccordandosi armonicamente a collo, dorso e spalle. Questa conformazione è indicativa di dia-metri trasversali abbondanti e di una adeguata muscolosità. DORSO - Lungo, largo e muscoloso. Per la primaria importanza dei tagli carnei che se ne ricavano e checoncorrono a determinare il valore della carcassa, la regione deve presentare una accentuata muscolosi-tà, tanto da manifestare la “doppia convessità”, determinata principalmente dal longissimus dorsi (il piùlungo e grosso muscolo pari del corpo) che fornisce tagli magri e poveri di connettivo (bistecche).LOMBI - Muscolosi, spessi, larghi, linea dors-lombare rettilinea. Oltre al longissimus dorsi fannoparte della regione anche i muscoli sottolombari che costituiscono tagli nobili quali filetto e contro-filetto. I lombi devono essere estremamente muscolosi, lunghi, pieni manifestando, come il dorso,la “doppia convessità”, tipica delle razze specializzate da carne. La linea dorso-lombare deve pre-sentarsi rettilinea e forte, denotando un adeguato visore dell’impalcatura ossea.PETTO - Largo e muscoloso. La sua larghezza è sinonimo di capacità del cavo toracico, quindi di fun-zionalità degli organi e apparati localizzati in cavità toracica. Il costato deve essere ben arcuato e coper-to dalla coltre muscolare. Il torace rappresenta un importante indice di robustezza costituzionale.VENTRE - Ampio e sostenuto.FIANCHI - Pieni, ben raccordati con le regioni contigue. L’addome, pur essendo ampio, assicuran-do una valida capacità di ingestione deve essere sostenuto, con linea inferiore quasi rettilinea, tipi-ca del bestiame da carne con rese di macellazione elevate e sintomo di un buon tono muscolaredella regione.GROPPA - Molto muscolosa, sviluppata in lunghezza e larghezza, orizzontale o con lieve inclinazio-ne antero-posteriore; spina sacrale poco rilevata. Coda fine con attacco corretto. La groppa, piùampia possibile, deve dare adeguata base di impianto ai muscoli, in particolare ai glutei che forni-scono tagli di prima qualità. La sua larghezza è inoltre indice della funzionalità riproduttiva, con par-ticolare riguardo al facile espletamento del parto. La lieve inclinazione antero posteriore della grop-pa garantisce poi l’adeguata eliminazione delle urine e delle lochiazioni del parto, agevolando ilparto stesso. L’attacco della coda deve essere pulito, regolare e continuare in modo armonico il pro-filo superiore della groppa.COSCIA - Ampia e spessa; convessa, di accentuato sviluppo muscolare.NATICA - Discesa e con profilo convesso molto evidente. E’ ovvio, data la loro importanza nel pro-durre parti nobili, che entrambe queste regioni presentino un accentuato sviluppo delle massemuscolari, decisivo anche nella determinazione del valore dell’animale da macello. ARTI ANTERIORI - Appiombi corretti, braccio ed avambraccio muscolosi; stinco solido e leggero.Gli arti anteriori devono essere in appiombo e poggiare su piedi forti, mostrando articolazioni soli-de e nette. Lo stinco deve esprimere finezza scheletrica.

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ARTI POSTERIORI - Appiombi corretti, gamba molto muscolosa, garretto asciutto e forte, stincosolido e leggero. Determinanti al fine della durata della carriera produttiva, gli arti posteriori devo-no presentarsi solidi, in giusto appiombo, con articolazioni pulite e forti e con corretta angolazione.I tendini devono essere in evidenza. Gli stinchi devono essere asciutti e leggeri. PIEDI - Forti, ben serrati, con talloni alti. Il piede concorre a determinare la lunghezza della carrie-ra riproduttiva. Deve essere solido, ben chiuso, alto sui talloni, con pastoie solide, di corretta ango-lazione.MAMMELLA - Sviluppata, vascolarizzata a base larga.Quarti regolari. Spugnosa al tatto. Capezzoli ben diretti e di giuste dimensioni per l’allattamento.Questo organo deve garantire la capacità della vacca di produrre vitelli con elevato peso allo svez-zamento. La produzione di latte deve quindi essere abbondante e la mammella deve essere confor-mata in modo tale da agevolare la suzione da parte del redo, in particolar modo nei primi giorni divita, fase in cui la forma ed il volume dei capezzoli giocano un ruolo determinante.TESTICOLI - Proporzionati, sviluppati, discesi nello scroto. La conformazione, il volume, la simme-tria dei testicoli sono garanzia della efficienza riproduttiva. La presenza di ipoplasia testicolare,mono o cripto orchidismo, nonchè di altre alterazioni nella conformazione, rende i soggetti inido-nei alla riproduzione (ANABIC, 2007).

Bibliografia- ANABIC, Atti del “ 4oCongresso Internazionale delle Razze Bovine Italiane da Carne”, 29 aprile - 1o maggio 2005,

Gubbio.- “Atti della Giunta per la Inchiesta Agraria” e sulle condizioni della classe agricola” vol. XI, tomo II, Forgani Editore,

Roma , 1883.- Bartolucci A, (1900); “Conferenze di Zootecnia ed Igiene veterinaria”, Tip, Tabossi Editore.- Bittante G, Andrighetto I., Ramanzin M. (1990);Liviana Ed. Padova.- Bittante G., Mantovani R., Quaglia A. (2001); Taurus International, X (1).- Ciaffi B., (1960); “Risultati tecnici ed economici nell’ingrassamento del dei vitelloni nelle Marche” Convegno pro-

duzione, valutazione, commercio e distribuzione carne bovina, Firenze, Nacci Editore.- Consolanti G, (1933) “ La razza Marchigiana”, Rivista Zootecnica , 10, 183- Guidi L., Mondini S., (1985); “La razza bovina Marchigiana” Regione Marche - Assessorato Agricoltura, Foreste e

Alimentazione, Offset Stampa, Fano- Maiello C., (2000); “Il divario tra il consumo di carne in Italia negli anni Sessanta: alcune evidenze statistiche” da

www.delpt.unina.it- Sabbatini L, (1910); “Relazione sull’operato della Cattedra ambulante prov. di Agricoltura di 1907-1908”;Tip. Econ.

Ancona- Venturi U., (1893);“Appunti sulle conferenze di zootecnia”; Tip, Spinaci Editore, Jesi.

Siti internet consultati- www.anabic.it- www.delpt.unina.it- www.casentino.it

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5 - LA DIFFUSIONE: LA MARCHIGIANA NEL MONDOA cura di:Università degli Studi di Udine - Facoltà di Medicina Veterinaria - Dipartimento di Scienze AnimaliRegione Marche - Servizio Agricoltura, Forestazione e Pesca - PF Pesca e Zootecnia

Esportata per la prima volta negli anni ’60 in Brasile, la razza bovina Marchigiana sta incontrando ilfavore degli allevatori di tutto il mondo in virtù delle sue peculiarità e dell’ottima qualità delle sue pro-duzioni tanto da poter essere considerata l’ambasciatrice del made in Marche e, di conseguenza in“Italy”, nel mondo. Nell’ultimo decennio l’ANABIC ha esteso la sua attività all’estero e particolarmen-te in Brasile, in Svezia, in Olanda, in Spagna, in Australia, in Messico. negli Stati Uniti ed in Sud Africa.In Europa la razza è allevata in Albania ,Olanda,Svezia, Gran Bretagna, esitono piccoli nuclei anchein Irlanda

La Marchigiana in America

La razza Marchigiana ha trovato nell’America un ambiente ideale dal punto di vista climatico eambientale tanto da essere allevata non solo in tutto il Nord America ma anche in Stati come laCalifornia, Washington, Texas; Kansas, Arkansas e Oregon.

Figura 1: Diffusione razza Marchigiana nel mondo

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Nello stato di Washington si svolge annualmente un meeting per aggiornare la consistenza delpatrimonio di bovini di razza Marchigiana e per presentare i migliori esemplari disponibili sul mer-cato. Attualmente la consistenza dei capi iscritti al Libro Genealogico della razza negli Stati Uniti èdi più di 6000 animali anche se persistono problemi di natura legislativa relativi all’entrata degli ani-mali nel Paese.In Messico la razza Marchigiana è stata importata dagli Stati Uniti nel 1995 e sta facendo registra-re un notevole incremento di capi, il miglioramenti genetico è legato all’utilizzo di materiale semi-nale di tori italiani testati.È sicuramente il Brasile lo stato che ha visto non solo la prima ma anche la più consistente diffu-sione della razza Marchigiana, nel 1965 infatti il dottor Ermanno Bonaspetti, dopo l’incontro a PortoAlegre con il professor Telesforo Bonadonna dell’Università di Milano e il dottor Alberto Viganodell’ANABIC, acquista alcune dosi di materiale seminale di un toro di razza Marchigiana molto famo-so in Italia. Bonaspetti nel 1966 inizia a diffondere tra i gauchos le paillettes acquistate e grande successoriscuote l’incrocio Aberdeen Angus X Marchigiana. Nel 1969 viene importato il primo nucleo dibovini di razza Marchigiana dall’Italia.In Brasile, che attualmente dispone della mandria commerciale bovina più numerosa del mondo, lerazze da carne europee introdotte vengono incrociate con i bovini zebuini autoctoni attraverso lemonta naturale e la tecnica di inseminazione artificiale. La razza Marchigiana sia negli incroci che nell’allevamento “in purezza” ha dimostrato di potersiadattare perfettamente alle condizioni di caldo e di umidità proprie del clima tropicale del Paese. Gli studi condotti nello Stato del Mato Grosso del Sud sugli incroci Marchigiana X Nelore, una razzalocale, hanno evidenziato eccellenti risultati in termini di incremento ponderale, precocità di matu-razione e qualità di carcassa, caratteristiche particolarmente apprezzabili dal mercato internaziona-le, e confermano che la razza Marchigiana l’evoluzione e le esigenze della moderna zootecnia (VieiraVilhena R., 2005). La Marchigiana in Brasile consta di oltre 15000 animali allevati.L’ultimo congresso mondiale svoltosi in Italia nel 2004 ha reiterato e rafforzato la forte collabora-zione e un’ampia partecipazione internazionale, contribuendo all’importazione nei paesi sopra cita-ti di seme ed embrioni delle razze bovine italiane da carne, rinsaldando i rapporti stretti negli annie creando nuove opportunità di sviluppo e lancio.

Figura 2: Incroci con bovini di razzaMarchigiana

Figura 3: logo Associazione Brasilianadegli Allevatori di razza Marchigiana

Figura 4: Razza marchigiana RACI 2006(ANABIC, 2006)

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5.1 Le possibili tecniche di diffusione della razza Marchigiana

Uno degli strumenti più efficaci per la diffusione della razza Marchigiana nel mondo è senza dubbiol’inseminazione artificiale (IA). Con questa tecnica è possibile esportare del materiale geneticoanche in quei Paesi dove non è consentito importare degli animali sia per ragioni sanitarie che eco-nomiche. L’IA è una procedura che prevede la raccolta di materiale seminale da tori, la sua valuta-zione e lavorazione, nonché la conservazione in azoto liquido; il seme è quindi introdotto nei geni-tali femminili dall’uomo per via strumentale. Storicamente la tecnica è stata impiegata per la primavolta nel 1780 dall’abate Lazzaro Spallazani nel cane, mentre la diffusione negli animali da redditoè iniziata a partire dagli inizi del 900 ad opera del prof. Ivanov in Russia, agli inizi degli anni 30 sem-pre in Russia circa 20.000 bovine furono inseminate artificialmente. In Europa, la Danimarca nel1936 fondò la prima cooperativa di IA e nel 1938 presso la Facoltà di Agraria del New Jersey vennefondato il primo centro statunitense (Foote R.H., 2002). In Italia, fu il prof. Telesforo Bonadonna adare grande impulso alla diffusione della IA a partire dalla fine degli anni 30 con la fondazionedell’Istituto “Lazzaro Spallanzani”.I capisaldi tecnologici della IA nel bovino sono sostanzialmente tre:1) anni 40 l’impiego del tuorlo d’uovo per migliorare la refrigerazione del seme;2) anni 50 la possibilità di congelare gli spermatozoi grazie all’aggiunta del glicerolo;3) anni 60 la commercializzazione delle paillette e della pistolet da inseminazione, nonché dell’azo-to liquido che ha consentito la conservazione del seme congelato per periodi molto lunghi.Non a caso le prime esportazioni di materiale genetico di Marchigiana avvennero negli anni 60-70tramite l’esportazione di seme in Sud America e in Canada. Il seme fu inizialmente impiegato perottenere degli incroci con razze locali e solo laddove, in seguito fu possibile importare animali vivi(ad esempio in Brasile nel 1069), per il miglioramento genetico della razza in purezza.È opportuno sottolineare come in alcuni paesi l’importazione diretta di animali vivi dall’Italia era eda volte è tuttora impossibile per ragioni sanitarie; ad esempio la Svezia è ufficialmente indenne dallaparatubercolosi e l’Italia no, quindi non consente l’importazione di animali vivi dal nostro paese.Analogamente, i primi soggetti di razza Marchigiana negli USA sono stati importati dal Canada esuccessivamente rinsanguati con seme proveniente dall’Italia.La produzione di gameti (spermatozoi, ovuli ed embrioni), avviene a partire da riproduttori chedevono essere indenni da tutte le malattie previste dalla regolamentazione comunitaria (decretoMIRAAF 13-01-94, n. 172 e successive modifiche) e spesso anche indenni da malattie richieste dapaesi extracomunitari. Per i riproduttori maschi è relativamente facile ottenere questo status di ani-mali indenni, in quanto vengono prelevati da allevamenti indenni in età giovanile e dopo essere statisottoposti ad accertamenti diagnostici, trasferiti in centri genetici (per la Marchigiana il centro gene-tico dell’ANABIC) dove lo stato di indennità è ulteriormente controllato e mantenuto. I tori chehanno superato le prove di performance e sono stati adibiti alla IA, sono trasportati ai centri di pro-duzione seme dove sono sottoposti ad un periodo di quarantena durante il quale sono ripetuti tuttigli esami sanitari e solo a quel punto messi a produrre del seme. Molti centri di produzione seme

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attuano inoltre dei controlli sanitari a cadenza mensile in modo da garantire che il seme prodottosia effettivamente indenne dalle malattie richieste.A partire dagli anni 80 l’evoluzione delle tecniche di produzioni di embrioni prima in vivo e succes-sivamente in vitro, associate alla disponibilità di efficienti metodiche di crio-conservazione degliembrioni, hanno permesso l’esportazione in molte parti del mondo della razza Marchigiana inpurezza. La produzione di embrioni può infatti avvenire a partire da femmine con requisiti sanitarisovrapponibili a quelli dei riproduttori maschi, inoltre è relativamente agevole effettuare su di unnumero ridotto di femmine (donatrici) dei controlli sanitari molto rigorosi e anche costosi.Le possibili tecniche per produrre degli embrioni di genealogia certificata, sono sostanzialmentedue, il MOET (multiple ovulation and embryo transfer) e l’ovum pick-up:Il MOET prevede che la donatrice sia sottoposta ad un protocollo ormonale di superovulazione tra-mite ripetute dosi di gonadotropine, successivamente la donatrice viene fecondata artificialmente e6-7 giorni dopo gli embrioni sono raccolti dall’utero della donatrice tramite lavaggi ripetuti. Gliembrioni così ottenuti possono essere trasferiti immediatamente in bovine riceventi, anche di razzadiversa dalla donatrice oppure congelati per conservarli a lungo e trasportarli anche a distanza.L’ovum pick-up è un sistema di produzione di embrioni reso possibile dalle evoluzioni che si sonoavute nelle tecniche di fertilizzazione in vitro, coltivazione degli embrioni e dalle tecniche di ecogra-fia. Esso infatti prevede la raccolta di oociti immaturi direttamente dalle ovaie della donatrice trami-te punzione ed aspirazione ecoguidata dei follicoli ovarici, successivamente gli oociti così raccoltisono maturati e fertilizzati in vitro, e gli embrioni così ottenuti ulteriormente coltivati in vitro sinoad un età di 6-7 giorni, età alla quale sarà possibile trasferirli nell’utero di una ricevente o sottopor-li a congelamento per differire nel tempo il trasferimento.

Vantaggi e Svantaggi di IA e embryo transfer

La rapida diffusione della tecnica di IA nel comparto bovino è dovuta alla elevata efficienza produt-tiva che la caratterizza; un toro potenzialmente è in grado di produrre alcune centinaia di migliaia didosi l’anno e quindi un numero elevato di figli, ciò ha consentito di effettuare degli accurati test diprogenie e di impiegare diffusamente il seme di tori di elevata genealogia. In tal modo si è ottenu-to uno straordinario progresso genetico e produttivo particolarmente nelle razze da latte. D’altrocanto, i vantaggi della IA sono anche altri: risparmio da parte dell’allevatore (non deve mantenere ilo i tori), eradicazione di molte malattie in particolare di quelle veneree, controllo degli agenti pato-geni (antibiotici nei mestrui diluitori), riduzione dell’incidenza delle patologie congenite, consentirel’impiego di riproduttori che sono a grande distanza, prolungare nel tempo l’uso del seme di maschideceduti, riduce i rischi connessi all’accoppiamento (calci, morsi, cadute, ecc.), consente la valuta-zione del materiale seminale e negli ultimi anni consente di effettuare il “sessaggio” degli sperma-tozoi. Associata alla sincronizzazione dei calori, consente inoltre di stagionalizzare l’attività riprodut-tiva delle mandrie senza andare a discapito della selezione genetica.Esistono, però anche degli svantaggi legati all’impiego della IA, alcuni dei quali sono particolarmen-

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te sentiti nel comparto dei bovini da carne. Da una parte l’IA necessita di personale tecnico benaddestrato per effettuare raccolta, valutazione e preparazione del seme (refrigerazione, congela-mento), questo ha un costo che attualmente è coperto in parte dallo stato tramite l’AIA e da altrienti pubblici o privati (Regioni, banche, ecc…). Un altro grosso svantaggio nell’applicazione di que-sta tecnologia è legata alla scelta del momento ottimale per eseguire l’inseminazione. Mentre l’ad-destramento di personale all’esecuzione dell’inseminazione strumentale è relativamente facile, ilriconoscimento dei calori è a tutt’oggi un ostacolo lungi dall’essere superato. È stato calcolato chenegli Stati Uniti le perdite legata alla mancata rilevazione dei calori nelle vacche da latte ammonti-no ad oltre 300 milioni di dollari; per tale ragione sono stati messi a punto diversi ausili tecnici perla rilevazione dei calori (Dransfield et al., 1998; Nebel et al., 2000) e diversi protocolli di sincroniz-zazione dell’ovulazione che permettono l’inseminazione a tempi predeterminati senza la rilevazionedei calori (Stevenson J. S., 2001). Per gestire correttamente l’IA è inoltre necessario tenere aggior-nate le schede di stalla, allo scopo di monitorare: i calori, gli interventi fecondativi, le diagnosi digravidanza, ecc... Esiste infatti sempre il rischio di indurre l’aborto se la tecnica è applicata su diuna femmina gravida. L’impiego massivo di pochi riproduttori maschi comporta l’inevitabile rischiodi aumentare la consanguineità della popolazione aumentando il rischio di diffondere patologie ere-ditarie (ad es. CVM, cisti ovariche, ecc…). La non corretta applicazione delle norme igienico-sani-tarie è associata al rischio di aumentare l’incidenza e la diffusione d’alcune patologie (scarsa igie-ne da parte del personale addetto all’inseminazione).I maggiori svantaggi dell’embryo transfer nel caso del MOET sono legati alla variabilità della rispo-sta superovulatoria delle donatrici che non consente una previsione del numero di embrioni chepossono essere raccolti dopo un trattamento. Le statistiche disponibili in letteratura (IETS) consen-tono di stimare il numero di embrioni che si possono ottenere da un singolo animale tra 5 e 6.

La diffusione nei Balcani Occidentali: le Attività del progetto Marcbal in Bosnia Erzegovina

Il progetto MARCBAL annovera tra i suoi obiettivi quello di incrementare la diffusione della razzaMarchigiana attraverso l’impiego dell’embryo transfer effettuato su donatrici di razza diversa eembrioni prodotti in vitro da oociti prelevati con tecnica dell’ovum pick-up da manze di elevatagenealogia. Si tratta di una prova sperimentale in scala ridotta volta a verificare l’applicabilità di untale approccio su scala industriale sia a livello nazionale (incremento delle fattrici di una razza incontrazione) sia al di fuori dei confini nazionali per diffondere nei Balcani la razza Marchigiana. Larazza a cui si è dato precedenza per scegliere le bovini riceventi è la Simmental (in Italia PezzataRossa Italiana) a motivo della ottima attitudine materna, della notevole facilità al parto, della adat-tabilità ai climi collinari e della relativa diffusione nei Balcani. Il progetto prevedeva Attività in Italiaed in Bosnia Ezegovina. In Italia, a partire dal mese di settembre 2007, in collaborazione con i tecnici della locale associa-zione allevatori (AAFVG), sono state selezionate 10 aziende zootecniche dove si è provveduto adeseguire delle visite ginecologiche per monitorare lo stato dell’apparato riproduttivo e scegliere ani-

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mali adeguati da utilizzare quali riceventi per embrioni di razza Marchigiana. La tipologia di anima-li selezionati è stata quella delle manze puberi ed esenti da patologi a carico dell’apparato riprodut-tore. L’attività ha consentito di selezionare 20 manze di età compresa tra i 13 e i 18 mesi, che sonostate acquistate da allevatori della regione Abruzzo al fine di incrementare la diffusione della razzaMarchigiana in quella regione nella tramite la costituzione di nuclei di allevamento con linee vacca-vitello (vacche di razza pezzata rossa italiana e vitelli Marchigiani prodotti da embryo transfer).Contestualmente alla scelta degli animali si è individuata una stalla in Friuli dove effettuare le ope-razioni di embryo transfer nelle bovine pezzate rosse. La scelta di effettuare tali operazioni in Friuliè stata dettata dalla necessità di visite cliniche frequenti e protocolli di sincronizzazione accurati dicui necessitano le riceventi che sarebbero stati impossibili da effettuare in Abruzzo nelle condizio-ni di campo; durante tali attività si è previsto inoltre di approntare materiale video/audio per scam-bio di know out con paesi PAO. Non va infatti dimenticato che uno degli obiettivi del progetto è quel-lo di diffondere nei paesi dei Balcani anche le conoscenze tecniche per la gestione della riproduzio-ne delle bovine e in particolare della pratica del trasferimento embrionale. Gli animali sono stati tra-sferiti nella stalla “sperimentale” il 23 dicembre 2007.In collaborazione con l’ARA Abruzzo e il Consorzio per l’Incremento della Zootecnica (LTR –Laboratorio di Tecnologie Riproduttive) sono state messe a punto tecnologie di produzione in vivoed in vitro degli embrioni di razza Marchigiana. In particolare, constatata la non economicità dellaproduzione in vivo di embrioni tramite MOET, in quanto sarebbero state necessarie un numero trop-po elevato di donatrici oppure dei tempi di produzione molto lunghi, si è optato per la produzionein vitro prelevando gli oociti tramite ovum pick-up. A tale scopo nel corso degli ultimi mesi del 2007è iniziata la produzione di embrioni in vitro ed il loro congelamento.L’attività di trasferimento embrionale nelle 20 manze riceventi di razza Pezzata Rossa Italiana (PRI)è iniziata a gennaio 2008, con la sincronizzazione di 6 riceventi (quelle più idonee da un punto divista riproduttivo) che sono state sottoposte ad embryo transfer il 18 gennaio 2008. L’attività di tra-sferimento embrionale si è protratta fino al 9 giugno 2008, durante questi 5 mesi (9 gennaio - 9giugno 2008) gli animali sono stati sottoposti a visite bisettimanali per monitorare l’attività ripro-duttiva ed effettuare i protocolli di sincronizzazione; inoltre, circa 20 giorni dopo il trasferimentodegli embrioni le riceventi sono state sottoposte ad accertamento diagnostico ecografico.Complessivamente sono stati effettuati 41 interventi di embryo transfer, su 38 di questi è stata ese-guita diagnosi di gravidanza ecografica precoce al 25°-27° giorno di gestazione, mentre sugli ulti-mi 3 interventi non è stato possibile eseguire la diagnosi in quanto gli animali sono stati trasferitiin Abruzzo. Dalle 38 diagnosi di gravidanza effettuate sono risultate 14 gestazioni (37% di attecchi-menti). La diagnosi di gestazione è stata confermata a 35 e 60 giorni, da questi interventi è risulta-to 1 riassorbimento precoce (35 giorni) ed uno tardivo (60 giorni); per tale ragione le diagnosi con-fermate sono risultate 12 (32% del totale). Restano da diagnosticare i 3 animali che sono stati tra-sferiti in Abruzzo prima del 25° giorno di presunta gestazione. In Bosnia Erzegovina nell’ottobre del 2007 è stata effettuata una prima missione di ricognizione dialcuni allevamenti, del distretto di Bihac, per scelta delle aziende e delle bovine da utilizzare quali

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riceventi per embrioni di razza Marchigiana allo scopo di incrementare la diffusione della razza nellaregione e di costituire dei nuclei di allevamento. In collaborazione con il partner locale si sono indi-viduati 5 allevamenti interessati all’attività, tutti gli allevamenti sono dediti alla produzione di lattecon medie produttive piuttosto modeste (15-25 quintali / lattazione). In considerazione della man-canza di personale veterinario con esperienza nell’attività di trasferimento embrionale, si è decisodi operare sincronizzando gli animali e di eseguire direttamente l’attività di trasferimento a caricodel partner UNIUD. Il protocollo di sincronizzazione dei calori delle riceventi è stato inviato al par-tner bosniaco alla fine di ottobre del 2007.Nel mese di gennaio 2008, il partner bosniaco ha acquistato e ricevuto 20 embrioni di razzaMarchigiana di elevata genealogia che verranno impiegati per la diffusione di tale razza in loco. Ilgiorno 23 febbraio 2008 è stata effettuata una prima missione a Bihac (Bosnia Erzegovina) pereffettuare i primi transfer embrionali su animali sincronizzati in base ai protocolli precedentementeinviati al partner bosniaco. Durante questa prima visita nessun animale sincronizzato è risultato ido-neo per il transfer, per tale ragione si è concordato di ripetere l’operazione alla fine del mese dimarzo impiegando un numero più consistente di animali. Si è comunque provveduto ad istruire iveterinari locali sulle tecniche e le procedure corrette per effettuare l’embryo transfer; constatatainoltre la mancanza delle attrezzature indispensabili per effettuare la procedura, si è organizzatol’acquisto in Italia da parte del partner bosniaco del materiale necessario (pistolet per embryo tran-sfer, guaine e camice sanitari). Constata inoltre che la tipologia di animali destinati dagli allevatoriper l’attività non era quella ottimale si è provveduto a concordare con il partner bosniaco di istrui-re ulteriormente gli allevatori locali. In particolare, la tendenza degli allevatori era quella di destina-re all’attività animali “anziani” (3-4 parti), mentre i risultati migliori si hanno con gli animali più fer-tili (manze o primipare); tale tendenza era dovuta al timore degli allevatori nei confronti della tecni-ca per loro del tutto nuova e dalla paura che i vitelli marchigiani potessero causare problemi al partonelle bovine giovani. È stato perciò spiegato agli allevatori che la tecnica non presenta alcun rischiosanitario per gli animali e che una delle caratteristiche della Marchigiana è quella di dare dei vitellirelativamente piccoli quindi senza difficoltà al parto.Nei giorni del 29 e 30 marzo 2008 è stata effettuata una seconda missione a Bihac, durante la qualesono state visitate 9 bovine, di queste 4 sono risultate idonee per il trasferimento embrionale. Delle4 bovine sottoposte a trasferimento embrionale, una è risultata gestante alla diagnosi effettuata il18 maggio 2008 (25% di tasso di attecchimento). Sempre il 18 maggio 2008 sono stati visitati 14animali precedentemente sincronizzati, di questi 9 sono risultati idonei e sottoposti ad embryo tran-sfer. A tutt’oggi no è ancora stata eseguita la diagnosi di gravidanza su queste ultime bovine sotto-poste a trasferimento embrionale.

5.4 Programmi di intervento finanziati per la promozione e diffusione della razza nei Balcani

Nel quadro dei numerosi finanziamenti comunitari e nazionali messi a disposizione per l’internazio-nalizzazione delle imprese e per la cooperazione internazionale e transfrontaliera a livello pubblico

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e privato volte allo sviluppo di paesi terzi, sono disponibili diversi sistemi o gestioni finanziarie chepromuovono azioni anche in campo agricolo. Per quanto riguarda nello specifico la razza bovinaMarchigiana ci si è avvalsi nel 2003 del bando lanciato dal Ministero delle Attività Produttive – oraMinistero dello Sviluppo Economico-Commercio Internazionale – in base alla legge 212/92 che pre-vede il sostegno di programmi bilaterali o plurinazionali per la promozione della collaborazionedell’Italia con i Paesi annualmente individuati dal CIPE su proposta concertata tra Ministero degliEsteri e Ministero dello Sviluppo Economico, per favorire la loro transizione verso forme di econo-mia di mercato e l’integrazione con l’Europa. Destinatari di questo strumento finanziario sono siaentità pubbliche che private che presentino progetti della durata massima di 24 mesi per interven-ti nel campo della formazione, assistenza, studi di fattibilità, e progetti pilota nei vari settori di inter-vento economico. Il progetto “Marchigiana. Progetto Pilota per la Introduzione della Razza Bovina Marchigiana inAlbania” – primo classificato nella gestione 2003 – promosso dalla Comes S.r.l. di San Benedettodel Tronto ha avuto come obiettivo primario l’incentivazione della rinascita degli allevamenti bovinie dell’autosufficienza alimentare in Albania. Partner istituzionali e principali sostenitori dell’iniziati-va sono stati la Regione Marche e il Ministero dell’Agricoltura albanese che hanno garantito il carat-tere pubblico-privato dell’intervento in una comunione di intenti volta, da un lato a garantire unosviluppo imprenditoriale tramite la formazione professionale e il trasferimento di tecniche e tecno-logie di allevamento, e dall’altro a promuovere a livello istituzionale uno sviluppo sociale legato alrecupero di aree e settori di sviluppo economico marginalizzati. Il progetto ha avuto una duratacomplessiva di 13 mesi – vedendo la collaborazione di altri partner locali balcanici quali l’Istituto diRicerca Zootecnica e la Shoqata Alba-Markexhana nonché delle associazioni italiane legate all’alle-vamento di bovini italiani da carne (APA, ANABIC, Centro Tori di Macerata, ecc.) – ha realizzato gliobiettivi di introduzione della razza bovina Marchigiana in Albania, di verifiche di ambientamento eulteriore sviluppo della razza nel territorio balcanico, di trasferimento di tecniche e tecnologie diallevamento tramite una formazione professionale mirata ed orientata ai fattori di qualità e sosteni-bilità. Nell’arco del crono-programma progettuale le fasi portate a termine dal partenariato hannoprevisto l’individuazione, affitto dei terreni e l’avvio di colture foraggere, la costruzione di un primomodulo di stalla, la formazione del personale dirigenziale e tecnico di stalla in Italia, l’acquisto dellemanze gravide in diversi stadi di gestazione e del loro trasferimento in Albania, l’acquisto delleattrezzature, l’acquisto di materiale biologico per inseminazione artificiale, l’assistenza nella gestio-ne dell’impianto fino al parto di tutte le fattrici e lo svezzamento dei primi vitelli. Al termine del perio-do progettuale la gestione dell’azienda è stata acquisita da una società a responsabilità limitatamista italo-albanese che ad oggi è proprietaria dell’impianto e degli animali.Geograficamente il progetto è stato localizzato nel comune di Çerme - distretto di Lushnje - un’areaa forte vocazione agricola, con lo scopo di recuperare non solo le tradizioni colturali ma anche diallevamento. Sono state reintrodotte coltivazioni volte alla sostenibilità dell’alimentazione degli ani-mali tramite foraggi prodotti all’interno dell’azienda, recuperando tecniche colturali e lavorazionimeccanizzate dei terreni. A proposito di questi ultimi da evidenziare la criticità dell’altissima fram-

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mentazione delle proprietà – i frazionamenti in media sono di 1,5 ettari per proprietario – e l’altocosto della proprietà in acquisto o in affitto. D’altra parte si è garantito un incremento occupazionale tramite una formazione specializzata voltaalle figure impegnate quotidianamente nella gestione della stalla; tramite un programma di learningby doing – ovvero di inserimento diretto presso un’azienda italiana per un periodo di 3 settimanedi tirocinio formativo – le maestranze hanno permesso poi in loco un’ulteriore sviluppo delle pro-fessionalità di stalla, promuovendo anche un incremento occupazionale per i servizi terziari colle-gati alle attività di allevamento. In termini di ambientamento e numero di nascite i dati rilevati nei tre anni trascorsi dalla chiusuradel progetto istituzionale finanziato, sono state confermate le caratteristiche della razza Marchigianaa partire dalla sua adattabilità e della preservazione anche in ambienti non “di origine” delle pecu-liarità di forte attitudine alla produzione di carne (velocità di accrescimento, precocità e resa allamacellazione). La quantità di animali presenti in stalla si è incrementata, passando dalle 20 manzeimportate dall’Italia, ai 33 capi in totale (tra manze importate e vitelli nati in loco) a fine 2004, ai 74capi a fine 2007. Grazie ad un numero alto di nascite di capi femmine – che ha incentivato uno svi-luppo più rapido del numero dei capi fino ad oggi incrementato tramiti ritmi naturali di parto-inter-parto-inseminazione artificiale o a monta naturale - le macellazioni dei capi maschi sono state 3 nel2006 e 8 nel 2007. Di fatto la commercializzazione della carne è avvenuta tramite canali aziendaliinterni anche perché non sussiste ancora un numero capi sufficiente da consentire l’inserimento neicanali della grande distribuzione. Da rilevare comunque un fattore di criticità legato alla “tradizio-ne” albanese di macellare i vitelli a 4-5 mesi che crea quindi una discrepanza di costo della carnepresente nel mercato locale e di quella “Marchigiana” che invece avrebbe costi diversi legati sì allatracciabilità, qualità ma anche alla produzione. Ad oggi senz’altro il progetto è totalmente in linea con i processi di stabilizzazione e standardizza-zione che l’Unione Europea promuove in Albania nonché con le linee di cooperazione internaziona-le che il governo italiano prevede nelle aree balcaniche in via di sviluppo. Tuttavia c’è da rilevare chegli strumenti di finanziamento promossi sono vincolati alle disponibilità provenienti da fondi euro-pei e nazionali che non permettono gestioni a bando a cadenza annuale o comunque fissa (ad esem-pio l’ultima gestione in base alla 212/92 c’è stata nel 2004). Parlando nello specifico della 212/92è stata rilevata la difficoltà nella comprensione ed applicazione dello strumento di co-finanziamen-to – al massimo del 50% - in aree dove i contributi economici sono stati per anni percepiti come“donazione” a fondo perduto come accaduto nella stessa Albania. Il maggior successo del progetto finanziato dalla 212/92 – oltre all’obiettivo evidente di introdurreed implementare lo sviluppo della razza bovina italiana da carne di qualità – è stato senz’altro quel-lo di aver creato una rete di relazioni tra soggetti pubblici e privati che a tutt’oggi ancora collaborae dialoga sui temi di sviluppo sostenibile in agricoltura. Se per quanto riguarda la parte balcanicasi registra un notevole progresso – soprattutto in termini di regolamentazione legislativa – negliobiettivi di incremento del patrimonio zootecnico tramite gli strumenti della genealogia animale, c’èda sottolineare quanto i partenariati italiani si siano impegnati per dare continuità alle esperienze

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pregresse tramite appunto i principi di buona collaborazione e vera cooperazione volta allo svilup-po nonché promuovendo l’utilizzo di altri strumenti finanziari italiani e comunitari per realizzare fol-low-up progettuali non solo in Albania ma anche in altre regioni Balcaniche.

Bibliografia

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Siti internet consultati

- www.anabic.it- www.marchigiana.org.br

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a6 - LA SELEZIONE ED IL MIGLIORAMENTO GENETICO DELLA RAZZAA cura di:Regione Marche - Servizio Agricoltura, Forestazione e Pesca - PF Pesca e Zootecnia, con il supporto ANABIC

6.1 Gli obiettivi

La selezione rappresenta il principale strumento per il miglioramento genetico.Nell’ambito di un programma di selezione per la scelta dei riproduttori risulta indispensabile la valu-tazione dei caratteri:• morfologici;• fisiologici;• genetici.Nel settore zootecnico i caratteri che hanno maggiore rilevanza economica, definiti zooeconomici,sono, nella quasi totalità, caratteri quantitativi che sono determinati dall’azione e dall’interazione dinumerosi geni, ognuno dei quali contribuisce all’espressione del fenotipica del carattere. I caratteri quantitativi sono soggetti a continua variazione dovuta alla variabilità del corredo geneti-co dell’individuo e a quella ambientale; è comunque possibile misurarne il valore nel loro campo divariazione. La difficoltà nell’ambito della valutazione di un riproduttore risiede nella difficoltà didiscernere quanto è dovuto al genotipo e quanto, invece, è imputabile alle condizioni ambientali.

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La selezione nell’ambito dei bovini di razza Marchigiana viene effettuata dall’ANABIC e ha come finalità:• la produzione di soggetti con spiccata attitudine alla produzione della carne, in termini di veloci-

tà di accrescimento, precocità e resa alla macellazione e allo spolpo, salvaguardandone la capa-cità di adattamento a sistemi di allevamento;

• il miglioramento dell’attitudine materna quali facilità al parto e produzione di vitelli con alto pesoallo svezzamento, ed i caratteri dell’efficienza riproduttiva come età al primo parto, intervallointerparto al fine di ottenere il più elevato numero di vitelli per vacca l’anno.

Linea maschile e Linea femminileIl valore di un soggetto come riproduttore è il suo valore genotipico. La stima del riproduttore perla valutazione di un toro di razza da latte viene realizzata attraverso:• l’esame degli ascendenti;• il progeny test;• il metodo BLUP-ANIMAL MODEL L’esame degli ascendenti si basa sugli indici pedigree e rappresenta l’unico metodo di stima delvalore genetico di un giovane riproduttore. Gli indici calcolati sono:• l’Indice Pedigree (IP) = 1/2 IGT padre + 1/4 IGT nonno materno• l’Indice Genetico Previsto (IGP) = 1/2 IGT padre + 1/2 IGV madreIl progeny test è un metodo di valutazione genetica di un riproduttore basato sulle prestazioni pro-duttive dei figli.La valutazione genetica dei caratteri produttivi e morfologici viene effettuata attraverso il metodoBLUP (Best Linear Unbiased Prediction), teorizzato nel 1953 da Henderson ed applicato, per laprima volta, nel 1972 a Cornell per poi diffondersi anche in Europa. L’ANIMAL MODEL permette diconsiderare tutte le parentele presenti nella popolazione bovina. In tale metodo vengono utilizzati estimati contemporaneamente i valori genetici di tutti gli animali della popolazione e tale metodo sibasa su indici matematici, ottenuti per confronto tra riproduttori,che permettono di porre i tori in graduatoria.

Le valutazioni genetiche Le valutazioni genetiche utilizzano tutte le informazioni rilevatenello svolgimento delle diverse attività di selezione (CentroGenetico, Libro Genealogico, Controlli funzionali, Valutazionimorfologiche) per stimare il valore genetico dei riproduttori, indi-viduando i migliori in base agli obbiettivi di selezione definiti. A talfine, mediante appropriati modelli di analisi, i dati produttivi,riproduttivi e morfologici vengono depurati dagli effetti di naturaambientale; i valori così ottenuti, combinati in Indici, determinanoil valore genetico di ogni singolo soggetto. A questo settore com-pete lo studio e la definizione dei modelli di analisi per l’indicizza-

Figura1: Esemplari razza Marchigianaalla RACI 2008

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zione dei riproduttori. In particolare provvede al calcolo dell’Indice di selezione Toro dei soggetti inProva di performance, attraverso un sistema BLUP-Animal model basato sui caratteri di accrescimen-to e muscolosità; utilizza inoltre i dati di peso rilevati nelle aziende e le informazioni relative alla mor-fologia e all’efficienza riproduttiva per elaborare ulteriori indici genetici dei riproduttori in selezione. L’Indice di accrescimento tiene conto dell’accrescimento dalla nascita all’inizio della prova di perfor-mance (30%) e dall’accrescimento durante la prova di performance come regressione lineare sullenove pesate rilevate. La muscolosità deriva dalle voci valutazioni lineari, ponderate sulla base dell’in-cidenza delle singole regioni sulla quantità ed il valore totale della carne ottenuta dalle mezzane.I soggetti che, al termine della prova presentano un IST che rientra nel miglior 30% saranno adibi-ti all’Inseminazione artificiale, mentre i riproduttori del restante 70% sono destinati alla monta natu-rale poiché non presentano comunque difetti ed hanno un punteggio lineare di 82.Per quanto riguarda la linea femminile si considera l’Indice di Selezione Vacca che è calcolato sullabase del suddetto Indice di Selezione Toro e di un indice fenotipico di morfologia per poter indivi-duare i soggetti che, incrociate con tori testati, produrranno vitelli che avranno precedenza di entra-ta nel Centro Genetico.L’Indice di Selezione Vacca si configura inoltre come un valido supporto tecnico all’allevatore per lascelta della rimonta e per la gestione delle linee genetiche del proprio allevamento.Dal 2001 è stato introdotto l’Indice Genetico di Morfologia, sulla base della valutazione di musco-losità, dimensioni, finezza e arti delle manze, che viene accorpato all’Indice di Selezione Toro dellafattrice (pedigree o genetico) a formare il nuovo Indice di Selezione Vacca. Dal primo gennaio del2001 per essere madri di toro devono avere avuto almeno una volta un ISV maggiore o uguale a 100.

La valutazione morfologicaNei bovini da carne fondamentale è la morfologia che, unitamente a produttività e genealogia, haun significato anche funzionale in termini di capacità di produrre tessuto muscolare. Messa a punto dall’Ufficio centrale dell’A.N.A.B.I.C. nel 1994, la valutazione morfologica consentela descrizione lineare, con punteggio che va da 1 a 5, compendia quattro voci: muscolosità, , dimen-sione , arti e finezza dell’animale. Il punteggio finale o morfologico ne implica o meno l’iscrizione alLibro Genealogico per la razza. Il sistema di valutazione di tipo lineare consiste nel misurare quantitativamente determinati carat-teri, assegnando a ciascuno di essi, considerato in modo univoco, un valore numerico posto su unascala (lineare per l’appunto), che va da un estremo biologico all’altro. E’ stata suddivisa la variabilità; di un determinato carattere riscontrato nella popolazione, in cinqueclassi (valori sa 1 a 5) usando, nel caso delle misure un modulo pari a 1,5 deviazioni standard delcarattere considerato, mentre per i caratteri non misurabili utilizzando gli estremi morfologici sti-mati degli esperti di razza. La scheda di valutazione comprende una parte relativa all’allevamento, una parte generale relativaal soggetto, una di valutazione riepilogativa, una di descrizione lineare, una per l’indicazione di notee difetti, una parte relativa ai codici.

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6.2 Gli strumenti

Lo schema di selezioneLo schema di selezione rappresenta uno strumento di miglioramento genetico con il quale si defi-niscono modalità e tempistiche della raccolta dati, le valutazione dei riproduttori e, soprattutto i rap-porti tra individui scelti e scartati (Bittante et al, 1990). I risultati di uno schema di selezione sonomisurabili in termini di crescita annua del valore genetico medio degli individui (Mantovani et al,1997; Mantovani e Picozzi, 2003) che risulta influenzato da elementi non direttamente modificabilida chi gestisce lo schema selettivo sia da elementi suscettibili di variazione. Tra questi, suscettibilia efficienza riproduttiva della specie e dalla loro interdipendenza, si possono citare:• modalità di realizzazione della valutazione genetica dei riproduttori che condiziona l’accuratezza;• rapporto tra soggetti scelti e scartati;• età di sostituzione dei riproduttori.

Nell’ambito della razza bovina Marchigiana lo schema di selezione è incentrato su:• valutazione genetica dei riproduttori maschi da destinare all’Inseminazione artificiale attraverso il

performance test;• valutazione e la scelta delle fattrici in base ad attitudine materna ed efficienza riproduttiva;• accoppiamenti mirati; • progeny test per i caratteri non direttamente individuabili in prova di performance.

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Il performance test si basa sulla valutazione genetica di soggetti sottosti a controllo delle proprieprestazioni in ambiente controllato.Tali prove vengono effettuate, sia per la razza Marchigiana che per le restanti quattro razze da carneitaliane, nel Centro Genetico dell’ANABIC. Avviate nell’Aprile del 1985, attualmente vengono sotto-posti a valutazione 190 vitelli l’anno.Gli animali che entrano nel Centro, a 5 mesi ed in gruppi di 15 (cinque per ogni razza) sono statiprecedentemente selezionati in base a:• potenziale genetico dei genitori (IST e ISV) con precedenza a vitelli provenienti da tori testati nati

da accoppiamenti programmati con le migliori vacche (Top Cow);• valutazione morfologica effettuata da un esperto ANABIC;• analisi che accertino paternità e maternità;• analisi del cariotipo che prevede l’esclusione di soggetti con corredo cromosomico 2n=59.

Dopo il superamento dell’accertamento sierologico per TBC, Brucellosi, Leucosi, IBR e BlueTongue, i vitelli entrano in un periodo di quarantena che permette l’adattamento alle nuove condi-zioni di alimentazione e allevamento. Al termine di tale fase, il gruppo viene spostato in una stalla di performance che li ospiterà fino allafine della prova cioè all’età di 1 anno.La prova di performance dura circa 24settimane e consiste in:• pesate doppie in 2 giorni consecuti-

vi, ogni 21 giorni;• rilievi zoometrici doppi, in 2 giorni

consecutivi, ad inizio e fine prova;• misurazione della circonferenza

scrotale ogni 3 mesi;• rilievi sullo sviluppo muscolare, a

fine prova.

I dati rilevati vengono poi elaborati tra-mite il BLUP Animal Model che per-mette, indicizzando i caratteriAccrescimento e Muscolosità, di sti-mare contemporaneamente gli effettidei fattori genetici e ambientali, oltreche le performance del soggetto e ditutti i suoi parenti testati (Filippini,2004).

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Il Libro GenealogicoNato nel 1961 con l’obiettivo di promuovere e attuare tutte le iniziative finalizzate al miglioramento,alla valorizzazione ed alla diffusione delle razze bovine autoctone italiane: Marchigiana, Chianina,Romagnola,Maremmana e Podolica, il Libro Genealogico rappresenta lo strumento primario dell’at-tività di selezione delle diverse specie e razze di interesse zootecnico. Esso mira innanzitutto allaconservazione di popolazioni animali geneticamente distinte definendone sul piano tecnico i criteridi miglioramento genetico e, nel contempo, promuovendone la valorizzazione economica.Secondo la legge 30/91 “per Libro Genealogico si intende il libro tenuto da un’associazione nazio-nale di allevatori dotata di personalità, giuridica o da un ente did idritto pubblico , in cui sono iscrit-ti gli animali riproduttori di una determinata razza con l’indicazione dei loro ascendenti e per i qualisonoi stati effettuati controlli delle attitudini produttive”.In base tale legge l’ANABIC (Associazione Nazionale Allevatori Bovini Italiani da Carne) è delegataalla tenuta del Libro Genealogico Nazionale e alle Valutazioni Genetiche delle razze bovine italianeda carne,ovvero per le razze Marchigiana, Chianina, Maremmana, Podolica e Romagnola. Registri anagrafici sono definiti così in base alla legge 30/91: «Per registro anagrafico si intende ilregistro tenuto una associazione nazionale di allevatori dotata di personalità giuridica o da un entedi diritto pubblico, in cui sono annotati gli animali riproduttori di una determinata razza con l’indi-cazione dei loro ascendenti». Per le razze e popolazioni a limitata diffusione vengono quindi predi-sposti dei “Libri genealogici semplificati”: i Registri anagrafici. La loro finalità scopo non è tantoquello di operare una selezione su tali popolazioni, spesso in pericolo di estinzione, quanto piutto-sto quello di conservare patrimoni genetici di grande valenza storico-culturale anche valorizzando-ne le qualità produttive ed incentivandone l’impiego in particolari condizioni ambientali.Presso l’ANABIC si trova l’Ufficio Centrale del Libro, con funzione di coordinamento e controllo dellavoro svolto dagli Uffici Provinciali situati presso le Associazioni Provinciali degli Allevatori (APA)e distribuiti su tutto il territorio nazionale.Articolato in 5 sezioni, una per ciascuna razza, raccoglie in archivi informatici il complesso dei datianagrafici, genealogici, morfologici, produttivi e riproduttivi dei bovini in selezione.L’organizzazione informatica avviata nel 1988 ha consentito di realizzare il sistema di registrazione,gestione e scambio delle informazioni con la periferia.Dal 1992 è stata creata e sviluppata la procedura informatica “DATAGEST” per la gestione dei datipresso l’Ufficio Centrale e gli Uffici Provinciali del Libro Genealogico; essa è stata costantementeaggiornata al fine di migliorare il servizio offerto alle APA e agli allevatori. Tale procedura consentela registrazione delle informazioni in allevamento e a livello provinciale e la loro elaborazione perprodurre statistiche sui dati riproduttivi (età al primo parto, interparto, etc.) e produttivi (pesi,accrescimenti medi giornalieri, etc.), stampe riepilogative e di supporto al servizio di ipofertilità,certificazioni (Certificati Genealogici, Premi PAC, etc.).Attualmente, grazie a convenzioni stipulate con l’Associazione Italiana Allevatori, tale procedura èstata adottata da circa 70 APA, le quali hanno applicato il sistema di informatizzazione anche allealtre Associazioni per le razze da carne o minori. Nel 1999 è stata realizzata una procedura destina-

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ta agli allevatori che consente la gestione dei dati anagrafici, riproduttivi, produttivi e genetici dellemandrie (sono circa 200 gli utenti che hanno aderito al programma). Oggi la trasmissione delleinformazioni avviene totalmente via Internet. I server sono mantenuti direttamente dall’ANABIC,senza far ricorso a provider esterni. Mediante il sito internet dell’ANABIC le APA possono scaricarein tempo reale tutte le informazioni utili per aggiornare i propri archivi e fornire servizi agli alleva-tori (ANABIC, 2005).

Gli accoppiamentiCon l’impegno costante dei vari livelli delle Associazioni e degli allevatori che direttamente compar-tecipano nel lavoro di selezione della razza bovina Marchigiana, si é sicuri di raggiungere al più pre-sto un eccellente progresso genetico, morfologico e funzionale che renda la Marchigiana partico-larmente competitiva con altre razze a livello mondiale per quanto riguarda il mercato delle carni.Tramite il calcolo degli indici genetici é possibile effettuare gli accoppiamenti mirati tra bovini indi-cizzati e quindi favorire il completamento dello schema di selezione con la nascita e scelta dei gio-vani vitelli della generazione successiva da introdurre al Centro Genetico. Con l’accoppiamentooggettivo dei soggetti indicizzati, madri di toro e tori, si ha un ulteriore spinta per accelerare il pro-gresso genetico.Gli accoppiamenti programmati, definiti e avviati sperimentalmente nel 1997 sono stati messi inroutine dal 2000, fornendo agli allevatori l’opportunità di migliorare il livello morfologico e produt-tivo del proprio bestiame. Il servizio è fornito su tre livelli: standard: gratuito, viene prodotto ognisei mesi ed inviato alle APA e prevede l’accoppiamento di ogni vacca con un unico toro; persona-lizzato: prodotto su richiesta dell’allevatore, è fornito a pagamento e prevede l’accoppiamento diogni vacca con i tre migliori tori disponibili; personalizzato automatico: a pagamento, i parametridi personalizzazione vengono registrati in una prima fase, successivamente la procedura viene ela-borata automaticamente anche per più allevamenti. Attualmente il servizio degli AccoppiamentiProgrammati secondo le statistiche ANABIC per le razze da carne riguarda principalmente gli alle-vamenti di Chianina, Marchigiana e Romagnola, per le quali vengono elaborati, annualmente 35.000accoppiamentiGli accoppiamenti programmati possono attuarsi per tutte le bovine valutate con la scheda morfo-logico- lineare che, quindi, verranno accoppiate con i migliori tori abilitati alla inseminazione artifi-ciale (IA). Per ciascuna delle vacche fornite di IST e soprattutto per le migliori, verrà effettuato l’ac-coppiamento programmato con i tori più adatti, al fine di ottenere i vitelli migliori. Individuati imigliori riproduttori attraverso il performance test, la fase successiva del programma selettivo pre-vede l’impiego oculato degli stessi al fine di diffondere, con la massima rapidità, il loro patrimoniogenetico. Per aumentare il progresso genetico annuo si tende a ridurre l’intervallo di generazioneed è importante che i migliori riproduttori possano iniziare quanto prima la loro carriera. È per talemotivo che i giovani torelli abilitati alla IA sono inviati subito nei centri di prelievo ed il loro semeviene diffuso in tutta la popolazione. Attraverso uno specifico programma di accoppiamenti, talisoggetti vengono impiegati sulle migliori vacche ad alto indice di capacità materna. I vitelli maschi,

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nati da tali accoppiamenti, hanno la precedenza nell’ingresso al Centro Genetico, per essere sotto-posti ad un nuovo ciclo di performance, avviando così il lavoro della generazione successiva. L’accoppiamento programmato standard mediante un apposito programma tiene presente deiseguenti fattori:• l’accoppiamento non deve superare il 10% di consanguineità;• si privilegia quel tratto dell’animale da correggere poiché inferiore alla media;• quando tutti i tratti sono bilanciati, il programma consiglia tori che compensino e che non abbia-

no difetti;• l’accoppiamento viene scartato se il toro e la vacca hanno lo stesso difetto riguardo alla struttu-

ra e agli arti ed il programma accoppia il tratto corretto del toro a quello difettoso della vacca;• per il mantenimento di una adeguata variabilità genetica, il programma predispone una rotazione

dei tori in base al numero di volte in cui sono stati impiegati.

Gli accoppiamenti programmati personalizzati consentono ad ogni allevatore di personalizzarel’accoppiamento delle sue vacche con tori idonei, seguendo primariamente le sue specifiche esi-genze. L’esperto di razza, durante la visita in azienda, potrà rilevare mediante apposita scheda diRilevamento Aziendale, ciò che l’allevatore intende trasmettere con l’accoppiamento programmatoalla prole delle sue vacche. Ad esempio, dei tori da utilizzare in fecondazione artificiale, può predi-ligere tori con Parametri Genetici più elevati o con Parametri Fenotipici e Funzionali superiori, oppu-re può porre delle restrizioni nell’utilizzo di alcuni tori desiderati o indesiderati o infine può sceglie-re dei caratteri prioritari da correggere.

6.3 Le prospettive

A partire dal 1993 sono stati individuati nell’areale di origine, alcuni esemplari di razza Marchigianaportatori di iperftrofia muscolare, un carattere osservato, già nel secolo scorso, in numerose razzebovine da carne che si manifesta come uno sviluppo della muscolatura superiore al normale cheporta ad un notevole incremento della resa.Si sta quindi attivando una sperimentazione che prevede la costituzione di un nucleo di soggettiipertrofici e la successiva valutazione delle loro performance produttive e riproduttive per compren-dere le modalità di utilizzo di tale carattere. Attualmente è stata verificata l’efficienza dello schema di selezione, individuando gli aspetti damigliorare, ed è previsto l’ampliamento del Centro Genetico.L’Ufficio Valutazioni Genetiche, in collaborazione con l’Università di Padova, sta revisionando ilsistema di calcolo degli Indici di Performance al fine di migliorarli.È iniziato, inoltre lo studio dei dati per il calcolo dell’Indice di Capacità materna che consente di sele-zionare le femmine in base alla capacità di portare il vitello allo svezzamento in modo autonomo econ il più alto peso possibile. L’Indice quindi si configura come un indicatore della produzione dellatte necessario per assolvere a tale funzione e, a livello economico, risulta importantissimo nel-

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l’economia di gestione della mandria soprattutto in regime di allevamento brado e semi-brado.È stato previsto un sistema di valutazione dell’imparentamento degli animali con la popolazionevivente per individuare l linee genetiche meno presenti in essa e per valutare la diffsuione del pedi-gree di ciascun soggetto rispetto agli altri.Dal 1/01/2008 l’Ufficio centrale del Libro Genealogico ha reso obbligatorio il deposito di un cam-pione biologico per tutti gli animali iscritti, la finalità è quella di garantire l’origine e la tracciabilitàdei soggetti (ANABIC, 2007).

Bibliografia

- ANABIC, Atti del “4o Congresso Internazionale delle Razze Bovine Italiane da Carne”, 29 aprile - 1o maggio 2005,Gubbio.

- Falaschini A (1994); “Zootecnia Generale”. Edagricole - Edizioni Agricole, Bologna.- Veggetti A. Falaschini A. (2003); “Anatomia-Fisiologia, Zoognostica”. Edagricole - Edizioni Agricole, Bologna.

Siti internet consultati

- www.anabic.it- www.aia.it- www.araabruzzo.it

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7 - L’ALLEVAMENTO E L’ALIMENTAZIONEA cura di: Università Politecnica delle Marche - Facoltà di Agraria - Dipartimento di Scienze Ambientali e delle Produzioni Vegetali: Sezione di Agronomia e Coltivazioni erbacee

7.1 I sistemi di allevamentoLe caratteristiche ambientali di un territorio influenzano fortemente la tipologia dei sistemi di allevamentoin esso presenti, determinando una distribuzione differente delle tipologie produttive, delle dimensioniaziendali e delle interrelazioni tra le attività agricole e gli altri settori produttivi. L’allevamento di bovini di razza marchigiana è inserito in un contesto territoriale caratterizzato da estremavariabilità delle condizioni pedo-climatiche e socio-economiche, e risulta capace di differenziare le produ-zioni utilizzando le risorse disponibili ed ottenibili nelle diverse realtà territoriali. Nella generalità dei casirisulta caratterizzato dalla prevalenza di sistemi di allevamento semi-brado (prevedono un periodo dipascolamento durante la stagione favorevole ed un periodo stallino durante la stagione sfavorevole) nellazona interna e di sistemi stallini (prevedono la permanenza degli animali nelle stalle durante tutto il perio-do dell’anno) sempre più intensivi e specializzati nelle aree collinari e nei fondovalle (Tabella 1).

Sistema di Area di diffusioneallevamento Montagna Alta-media collina Bassa collina e pianuraSemi-brado Prevalente In aumento Assente

Stallino In diminuzione Prevalente Esclusivo

Tabella 1: Distribuzione dei sistemi di allevamento nelle diverse aree territoriali

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Grazie all’utilizzo delle risorse pascolive, il sistema semi-brado, principalmente orientato alla pro-duzione della linea vacca-vitello (Figura 1), rappresenta una forma di allevamento in grado di ridur-re i costi di alimentazione e di manodopera. Tale sistema permette di sfruttare aree definite “mar-ginali” (sia in ambito montano che alto collinare), a causa delle caratteristiche pedo-climatiche egeografiche.

Con il procedere verso la fascia collinare, dove si afferma il sistema di allevamento stallino, alla pro-duzione della linea vacca-vitello, si affianca frequentemente l’attività di ingrasso, sia di maschi chedi femmine, in funzione della disponibilità di superfici da destinare alla produzione di granelle peruso zootecnico. Quando ciò è possibile si ottiene in genere un abbattimento dei costi di alimenta-zione. Infatti, per le aziende zootecniche l’alimentazione rappresenta una voce di costo particolar-mente importante nell’ambito della produzione del vitellone da carne. Al fine di poter ottenere effi-cienti risultati dal punto di vista tecnico ed economico, l’azienda che persegue tale tipo di produzio-ne deve presentare caratteristiche idonee in termini di dimensioni e vocazione foraggera che ne per-mette, almeno in parte, l’autosufficienza nell’alimentazione del bestiame. Nella fascia collinare litoranea e nei fondovalle, dove la realtà agricola è sempre più specializzata,l’allevamento di bovini da carne riflette questa intensificazione produttiva. In tali contesti, dove siraggiungono elevati standard produttivi (incrementi giornalieri, qualità delle carcasse, ecc.), si regi-stra la massimizzazione del processo di specializzazione produttiva, anche con la produzione di ani-mali di alto valore genetico in grado di costituire un elevato valore aggiunto per l’azienda. La gran-de versatilità della Marchigiana emerge così dalla possibilità di allevare con sistemi differenti larazza sia ai fini della produzione della carne che dell’uso dei tori per incrocio.

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Linea vacca-vitello

Linea vacca-vitelloIngrasso

IngrassoIngrasso

Intensificazione

Specializzazione

Riproduzione

Figura 1: Produzioni prevalenti dei sistemi di allevamento nelle diverse aree di diffusione.

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Di seguito si riporta una descrizione analitica della organizzazione dei sistemi di allevamento, conparticolare riferimento agli aspetti foraggeri, presenti nell’area montana, collinare e di pianura delterritorio italiano, al fine di rilevare le differenze e le peculiarità relative alle zone di riferimento. Taleanalisi è basata, sia su specifica indagine conoscitiva condotta nell’ambito del progetto Marcbal,che su un’azione di indagine più ampia del settore dell’allevamento di bovini di razza marchigianaeffettuata dagli autori.Nell’ambito di ciascuna area di diffusione degli allevamenti vengono descritte e definite le proble-matiche e le priorità di intervento che possono risultare utili alla pianificazione delle attività zootec-niche non solo nel territorio italiano ma anche nell’area balcanica. In questo stesso ambito vengo-no altresì definite le proposte di ricerca utili per la messa a punto di sistemi di allevamento razio-nali e sostenibili nei diversi ambiti territoriali che sono scaturite anche dal confronto con i colleghidella Bosnia-Erzegovina e dell’Albania coinvolti nel progetto Marcbal durante gli incontri di proget-to e le visite di campo effettuate nel territorio italiano, bosniaco ed albanese.In aggiunta, vengono descritte le principali attività di ricerca e sperimentazione su molteplici aspet-ti problematici già condotte o in corso di svolgimento dal Dipartimento di Scienze ambientali e delleProduzioni vegetali dell’Università Politecnica delle Marche nelle diverse aree di diffusione dei siste-mi di allevamento bovino per la promozione del trasferimento delle conoscenze e delle esperienzetecnico-scientifiche previste dal presente progetto. Sulla base dell’analisi di questi risultati e delleproblematiche emerse nel corso della pluriennale attività sperimentale, e dal confronto con i colle-ghi di progetto sia italiani che stranieri, potranno essere pianificati gli specifici approfondimenti diricerca e sperimentazione per la promozione di sistemi di allevamento razionali e sostenibili nellediverse aree del progetto.

7.2 L’area montana

Nell’area montana l’allevamento dei bovini di razza marchigiana avviene in prevalenza secondo ilsistema semi-brado e, in misura inferiore, secondo quello stallino di tipo tradizionale. La maggiorediffusione del sistema semi-brado è principalmente legata alla peculiarità dei fattori pedo-climatici.Le condizioni climatiche (basse temperature e precipitazioni nevose nel periodo invernale, siccitàestiva), la natura dei suoli (ridotta profondità, elevata presenza di scheletro) e l’orografia dellesuperfici utilizzabili (Sarno et al., 1989), condizionano negativamente la potenzialità produttiva del-l’area montana. Queste condizioni determinano l’elevata presenza di superfici a prateria, sia di ori-gine spontanea o di origine secondaria (presenti sotto il limite potenziale del bosco), che naturale(quelle sopra tale limite), da destinare al pascolamento o alla costituzione di scorte di foraggio dautilizzare durante il periodo stallino.Il sistema semi-brado nell’area montana effettua prevalentemente la transumanza verticale. Essaprevede la movimentazione delle mandrie verso i pascoli percorrendo localmente brevi distanze siaa piedi che mediante mezzi di trasporto. Sono anche presenti forme di allevamento stanziale che,in alcuni casi, prevedono il pascolamento di pascoli e prato-pascoli artificiali nelle aree più prossi-

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me ai centri aziendali. Il sistema stallino è presente nel caso di aziende di minori dimensioni carat-terizzate da una gestione più semplificata ed una elevata età media del conduttore. Molte degli alle-vamenti stallini di tipo tradizionale si stanno avviando a forme più estensive. Oltre a fattori molte-plici di natura socio-economica e culturale, le motivazioni che appaiono dare giustificazione a que-sto andamento sono da identificare nei minori costi di produzione associati al sistema semi-brado,alla maggiore disponibilità di superfici a pascolo derivanti dall’abbandono delle attività agro-pasto-rali in ambito montano, alla minore disponibilità di manodopera e, non ultimo, alle difficoltà di ade-guamento al complesso normativo che attualmente regola e condiziona le attività del settore.

Nel sistema semi-brado il periodo di pascolamento è di norma compreso tra giugno e settembre.Con condizioni climatiche e produttive favorevoli, l’inizio del pascolamento può essere anticipato almese di maggio e la conclusione può essere posticipata al mese di ottobre o novembre. La moda-lità di pascolamento più diffusa è quella del pascolamento libero effettuato entro superfici a pasco-lo, spesso non delimitate da recinzioni, che gli animali utilizzano nel corso della stagione secondoquote crescenti in funzione della disponibilità di foraggio fresco. Dalla fine di agosto gli animali rien-trano progressivamente ai pascoli posti alle quote inferiori oppure, a seconda della categoria pro-duttiva e delle condizioni climatiche e della disponibilità di foraggio, vengono trasferiti definitiva-mente verso i pascoli prossimi all’azienda o ricoverati nelle stalle. I valori di carico che si registra-no sono normalmente inferiori ad 1 UBA ha-1. Si registra l’utilizzo prevalente di pascoli spontaneiche appartengono a tipi diversi differenziati in base alla diversa composizione floristica e alle carat-teristiche ambientali dei siti di diffusione. Le classi più rappresentate sono Festuco-Seslerietea,Festuco-Brometea, Molinio-Arrhenatheretea e Nardo-Callunetea. La produttività dei pascoli, varia-bile in funzione di queste caratteristiche, presenta in generale valori variabili tra 1 e 5 t ha-1 anno-1

di sostanza secca ed è in genere concentrata nel periodo tardo primaverile-estivo con una limitataripresa nel periodo autunnale. Le caratteristiche dei pascoli utilizzati sono molto eterogenee. Gli animali utilizzano sia superfici dilieve acclività o pianeggianti, ma si adattano anche al pascolamento di superfici molto acclivi ancheposte a quote altimetriche elevate, di difficile percorribilità a causa dell’abbondanza di pietre o inva-se da arbusti e piante arboree.

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In genere non si registra l’utilizzo di integrazioni alimentari al pascolo e, quando presenti, sono rap-presentate unicamente da sali minerali, ad eccezione di condizioni di estrema siccità estiva in occa-sione delle quali si provvede ad un foraggiamento con fieno.

Area montana: SISTEMA SEMI-BRADO• gestione al pascolo nella stagione favorevole

Periodo di pascolamento: maggio (giugno) – settembre (ottobre/novembre)Modalità di pascolamento: libero a quote crescenti in funzione della disponibilità di foraggioCarico: < 1 UBA ha-1

Pascoli utilizzati: - spontanei (in prevalenza) e naturali: 1 e 5 t ha-1 anno-1 di sostanza seccaIntegrazioni alimentari durante il pascolamento: di solito assenti (solo sali minerali)

• gestione in stalla nella stagione sfavorevoleRazionamento in base alla categoria produttiva degli animali: - vacche in produzione: fieno, mangimi acquistati e/o farine aziendali- tori: fieno, mangimi acquistati e/o farine aziendali - manze: fieno, mangimi acquistati e/o farine aziendali- vitelli: mangimi acquistati e/o farine aziendali- vacche in asciutta: fieno e paglia (non sempre)- animali in ingrasso: mangimi acquistati e/o farine aziendali, fieno, paglia (non sempre)

La gestione in stalla, attuata nella stagione sfavorevole nel sistema semi-brado e durante tutto l’anno nelcaso del sistema stallino, prevede in generale un’alimentazione differente a seconda delle categorie pro-duttive degli animali. Nell’area montana esse sono principalmente rappresentate da vacche in produzione(in procinto del parto e allattanti), tori e vacche in asciutta ed eventualmente manze. I vitelli sono presen-ti per un periodo limitato dell’anno. Più comunemente nel sistema stallino, si registra un’ulteriore catego-ria rappresentata dagli animali in ingrasso presenti anche in alcuni casi delle aziende con sistema semi-brado con una limitata attività di questo tipo. La razione media giornaliera per capo in stalla è basata sul-l’utilizzo di fieno con eventuali integrazioni a base di mangimi acquistati e/o farine aziendali (principalmen-te orzo, mais e favino/soia), utilizzate per vacche in produzione, manze e tori. L’utilizzo di paglia si registrain alcuni casi come integrazione della vacca in asciutta. Nel caso dei vitelli il razionamento, basato princi-palmente su mangimi acquistati ed eventualmente farine aziendali, si registra nei soli casi in cui essi sianostati partoriti nell’ultima fase di pascolamento (fine agosto-settembre).

In area montana, la costituzione delle scorte foraggere (fieno, granella, insilato), da utilizzare perl’alimentazione del bestiame durante il periodo stallino nel sistema semi-brado e durante tutto l’an-no nel caso del sistema stallino, si persegue principalmente attraverso la coltivazione di prati (siaspontanei che artificiali) e, in misura minore, con altre colture erbacee microterme utilizzate per laproduzione di granella e, in situazioni più rare, per la produzione di foraggio insilato.

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Il taglio dei prati polifiti permanenti, dove ancora attuato, è attualmente effettuato quasi esclusiva-mente in corrispondenza delle situazioni più favorevoli dal punto di vista produttivo (aree di fondo-valle o in generale pianeggianti) e in quelle dove sia praticabile la meccanizzazione delle operazionidi fienagione. La gestione prevede in genere l’assenza di concimazione (ad eccezione dei rilasci dideiezioni operati dal pascolamento o dallo stazzamento di greggi di ovini) e la pratica di un solotaglio che consente di produrre quantità di fieno variabili tra 2 e 6 t ha-1 a seconda delle condizionipedoclimatiche ed orografiche. Nelle condizioni a più elevata potenzialità produttiva, si registra inol-tre la coltivazione di prati avvicendati (artificiali), prevalentemente monofiti, maggiormente rappre-sentati da lupinella ed erba medica, e polifiti (diversi miscugli). La notevole diffusione della lupinella èlegata alla sua grande rusticità ed alla maggiore resistenza a condizioni di freddo rispetto alle piùcomuni leguminose foraggere. Il prato di lupinella consente di ottenere una elevata produzione con unsolo taglio tardo-primaverile (3-4 t ha-1 di fieno) e di destinare la ricrescita dell’erba nel periodo suc-cessivo al pascolamento. Il prato di erba medica è meno rappresentato nell’ambiente montano a causadella maggiore sensibilità di questa coltura alle basse temperature. È per questo presente solo nellelocalizzazioni più favorevoli dal punto di vista termico (minore quota, esposizioni sud), pedologico edorografico visto che questa coltura viene destinata principalmente alla fienagione. Tra le colture maggiormente utilizzate per la produzione di granella, orzo e avena risultano in asso-luto quelle più diffuse ed in grado di fornire i maggiori livelli produttivi (3-4 t ha-1).Nel caso di aziende poste a quote minori e su terreni più produttivi si registra, oltre alle colture dagranella citate, anche la coltivazione di favino che negli ambienti pedemontani consente di raggiun-gere valori di circa 2 t ha-1 di granella. La produzione di silo-fieno, anche se poco presente, è praticata soprattutto nel caso di prati mono-fiti di erba medica, in corrispondenza del primo e ultimo taglio per i quali maggiori sono le difficoltàper la loro adeguata fienagione. Altre possibili utilizzazioni riguardano i rari erbai, per lo più polifiti erappresentati da miscugli di avena e veccia o da favino e orzo e, in qualche caso, i prati polifiti.

Area montana: colture attuate per la produzione di scorte foraggere• Fieno

- prati spontanei (polifiti permanenti)- prati artificiali:

- lupinella (Onobrychis viciaefolia): in prevalenza- erba medica (Medicago sativa): in alcuni casi

• Granella- orzo (Hordeum vulgare) e avena (Avena sativa): in prevalenza- favino (Vicia faba var. minor): in alcuni casi

• Insilato di fieno: non comune- prato di erba medica: 1° e ultimo taglio- erbaio di avena + veccia (Vicia sp.)- erbaio di favino + orzo- prato polifita

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In area montana, il ricorso all’acquisto di integrazioni alimentari extra-aziendali si registra solo nelcaso di aziende senza o con una limitata superficie arativa. Nelle aziende orientate principalmentealla produzione della linea vacca-vitello l’approvvigionamento è relativo all’acquisto di foraggi (fienodi erba medica), paglia e ad un limitato quantitativo di mangimi. Nelle aziende con attività di ingras-so si acquistano maggiori quantitativi di mangimi e/o granelle (orzo, mais e favino/soia).

7.2.1 Le problematiche e le priorità di intervento

In area montana, le problematiche per le quali verranno delineate le priorità di intervento, sono rela-tive alla necessità di attuazione di forme di gestione delle praterie spontanee alternative all’abban-dono, alla possibilità di introduzione di nuove colture a breve ciclo nei seminativi capaci di produr-re maggiori quantitativi di qualità adeguata e alla individuazione di nuove tecniche e metodi utili per:la salvaguardia ambientale, la riduzione dei costi di gestione degli allevamenti e per la migliore valo-rizzazione economica delle produzioni.

L’allevamento di bestiame ha costituito nel tempo una delle forme principali di utilizzo del territoriomontano (Boscaglia, 1920; Cordella e Lollini, 1988; Pullè, 1937). La forte crisi dell’allevamentoavvenuta nel corso della seconda metà del secolo passato (Santilocchi e D’Ottavio, 2005) ha com-portato una generale riduzione dei carichi (D’Ottavio e Scotton, 2002; D’Ottavio et al., 2000) o l’ab-bandono delle pratiche pastorali nella gran parte del territorio montano e con esse il verificarsi diconsistenti modificazioni delle caratteristiche ambientali, agronomiche e paesaggistiche delle risor-se pascolive. Tra queste modificazioni rivestono particolare menzione i diffusi processi di ricoloniz-zazione da parte della vegetazione arbustiva ed arborea sulle superfici erbacee di origine seconda-ria o di quelle coltivate in passato. Se da un lato, la presenza di tali processi, opportunamente rego-lati e gestiti, può risultare auspicabile dove sussistano esigenze di protezione del suolo, dall’altroha sottratto e continua a sottrarre estese superfici pascolive e a determinare sensibili e non trascu-rabili modificazioni delle caratteristiche ambientali (minor grado di biodiversità specifica, maggioresuscettibilità agli incendi, alle slavine e ai fenomeni erosivi) e del paesaggio di vaste aree dei com-prensori montani. In aggiunta, il degrado dei pascoli attribuibile ai cambiamenti della composizio-ne floristica a vantaggio di specie poco appetite e di quelle totalmente rifiutate (quali ad esempio lespecie del genere Brachypodium) ha determinato la riduzione del valore pastorale delle superficipascolive con conseguenze sulla loro capacità portante a fini produttivi. Le praterie in cui si assistead una semplificazione della vegetazione verso forme di copertura erbacea a specie prevalentemen-te oligotrofiche sono sempre più estese. Queste formazioni rappresentano spesso una fase delladinamica evolutiva tendente alla ricostituzione spontanea di coperture arbustive e forestali. La gestione delle dinamiche vegetazionali in atto appare necessaria per meglio dominare i proces-si evolutivi in funzione delle diverse finalità di una equilibrata pianificazione territoriale e dell’utiliz-zo delle risorse prato-pascolive, che, oltre a svolgere una fondamentale funzione ambientale e pae-saggistica, in alcuni settori montani, rivestono ancora un ruolo produttivo molto rilevante (D’Ottavio

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e Scotton, 2002).In questo contesto, la definizione delle caratteristiche agronomiche e di linee guidaper l’utilizzazione dei pascoli montani, da basare su adeguate e specifiche esperienze di ricerca esperimentazione (D’Ottavio et al., 2005a; D’Ottavio et al., 2005b), appare strategico per produrreeffetti economici benefici alle aziende agro-pastorali e per il mantenimento delle caratteristicheambientali e paesaggistiche del territorio. La pianificazione delle attività agro-pastorali dovrà riguar-dare gli interventi di miglioramento del pascolo (eliminazione di arbusti ed infestanti, trasemine, fer-tilizzazioni), la programmazione del pascolamento per il adeguare i carichi alla produttività deipascoli, ma anche il miglioramento delle infrastrutture pastorali (strade di accesso, casali, abbeve-ratoi e linee di alimentazione idrica) in alcuni casi carenti, inadeguate alle reali esigenze o in cattivostato di manutenzione (D’Ottavio et al., 2001). La complessità dell’attuale assetto normativo cheregola l’esercizio delle attività agro-silvo-pastorali in montagna e l’apparente inadeguatezza di talistrumenti a fronte delle mutate condizioni socio-economiche ed ambientali sembrano in alcuni casiaggravare la già difficile gestione delle risorse di queste aree. Si evidenzia così la necessità di iden-tificare gli aspetti problematici che la loro applicazione comporta, i conflitti di competenza tra i varienti preposti alla programmazione e alla vigilanza del territorio e la predisposizione di proposte diadeguamento normativo. La disponibilità di un adeguato quantitativo di erba nel periodo primave-rile-estivo costituisce il naturale complemento per l’approvvigionamento foraggero degli allevamen-ti in zona montana. In tale contesto la possibilità di introduzione di nuove colture a breve ciclo neiseminativi, capaci di produrre maggiori quantitativi di qualità adeguata, appare una condizioneimportante per lo sviluppo del settore. Per tali materiali sarà necessario valutare l’adattamentoambientale, la persistenza e le diverse modalità di utilizzazione foraggera (Carroni et al., 2000; Pianoet al., 2004) con specifico riferimento alle diverse specificità ambientali e gestionali dei sistemiagro-pastorali estensivi delle aree montane. Nel panorama varietale internazionale sono già dispo-nibili diverse varietà selezionate da popolazioni locali che potrebbero trovare impiego sia per ilmiglioramento dei pascoli montani e che per la costituzione di prati oligofiti in terreni arabili.

È ormai comune convinzione che in Italia la possibilità di mantenere un’attività agricola nelle zonepiù svantaggiate, è legata soprattutto al ripristino di allevamenti di bestiame, in quanto in grado divalorizzare al meglio le limitate potenzialità produttive in esse presenti (Santilocchi et al., 2005). InItalia centrale questa affermazione assume ancora più significato, a causa dell’elevata percentualedegli ambienti marginali, soprattutto nelle zone alto collinari e montane. Affinché ciò avvenga, èperò necessario rivedere le forme di allevamento tradizionalmente presenti nel territorio, escluden-do il ritorno alla stabulazione fissa che, oltre ad essere non conveniente dal punto di vista econo-mico, non risultano in grado di assicurare quelle condizioni di benessere degli animali indispensa-bili per ottenere prodotti ad elevati standard qualitativi. In tal senso, la soluzione alternativa più vali-da appare legata ad una maggiore diffusione del sistema di allevamento allo stato brado o semi-brado, in cui gli animali siano liberi di muoversi e di alimentarsi per la maggior parte dell’anno conrisorse foraggere pascolive spontanee o appositamente impiantate. La razionalizzazione degli alle-vamenti di bestiame allo stato libero è un presupposto essenziale per rendere valida questa forma

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di gestione del territorio e degli animali, sia per gli aspetti socio-economici, sia per quelli sanitari eambientali. Per fare ciò è indispensabile disporre della maggior quantità possibile di informazioni agronomiche,pastorali e zootecniche.In tale ottica, per la specificità dei territori montani, particolare interesse riveste la verifica dellapossibilità di introduzione di tecniche di ingrasso anche basate sull’utilizzo del pascolo.L’adozione di questa tecnica potrebbe determinare rappresentare una valida alternativa alle tradi-zionali pratiche che prevedono la posta fissa o in qualche caso forme di stabulazione libera, coneffetti consistenti in termini di riduzione dei costi di gestione, di miglioramento delle condizionidi benessere animale e degli aspetti igienico-sanitari, e di valorizzazione economica delle produ-zioni con caratteristiche identificabili.Per la riabilitazione agronomica per fini produttivi e conservativi di ampie superfici di territoridismessi dall’attività agricola nelle aree marginali montane non esistono di fatto attività economi-camente alternative all’allevamento estensivo. In questo contesto, acquistano particolare interesseazioni di verifica della possibilità di potenziamento del sistema di produzione linea vacca-vitello dabasare sull’utilizzo di superfici pascolive abbandonate e marginali collocate in quote altimetrichediverse per la produzione di animali da destinare all’ingrasso. La verifica dovrà riguardare gli aspet-ti agronomici, pastorali e zootecnici anche in termini di costi di produzione, aspetti gestionali e logi-stici che questi richiedono. Nelle aree nelle quali si è assistito negli ultimi decenni ad un progressivo spopolamento e abban-dono delle attività pastorali, si sono avute ripercussioni anche sulle condizioni socio-economiche eculturali (occupazione, redditività e qualità della vita). Tuttavia, in altre zone, si sono affermate alcu-ne realtà aziendali che sono riuscite a mantenersi vitali nonostante la profonda crisi del settore agri-colo e che meriterebbero di essere analizzate e valorizzate attraverso specifici interventi. Questeforme di sviluppo hanno interessato la diversificazione dell’indirizzo produttivo, la riorganizzazionedelle aziende in varie forme di consociativismo (consorzi, cooperative), nuove iniziative a sostegnodella qualità dell’offerta (marchi di tutela, certificazioni) o di marketing (presidi Slow Food, parteci-pazioni a mostre e fiere internazionali e nazionali) ed il potenziamento dei processi di trasformazio-ne e di vendita diretta dei prodotti (es.: aziende agrituristiche).Da oltre un decennio, la ricerca agronomica sui sistemi agro-pastorali a livello internazionale haavuto nuovi sviluppi, basati anche su nuove teorie sulla produzione e integrazione della conoscen-za scientifica in situazioni complesse (Pearson e Ison, 1997; Ison e Russell, 2000). Secondo que-ste teorie, i sistemi agro-pastorali potrebbero essere considerati non solo l’insieme degli elementie processi bio-fisici che regolano le relazioni tra input e output di materia ed energia, ma anchecome dei sistemi di apprendimento (learning systems), nei quali i processi di comunicazione delleconoscenze tra i soggetti coinvolti (stakeholder) assumono un ruolo chiave nella condivisione diproblemi e strategie per lo sviluppo. In questo contesto, l’integrazione di conoscenze scientificheper lo sviluppo sostenibile implica approcci partecipativi e opportuni strumenti per la facilitazionedel dialogo tra soggetti in conflitto di interesse per l’uso delle risorse (Roggero et al., 2006).

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7.2.2 Il caso di studio di Macereto

Con l’obiettivo di analizzare gli effetti della gestione agro-pastorale sull’evoluzione delle prateriemontane, il Dipartimento di Scienze ambientali e delle Produzioni vegetali dell’Università Politecnicadelle Marche sta conducendo ricerche specifiche nel territorio di Macereto (MC) coordinate dalProf. Pier Paolo Roggero.

Caratteristiche dell’area di studio e metodi di indagine utilizzati

L’area di studio è caratterizzata dalla presenza di praterie secondarie con una gestione differenzia-ta. Una parte consistente di queste aree è di proprietà comunale, in cui è previsto un uso comunedelle superfici da parte dei soli aventi diritto, e quella di superfici di proprietà privata.Le ricerche effettuate hanno previsto lo studio diacronico della vegetazione nel corso dell’ultimocinquantennio attraverso l’interpretazione di ortofoto, l’analisi dell’evoluzione delle caratteristichegestionali, l’analisi della vegetazione e l’analisi agronomica per la quantificazione del valore pasto-rale delle praterie secondarie studiate.

Sintesi dei risultati principali dell’attività di indagineL’analisi dei risultati, ancora in fase di pubblicazione, mette in evidenza come, nel caso delle super-fici comunali, l’abbandono dei seminativi abbia determinato l’affermazione progressiva di una vege-tazione spontanea destinata al pascolamento degli animali. Con il progredire del tempo, la mancan-za di manutenzione e la diminuzione degli animali pascolanti ha determinato un diminuzione dellesuperficie libera dei pascoli diminuisce a favore della superficie coperta da arbusti (principalmenteginepro comune e rosso e rosa canina).Anche nelle superfici private si registra la sostituzione dei seminativi con superfici destinate alpascolamento (prato-pascoli artificiali e pascoli spontanei) che però, a differenza delle superficiepubbliche, aumentano progressivamente negli anni e si mantengono libere da arbusti per effettodella lavorazione periodica, del pascolamento e del taglio delle piante arbustive. L’analisi agronomica delle praterie ha messo in evidenza che il valore pastorale si riduce sostanzial-mente con l’aumento della superficie occupata dagli arbusti e che, nelle superfici libere da arbusti,esso risulta pressoché uguale nelle aree lavorate (private) e in quelle non lavorate (comunali). Inaggiunta, l’analisi del valore pastorale calcolato sulla sola vegetazione erbacea, ha confermato ivalori inferiori nel caso delle praterie più invase da arbusti; ha inoltre evidenziato valori inferiori nellearee lavorate rispetto a quelle non lavorate o, al massimo, una loro sostanziale uniformità a causadella difficoltà della costituzione di un cotico erboso stabile nel tempo ed adeguatamente ricco dispecie pabulari naturali.Nelle superfici pubbliche, gli attuali carichi ridotti e la mancata eliminazione degli arbusti, dovuta allascarsa volontà di investimento su superfici per le quali non si gode il pieno diritto di proprietà daparte dei singoli allevatori, rendono difficoltosa la conservazione a lungo termine delle praterie.

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I risultati emersi dall’analisi del valore pastorale rilevato sulle superfici private segnalano tuttavia chel’esecuzione della lavorazione del terreno, dopo il taglio degli arbusti, è spesso inutile e dannosa.Quasi sempre sarebbe preferibile sostituire questa pratica con idonei interventi di miglioramento delcotico erboso, tra i quali soprattutto concimazioni e/o trasemine (Santilocchi e D’Ottavio, 2004).

7.3 L’area di alta-media collina

Nell’area di alta-media collina l’allevamento dei bovini di razza marchigiana avviene in prevalenzasecondo il sistema stallino e, in misura inferiore, secondo quello semi-brado. Il sistema stallino èspesso caratterizzato dall’ingrasso di vitelli prodotti in azienda, soprattutto quando vi è sufficientedisponibilità di superfici da destinare alla produzione di foraggi e granelle per uso zootecnico. Lamaggiore diffusione del sistema stallino è legata sia alla specificità dei fattori pedo-climatici che aragioni socio-economiche. Le più favorevoli condizioni delle aree collinari determinano la maggiorepotenzialità produttiva delle superfici agricole che, nella gran parte della loro estensione, sono inte-ressate dalla coltivazione di seminativi destinati alla produzione di cereali microtermi (principalmen-te avena e orzo) e di foraggere avvicendate (principalmente erba medica). In questo contesto la pre-senza di una attività di allevamento, principalmente orientata all’ingrasso, è tradizionalmente legataalla sua possibilità di integrazione del reddito aziendale, soprattutto dopo che è venuta meno la con-dizione di utilizzo degli animali come forza lavoro. Alla luce di quanto esposto, l’adozione del siste-ma stallino in queste aree ha sempre rappresentato la migliore condizione al fine di massimizzare leproduzioni zootecniche e nel contempo destinare la maggiore superficie possibile alla coltivazione. Al momento attuale, a causa di molteplici aspetti sfavorevoli e contingenti alla conduzione degli alle-vamenti secondo le pratiche tradizionali (aumento dei costi di gestione, difficoltà nel reperimento dimanodopera, invecchiamento dell’età del conduttore, vincoli normativi e sfavorevoli condizioni di

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mercato), il settore bovino in queste aree si sta orientando verso l’introduzione di nuove tecniche emetodi per la riduzione dei costi di gestione e per la migliore valorizzazione economica delle produ-zioni. Nel particolare, molti degli allevamenti stallini di tipo tradizionale si stanno avviando a formepiù estensive di tipo semi-brado (Santilocchi et al., 2005). Da una parte si stanno affermando formedi allevamento stanziale che prevedono il pascolamento di pascoli e prato-pascoli artificiali all’inter-no delle superfici aziendali; dall’altra aziende che praticano forme di transumanza verticale. In analogia a quanto osservato per l’area montana, la gestione in stalla, attuata durante tutto l’an-no nel caso del sistema stallino e nella stagione sfavorevole nel sistema semi-brado, prevede un’ali-mentazione differente a seconda delle categorie produttive degli animali. Nell’area collinare essesono principalmente rappresentate da vacche in produzione, vacche in asciutta ed eventualmentemanze e tori. Gli animali in ingrasso sono rappresentati da vitelli e vitelloni in funzione del differen-te livello sviluppo. Nel caso dei vitelli l’alimentazione è basata su farine aziendali o mangimi acqui-stati dati ad libitum con un limitato apporto di fibra lunga (paglia e/o fieno); nel caso dei vitelloni èprevisto l’uso di farine aziendali e/o mangimi acquistati, fieno ed eventualmente di paglia. Nel casodei rari casi di allevamento particolarmente intensivo si registra la somministrazione di unifeed perle vacche in produzione ed i vitelloni.

Nel sistema semi-brado gli allevamenti che praticano la transumanza verticale nell’area montanaeffettuano il pascolamento secondo le modalità tipicamente già descritte e adottate in quel conte-sto. Nel caso degli allevamenti stanziali il pascolamento è effettuato su pascoli e prato-pascoli arti-ficiali nelle aree più prossime ai centri aziendali o, in alcuni casi, su pascoli spontanei. In questi casiil periodo di pascolamento è di norma compreso tra giugno e settembre. L’inizio del pascolamentocosì ritardato è motivato dalla presenza di terreni a forte componente argillosa, che rendono moltodifficile il pascolamento con terreno molto bagnato. Solo in condizioni pedologiche favorevoli, l’ini-zio del pascolamento può essere anticipato al mese di maggio e la conclusione può essere postici-pata fino al mese di novembre. La modalità di pascolamento più diffusa è quella del pascolamentolibero effettuato entro superfici a pascolo delimitate da recinzioni o in alcuni casi secondo quella arotazione che prevede la ulteriore suddivisione in settori di pascolamento che vengono utilizzatiprogressivamente nel corso della stagione di pascolamento. Si registra normalmente l’utilizzo diintegrazioni alimentari al pascolo (fieno e sali minerali) durante il periodo estivo quando solitamen-te si verificano condizioni di estrema siccità e la produzione dei pascoli e soprattutto dei prato-pascoli si riduce consistentemente. Dopo la stasi estiva, si registra in genere la ripresa del pasco-lamento al principio della stagione autunnale prima del rientro degli animali nelle stalle. I maggiorivalori di carico che si registrano rispetto all’area montana (in genere compresi tra 1 e 2 UBA ha-1)sono da attribuire sia alla migliore orografia delle superfici pascolate che alla maggiore produttivi-tà dei pascoli che nel caso dei cotici artificiali può raggiungere anche valori superiori a 10 t ha-1

anno-1 di sostanza secca.

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Area di alta-media collina: SISTEMA SEMI-BRADO• gestione al pascolo nella stagione favorevole

Periodo di pascolamento: maggio (giugno) – settembre (ottobre/novembre)Modalità di pascolamento: libero e a rotazioneCarico: 1-2 UBA ha-1

Pascoli utilizzati: - artificiali (in prevalenza) e spontanei: 2 - 10 t ha-1 anno-1 di sostanza seccaIntegrazioni alimentari durante il pascolamento: solitamente presenti (fieno e sali minerali)

• gestione in stalla nella stagione sfavorevoleRazionamento in base alla categoria produttiva degli animali:- vacche in produzione: fieno, farine aziendali, unifeed (raramente)- tori: fieno, mangimi acquistati e/o farine aziendali - manze: fieno, farine aziendali- vitelli: farine aziendali e/o mangimi acquistati- vitelloni: farine aziendali e/o mangimi acquistati, fieno e paglia (non sempre), unifeed (raramente)- vacche in asciutta: fieno e paglia (non sempre)

Nelle aree di alta e media collina, la costituzione delle scorte foraggere (fieno, granella, insilato) sipersegue attraverso l’uso di diverse colture. Il fieno è ottenuto da prati artificiali, prevalentementedi erba medica, per i quali si effettuano in genere 2-3 tagli che nel complesso consentono di pro-durre quantità di fieno variabili tra 7 e 9 t ha-1 a seconda delle condizioni pedoclimatiche ed orogra-fiche. In alcuni casi, il fieno è prodotto anche da prato-pascoli artificiali polifiti (a base di diversegraminacee e leguminose) con l’unico taglio effettuato nella fase primaverile che, nelle situazionipiù favorevoli, consente di produrre una quantità di fieno fino a 5 t ha-1. Tra le colture maggiormen-te utilizzate per la produzione di granella, orzo e favino risultano in assoluto quelle più diffuse ed ingrado di fornire i maggiori livelli produttivi (4-5 e 2,5-3 t ha-1 rispettivamente). Si registra la produ-zione limitata, e comunque presente in alcuni rari casi, di insilato di mais (in coltura asciutta) con-servato in trincea; in analogia alle aree montane è presente anche la produzione di silo-fieno perprati monofiti di erba medica (in corrispondenza del primo e ultimo taglio) e per i più rari erbai, perlo più polifiti, rappresentati da miscugli di avena e veccia o da favino e orzo.

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Area di alta-media collina: colture attuate per la produzione di scorte foraggere• Fieno

- prati artificiali di erba medica (Medicago sativa): in prevalenza- prato-pascoli artificiali di graminacee e leguminose: in alcuni casi

• Granella- orzo (Hordeum vulgare)- favino (Vicia faba var. minor)

• Insilato e silo-fieno: non comune- mais: in alcuni casi- prato di erba medica: 1° e ultimo taglio- erbaio avena + veccia (Vicia sp.)- erbaio favino + orzo

Nelle aree di alta e media collina, il ricorso all’acquisto di integrazioni alimentari extra-aziendali sonolimitate o assenti per la maggiore disponibilità di seminativi con potenzialità produttive elevate dicui normalmente le aziende con allevamento dispongono. Nel caso di approvvigionamento esternovengono acquistate prevalentemente mais e sorgo, e limitatamente anche soia. Nel caso di anda-menti particolarmente sfavorevoli alla fienagione si registra anche l’acquisto di scorte di fieno.

7.3.1 Le problematiche e le priorità di intervento

A causa dei molteplici aspetti sfavorevoli già segnalati alla conduzione degli allevamenti secondo lepratiche tradizionali nell’area di alta e media collina, il settore bovino anche in queste aree si staorientando verso l’introduzione di nuove tecniche e metodi per la riduzione dei costi di gestione eper la migliore valorizzazione economica delle produzioni (Santilocchi et al., 2005). In quest’ottica, la razionalizzazione degli allevamenti di bestiame di tipo stallino dovrebbe prevede-re, nell’ambito dei processi di adeguamento alle normative vigenti, l’adozione di interventi finalizza-ti al raggiungimento degli obiettivi enunciati. In questo ambito, dovrebbero essere identificate edadottate forme di stabulazione libera che, dove possibile, prevedano la presenza di paddock ester-ni o di recinti di maggiore dimensione, che siano in grado di aumentare le condizioni di benesseredegli animali e di ridurre i costi dovuti alla eliminazione delle deiezioni. Ulteriori interventi potreb-bero riguardare l’applicazione di azioni per la riduzione dei costi della gestione dell’alimentazionetramite l’automazione o il miglioramento del sistema di foraggiamento. In molti casi, tuttavia, le difficoltà oggettive di adeguamento delle numerose stalle tradizionali di pic-cole dimensioni rendono problematica l’introduzione delle tecniche e metodi enunciati. Come già evidenziato per l’area montana, anche in questo caso, la razionalizzazione degli alleva-menti di bestiame allo stato libero (sistema brado e semi-brado) comporta la necessità di disporredi informazioni dettagliate, con un particolare riferimento ai seguenti punti:• il sistema di allevamento e la modalità di pascolamento più conveniente, in relazione all’ambien-

te in cui si deve operare ed alla tipologia degli animali allevati;

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• le modalità di adattamento, o di riadattamento, degli animali al pascolamento e alla vita all’aperto;• le specie foraggere ed i miscugli foraggeri più interessanti da utilizzare nella costituzione di

pascoli e prato-pascoli artificiali nei vari ambienti;• le tecniche della gestione delle aree a pascolo;• la tecnica colturale e di conservazione più razionali per la produzione delle scorte alimentari.

In base alle caratteristiche pedo-climatiche delle aree, i sistemi di allevamento allo stato liberodovranno prevedere la permanenza degli animali il più a lungo possibile sui pascoli, allo scopo diridurre i costi alimentari e di migliorare lo stato sanitario degli animali. A tal fine, dovranno esserestudiate le forme per costituire superfici pascolive di una certa consistenza e persistenza dove glianimali siano lasciati pascolare nel corso della stagione vegetativa, ricorrendo alla fornitura di fieno,solo nei periodi di scarsità della produzione di erba dovuta ad eventi di siccità estiva.Ricerche specifiche dovranno essere effettuate per la definizione delle modalità di pascolamento piùidonee per utilizzare in maniera efficace e esaltare le potenzialità offerte dall’area a disposizione.L’introduzione del pascolamento a rotazione, rispetto al pascolamento libero, potrebbe consentireuna più efficiente utilizzazione del cotico erboso, garantire un adeguato periodo di ricrescita allepiante più produttive massimizzando la loro produzione potenziale, e mantenere una disponibilità diforaggio di elevata qualità durante la stagione di pascolamento. Sarà inoltre necessario procederealla definizione dei principali fattori della gestione pastorale, quali ad esempio il carico animale e lascelta delle strutture fisse di campo (recinzioni e punti d’abbeverata) da realizzare per le diversemodalità di pascolamento. Un aspetto da approfondire potrà riguardare lo studio e la definizione delle modalità di adattamen-to, o di riadattamento, degli animali al pascolamento e alla vita all’aperto in un momento in cuiormai queste conoscenze non sono più scontate. Un aspetto importante riguarderà la scelta delle specie foraggere e dei miscugli da utilizzare nellacostituzione dei miscugli per la ricostituzione di pascoli e prato-pascoli artificiali. Questa dovràessere effettuata sulla base delle caratteristiche pedo-climatiche delle aree di introduzione delle col-ture pascolive e sulla base degli animali che dovranno utilizzarle. La scelta di questi fattori dovràquindi tener conto delle caratteristiche morfo-fisiologiche e dei meccanismi di adattamento e/o resi-stenza al pascolamento delle diverse specie, degli aspetti di produttività delle cotiche erbose, delladistribuzione stagionale della produzione, dell’evoluzione della composizione floristica, della pabu-larità dei diversi miscugli foraggeri impiantati e delle singole specie. La scelta delle specie dovràinoltre basarsi sulla considerazione che gli animali rispondono alla variazione delle caratteristichedel pascolo che si determinano a seguito del tipo di gestione. Analisi specifiche avranno come obiettivo quello dello studio e applicazione di diversi interventi dimiglioramento colturale al pascolo. Essi potrebbero riguardare nel gli accorgimenti per la gestionedel cotico erboso degradato e la lotta alla diffusione di specie indesiderate e/o infestanti. In un’ot-tica di produzione zootecnica biologica potranno inoltre essere affrontati lo studio e la sperimenta-zione di interventi di intensificazione colturale compatibili con le attuali direttive.

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Un altro aspetto gestionale ed organizzativo da perseguire, anche tenendo conto della situazioneattuale, dovrebbe essere quello di arrivare, per quanto possibile, ad un’autosufficienza alimentare.Per fare ciò, è essenziale destinare la parte dell’azienda non utilizzata a pascolo alla produzione delforaggio e della granella necessaria per l’integrazione della razione alimentare. Potrebbe essere inte-ressante valutare sia nuove colture per la produzione di granella sia nuove soluzioni per la produzio-ne di insilati. Per il primo aspetto, nell’alta collina potrebbe essere interessante rivalutare il triticale,che ha una potenzialità produttiva di solito superiore a quella dell’orzo. Nel caso delle leguminose dagranella per il favino si dovrebbe valutare la possibilità di utilizzare varietà a seme chiaro, che è piùdigeribile in quanto non contiene tannini, mentre si potrebbe valutare la possibilità di utilizzare altrespecie, come ad esempio il pisello proteico. Per la produzione di insilati potrebbe essere interessantevalutare le caratteristiche di altre specie a potenzialità produttiva nettamente superiore, ovviamente inqueste condizioni, al mais, come ad esempio, i cereali autunno-vernini o lo stesso sorgo. Per quanto riguarda la produzione foraggera, oltre a compiere le scelte più razionali per le specieda utilizzare, sarà indispensabile impostare diversi sistemi di conservazione del foraggio, volti adottenere una riduzione delle perdite e una migliore qualità del foraggio. Ulteriori indagini, principalmente condotte in collaborazione con ricercatori zootecnici e veterinari,potranno riguardare gli effetti della gestione pastorale sullo stato sanitario e gli incrementi ponde-rali degli animali. Rispetto ad un sistema di allevamento stallino, l’uso del pascolamento in unaazienda zootecnica introduce impegni e complicazioni di gestione. Tra di essi possono presentarsiproblemi di bilanciamento e integrazione della dieta animale dovuta ad una offerta del foraggiovariabile in quantità e qualità durante il periodo di pascolamento con possibili problemi riprodutti-vi degli animali qualora non si riesca a soddisfare le loro esigenze metaboliche con una dieta ade-guatamente bilanciata. In tal senso, il controllo della qualità del foraggio durante tutto il periodo dipascolamento potrebbe consentire inoltre di valutare gli apporti nutritivi della razione giornaliera edi decidere sull’opportunità di ricorrere ad una alimentazione di soccorso sulla base di una valuta-zione oggettiva dei fabbisogni degli animali.

7.3.2 La sperimentazione nell’azienda “Putido” del comune di Fabriano

Con l’obiettivo di acquisire conoscenze da utilizzare per la razionalizzazione degli allevamenti allo stato libe-ro, a partire dal 2003 la sezione di Agronomia e Produzioni erbacee del Dipartimento di Scienze ambien-tali e delle Produzioni vegetali dell’Università Politecnica delle Marche ha condotto attività sperimentali nel-l’ambito dell’azienda “Putido” del comune di Fabriano (AN) coordinate dal Prof. Rodolfo Santilocchi.Le attività sperimentali sono state effettuate dal 2003 al 2005 nell’ambito del progetto“Riqualificazione dell’allevamento bovino semi-brado marchigiano di collina e montagna con larazionalizzazione dei sistemi di pascolamento e dei miscugli foraggeri impiegati” finanziato dallaRegione Marche (Legge Regionale n. 37/99); dal 2007 al 2008 nell’ambito del progetto Interreg“Marcbal: La razza bovina marchigiana nei Balcani occidentali. Un progetto di cooperazione tran-sfrontaliera e sviluppo sostenibile”.

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Nel particolare, la sperimentazione presentata si pone l’obiettivo di acquisire informazioni sugliaspetti e le problematiche relative all’adozione del pascolamento a rotazione per l’allevamento semi-brado di bovini di razza marchigiana in un ambiente alto-collinare della provincia di Ancona.

Caratteristiche del sito di prova e metodi di indagineL’attività sperimentale è stata condotta su superfici a morfologia e pendenza variabili poste ad unaaltitudine media di circa 500 m s.l.m. e caratterizzate dalla presenza di terreni argillosi. L’area di stu-dio presenta una temperatura media annuale di 12.6 °C e una piovosità media annua di 945 mm. La prova è stata effettuata su un pascolo seminato a metà aprile 2003 con un miscuglio di Festucaarundinacea (25%), Dactylis glomerata (15%), Lolium perenne (25%), Lotus corniculatus (15 %),Trifolium repens (10%) e Medicago sativa (10%), alla dose di 50 kg ha-1.A partire dal periodo primaverile 2004, la superficie a pascolo, di circa 19 ha è stata suddivisa insettori di pascolamento, ciascuno dei quali delimitati da recinzioni elettriche, provvisti di 2 abbeve-ratoi mobili. Per il pascolamento è stata utilizzata una mandria composta mediamente da circa 30vacche e 10 vitelli di razza marchigiana durante un periodo di pascolamento in generale compresotra la metà di maggio e la prima decade di settembre. Alcuni settori sono stati utilizzati come prato-pascolo, con la fienagione effettuata intorno al 20 maggio. Durante l’intero periodo di pascolamento, nei singoli settori è stata determinata la produzione disostanza secca del pascolo sulla base di campionamenti effettuati su aree campione prima dell’in-gresso degli animali e dopo la loro uscita, allo scopo di rilevare la quantità di foraggio non pasco-lato. Sui campioni di foraggio è stato determinato il contributo delle principali famiglie botanichealla produzione di sostanza secca.

Sintesi dei risultati principali dell’attività di sperimentazioneI risultati produttivi hanno evidenziato che il periodo più favorevole per la produzione foraggera èstato, come previsto, quello primaverile, mentre durante l’estate l’accrescimento è di più modestaentità (D’Ottavio e Santilocchi, 2007). L’andamento produttivo così caratterizzato ha condizionato lemodalità di gestione attuate. Gli incrementi di produzione di sostanza secca che si realizzano duranteil periodo di pascolamento di ogni settore appaiono elevati fino alla prima decade di luglio e presso-ché irrilevanti nel periodo successivo a causa del limitato ritmo di accrescimento dell’erba. Nel primociclo, in tutti i settori è presente una quantità di foraggio consistente, spesso molto superiore a quel-la normalmente considerata ottimale per il pascolamento. La natura argillosa dei terreni di prova, deltutto comparabile a quelli della media collina marchigiana, comporta la necessità di iniziare in ritardoil pascolamento rispetto all’andamento produttivo del pascolo, per prevenire eccessivi danni da calpe-stio con ripercussioni negative sulla struttura del suolo e sulla durata del cotico erboso. Nei cicli dipascolamento successivi, si evidenziano decrementi molto consistenti della produzione foraggera(fino al 90% rispetto al primo) a causa della carenza idrica che caratterizza la stagione estiva.L’elevata produzione di foraggio che si verifica nel periodo primaverile impone di destinare unaparte della superficie foraggera a disposizione all’utilizzazione a prato-pascolo, effettuando quindi

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su di essa il taglio primaverile per la produzione di fieno. La necessità di eliminare o contenere lospreco di foraggio che deriverebbe dall’utilizzo di una abbondante produzione, caratterizzata dallaelevata presenza di graminacee con uno stato avanzato di spigatura, ha portato ad aumentare lasuperficie sottoposta a fienagione nel corso degli anni di sperimentazione. Da una parte la maggio-re produzione di fieno ottenuta ha consentito di raggiungere ampiamente l’autosufficienza per ilforaggiamento degli animali, dall’altra ha però comportato una contrazione della produzione di erbada sottoporre a pascolamento nel corso della stagione e con essa la necessità del foraggiamentocon fieno nel pascolo e anche quella di utilizzare superfici aggiuntive esterne per aumentare laquantità di foraggio da destinare al pascolamento durante il periodo estivo.L’andamento produttivo ha condizionato inoltre la durata dei cicli di pascolamento con forti riper-cussioni sulla gestione. La maggiore superficie sottoposta a taglio ha comportato, in alcuni casi inmaniera anche marcata, una contrazione della durata del primo ciclo di utilizzazione. L’utilizzo esti-vo dei citati settori esterni ha determinato la maggiore durata del secondo.Per ridurre gli impegni nella gestione della mandria nei troppo brevi cicli successivi al primo pascola-mento, nel corso degli anni di sperimentazione, è stato ridotto il numero dei settori di pascolamentoed aumentata la loro singola estensione. Questa pratica ha dimostrato poter determinare vantaggigestionali ed una riduzione dei costi di gestione derivanti dalla minore frequenza di spostamento dellamandria. Si segnala tuttavia il rischio di attenuamento dei vantaggi in termini di stato sanitario deglianimali che la modalità di pascolamento a rotazione con turno breve (inferiore ai 10-12 giorni) com-porterebbe. L’adozione della turnazione breve, infatti, consentirebbe di evitare la coincidenza tra il ciclobiologico dei parassiti normalmente presenti nelle feci degli animali e la presenza degli animali stessinel settore, riducendo così il potenziale effetto dannoso sugli animali pascolanti.Al fine di salvaguardare il cotico erboso, è stato allestito un “recinto di soccorso” utilizzato per ilforaggiamento degli animali. L’adozione di questo accorgimento ha consentito di effettuare un faci-le foraggiamento durante i periodi di sospensione del pascolamento, di evitare il pascolamento suun pascolo esaurito (soprattutto durante il periodo estivo) e di ridurre i danni al cotico in periodipiovosi prolungati.

A parte le iniziali difficoltà di gestione della mandria dovuti essenzialmente a comportamenti abitu-dinari, nel corso dell’intera stagione di pascolamento non si sono registrati particolari inconvenien-ti. Gli animali hanno infatti dimostrato di adattarsi egregiamente sia agli spostamenti periodici neidiversi settori di pascolamento sia alle strutture mobili utilizzate per la gestione del pascolamento(recinti mobili elettrici e abbeveratoi). A tal proposito particolarmente efficiente è risultata l’adozio-ne di recinzioni elettriche mobili che ha dimostrato, contrariamente a quanto comunemente ritenu-to, l’adattabilità dei bovini di razza marchigiana ad essere gestiti al pascolo anche con questo eco-nomico e versatile sistema di perimetrazione dei settori. Efficiente è risultato inoltre l’uso di abbe-veratoi mobili in quanto, il loro posizionamento in localizzazioni diverse nell’ambito di ciascun set-tore di pascolamento, ha evitato o ridotto l’intensità degli effetti negativi derivanti dal ritorno conti-nuo o dallo stazionamento degli animali sulle stesse superfici.

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Sulla base di osservazioni effettuate in corrispondenza dell’intera stagione di pascolamento, gli ani-mali hanno dimostrato di privilegiare, soprattutto in corrispondenza delle ore più calde della gior-nata, le aree di crinale e le aree nei pressi degli abbeveratoi e di spostarsi nelle posizioni di versan-te durante gli altri momenti della giornata. L’adozione di settori posti lungo le curve di livello haquindi dimostrato essere un buon sistema di gestione in quanto ha assicurato la presenza contem-poranea in ogni settore di pascolamento di tutte le situazioni ed ha impedito il sovrapascolamentoe/o il sottopascolamento di superfici diverse nell’ambito di ciascun settore.L’anticipo ed il prolungamento del periodo di pascolamento nell’ambito dei settori particolarmenteinteressati dalla presenza di specie poco appetite o quasi totalmente rifiutate dagli animali o di areeanche relativamente estese quasi interamente dominate da Agropyron repens sembra aver influen-zato una loro drastica riduzione (nel caso delle altre specie) e una loro maggiore utilizzazione(soprattutto nel caso di Agropyron repens). L’esecuzione del taglio ha ridotto inoltre l’incidenzadelle infestanti totalmente rifiutate dagli animali.La stesura del bilancio economico ha messo in evidenza come il sistema consuetudinario, basatosull’adozione del pascolamento libero, abbia registrato costi gestionali maggiori rispetto all’intro-duzione del pascolamento a rotazione, quasi totalmente attribuibili al maggior quantitativo di fienoutilizzato per il foraggiamento.

Tra le problematiche di maggior rilievo per le quali ulteriori indagini sarebbero necessarie riguarda-no la durata del cotico erboso. In questo senso andrebbero condotte specifiche indagini volte allostudio dell’evoluzione della composizione floristica, delle caratteristiche produttive del pascolo edal mantenimento del livello produttivo delle superfici utilizzate a prato-pascolo. Nel caso dellesuperfici a pascolo, sarà quindi inoltre necessario valutare i molteplici effetti di medio-lungo termi-ne del pascolamento sulle caratteristiche del terreno (danni da calpestio, variazioni di fertilità, ecc.).A differenza del pascolo, nel prato-pascolo l’esecuzione del taglio e l’asportazione dell’erba com-porta una mancata restituzione degli elementi nutritivi assorbiti dalle piante. Questa pratica in gene-re determina effetti consistenti sulla variazione della composizione floristica e sulla produttività delcotico che, in prima analisi, possono giustificare i decrementi produttivi osservati nel corso deglianni di sperimentazione, anche quando si siano verificate alcune condizioni climatiche favorevoli.Ovviamente questa condizione è stata particolarmente accentuata dalla scelta dell’azienda di prati-care l’agricoltura biologica e di non effettuare nessun intervento di concimazione. Per sostenere neltempo la produttività delle superfici a prato-pascolo risulta quindi necessario il mantenimento dellafertilità attraverso adeguati interventi di concimazione, anche organica, che vadano a ripristinare iquantitativi di nutrienti asportati.Ulteriori approfondimenti richiederebbe inoltre lo studio di sistemi speditivi e facilmente applicabi-li per una pianificazione della utilizzazione foraggera che risulti razionale ed efficiente. Analisi specifiche potrebbero inoltre essere condotte per lo studio e l’applicazione di diversi inter-venti di miglioramento al pascolo. Essi potrebbero riguardare nel particolare interventi di trasemi-na, accorgimenti per la gestione del cotico erboso degradato e la lotta alla diffusione di specie inde-

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siderate e/o infestanti come Agropyron repens, che nel terreno di prova è risultata particolarmenteabbondante e aggressiva. L’adozione di un carico istantaneo elevato e l’anticipo del pascolamentoutilizzati per limitare la sua diffusione sembra aver influenzato una sua maggiore utilizzazione, maallo stesso tempo impone la considerazione degli effetti di medio-lungo periodo sull’evoluzione e laqualità della composizione floristica che da queste pratiche possono derivare.

Di estremo interesse, inoltre, risulterebbero attività sperimentali aggiuntive sull’adattabilità di miscu-gli di vario tipo, anche caratterizzati da ritmi di accrescimento differenziati nel corso della stagionevegetativa, e su terreni più favorevoli al pascolamento (meno ricchi di argilla e con presenza modera-ta di scheletro), allo scopo di verificare la possibilità di ampliare il periodo di pascolamento.

Oltre agli aspetti più prettamente foraggeri, ulteriori approfondimenti potrebbero riguardare gliaspetti zootecnici. In questo ambito, grazie alla possibilità di separazione delle mandrie gestite conmodalità di pascolamento diverso anche durante il periodo invernale, specifiche indagini potrebbe-ro essere condotte per la valutazione degli effetti (caratteristiche produttive, stato sanitario) deri-vanti dalla diversa gestione. Specifiche indagini, inoltre, potrebbero riguardare la possibilità di svez-zare i vitelli in tempi diversi in base al peso dei soggetti, allo scopo di verificare meglio le eventua-li influenze sul loro ritmo di accrescimento successivo e sulla possibilità di anticipare la venuta incalore della vacca.Il controllo della qualità del foraggio durante tutto il periodo di pascolamento ha consentito di valu-tare gli apporti nutritivi della razione giornaliera e di decidere sull’opportunità di ricorrere ad una ali-mentazione di soccorso sulla base di una valutazione oggettiva dei fabbisogni degli animali. In que-sto contesto, utili risulterebbero più approfondite analisi delle diverse componenti della fibra delforaggio per una migliore valutazione della qualità e della digeribilità del foraggio offerto agli ani-mali. Un miglioramento al bilancio foraggero presentato, potrebbe essere effettuato mettendo aconfronto l’energia utilizzata con la capacità di ingestione dei diversi animali.In ultima analisi, considerata l’importanza che il benessere e la socializzazione degli animali rivesto-no nel contesto della produzione zootecnica biologica, potrebbe risultare di particolare interesse lavalutazione comportamentale dei soggetti al pascolo.

7.4 L’area di bassa collina e pianura

Nell’area di collina e pianura l’allevamento dei bovini di razza marchigiana avviene esclusivamentesecondo il sistema stallino. In queste aree l’allevamento è principalmente finalizzato all’ingrasso divitelli che, a seconda delle caratteristiche strutturali ed organizzative delle aziende, possono esserprodotti in azienda oppure acquistati esternamente dagli allevamenti con linea vacca-vitello.Accanto a questo indirizzo produttivo, dove il livello di specializzazione lo consente, l’allevamentodi bovini persegue anche la produzione di animali di alto valore genetico in grado di costituire unelevato valore aggiunto per l’azienda.

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In queste aree, caratterizzate dalle più elevate potenzialità produttive dei seminativi, anche molto spes-so destinati alla produzione di colture ad alto reddito come le orticole, l’ adozione esclusiva del siste-ma stallino da parte di aziende zootecniche per produzione da carne consente di destinare alle esigen-ze alimentari degli animali superfici relativamente ridotte. In ogni caso, la redditività di un allevamen-to zootecnico siffatto può essere garantita soprattutto se si arriva alla vendita diretta della carne.In alcune realtà aziendali, che si stanno organizzando per l’ingrasso di vitelli prodotti in azienda, siregistra una propensione a costituire paddock o recinti (costituiti in genere da seminativi utilizzatia pascolo) più o meno estesi e localizzati nelle aree più prossime ai centri aziendali, che sono fina-lizzati ad ospitare le vacche in asciutta, le vacche in produzione con i rispettivi vitelli e le manze ridu-cendo i costi e l’impegno per la loro gestione.

In analogia a quanto osservato per tutte le aree di allevamento, anche in questo caso la gestione installa prevede un’alimentazione differente a seconda delle categorie produttive degli animali.Rispetto all’area collinare si registra una maggiore utilizzazione di unifeed, grazie alla maggioredisponibilità di insilato, principalmente di mais e di loiessa, e di farine preparate con granella pro-dotta in azienda.

Area di bassa collina e pianura: SISTEMA STALLINO• gestione in stalla durante tutto l’anno

Razionamento in base alla categoria produttiva degli animali:- vacche in produzione: fieno, farine aziendali, unifeed- tori: fieno, mangimi acquistati e/o farine aziendali - manze: fieno, farine aziendali- vitelli: farine aziendali e/o mangimi acquistati- vitelloni: farine aziendali e/o mangimi acquistati, fieno e paglia (non sempre), unifeed- vacche in asciutta: fieno e paglia (non sempre)

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Nelle aree di bassa collina e pianura, la produzione di fieno è prevalentemente ottenuta da prati arti-ficiali di erba medica, per i quali si effettuano in genere 3-4 tagli che nel complesso consentono diprodurre quantità di fieno variabili tra 9 e 10 t ha-1. Nei casi estremamente favorevoli e in quelle doveè consentita anche l’irrigazione si registrano fino a 6-7 tagli per una produzione di fieno fino a 15 t ha-1. Inalcuni casi si registra la produzione di fieno secco, o di fieno-silo, di loiessa (6-7 t ha-1 di sostanzasecca). Tra le colture maggiormente utilizzate per la produzione di granella, accanto all’orzo (6 t ha-1),in questo caso si aggiungono colture in grado di fornire elevati livelli produttivi quali il mais in col-tura irrigua (10-13 t ha-1). In quest’ultimo periodo, si registra un certo interesse nella coltivazioneinterna alle aziende zootecniche di soia, per le localizzazioni di pianura, e di una più affermata real-tà produttiva di pisello proteico principalmente in collina, necessarie all’integrazione proteica dellerazioni alimentari. Molto diffusa nel caso di queste aziende è la produzione di insilato di mais e diloiessa conservato in trincea.

Area di bassa collina e pianura: colture attuate per la produzione di scorte foraggere• Fieno

- prati artificiali:- erba medica (Medicago sativa): in prevalenza- loiessa (Lolium multiflorum): in alcuni casi

• Granella- orzo (Hordeum vulgare)- mais (Zea mays)- soia (Glycine max): in alcuni casi in pianura- pisello proteico (Pisum sativum): principalmente in collina

• Insilato- mais- loiessa: in alcuni casi silo-fieno

Nelle aree di bassa collina e pianura, il ricorso all’acquisto di integrazioni alimentari extra-aziendali sonolimitate o assenti per la maggiore disponibilità di seminativi con potenzialità produttive elevate, anchegrazie ad un maggiore livello di intensificazione colturale, di cui normalmente le aziende con allevamen-to dispongono. Nel caso di approvvigionamento esterno vengono acquistate prevalentemente granelleproteiche (principalmente soia e anche favino e pisello). Nel caso di andamenti particolarmente sfavo-revoli alla fienagione si registra anche l’acquisto di scorte di fieno. Fino al recente passato, si registra-va un interessante approvvigionamento esterno di polpe secche e umide di barbabietola da zucchero(in quest’ultimo caso per l’integrazione degli insilati), che contribuivano in modo significativo all’inte-grazione alimentare dei bovini nei sistemi intensivi di allevamento.

7.4.1 Le problematiche e le priorità di intervento

Un aspetto gestionale ed organizzativo fondamentale per la gestione degli allevamenti nelle aree dibassa collina e di pianura è rappresentato dal raggiungimento dell’autosufficienza aziendale dal

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punto di vista alimentare. Per fare ciò, è essenziale massimizzare la produzione del foraggio e dellagranella necessaria per l’integrazione della razione alimentare. Per quanto riguarda la produzione foraggera, oltre a compiere le scelte più razionali per le specie,le varietà e i miscugli da utilizzare, sarà indispensabile prevedere l’adozione di sistemi di conserva-zione del foraggio, volti ad ottenere una riduzione delle perdite e una migliore qualità del foraggio.In particolare, l’attenzione dovrà essere concentrata sul primo taglio, in quanto è certamente quello piùabbondante, ma anche quello più soggetto a percentuali di perdite molto elevate. Per questo taglio biso-gnerà prevedere metodiche sia di condizionamento, per accelerare l’essiccazione dell’erba, che di con-servazione del foraggio semi-appassito, anche per anticipare l’esecuzione di questo e rendere più certii tagli successivi. Considerazioni analoghe valgono anche nel caso dell’ultimo taglio in quanto le condi-zioni di appassimento (minore durata del giorno e dell’irraggiamento solare e maggiore livello di umi-dità atmosferica), rendono maggiormente difficoltosa l’operazione di fienagione.Nel caso della produzione di granelle, sarebbe interessante verificare la possibilità di introduzionedi nuove varietà di soia con basso contenuto di fattori antinutrizionali, come integrazione proteicaper l’utilizzo diretto senza tostatura.

7.4.2 Sperimentazioni sulle foraggere utilizzate negli allevamenti intensivi

Le sperimentazioni sulle più comuni piante foraggere utilizzate per l’alimentazione dei bovini alleva-ti secondo sistemi intensivi sono numerosissime sia a livello nazionale che internazionale. Tra lepiante che maggiormente sono utilizzate a tale scopo, l’erba medica e il mais ricoprono il ruolomaggiore. Per queste e per molte altre colture utilizzate a tale scopo (soia, erbai mono e polifiti)sono state definite nel dettaglio le caratteristiche produttive e di adattamento per disparati ambien-ti e condizioni e verificati gli effetti di diverse tecniche colturali finalizzate all’ottimizzazione della lorocoltivazione. Per tali ragioni non si ritenute opportuno riportare i risultati delle sperimentazioni che,seppur numerose e condotte secondo tecniche diversificate, sono state effettuate e sono tutt’ora inatto nel contesto della Regione Marche e nell’azienda didattico-sperimentale “P. Rosati”dell’Università Politecnica delle Marche. Per la loro consultazione si fa quindi riferimento all’ampiabibliografia prodotta in merito dal Prof. Santilocchi nel corso della sua pluriennale attività.

7.5 Considerazioni conclusive

Le molteplici problematiche che attualmente interessano l’allevamento bovino in generale, e quindi anchequello di razza marchigiana, sono riconducibili prevalentemente all’aumento dei costi di gestione, in par-ticolare di quelli alimentari, alle maggiori difficoltà nel reperimento di manodopera, al progressivo invec-chiamento dei conduttori, ai sempre più gravosi vincoli normativi e alle sfavorevoli condizioni di mercato.Di fronte a questa situazione contingente si osserva una diversa evoluzione dei sistemi di alleva-mento rispetto alla tipologia tradizionale presente nel loro territorio di diffusione. Se da un lato siassiste all’abbandono degli allevamenti di minori dimensioni, soprattutto a causa della chiusura

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delle attività da parte di conduttori di età media avanzata, e di quelle attività di allevamento più omeno marginali nell’ambito dell’azienda agricola, dall’altro si registra una loro specializzazione.Quest’ultimo andamento appare riscontrabile in tutte le aree di diffusione con modalità differenti.Nelle aree montane e nella collina interna molti degli allevamenti stallini di tipo tradizionale si stan-no avviando a forme più estensive, riconducibili al potenziamento del sistema semi-brado, all’inten-zione di adottare tecniche di ingrasso anche basate sul pascolamento e alla valorizzazione econo-mica delle produzioni aziendali. Nella collina litoranea e nelle aree di pianura la specializzazionetende alla massimizzazione dei redditi derivanti dall’attività zootecnica che, in alcune realtà, è orga-nizzata o si sta riorganizzando per l’ingrasso di vitelli prodotti in azienda e per l’adozione di formedi allevamento finalizzate alla riduzione dei costi e dell’impegno per la loro gestione. La specializza-zione in entrambe le aree sopradescritte molto spesso prevede la possibilità di valorizzare le pro-prie produzioni tramite l’adozione di sistemi di qualità (rintracciabilità, riconoscimento di marchi,produzioni certificate). A fronte delle problematiche e delle priorità di intervento emerse nei diversi contesti territorialil’azione della ricerca e della sperimentazione nel campo foraggero avrà il ruolo di analizzare e valu-tare aspetti diversificati. Nello specifico dell’area montana, sarà necessario definire la possibilità di attuare forme di gestio-ne delle praterie secondarie alternative all’abbandono, alla possibilità di introduzione di nuove col-ture a breve ciclo nei seminativi capaci di produrre maggiori quantitativi di qualità adeguata e allaindividuazione di nuove tecniche e metodi utili per la salvaguardia ambientale, la riduzione deicosti di gestione degli allevamenti e per la migliore valorizzazione economica delle produzioni.Nella collina interna, sono richiesti specifici approfondimenti volti alla razionalizzazione degli alle-vamenti di bestiame allo stato libero (sistema brado e semi-brado) a supporto dell’attuale tenden-za all’adozione di forme più estensive di allevamento. Nel caso della collina litoranea e della pianura, oltre a compiere le scelte più razionali per le specie,le varietà e i miscugli da utilizzare per la costituzione di prati ed erbai, sarà indispensabile prevede-re l’adozione di sistemi di conservazione del foraggio, volti ad ottenere una riduzione delle perditee una migliore qualità del foraggio. Nel caso della produzione di granelle, si evidenzia la interessan-te verifica della introduzione di nuove varietà di soia con basso contenuto di alcaloidi tossici comeintegrazione proteica per l’utilizzo diretto senza tostatura.

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8 - LA RAZZA MARCHIGIANA: LA PRODUZIONE DELLA CARNEA cura di:Università degli Studi di Teramo - Dipartimento di Scienze degli AlimentiRegione Abruzzo - Direzione Agricoltura, Foreste e Sviluppo Rurale, Alimentazione, Caccia e Pesca

Dal punto di vista della produzione della carne, la razza bovina Marchigiana può vantare eccellenticaratteristiche in termini quali-quantitativi.La valutazione quantitativa relativa alla produzione della carne bovina si basa su:• peso alla nascita;• peso allo svezzamento;• ICA – Indice di conversione alimentare (rapporto tra alimento fornito e incremento ponderale);• peso alla macellazione;• resa al macello (rapporto tra peso carcassa e peso stallato);• resa allo spolpo (rapporto tra peso carcassa e peso carne disossata).

Attualmente, il bovino adulto di razza Marchigiana può raggiungere il peso di 12-15 quintali, la fem-mina i 7-9 quintali.La resa al macello si attesta attorno al 63% fino ad arrivare al 67%. L’accrescimento medio giorna-liero può toccare i 2 Kg.

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Il peso ideale per la macellazione viene raggiunto intorno ai 15-16 mesi, con rese fino al 67%grazie alla finezza della struttura scheletrica e della pelle a vantaggio di una migliore resa allamacellazione. II vitellone raggiunge la giusta percentuale di grasso di marezzatura intorno ai 18-24 mesi, età,quindi, in cui con la macellazione si estrinsecano al meglio le caratteristiche della carne. Nell’ultimodecennio la razza marchigiana ha registrato un incremento di AMG pari a 100g/giorno sia in perfor-mance che in pre-performance. la muscolosità è passata da 355 a 387 punti con un incrementomedio maggiore di 3 punti l’anno. Il peso a 365 giorni ha subito un aumento di circa 40 kg, supe-rando i 550 kg.Negli ultimi anni la maggiore attenzione del consumatore verso un’alimentazione più sicura e sanaha generato un incremento del consumo di carni di qualità ed una conseguente rivalutazione dellerazze rustiche che, prestandosi maggiormente ad un’alimentazione al pascolo, presentano unacarne di notevole interesse qualitativo. La razza Marchigiana fa parte di quelle razza autoctone dielevato pregio che, in virtù della propria versatilità, consente un sistema di allevamento più esten-sivo e produzioni dalle interessanti caratteristiche organolettiche, apprezzate sia in Italia cheall’estero

8.1 Qualità della carcassa e relativa classificazione

Per quanto riguarda la qualità delle carcasse bovine, esistono dei regolamenti che stabiliscono qualiparametri oggettivi di qualità debbano essere presi in considerazione. Il giudizio delle carcasse bovine è attuato in ottemperanza ad alcuni Reg. CE (Reg. 1808/81, Reg.1186/90 e 1026/91e successive modificazioni ed integrazioni). Le carcasse bovine sono classificate, preliminarmente per categoria, in cinque classi (A,B,C,D,E) infunzione del sesso (maschio, femmina o castrato) e dell’età dell’animale e, successivamente, vieneloro attribuito un punteggio di conformità espresso in lettere (S-E-U-R-O-P), con muscolositàdecrescente passando dalla S a P e, soprattutto, di adiposità (1-2-3-4-5), con copertura di grassocrescente passando da 1 a 5. Questi rappresentano i parametri merceologici importanti perchèregolano e standardizzano i rapporti commerciali tra allevatori e commercianti, facendo riferimen-to a parametri oggettivi di qualità. Le informazioni contenute nel giudizio SEUROP della carcassa, anche se non sempre riportate sulprodotto finito, forniscono importanti indicazioni ai fini della qualità della carne fresca. Ad esem-pio, per quanto riguarda la qualità di carcasse ottenute da animali delle razze da carne appartenen-ti all’IGP “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”, queste rientrano nella tipologia R-3 (animali dimedia conformazione e giusta copertura adiposa), cioè che forniscono tagli in quantità e qualità taleda soddisfare sia il macellaio nella fase di preparazione che il consumatore, in quanto con bassivalori di grasso intramuscolare.

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8.1.1 I principali tagli di carne bovina

1) Lombata nella parte posteriore del taglio, ha come base ossea le sei vertebre lombari e al suointerno è posizionato il filetto. Può essere commercializzata con o senza osso. 2) Costata costituisce la parte anteriore della lombata ed ha come le vertebre toraciche.3) Filetto posto per la maggior parte della sua lunghezza sotto le vertebre lombari. Può essere stac-cato intero o lasciato unito alla lombata (bistecca con il filetto). In questo secondo caso, la parte difiletto che fuoriesce dalla lombata e che prosegue verso la coscia viene venduta separatamente. 4) Fesa si ricava dalla parte interna della coscia. Ha fibre muscolari lunghe e sottili, quindi, risultaparticolarmente tenera. Ha inoltre, poco grasso di infiltrazione. Altre denominazioni: scannello, natica, rosa. 5) Noce, ricavata dalla parte anteriore della coscia (lato esterno) attaccata al femore. Può venirecommercializzata con accorpato il fianchetto, taglio piatto a forma triangolare che presenta un tes-suto muscolare a grana grossa, quindi meno tenero della noce vera e propria. Altre denominazioni: rosetta, tracoscio, sottocoscio, bocci a grande, bordone 6) Scamone, rappresenta il pezzo di congiunzione tra la lombata a le coscia. E’ privo di grasso diinfiltrazione. 7) Sottofesa, è la parte laterale posteriore della coscia e ha forma rettangolare. Altre denominazioni: lucertolo, controgirello, culata, dietro coscia, fetta di mezzo 8) Girello, si ricava dal margine posteriore della coscia. E’ costituito da un unico muscolo, è tondo,compatto, molto magro, ma di fibra grossa e quindi piuttosto duro rispetto ad altri tagli. 9) Campanello, è un taglio della gamba posteriore corrispondente al polpaccio umano. E’ ricco dilamine connettivali. Altre denominazioni: collo del campanello, muscolo posteriore, pesce, piccione 10) Muscolo Posteriore, ricavato dalla gamba posteriore, caratterizzato da muscoli piccoli e ricchidi parti connettivali11) Muscolo Anteriore, ricavato dalla gamba anteriore, con dei muscoli piccoli e ricchi di tessuticonnettivali. Altre denominazioni: gamba anteriore, geretto anteriore, gamboncello.12) Copertina di sotto, occupa la superficie interna della scapola.

Figura 1: taglio del quarto posteriore Figura 2: taglio del quarto anteriore

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13) Fesone di spalla, a forma triangolare. La parte principale è di buon valore commerciale spe-cialmente negli animali più giovani. Altre denominazioni: polpa di spalla, cotennotto. 14) Copertina, appoggia sulla scapola fra il fesone di spalla e il girello di spalla.Altre denominazioni: sorra, cappello del prete, polpa di spalla. 15) Girello di spalla, pezzo a forma di tronco di cono, richiama, l’omonimo della coscia. Altredenominazioni: Rotondino di spalla, fusello, rollino, polpa di spalla. 16) Polpa di spalla, taglio che necessita di cotture lente e in presenza di liquidi.Altre denominazioni: pulcio, nocetta di spalla, muscolo di spalla. 17) Collo, taglio costituito da muscoli piccoli e da abbondanti lamine connettivali, quindi poco tenero.Altre denominazioni: giogo, giudo. 18) Costate, taglio di carne che si trova tra il collo e la costata ( lombata). Altre denominazioni: braciole, polso, costola. 19) Pancia, taglio comprende la regione dell’addome vero e proprio e, in parte la regione del costato.Altre denominazioni: falda, spezzato, spuntatura di lombo. 20) Sottospalla, a forma rettagolare di discreto lavoro commerciale.Altre denominazioni: fracosta, polso. 21) Petto e Reale, sospeso accorpato a petto, pancia e sottospalla. Altre denominazioni: bianco costato, taglio reale, restringitore.

8.2 Qualità della carne

Per qualità della carne si intende “tutto ciò che serve a determinare la natura di una cosa, inaltri termini cioè l’insieme delle sue caratteristiche intrinseche e estrinseche”. La qualità puòessere intesa anche come la misura in cui un prodotto soddisfa le esigenze del consumatore.La qualità di un prodotto, è determinata dalle sue diverse caratteristiche, che nel caso di unprodotto alimentare, sono classificate in quattro categorie:• igienico-sanitarie, • organolettiche, • tecnologiche • nutrizionali.

8.2.1 Qualità igienico-sanitaria

La qualità igienico-sanitaria indica l’attitudine di un prodotto alimentare ad essere consumato garan-tendo la tutela della salute del consumatore. Il rischio igienico-sanitario può essere rappresentato dacontaminazioni chimiche (residui fitosanitari, residui di farmaci veterinari, additivi nocivi, metalli tos-sici) e/o biologiche correlate alla presenza o assenza di microrganismi, alteranti o patogeni e da fat-tori esterni ambientali che favoriscono la contaminazione e l’alterazione microbica degli alimenti.

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8.2.2 Qualità organolettica

Le caratteristiche organolettiche della carne vengono definite dall’insieme delle componenti senso-riali (visive, gustative ed olfattive) di un prodotto attraverso la valutazione del colore, odore, sapo-re, tenerezza e succosità.Il colore condiziona l’aspetto esteriore delle carni fresche, in quanto viene associato alla freschez-za e alla tenerezza della carne. E’ determinato principalmente dalla presenza e dallo stato chimicodi due cromoproteine: la mioglobina e l’emoglobina (quest’ultima presente in minima parte nell’ani-male abbattuto). La mioglobina si può combinare con l’ossigeno trasportato nei tessuti per forma-re l’ossimioglobina, rendendo la carne di un colore rosso brillante. La mioglobina può anche ossi-darsi per formare la metamioglogina, componente che determina un colore scuro e poco brillantedella carne. La trasformazione della mioglobina in uno dei due composti dipende dalla pressioneparziale dell’ossigeno; inoltre la metamioglobina è più stabile dell’ossimioglobina. Un altro parame-tro che influenza l’alterazione del colore è il pH finale.L’odore e il sapore sono strettamente correlati e, insieme, vanno a costituire l’aroma del prodottoalimentare. Entrambi i parametri vengono influenzati dall’alimentazione dell’animale, dall’ambientee dalla quantità di tessuto adiposo presente nella carne. La tenerezza, intesa come consistenza allamasticazione, dipende dalla facilità con cui i denti penetrano lo spessore del pezzo di carne. Questasensazione è correlata alla capacità della carne di trattenere acqua, al contenuto di collagene, alledimensioni delle fibre muscolari, al grado di infiltrazione e alla distribuzione del grasso intramu-scolare (grado di marezzatura). Comunemente le carni dei giovani animali sono ritenute più tene-re di quelle degli animali più vecchi in ragione del minor contenuto e del minor grado di insolubi-lità del collagene.La succosità della carne è la sensazione di liberazione dei succhi sotto l’effetto della masticazione,ed è importante per definire il gradimento di una carne. E’ una caratteristica che dipende dalla capa-cità di ritenzione idrica della carne dopo la macellazione, dal pH finale e dal grasso d’infiltrazione,che stimola la salivazione e rende la carne più succulenta. Una bassa capacità di ritenzione idricaindica una maggiore quantità di acqua rilasciata durante la masticazione, quindi una maggiore suc-cosità e di conseguenza una maggiore tenerezza.

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8.2.3 Qualità tecnologica

La qualità tecnologica rappresenta l’idoneità di un prodotto alla trasformazione e alla conservazione ed èinfluenzata da parametri quali il pH e il potenziale di ritenzione idrica. Il pH ottimale per la conservazionee la trasformazione muscolo in carne di pregevole qualità, è compreso tra i valori di 5.4-5.8. La capacitàdi ritenzione idrica (water holding capacity) è correlata con il pH (diminuisce al suo diminuire), con le resedi lavorazione, con gli attributi sensoriali e con la stabilità microbiologica del prodotto.

8.2.4 Qualità chimico-nutrizionale

La qualità nutrizionale è rappresentata dalla costituzione chimica dell’alimento, quindi dalla presen-za e dal contenuto di proteine, grassi, minerali, vitamine e dalla loro biodisponibilità.Le proteine della carne possiedono un notevole valore biologico e una elevata digeribilità. La carneè una importante fonte di minerali quali ferro, zinco, potassio, magnesio, calcio, sodio e cloro, pre-senti nel prodotto in forma organica, cioè altamente disponibili e tollerabili da parte dell’organismo.In particolare le forme più rappresentative sono: la vitamina B1 (tiamina), la vitamina B2 (riboflavi-na), la vitamina B6 (piridossina), la vitamina B12 (cobalamina), la vitamina PP (niacina), la vitami-na H (biotina), l’ acido pantotenico e l’acido folico.

I lipidi sono sostanze naturali importanti nella dieta ed esplicano la duplice funzione: di materialestrutturale, entrando nella composizione della parete cellulare (colesterolo, fosfolipidi, glicolipidi),e di materiale di riserva energetica. Il valore nutritivo dell’alimento è accresciuto dalle diverse vita-mine presenti, riserva energetica. I derivati lipidici (colesterolo e fosfolipidi) regolano le funzioniassociate alle membrane, come l’attività degli enzimi, dei recettori e dei canali ionici.I lipidi nella carne assumono importanza sia sotto il profilo nutritivo, influenzando lo stato di salu-te dell’uomo, sia sotto il profilo consumistico, in quanto il consumatore desidera prodotti semprepiù magri. I grassi sono la componente più facilmente deteriorabile nei prodotti soprattutto duran-te la lavorazione e la conservazione, perché andando incontro a processi ossidativi, danno originesia a prodotti che alterano alcune caratteristiche organolettiche (rancidità), sia a molecole chedeterminano il sapore e l’aroma caratteristici di alcuni prodotti.

Il colesterolo è un costituente essenziale delle cellule animali e di tutti gli alimenti di origine animale chelo contengono; è una molecola lipidica sterolica presente in tutti i tessuti e in maggior quantità nel cervel-lo, nella bile e nel sangue. Ha caratteristiche idrofobiche ed è presente sia in forma libera sia esterificatocon acidi grassi a catena lunga e svolge diverse funzioni all’interno del nostro organismo, infatti:• interviene nella formazione e nella riparazione delle membrane cellulari;• è il precursore della vitamina D, degli ormoni steroidei e degli ormoni sessuali;• è contenuto nell’emoglobina;• è il precursore dei sali biliari.

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Un aspetto importante del colesterolo è la sua presenza all’interno di lipoproteine che lo trasporta-no attraverso il plasma sanguigno da un tessuto all’altro. Le lipoproteine a bassa densità (LDL) vei-colano tra il 60% e l’80% del colesterolo serico, liberandolo sulla parete dei vasi; le lipoproteine adalta densità (HDL) rimuovono il colesterolo dalle arterie riportandolo al fegato, e si differenziano traloro per la diversa composizione in lipidi, proteine e colesterolo.

Gli acidi grassi sono acidi carbossilici con una catena idrocarburica composta da 14 a 20 atomi dicarbonio, e che differiscono per il grado di insaturazione, per il numero di atomi di carbonio e perla diversa configurazione.Gli acidi grassi si possono distinguere in:acidi grassi saturi (SFA), (ad es. acido miristico, acido palmitico, acido stearico);acidi grassi insaturi, che possono essere mono e poliinsaturi: i primi (MUFA) sono quelli che pre-sentano un doppio legame nella catena idrocarburica (ad es. acido oleico); i secondi (PUFA) pre-sentano più doppi legami lungo la catena carbonilica e i più importanti, perché essenziali, sono l’aci-do linoleico e l’acido linolenico.

Tra le molte attività degli acidi grassi essenziali, quella più importante è il ruolo nella prevenzione del-l’arterosclerosi e della trombosi arteriosa: questo aspetto viene raggiunto tramite l’abbassamento dellivello di colesterolo nel sangue, riducendo così la formazione di depositi sulle pareti arteriose.

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9 - VALUTAZIONE DELLE CARATTERISTICHE CHIMICO-NUTRIZIONALI IN CAMPIONI DI CARNE BOVINA DI RAZZA MARCHIGIANA A MARCHIO IGPA cura di:Università degli Studi di Teramo - Dipartimento di Scienze degli Alimenti

Da quanto esposto nei paragrafi precedenti relativamente alla qualità del prodotto carne, e conside-rando la normativa specifica in termini di protezione degli animali e di rapporti fra allevamento eterritorio, si possono trarre alcune considerazioni; la prima è che attualmente è necessario condur-re gli allevamenti di animali da reddito in modo più consono alle loro esigenze per tutelarne la salu-te ed il benessere; la seconda è che, attualmente, è sempre più sentita l’esigenza di “qualità” dellederrate alimentari quindi ci si rivolge a sempre nuovi parametri per poterla valutare e certificare.La finalità del lavoro di ricerca svolto dall’Università di Teramo, Facoltà di Agraria, Dipartimento diScienze e Tecnologie Alimentari, è stata quella di valutare le caratteristiche chimico-nutrizionalidella carne di campioni di carne di razza Marchigiana, fregiati con il marchio IGP. In particolare il lavoro di valutazione della carne Marchigiana, realizzato durante il periodo 2007-2008,in una prima fase ha analizzato 120 campioni di carne bovina di razza Marchigiana (a marchio IGP)provenienti da allevamenti della Regione Abruzzo su cui sono stati valutati i seguenti parametri: • pH;• umidità;

I parametri tecnologici e chimici dei campioni di carne analizzati (contenuto idrico, proteico, lipidi-co, ceneri e colesterolo) e riportati in tabella 2 e 3, rientrano tutti nei limiti contemplati nelDisciplinare di Produzione. 94

• proteine;• ceneri;• lipidi totali;• acidi grassi dei lipidi totali;• colesterolo.

In una seconda fase sono stati, invece, utilizzati in totale 60 campioni di carne bovina di cui 40 pro-venienti da allevamenti di razza Marchigiana (20 dalla regione Abruzzo e 20 dalla regione Marche)e 20 commerciali di animali provenienti dalla Francia e le valutazioni analitiche hanno riguardato:• lipidi totali;• acidi grassi dei lipidi totali;• CoQ10;• carnosina e anserina.

Gli animali sono stati macellati all’età di 18-22 mesi e con un peso vivo di 680-730 Kg. Il campionamento è avvenuto dopo circa 24 ore dalle macellazione e i campioni sono stati stoccati ad unatemperatura di –20 °C fino al momento delle analisi ( il pH è stato misurato dopo 24 ore dalla macellazio-ne). I campioni sono stati prelevati da porzioni di muscolo longissimus dorsi tra la 7ª e la 12ª costa.

9.1 Analisi dei risultati ottenuti

I dati analitici ottenuti rientrano tutti nei limiti indicati nel Disciplinare di Produzione del Consorziodel Vitellone Bianco dell’ Appennino Centrale (tab. 1).

Parametri Prescrizione Disciplinare di Produzione

Colesterolo < 50 mg/100grProteine > 20 %Acidi Grassi Insaturi /Saturi > 1%Ceneri < 2%Lipidi Totali < 3%Calo di sgocciolamento % (Drip loss) < 3%Calo di cottura % (Cooking loss) < 35%pH 5,2-5,8

Tabella 1:Parametri qualitativi e tecnologici medi della carne di Vitellone Bianco dell’ Appennino Centraleriportati nel Disciplinare di Produzione.

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Parametro Valore medio Prescrizione Disciplinare di Produzione

Acqua % 75,4±1,65Proteine % 21,51±1,34 > 20Lipidi % 1,89 ±1,00 < 3Ceneri % 1,03 ±0,12 < 2Colesterolo 44,9±3,6 < 50

Tabella 2: Composizione chimica della carne bovina a marchio IGP prodotta in Abruzzo

Parametro Valore % Prescrizione Disciplinare di Produzione

Calo di sgocciolamento (Drip loss) 2,92 ±1,29 < 3%Calo di cottura (Cooking loss) 34,8 ±3,00 < 35%pH 5,55 ±0,09 5,2-5,8

Tabella 3: Percentuale dei parametri tecnologici della carne bovina a marchio IGP prodotta in Abruzzo

Tabella 4: Percentuale di acidi grassi saturi, monoinsaturi e polinsaturi dei lipidi intramuscolari nella carnebovina a marchio IGP prodotta in Abruzzo

Nella tabella 4 vengono riportati i valori della media e della deviazione standard degli acidi grassipresenti nei campioni esaminati.

Acidi saturi % Acidi monoinsaturi % Acidi polinsaturi %

Ac. Miristico 2.64±0,73 Ac. Palmitoleico 2,3±0,64 Ac. Linoleico 10,60±4,46C14:0 C16:1 C18:2Ac. Pentatetanoico 0,38±0,10 Ac. Transvaccenico 1,7±0,99 Ac. Linolenico 0,62±0,39C15:0 C18:1 T C18:3Ac. Palmitico 27,0±2,81 Ac. Oleico 30,4±4,08 Ac. Linolenico coniugato 0,21±0,10C16:0 C18:1 W9 cis-9-trans-11 CLAAc. Heptadecanoico 0,9±0,23 Ac. Cis -7 1,4±0,28 Ac. Eicosatrienico 0,56±0,30C17:0 Octadecanoico C20:3

C18:1W7Ac. Stearico 17,0±2,45 Ac. Gondoico 0,14±0,09 Ac. Arachidonico 2,72±1,30C18:0 C20:1 C20:4Ac. Arachico 0,11±0,04 Ac. EPA 0,21±0,17C20:0 C20:5

Ac.Docosapen tenoico 0,45±0,36C22:5

Come si può notare dalla tabella 4, l’acido stearico (C18:0) e l’acido palmitico (C16:0) risultanoessere gli acidi presenti in maggiore quantità nei nostri campioni. Il primo non ha nessun effettodal punto di vista salutistico; il secondo invece provoca l’aumento della concentrazione sia del cole-

9.2 Confronto tra campioni di carne a marchio IGP della regione Abruzzo, Marche e diprovenienza commerciale

Dall’analisi dei dati relativi alla percentuale lipidica intramuscolare, tra i campioni di razzaMarchigiana a marchio IGP (provenienti dall’Abruzzo e dalla regione Marche) e quelli appartenential gruppo commerciale (tabella 6), non si evincono differenze significative tra i due gruppi in esame.

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sterolo totale, sia della concentrazione delle lipoproteine a bassa densità (LDL) nel sangue. Il con-tenuto in acidi grassi insaturi, soprattutto dell’ oleico (C18:1W9), del linoleico (C18:2) e del linole-nico (C18:3) è influenzato da numerosi fattori, tra i quali il più importante è la composizione quali-quantitativa della dieta somministrata agli animali.Per quanto riguarda il contenuto in metalli si nota, come riportato in tabella 5 che i dati riscontra-ti rientrano nei contenuti medi conosciuti per le carni bovine. In particolare il calcio e lo zinco risultano essere i metalli presenti in quantità maggiore, mentre ilrame è presente in bassa percentuale.

pm std

Ferro (mg/Kg) 16,30±3,22Calcio (mg/Kg) 41,99±17,28Zinco (mg/Kg) 41,04±8,45Rame (mg/Kg) 0,42±0,33

Tabella 5: Contenuto in metalli (mg/Kg) in campioni di carne bovina a marchio IGP prodotta in Abruzzo

IGP Abruzzo IGP Marche Commerciali% lipidi 2.26+0.94 2.28+0.0.78 2.47+1.05

Tabella 6: Percentuale lipidi intramuscolari

Come è comunemente noto però, l’aspetto particolarmente importante della componente lipidica èlegato soprattutto al suo profilo qualitativo. Lo studio dei lipidi totali à stato quindi approfonditoattraverso la determinazione della composizione in acidi grassi. Dalla tabella 7, di seguito riportata,è possibile riscontrare l’esistenza di differenze significative, relativamente al parametro in questio-ne (in particolare SFA: acidi grassi saturi - MUFA: acidi grassi monoinsaturi - PUFA: acidi grassipolinsaturi), tra i vitelloni IGP e quelli commerciali.

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Acidi grassi (%) IGP Abruzzo IGP Marche CommercialiC14:0 a2,30±0,38 a2,38±0,59 b2,83±0,833C15:0 0,36±0,092 0,375±0,08 0,35±0,15C16:0 a27,21±1,90 a26,26±2,23 b28,87±3,00C17:0 0,88±0,22 0,88±0,20 0,77±0,32C18:0 17,55±2,37 17,82±2,80 16,74±2,76SFA 48,31±3,39 47,73±3,35 49,59±3,09

C14:1 A0,33±0,088 A0,34±0,13 B0,45±0,15C16:1w7 a2,59±0,42 a2,53±0,51 b2,14±0,80C18:1w9 a34,29±3,22 a34,03±3,11 b31,92±3,49C18:1w7 A1,27±0,32 A1,34±0,36 B1,57±0,25

MUFA 38,50±3,64 36,46±8,70 37,09±3,74C18:2w6 9,08±1,94 10,03±1,45 9,71±1,46

C18:3 A0,71±0,30 A0,44±0,16 B0,32±0,10C20:4 1,47±0,35 1,62±0,34 1,78±0,57PUFA 11,26±1,93 12,01±1,54 11,71±1,75

(a,b: P <0,05; A,B: P<0,01)

Tabella 7: Percentuale di acidi grassi dei lipidi intramuscolari nella carne bovina a marchio IGP prodotta inAbruzzo, nella regione Marche e in campioni prelevati in commercio

Nonostante la maggiore percentuale totale degli acidi grassi saturi (SFA) rilevata nei campionicommerciali non sia risultata statisticamente significativa, è possibile notare come invece non valgalo stesso per due tra gli acidi grassi saturi ritenuti piu’ pericolosi per la salute. A riguardo c’e infatti da ricordare come l’effetto negativo degli SFA per la salute umana, non siauguale per i singoli acidi grassi. Tra i maggiori responsabili dell’aumento del colesterolo cattivo(LDL) risultano ad esempio, l’Acido Miristico (C14:0) o il Palmitico (C16:0). Entrambi questi acidigrassi sono risultati significativamente maggiori nei campioni di carne provenienti dal gruppo com-merciale rispetto a quelli IGP di razza Marchigiana. Dal punto di vista nutrizionale, importante per la potenziale capacità di ridurre il livello di colestero-lo senza abbassare le HDL, la componente monoinsatura (MUFA) è risultata significativamentemaggiore nelle carni IGP, relativamente a singoli acidi grassi quali ad esempio C16:1w7 o C18:1w9,il monoinsaturo percentualmente piu’ abbondante. Alla componente polinsatura (PUFA), particolarmente importante nella prevenzione delle malattiecardiovascolari, appartengono gli acidi grassi essenziali linoleico (C18:2w6) e linolenico (C18:3) diorigine alimentare, e acidi grassi delle membrane cellulari e mitocondriali derivanti dall’azione delledesaturasi e dell’elongasi sui capostipiti della serie (C:20-C:22); i primi costituiscono il grasso diinfiltrazione della carne ed è la componente piu’ facilmente influenzabile, mentre i secondi costitui-scono i fosfolipidi di costituzione, meno influenzati dalla dieta e dal metodo di allevamento. Nellatotalità dei PUFA non si sono rilevate differenze tra i due gruppi ma i valori mostrano, nelle carniIGP, maggiori percentuali di C18:3 (P<0,01) e minori di acido arachidonico (C20:4) (differenzacomunque non statisticamente significativa). Il quadro illustrato conferma la diversa provenienza degli acidi grassi presenti nelle carni: da una

I risultati ottenuti confermano anche in questo caso che i campioni di carne bovina di razzaMarchigiana a marchio IGP, pur provenendo da due regioni diverse, mostrano caratteristiche qua-litative molto simili presentano un prodotto quasi “standardizzato”.

Dipeptidi istidinici: carnosina ed anserinaI dipeptidi istidinici, quali la carnosina e l’anserina, sono sostanze idrosolubili che si trovano in vari tes-suti animali (muscolare e nervoso), nel sangue e nel latte. Tra le loro importanti funzioni si accenna:• neutralizzazione alcuni radicali perossidi, l’ossigeno singoletto e i radicali idrossilici;• stabilizzazione la membrana proteggendola dalla per ossidazione;98

parte gli acidi provenienti dalla dieta, che risentono del metodo di allevamento e del tipo di razionesomministrata, dall’altra gli acidi strutturali, di composizione piu’ costante che risentono meno delsistema produttivo. Quindi, confrontando i campioni a marchio IGP provenienti dall’Abruzzo e quelli provenienti dalla RegioneMarche notiamo che essi non differiscono sia nel profilo degli acidi grassi che negli altri parametri, men-tre risultano significative le differenze IGP Abruzzo e Commerciali e tra IGP Marche e Commerciali.

9.2.3 Sostanze ad importante attività antiossidanti

Coenzima Q10Il coenzima Q10, detto anche ubichinone, di natura lipidica, è un agente di riduzione ossidativa cheagisce nella catena di produzione energetica nelle cellule mitocondriali. Inoltre agisce come unimportante antiossidante liposolubile nella pelle, agisce contro i perossidi che danneggiano il col-lagene e l’elastina, e quindi contro la perdita di elasticità e la formazione di rughe. In via sperimen-tale si è rilevato che il Q10, in caso di cancro, ha aumentato la sopravvivenza. Come la vitamina E,il CoQ10 è liposolubile e delle ricerche condotte mostrano come può proteggere i tessuti privati diossigeno. Esso svolge una azione fondamentale nella produzione di energia, inoltre esplica azioneantiossidante e protettiva nei confronti dei radicali liberi. A conclusione dei dati relativi all’analisi di molecole bioattive a capacità antiossidante presenti nellamatrice carnea e presi in considerazione in questo lavoro, si riportano di seguito i risultanti delCoenzimaQ10, espressi in ppm (tabella 8). Osservando i valori ottenuti, non sono emerse differenze significative per questo parametro. Sia neicampioni a marchio IGP (provenienti dall’Abruzzo e dalle Marche), che in quelli commerciali i quan-titativi di Q10 sono risultati nell’ordine di 15 ppm.

IGP Abruzzo IGP Marche CommercialiQ10 (PPM) 15+2.4 15.11+2.1105 16.63+4.23

Tabella 8: Risultati analisi Coenzima Q10

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• inibizione la perossidazione lipidica;• azione antiglicosilazione delle proteine;• proprietà neuroprotettive;• proprietà anti-infimmatorie;• proprietà antitumorali.Anche per quanto riguarda anserina e carnosina (tabella 9), sono state evidenziate differenze inte-ressanti tra i campioni a marchio IGP e i campioni commerciali; questi ultimi infatti risultano piùpoveri di tali molecole bioattive in maniera significativa.

IGP Abruzzo IGP MarcheANSERINA (mg/kg) A325,62±127,97 B192,92±60,2CARNOSINA (mg/kg) a102,053±382,75 b819,18±99,38

(a,b: P <0,05; A,B: P<0,01)

Tabella 9: Risultati analisi contenuto Anserina e Carnosina

IGP Abruzzo IGP MarcheANSERINA (mg/kg) 351.01+66.10 316.54+144.89CARNOSINA (mg/kg) 1052.37+200.47 1133.98+496.45

(a,b: P <0,05; A,B: P<0,01)

Tabella 10: Risultati analisi contenuto Anserina e Carnosina

Da quanto riportato in tabella 9 si evince infatti come entrambi i dipeptidi istidinici analizzati sianopresenti in quantità sensibilmente maggiori nelle carni di animali allevati secondo le disposizioni deldisciplinare IGP.Confrontando nel dettaglio i dati relativi ad anserina e carnosina notiamo che non c’e differenza trai campioni a marchio IGP dell’Abruzzo e delle Marche (tabella.10).

La Comunità Europea con i Regolamenti per le produzioni geografiche ha cercato di armonizzare eadeguare le politiche agro-alimentari dei diversi Stati Membri per la difesa e per il rilancio dei pro-dotti tipici. In questa ottica si inserisce sullo scenario italiano la carne del Vitellone Biancodell’Appennino Centrale che grazie alle sue peculiari caratteristiche di qualità, connessi ad elemen-ti di radicata tradizione, ha assunto una notevole importanza a livello economico e commerciale. Per ottenere una carne bovina di qualità è necessario che tutti gli operatori della filiera si impegni-no per una buona gestione, basando il loro lavoro su controlli tesi a garantire non solo che la carneabbia realmente le caratteristiche desiderate, ma soprattutto che il processo di produzione sia avve-nuto secondo le buone pratiche suggerite dal Disciplinare e codificate dai Regolamenti.

100

I dati ottenuti dalla indagine svolta dall’Università di Teramo mostrano che i valori dei parametriqualitativi delle carni bovine a marchio IGP prodotte in Abruzzo e nelle Marche, pur provenienti dadiversi allevamenti, rientrano perfettamente nei limiti posti nel Disciplinare di Produzione IGP del“Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” a dimostrazione che attenersi alle disposizioni di undisciplinare di produzione, porta ad ottenere un prodotto standardizzato e fornisce al consumatore requisiti di qualità garantiti lungo tutta la filiera produttiva.

Bibliografia

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Siti Web di riferimento

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10 - SERVIZI AGLI ALLEVATORI E ASSOCIAZIONISMOA cura di:Euromediterranea - Associazione di Promozione sociale

L’obiettivo di favorire l’integrazione e la cooperazione delle regioni transfrontaliere trova attuazio-ne nel trasferimento di esperienze di gestione di servizi agli agricoltori e nella costruzione di unsistema di servizi comuni alle imprese agrozootecniche.In quest’ottica il progetto Marcbal mira, infatti, al trasferimento del know how nazionale anche inmateria di servizi agli agricoltori, di struttura associazionistica e di sistemi innovativi di etichetta-tura e tracciabilità.

10.1 I servizi agli allevatori

Elementi di connessione tra il livello istituzionale (selettivo) con le imprese sono le AssociazioniRegionali e Provinciali degli agricoltori che possono garantire l’espletamento in primo luogo deicontrolli funzionali sugli animali, oltre che attuare tutte quelle iniziative che possono utilmente con-tribuire ad un più rapido miglioramento del bestiame allevato, ad una più economica gestione azien-dale, al miglioramento del risultato economico dell’impresa zootecnica e ad una più efficiente valo-

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rizzazione del bestiame stesso e dei prodotti da questo derivati. La selezione stessa, l’assistenza for-nita agli allevatori e tutte le attività ad essa connesse – espletate tramite il disciplinare del librogenealogico – costituiscono un servizio di fondamentale importanza reso agli agricoltori.

10.2 La struttura associazionistica ed i servizi resi

Le associazioni degli allevatori a livello nazionale sono strutturate su tre livelli. L’AIA – Associazione Italiana Allevatori - fondata il 20 agosto 1944, a Roma, con l’obiettivo di farrinascere la zootecnia italiana devastata dalla Seconda guerra mondiale. La struttura iniziale si èrapidamente accresciuta e ramificata capillarmente sul territorio nazionale supportando ogni setto-re dell’attività zootecnica italiana e sviluppando tutta una serie di attività di assistenza alle aziende,che hanno contribuito a fare della zootecnia italiana una delle più avanzate in campo mondiale.L’azione dell’AIA – come nucleo direzionale dei servizi a livello nazionale – si incentra su attività tec-niche, gestionali, economiche, scientifiche e divulgative. L’Associazione Regionale Allevatori, un’organizzazione di secondo livello costituita dalle APA.(Associazioni Provinciali Allevatori). Ha lo scopo di:• Coordinare l’attività delle organizzazioni associate;• Rappresentare ed assistere i soci nei confronti della Regione, di organi pubblici, privati, di Enti

ed organizzazioni regionali, con i quali collabora; ai fini di tale rappresentanza ed assistenza ilmandato è insito nel rapporto associativo ed è vincolante;

• Esercitare funzioni tecniche ed economiche nel settore zootecnico per promuovere ed attuaretutte le iniziative di portata regionale, volte all’incremento ed al miglioramento della produzioneanimale ed alla valorizzazione zootecnica.

L’ARA, inoltre, può svolgere specifiche funzioni ed attività con riferimento alle unioni ed associazio-ni dei produttori agricoli ed ai loro comitati.L’Associazione Provinciale Allevatori è un’organizzazione di terzo livello che i seguenti scopi:• promuove e incoraggia studi e ricerche diretti a risolvere particolari problemi tecnici ed econo-

mici, costituendo anche appositi comitati e commissioni, temporanei o permanenti;• adempie ai compiti e alle funzioni che, nell’ambito della provincia e nello specifico settore pro-

duttivo, le vengano demandati dallo Stato (attraverso l’AIA), dalla Regione, dagli enti locali o daaltro organismo pubblico;

• provvede, quindi, all’espletamento del lavoro di miglioramento zootecnico mediante i controllidelle attitudini produttive del bestiame e la tenuta dei libri genealogici, nonché alla determinazio-ne degli indirizzi di politica selettiva;

• promuove la realizzazione di attrezzature per la raccolta dei prodotti zootecnici, per la loro eventuale tra-sformazione e per il collocamento dei derivati, curando le attività relative in nome e per conto dei soci;

• assiste gli associati e provvede, per conto degli stessi, all’acquisto e al collocamento, sia all’in-terno che all’estero, di bestiame, materie prime, prodotti derivati e quanto altro necessario per gliallevamenti;

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• provvede (per delega) a ogni adempimento necessario per l’ottenimento dei contributi previstiper iniziative zootecniche;

• promuove iniziative atte a migliorare l’alimentazione del bestiameLe ARA o APA in genere (a seconda dell’organizzazione a base regionale, ad esempio tra RegioneMarche e Regione Abruzzo si registrano delle variazioni nell’organizzazione delle competenze e degliorgani) mettono a disposizione i seguenti servizi indirizzati alla fruizione diretta da parte degli alle-vatori:• Consegna dei certificati genealogici• Consegna delle marche auricolari • Servizio di diagnosi precoce di gravidanza bovine, visite post partum ed individuazione di pato-

logie dell’ apparato genitale mediante ecografo • Servizio di taglio corna• Servizio di assistenza tecnica per il settore bovino latte e carne: accertamenti diagnostici, virolo-

gici, sierologici, individuazione di aflatossine e genotipizzazione per matrici diverse quali latte,mangime e materiale patologico vario (animale intero, aborti, organi e sangue)

• Compilazione delle domande per la concessione di contributi regionali per l’acquisto di riprodut-tori maschi e femmine delle specie bovina ed ovina da carne iscritti ai Libri Genealogici

• Perizie per la stima e la valutazione economica di animali iscritti al Libro Genealogico• Collaborazione nella commercializzazione di animali in selezione da vita• Gestione dei manuali per i pacchetti igiene

10.3 Mostre e Convegni

Le associazioni – sia ANABIC che APA o ARA - organizzano mostre ufficiali oltre a convegni e semi-nari per esporre gli animali iscritti al Libro Genealogico.Gli allevatori preparano con cura gli animali da presentare, i quali poi verranno valutati da giudici.Si tratta di un importante opportunità di confronto e di verifica dei risultati tecnici, seguiti da con-vegni, conferenze stampa, meeting e aste dei riproduttori. Negli ultimi anni è cresciuta significati-vamente la qualità e l’omogeneità deglianimali presenti nelle mostre nazionalidi Libro Genealogico, arrivando a valo-ri di assoluto rilievo.La promozione si estende anche trami-te la partecipazione ad alcune impor-tanti manifestazioni agro-zootecnicheitaliane ed estere, con un’esposizionedei capi scelti, con la realizzazione distand di rappresentanza e l’invio di per-sonale qualificato.

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10.4 Certificazione ISO 9001:2000

Dal 2003 l’attività dei Centri Genetici, del Libro Genealogici, delle Valutazioni Genetiche e delleValutazioni Morfologiche è stata documentata e riepilogata in procedure ed istruzioni operative alfine di conseguire la certificazione di qualità ai sensi della normativa ISO 9001:2000, che è stataottenuta nell’ottobre 2003.

10.5 La certificazione elettronica della carne

Sistemi innovativi che rappresentano un servizio congiunto, sia per gli allevatori che per i consu-matori, vanno di pari passo tramite l’attività di alcune forme aggregative tra gli allevatori. Un esem-pio è Bovinmarche, un consorzio di allevatori marchigiani che dal 1987 lavora con il preciso inten-to d’identificare la carne di qualità delle Marche, e di insegnare in modo chiaro e preciso ai consu-matori come riconoscerla con certezza. Gli allevamenti associati (oltre 600) sono tutti di piccoledimensioni con una media di stalla di 15 capi; piccole aziende che producono alta qualità con meto-di ancora tradizionali, rispettando il benessere degli animali e l’ambiente in cui vivono.Nell’ottica della garanzia della qualità, Bovinmarche ha sviluppato, per prima in Europa, un sistemadi certificazione elettronica della carne, in grado di affermare, in modo certo e con estrema sicurez-za, provenienza e caratteristiche di ogni singolo taglio di carne regolata da un suo specifico disci-plinare. Per l’allevatore l’adesione ad un programma di questo genere significa creare una filieradiretta produttore – trasformazione - mercato – consumatore che in ogni passaggio è caratterizza-ta dal contrassegno della qualità tout court oltre a garantire commercializzazione del prodotto non-ché la possibilità di implementare le proprie attività.

Bibilografia

- Canestrani P., 2005 “Gli strumenti del miglioramento genetico al servizio dell’allevamento bovino italiano da carne”ANABIC, 4° Congresso mondiale delle Razze Bovine Italiane da Carne”;

- Appunti del Dott. Fabio Lupi - Direttore dell’APA di Ascoli Piceno- Slides del Dott. Fabio Quaglia, Ufficio del Libro Genealogico - ANABIC- Slides del Dott. Paolo Laudisio - Direttore “Bovinmarche”

Siti internet consultati

- www.anabic.it- www.aia.it- www.bovinmarche.it- www.marcbal.eu

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11 - CONCLUSIONI

Rusticità, precocità, armonia delle forme, adattabilità e facilità al parto sono le caratteristiche chepermettono alla razza bovina Marchigiana di essere assoggettata a regime di allevamento brado esemibrado mantenendo ottime performance produttive e riproduttive. L’allevamento dellaMarchigiana è da considerarsi, quindi, come una valida opportunità per la produzione di carne e perl’incrocio, nelle aree territoriali definibili come “marginali.”

L’allevamento della razza Marchigiana può infatti rappresentare un punto di forza per valorizzare taliaree poiché, integrandosi con il territorio, ne preserva, esaltandole, le peculiarità paesaggistichediventando fonte di possibili attività imprenditoriali, per la trasformazione e la commercializzazionedi prodotti di elevata qualità.In quest’ottica, il progetto di cooperazione delle regioni transfrontaliere Marcbal mira alla creazio-ne di un sistema di governo della zootecnia di qualità della razza bovina Marchigiana nei BalcaniOccidentali, fonte alternativa di reddito per le aree rurali, promuovendo i sistemi di allevamentobrado e semibrado che permettano di recuperare e sviluppare, nell’ottica della sostenibilità, le tec-niche agricole e le tradizioni del territorio , valorizzandone le produzioni attraverso il potenziamen-to delle metodologie di sicurezza sanitaria, alimentare e di qualità.

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Ringraziamenti

- ANABIC - Associazione Italiana Allevatori Bovini Italiani da Carnecon particolare riferimento al presidente dott. Fausto Luchetti, direttore d.ssa Roberta Guarcini, dott. Francesco Filippini, dott. Andrea Quaglia, dott. Fiorella Sbarra.

- BOVINMARCHE - Soc.coop. Produttori Carni BovineDirettore dott. Paolo Lausidisio

- APA - Associazione Provinciale Allevatori - nella regione Marchecon particolare riferimento all’APA di MacerataDirettore dott. Dino Mosca

- ARA Abruzzo - Associazione Regionale Allevatori Direttore Francesco Cortesi

- ASSAM - Agenzia Servizi Settore Agroalimentare delle Marche- C.C.B.I. - Consorzio Produttori Carne Bovina Pregiata delle Razze Italiane- Dott. Paolo Canestrari- Professoressa Marina Pasquini - Università Politecnica delle Marche- Dipartimento di Scienze degli Alimenti - Area Zootecnica

Per il materiale fotografico:

- Archivio fotografico - ServizioTurismo Regione Marche- Giorgio Rossini- Roberto Gatto- Università Politecnica delle Marche- Dipartimento di Scienze Ambientali e Produzione vegetale- Euromediterranea- Melissa Cellini- Emidio e Stefano Albanesi- Marco Egidi- Famiglia Leoni