Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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1 12 mesi di zootecnia su Agronotizie Una selezione degli articoli pubblicati nel corso del 2011 a cura di Angelo Gamberini Già da tempo Agronotizie, il setti- manale di notizie edito da Image Line, dedica grande impegno nel fornire ai suoi lettori notizie di attualità, economia e tecnica di interesse per gli operatori del setto- re agricolo. Uno sforzo premiato dal continuo accrescersi della “Community” che ha dato la pro- pria adesione al network Image Line e che rapidamente si sta avvi- cinando a quota 110mila. Un nume- ro importante, che fa di Agronotizie e degli altri strumenti di informa- zione che fanno capo ad Image Li- ne, uno dei più importanti punti di riferimento nell’aggiornamento e nell’informazione in campo agrico- lo. Un risultato di rilievo, conforta- to dalle molte espressioni di apprez- zamento da parte dei lettori che ogni giorno giungono in Redazione. Il panorama informativo offerto da Agronotizie copre a 360 gradi gli argomenti di interesse agricolo e già da qualche anno è stato comple- tato da una sezione dedicata alla zootecnia, con uno sguardo puntua- le e attento ai problemi degli alleva- menti. Per evidenziare l’attenzione rivolta anche al comparto della zootecnia abbiamo raccolto in queste pagine alcuni degli articoli più significativi pubblicati su Agronotizie nel corso del 2011 in tema di allevamenti e prodotti agroalimentari di origine animale. Per favorirne la ricerca e rendere più agevole la lettura, gli articoli sono stati suddivisi per argomento e inseriti per ogni capi- tolo in ordine cronologico. Quando un allarme tira l'altro …. 3 Così il Parmigiano Reggiano ha sconfitto la crisi…………………. 4 Una rete contro le emergenze ali- mentari………………………….. 5 Attenti a quei due (formaggi) …...6 Dalla Ue un giro di vite per gli anti- biotici …………………………....7 Nuovi assetti in vista nel settore mangimistico …………………....8 Mozzarella di bufala, nel Consor- zio entrano gli allevatori …….…..8 Lattiero-caseario, si ferma la corsa dei prezzi…………………….…. 8 Dove vanno i formaggi Dop …...10 Formaggi verso Oriente ……......11 Grana Padano, è boom nella produ- zione e nell'export ………….…..12 Per i coniglicoltori torna lo spettro della crisi ……………………....13 Benessere delle ovaiole e agroener- gie in scena a Forlì ……………..13 De Castro in Fieravicola, le risposte passano dal Parlamento Ue …….14 Fieravicola, prepararsi al “governo dell'instabilità” ………….…….15 Fieravicola, tutto esaurito …..….16 Mercato cunicolo in cerca di regole ………………………………….17 Avicoltura, cresce la produzione ma calano i margini ………………..18 Etichette, il coniglio non vuole es- sere dimenticato……………….. 19 La gallina dalle uova uguali …...20 Tra galline infelici e uova fuori norma …………………………..21 Allevamenti cunicoli senza farmaci ………………………………….22 Conigli, crisi senza fine……….. 23 A Montichiari trionfa la Spagna. 24 Senza soldi allevatori alla deriva 25 150 anni di allevamento: buon com- pleanno Bruna!............................ 26 Sostegni negati ad Aia, situazione insostenibile ...………………….26 Zootecnia e Pac post-2013, le ri- chieste del comparto ……….…..28 Alla guida della Bruna ………....29 Gli allevatori scendono in piazza 31 Una boccata di ossigeno per il siste- ma allevatori …………………...30 Crisi del settore bovino, si passa al gioco di squadra ………………..32 Te lo do io il Piano Carni ………33 Così si misura il benessere animale …………………………………..34 No soldi, no selezione ………….35 Carta d'identità elettronica per i bovini …………………………..36 Boccata d'ossigeno per l'Aia …...36 L'elettronica in aiuto del benessere animale …………………………37 Cremona, appuntamento con la Limousine ……………………...37 INDICE AGROALIMETARE BOVII AVICUICOLI

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Quest'anno Agronotizie http://www.agronotizie.it ha dedicato particolare attenzione ai temi della zootecnia: dalle quote latte ai problemi degli allevamenti, dalle tecnologie all'andamento dei prezzi. Angelo Gamberini, che da oltre tre anni collabora con la redazione della nostra testata, ha raccontato le vicende, le storie ed i protagonisti del  settore, con uno sguardo attento alle problematiche di tutti i comparti: dall'avicunicoltura all'allevamento dei bovini da carne, passando per la suinicoltura.

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12 mesi di zootecnia su Agronotizie

Una selezione degli articoli pubblicati nel corso del 2011 a cura di Angelo Gamberini

Già da tempo Agronotizie, il setti-manale di notizie edito da Image Line, dedica grande impegno nel fornire ai suoi lettori notizie di attualità, economia e tecnica di interesse per gli operatori del setto-re agricolo. Uno sforzo premiato dal continuo accrescersi della “Community” che ha dato la pro-pria adesione al network Image Line e che rapidamente si sta avvi-cinando a quota 110mila. Un nume-ro importante, che fa di Agronotizie e degli altri strumenti di informa-zione che fanno capo ad Image Li-ne, uno dei più importanti punti di riferimento nell’aggiornamento e nell’informazione in campo agrico-lo. Un risultato di rilievo, conforta-to dalle molte espressioni di apprez-zamento da parte dei lettori che ogni giorno giungono in Redazione. Il panorama informativo offerto da Agronotizie copre a 360 gradi gli argomenti di interesse agricolo e già da qualche anno è stato comple-tato da una sezione dedicata alla zootecnia, con uno sguardo puntua-le e attento ai problemi degli alleva-menti. Per evidenziare l’attenzione rivolta anche al comparto della zootecnia abbiamo raccolto in queste pagine alcuni degli articoli più significativi pubblicati su Agronotizie nel corso del 2011 in tema di allevamenti e prodotti agroalimentari di origine animale. Per favorirne la ricerca e rendere più agevole la lettura, gli articoli sono stati suddivisi per argomento e inseriti per ogni capi-tolo in ordine cronologico.

Quando un allarme tira l'altro …. 3 Così il Parmigiano Reggiano ha sconfitto la crisi…………………. 4 Una rete contro le emergenze ali-mentari………………………….. 5 Attenti a quei due (formaggi) …...6 Dalla Ue un giro di vite per gli anti-biotici …………………………....7 Nuovi assetti in vista nel settore mangimistico …………………....8 Mozzarella di bufala, nel Consor-zio entrano gli allevatori …….…..8 Lattiero-caseario, si ferma la corsa dei prezzi…………………….…. 8 Dove vanno i formaggi Dop …...10 Formaggi verso Oriente ……......11 Grana Padano, è boom nella produ-zione e nell'export ………….…..12

Per i coniglicoltori torna lo spettro della crisi ……………………....13 Benessere delle ovaiole e agroener-gie in scena a Forlì ……………..13 De Castro in Fieravicola, le risposte passano dal Parlamento Ue …….14 Fieravicola, prepararsi al “governo dell'instabilità” ………….…….15 Fieravicola, tutto esaurito …..….16 Mercato cunicolo in cerca di regole ………………………………….17 Avicoltura, cresce la produzione ma

calano i margini ………………..18 Etichette, il coniglio non vuole es-sere dimenticato……………….. 19 La gallina dalle uova uguali …...20 Tra galline infelici e uova fuori norma …………………………..21 Allevamenti cunicoli senza farmaci ………………………………….22 Conigli, crisi senza fine……….. 23

A Montichiari trionfa la Spagna. 24 Senza soldi allevatori alla deriva 25 150 anni di allevamento: buon com-pleanno Bruna!............................ 26 Sostegni negati ad Aia, situazione insostenibile ...………………….26 Zootecnia e Pac post-2013, le ri-chieste del comparto ……….…..28 Alla guida della Bruna ………....29 Gli allevatori scendono in piazza 31 Una boccata di ossigeno per il siste-ma allevatori …………………...30 Crisi del settore bovino, si passa al gioco di squadra ………………..32 Te lo do io il Piano Carni ………33 Così si misura il benessere animale …………………………………..34 No soldi, no selezione ………….35 Carta d'identità elettronica per i bovini …………………………..36 Boccata d'ossigeno per l'Aia …...36 L'elettronica in aiuto del benessere animale …………………………37 Cremona, appuntamento con la Limousine ……………………...37

INDICE

AGROALIMETARE

BOVII

AVICUICOLI

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Allevatori del Lazio, soldi in arrivo ………………………………….38 Una mostra e un film per la Pie-montese………………………... 38

Influenza e vacca pazza, quanti inutili danni …………………….40 Bruxelles si divide sulla carne clo-nata ……………………………..41 Clonazione sì, no, forse. E i prezzi soffrono …………………….….42 Carne clonata, il Parlamento Ue pretende l'etichetta …….……….43 “Non vogliamo essere i mezzadri della carne”……………………. 44 Per le carni costi alti e prezzi bassi ………………………………….45 Carni bovine strette fra Pac e buro-crazia …………………………..46 Quel Coli che non c'è ………….47 Per le carni arriva l'origine in eti-chetta …………………………..48 Carni bovine, è tempo di passare ai fatti……………………………. 48 Crescita e innovazione nel futuro delle carni ……………………..50 La ricerca in aiuto dei bovini da carne …………………………..51 La carne bovina rischia (in Italia) l'estinzione …………………….52 Zootecnia, efficienza e crescita dei consumi ……………………….53

Quote latte e multe, ancora una proposta di rinvio ……………..54 Latte, quel prezzo che divide ....55 I soldi degli allevatori ………...56 Quote latte e Milleproroghe, tanto rumore per nulla ……………....57 Prezzo del latte, servono nuove regole ………………………….58 Parmalat insegna che il latte italia-no vale di più ………………….59 Prezzo del latte, la rivoluzione parte dal Piemonte …………………..60 'Pacchetto latte', piovono le critiche

delle associazioni ……………...61 Multe latte, svanisce l'ultima spe-ranza ……………………….…..62 Più che a Parmalat pensiamo agli allevamenti ………………….….62 A Bruxelles la protesta degli alle-vatori……………………….….. 63 Cresce il latte nel mondo …...….64 Il latte italiano non sa fare 'sistema' ………………………………….64 L'esattore bussa alla porta degli allevatori ..……………………..65 Quote latte e multe, incubo (quasi) finito …………………………...66 Quote latte e multe, sono questi i numeri…………………………. 67 C'è un contratto nel futuro del latte europeo ………………………...68 Quote latte e multe, l'infinito tira e molla …………………………..69 Quote latte, tutti colpevoli …….69 Cremona, protagoniste le vacche e la Pac …………………………..70 Il mondo chiede più latte ……....71 Latte in Lombardia, c'è il prezzo.72 Il 'Pacchetto latte' apre alla pro-grammazione …………………..73 Bruxelles, la rivoluzione del 'Pacchetto latte' ………………...74

La crisi della pastorizia arriva in Parlamento …………………….75 I pastori chiedono aiuto alla Ue 76 Benessere animale, ora si pensa anche a pecore e capre ………..76 E' ancora crisi per il latte ovino .77 Pecore e suini, due facce della stes-sa crisi ………………………...77 Sardegna, quando la prevenzione sposa la genetica ………………78 Latte ovino, crisi senza fine…... 79 Per i suini è ancora tempo di crisi ………………………………..80

La Ue apre allo stoccaggio privato per i suini ……………………...80 Al via l'ammasso privato per i suini

…………………………….…...81 Suini, si inasprisce la lotta alla ma-lattia di Aujeszky ………………82 Crisi suina, le risposte della 'Rassegna' ………………………83 Gestire l'instabilità, parola d'ordine per la suinicoltura ……………...84 La crisi suina da un 'tavolo' all'altro ………………………………….85 Suini sotto costo, ma non è una promozione……………………. 86 Prosciutti e carne di qualità, la risposta è nei geni……….….. 87 Suini, dalla cooperazione la risposta alla crisi ………………………..88 Così si fronteggia la crisi suinicola ………………………………….89 C'è un suino intermedio nel futuro della suinicoltura ……………….89 Crisi suinicola, gli allevatori minac-ciano lo sciopero ……………….90 'Il made in Italy sulla pelle dei sui-nicoltori' ………………………..91 Così Anas risponde alla crisi della suinicoltura …………………….92 E' tempo di alleanze fra industrie e suinicoltori ………………….….93 Suini, i numeri della crisi ….…..93 Anche i suini hanno un “classificatore” …………….…..94 Malattia di Aujeszky dei suini, non c'è tempo da perdere ……….…..95 Tre ministri e una crisi, quella dei suini ……………………….…...96 Per i suini è tempo di ripresa…. 97 Mangimi e suini sono ora alleati sul mercato ………………………..98 Ancora un piano anti-crisi per i suini …………………………...99 Latte in mangiatoia, ora si può .100 L'export, un salvagente per la suini-coltura ………………………...101 Peste suina (africana), un insucces-so italiano ……………………..102 I suini e la crisi tra un addio e un arrivederci …………………….103 Stop ai suini dalla Sardegna….. 104

CARE

LATTE

OVII

SUII

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Prima un caso di influenza A H1N1 (quella impropriamente definita “suina”) in Veneto, seguito da un altro in Puglia, poi un decesso in Toscana attribuito alla Bse, forse più nota come “vacca pazza”. Si è aperto così il 2011 rispolverando l’ansia da allarme alimentare che in momenti di penuria di fatti im-portanti, come accade durante le feste di fine anno, trova subito am-pia eco su giornali e Tv. Poi ci si è ricordati che l’ecatombe annunciata per colpa di vacca pazza c’è stata solo nella fantasia di qualcuno e che l’influenza suina come quella aviaria ha preoccupato solo i polli (con le piume e senza…). Così l’al-larme è presto rientrato, per spostar-si immediatamente dopo sulla con-taminazione da diossine (ce ne sono almeno 200 fra loro differenti) nelle uova tedesche. E visto che talune diossine sono davvero peri-colose i media ci si sono buttati a capofitto. Poco importa che per correre davvero qualche rischio bisognerebbe mangiare uova

(contaminate) a colazione, pranzo

e cena per settimane. E nemmeno importa che per le uova siamo auto-sufficienti e dunque che le importa-zioni siano ridotte a casi isolati. Come se non bastasse si è lanciato subito il sospetto che ad essere con-taminate siano non solo le uova, ma anche il latte e la carne, prodotti che invece importiamo in quantità pro-prio dalla Germania. La notizia che i suini di un allevamento tedesco (uno solo, si badi bene) sono stati contaminati dalle diossine ha poi gettato altra benzina sul fuoco.

In Italia più sicurezza

I fatti sono noti, quasi inutile riper-correrli. Un’industria tedesca che lavora sostanze dalle quali residua-no diossine e che al contempo pro-duce grassi per la produzione di mangimi, ha visto la contaminazio-ne di questi ultimi. E invece di cor-rere immediatamente ai ripari e denunciare l’accaduto ha preferito il silenzio. Cosa grave e con le conse-guenze oggi note, fra le quali la chiusura di 4709 allevamenti tede-schi. Non a caso questi “incidenti” avvengono con maggiore frequen-

za dove i servizi veterinari non

sono ben strutturati e capillari come avviene invece in Italia, un campo nel quale il nostro Paese può vantare un’ottima ed efficiente or-ganizzazione.

In Italia è stata una corsa a sdram-matizzare il problema. Il ministro della Salute, Ferruccio Fazio, ha subito spiegato che dalla Germania non importiamo uova, se non in modeste quantità, perfettamente tracciabili. E poi Nas dei Carabinie-ri e tutti gli organismi di controllo sono in allerta per evitare l’arrivo di prodotti contaminati. Rita Pasqua-

relli, direttore dell’Unione naziona-le dell’Avicoltura, ha ricordato che siamo in una fase di sovrapprodu-zione di uova e che dunque non c’è motivo per acquistare merce all’e-stero. Anche dalle altre associazioni di settore, come Assolatte e Assica, rispettivamente per il mondo delle industrie del latte la prima e per quelle della trasformazione delle carni la seconda, sono arrivati mes-saggi tranquillizzanti sulla sicurez-za dei prodotti che giungono sulle

tavole dei consumatori italiani.

Tutti a tranquillizzare, ma intanto più se ne parla e più cresce l’an-

sia dei consumatori che nell’incer-tezza sul da farsi potrebbero reagi-re, come già accaduto in passato, “astenendosi”. Meno uova sul piat-to e meno latte nelle tazze. E già che ci siamo anche meno carne. Un altro duro colpo alle stalle e agli allevamenti italiani, che con diossi-ne, influenze e prioni non hanno nulla a che fare.

Avanti con le etichette

Ma come dice l’adagio, non tutti i mali vengono per nuocere. L’occa-sione è buona per ribadire la neces-sità di riportare sulle etichette il luogo di origine dei prodotti. Col-diretti sulla scia di questo ennesimo caso di allarme alimentare ha riba-dito la necessità di indicare la pro-venienza su tutti i prodotti. Anche la Cia insiste per l’obbligo di trac-ciabilità per tutti i prodotti alimen-tari e sulla stessa lunghezza d’onda Confagricoltura ribadisce che i nu-merosi controlli ai quali sono sotto-posti i prodotti della filiera agricola italiana sono un’ulteriore garanzia di sicurezza. Sull’argomento è sce-so in campo anche il presidente della commissione Agricoltura del Parlamento Europeo, Paolo De

Castro. Evitare allarmismi, que-sto l’invito di De Castro, che al contempo sollecita il Governo ita-

AGROALIMENTARE

Quando un allarme tira l'altro In pochi giorni si è passati dall'in-fluenza suina alla Bse e poi alla diossina. Un crescendo che alimen-ta ansie e preoccupazioni il più delle volte inutili Agronotizie 320 - 13/01/2011

La contaminazione delle uova tedesche

rischia di ripercuotersi sulla zootecnia

italiana, che di questi problemi non ne ha

Fonte immagine: epSos.de

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liano a difendere le norme europee in tema di rintracciabilità. “La boc-ciatura – ha affermato De Castro - da parte dei ministri della Salute UE, della norma sull'etichettatura obbligatoria dei prodotti agricoli, approvata con la consueta intra-prendenza dal Parlamento Europe-o, è stata un'occasione persa.

Intanto anche i consumatori più disattenti hanno appreso da questa

vicenda che su ogni uovo è stampi-gliata una sigla dalla quale si può sapere in quale nazione l’uovo è

stato prodotto e persino quale sia il tipo di allevamento (a terra, in bat-teria, biologico) nel quale sono te-nute le galline. L’importante, ades-so, è che non monti su questo epi-

sodio un allarmismo ingiustifica-

to. A lanciare l’allarme è la Cia, che chiede un’informazione più chiara e responsabile da parte di tutti. Torna utile ricordare che

l’Associazione per la scienza e le produzioni animali (Aspa) si è mes-

sa a disposizione di tutti, media

compresi, per dare supporto

scientifico alla comprensione del fenomeno, per valutarlo in termini reali e per prevenirlo. Prima di gri-dare “al lupo” meglio allora consul-tarsi con chi può fornire informa-zioni certe e documentate anche sotto il profilo scientifico.

La lunga crisi del Parmigiano Reg-giano è ormai un ricordo. Interrotta a fine 2009 la lunga stagione di prezzi in flessione, il 2010 ha con-fermato il trend di crescita con una risalita dei prezzi che ha raggiunto una media 9,14 euro/kg, con un incremento del 19% sull’anno pre-cedente e un +23,5% sul 2008, quando la media risultò pari a 7,40

euro/kg.

E' quanto emerso dall'annuale in-contro con la stampa che il Consor-zio del Parmigiano Reggiano ha organizzato per tratteggiare la situa-zione del settore e anticipare le ten-denze per il futuro.

“Dopo anni di quotazioni al di sotto dei costi di produzione – sottolinea il presidente del Consorzio del Par-migiano-Reggiano, Giuseppe Alai – il 2010 ha finalmente segnato una decisa inversione di tendenza, ed è un evento tutt’altro che casuale: tre anni di flessione produttiva, l’otti-

mo andamento

delle esportazio-

ni e le azioni di ritiro effettuate nel 2008 e nel 2009 da parte dell’Agea, asso-ciate a quelle messe in atto dallo stesso Con-sorzio per le a-zioni promozio-nali sui mercati esteri (131.000 forme nel bien-nio), hanno con-sentito una forte riduzione delle scorte e il conse-guente rilancio

del mercato, confermando il fatto che una gestione ordinata dei flussi produttivi resta la più efficace arma per la tutela dei redditi dei produt-tori”.

I numeri

Il buon andamento del Parmigiano-Reggiano è confermato anche da altri valori: le giacenze, a novem-bre, risultavano in calo del 13,3% sull’anno precedente, e alla flessio-ne dei consumi interni, pari all’-1,2%, corrispondeva un incremen-

to dell’export del 12%, ovvero

cinque punti in più rispetto al 7%

del 2009; la quota indirizzata oltre i confini nazionali sale così al 30%, ed incrementi record si sono regi-strati negli USA (secondo mercato dopo la Germania) con il 30% e in Giappone (+20%), mentre nella UE la crescita è stata dell’8,9%, del tutto analoga a quella del 2009.

Le iniziative

“2el 2010 – sottolinea Alai – si sono aggiunte decisioni e atti im-portanti per lo sviluppo del com-parto e la tutela dei consumatori. Le riforme statutarie adottate ad aprile hanno ampliato il peso dei consorziati nel governo del Consor-zio (già protagonisti della prima assemblea non più limitata ai soli delegati), con una maggiore corre-sponsabilità e più alti livelli di coe-sione sulle decisioni e sulle azioni che riguardano quasi 3.500 alleva-menti; la creazione della società commerciale “I4S”, interamente

Così il Parmigiano Reggiano ha sconfitto la crisi

Qualità e governo della produzione uniti alla spinta sui mercati esteri. Queste le carte per ridare tonicità al mercato Agronotizie 282 - 21/01/2011

Un momento dell'incontro con la stampa organizzato dal Con-

sorzio del Parmigiano Reggiano

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controllata dal Consorzio, ha offer-to uno strumento in più per la ge-

stione dei rapporti con Agea (alla quale ha consegnato quasi 32.000 forme oggetto di ritiro) e con il mondo degli esportatori (con ritiri appositi di prodotto selezionato a 18 mesi col marchio Extra destina-to all’estero), mentre le modifiche

del disciplinare di produzione, che finalmente ha avuto il via libera dalla UE, aggiungono forti impegni dei produttori ad esclusivo benefi-cio della tutela dei consumatori e dell’immagine del prodotto”.

Le novità

“Un insieme di norme giunte a buon fine dopo sette anni – eviden-zia il direttore del Consorzio, Leo Bertozzi – che tra le novità più importanti registra il confeziona-mento del Parmigiano-Reggiano nella zona di produzione ed il raf-

forzamento del legame con il terri-

torio sia per quanto riguarda l’ali-mentazione delle bovine (sale la quota di foraggio aziendale) che la loro provenienza, con una “quarantena” di quattro mesi per

quelle provenienti da altre filiere produttive”. "Una misura cautelati-va importante – continua Bertozzi – per evitare l’introduzione, nella filiera del Parmigiano-Reggiano, di animali che potrebbero essere stati alimentati con prodotti non previsti o espressamente vietati dal discipli-nare, quali, ad esempio, prodotti insilati. Viene inoltre ribadito il divieto di additivi e l’obbligo, nei caseifici, di utilizzare, anche per altre produzioni, esclusivamente latte prodotto secondo il disciplina-re del Parmigiano-Reggiano".

Entrerà in vigore il 30 gennaio il regolamento Ue 16/2011 della Commissione con il quale si detta-no le procedure per l'allarme rapido per gli alimenti e i mangimi. Come in risposta allo scandalo diossina scoppiato in Germania a inizio an-no, questo regolamento detta con

puntigliosa meticolosità le procedu-re da applicare per dare pratica at-tuazione ad un “vecchio” regola-mento del 2002 (il 178/2002) con il quale era già stato istituito il siste-ma di allarme rapido per gli alimen-ti e i mangimi. A partire dalla fine di gennaio ogni paese membro

della Ue sarà parte della “rete” di

allerta e dovrà istituire un proprio “punto di contatto” che dovrà farsi carico di ricevere ed inviare ogni notifica di allarme e di informazio-ne. La prima individua un rischio che richiede o potrebbe richiedere un'azione rapida in un altro paese membro. La seconda, cioè la notifi-ca di informazione, si riferisce inve-ce ad un rischio che non richiede interventi immediati ma più sempli-cemente uno stato di allerta. A que-ste due tipologie si aggiunge la no-tifica di respingimento alla fron-

tiera per una partita di alimenti (e dunque anche di materie prime). Un episodio quest'ultimo non infre-quente e dal quale può derivare il peregrinare di carichi alla ricerca di acquirenti meno scrupolosi, situa-zione quanto mai rischiosa per le filiere produttive che ne possono essere coinvolte anche a loro insa-puta.

Come “funziona”

Con il nuovo regolamento tutti gli

stati membri sono tenuti a garanti-re una efficace e soprattutto rapi-

da comunicazione fra i “punti di contatto” degli stati membri e il “punto di contatto” della Commis-sione, che funge da fulcro di raccol-ta e diffusione delle informazioni su ogni possibile pericolo di natura alimentare. Con puntigliosità il re-golamento prevede anche i tempi

di notifica che per gli “allarmi” dovranno avvenire senza ritardi ingiustificati e in ogni caso entro le 48 ore dalla verifica dell'esistenza di un rischio. Ed entro le 24 ore successive tutta la “rete” dovrà es-sere a sua volta a conoscenza dell'e-sistenza del problema. In questo lasso di tempo il “punto di contatto” della Commissione controllerà la correttezza e la completezza della informazione di allarme prima di trasmetterla a sua volta ai singoli stati membri.

Mangimi italiani, sicuri

Mai più scandali alla diossina o a causa di altre contaminazioni, que-sto l'impegno che la Ue si è presa varando il regolamento. Scandali che non hanno mai riguardato le nostre produzioni di mangimi, sot-tolinea Silvio Ferrari, presidente di Assalzoo, l'associazione che riuni-sce le industrie di questo settore “L’industria mangimistica italiana

Una rete contro le emergenze alimentari Entra in vigore il regolamento co-munitario che prevede l'allarme rapido per alimenti e mangimi Agronotizie 282 - 27/01/2011

Per la produzione di mangimi le

industrie italiane si sono date da

tempo un codice di 'buona fab-

bricazione'

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- afferma Ferrari - fin dagli scandali della Bse e del caso della diossina in Belgio e anche oggi con il caso diossina in Germania, è rimasta sempre estranea da tali emergenze

dimostrando la serietà delle azien-

de nazionali.” Il merito è anche

delle pratiche di buona fabbricazio-ne (il Codex Assalzoo) che i mangi-misti sin dai primi anni '90 si sono dati e che si affiancano alle già se-vere norme legislative che sovrin-tendono la produzione di mangimi nel nostro paese. E' bene ricordare

che la quasi totalità (98,2%) dei 14 milioni di tonnellate di mangimi utilizzati negli allevamenti italiani è realizzata dalle industrie italiane, il che favorisce un ottimale controllo della filiera.

Bella coppia quella del Parmigiano Reggiano e del Grana Padano. Poco più di un anno fa erano stretti nella morsa di una crisi da lasciare senza fiato e ora i loro prezzi fanno regi-strare un aumento dopo l’altro. Cosa è successo? Anzitutto si erano sbagliati quanti vedevano una con-nessione fra crisi economica, prez-zo dei formaggi e calo dei consumi. Ora il prezzo è salito, e molto, ma i consumi non ne stanno risentendo, anzi tengono a dispetto della crisi economica che invece è tutt'altro che conclusa. Vero al contrario che si era in presenza di un eccesso produttivo che per quanto modesto aveva innescato una spirale di prez-zi al ribasso che pareva inarrestabi-

le. Per invertire la tendenza furono ritirate dal mercato 200mila forme (fu uno dei pilastri del piano anticri-si formulato con l'allora ministro Luca Zaia) e si puntò sull'incre-mento delle esportazioni. Formula azzeccata, visto che dalla fine del 2009 ad oggi i prezzi dei due Dop hanno iniziato la loro risalita, che continua ancora oggi. Le ultime quotazioni del Parmi-

giano Reggiano hanno

già raggiunto e supe-

rato quota 11 euro al kg per le stagionature di 12 mesi, come si può constatare dai dati ri-portati da Clal. Un anno fa si era fermi a 8,60 euro per kg e prima ancora, al picco della crisi, un chilo di prodot-to faticava a raggiunge-re i 7 euro. Meno di quanto costasse produr-lo. Analoga la situazio-

ne per il Grana Pada-no. Oggi le quotazioni per le stagionature più lunghe (20 mesi e oltre) si stanno

proiettando ai massimi di 9 euro (8,95 euro il 3 febbraio sulla piazza di Manto-va) e solo un anno fa erano ferme a poco più di 6 euro. Identi-ca anche per il Grana Padano la ricetta per uscire dalla crisi, ritiro del prodotto e promozione del-l'export.

Produzione sotto controllo

La lunga stagione di crisi dei due formaggi grana ha ribadito quanto sia importante allineare la produzio-ne ai consumi, evitando surplus produttivi che per quanto modesti possono innescare veri e propri “terremoti” sui mercati. Un compito che i Consorzi di tutela vorrebbero assolvere, ma che si scontra con le norme antitrust, un conflitto la cui soluzione può venire dal legislatore

europeo e già il “pacchetto” latte e qualità, all'esame in questi mesi, potrebbe essere il contenitore ap-propriato per una soluzione definiti-va. Anche in questo caso il gioco di squadra e le alleanze fra quanti han-no a cuore le sorti del settore saran-no fondamentali. Vedremo. Intanto si può prendere atto che la produzione di Parmigiano Reg-

giano e di Grana Padano, nono-

stante il buon andamento dei

prezzi, è rimasta costante. E' il segno, da accogliere con una certa soddisfazione, della maturità e del senso di responsabilità dimostrato dagli operatori del settore. A fine

Attenti a quei due (formaggi) Parmigiano Reggiano e Grana Padano continuano ad essere i pro-tagonisti del favorevole momento di un mercato che ha sempre più con-notati globali Agronotizie 284 - 10/02/2011

L'equilibrio del mercato del latte dipende anche

dalla possibilità di 'governare' la produzione dei

due più importanti formaggi Dop del nostro Paese

Parmigiano

Reggiano Grana Pa-

dano

Produzione 2009 (milioni di forme)

2,94 4,22

Produzione 2010 (milioni di forme)

3,01 4,34

Prezzi 2009 (euro kg)

7,34** 6,33*

Prezzi 2010 (euro kg)

9,09** 7,23*

* prodotto di 15 mesi e oltre - ** prodotto di 12 mesi e oltre

La situazione dei 'Grana'

Page 7: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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2010 il numero di forme di Grana Padano era di 4,34 milioni, sostan-zialmente stabile rispetto ai 4,22 milioni di forme del 2009. Analoga la situazione del Parmigiano Reg-giano che dai 2,94 milioni di forme del 2009 si è portato a 3,01 milioni a fine 2010. Anche se bisogna regi-strare una certa ripresa produttiva a inizio 2011. Speriamo che i casei-

fici non si facciano “prendere la

mano”, perché le prospettive, sui mercati internazionali non sono tutte all'insegna dell'ottimismo. Attenti al prezzo

Le analisi sull'andamento del mer-cato lattiero-caseario mondiale sono concordi nel prevedere una forte volatilità dei prezzi, anche di quel-li del latte. Difficile allora azzardare previsioni, tanto più che la fisiono-mia del settore sta subendo radi-

cali mutamenti, a iniziare dalla

Cina che nel volgere di pochi anni ha quasi triplicato la sua produzione di latte (38,8 milioni di tonnellate), diventando così il terzo produttore mondiale, dietro a India (105 milio-ni di tonn) e Usa (86,17 milioni di tonn.). L'evoluzione dei prezzi sarà legata al ritmo di crescita della pro-duzione e soprattutto all'evoluzione della domanda di alimenti (e dun-

que anche di latte) nei paesi e-

mergenti. Un equilibrio difficile da raggiungere e mantenere. In Italia, il prezzo del latte spot continua ad essere alto (max 42,79 centesimi al litro) anche se con qualche cedi-mento rispetto ai massimi dello scorso settembre quando si era arri-vati a superare i 44 centesimi al litro. Che siano i primi segnali di una inversione di tendenza? Diffici-le rispondere. Al momento, è anche questa un'a-nalisi di Clal, la domanda interna-

zionale si mantiene su livelli so-

stenuti mentre le scorte di prodotti lattiero-caseari sono già impegnate con gli acquirenti abituali. Una si-tuazione che contribuisce a mante-nere in tensione i prezzi, anche quelli del latte. Intanto gli allevatori non sono ancora riusciti a raggiun-gere un accordo con Assolatte per fissare un prezzo che metta d'accor-do produttori e industrie. E' quanto accade in Lombardia, regione guida per il latte italiano, dove la fornitura del latte è da quasi un anno affidata ai singoli contratti fra le parti. Men-tre gli allevatori “sentono” che il mercato è finalmente dalla loro parte, le industrie del latte intuisco-no forse che la situazione sta per ribaltarsi e i prezzi per scendere. Per il momento, però, il mercato sembra dar ragione agli allevatori.

Cresce la resistenza dei patogeni nei confronti degli antibiotici, un problema che riguarda sia l'uomo, sia gli animali e il Parlamento Euro-peo chiede più ricerca e un mi-

glior sistema di controllo degli

effetti degli antibiotici sugli ani-mali d'allevamento e su quelli d'af-fezione per contrastare l'aumentare dell'antibiotico-resistenza da parte dei microrganismi. L'obiettivo al quale puntano gli eurodeputati è quello di una limitazione all'uso degli antimicrobici negli alleva-menti. Parte da qui la richiesta ai governi nazionali di “attuare un monitoraggio e una sorveglianza regolari e sistematici della resisten-za antimicrobica sia negli animali destinati alla produzione di alimen-ti che in quelli da compagnia”. E'

questo il contenuto della risoluzione approvata nei giorni scorsi dal Par-lamento Europeo e preparata dal presidente della Commissione Agri-coltura del Parlamento Europeo, Paolo De Castro. De Castro ha spiegato che: “se utilizzati corretta-mente, gli antibiotici sono uno stru-mento utile, ma chiediamo alla Commissione risposte concrete per un uso più efficiente ed efficace degli antimicrobici al fine di ridur-re la resistenza negli animali”, un problema, ha aggiunto: “che può avere conseguenze anche sulla sa-lute umana”.

Meno antibiotici

I deputati inoltre chiedono l'adozio-ne negli allevamenti di condizioni che consentano di ridurre la prescri-zione di antimicrobici. Al contempo propongono più stimoli alla ricerca su nuovi prodotti e su metodi al-

ternativi che pur mantenendo un forte controllo sulle patologie degli animali consentano una riduzione dell'impiego di antibiotici.I deputati

hanno anche chiesto un aumento del bilancio dell'Ufficio veterinario europeo (Food and Veterinary Office - Fvo) e dell'Autorità per la sicurezza alimentare (European Food Safety Authority - Efsa) per sostenere la ricerca scientifica e per meglio controllare il rispetto del divieto all'uso auxinico degli anti-

biotici deciso nel 2006. Infine, l'Aula ha chiesto alla Commissione di preparare un piano d'azione per contrastare il fenomeno dell'antibio-tico-resistenza in tutti gli animali, compresi quelli da compagnia, e di concentrare gli sforzi sul nesso tra salute degli animali e uso degli anti-microbici, e quindi tra salute degli animali e quella dell'uomo.

Dalla Ue un giro di vite per gli antibiotici Il Parlamento Europeo invita a ridurre l'impiego di antimicrobici negli allevamenti per contrastare l'aumento dei casi di resistenza ai farmaci negli animali e nell'uomo Agronotizie 298 - 19/05/2011

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Cargill annuncia la propria inten-zione di acquisire Raggio di Sole S.p.A., un’azienda leader sul mer-cato mangimistico italiano con un marchio noto e rispettato, un ampio portafoglio di prodotti commercia-lizzati attraverso una vasta rete di-stributiva e quattro stabilimenti produttivi.

Questa acquisizione rappresenta per Cargill l’estensione naturale della propria attività nella nutrizione ani-male in Italia, rafforzando la pro-pria offerta nel settore dei bovini da latte e creando nuove opportunità in altri segmenti. In particolare amplia la rete delle rivendite agricole, con-sentendo così a Cargill di presen-ziare in questo comparto in evolu-zione.

Silvio Ferrari, Presidente di Car-gill S.r.l. in Italia, ha commentato:

“Siamo entusiasti del potenziale futuro del risultato di questa opera-zione. L’unione di un’organizzazio-ne impegnata e di grande esperien-za come quella di Raggio di Sole S.p.A., con solide relazioni con i clienti, integrata alle risorse e ca-pacità già esistenti in Cargill, con-sentirà la creazione di una nuova realtà in grado di offrire a livello nazionale un’ampia gamma di pro-dotti e servizi capaci di soddisfare in modo esaustivo i bisogni dei clienti.”

Le culture aziendali di Raggio di Sole e Cargill sono molto vicine: entrambe hanno una lunga tradizio-ne di eccellenza sul mercato italia-no, con dei marchi di alto livello e un impegno concreto e costante per la qualità, l'innovazione e il servizio al cliente. Continua Ferrari: “Questa operazione inoltre confer-ma l’impegno di Cargill nell’espan-sione nel settore mangimistico ita-liano. Siamo presenti in questo pae-se da più di 50 anni e siamo lieti di aggiungere Raggio di Sole al no-stro portfolio.”

Raggio di Sole e Cargill hanno competenze e copertura dei mercati

complementari. La loro unione raf-forza entrambe e migliora l’accessi-bilità dei clienti a una gamma am-pliata di prodotti e servizi.

“Per gli operatori del settore è im-portante poter contare su fornitori che hanno facile accesso alle ricer-che e alle tecnologie più recenti, che possono tradurre queste espe-rienze e risorse in benefici.” com-menta Scott Ainslie, Vice Presiden-te di Cargill Animal Nutrition. “Insieme, Cargill e Raggio di Sole sono dei partner tecnologicamente avanzati, in grado di collaborare con successo con i clienti, a tutti i livelli del mercato mangimistico italiano.”

Il Presidente di Raggio di Sole S.p.A, Luisa Bonati, ha commenta-to: “Sono estremamente soddisfatta che l’azienda possa continuare con Cargill. Abbiamo lavorato molto per rendere Raggio di Sole la gran-de realtà che rappresenta oggi nel panorama mangimistico italiano e sono certa che, insieme a Cargill, la nostra organizzazione, capace e professionale, potrà proseguire nel suo impegno verso la qualità e l’ec-cellenza. Sono inoltre convinta che l’impegno di Cargill a far crescere l’azienda porterà benefici anche ai nostri clienti.”

L'operazione è soggetta all'approva-zione delle Autorità competenti.

Nuovi assetti in vista nel settore mangimistico Cargill annuncia la propria inten-zione di acquisire le attività mangi-mistiche di Raggio di Sole S.p.A. in Italia Agronotizie 302 - 26/05/2011

Adesso, insieme ai trasformatori, ci sono anche gli allevatori. E' questa una delle novità più significative del nuovo consiglio di ammini-

strazione del Consorzio di tutela della Mozzarella di Bufala Campa-na Dop. La svolta è avvenuta a di-

stanza di 30 anni dalla costituzione dell'organismo di tutela ed è stata decisa dall'assemblea dei soci che si è svolta a inizio luglio. A conclu-sione dell'assemblea sono stati scel-ti gli undici membri del consiglio che resterà in carica per il prossi-

mo triennio e per la prima volta è stato eletto un “Comitato Pariteti-

co” composto da tre allevatori e

altrettanti caseifici. Il comitato paritetico sarà guidato dal direttore del Consorzio, Antonio Lucisano,

e opererà in modo indipendente dal consiglio e sarà l’unico soggetto abilitato a presentare proposte di modifica allo statuto e al disciplina-re di produzione. Nelle prossime settimane il consiglio avrà il compi-to di eleggere al proprio interno il nuovo presidente del Consorzio di tutela.

Mozzarella di bufala, nel Consorzio entrano gli allevatori Eletto un 'comitato paritetico' dove produttori e trasformatori sono rappresentati in uguale misura Agronotizie 306 - 14/07/2011

Un momento dell'assemblea del

Consorzio

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La corsa del Parmigiano-Reggiano e del Grana Padano si è arrestata. Dopo la lunga crisi che solo nell'e-state dello scorso anno aveva allen-tato la presa consentendo una ripre-sa dei prezzi, il mercato sta ora ce-dendo. I prezzi restano su livelli soddisfacenti, ma dopo mesi di con-tinua crescita questa inversione di tendenza getta qualche ombra sul-

la possibile evoluzione del merca-

to. A far scattare le riduzioni non è la crisi economica che deprime i consumi e nemmeno la flessione delle esportazioni, che al contrario viaggiano con il segno più davanti. La colpa, se di questo si può parla-re, è solo della spinta sulla produ-zione, che allettata dai buoni prezzi degli ultimi mesi non ha saputo “resistere” alla tentazione di mette-re più latte nelle caldaie. E ora per il Parmigiano-Reggiano la produ-zione di forme è del 6,04% in più rispetto a 12 mesi fa, come pure per

il Grana Padano (+6,22%). Più al-larmante ancora il confronto fra la produzione del mese di luglio e quella dello stesso mese del 2010. Le rilevazioni riportate da Clal di-cono che per il Parmigiano-Reggiano la crescita si è spinta ad un +13,40%, mentre il Grana Pada-no è andata anche oltre (+14,08%).

Non stupisce allora che i prezzi siano calati. In agosto il prezzo del Parmigiano-Reggiano di 12 mesi è sceso di 30 centesimi di euro rispetto a giugno (10,60 euro al kg contro 10,90 euro) analogamente a

quanto accaduto per il Grana

Padano (8,90 euro al kg contro 9,18 euro per il prodotto di 14-16 mesi).

Il Grana Padano e...

Commentando la situazione di mer-cato il direttore generale del Con-sorzio del Grana Padano, Stefano Berni, ha confermato che la flessio-ne dei prezzi era largamente previ-sta a causa dell'aumento produttivo, ben oltre il 2,5% auspicato dal Con-sorzio e per la contemporanea ridu-zione dei consumi interni, in parte indotta dall'aumento dei prezzi. Ma dal prossimo ottobre, a parere del

direttore del Consorzio, lo scenario do-vrebbe evolve-re in modo positivo. Per quei mesi è infatti prevista una riduzione della spinta

produttiva. Sullo sfondo resta la neces-sità di poter allineare la

produzione

alle richieste del mercato, ma occorre at-

tendere che da Bruxelles siano defi-niti gli strumenti per una program-mazione produttiva.

...il Parmigiano Reggiano

Intanto il Parmigiano-Reggiano, i cui problemi non sono dissimili da quelli del “cugino” Grana Padano, si è dato un nuovo disciplinare di produzione, entrato in vigore a fine agosto. Più stringenti i vincoli (già forti anche in precedenza) per alle-vatori e caseifici. I primi vedono aumentare dal 35% al 50% la

quota di foraggi che deve essere prodotta all'interno dei singoli alle-vamenti. Per i secondi scatta l'ob-bligo di confezionamento in zona di origine. “Sulla filiera produttiva – spiega il presidente del Consorzio del Parmigiano-Reggiano, Giusep-

pe Alai - saranno più agevoli la vigilanza e i controlli”. I nuovi vin-coli continuano con la “quarantena” prevista per le bo-

vine che provengono da altre fi-

liere produttive. Si dovrà attendere quattro mesi prima che il loro latte possa essere trasformato in Parmi-giano-Reggiano. “Una misura cau-telativa importante – osserva il di-rettore del Consorzio, Leo Bertozzi – per evitare l’inserimento, nella filiera del Parmigiano-Reggiano, di bovine che potrebbero essere state alimentate con prodotti non previsti o espressamente vietati dal discipli-nare.”

Gli effetti

La riduzione della produzione non è l'obiettivo che il nuovo disciplinare si era prefisso, ma i vincoli ancora più stringenti sulla produzione po-trebbero avere come conseguenza una riduzione della spinta produt-tiva. Che sarebbe la benvenuta per evitare una nuova difficile situazio-ne di mercato, in attesa che i pro-getti di riforma del settore lattiero

caseario all'esame di Bruxelles offrano ai Consorzi gli strumenti per programmare la produzione. O sui mercati sarà ancora la stagione delle altalene.

Lattiero-caseario, si ferma la corsa dei prezzi L'operazione perfezionata dopo il via libera dell'Antitrust. Un nuovo polo che promette soluzioni interes-santi per il mondo degli allevamen-ti Agronotizie 310 - 01/09/2011

I prezzi in crescita hanno favorito un incremento

della produzione

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Un'eta di oltre 45 anni, una famiglia numerosa, un profilo socio-economico non elevato e abita nei piccoli centri del Nord-Ovest. Ecco il profilo del “grande” consuma-

tore di formaggi, capace di spen-dere più del doppio rispetto alla media (che in Italia è di 360 euro) e

persino il triplo quando si tratta di formaggi a marchio Dop. E' questo uno dei molti elementi emersi dal-l'analisi Ismea-Gfk-Eurisko, presen-tata da Fabio Del Bravo, responsa-bile Area Mercati Ismea, in occa-sione di Cheese, la manifestazione dedicata al mondo dei formaggi che si è svolta a Bra, in provincia di Cuneo. A proposito di marchi Dop, l'indagine ha evidenziato che questa tipologia di prodotti concentra su di sé il 35% della spesa, con una netta prevalenza (93%) dei formaggi a

pasta dura. Un consumo che seb-bene consolidato fa registrare que-st'anno un calo degli acquisti (-1,4% per i prodotti Dop), compen-sato dal positivo andamento delle

esportazioni. Nel complesso i dati dell'Osservatorio Ismea-Mipaaf sui prodotti a marchio di origine (Dop e Igp) indicano per il 2010 una pro-duzione complessiva di 450mila

tonnellate (il 40% dell'intero setto-re) per un fatturato all'origine che supera i 3 miliardi di euro. Numeri che mettono l'Italia ai vertici della graduatoria Ue grazie al lavoro di 35mila allevamenti e di 1700 casei-fici.

Cosa si è detto

All’incontro, organizzato da Cheese in collaborazione con Slow Food, ha partecipato fra gli altri Giorgio

Calabrese, do-cente presso l’U-niversità di Pia-cenza e di Tori-no, che ha ribadi-to l'importanza per il consumato-re di conoscere le materie prime

utilizzate, perché il valore nutrizio-nale di un for-maggio è diverso a seconda che nella sua produ-zione siano uti-lizzate caseine e latte in polvere

piuttosto che latte. “E su questo punto – ha affermato Calabrese – noi nutrizionisti dobbiamo essere chiari.” Sul tema dei mercati è in-tervenuto Piero Sardo, presidente Fondazione Slow Food per la Bio-diversità Onlus, che ha invitato a riflettere sulla forte presenza negli acquisti dei due grandi formaggi grana mentre per le “piccole” Dop

i consumi tendono a rimanere

relegati all'ambito locale. Nella diffusione delle Dop “minori” un ruolo importante è quello che può essere svolto dalla Gdo nella quale i piccoli produttori, come testimonia-to da Salvatore Cucchiara che produce pecorino Siciliano, hanno però difficoltà ad entrare. Non si è

fatta attendere la risposta di Gior-

gio Cermesoni, direzione acquisti prodotti freschi Gruppo Finiper, che ha sottolineato come nelle scelte dei consumatori pesi la capacità dei prodotti ad esprimere valori di tipi-cità e legame con il territorio. In-somma bisogna farsi conoscere, un compito tutt'altro che semplice e che richiede forti investimenti nella comunicazione, fondi che i Consor-zi di tutela non dispongono. Salvo unire le forze. Cosa che non pare né semplice né immediata. A meno che non si decida di rivedere com-pletamente tutta l'organizzazione del comparto. Un obiettivo che ri-chiede un forte impegno di pro-

grammazione nella politica agri-

cola del nostro Paese. Una meta che oggi, purtroppo, non sembra a por-tata di mano.

Con il via libera dell’Autorità Anti-trust, Cargill ha perfezionato il 15 luglio l'acquisizione di Raggio di Sole Mangimi S.p.A., società italia-na di alimentazione animale. “Diamo il benvenuto nel gruppo Cargill ai dipendenti di Raggio di Sole Mangimi - ha detto Silvio Fer-rari, presidente di Cargill srl - Si tratta di un team di grande espe-rienza e professionalità che arric-chisce la nostra organizzazione in Italia. Avvieremo ora il processo di integrazione delle attività.” La nuo-va acquisizione rafforza le compe-tenze e le risorse di Cargill. Con la forza di un brand noto e stimato e con l’ampio portafoglio di prodotti che Raggio di Sole Mangimi ha saputo sviluppare, nascerà una nuo-va realtà nazionale in grado di offri-re soluzioni per soddisfare in modo ottimale i bisogni dei clienti. Cargill è presente in Italia dal 1962 e con questa operazione segna una nuova tappa nello sviluppo del settore della nutrizione animale nel nostro paese.

Dove vanno i formaggi Dop

Un'analisi di Ismea presentata a Cheese evidenzia le logiche del consumo, che soffre la crisi e si salva con l'export. Ma i Dop 'minori' restano nell'ombra Agronotizie 313 22/09/2011

Grande folla e tanti stand per celebrare nelle strade

di Bra la quattro giorni dei formaggi

Mangimi, Cargill ha acquisito Raggio di Sole

Page 11: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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Fresco e di elevata qualità. Queste le caratteristiche delle quali si “nutre” la gastronomia giapponese. Che non è solo sushi, tempura e sukiyaki, un piatto assai composito dove trionfano carne bovina e tofu. C’è molto latte, anche questo da consumare fresco, e una quota non modesta di formaggi. Ma di latte in Giappone se ne produce poco, solo 7,7 milioni di tonnellate per una popolazione doppia di quella italiana. Sarà per questo che gli allevatori giapponesi il latte lo

vendono a caro prezzo, oltre 70 centesimi al litro, contro i circa 40 centesimi che entrano nelle tasche degli allevatori italiani. E gran parte della produzione giapponese (oltre il 50%) se ne va in consumo fresco (latte alimentare e prodotti freschi), quasi a sottolineare che anche il latte rispetta i canoni fondanti della cultura gastronomica giapponese, che non disdegna tuttavia i formag-gi. Formaggi che il Giappone pro-

duce in modeste quantità, appena 127mila tonnellate, mentre in Italia, per fare un confronto, la sola produ-zione di formaggi Dop sfiora le 500mila tonnellate. Per soddisfare il consumo interno (che si spinge a 238mila tonnellate), il Giappone deve fare ampio ricorso alle impor-tazioni, ammontate nel 2010 a 199-mila tonnellate. E in prospettiva questa cifra potrebbe aumentare.

Un mercato da valorizzare

Dunque il Giappone è un mercato

interessante per chi, come l'indu-stria lattiero casearia italiana, guar-da all'export per dare alle sue pro-duzioni una prospettiva di crescita. Perché in Italia il consumo di for-

maggi è ormai stabile da tempo intorno ai 23 kg pro-capite, per un totale di quasi 1,4 milioni di tonnel-late, e ogni spinta sulla produzione può tradursi in un eccesso di offer-ta che avvilisce il mercato gene-rando crisi dalle quali è poi difficile uscire. Quanto accaduto nel recente passato per due grandi formaggi della nostra tradizione casearia, il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano, sono lì a dimostrarlo. Dopo due anni di prezzi da svendita, il mercato è tornato a salire grazie ad una riduzione della spinta produtti-va ed al contemporaneo espandersi della quota destinata all'export. Un export indirizzato in prevalenza al mercato europeo che assorbe la maggior parte delle quantità com-plessivamente esportate dei due formaggi (in totale circa 70mila tonnellate, in costante crescita negli ultimi anni). Ma ora i magazzini, complice la risalita del prezzo di mercato, si stanno di nuovo riem-piendo e lo spettro di una nuova crisi preoccupa non solo i caseifici, ma anche gli allevatori, visto che il prezzo del latte è in gran parte lega-

to all'andamento del mercato casea-rio. Che fare, dunque?

Parola d'ordine, export

Una leva è certamente quella del contenimento della produzione, oggi difficile da attuare a causa dei limiti che le autorità antitrust im-pongono alle iniziative di controllo da parte dei Consorzi di tutela. Il 'Pacchetto qualità' e il 'Pacchetto latte' che Bruxelles si appresta a licenziare dovrebbero offrire nuovi strumenti in questa direzione, ma altrettanto efficace è una spinta sull'export, strumento principe per offrire al settore caseario opportu-nità di crescita altrimenti compro-messe.

Ecco allora che il Giappone e la

sua “voglia” di formaggi può di-

ventare un'interessante opportu-

nità. Tanto più che le importazioni giapponesi in questo comparto han-no il segno più davanti. Ma i nostri formaggi non figurano ai primi po-sti nell'import giapponese. Prima di noi ci sono l'Australia e la Nuova Zelanda che da sole coprono oltre il 50% delle importazioni di formaggi

Formaggi verso Oriente

Il Giappone importa considerevoli quantità di formaggi, ma i prodotti italiani sono agli ultimi posti. C'è spazio per recuperare Agronotizie 315 - 06/10/2011

Le tante eccellenze della tradizione casearia italiana, e non solo i

formaggi più 'blasonati' come il Parmigiano Reggiano di questa fo-

to, possono trovare nel Giappone un mercato interessante

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in Giappone. Seguite da Francia e Stati Uniti per un altro 16%. Poi arriva l'Italia, al quinto posto nella graduatoria, con un modesto 6% (secondo i dati di Assolatte). Nume-ri che lasciano intendere che ci sia-no buone opportunità di crescita per i nostri formaggi anche nel paese del Sol Levante. A proposito di export italiano in campo caseario, una recente indagine di Ismea ha messo in evidenza che delle 125mi-la tonnellate di formaggi Dop che

l'Italia vende all'estero, il 97% è

composto da soli 5 formaggi, i due grandi “Grana” (da soli fanno oltre il 50% di volume e di fatturato) e poi Mozzarella di bufala campana, Pecorino Romano e Gorgonzola. Ben poco della “torta” resta per gli altri 37 formaggi Dop che la Peni-sola esprime. Non perché siano meno “buoni” dei loro cugini di alto lignaggio. La loro “colpa” sta nella frammentazione del settore che conta un elevato numero di caseifi-ci, spesso di piccole dimensioni, e nella scarsa capacità di aggregazio-

ne. Il risultato è la preclusione dei mercati esteri, che richiedono inve-ce organizzazione e investimenti. Il Consorzio di tutela del Parmigiano Reggiano e quello del “cugino” Grana Padano hanno saputo darsi obiettivi comuni sul fronte dell'e-xport ed hanno raggiunto buoni risultati ed altri ancora potranno ottenerne su nuovi mercati, come quello giapponese. Un esempio che gli altri Consorzi potrebbero imita-re.

Il prezzo del Grana Padano, dopo una leggera flessione fra luglio e agosto, si è stabilizzato e viaggia intorno ai 9 euro al chilogrammo per il prodotto a più lunga stagiona-tura, ben al di sopra delle quotazio-ni registrate nello stesso periodo dello scorso anno, che pure segnava rialzi continui. Gli operatori sono

dunque soddisfatti, come pure gli

allevatori che grazie al buon anda-mento del settore riescono a spunta-re qualche centesimo in più per il latte prodotto. Ma il rischio di cade-re di nuovo nei vortici di una crisi da eccesso di produzione sono die-tro l'angolo. I dati emersi dall'as-semblea del Consorzio di tutela del Grana Padano, che si è svolta a Desenzano del Garda nei giorni scorsi, indicano un aumento della produzione del 6%, tanto da parlare di un “record storico” di oltre 4,6 milioni di forme. Ad evitare che l'eccesso di offerta pesasse troppo sui consumi interni, da tempo stabi-li e privi di segnali di ripresa, ci ha

pensato l'export, cresciuto del 5%. “Una conferma - ha detto il presi-dente del Consorzio, icola Cesa-

re Baldrighi - dell'interesse cre-scente vero il prodotto Dop più consumato al mondo”. Produzione in aumento

L'aumento delle esportazioni ha portato a 1,4 milioni il numero

delle forme destinate ai mercati

esteri, in pratica oltre il 30% della produzione complessiva. E senza questo straordinario successo sui mercati stranieri il settore sarebbe con tutta probabilità alle prese con una crisi pesante come quella che si è protratta dal 2008 al 2009, quando le quotazioni del prodotto più fre-sco erano scese sotto i 6 euro per kg. Diventa allora fondamentale

riuscire a contenere la produzio-

ne e in questo senso sarà di grande aiuto il “pacchetto latte” varato in questi giorni a Bruxelles e che con-sente ai Consorzi, come anticipato da Agronotizie, di intervenire sui livelli produttivi. “Il 2012 dovrà essere l’anno delle conferme delle quantità prodotte - ha affermato Baldrighi - e il record raggiunto quest'anno non dovrà essere supe-rato e verranno individuati gli stru-menti e i percorsi per affrontare un anno che si presenta meno agevole

di quanto apparisse il 2011”.

Export, valvola di sfogo

L'obiettivo è dunque quello di con-tenere la produzione, ma al con-

tempo agire sulla leva dell'export che vede primeggiare per quantità importate la Germania (+8,2% ri-spetto al 2011) e con forti incre-menti nelle importazioni da parte della Russia (+31,5%) e del Canada (+ 22%). Per la promozione sui mercati esteri il Consorzio ha deci-so di stanziare 10 milioni di euro

che si aggiungono ai 25 milioni che saranno investiti nella comuni-cazione a livello nazionale. “La promozione e la comunicazione - ha tenuto a precisare Baldrighi - rap-presentano per noi un motore molto importante: bisogna fare bene e farlo sapere, soprattutto per tutela-re i consumatori e il mercato dall’-attacco dei similari, tipo quelli pro-dotti nei paesi dell’Est, che non dichiarano in etichetta da dove provengono e che usando nomi italiani con a fianco il termine “Gran”, confondono e ingannano i consumatori stessi”.

Grana Padano, è boom nella produzione e nell'export

Il record produttivo non dovrà es-sere superato il prossimo anno, pena il riaccendersi della crisi. Questo l'allarme lanciato dall'as-semblea del Consorzio di tutela Agonotize 324 - 07/12/2011

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Per gli allevatori di conigli si profi-la nuovamente lo spettro di una crisi. Dopo un 2010 trascorso per gran parte con quotazioni al di sotto dei due euro al chilo, gli allevatori avevano ripreso fiducia a fine anno quando i prezzi all’origine avevano dato qualche segnale di recupero. La piazza di Verona, che fa da riferimento per il mercato nazionale, aveva fatto segnare quo-tazioni sopra i due euro già ad otto-bre per raggiungere a novembre quota 2,19 euro al chilo e poi in dicembre prezzi di 2,24 euro al chi-lo. Ma con il nuovo anno è arrivata una vera doccia fredda quando la Commissione Prezzi della borsa merci di Verona ha abbassato il prezzo di oltre 40 centesimi al kg nella sua prima seduta dell’anno. Il

prezzo del coniglio vivo è così crol-lato a 1,81 al kg. Ben 20 centesimi meno di quanto veniva pagato nello stesso periodo dello scorso anno. Un crollo verticale e brusco che preoccupa e non poco gli allevatori di conigli.

“Un fatto storico per le quotazioni del coniglio vivo che - secondo il Presidente dell’Anlac (Associazione nazionale liberi alle-vatori di conigli, aderente ad Agci Agrital) Saverio de Bonis - non si era mai verificato prima; questa diminuzione fa gridare allo scanda-lo poiché riporta il prezzo all’origi-ne sotto il costo di produzione, in un momento di agonia per i liberi allevatori italiani, rendendo sempre più evidente l’ ipotesi di un cartello sui prezzi d’acquisto, specie se si considerano due aspetti fra loro correlati. Il primo relativo al rap-porto tra domanda e offerta, con il calo di quest’ultima derivante dalla chiusura di molti allevamenti italia-ni, e con il boicottaggio delle vendi-te da parte di grossisti-macellatori

con rilevante potere di mercato. Il secondo aspetto è dovuto all’ incre-dibile aumento dei costi di produ-zione che durante il 2010 ha supe-rato il 20% e che non giustifica, dunque, una diminuzione così forte del prezzo del coniglio all’origine. In questa situazione è anche scan-

daloso - continua De Bonis - che il Piano di settore, voluto da una ri-soluzione del Senato, predisposto

dal Ministero con il consenso delle

organizzazioni sindacali e appro-

vato dalla Conferenza delle Regio-

ni, non riesca ad essere varato; al suo interno tra le misure a costo zero vi sarebbe la riforma più im-portante: quella del sistema di rile-vazione prezzi con l’attuazione di una commissione unica nazionale (cun); ma a quanto pare le organiz-zazioni non avrebbero deciso le designazioni dei rappresentanti, il che ci sembra unicamente un prete-sto”.

AVICUICOLI

Per i coniglicoltori torna lo spettro della crisi

Crollano le quotazioni del vivo e l'Anlac lancia l'allarme temendo l'ipotesi di un 'cartello' sui prezzi Aghronotizie 280 - 13/01/2011

Mancano pochi mesi al primo gen-naio 2012, quando per le galline ovaiole scatterà il divieto di alleva-mento in gabbia. E non ci saranno rinvii. E’ stato ribadito anche a Bru-xelles, all’ultimo incontro dei mini-

stri agricoli della Ue, il 21 febbraio. E saranno guai per gli allevamenti, e sono molti, che ancora non si so-no mossi per ammodernare le pro-prie strutture alle imposizioni co-munitarie. Eppure la direttiva Ue, la 74 del 1999, è “vecchia” di 12 anni ed è difficile sostenere la necessità di un rinvio. Un argomento, questo dell’entrata in vigore delle norme

comunitarie in tema di benessere

delle galline ovaiole, che “terrà banco” alla prossima edizione del Salone internazionale dell’avicoltu-ra in programma nel quartiere fieri-

stico di Forlì dal 7 al 9 aprile. Il dibattito sulla direttiva 74/1999 inizierà venerdì pomeriggio 8 aprile con un incontro organizzato da Fie-ra di Forlì e da Assoavi, in occasio-ne del quale si farà il punto della

Benessere delle ovaiole e agroenergie in scena a Forlì

L'avicoltura si dà appuntamento a FierAvicola dal 7 al 9 aprile per dibattere i temi del momento e per toccare con mano le innovazioni tecnologiche Agronotizie 288 - 10/03/2011

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situazione e si analizzeranno le possibilità di adeguamento che si presentano agli allevatori italiani e non solo. Il dibattito sarà preceduto da una tavola rotonda in cui il presi-dente della Commissione Agricol-tura del Parlamento europeo, Paolo De Castro affronterà il tema della competitività delle imprese nel con-testo internazionale, confrontandosi con alcune realtà imprenditoriali che operano nella produzione di carni, uova e mangimi.

Rifiuti ed energia

Altro argomento al centro dei dibat-titi della tre giorni forlivese, è quel-lo dei rifiuti organici e delle agro-energie, temi ai quali nella mattina di sabato 9 aprile sarà dedicato un incontro durante il quale saranno esposte le riflessioni del Copa-Cogeca e le esperienze del Crpa. Un contributo alla discussione giun-gerà anche da Avitalia oltre che dalla Regione Emilia Romagna e dalle esperienze di alcune imprese che operano in questi settori. Il pro-

gramma degli incontri continua con i simposi delle più importanti

associazioni scientifiche del settore avicunicolo (Asic-Associazione Scientifica Italiana di cunicoltura, Sipa-Società Italiana di Patologia Aviare, Wpsa- World’s Poultry Scientific Association) che hanno scelto anche quest’anno Forlì come sede dei loro appuntamenti.

Tecnica e innovazione

Farà cornice alle attività convegni-stiche la nutrita partecipazione di espositori che presenteranno negli spazi della Fiera di Forlì il meglio delle loro innovazioni e le loro ulti-me proposte dedicate al mondo degli allevamenti avicoli e cunicoli. Il panorama degli oltre 150 espo-

sitori sarà l’occasione per conosce-re le novità nelle attrezzature e nel-l’impiantistica per allevamenti, nella produzione di mangimi, nella salute per gli animali. Significativa la presenza di imprese che si occu-pano di lavorazione e macellazio-

ne di carni, oltre che di produzione

e lavorazione di uova e ovo-prodotti. Per il settore del confezio-namento, sia di uova sia di carni, è attesa anche la presenza di alcuni operatori internazionali, leader in Europa, e non solo. Si sta poi defi-nendo in questi giorni la partecipa-zione delle delegazioni di buyer stranieri che approderanno alla 47esima FierAvicola e che contri-buiranno nel sottolineare il respiro internazionale della manifestazione forlivese

Un occhio ai consumi

Nella tre giorni dedicata all’avicol-tura ci sarà anche lo spazio per la promozione dei consumi. A Forlì, infatti, sono statti invitati i profes-sionisti della tavola che si cimente-ranno con l’eccellenza della produ-zione nazionale avicola, cunicola e con gli ovoprodotti. L’interpretazio-ne delle ricette sarà affidata all’e-stro ed alla maestria dei più noti chef italiani.

Nessun rinvio nell'applicazione delle norme comunitarie sul benes-sere delle ovaiole. Non ha usato giri di parole il presidente della Com-missione Agricoltura del Parlamen-to Europeo, Paolo De Castro, nel-l'affrontare il tema che stava a cuo-re ai tanti che si erano dati appunta-mento a Fieravicola di Forlì. Con il primo gennaio del prossimo anno le vecchie gabbie andranno in soffit-

ta e al loro posto subentreranno gli allevamenti a terra o quelli con nuo-ve gabbie di dimensioni maggiori e “arricchite” di accorgimenti atti a garantire il welfare delle galline. Alle preoccupazioni degli allevatori per i costi di aggiornamento degli impianti che mal si conciliano con crisi economica e riduzione dei consumi, De Castro ha risposto con un accorato invito a guardare con occhi nuovi all'Unione Europea e

al Parlamento Europeo, dove le istanze dei produttori possono tro-vare ascolto, ma prima occorre or-ganizzarsi e concordare le linee di azione. Siamo entrati, sostiene a ragione De Castro, in una nuova era che ha sostituito quella che

sino a ieri si poteva definire del-

l'abbondanza. Ieri la necessità era il contenimento delle eccedenze, ora di latte, ora di zucchero. Oggi accade il contrario. La domanda di alimenti, cereali e carne, cresce assai più di quanto previsto con l'incremento demografico mondiale. Colpa, o merito, dell'aumento del reddito delle popolazioni di alcuni paesi emergenti dove nuove abitu-dini alimentari stanno prendendo

il sopravvento. Nuove condizioni che generano una forte instabilità dei mercati, si pensi all'altalena del prezzo dei cerali, con la quale biso-gna imparare a convivere e non sarà semplice.

Globalizzazione, pro e contro

Sono anche questi gli effetti della globalizzazione, opportunità e minaccia al contempo, alla quale non si può certo reagire chiedendo la chiusura delle frontiere ai prodot-ti extra Ue. Ma si può pretendere l'applicazione del principio di

reciprocità, affinché negli altri

De Castro in Fieravicola, le risposte adesso passano dal Parlamento Ue Il presidente della Commissione Agricoltura ha invitato il mondo agricolo ad organizzarsi e a supe-rare una visione 'romantica' dell'a-gricoltura Agronotizie 293 - 14/04/2011

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paesi vengano applicate le stesse regole che valgono nei confini eu-ropei. Un norma su questo argo-mento è già stata valutata dal Parla-mento Europeo e ora ci si attende che il Consiglio la traduca in legge. Utile ad evitare la concorrenza slea-le dei prodotti di importazione, ma per l'Italia non basta. A preoccupare Paolo De Castro è la distanza che separa la nostra agricoltura da

quella degli altri paesi. I dati Eu-rostat lo confermano. Il reddito degli agricoltori Ue è cresciuto in media del 13%. La Germania ha fatto segnare un più 30% e la Fran-cia un più 22%. Netto il distacco

dell'Italia, con un meno 3,5%. Una grande responsabilità è ora nelle

mani delle organizzazioni agrico-

le, ha sottolineato De Castro, per recuperare il terreno perduto. Un esempio per tutti, la perdita del mercato tedesco degli agrumi dove le produzioni italiane (pur preferite dai consumatori) sono state sostitui-te da quelle spagnole. Una confer-ma della nostra difficoltà nell'af-frontare in modo organico il merca-to.

Primo, organizzarsi

La parola d'ordine è dunque orga-

nizzazione. Per troppo tempo, ha sostenuto De Castro, abbiamo af-frontato i problemi avendo dell'a-

gricoltura una “visione romanti-

ca”. I cambiamenti, ed è questo un principio che vale anche per per le trasformazioni da attuare negli alle-vamenti, possono essere visti come un'opportunità per stimolare i con-sumi. Ma bisogna saper comuni-

care e anche in questo caso molto dipende dalla capacità di sapersi organizzare, magari favorendo u-n'alleanza fra agricoltori e industrie.

Una via di uscita

Intanto per i molti che devono an-cora mettersi in regola con le nuove norme in tema di benessere delle ovaiole arriva una via di uscita, illustrata in occasione di Fieravicola da Davide Barchi della Regione Emilia Romagna. Per gli allevatori che sottoscriveranno l'impegno all'ammodernamento dei loro im-pianti in tempi definiti, non scatte-ranno sanzioni anche dopo il pri-mo gennaio 2012. on si tratta di

un rinvio, è stato ribadito, e gli allevamenti saranno costantemente monitorati per verificare il rispetto dei tempi pattuiti. Un'opportunità per gli allevatori dell'Emilia Roma-gna e della Lombardia, Regioni che hanno reso possibile questo percor-so.

Paolo De Castro al taglio del nastro per l'inaugurazione di Fieravi-

cola a Forlì

Siamo ottimisti, ma con qualche perplessità su cosa ci attende nel-l'immediato futuro. Lo dice un'inda-gine Eurisko e lo confermano le analisi di alcuni economisti che

vedono le aziende uscire rafforzate dalla crisi. Ma la ripresa è minac-ciata da vari fattori negativi e fra questi l'invecchiamento della popo-lazione che in Italia si aggiunge al mancato incremento del reddito pro-capite. E' questo lo scenario con il quale deve confrontarsi il comparto avicolo, argomento al centro dell'incontro organizzato da Avitalia e Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) in occasione di Fieravicola a Forlì. Destrutturazione dei pasti, attenzio-

ne alla salute e crisi economica, come emerge dai dati elaborati da Ismea e illustrati da Claudio Fede-

rici e Marianna Giordano, hanno profondamente modificato l'equili-

brio dei consumi di carne. Pena-lizzate le carni rosse e quelle bovine in particolare, scese a 23,5 kg pro-capite, superate dalla carne suina (che ha raggiunto e superato i 39,5 kg). Migliorata anche la situazione del comparto avicolo che dopo la crisi da influenza aviare è tornato nel 2010 ad un consumo di oltre 19 kg pro-capite. A guidare la crescita nel consumo di prodotti avicoli è la carne di pollo, seguita dalle uova. In controtendenza invece il tac-

chino e il coniglio, entrambi con il segno meno davanti. Se per le carni

Fieravicola, prepararsi al “governo dell'instabilità” Le analisi di Ismea presentate al salone forlivese indicano i punti nevralgici ai quali guardare per prevedere le mosse del mercato. Ma prevalgono le incertezze Agronotizie 293 - 14/04/2011

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di tacchino la flessione coincide con una loro minore diffusione, per le carni di coniglio la flessione dei consumi viene collegata al minor “servizio” (porzionati e pronti a cuocere) e al prezzo più alto.

Le previsioni

Le tendenze del consumo da sole non forniscono elementi sufficienti a tracciare la direzione che può prendere la domanda di carni avico-le. Occorre tenere in considerazione altri fattori, come la composizione delle famiglie e la distribuzione geografica dei consumi. A guidare gli acquisti di carni avicole figurano ai primi posti famiglie governate da persone adulte (ultrasessantenni al

primo posto) e con un reddito me-dio-basso. E' poi il Sud, che più risente gli effetti della crisi econo-mica, ad essere in vetta alla classifi-ca delle aree a maggior incremento nei consumi avicoli. Le conclusioni sono facili da trarre. L'incremento che i consumi avicoli hanno segna-to è guidato dalla coincidenza di due fattori, la “quantità” di servi-zio e il buon rapporto fra qualità

e prezzo. L'uscita dalla crisi potreb-be dunque spostare le attuali prefe-renze verso altri comparti, inter-rompendo così la fase di crescita del settore avicolo. Difficile, come sempre, fare previsioni e l'invito che arriva dai ricercatori di Ismea è quello di affidarsi ad un “governo dell'instabilità”, anche in previsio-ne degli altalenanti andamenti dei costi di produzione dei prodotti

avicoli come conseguenza della instabilità a livello mondiale dei prezzi delle materie prime per l'ali-mentazione degli animali.

Innovazione e qualità

Per Guido Sassi, presidente di Avi-talia, il possibile cambiamento delle abitudini alimentari va messo fra le sfide da affrontare e superare insi-stendo sulla qualità delle produzioni italiane, che già oggi possono van-tare le migliori tecniche di alleva-

mento e una forte attenzione al benessere degli animali. Prerequi-siti ai quali aggiungere innovazio-ne, versatilità e facilità di prepara-zione.

Oltre 200 espositori, il 20% in più rispetto alla precedente edizione. Si è presentata così Fieravicola 2011, il salone biennale dedicato al setto-re avicunicolo che si è tenuto a For-lì dal 7 al 9 aprile. Una partecipa-zione che ha superato persino le previsioni, tanto da dover “sfrattare” l'esposizione di animali vivi, specie avicole e conigli, per far posto agli stand delle industrie produttrici di mezzi e attrezzature per gli allevamenti. Nel quartiere fieristico forlivese è stato così pos-sibile toccare con mano le ultime innovazioni destinate al settore e in particolare le gabbie arricchite in regola con le nuove norme comu-nitarie sul benessere delle galline ovaiole. Un tema quest'ultimo del

quale si è discusso an-che nei convegni che hanno animato la tre giorni avicola forlivese. Fra le innovazioni spic-cava l'introduzione dei “robot” per la movi-

mentazione delle uova nei centri di imballag-gio. Bracci meccanici “intelligenti” capaci di trattare con precisione e con la necessaria “ deli-catezza” le uova da avviare alla commer-cializzazione. Non po-tevano mancare le pro-poste, numerose e arti-colate, sulla produzione di energia da fonti rinnovabili per soddisfare le esigenze degli allevamenti, dove sistemi di climatizzazione e impian-ti automatici di distribuzione degli alimenti sono “avidi” consumatori di energia elettrica e gasolio. Arti-colata, come sempre, la presenza di industrie del settore mangimistico che nel settore avicolo sono prota-goniste della filiera produttiva attra-verso una forte diffusione dei con-tratti di allevamento. E' grazie a questa particolare “formula” che le produzioni avicole hanno conqui-stato un elevato grado di standar-dizzazione e di ottimizzazione dei risultati. A completare la rassegna

forlivese non sono mancate le pro-poste innovative delle aziende far-maceutiche e dei centri impegnati nella selezione genetica, dove da tempo si sono raggiunti livelli di eccellenza. Tanti convegni

Il momento espositivo è stato af-fiancato da una ricca sequenza di incontri e dibattiti che hanno af-frontato temi di attualità, come quello delle nuove norme in tema

di benessere delle ovaiole e di evo-luzione dei consumi di prodotti avicoli, dei quali si parla anche in questo numero di Agronotizie. Non sono mancati gli approfondimenti

Fieravicola, tutto esaurito

Record di partecipazione per il salone forlivese dedicato all'avicol-tura. Al centro degli incontri il te-ma del benessere delle ovaiole Agronotizie 293 - 14/04/2011

Folto il pubblico di visitatori in occasione

della Fiera di Forlì

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di carattere scientifico e fra questi l'incontro organizzato dall'Asic (Associazione scientifica italiana di coniglicoltura) dove fra i molti ar-gomenti affrontati ricordiamo i ri-sultati raggiunti con l'impiego della tomografia computerizzata per la selezione indirizzata al migliora-mento delle caratteristiche della carne di coniglio. La Società italia-na di patologia aviare (Sipa) dal canto suo ha affrontato molti argo-menti di interesse per il settore,

segnalando fra l'altro l'incremento

di alcune patologie come il botuli-smo aviare che rischia di divenire a livello europeo una delle nuova sfide che l'avicoltura dovrà affron-tare. pazio alla gastronomia

Una sfida certo più facile da affron-tare è quella sul fronte della cultura gastronomica declinata in chiave avicola. Un terreno dove le scuole artusiane (Forlimpopoli, a due passi

da Forlì, ha dato i natali a Pellegri-no Artusi) hanno molte cose da dire. E Fieravicola si è offerta come palcoscenico dal quale alcuni gran-di chef hanno proposto ricette

originali a base di uova e carni

avicole. Un modo anche questo per promuovere i consumi, un'iniziativa che è stata apprezzata dai molti visitatori di Fieravicola.

Rallentano i consumi di carni cuni-cole, come ciclicamente avviene quando si avvicina la bella stagione. I prezzi all’origine, fermi a poco meno di due euro (1,97 euro kg/peso vivo sulla piazza di Forlì), sembrano non risentirne e rispetto allo scorso anno possono ancora vantare un aumento del 13%. Se il mercato si mostra indifferente alla flessione della domanda, il merito è tutto della scarsa offerta di prodot-to, ma basta poco per far precipi-

tare di nuovo il settore in una si-tuazione di crisi. Gli allevatori guardano dunque con preoccupa-zione ai prossimi mesi, privi come

sono di strumenti di controllo

delle dinamiche di mercato. Un tema che è stato ribadito in occasio-ne del recente congresso organizza-to da Anlac (Associazione naziona-le liberi allevatori di conigli), che si è tenuto a Matera sul tema “Mercato, giustizia e sicurezza

agroalimentare: il caso delle filiere cerealicole e cunicole”.

Occorre trasparenza

Nel suo intervento il presidente di

Anlac, Saverio De

Bonis, ha denunciato la scarsa trasparenza del mercato cunicolo. “E' sempre più evi-dente - ha detto De Bonis - l’ipotesi di un “cartello” sui prezzi di acquisto, un pro-blema segnalato dalla nostra associazione all’ Antitrust con pro-ve documentali strin-genti. Anche la Com-missione esecutiva europea, a seguito di una petizione rimasta ancora aperta, ha rilevato in pubblica audizione che oc-corre indagare e che sarebbe utile e giusto intervenire in tempi più rapidi da parte dell’Auto-rità antitrust italiana che da cinque mesi non ci ha ancora dato una risposta.”

Fra i molti gli argomenti affrontati durante l’incontro, anche quello della difficoltà a far decollare il piano di settore al cui interno figu-ra l’istituzione, sulla falsariga di quanto attuato in campo suinicolo, di una commissione unica centrale (Cun) alla quale demandare il com-pito di fissare il prezzo del coniglio, in trasparenza e senza distorsioni.

Attenti alle micotossine

Si è parlato diffusamente anche dei cereali, che hanno un ruolo di pri-mo piano nell’alimentazione del coniglio. Gli allevatori si sono detti preoccupati per i livelli di mico-

tossine, in particolare nelle derrate di importazione. “Gli agricoltori e i consumatori - ha detto De Bonis - esigono controlli accurati in Euro-pa”. A conclusione del convegno, che ha registrato la presenza fra gli altri del leader dell’Italia dei Valori, Antonio Di Pietro, sono state rac-colte le prime firme per una petizio-ne, da sottoporre alla Ue, lanciata dal Comitato AntiTossine.

Mercato cunicolo in cerca di regole Gli allevatori denunciano la scarsa trasparenza delle contrattazioni e chiedono sia avviato il piano di settore Agronotizie 295 - 28/04/2011

Gli allevatori denunciano la scarsa trasparenza

delle contrattazioni e chiedono sia avviato il pia-

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Anno positivo il 2010 per il com-parto avicolo. Lo ha anticipato un'a-nalisi di Ismea presentata in occa-sione di Fieravicola e della quale si è parlato anche su Agronotizie. Ora la conferma arriva da Una, l'Unione nazionale dell'avicoltura, che ha diffuso in questi giorni i dati econo-mici del settore relativi allo scorso anno. Spicca la crescita del consu-mo di carni avicole che sfiora i 19 kg pro-capite e che cancella defini-tivamente la crisi del 2005 da in-fluenza aviare mediatica (giornali e tv paventarono un allarme inutile ancorché inesistente). Merito della capacità del settore di imporsi con un prodotto di buona qualità e a prezzi bassi, entrambi vincenti in un periodo di crisi economica dalla

quale ancora si stenta ad uscire.

Carne preferita

“L’avicoltura italiana – ha detto il presidente di Una, Aldo Muraro nel commentare i dati del settore - ha saputo reagire bene alla crisi e i prodotti avicoli continuano a svol-gere un ruolo determinante nell’ali-mentazione degli italiani, grazie anche alla loro capacità di coniu-gare gusto, sicurezza e praticità d’uso alle esigenze economiche della popolazione. Per il 2011 le produzioni avicole dovrebbero as-sestarsi su valori prossimi a quelli del 2010.”

Entrando nel dettaglio dei vari com-parti produttivi spicca la crescita delle carni di pollo la cui produzio-ne è aumentata del 5,2% assecon-dando la maggior richiesta del con-sumo interno (che si è portato a 11,96 kg pro-capite) e incentivando l'export, cresciuto del 40,9%. Risul-

tati meno positivi invece per le

carni di tacchino la cui produzione si è ridotta del 4,58% a fronte di un consumo anch'esso in flessione del 5,25%.

I numeri

Un esame di tutti i prodotti dell'avi-coltura evidenzia una crescita pro-duttiva del 2% (1,2 milioni di ton-nellate) e il consumo totale si è col-locato a 1,12 milioni di tonnellate, pari a 18,58 kg pro-capite.

In flessione la produzione delle uova (12,8 miliardi, -2,06%) ed arretra anche il consumo (12,9 mi-liardi, -1,27%). Su questo settore, sottolinea l'Unione dell'avicoltura, pesa il processo di adeguamento

degli allevamenti alla normativa

europea sul benessere delle ovaio-le.

Interessante è poi l'analisi economi-ca proposta da Una, che ha eviden-ziato la stabilità del fatturato del settore negli ultimi dieci anni. No-nostante gli aumenti dei costi di produzione sopportati dagli alleva-tori, la spesa degli italiani per polla-me e uova, tenuto conto del tasso di inflazione, è dunque rimasta prati-camente immutata. La conseguenza è però una minore redditività de-

gli allevamenti e anche nel 2010, a fronte di un aumento dei costi del 5%, i prezzi, sono rimasti allineati a quelli dell'anno precedente. Uno scenario che potrebbe replicarsi anche nel 2011, vista la difficoltà a trasferire sui prezzi di vendita l'au-mento dei costi di produzione, ali-mentato dalla crescita dei prezzi delle materie prime per i mangimi, la cui corsa difficilmente si arreste-rà prima dell'estate, con i nuovi raccolti.

Avicoltura, cresce la produzione ma calano i margini Le analisi di Una (Unione nazione dell'avicoltura) evidenziano i punti di forza del settore, che sconta però l'impatto dell'aumento dei costi di produzione Agronotizie 296 - 05/05/2011

Sono sopratutto le carni di pollo a raccogliere le preferenze dei con-

sumatori

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Si chiama Comitato dei rappresen-tanti permanenti (noto con l'acroni-mo Coreper) ed è un organo del Consiglio della Ue che fra le sue attività annovera quella di preparare gli incontri dello stesso Consiglio. Una sorta di “pre-consiglio” che non ha funzioni decisionali, ma solo di indirizzo nelle politiche in di-scussione. Nei giorni scorsi dal Coreper è uscita un'indicazione in merito all'etichettatura delle car-

ni con la quale si predisponeva il via libera per una proposta di rego-lamento per l'obbligo di indicare

in etichetta l'origine per le carni fresche di “tutte” le carni, dunque bovini e pollame (per le quali que-sto obbligo è già in vigore) e poi per le carni di suino e degli ovi-caprini. L'elenco dovrebbe com-prendere “tutte” le carni, ma a quanto pare ci si è dimenticati di

quelle di coniglio, colpa forse dello scarso interesse verso questo com-parto da parte della Ue, visto che il settore ha una certa importanza

economica solo in alcuni paesi e fra questi Italia, Francia e Spagna. In Italia il settore è prossimo al-

l'autosufficienza, ma ciò non toglie che l'indicazione dell'origine in etichetta sia importante per dare una corretta informazione al consu-matore e, perché no, per ridurre la concorrenza del prodotto di im-

portazione che in più di una occa-sione è stata la leva per brusche oscillazioni del mercato, a danno

ovviamente dei nostri allevatori

I coniglicoltori non ci stanno

Per ovviare alla “dimenticanza” del Coreper è scesa in campo Anlac, associazione liberi allevatori di conigli aderente all’Agci-Agrital, che in un suo comunicato pone due inquietanti interrogativi: “è una semplice distrazione o una precisa volontà politica? E se così fosse è giustificato discriminare il coniglio proprio oggi che il passaparola va nella direzione del mangiare italia-no come garanzia”?

“Al presidente della Commissione agricoltura Paolo De Castro - di-chiara il presidente di Anlac Save-rio De Bonis - non può essere sfug-gita una risoluzione unanime del Senato, del 12 maggio 2009, con cui l’ Italia aveva già chiesto l’ obbligo di etichettatura dell’origine anche per il coniglio.”

Il Piano cunicolo

Il comunicato dell'Anlac continua ricordando che il Piano di settore cunicolo, ancora però da attua-re, prevede l’ adozione dell’eti-chettatura obbligatoria. Un inter-vento, si sottolinea, che dovrebbe rientrare nell’azione applicativa del “Ddl competitività” e dell’applica-zione della norma generale sull’eti-chettatura di origine in esso previ-sta. “2oi invitiamo - conclude il presidente De Bonis - a nome di tutti gli allevatori italiani, sia il presidente della Commissione Agri-coltura Ue, De Castro, sia il mini-stro dell'Agricoltura Saverio Ro-

mano, ad emendare il regolamento

europeo prima della seduta plena-

ria di luglio, quando sarà votato in seconda lettura, rispettando così quell’interesse nazionale sancito dal pronunciamento delle istituzio-ni, al fine di evitare inutili ricorsi presso la Corte di giustizia europe-a. Occorre “tutelare doverosamen-te” un comparto leader a livello

europeo e quarto settore della zoo-tecnica nazionale”.

Etichette, il coniglio non vuole essere dimenticato

A Bruxelles si parla di origine delle carni in etichetta, ma ci si dimenti-ca delle carni cunicole. Puntuale la protesta degli allevatori Agronotizie 304 - 30/06/2011

Si insiste, a ragione, affinché anche per le carni di coniglio sia ripor-

tata l'origine in etichetta

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Contrordine, nelle uova c'è meno colesterolo di quanto si creda. Tan-to che il dipartimento dell'agricoltu-ra statunitense si è visto costretto a ricalcolare nelle linee guida all'ali-mentazione i livelli di colesterolo ritenuti presenti nelle uova. E' que-sta una delle novità alle quali sono arrivati i ricercatori statunitensi della North Carolina State

University, i cui esiti sono stati pubblicati su “Poultry Science”. Ma le novità non si fermano qui. La ricerca ha anche messo in evidenza che le uova prodotte da galline alle-vate a terra hanno uguali caratteri-stiche nutritive rispetto alle uova ottenute da galline allevate in bat-teria e comunque alimentate con mangimi. Una conferma che mette

sullo stesso piano queste due tipo-

logie di allevamento alla vigilia del primo gennaio del 2012, quando scatterà l'obbligo deciso da Bruxel-les di trasformare gli allevamenti di ovaiole dotandoli di gabbie più am-pie oppure di rinunciare a queste per passare all'allevamento a terra. E' quanto prevede il decreto legisla-tivo 267/03 con il quale l'Italia ha recepito le norme comunitarie in materia di benessere delle galline

ovaiole, argomento del quale Agro-notizie si è più volte occupato. As-salzoo, l'associazione che riunisce le industrie mangimistiche, nel commentare i risultati della ricerca statunitense, ha tenuto a sottolinea-re l'equivalenza (almeno in termini nutrizionali) che si ha nelle uova prodotte negli allevamenti a terra (circa 2,5 miliardi di pezzi, il 20% della produzione italiana) rispetto a quelle ottenute negli allevamenti in batteria, che continuano ad essere la quota più significativa della nostra produzione che assomma a 12,8

miliardi di pezzi. Un settore, que-sto delle uova, fra i pochi della no-stra zootecnia che possa vantare di aver raggiunto l'autosufficienza. Mangimi e qualità

"Da questo studio - spiega Giorda-

no Veronesi, presidente onorario di Assalzoo - emerge un dato di gran-de rilevanza che sfata il mito della negatività dell'allevamento avicolo e mette in evidenza la qualità di tutte le uova prodotte dal comparto avicolo italiano.” La ricerca statu-nitense, è il parere espresso da As-salzoo, conferma la validità dello schema alimentare basato sui mangimi, che per quanto riguarda l'Italia sono strettamente controllati e validati da complessi processi di controllo e in molti casi prodotti da aziende che rispettano il “Codex Assalzoo”, un insieme di regole che vanno oltre quelle stabilite dalla legge e che i mangimisti si sono imposti a maggiore garanzia della qualità e sicurezza dei prodotti di origine animale. Il capitolo benessere

L'equivalenza nutrizionale delle uova prodotte nei due diversi siste-mi di allevamento, a terra o in bat-teria, lascia comunque aperto il capitolo del benessere delle ovaiole che impone dal prossimo gennaio

l'adeguamento degli impianti di

allevamento. Agli allevatori po-trebbe essere concessa una proroga (ma guai a chiamarla così, a Bru-

xelles potrebbero arrabbiarsi...), purché si impegnino a realizzare i cambiamenti necessari entro tempi certi. Dunque per le galline si pro-spettano tempi più “felici”, un benessere che non avrà a quanto pare influenza sulla qualità delle uova, ma che alleggerirà il portafo-glio degli allevatori. Questo è certo.

Anno difficile questo 2011 per gli allevatori di conigli. Si erano lascia-ti alle spalle un 2010 che promette-va bene con quotazioni che a di-cembre superavano i due euro, ma poi già a gennaio i prezzi all'origine sono crollati ben al di sotto dei due euro. E non si sono più ripresi. A febbraio il prezzo minimo della piazza di Verona era persino sceso sotto 1,5 euro (1,47 euro/kg per i soggetti sino a 2,5 kg di peso vivo). Prezzi assai distanti dal costo di produzione che si colloca, secondo i calcoli di Anlac, intorno ai due eu-ro. Di settimana in settimana gli allevatori hanno continuato a spe-rare in una ripresa del mercato che però non è arrivata. Ancora in luglio il prezzo all'origine era fermo a 1,47 euro al chilo e solo in agosto si è registrato qualche timido segna-le di ripresa con i prezzi che hanno recuperato qualche centesimo, spin-gendosi oltre 1,6 euro al chilo, per sfiorare a fine settembre il minimo di 1,7 euro. E gli allevatori conti-nuano così a produrre in perdita, una situazione che si protrae da inizio anno e che sta mettendo a dura prova la sopravvivenza del settore.

A parere dell'Anlac (Associazione nazionale liberi allevatori di coni-gli) la pesante situazione di mercato

La gallina dalle uova uguali

2essuna differenza nelle qualità nutrizionali fra il prodotto ottenuto negli allevamenti a terra e quelli in batteria Agronotizie 313 - 22/09/2011

Centrale il ruolo dei mangimi per

ottenere uova di qualità

Coniglicoltura, Annus Horribilis

Da gennaio le quotazioni sono pre-cipitate e gli allevatori producono in perdita. Colpa di manovre spe-culative, denuncia l'Anlac Agronotizi e 314 - 29/09/2011

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è la conseguenza di manovre specu-lative che la stessa associazione ha più volte denunciato, coinvolgendo varie istituzione, come l'Antitrust e la Commissione Petizione della Ue. Sui problemi del settore, ricorda l'Anlac, ci sono anche le risoluzioni approvate dal Senato e dalla Came-ra. Ma la situazione resta pesante e all'orizzonte non si vedono segni di

cambiamento. Il presidente di An-lac, Saverio De Bonis, ha allora invitato il ministro dell'Agricoltura ad intervenire rendendo operativo il piano di settore già concordato. “Il ministro Romano – ha dichiarato De Bonis – deve dare ascolto alle risoluzioni parlamentari per aiuta-re le imprese ad affrontare la crisi e a non subirla confortato inoltre

dal parere che l’Antitrust italiana gli ha inviato, dove si auspica un riesame in senso proconcorrenziale dell’attuale processo di formazione dei prezzi alla produzione, al fine di adeguare il sistema alla normativa posta a tutela della concorrenza.”

Mancano poco più di due mesi al primo gennaio 2012, data nella qua-le diverranno operativi i dettami della direttiva comunitaria 74/1999, recepita in Italia con il Decreto Le-gislativo 267/03 , che rivoluziona i sistemi di allevamento delle galline ovaiole. Indirizzata al consegui-mento del benessere delle galline, la direttiva prevede l'abolizione delle gabbie o in alternativa l'introduzio-ne di gabbie “arricchite”, con spazi assai più ampi di quelli attuali a disposizione di ogni animale. Gli allevamenti europei hanno avuto a disposizione 12 anni per aggior-

nare gli impianti di allevamento, ma a quanto pare in molti hanno sperato in una proroga che non arri-verà. Ora il rischio è che dal primo gennaio si producano uova in im-

pianti non aggiornati e dunque

“fuori legge”. Il problema ha desta-to l'attenzione di molti eurodeputati, che hanno manifestato le loro pre-occupazioni. Si teme in particolare che questa situazione possa minare la fiducia dei cittadini nei confronti del processo normativo dell'Unione oltre che sulla qualità delle produ-zioni avicole. Una situazione ogget-tivamente complessa, visto che in molti Stati, e fra questi l'Italia, gli allevamenti che ancora devono

aggiornarsi sono la maggior parte di quelli in attività. E che si farà, si sono chiesti gli eurodeputati, delle

uova prodotte in questi allevamen-ti dopo il primo gennaio? Saranno distrutte? Ma da chi e come? E con quali conse-guenze sull'opi-nione pubblica?

Distorsione della

concorrenza

Il Commissario europeo alla Sa-lute, John Dalli, ha risposto agli interrogativi posti dagli Eurodepu-tati assicurando che la Commissio-ne adotterà procedimenti di infra-

zione contro i Paesi che con l'inizio del nuovo anno non saranno in gra-do di rispettare le regole. Ma le procedure di infrazione, è stato o-biettato, sono lunghe e per questo non sempre efficaci. Alla fine po-trebbero essere avvantaggiati i produttori che non si sono messi

in regola, mentre quelli che hanno aggiornato gli impianti si ritrovano ad aver effettuato investimenti im-portanti che migliorano il benessere delle ovaiole, ma deprimono la pro-duttività degli animali. Chi si è messo in regola finirebbe così per subire una concorrenza sleale da chi in regola non è. Tanto che è stata avanzata la richiesta di un sostegno a vantaggio degli alleva-

menti rispettosi delle nuove nor-me per fronteggiare una situazione di mercato che finirà con il premia-re i comportamenti scorretti.

Le conseguenze

Procedure di infrazione o meno, resta per i produttori di uova euro-pei la difficoltà di competere con le produzioni extra Ue, ottenute senza tenere in alcun conto le misure per il benessere animale. Le nuove re-gole potrebbero anche favorire una migrazione degli impianti di pro-

duzione in nazioni dell'Est europeo. Non mancheranno, infine, riper-cussioni sul prezzo delle uova al consumo che presumibilmente au-menteranno a fronte dell'incremento dei costi di produzione.

La situazione

Al momento, ha ricordato il Com-missario Dalli, la Commissione è in attesa dallo scorso aprile dei dati

aggiornati sulla situazione degli allevamenti da parte di Italia, Gre-cia, Lettonia, Spagna e Ungheria. A questi si aggiungono Belgio, Bulga-ria, Cipro, Francia, Polonia e Ro-

Tra galline infelici e uova fuori norma Molte le nazioni europee che non saranno in regola con le regole sul benessere delle ovaiole che scatte-ranno il primo gennaio 2012 Agronotizie 316 - 13/10/2011

Procedure di infrazione e distruzione delle uova

fra le ipotesi allo studio per chi non è in regola Fonte immagine: Veganlink Antifa

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mania che già hanno comunicato che si presenteranno all'appunta-mento del primo gennaio in difet-

to, dunque con parte degli alleva-menti ancora da aggiornare. Il pri-mo gennaio 2012 saranno molti pertanto gli stati membri che non saranno in regola con la direttiva sul benessere delle ovaiole. Teori-camente, ha sostenuto Dalli, le uo-va prodotte fuori dal rispetto del-

le regole dovrebbero essere di-

strutte, una soluzione corretta dal punto di vista giuridico, ma che

presenta molti aspetti critici, sia economici, sia sociali e infine poli-tici. Una delle possibili soluzioni, ancora a livello di ipotesi, è quella di limitarne il consumo ai soli

territori di produzione.

I rischi

Quella prospettata dal commissario alla Salute è una soluzione che non assolve dalle procedure di infrazio-ne e che pone seri vincoli alla

commercializzazione. E c'è anche da tener conto delle reazioni del consumatore. Dipenderà da come accoglierà la notizia che l'uovo che sta per mettere nel piatto è “illegale”. E c'è da scommettere che in molti crederanno che si tratta

di uova “cattive”. Al contrario la sicurezza alimentare sarà comunque garantita (e non potrebbe essere altrimenti). Ma a far scattare un nuovo, inutile e ingiustificato allar-me alimentare basta poco. E l'uovo “illegale” è assai più di poco.

Pochi allevamenti di conigli e pochi farmaci. La connessione tra questi due fatti è presto spiegata. Predi-sporre un farmaco specialistico, come un antibiotico, un coccidio-statico o una qualsiasi altra catego-ria di farmaci, costa investimenti

miliardari. Prima nella ricerca e poi nelle prove da attuare per le necessarie autorizzazioni all'immis-sione in commercio. Costi che pos-sono essere sostenuti solo potendo contare su grandi volumi di ven-

dite. E in campo zootecnico non si può fare leva sul prezzo finale del farmaco, costretto a costare il meno possibile, per non essere messo fuori mercato (diverso è il caso degli animali da compagnia, dove l'aspetto etico sopravanza quello economico). Nell'allevamento del coniglio solo Italia, Francia e Spa-gna, a livello europeo, sono inte-

ressate all'allevamento del coni-

glio da carne. Altrove, in particola-re nei paesi del Nord Europa, il coniglio è visto più come un anima-le da compagnia piuttosto che come produttore di proteine nobili. Come conseguenza le industrie farmaceu-tiche, pur disponendo di molecole utilizzabili in coniglicoltura, non procedono alla richiesta di autoriz-zazione all'impiego in questo setto-

re, perché i costi delle procedure rendono la partita diseconomica. E finisce che i vete-rinari devono arrampicarsi

sugli specchi per

trovare soluzio-

ne alle patologie del coniglio e gli allevatori di con-seguenza sono in molti casi senza presidi farmaceu-tici adeguati a proteggere i loro animali.

Problema antico

Il problema non è di oggi e si trasci-na da tempo senza trovare un'ade-guata soluzione. E' di questi giorni però la presa di posizione di Aisa, l'associazione delle industrie della salute animale aderenti a Federchi-mica, che ha voluto denunciare la difficile situazione del settore. Ed è proprio in Italia, leader in europa nella produzione di carne cunicola (circa 230mila tonnellate, il doppio della Spagna e almeno quattro volte più della produzione francese) che il problema della scarsità di farmaci autorizzati si fa sentire di più. La forte specializzazione degli alleva-menti e gli importanti successi nel miglioramento genetico degli ani-mali, non hanno messo al riparo dalle malattie di questa specie ani-male, che come e più delle altre (il coniglio è un “ansioso congenito”) è soggetta a malattie infettive e

non. Per malattie importanti come la mixomatosi e l'enterite emorragi-ca, evidenzia Aisa, esistono vaccini specifici. Ma resta scoperta la prevenzione di molte altre patolo-

gie. L'industria farmaceutica italia-na da tempo chiede una semplifica-zione delle autorizzazioni all'im-missione in commercio (Aic) per il settore cunicolo. Per giunta queste procedure sono più complesse e

lunghe in Italia rispetto ad altri paesi. In ballo c'è anche la tutela del benessere degli animali, certamente compromesso da patologie per le

Allevamenti cunicoli senza farmaci Poche le specialità farmaceutiche disponibili per la prevenzione e la cura del coniglio in produzione zootecnica Agronotizie 320 - 17/11/2011

Predisporre farmaci specifici costa troppo per un

settore relativamente piccolo come quello dell'alle-vamento cunicolo Fonte immagine: peet-astn

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quali è difficile fare prevenzione e che sono ancora più difficili da de-bellare per l'assenza di adeguati presidi farmaceutici. Un problema, mette in luce la stessa Aisa, che si ripercuote alla fine sulla redditività degli allevamenti e sulla qualità delle produzioni.

Cosa serve

La richiesta è dunque quella di apri-re per il settore della coniglicoltura un canale semplificato per l'intro-

duzione di farmaci dedicati a que-sta specie animale. Una richiesta che già in passato è stata espressa dal mondo degli allevamenti. Visto che hanno un obiettivo comune, industrie e allevatori dovrebbero unire le energie e gli sforzi per arrivare ad una soluzione. Se ne

saranno capaci i vantaggi saranno per tutti, consumatori compresi, che avranno nel piatto carni ancora più sicure.

Il piano cunicolo non fa passi avanti e dall’Anlac, l’associazione nazio-nale liberi allevatori di conigli, ade-rente ad Agci Agrital, arriva un accorato allarme per la situazione debitoria degli allevamenti. La

situazione è per molti insostenibile e si rende indispensabile, sostiene Anlac, una moratoria e una ri-

strutturazione dei debiti con le banche. Un’emergenza verso la quale si lamenta la disattenzione della politica agricola italiana, men-tre restano in alto mare le misure

già previste dal piano di settore e in primo luogo la Cun, la commis-sione unica nazionale per la defini-zione del prezzo. “2on si può pen-sare di stravolgere il Piano per modellarlo su interessi particolari - ha dichiarato fra l’altro il presidente di Anlac, Saverio De Bonis - ed è urgente accogliere le raccomanda-zioni dell’Antitrust e focalizzarsi sulla fase di emergenza finanziaria in cui versano gli allevatori.”

Conigli, crisi senza fine Le aziende sono sepolte dai debiti e le richieste degli allevatori so-no disattese Agronotizie 318 - 27/10/2011

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anti visitatori, almeno 40mila se-condo gli organizzatori, numerosi convegni e tavole rotonde a far da cornice alle mostre zootecniche ed alle tante attrezzature e mezzi di produzioni per l'agricoltura e per la zootecnia che hanno letteralmente riempito ogni angolo a disposizione del quartiere fieristico del Garda. Questi i tratti salienti della 83esima edizione di Fazi, la Fiera agricola zootecnica italiana che si è svolta a Montichiari dall'11 al 13 febbraio e che si è conclusa con un bilancio nettamente positivo. "Un segnale assolutamente confortante - com-menta il direttore del Centro Fiera del Garda, Ezio Zorzi - e che riten-go debba essere letto con il forte legame del territorio con l’agricol-tura e la zootecnia. È un settore che in questo momento ha qualche dif-ficoltà, soprattutto per quanto ri-guarda la suinicoltura, ma che con-tinua ad investire per crescere". L’agricoltura e la zootecnia, però, richiedono maggiore attenzione, anche su un piano economico. Per-ché fare qualità, garantire la salubri-tà delle produzioni, rappresentare l’eccellenza del Made in Italy ha dei costi che non possono essere trascurati. È il messaggio che ha portato il presidente dell’Associa-zione italiana allevatori, Nino An-dena. Le campionesse Anche quest’anno, la zootecnia è stata la regina di Montichiari, che ha ruotato attorno alla nona edizio-ne dello «European Open Holstein Show» , manifestazione internazio-

nale dedicata alla razza friso-na organizzata da Anafi, dalle Associazioni provinciali alle-vatori di Brescia e Verona, in collaborazione con i quartieri fieristici di Montichiari e Verona. Ad aggiudicarsi il titolo di campio-nessa è stata Llera Ariel Goldwyn Et, vacca allevata nel Nord della Spagna, a Valdaliga in Cantabria (nell’allevamento Llera Her Holsteins) e giudicata miglior mammella vacche giovani. Così ha deciso il giudice canadese David Crack, dopo aver selezionato quasi 150 capi, rappresentativi di 45 alle-vamenti. In un podio decisamente internazio-nale, come campionessa riserva vacche è stata selezionata Krista 37, allevata da Jorg Seeger a Oldem-burg (Germania). L’animale di Jorg Seeger ha vinto anche la categoria miglior mammella vacche adulte. Si ritorna in Spagna, invece, per la

menzione d’onore delle vacche, assegnata a La Flor Aslin Titanic, dell’azienda Ganaderia La Flor di Cayon, sempre in Cantabria. Se i capi italiani non hanno conqui-stato questa volta i vertici della classifica, forse steccando l’acuto da solisti, nel complesso hanno saputo confermarsi comunque fra i migliori produttori a livello interna-zionale. Primo allevatore è risultato Giuseppe Quaini, allevatore di Ca-stelverde (Cremona), mentre come primo espositore si è affermata la società agricola Al.be.ro. di Bor-ghetto (Piacenza) degli allevatori Bertola e Rossetti.

BOVII

A Montichiari trionfa la Spagna Bilancio positivo per Fazi, la mani-festazione agricola e zootecnica che ha visto proclamare come mi-glior vacca del 2011 una bovina allevata nella penisola iberica Agronotizie 285 - 17/02/2011

Un momento dell'European Open Holstein Show

che si è svolto a Montichiari, nei pressi di Brescia

Mancano all'appello più di quattro miliardi di euro. A tanto ammonta-no i tagli delle risorse trasferite dallo Stato alle Regioni per l'eser-cizio delle funzioni delegate. E sotto la mannaia dei tagli è finito anche il Dpcm (Decreto presidente del Consiglio dei ministri) che de-stinava i fondi alle attività di mi-

glioramento genetico del bestiame. Le ultime speranze erano riposte

sul Milleproroghe, ora approvato fra molte difficoltà, che di tutto si è occupato fuorché di questo proble-ma. Con il risultato che al sistema

degli allevatori guidato da Aia

(associazione italiana allevatori)

sono oggi negate le risorse econo-

E gli allevatori restano al verde Per il finanziamento al Sistema Aia la Conferenza Stato-Regioni riman-da al Governo la soluzione del problema Agronotizie 287 - 03/03/2011

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miche necessarie a portare avanti il compito della selezione degli ani-mali da reddito, materia di interesse pubblico che lo Stato ha affidato alla stessa Aia. L'organizzazione degli allevatori, lo ricordiamo, è un sistema complesso, ma efficiente, che si articola nelle associazioni nazionali di razza e di specie che si occupano della selezione e dei Libri Genealogici, mentre alle associazio-ni provinciali allevatori è affidato il controllo dei risultati produttivi. L'azzeramento dei sostegni finan-ziari pone serie preoccupazioni al proseguimento delle attività di

selezione e controllo degli alleva-menti, un problema affrontato nel-l'ultima Conferenza Stato-Regioni, che si è svolto all'indomani dell'ap-provazione del Milleproroghe. In-contro che si è chiuso con un nulla di fatto. Il ministro dell'Agricoltura, Giancarlo Galan, aveva invitato le Regioni a trovare nelle pieghe dei possibili risparmi le risorse da de-stinare al mondo degli allevamenti,

un invito però respinto al mitten-

te. Tutti, a iniziare dal presidente della Conferenza, Vasco Errani, al coordinatore degli assessori all'A-gricoltura, Dario Stefàno, si sono detti preoccupati e attenti alle esi-genze del settore, ma i cordoni della borsa sono rimasti chiusi.

L'appello al Governo

Intanto le quattro regioni a mag-

giore vocazione zootecnica, Lom-bardia, Piemonte, Veneto ed Emi-lia-Romagna hanno insieme firmato un appello rivolto al Governo per un incontro alla presenza delle Or-ganizzazioni Professionali e delle rappresentanze del mondo agricolo al fine di trovare una soluzione immediata alla grave situazione di emergenza. “Escludere dal soste-gno finanziario le Associazioni Al-levatori - recita il documento sigla-to dalle quattro regioni - significa

penalizzare in modo irreversibile tutto il settore della zootecnia e i comparti strettamente dipendenti dalle attività di miglioramento ge-netico a partire dalle attività di prevenzione e sicurezza alimenta-re.” Mentre Lombardia, Piemonte, Veneto ed Emilia-Romagna (da sole rappresentano l'80% del lat-

te italiano e oltre il 70% del patri-monio bovino) si sono dette impos-sibilitate a reperire fondi per la zoo-tecnia, dal Lazio è arrivato un messaggio di segno opposto. L'assessore all'Agricoltura di questa Regione, Angela Birindelli, si è detta sin dall'inizio disponibile a raddoppiare i sostegni al Sistema allevatori, passando da 1,5 a 3 mi-lioni di euro. Eppure il Lazio ha ben pochi interessi in campo zootecni-co, visto che in questa regione si produce appena il 3,4% del latte nazionale. Meno interessi, ma

maggiore sensibilità ai problemi della zootecnia, verrebbe da dire.

A ripercorrere le cronache dei gior-ni, convulsi, dell’approvazione del Milleproroghe, convertito in legge a fine febbraio, si scopre che a tifare per gli allevatori c’era buona par-

te dell’arco parlamentare. Nel proporre emendamenti in favore del finanziamento delle attività di sele-zione del bestiame troviamo infatti, fra gli altri, le firme di Amato Be-rardi e Monica Faenzi (Pdl), quella di Giuseppina Servodio (Pd), di Pierfelice Zazzera (Idv) e di Teresio Delfino (Udc). Tutte richieste rien-trate sul nascere, perché ritirate o perché dichiarate inammissibili. Con il risultato che al-l’Associazione italiana allevatori

(Aia) sono state negate le risorse per continuare ad occuparsi di sele-zione e miglioramento genetico e della tenuta dei Libri Genealogici degli animali in produzione, un compito di interesse pubblico che

lo Stato ha affidato alla stessa

Aia. Non che mancassero segnali preoccupanti. La crisi economica, la necessità di ottimizzare le risorse, taluni rilievi nel passato da parte di Bruxelles (aiuti indebiti?), già face-vano intuire che una stretta sarebbe arrivata e che gli allevatori avrebbe-ro dovuto “tirare la cinghia”. Ed erano pronti agli inevitabili sacrifi-ci, forti di una riorganizzazione interna che avrebbe potuto assor-

bire almeno in parte l’urto di una

riduzione, anche rilevante, dei cir-ca 65 milioni di euro ricevuti nel 2010. I più pessimisti erano arrivati ad azzardare che i sostegni si sareb-bero ridotti ad appena 25 milioni. essuno, però, aveva ipotizzato

l’improponibile “risorse zero”.

La mobilitazione degli allevatori

Nemmeno la Conferenza Stato Re-gioni dei giorni scorsi ha dato rispo-ste soddisfacenti. E gli allevatori si

Senza soldi allevatori alla deriva A rischio anni di lavoro nel miglio-ramento genetico. Aia si mobilita per denunciare i rischi conseguenti all'azzeramento dei sostegni alle attività di selezione Agronotizie 288 - 10/03/2011

Il logo dell'Associazione allevato-

ri, la cui operatività è messa in

forse dalla mancanza di sostegni

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vedono costretti a mobilitarsi per far conoscere all’opinione pubblica il ruolo dell’associazione allevatori non solo in campo genetico, ma anche per le ricadute del suo opera-to nella sicurezza alimentare e nella qualità degli alimenti, oltre che nella tutela del benessere animale e dell’ambiente. E’ questo il compi-

to, tutt’altro che semplice, che

grava ora sulle spalle del presi-

dente degli allevatori ino Ande-

na. Un compito che gli è stato affi-dato dai vertici delle associazioni periferiche degli allevatori riuniti a Roma per decidere come affrontare questa difficile situazione. “Il finan-ziamento delle Apa - ha ribadito da parte sua il presidente Andena - è interesse di tutta la società e del nostro made in Italy”. Preso atto delle difficoltà in cui versa il Siste-ma zootecnico nazionale per la pro-spettata mancanza di copertura fi-

nanziaria certa, i partecipanti al vertice romano hanno inoltre con-venuto che l’attuale sistema della selezione, alla base dei successi ottenuti in oltre 60 anni di attività, è unico ed è strategico che rimanga

uniforme su tutto il territorio

nazionale. La selezione - ribadisce un comunicato diramato da Aia - è un patrimonio del made in Italy ed è una componente fondamentale della competitività del nostro Paese.

Il Veneto del Sud. L'appellativo che negli anni ha conquistato la Puglia – attirando peraltro cospicui investi-menti anche di aziende venete – calza a pennello anche in ambito zootecnico: quella pugliese vale 148 milioni di euro per la produ-zione del latte, oltre a 50 milioni di

euro per la carne. Senza contare gli occupati: 15.000 addetti (di cui un terzo dipendenti) e un indotto di almeno altre 15.000 persone.

Con una coincidenza particolare: la Bruna è allevata in Italia da 150 anni circa. Più o meno, insomma, dall'Unità d'Italia, anche se la razza vanta una storia di 500 anni.

"Abbiamo deciso di scegliere 2oci come vetrina per la 43ª Mostra nazionale della razza Bruna, la prima che si svolge al di fuori dei confini di Veneto e Lombardia – commenta il presidente di Anarb, Pietro Laterza - per il contributo importantissimo che la razza Bruna porta all'economia, all'ambiente e

al paesaggio della Puglia e del Sud Italia". Ed è con lo stesso spirito di riconoscenza verso l'attività dell'A-narb che Fieragricola ha collaborato in partnership a questo primo Zoo-system tour, che si è svolto lo scor-so fine settimana.

Ironia della sorte, dopo tanti succes-si di allevatori pugliesi a Verona, nel ring di Fieragricola, la regina della mostra zootecnica viene da Lecco. "Si chiama Taverna Miriam, capo allevato dalla blasonata a-zienda Ciappesoni di Bulciago" dichiara Laterza.

Centro Sud premiato comunque in molte altre categorie: migliore mammella (con l'azienda Terranuo-va di Gioia del Colle), campionessa manze e giovenche (all'Agricola San Pietro di Noci), trofeo dei pre-sidenti all'Associazione provinciale allevatori di Bari, Bruna dell'anno (azienda Palmino Ferramosca di Tramutola, Potenza), premio latte qualità (azienda Petruzzi di Mono-poli).

Al Foro boario di Noci trionfano bellezza e funzionalità, eleganza e produttività. E si discute anche delle caratteristiche e del futuro della Bruna, una razza che nel giro di dieci anni ha registrato un incre-mento annuo di quasi 800 chilo-

grammi di latte e 103 chilogrammi di proteine. "Senza dimenticare – ricorda il direttore di Anarb, Enrico Santus, uno dei relatori del conve-gno dedicato proprio alle prospetti-ve della Bruna – che il calo produt-tivo in condizioni di temperature meteo elevate non arriva ai due chilogrammi per animale, contro gli otto di altre razze".

Inoltre, la Bruna è l'unica razza che può contare su un progetto inter-nazionale – al quale aderiscono, oltre all'Italia, Austria, Francia, Germania, Svizzera, Slovenia e Stati Uniti - dedicato alla genomica e allo studio del Dna. I vantaggi di conoscere informazioni approfondi-te su aspetti legati alla genomica avranno vantaggi pratici in termini di fecondazione artificiale, consan-guineità, produttività, agevolando gli obiettivi di ciascun allevatore, in termini di miglioramento genetico e di selezione dei capi.

150 anni di allevamento: buon compleanno Bruna!

La razza Bruna è allevata in Italia dal 1861 circa, con un contributo importantissimo per l'economia. I numeri a Zoosystem tour, appena concluso a 2oci (Ba) Agronotizie 289 - 16/03/2011

La razza Bruna è allevata in Ita-

lia dalla seconda metà dell'800

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“Un errore strategico irrecuperabi-le smantellare il sistema zootecnico rappresentato da Aia, Ana, Ara e Apa che da oltre sessanta anni è protagonista dell’attività di miglio-ramento genetico a favore dell’inte-ra collettività nazionale e che ga-rantisce i più elevati livelli di sicu-rezza alimentare per i consumatori, rispettando al contempo i requisiti di benessere animale e qualità delle produzioni. Un sistema invidiato in Europa e al Mondo e che ha l’in-contestabile pregio di aver creato e mantenuto omogenei i controlli funzionali nelle aziende zootecniche di tutto il Paese”.

Questo il commento del presidente dell’Associazione Italiana Allevato-ri (Aia), ino Andena, sul pesante clima di incertezza che continua ad esistere in merito alla prosecu-

zione dell’attività del Sistema Al-levatori sul territorio, messa a ri-schio dalla mancanza di sicurezza

riguardo ai finanziamenti pubbli-

ci per l’attento e quotidiano lavoro di raccolta dei dati di controllo fun-zionale e per la selezione animale. “Riteniamo inconcepibile ed autole-sionistico per il Sistema Paese - rimarca Andena - un atteggiamento come quello attuale che non solo mette in discussione la consolidata esperienza acquisita dal sistema allevatoriale dal dopoguerra ad oggi, ma nega gli inconfutabili ri-sultati conseguiti anche a livello internazionale nel campo del mi-glioramento genetico”. “2essuno in Italia meglio dei tecni-ci operanti nell’Organizzazione

degli Allevatori - afferma da parte sua il direttore generale Aia Paolo

Scrocchi - conosce e può gestire al meglio le attivi-tà di raccolta dati pro-duttivi effettuate costan-temente nelle stalle na-zionali. L’attestazione della validità assoluta dei nostri controlli funzionali è testimoniata dal recente importante conseguimen-to della certificazione di qualità ICAR (International Comittee For Animal Recording, l’organismo internazio-nale che definisce, tra l’altro, gli standard ope-rativi per la raccolta dei dati del controllo funzio-nale). In particolare, la suddetta certificazione riguarda sia l’attività di identificazione degli animali sia quella di controllo fun-zionale e l’Aia è stata tra le prime organizzazioni al mondo a potersi fregiare di questo prestigioso rico-noscimento, che altri paesi a zoo-tecnia evoluta - come gli Usa e il Canada, spesso suggeriti quali e-sempi da seguire - non hanno anco-ra ottenuto. Inoltre, questa certifi-cazione assicura la massima atten-dibilità del dato di controllo funzio-nale risultante dalla nostra attivi-tà”. Il segretario generale dell’ICAR, Andrea Rosati, a tal proposito sot-tolinea: “la certificazione di qualità ICAR garantisce la rispondenza delle attività legate al controllo funzionale alle norme internaziona-li stabilite dallo stesso Comitato, norme miranti a rendere il dato attendibile e confrontabile a livello internazionale. In particolare, il servizio di certificazione fornito da ICAR rappresenta un vero e pro-prio riconoscimento internazionale della correttezza delle attività dei controlli e della loro attendibilità”.

“Sono contento - continua Rosati - nel constatare che l’Aia per l’Italia è stata tra le prime ad aderire alle nostre indicazioni ed ottenuto la certificazione di qualità ICAR”. “Siamo amareggiati - conclude Nino Andena - che vengano messi a repentaglio posti di lavoro nono-stante che l’attività del sistema al-levatori accolga plausi bipartisan in Parlamento e venga apprezzata in ogni sede pubblica per il suo ruolo chiave nel garantire competi-tività alle imprese zootecniche ita-liane e ne venga evidenziato il fon-damentale contributo per la sicu-rezza alimentare. 2on riusciamo inoltre a capire le motivazioni per le quali non si riesca a convocare l’incontro fra Governo e Regioni per definire la delicata questione del finanziamento delle Associazio-ni provinciali allevatori (Apa), ma al tempo stesso non possiamo ac-cettare che il destino di 4.000 fami-glie di lavoratori sia messo a ri-schio a causa di dinamiche del con-fronto politico che non appartengo-no al nostro modo di essere e di lavorare”.

Sostegni negati ad Aia, situazione insostenibile

Il presidente di Aia, ino Andena, lan-

cia un appello al mondo politico per

sbloccare la situazione

Per l'Associazione degli allevatori mancano le risorse per svolgere le normali attività. A rischio il pro-gresso genetico e il futuro di 4000 famiglie di lavoratori Agronotizie 293 - 14-04/2011

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Si è concluso il convegno nazionale sul futuro della Pac 2013 e la pro-duzione zootecnica organizzato a Padova da Fedagri Confcooperative in collaborazione con Azove. Oltre 250 persone hanno assistito ai lavori che hanno coinvolto tecnici del settore e rappresentanti delle istituzioni: Maurizio Gardini, pre-sidente di Fedagri, Giuseppe Bo-

rin, direttore di Azove e presidente della Consulta Bovina di Fedagri, il professor Vasco Boatto docente di Economia agraria all’Università di Padova, Felice Assenza, dirigente Mipaaf - Politiche comunitarie e internazionali di mercato, l’assesso-re regionale all’Agricoltura Franco Manzato e il presidente della Com-missione Agricoltura al Parlamento europeo, Paolo De Castro. Presenti in sala anche i parlamentari europei Giancarlo Scottà e Sergio Berlato.

Preoccupazione e voglia di incidere

in modo forte e positivo sulle future politiche agricole hanno animato il corso dei lavori perché, a fronte di un cauto ottimismo basato su al-

cuni segnali positivi dei mercati, è forte il senso di oppressione della burocrazia che si teme possa au-mentare con la nuova Pac e che vengano meno gli aiuti finora ga-rantiti al comparto. L’analisi si è soffermata in partico-lare su tre aspetti: il mercato, la Politica agricola comunitaria e lo stato di salute della zootecnia da

carne in Italia.

Gli interventi

Paolo De Castro, presidente

Commissione europea Agricoltu-

ra “Gli allevatori devono essere con-sapevoli che la riforma Pac non ci

consentirà di mantenere livelli di

aiuti diretti differenziati per setto-

re. Per questo occorre trovare nuo-

vi strumenti per salvaguardare le

carni bovine, da ricercare attraver-so i risparmi attivabili elevando i limiti minimi per accedere ai con-tributi oltre che da meccanismi

nuovi simili all’-attuale "articolo 68" che prevede premi specifici per alcune filie-re".

Franco Manza-

to, assessore

Agricoltura Re-

gione Veneto “In questo mo-mento è fonda-mentale fare si-nergie con altri operatori del settore per far fronte alle esi-

genze del comparto laddove l’ente pubblico non può più sostenere da solo il settore. 2ella Conferenza Veneta per l’Agricoltura abbiamo fatto una riflessione: nonostante la crisi, il primario si dimostra un

settore solido, ciò significa che è fondamentale investire di più sull’-agricoltura in Italia. Gli Stati gene-rali dell’Agricoltura veneta hanno messo insieme oltre 1.500 operatori per costruire una visione strategica comune per il Veneto. Anche il mi-nistro Romano sta lanciando gli Stati Generali del settore a livello nazionale, è una scelta importante".

Giuseppe Borin, presidente Con-

sulta bovina Fedagri “Alla Pac chiediamo il manteni-mento del budget e la giusta atten-zione alla distribuzione tra Paesi: attualmente l’Italia paga più di

quanto riceve dall’Europa. E’ fon-damentale che vengano mantenuti

gli aiuti a titolo speciale, con para-metri da individuare quali la consi-stenza dei capi o la perdita del red-dito. Il passaggio dovrà essere gra-duale individuabile nei 3 o 5 anni ipotizzati. Come rappresentante di Azove, realtà cooperativa e unica Organiz-zazione di Produttori in Veneto, per noi è fondamentale il riconoscimen-to delle Op come strumenti di ge-stione dei mercati, capaci di pro-grammare l’offerta, migliorare la commercializzazione ed intervenire con appositi fondi mutualistici".

Maurizio Gardini, presidente

Fedagri Confcooperative “Gli interventi della prossima Pac dovrebbero tener conto delle pecu-liarità del comparto zootecnico, caratterizzato da forti squilibri tra domanda ed offerta, dall’aumento dei costi di produzione e degli oneri burocratici (si pensi all’attuazione delle norme per il rispetto della direttiva nitrati o per la riduzione di gas serra), oltre che dall’aumen-to dei prezzi delle materie prime per l'alimentazione dei bovini, co-me mais e altri seminativi. Per questo auspichiamo che in sede di riforma comunitaria vengano

introdotti nuovi strumenti di mer-

Zootecnia e Pac post-2013, le richieste del comparto

Oltre 250 allevatori e associazioni del settore zootecnico all'incontro organizzato da Azove e Fedagri Confcooperative Agronotizie 295 - 28-/04/2011

Padova, convegno su zootecnia e Pac post 2013

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cato, gestiti direttamente dalle Op, che potrebbero compensare l'even-tuale perdita di valore dei diritti di pagamento unico aziendale al ter-mine di un adeguato periodo transi-torio che ci traghetti verso la Pac del futuro”.

Professor Vasco Boatto

“E' un momento cruciale per il futuro del comparto, che si ritrova ad affrontare una riforma legittima di cui non si avvertiva l’esigenza, all’interno di uno scenario econo-mico caratterizzato da luci ed om-bre. Tra i segnali positivi c’è da registrare una ripresa della doman-da e dei prezzi cui si contrappone un preoccupante aumento del costo delle materie prime. Veneto, Lom-

bardia, Piemonte sono le tre regio-ni che continuano a trainare il

comparto in Italia e la Francia continua ad essere il primo mercato di riferimento nell’acquisto di ani-mali vivi da ristallo".

Felice Assenza, dirigente del Mi-

paaf “In Europa ci stiamo muovendo alla ricerca di alleanze con altri

Paesi, ma nell’ambito della zootec-nia da carne ci sono delle difficoltà perché i nostri interessi divergono

da quelli di Paesi a forte vocazione zootecnica come Germania, Fran-cia e Inghilterra. Il contesto globale è a tinte fosche, in particolare ci preoccupa la volatilità dei prezzi. Per questo, per la prima volta an-che all’interno del G20, l’agricoltu-ra sta svolgendo un ruolo fonda-mentale e ci si sta concentrando sulle manovre da attuare per il con-tenimento della volatilità dei prez-zi”.

I numeri

La produzione negli ultimi 10 anni cresce in Brasile e India, mentre rimane sostanzialmente stazionaria la situazione in Europa. Il Consu-mo interno di carne di manzo e vi-tello è del 21% negli Stati Uniti, del 15 % in Europa e del 13 % in Brasi-le mentre non si è ancora verificato il previsto aumento dei consumi nei nuovi Paesi emergenti (Cina, Rus-sia, Argentina, India e Messico).

In Italia il consumo di carne bovi-na, dopo la forte crisi del biennio 2008-2009, fa registrare un avvio di ripresa, con una ripresa anche nelle importazioni delle carni fresche e refrigerate e un aumento dell’espor-tazione delle carni italiane congela-

te. In Veneto si registra una riduzione delle macellazioni e un calo dell’in-gresso di bovini vivi: 621.278 nel 2010 contro gli 817.034 del 2005. In particolare si registrano forti contrazioni nelle province più voca-te alla zootecnia. In media hanno guadagnato le gran-di aziende e in genere le realtà or-ganizzate in filiera fino al consumo, perdono invece le aziende più pic-cole e comunque non organizzate in filiera.

el mondo cresce la domanda di

carni bovine e cresce l’offerta di Asia a e America latina. L’Unione Europea registra invece una leggera flessione e in Italia il calo negli ultimi 10 anni è del 10%. Nel nostro Paese gli animali da meno di 1 anno a più di 2 anni sono 6.100.000 suddivisi al 72% al Nord, il 20% al Sud e solo l’8% al Centro. Oggi l’Europa importa circa il 45-%-50% del fabbisogno. Dati Ismea testimoniano come il 51% del valore lungo la filiera pro-duttiva sia intercettato dalla distri-buzione, il 24% dalla materia pri-ma, il 13 % dall’industria e il 12% dall’importazione.

Tre anni di attività intensa e con un bilancio positivo quelli del Comita-to direttivo di Anarb (Associazione nazionale allevatori di razza Bru-na), guidato dal presidente Pietro Laterza e giunto alla conclusione del suo mandato triennale. L'assem-blea dei soci per il rinnovo delle cariche, che si è svolta a fine aprile, è stata l'occasione per ripercorrere le principali tappe del lavoro sin

qui svolto.

“Con una punta di orgoglio - ha ricordato Pietro Laterza - possiamo enumerare alcuni importanti tra-guardi raggiunti in questi 36 mesi di intenso lavoro, senza sottacere le criticità esistenti e, in alcuni casi, ancora perduranti.” “Siamo stati in prima linea - ha proseguito Laterza - nel creare un progetto mondiale sulla genomica, che oggi è di esem-pio per tutte le razze. Abbiamo insi-stito nella promozione del concetto di “diversità del latte”, sia verso i consumatori con il marchio disola-bruna®, sia verso i trasformatori grazie al test kappa. Abbiamo e-splorato, inoltre, nuove vie di inve-

stimento a lungo termine, con l’in-stallazione di un importante im-pianto fotovoltaico, presso la sede, e con la completa conversione del-l’intero impianto di raffreddamento

Alla guida della Bruna Rinnovo dei vertici di Anarb, l'as-sociazione degli allevatori dei bovi-ni di razza Bruna, che archivia tre anni di buoni risultati Agronotizie 296 - 05/05/2011

Page 30: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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e di riscaldamento per sfruttare al massimo l’energia prodotta in lo-co.”

A sottolineare questi risultati, la decisione di trasferire presso A-

narb la sede della Federazione europea della razza Bruna, che aveva sede in Svizzera. Nel 2010 sono state prese decisioni importan-ti anche per l’attività espositiva, con la storica deliberazione di organiz-zare una mostra nazionale, una pri-ma assoluta per il comparto latte, nel Sud d’Italia, presso il Foro Boa-rio di Noci, in provincia di Bari.

Parlano i numeri

“Gli elementi di criticità - ha con-cluso Laterza - non vanno accanto-nati. Il numero dei capi di Bruna allevato in Italia non è riuscito a discostarsi da un trend generale di diminuzione delle vacche da latte

nella Penisola e in Europa.” Intan-to, come si può leggere dalla docu-mentazione presentata all'assemblea di Anarb, i dati produttivi del 201-0 evidenziano un incremento di 0,02 della percentuale di proteine del latte della razza Bruna (che pas-sa da 3,52% a 3,54%) e un aumento di 0,03 della percentuale di grasso (da 3,94% a 3,97%). Confermato inoltre l'andamento positivo della qualità del latte di Bruna. Indica-tiva al riguardo l'alta percentuale di geni “BB” della k-caseina. Il diret-tore Anarb, Enrico Santus, ha poi illustrato una approfondita sintesi delle attività svolte e dei risultati raggiunti nel 2010 da parte dell’in-tera struttura Anarb.

Gli eletti

A conclusione dei lavori l’assem-blea ha nominato il nuovo comitato direttivo dell’Associazione. Sono

stati eletti: Daniele Pennati (Verbania), Giovanni Giudici (Bergamo), Fausto Pedranzini (Sondrio), Alois Hellrigl (Bolzano), Peter Zischg (Bolzano), Silvano Rauzi (Trento), Martini Barzolai Marcello (Belluno), Lorenzo Rigoni (Vicenza), Corrado Barella (Parma), Pierluigi Morelli (L’Aquila), Palmino Ferramosca (Potenza), Francesco D'Onghia (Taranto), Pietro Laterza (Bari), Maurizio Maccarone (Enna) e Gio-vanni Molinu (Sassari). Per il Col-legio Sindacale sono stati eletti: Franco Pollani e Andrea Buti come sindaci effettivi, Giovanni Cappello e Pietro Francesco Meschini quali sindaci supplenti. Infine, Alessan-dro Nardone e Filippo Sembianti sono stati designati componenti del Collegio probiviri. A loro il compi-to di designare il presidente che dovrà guidare la crescita dell'as-sociazione per i prossimi tre anni.

Ancora nessuna schiarita all'oriz-zonte per il finanziamento delle attività dell'Associazione italiana allevatori (Aia) nel campo della selezione e della tenuta dei Libri Genealogici. Un problema sul quale più volte Agronotizie ha puntato l'attenzione per sottolineare il ri-schio di annullare i progressi sin qui compiuti e che hanno portato la zootecnia italiana a primeggiare in campo genetico. Le difficoltà ri-guardano ora anche i lavoratori impegnati nel “sistema allevatori” e già i sindacati hanno deciso una manifestazione nazionale per il 19

maggio. “I pesanti problemi oggi vissuti dalle associazioni degli alle-vatori o meglio dai loro dipendenti

- ha dichiarato il segretario generale della Fai-Cisl Augusto Cianfoni - sono l'esito annunciato di tante demagogie e di non poche cattive gestioni diffuse negli ultimi anni.” “Le demagogie - continua Cianfoni - sono quelle di una politica pastic-ciona come quella che nel 2001 riformò il titolo V della Costituzio-ne creando la babele nella sussidia-rietà innescando un conflitto per-manente tra Stato e Regioni. 2el caso specifico delle associazioni allevatori, il miglioramento geneti-co e i relativi controlli sarebbero dovuti restare nelle competenze dello Stato.”

Risorse e riforma

La richiesta ora è quella di un de-creto d'urgenza che metta a disposi-zione le risorse necessarie alle atti-vità di Aia e che consenta al con-tempo, conclude Cianfoni, di attua-re “una radicale riforma del siste-ma dalla quale scaturisca un tra-

sparente concorso tra pubblico e privato."

Posizioni analoghe sono sostenute da Flai Cgil, che aderisce alla mani-festazione del 19 maggio. "Come Flai Cgil - si legge in una dichiara-

Gli allevatori scendono in piazza Si terrà il 19 maggio la protesta per il mancato finanziamento delle attività dell'associazione allevatori (Aia) Agronotizie 296 - 05/05/2011

Il logo di Aia

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zione del segretario Giovanni Min-

nini - ci siamo impegnati, sin dal-l'approvazione della legge finanzia-ria della scorsa estate, a richiedere il ripristino delle risorse destinate al sistema, risorse “evaporate” per l'effetto congiunto dei tagli operati dal governo alle risorse destinate

alle funzioni delegate alle regioni e per la mancanza di quel Dpcm che, fino allo scorso anno, ne finalizzava specificamente una quota parte al finanziamento alle attività di sele-zione e miglioramento genetico e tenuta dei libri genealogici.” Min-nini ricorda poi l'impegno alla con-

vocazione di un tavolo interministe-riale che avrebbe dovuto affrontare il problema, tavolo che non è mai stato convocato. La protesta degli allevatori servirà anche a ricordare gli impegni presi e non assolti.

“L’impegno del ministro Saverio

Romano per risolvere il problema del finanziamento al sistema alleva-tori - dichiara il presidente di Aia ino Andena - si è tramutato in realtà. E i 25milioni di euro di ri-sorse che il Mipaaf ha reperito so-no la testimonianza concreta di quella attenzione ai problemi del nostro settore che Romano ha di-mostrato sin dai primi giorni del suo insediamento in via XX Settem-bre”.

La dichiarazione del reperimento delle risorse per il sistema allevatori giunge mentre all’Aia è in corso la Giunta esecutiva. “Con una stretta di mano - commenta Andena - il ministro Romano mi aveva assicu-rato che avrebbe fatto tutto il possi-bile per risolvere il problema finan-ziario. Oggi posso affermare che è un uomo di parola e per questo lo ringrazio.”

Un primo passo per sbloccare la situazione di stallo in cui le Apa si sono venute a trovare, a causa della mancata erogazione dei finanzia-menti che consentono loro di poter svolgere le attività in cui sono im-pegnate sul territorio. “2on possia-

mo certo considerare finita l’emer-genza - conclude Andena - e confi-diamo che la decisione del Mipaaf si ripercuota positivamente anche a livello regionale, dando modo di reperire le altre risorse necessarie per continuare il lavoro che Aia, Ara e Apa portano avanti da oltre 60 anni in ogni provincia italiana, al servizio degli allevatori e del consumatore”.

I commenti

Commenti positivi sono giunti dal segretario generale della Uila Uil, Stefano Mantegazza, che ha di-chiarato: "finalmente, dopo mesi senza stipendio e una grande pre-occupazione per il loro futuro, gli oltre tremila dipendenti delle asso-ciazioni allevatori ricevono un pri-mo aiuto concreto." Decisivo l'in-tervento del ministro Saverio Ro-mano secondo il parere di Augusto

Cianfoni, segretario generale della Fai Cisl, che si è detto "grato nei confronti del ministro Romano per avere interrotto, con ammirevole senso dello stato, lo stillicidio tra governo nazionale e regioni riguar-do alle risorse e al destino delle associazioni degli allevatori." L'assessore all'Agricoltura dell'E-milia Romagna, Tiberio Rabboni, invita il ministro a presentare a bre-ve alle regioni una proposta di co-pertura finanziaria e di riorganizza-zione del sistema allevatori. Da parte del ministero arriva nel frat-

tempo la conferma dell'istituzione di un tavolo tecnico dal quale defi-nire un progetto di rilancio com-plessivo dell'associazione allevato-ri. Il primo appuntamento è già fis-sato per il 27 maggio.

E' una storia lunga quasi 40 anni quella dell'allevamento Sabbiona nel campo della selezione della bovina da latte. Iniziata nel 1973 con un gruppo di 100 manze ameri-cane e canadesi, l'attività di selezio-ne è proseguita senza soste in questi anni ed oggi l'azienda vanta una presenza di 1100 capi con 450

vacche in lattazione. Di tutto ri-spetto le medie produttive, 107 quintali di latte per capo al 3,80% di grasso e 3,40% di proteine. Oggi l'allevamento Sabbiona si è arric-chito di una nuova stalla, intitolata “La Nuova Casa delle Campiones-se”. L'inaugurazione ufficiale av-verrà il 23 giugno in occasione della “Giornata all'Aperto Naziona-le Purina®” che si terrà presso l'a-zienda Sabbiona di Ireneo e Fran-cesco Ciserani a Brembio, nei pres-si di Lodi. Sabbiona collabora dal '96 con Purina® per la gestione alimentare della mandria. Il pro-gramma della giornata prevede alle 14,30 la registrazione dei parteci-panti. Si prosegue alle 15 con la sfilata delle vacche, ring e aggior-namento giudici, esperti ed alleva-tori.

Una boccata di ossigeno per il sistema allevatori

Dal ministero dell'Agricoltura arri-vano 25 milioni per sostenere le attività dell'associazione allevatori Agronotizie 298 - 19/05/2011

Le campionesse del latte Appuntamento all'allevamento Sab-biona di Brembio per la Giornata all'Aperto 2azionale Purina® Agronotizie 302 - 16/06/2011

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"Dobbiamo rispondere in maniera rapida ed efficace alla crisi che sta attraversando il settore della carne bovina. Si tratta di un problema che riguarda, in tutta Europa, mezzo milione di allevamenti, migliaia di stabilimenti di macellazione tra-sformazione e che rischia di avere pesanti ripercussioni dal punto di vista occupazionale". Lo ha dichia-rato il ministro dell’Agricoltura

Saverio Romano da Debrecen (Ungheria) dove si è svolto il Con-siglio informale dei ministri dell'A-gricoltura dell'Unione europea. "C'è una forte preoccupazione ed apprensione - ha sostenuto - circa le conseguenze che questa crisi può generare e per questo è necessario che tutte le istituzioni svolgano un lavoro corale e sinergico per af-frontare la situazione ed attuare

misure che possano salvaguardare il settore''. Romano ha sottolineato quindi "la necessità di agire in ma-niera tempestiva a partire dall'isti-tuzione di un gruppo di alto livel-

lo che elabori le misure più oppor-tune per fare fronte alle problemati-che del settore, consentendogli di entrare in una fase di rilancio e rin-novata competitività". "L'Italia - ha spiegato il ministro - sta lavorando insieme a Belgio, Grecia, Olanda, Spagna, Austria, Francia, Polonia, Irlanda, Porto-gallo e Finlandia, per elaborare un memorandum che raccolga idee e proposte in grado di far uscire il settore dalla crisi che sta attraver-sando". Romano ha quindi eviden-ziato i rischi legati alla chiusura di accordi bilaterali con i Paesi

del Mercosur che "potrebbero met-tere seriamente a rischio la soprav-

vivenza delle nostre aziende". Pareri favorevo-

li L’intervento del ministro dell’A-gricoltura ha rac-colto il plauso del vicepresidente di Assocarni, l'asso-ciazione dell'in-dustria italiana della carne, Luigi Scordamaglia che ha espresso "piena soddisfa-zione per l'atten-zione manifestata dal ministro a

favore del settore bovino". "E’ mol-to positivo - ha sottolineato Scorda-maglia - il fatto che il ministro Ro-mano abbia sin da subito richiesto la creazione di un gruppo ad hoc di alto livello che consenta di indivi-duare le opportune misure per af-frontare le problematiche e ridare slancio e competitività al settore". Il gioco di squadra con gli altri Paesi della Ue interessati alla ripre-

sa del settore della carne bovina è stato salutato con soddisfazione ed è una premessa importante per dare una reale svolta alle politiche di sostegno agli allevamenti, altrimen-ti a rischio chiusura. Per il presidente della Cogeca, Pao-lo Bruni, per rispondere ai proble-mi degli allevamenti occorre pro-muovere le Organizzazioni dei Pro-duttori alle quali affidare la gestio-ne di talune misure di mercato e in particolare occorre lasciare loro la possibilità di programmare la pro-duzione. Una proposta che certa-mente troverà il favore dei consorzi dei circuiti Dop.

Prezzi bassi e costi alti. Ne soffrono un po' tutte le produzioni agricole, e fra queste la filiera della carne bovina pare essere la più colpita. Colpa dei molti problemi che deve affrontare chi si cimenta in questa difficile attività, a iniziare dalla scarsa disponibilità di aree a pasco-lo alla mancanza di ristalli, di ani-mali giovani da ingrassare. Così finisce che in molti casi la carne italiana nasce altrove (per lo più in Francia) per giungere nelle nostre stalle dove proseguire e terminare il periodo di allevamento e di finis-saggio. Certo non mancano gli alle-vamenti a ciclo completo, relegati il più delle volte a terreni marginali dove il vantaggio del pascolo (quando c'è...) viene compromesso dalla mancanza di infrastrutture. Non stupisce allora se il numero degli allevamenti, anche di bovini da carne va progressivamente

riducendosi, mentre per quelli che riescono a sopravvivere si riducono pericolosamente i margini.

Crisi del settore bovino, si passa al gioco di squadra L'Italia sta lavorando insieme ad un gruppo di altri Paesi per defini-re una strategia che ridia slancio agli allevamenti. Le proposte del ministro Romano al Consiglio in-formale dell'Agricoltura che si è svolto in Ungheria Agronotizie 300 - 01/06/2011

La crisi degli allevamenti coinvolge almeno mezzo

milione di aziende zootecniche Fonte immagine: Meiaponte Farm's

Bovini da carne, aiuti in ritardo

Entro il mese di giugno dovrebbe concludersi l'iter per la correspon-sione dei premi Agronotizie 303 - 23/06/2011

Page 33: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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Aiuti che non arrivano

Difficoltà che in molti casi si rie-scono a superare solo grazie ai so-stegni, pur se modesti, messi a di-sposizione del settore. E' il caso dei 50 milioni di euro destinati agli allevatori di bovini e previsti dal-l'articolo 68 del regolamento Ce 73/2009. Una boccata d'ossigeno che però tarda ad arrivare mettendo a dura prova la pazienza (e la resi-stenza) degli allevatori. L'attesa si protrae dal 2009 e in questi giorni gli allevatori hanno puntato il dito contro Agea, indicata come la re-

sponsabile di questi ritardi.

La risposta di Agea

Non si è fatta attendere la risposta di Agea che ha affidato ad un suo comunicato il compito di puntualiz-zare la situazione. “L'importo unita-rio - si legge nel comunicato - da riconoscere per ciascun capo bovi-

no ammissibile al beneficio della misura specifica, non può ancora essere stabilito dal coordinamento di Agea in quanto gli organismi pagatori non hanno ad oggi com-pletato l'istruttoria sul numero dei capi ammissibili.” Solo a fine mag-gio, afferma la nota di Agea, la ban-ca dati dell'Istituto Zooprofilattico di Teramo ha messo a disposizione

degli organismi pagatori gli ele-

menti utili per la determinazione dei capi ammissibili ad aiuto. “Fintanto che le operazioni di veri-fica non saranno terminate - conti-nua il comunicato - il coordinamen-to di Agea non potrà definire l'im-porto a capo da erogare.” Ma non si dovrà ancora attendere molto. Questa ultima parte dell'iter buro-cratico dovrebbe, infatti, conclu-dersi entro il mese di giugno. Poi toccherà agli organismi pagatori, cioè le Regioni oppure la stessa Agea per le regioni dove non sono presenti OP, mettere mano al porta-

fogli, sperando che non aggiungano ritardo al ritardo.

La replica degli allevatori

La vicenda sembrerebbe dunque avviarsi alla conclusione, ma gli allevatori riuniti nel Consorzio Ita-lia Zootecnica non sono per nulla soddisfatti. Il presidente del Con-sorzio, Fabrizio Barbisan, ha criti-cato con vigore l'aver atteso tanto tempo facendo trascorre tutto il 2010 senza che nessuno si premu-rasse di sollecitare e coordinare il flusso di dati necessario all'eroga-zione degli aiuti. Chi doveva preoc-cuparsi di organizzare il lavoro ed evitare ritardi nei pagamenti ha delle responsabilità delle quali tenere conto “vista anche - afferma Barbisan - la gravissima situazione economica in cui si dibatte la zoo-tecnia bovina da carne in italia".

Proprio una bella idea quella messa insieme da Italia Zootecnica per rilanciare le carni bovine in Italia. Più che un'idea è un vero e proprio progetto di “piano carni” che si basa su un marchio condiviso (Sigillo Italiano è una delle propo-ste), con un disciplinare di produ-zione unico, un sistema qualità rico-nosciuto dal Mipaaf e per finire una tracciabilità garantita da un sistema di di identificazione elettronica degli animali e dal controllo del DNA degli stessi animali. Sembra un disegno ambizioso, ma il presi-dente di Italia Zootecnica, Fabiano Barbisan, è certo di poterlo realiz-zare. Talmente certo che il progetto, nei suoi dettagli, è stato presentato

al ministero dell'Agricoltura in un incontro presenziato dai consiglieri Antonello Colosimo e Sebastiano Sanzarello. “2on siamo andati con il cappello in mano per chiedere sostegni pubblici - ha tenuto a pre-cisare Barbisan - ma conti alla ma-no abbiamo dimostrato che si pos-sono mettere insieme oltre 11 milio-ni di euro “privati” da destinare alla promozione della carne bovi-na.”

Ecco i soldi

Il come è presto detto. Con un mo-

desto prelievo da ogni stadio della

filiera si possono mettere insieme i capitali necessari per dare sostegno al settore con un esborso che per ogni singolo addetto si può conside-rare insignificante. L'esempio pro-posto prevede per l'allevatore un esborso di 0,006 euro per kg di car-ne. Al macellatore si chiedono 0,002 euro per chilogrammo e per il commerciante/distributore la quota è di 0,003 euro, sempre per ogni

chilo di carne. Si ottengono così 0,011 euro per ogni chilogrammo di carne, che moltiplicati per circa un milione di tonnellate di carne por-tano agli 11 milioni di euro con i quali la carne bovina potrebbe rial-zare la testa.

Cosa serve

Ma serve un organismo (il nome c'è già, IntercarnePro) che possa deli-berare i prelievi e poi un “Osservatorio Economico” per

Te lo do io il Piano Carni Il consorzio Italia Zootecnica ha messo a punto un progetto per ri-lanciare la carne bovina italiana. E ha escogitato anche come trovare i soldi Agronotizie 305 - 07/07/2011

Il logo di Italia Zootecnica

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superare le “chiacchiere” delle Bor-se merci tradizionali. L'elenco delle cose da fare continua con la neces-sità di far funzionare l'interprofes-sione della carne bovina in Italia, ottenere dal Mipaaf il riconosci-mento del Consorzio L'Italia Zoo-

tecnica, dare un unico disciplinare di produzione per gli allevatori,

rilanciare l'allevamento della vacca nutrice da carne e poi sviluppare la tracciabilità totale. E alla fine con-frontarsi con il mercato. Difficile ma non impossibile

Un progetto entusiasmante, non c'è dubbio. Ma le difficoltà, inutile

nasconderlo, sono molte e alcune davvero complicate, a iniziare dalla frammentazione del sistema carne in Italia. Ma non per questo il pro-getto è irrealizzabile. Ora la pros-sima mossa spetta al ministero del-l'Agricoltura con l'apertura di un tavolo tecnico dove discutere e affinare queste proposte.

“Il consumatore vuole essere sicuro che quello che mangia proviene da animali trattati bene e che hanno vissuto in allevamenti rispettosi della loro condizione.” Così dice Luigi Bertocchi del Centro di Re-ferenza Nazionale per il Benessere Animale presso l’Istituto Zooprofi-lattico della Lombardia e dell’Emi-lia Romagna, intervistato da Cre-monafiere. Ed è proprio dal Centro di referenza che è stato messo a punto un sistema di valutazione del benessere animale attualmente in sperimentazione presso oltre 300 allevamenti di bovini da latte in Lombardia, Emilia Romagna, Ve-neto, Trentino; nel progetto compa-re anche un importante marchio della grande distribuzione organiz-zata “che ha saputo intercettare l’esigenza del consumatore”, sotto-linea ancora Bertocchi. Come “funziona” Il sistema di valutazione sul benes-sere delle vacche da latte prevede una serie di osservazioni, 54 per l’esattezza, sulla base dei parame-

tri scientifici e normativi da cui sono state elaborate le linee guida per l’etichettatura che nel maggio dello scorso anno il Comitato eco-nomico-sociale europeo ha pubbli-cato sulla Gazzetta Ufficiale. “Attraverso questo Sistema - prose-

gue Bertocchi - non solo sarà possi-bile riportare sull’etichetta di latte e formaggi che il prodotto proviene da animali allevati nel rispetto di quanto stabilito dalla normativa comunitaria sul benessere, ma at-traverso le valutazioni scientifiche svolte dal nostro personale si potrà dimostrare il livello delle condizio-ni di benessere in cui le vacche sono state allevate. In sostanza, il sistema di valutazione rappresente-rà un ulteriore valore aggiunto a quanto prevede la normativa”. En-tro la fine di quest’anno si conta

di ultimare la sperimentazione e partire con l’applicazione completa entro l’inizio del 2012. “Riceviamo numerose richieste di allevatori che vorrebbero essere inseriti nella sperimentazione. E’ evidente - conclude Berticchi - che

pur in un momento di crisi del set-tore, gli allevatori hanno saputo cogliere il valore del sistema di valutazione che stiamo mettendo a punto. Lo testimonia anche la ri-chiesta di collaborazione che ci è arrivata dall’Aia (Associazione Italiana Allevatori) che ha chiesto di essere inserita nel sistema di valutazione del benessere a vantag-gio di tutti i suoi iscritti”. Appuntamento a Cremona L’allevamento, e dunque tutti gli aspetti relativi al benessere animale, saranno poi protagonisti alla Fiera Internazionale del Bovino da Latte (Cremona, 27-30 ottobre 2011), dove sono in programma numerosi incontri con specialisti internazio-nali per confrontarsi e approfondire i temi più urgenti del comparto.

Così si misura il benessere animale L'Istituto Zooprofilattico della Lombardia e dell'Emilia-Romagna ha messo a punto un sistema di valutazione del welfare nelle bovi-ne da latte Agronotizie 307 - 21/07/2011

Il benessere animale sarà uno degli argomenti al centro della prossi-

ma Fiera Internazionale del Bovino da Latte (Cremona, 27-30 otto-

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Un'occasione per fare il punto sulla situazione degli allevamenti, evi-denziare i problemi sul tappeto e individuare le strategie per risolver-

li. Questo il filo conduttore dell'an-nuale assemblea dell'Associazione italiana allevatori (Aia), che si è svolta il 14 luglio, come da tradi-zione a Roma. Questa volta l'atten-zione si è rivolta al problema dei mancati sostegni alle attività di Aia. Una via di uscita sembrava a portata di mano con l'impegno del ministro dell'Agricoltura, Saverio Romano, a reperire 25 milioni (in realtà ne servirebbero circa 60), indispensabili per non interrom-

pere il funzionamento del

“sistema allevatori”. Ma a quanto pare il problema è tutt'altro che risolto, come ha denunciato il presi-dente di Aia, ino Andena, duran-te i lavori dell'assemblea. “I 25 mi-lioni di euro reperiti - ha detto An-dena - non sono stati erogati e con-fidiamo che a breve il ministero dell’Economia dia il suo via libera, sbloccando la situazione”. L'incer-tezza sulla disponibilità di queste risorse, ha rimarcato Andena, ral-lenta le attività e mette in crisi i

servizi resi agli allevatori. Ma la

partita pare non riguardare più il ministero dell'Agricoltura, ha preci-sato il Sottosegretario per le Politi-che agricole Roberto Rosso, inter-venuto all'incontro degli allevatori, ma passa nelle mani delle Regioni. Per avere una risposta bisognerà allora attendere il 28 luglio, data fissata per la prossima Conferenza Stato-Regioni. Attendersi una rispo-sta positiva è forse peccare di trop-po ottimismo, visto che già in pas-sato la stessa Conferenza Stato-

Regioni non aveva fornito risposta al problema. Selezione a rischio

Il rischio che si corre, si è detto a chiare lettere nell'assemblea di Aia, è quello di interrompere un per-

corso virtuoso nel campo della

selezione e del miglioramento ge-netico che si sta portando avanti da circa 60 anni. Un progresso al quale le nuove conoscenze, come quelle nel campo della genomica, potreb-bero imprimere un'ulteriore accele-razione. Innovazioni, queste ultime, che preludono a traguardi importanti

nella selezione di ani-mali più produttivi,

più longevi e più resi-

stenti. Traguardi che oggi sono messi in di-scussione dalle difficol-tà finanziarie. “È un processo continuo - dice Andena - che non si può fermare perché vanifi-cheremmo il lavoro svolto sino ad oggi e che ci vede impegnati in prima linea insieme alle associazioni di specie e di razza.” on c'è solo la selezio-

ne

Le attività di Aia, ha poi voluto ricordare il presi-dente di Aia, non si li-mitano alla selezione e al miglioramento geneti-co, ma si allargano al-l'assistenza tecnica agli allevatori, ai temi del

benessere animale (sono stati organizzati centinaia di corsi per gli allevatori), alla sicu-rezza alimentare. A questo propo-sito sono stati ricordati i successi ottenuti dai prodotti a marchio Ita-lialleva che garantiscono al consu-matore il 100% di origine italiana. “Una risorsa importante per il si-stema Italia - ha detto Andena - che i ritardi nell’erogazione dei finan-ziamenti stanno realmente compro-mettendo.”

No soldi, no selezione Il sistema allevatori attende ancora che vengano messe a disposizione le poche risorse finanziarie che erano state promesse. Se ne è parla-to durante l'assemblea di Aia Agronotizie 307 - 21/07/2011

el corso dell’assemblea generale Aia è stato conferito il premio Italialleva

“Latte e carne 100% Italiani”. Il premio è andato all' In.al.pi. (nella foto da sini-

stra il presidente di Inalpi, Ambrogio Invernizzi) alla Co.pro.car (secondo da

sinistra Andrea Masci, presidente di Coprocar). Alla consegna dei premi era

presente (terzo da sinistra) il Sottosegretario Roberto Rosso e al suo fianco il

presidente di Aia, ino Andena.

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“Un passo avanti nel rafforzamento della sicurezza della catena alimen-tare della Ue.” Così il Commissario europeo per la Salute, John Dalli, ha commentato la decisione della Commissione di introdurre negli allevamenti di bovini l'identifica-zione elettronica degli animali. Con l'applicazione sottocutanea di un microchip, come già avviene per molte specie animali da compagnia, come ad esempio i cani, sarà possi-bile identificare con precisione e con facilità ogni animale. Oggi l'i-dentificazione, obbligatoria ai fini del controllo della filiera bovina e per la gestione dell'anagrafe bovina, si effettua con l'apposizione di marche auricolari nelle quali sono riportati i dati dell'allevamento e dell'animale. Molti i loro limiti, dai problemi di lettura che obbligano ad avvicinarsi agli animali (si pensi alle difficoltà per quelli all'aperto), ai frequenti smarrimenti di queste targhette che con una certa facilità possono staccarsi. Per di più tutte le operazioni di registrazione dei dati vanno compiute manualmente, cosa che avviene spesso con ritardo. La sostituzione delle marche auricolari con i microchip evita questa serie di inconvenienti, in quanto la lettura può avvenire ad una certa distan-

za dagli animali e i dati raccolti possono essere immediatamente trasferiti al centro di gestione dell'a-nagrafe, che per l'Italia è presso l'istituto Zooprofilattico G. Capora-le di Teramo. Anche l'inserimento del microchip è cosa quanto mai semplice, veloce e indolore. A que-sti vantaggi l'identificazione elettro-nica aggiunge quella di essere un deterrente all'abigeato, come si

definisce il furto di animali. La semplificazione delle procedure di registrazione dovrebbe poi rifletter-si in una significativa riduzione dei costi di gestione.

Le tappe

Il passaggio dal vecchio sistema non è però cosa semplice, tanto che la proposta della Commissione pre-vede che l'introduzione dell'identifi-cazione elettronica avvenga su base volontaria, lasciando ai singoli stati membri la decisione di intro-durre un regime obbligatorio a li-vello nazionale. Ora la parola pas-sa al Parlamento Europeo e al

Consiglio e la data di introduzione

del nuovo sistema dipenderà dai tempi con i quali queste due istitu-zioni europee si esprimeranno

Carta d'identità elettronica per i bovini

La Commissione Ue approva il progetto di identificazione dei bovi-ni tramite microchip Agronotizie 310 - 08/09/2011

Le marche auricolari per l'identi-

ficazione degli animali ora in uso

hanno molti limiti

Nella Conferenza Stato-Regioni del 27 luglio è stata sancita l’intesa sulla rimodulazione finanziaria delle risorse destinate alle Associa-zioni allevatori, garantendo la di-sponibilità al Sistema di 25 milioni di euro per l’anno 2011. Lo ha anti-cipato il presidente del-l’Associazione italiana allevatori, ino Andena, nel corso della Giunta esecutiva Aia che si è riuni-ta a Roma

Andena ha espresso un sincero ringraziamento per il senso di re-sponsabilità dimostrato da tutti i rappresentanti delle Istituzioni e dal coordinatore Dario Stefàno in

particolare.

Con l’intesa del 27 luglio si con-cretizza quel “faremo la nostra parte” enunciato dal presidente della Conferenza Stato-Regioni, Vasco Errani, in occasione del-l’incontro del 24 febbraio scorso.

Nel contempo, Andena non ha mancato di sottolineare che il prov-vedimento è un primo passo per l’anno in corso per lo svolgimento di attività che, per la loro stessa natura, hanno bisogno di una con-tinuità e certezza a carattere plu-

riennale, nel medio-lungo termine. Il presidente di Aia ha poi sottoli-neato che, già a partire dal prossi-mo anno, proprio per questo, vanno ripristinate le risorse in un provve-dimento quale quello rappresentato da un Dpcm, per non far restare le strutture sul territorio impastoiate in empasse procedurali dannose per il sistema.

Boccata d'ossigeno per l'Aia

Confermata la disponibilità di 25 milioni di euro per sostenere le attività del sistema allevatori Agronotizia 309 - 04/08/2011

Page 37: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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Un elevato contenuto di fibra, nella razione alimentare delle bovine da latte, fa bene. Lo dimostrano le più recenti prove sperimentali, lo testi-monia la qualità del latte prodotto.

“Molti allevatori si stanno orien-tando verso questa soluzione – commenta Mattia Fustini, veteri-nario responsabile dell’allevamento sperimentale esistente presso la facoltà di Veterinaria dell’Universi-tà di Bologna – che non solo per-mette di contenere i costi alimenta-ri, voce che copre oltre il 55% di quelli totali, ma soprattutto, con una razione composta per il 50-60% da foraggio, l’animale rumina di più favorendo una condizione di benessere che si traduce in un mi-glior stato sanitario”.

Per ottenere questi risultati è indi-spensabile però somministrare fo-raggi di ottima qualità, requisito che si determina anche individuan-do la giusta epoca di sfalcio e le più adeguate tecniche di fienagione e stoccaggio.

“Per ottenere questi risultati – con-tinua Fustini – molte aziende si stanno dotando di attrezzature sem-pre più innovative da un punto di vista tecnologico. Basti pensare ai moderni impianti di essicazione che permettono di eliminare quei fattori di rischio predisponenti la diffusio-ne, ad esempio, delle micotossine salvaguardando invece tutte le mi-gliori caratteristiche dell’alimento. A questa tecnologia se ne aggiunge

un’altra, relativamente più recente, oggi adottata da un numero ancora circoscritto di aziende. Parliamo del collare elettronico in grado di misurare il tempo di ruminazione della bovina, uno strumento inno-vativo che funziona con lo stesso principio del pedometro che rileva i calori – afferma il veterinario – Il suo impiego garantisce un monito-raggio in base al quale, calcolando per l’appunto il tempo di rumina-zione, è possibile stabilire lo stato sanitario dell’animale e intervenire laddove se ne ravvisi la necessità”.

“La redditività aziendale, che si traduce in ottima caseificazione e resa in formaggio del latte prodot-to, passa necessariamente dal be-

nessere degli animali – puntualizza Fustini – e questo riguarda anche l’alimentazione. Tutti i traguardi raggiunti in questi ultimi anni sono il risultato di un lungo lavoro lega-to alla ricerca scientifica, iniziato almeno un paio di decenni fa, quan-do alcuni strumenti e ancor più diversi obiettivi non erano nemme-no ipotizzabili”.

Dal 27 al 39 ottobre prossimi Cre-monaFiere ospiterà la 66ma edizio-ne della Fiera Internazionale del Bovino da Latte, la kermesse dive-nuta ormai appuntamento irrinun-ciabile per tutti gli operatori del settore; qui gli allevatori potranno trovare e toccare con mano novità tecniche e scientifiche provenienti da tutto il mondo, e certamente che anche sui temi dell’alimentazione sapranno trovare le risposte più idonee per la conduzione di un alle-vamento moderno ed efficiente.

L'elettronica in aiuto del benessere animale C'è anche un collare elettronico che verifica il regolare svolgersi della ruminazione, segno di una buona condizione di salute e di benessere. Anche di questo si parle-rà alla prossima fiera di Cremona Agronotizie 313 - 22/09/2011

Nuovo appuntamento a Cremona con la razza Limousine. L'occasio-ne è data dalla ottava edizione della mostra nazionale del Libro Genea-logico di questa razza che si terrà nel recinto fieristico cremonese in occasione della prossima Fiera internazionale del bovino da latte in programma dal 27 al 30 ottobre. Il concorso, organizzato da Anacli, l'Associazione nazionale allevatori delle razze bovine Charolaise e Limousine, si terrà giovedì 27 otto-bre nel Palazzetto delle Sport di Cremona, dalle ore 9,30 alle ore 15.30. Un appuntamento imper-

dibile per tutti coloro che vogliano apprezzare il valore genetico di una razza ben radicata in Italia, di stra-

ordinario successo in tutto il mon-do. “Tra queste novità la Limousi-ne con le sue eccezionali qualità materne e la qualità della sua car-ne, idonea a soddisfare le esigenze del consumatore moderno - affer-ma Roberto ocentini, presidente di Anacli - rappresenta una delle realtà più originali, importanti e significative, potendo costituire un’opportunità di redditività, ca-pace di contribuire alla valorizza-zione zootecnica di tutto il Paese, in ragione della sua versatilità e della qualità della sua car-ne.L'appuntamento si preannuncia di particolare interesse anche per via della forte espansione della razza in Italia cove attualmente

conta 16mila vacche iscrite al

Libro, diffuse lungo tutto lo Stiva-le. Alla diffusione della razza con-tribuisce in maniera significativa l'Anacli alla quale il Mipaaf ha affidato, sin dal 1999, la gestione del Libro Genealogico.

Cremona, appuntamento con la Limousine Ottava edizione della mostra na-zionale del Libro Genealogico di questa razza in occasione della fiera di Cremona Agronotizie 315 - 06-10/2011

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Sino all'ultimo si era temuto il bloc-co delle attività dell'Associazione allevatori (Aia) a causa della assen-za di finanziamenti. Poi a fine luglio, come riportato da Agronoti-zie, la Conferenza Stato-Regioni aveva garantito la disponibilità di 25 milioni. Pochi rispetto al passa-to, quando l'associazione poteva contare su disponibilità di oltre il doppio, ma sufficienti a “sopravvivere”. Sempre che non ci si mettano di mezzo politica e bu-rocrazia, che a quanto pare sono le responsabili dei ritardi e delle pre-occupazioni di Aral, l'associazione degli allevatori del Lazio. Ma ecco la “cronaca” degli ultimi giorni. Nel corso di una audizione in com-

missione Agricoltura della Regione Lazio i responsabili di Aral hanno espresso la loro preoccupazione per la chiusura anticipata del

bilancio regionale, che metterebbe a rischio le risorse destinate al siste-ma allevatoriale. Prima ancora le principali rappresentanze sindacali avevano stigmatizzato il mancato assegnamento dei contributi pubbli-ci (circa 1,5 milioni di euro), che oltre a compromettere l'operatività dell'associazione allevatori metteva in forse anche la corresponsione degli stipendi ai dipendenti della stessa associazione.

La conferma

Ma subito è arrivata la smentita dell'assessore regionale all'Agricol-tura, Angela Birindelli, che ha sot-tolineato come il Lazio sia stato fra le prime regioni (e poche altre se

ne sono aggiunte) a mettere a

disposizione le risorse finanziarie per gli allevatori destinando 3 mi-lioni al sistema Aia regionale. Una prima tranche di 1,4 milioni, ha

fatto sapere l'Assessore, è stata già pagata e la seconda figura fra gli impegni prioritari della regione. Ma gli allevatori continuano ad essere preoccupati sull'esito di que-sta seconda tranche di finanziamen-ti, sebbene con una successiva nota dell'assessorato all'Agricoltura sia stata confermata l'iscrizione nel bilancio regionale 2011 del comple-tamento degli aiuti previsti per gli allevatori. A queste note rassicuran-ti si aggiunge la conferma, pronun-ciata dall'assessore al Bilancio della regione Lazio, Stefano Cetica, dello sblocco immediato dei fondi. Insomma i soldi ci sono, speriamo che alla fine riescano anche ad arri-vare nelle casse dell'associazione allevatori.

Allevatori del Lazio, soldi in arrivo Confermato dalla Regione lo stan-ziamento per le attività dell'asso-ciazione regionale Agronotizie 317 - 20/10/2011

Si terrà a Cuneo, in località Ronchi, dal 4 al 6 novembre la 32esima edizione della mostra nazionale bovini di razza Piemontese. Ricco il programma della manifestazione che vedrà sfilare soggetti di alta genealogia che parteciperanno ai numerosi concorsi in programma. In occasione della manifestazione Anaborapi, l'associazione degli allevatori di questa razza, presente-rà un film documentario realizza-to in collaborazione con il Centro

Audiovisivi della Facoltà di Veteri-naria di Torino. Il film si compone di un video divulgativo di imposta-zione generale sulle caratteristiche della razza e di sette schede di ap-profondimento, a carattere didatti-co, sui vari aspetti dell'allevamento e dell'attività di selezione.

Il video verrà presentato in un cofa-netto doppio contenente due DVD, ciascuno a sua volta contenente 4 filmati che spazieranno dalle carat-teristiche della carne di Piemon-tese alle tecniche di allevamento. Non mancheranno approfondimenti sulle attività di selezione e sui ser-vizi che Anaborapi rende disponibi-

li agli allevamenti. Un valido stru-mento per conoscere più da vici-no una razza che si è imposta nel panorama internazionale per la pro-duzione di carne di pregio.

E' al via la 66esima edizione della Fiera internazionale del bovino da latte di Cremona, che dal 27 al 30 ottobre si trasforma in una vetrina sulle eccellenze italiane nel campo della selezione delle bovine da latte. Una vetrina dalla quale non poteva certo mancare la razza Bruna che con la regia di Anarb (Associazione nazionale allevatori bovini della

Una mostra e un film per la Piemontese

Appuntamento a Cuneo con la 32e-sima mostra di questa razza bovina alla quale è anche dedicato un vi-deo Agronotizie 318 - 27/10/2011

Cremona, 'life is Brown'

L’esposizione della selezione nazio-nale della razza Bruna vedrà in mostra alla fiera di Cremona bovi-ne in lattazione figlie di tori italiani Agronotizie 318 - 27/10/2011

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razza Bruna) sarà presente con un’-esposizione della selezione nazio-nale che vedrà in mostra le bovine di razza Bruna in lattazione figlie

di tori italiani. L'iniziativa è volta a valorizzare la genetica italiana, soprattutto agli operatori esteri, sottolineandone i punti di forza, in particolare la longevità funzionale e le produzioni di qualità.

La manifestazione sarà occasione di incontro anche per i ragazzi del Bruna junior club, che nella matti-

nata di domenica 30 ottobre, presso lo stand Anarb, parteciperanno alla designazione della “Regina della

selezione nazionale”.

Dal giovedì al sabato i visitatori potranno apprezzare al meglio le caratteristiche dei soggetti esposti nell’area Anarb, come pure la fre-schezza e la genuinità di alcuni fra i migliori formaggi tipici di qualità, marchiati disolabruna®, frutto della sapiente lavorazione del latte delle bovine brune. Peraltro va ri-

cordato che la Bruna può vantare alte rese alla caseificazione e otti-

me caratteristiche sensoriali dei

formaggi, come comprovano nu-merose esperienze scientifiche. Merito delle peculiari caratteristi-che del latte di questa razza, parti-colarmente idoneo per la caseifica-zione, con un elevato contenuto della k-caseina B (miglior razza per il genotipo k BB) ed un basso numero di cellule somatiche

Page 40: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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Curiosa coincidenza. Il 9 marzo è stato “celebrato” (ma gli allevatori preferirebbero forse dimenticarse-ne) il decennale del divieto di ma-

cellazione dei bovini adulti e delle bistecche con l’osso, le classiche fiorentine. Tutto per colpa di vacca pazza, morbo che stando al solito esagerato allarmismo dei media avrebbe dovuto decimare l’umanità ma che invece (e per fortuna) si è mantenuto nella “norma” (un mala-to ogni milione di persone, più o meno come la Creutzfeldt Jacob, dalla quale vacca pazza deriva). Per ricordare i dieci anni da quegli epi-sodi Coldiretti ha organizzato a Roma un incontro per analizzare come siano cambiate nel frattempo le abitudini alimentari degli italiani. A quanto emerge dalla analisi di Coldiretti e di UniVerde (quest'ultima presieduta da Alfonso

Pecoraro Scanio, già ministro del-l'Agricoltura e impegnato leader ambientalista), i consumi di prodot-ti tipici in questi anni sarebbero aumentati di oltre sei volte. Merito, si è affermato durante l'incontro, di “vacca pazza”, spartiacque fra un modello di sviluppo rivolto solo al contenimento dei costi e il successi-vo più attento alla qualità. Sarà, ma di qualità si parlava anche dieci anni fa e non è un caso se vacca pazza ha colpito meno in Italia che altrove. La cosa certa è che a pagare le conseguenze di un esagerato al-larmismo sono stati, come sempre, gli allevatori. E ancora oggi il mer-cato non li sta certo ripagando del danno subito.

Da vacca pazza all'influenza sui-

na

E mentre a Roma si parla di vacca pazza, curiosa coincidenza, si dice-va, il Parlamento europeo si interro-ga sui danni causati dall’influenza suina. Danni economici, si badi bene e non sanitari. Perché l’in-fluenza da H1N1 (la suina, appun-to) ha visto 2900 decessi contro i

40mila che annualmente sono causati da una comu-ne influenza. Ma tutti ri-cordano i titoli strillati

dai giornali, le allarmanti notizie riportate da ogni media, dalle reti televisive nazionali ai bollettini di quartiere. E poi la corsa ai vaccini e agli antivirali.

Miliardi spesi inutilmen-

te. Senza contare i danni agli allevamenti, con i con-sumi di carne suina (comunque incolpevole) azzerati. E mentre in Italia le farmacie erano inutil-

mente affollate, in altri paesi, come ad esempio in Polonia, di vaccini non c'è stato alcun bisogno. Perché si era intuita la portata della minac-cia. Inesistente.

Bruxelles vuole rimediare

Ora i deputati del Parlamento euro-peo vogliono correre ai ripari per evitare il ripetersi di episodi analo-ghi e hanno approvato una risolu-zione che si basa su tre pilastri: collaborazione, trasparenza e

definizione del rischio. La colla-borazione è quella che si richiede agli stati membri che nel ripetersi di emergenze sanitarie (vere e non immaginarie, si spera…) devono coordinarsi nelle strategie di pre-venzione e nell’acquisto di vaccini in modo da operare i maggiori ri-sparmi possibili. La trasparenza viene chiesta nei processi di valuta-zione e di comunicazione delle e-mergenze sanitarie. Gli esperti chia-mati ad esprimere le loro valutazio-ni dovranno dichiarare se si trovano in una situazione di conflitto di interessi. E per essere ancora più sicuri che non ci siano “tentazioni”, i deputati consigliano di garantire al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie il soste-gno necessario per eseguire i propri compiti in totale indipendenza. In-somma, chi grida al lupo non può essere un venditore di armi…

Infine la richiesta al-l’Organizzazione mondiale della Sanità di rivedere la definizione di pandemia. Tutti ricordiamo questo termine abbinato alla parola in-fluenza suina, abbinamento che ha contribuito ad alimentare un inutile ed esagerato allarmismo. Dunque si valuti non solo la diffusione geo-grafica (che è il criterio in base al quale una malattia è pandemica o meno) ma si tenga conto anche del-la gravità della malattia. Insomma, se allarme deve essere, che sia al-meno vero…

CARNE

Influenza e vacca pazza, quanti inutili danni

Mentre il Parlamento Europeo si interroga su come arginare infon-dati allarmismi, Coldiretti ricorda il decennale della fiorentina fuori-legge Agronotizie 288 - 10/03/2011

Troppi i falsi allarmi che hanno per pro-

tagonisti gli alimenti e in particolare le

carni

Fonte immagine: Mc Pig

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Parlamento e Consiglio europeo sono ai ferri corti. Motivo del con-tendere è la carne (e il latte) degli animali clonati. La vicenda prende le mosse dalla iniziale volontà del Parlamento Europeo di mettere

al bando qualunque prodotto ali-mentare derivato da animali ottenuti per clonazione. Una posizione rigi-da poi stemperata nel compromesso nel quale si apriva la possibilità di consumo per i prodotti ottenuti dai discendenti degli animali clonati, purché fosse indicata l'origine in

etichetta. Ma il 17 marzo arriva da Bruxelles la replica del Commissa-rio alla Salute, John Dalli, secondo il quale la proposta si scontra con gli accordi sul commercio inter-nazionale. Nessun divieto, dunque, e via libera a carne e latte prove-niente dagli animali clonati. Sempre che non si riesca a raggiungere un accordo seguendo le regole della “procedura di conciliazione”. La data ultima per arrivare ad un

testo condiviso è la fine di marzo e già è stata fissata la data del 28 marzo per un incontro dal quale si uscirà con una decisione definitiva. Il dibattito su questo argomento è

vivace, tanto che il presidente della delegazione del Parlamento Gianni

Pittella e la relatrice Kartika Lio-

tard hanno affidato ad un comuni-cato il compito di bollare come “incomprensibile che il Consiglio sia pronto a chiudere gli occhi di fronte alle preoccupazioni dei citta-dini, alle questioni etiche e a quelle legate al benessere degli animali che la clonazione solleva." Alla scoperta della clonazione Sulla clonazione sembrano replicar-si le divisioni, a volte preconcette, che dividono favorevoli e contrari agli Ogm. Anche se, per quanto riguarda la clonazione, i riflessi etici e soprattutto quelli economici, sembrano essere di gran lunga infe-riori. Tentiamo, anche se in sintesi, di ricordare cos'è la clonazione e quali vantaggi (o svantaggi) può portarsi dietro. Tutti ricordano la pecora Dolly, il primo clone animale ottenuto dai laboratori inglesi. Non tutti ricorda-no però il primato italiano ottenuto con Galileo, il primo toro al mon-

do ottenuto grazie alla clonazione nei laboratori guidati da Cesare

Galli, un ricercatore italiano che oggi continua la sua attività nel campo della riproduzione zootecni-ca nel centro specialistico Avantea. Le esperienze scientifiche condotte in Italia hanno dato un contribu-

to significativo allo sviluppo della clonazione animale, una tecnica che

consiste nel pri-vare una cellula uovo del nucleo e sostituirlo con il nucleo di una cellula somatica dell’animale che si intende “replicare”. Si ottiene in questo modo un embrio-ne che può essere impiantato (come si fa con gli em-brioni fecondati naturalmente e destinati all’em-

brio-transfer) su una femmina della stessa specie. Quest’ultima avrà il solo compito di fare da “incubatrice” e portare a termine la gravidanza. L’animale che ne avrà origine avrà il corredo genetico dei genitori e nel caso della clonazione sarà l’esatta copia dell’unico “genitore” dal quale ha ricevuto il nucleo di una cellula somatica. I vantaggi Dunque nessuna manipolazione genetica se non una trasmissione

pilotata del corredo genetico. Una sorta di “fotocopia”, identica all’o-riginale. Un procedimento assai simile a quello che da secoli si at-tua nel regno vegetale con la ripro-duzione per talea. Metodo che tra-sferito al mondo animale si porta appresso numerose implicazioni di carattere pratico. Si pensi alla possi-bilità di “replicare” i riproduttori, maschi o femmine, che offrono le migliori prestazioni produttive. Con i metodi tradizionali occorre un lungo lavoro di selezione genetica, dagli esiti non sempre certi. Pro-blemi che la clonazione supera d’un sol balzo. I problemi Sin qui i vantaggi. Ma c’è un rove-scio della medaglia. Si corre anzi-tutto il rischio di aumentare in

modo esponenziale la consangui-

neità e al contempo si minaccia la preziosa diversità genetica, mirabo-lante strumento che la natura ha messo a salvaguardia della vita. Per questi motivi gli allevatori hanno riservato a questa nuova tecnica

una tiepida accoglienza e ancora oggi la guardano con un certo di-stacco. Perché la clonazione, questo uno dei timori, potrebbe scardinare l’equilibrio del processo di sele-

zione e miglioramento genetico attuato seguendo i metodi naturali. A complicare il quadro c'è la mino-

re vitalità degli animali clonati, più cagionevoli e più facile preda alle malattie. Un problema eviden-ziato anche da Efsa, l’autorità euro-pea per la sicurezza alimentare, che

Bruxelles si divide sulla carne clonata La proposta di indicarne la presen-za in etichetta si scontra con gli accordi sul commercio mondiale. Ma gli animali clonati, dice la scienza, sono sicuri. O forse no Agronotizie 290 - 24/03/2011

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chiamata ad esprimere un parere sulla clonazione animale ha riscon-trato in alcuni casi un peggiora-mento anche grave della salute

dei giovani bovini e dei suinetti

clonati. Svanisce così la convenien-za ad utilizzare la clonazione per la riproduzione di massa che portereb-be a mandrie con una minore resi-stenza alle malattie. Ecco perché la clonazione resta interessante solo per la riproduzione di animali di

alto pregio genetico (e dunque costosi) o per la salvaguardia di razze in via di estinzione, un campo dove il tornaconto economico non ha peso. Genetica con il turbo Dunque l'interesse verso la clona-zione resta confinato alla duplica-zione di soggetti di alto pregio ge-netico e capaci di trasmettere alla prole caratteristiche di alta produtti-vità. Un modo per accelerare la diffusione di un particolare patri-

monio genetico. Un'opportunità che si fa tanto più allettante quanto più è arretrato il livello di progresso genetico delle popolazioni animali che si hanno a disposizione. Ed è il caso di alcuni paesi ad economia emergente, specie del Sud America, dove la clonazione ha trovato terre-no fertile. E la salute? L'interrogativo, ora, è sulla salubri-tà dei prodotti ottenuti da questi animali clonati, o per meglio dire dalla loro progenie. Anche a questo quesito Efsa ha dato risposta affer-mando che nulla lascia supporre che esistano differenze in termini di sicurezza alimentare nella carne e nel latte dei cloni e della loro pro-genie rispetto agli animali allevati in modo tradizionale. Ma è ancora l'Efsa a ricordare l'esiguità del nu-mero di studi disponibili e le ridotte dimensioni dei campioni esaminati,

cosa che determina incertezza nel-la valutazione del rischio. La risposta della scienza La scienza, anche in questo caso, non può responsabilmente fornire

certezze assolute. La complessità degli argomenti biologici è tale che difficilmente uno scienziato potrà esprimere su questo e su altri argo-menti (si pensi agli Ogm!) risposte definitive. Alla scienza e alla ricer-ca si possono chiedere pareri che poi la politica dovrà interpretare. Ed è quello che si appresta a fare Bru-xelles entro fine mese sul tema del-la clonazione. Con l'augurio che siano messe da parte le posizioni

preconcette e si consenta alla ricer-ca di andare avanti. Forse non ci darà risposte definitive, ma potrà allontanare dubbi, nell'una o nell'al-tra direzione.

Alla fine è prevalsa la tesi sostenuta dal Commissario europeo alla Salu-te, John Dalli, e dunque via libera alla carne e ai prodotti alimentari

ottenuti a partire da animali clo-nati e soprattutto dalla loro proge-nie. La discussione è stata accesa, con da una parte il Parlamento Eu-ropeo, disponibile ad accettare le carni clonate purché ne fosse indi-cata in etichetta la presenza, e la contrarietà del Consiglio, preoccu-pato per le conseguenze che una tale imposizione avrebbe creato

nei commerci internazionali. Per-ché indicare la presenza in etichetta comporterebbe la conoscenza del-

l'albero genealogico di ogni bovi-no e di ogni suino destinato al ma-cello. Un controllo difficile da realizzare nella Ue e ancor di più nei paesi abituali nostri fornitori. Sull'argomento già Agronotizie della scorsa settimana è intervenu-to ricordando che il problema non coinvolge direttamente gli animali clonati, ma solo la loro progenie. Perché sarebbe un non senso clo-nare un animale spendendo deci-

ne di migliaia di euro per poi far-ne bistecche. L'unico interesse del-la clonazione è la replicazione di grandi riproduttori, capaci di trasfe-rire nei loro discendenti caratteristi-che produttive eccellenti. E sono questi ultimi, dunque la progenie, a finire sulle nostre tavole.

Preoccupazioni e certezze

Quali sono i rischi per i consumato-ri? A detta di Efsa che è stata più

riprese chiamata ad esprimersi in proposito, non ci sono rischi ad utilizzare carni di animali clonati, e tanto meno se si tratta della loro progenie. Anche se poi le certezze, è sempre Efsa a dirlo, diminuiscono a causa della esiguità degli esami e dei risultati sin qui condotti. Ma si sa, in biologia è difficile districar-si con assoluta certezza fra il no e

il sì.

Intanto l'apertura di Bruxelles ha suscitato molte proteste a iniziare da Gianni Pitella, capo delegazio-ne parlamentare nella trattativa che insieme alla relatrice Kartika Lio-

Clonazione sì, no, forse. E i prezzi soffrono

Il timore di ripercussioni sui com-merci internazionali ha convinto Bruxelles a non imporre le etichette sulle carni clonate Fonte immagine: McPig

Bruxelles ha deciso per il via libera alla carne clonata e scattano le polemiche. Che confondono i con-sumatori e possono nuocere al mer-cato Agronotizie 291 - 31/03/2011

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tard ha firmato una dichiarazione nella quale definisce “frustrante che il Consiglio non abbia voluto ascol-tare l'opinione pubblica ed accetta-re misure fortemente necessarie per proteggere i consumatori ed il be-nessere animale".

Tutti contrari

In Italia Coldiretti si è espressa ri-cordando che la maggior parte dei consumatori (come intuibile) è con-traria alla clonazione. La commer-cializzazione di prodotti ottenuti da animali clonati, è ancora Coldiretti a rilevarlo, pone un problema di

scelta consapevole da parte dei consumatori e di rispetto della biodiversità. Posizione analoga quella espressa da Cia che ha riba-dito il suo dissenso alla clonazione sia sotto il profilo della sicurezza alimentare, sia sotto il profilo etico.

Evitare polemiche

Non è la prima volta che le decisio-ni prese a Bruxelles vengono messe in discussione e ciò è sicuramente un bene. Un dibattito aperto e franco non può che essere utile a sciogliere dubbi e perplessità. Pur-chè, come per gli Ogm, non si cada

nel preconcetto e nella contrappo-sizione fra favorevoli e contrari. Lasciamo che gli studi e le ricerche vadano avanti e che gli organismi scientifici, come l'Efsa, possano continuare il loro lavoro e scioglie-re, se vi sono, gli ultimi dubbi. Poi si decida di conseguenza. Senza inutili polemiche che possono solo confondere i consumatori che reagi-scono nell'unico modo possibile, rifuggendo la carne, con l'inevitabi-le crollo dei prezzi di mercato. Ed è questo che, nell'interesse degli alle-vatori, bisogna evitare. Cloni o non cloni.

Sulla clonazione animale il Parla-mento europeo torna alla carica dopo la “bocciatura” ricevuta dal

Consiglio dei ministri della Salute. A fine marzo, come riportato anche da Agronotizie, il Commissario alla Salute, John Dalli, aveva comuni-cato il via libera alla carne ed ai prodotti alimentari ottenuti dalla progenie di animali clonati. Una decisione di segno opposto rispet-

to alla volontà del Parlamento Ue, disponibile ad accettare prodotti di animali clonati solo a condizione che ne venga indicata la presenza in

etichetta. Il mancato ac-

cordo è stato

giudicato

“deplorevole” da parte del vicepresidente del Parlamento Europeo, Gianni Pittel-

la, che ha ap-profittato della sessione plena-ria del Parla-mento, riunito a Strasburgo il 12 maggio, per chiedere alla

Commissione di formulare una

nuova proposta

legislativa al riguardo. Ricordiamo che il mancato accordo sulle norme da applicare ai “nuovi alimen-ti” (novel food), categoria alla quale appartengono le carni clonate, era stato motivato dal Consiglio con l’esigenza di evitare distorsioni nei commerci internazionali. Una posi-zione contestata nel corso della sessione plenaria dall’eurodeputata Kartika Liotard, relatrice del dos-sier novel food, secondo la quale la posizione espressa dal Parlamento non è in contrasto con le regole dell’Omc (organizzazione mondiale dei commerci). Inoltre, ha sostenuto la relatrice, i vincoli all’utilizzo degli animali clonati e della loro progenie nell’alimentazione umana potrebbe trovare giustificazione anche nelle valutazioni etiche espresse in merito da parte dei con-sumatori. Non si è fatta attendere la risposta del Commissario alla Salu-te, John Dalli, che ha assicurato gli eurodeputati in merito alla presenta-zione della nuova proposta legislati-va che avverrà senza ritardi ingiu-stificati.

Le preoccupazioni nei confronti delle produzioni animali provenien-ti da animali clonati non destano infatti preoccupazioni sotto il

profilo sanitario ed anche l’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) , chiamata ad esprimer-si sull’argomento, ha espresso pare-ri sostanzialmente positivi, ricor-dando comunque la necessità di

Carne clonata, il Parlamento Ue pretende l'etichetta

Chiesta una nuova proposta legi-slativa per sancire l'obbligo di indi-care la presenza di carni clonate Agronotizie 298 - 19/05/20011

Il dibattito sulle carni di animali clonate si snoda fra

interessi economici e principi etici Fonte immagine: Masolino

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continuare gli studi in proposito.

Salute e commerci

Tanta attenzione da parte di Bruxel-les verso la clonazione (sino a ieri oggetto di discussione solo fra gli addetti ai lavori) prende forse le mosse dalle proposte di liberalizza-zione degli scambi fra Ue e Merco-sur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay), che preoccupa non poco il settore delle carni. Ed è proprio nei paesi dell’America Latina, Bra-sile e Argentina soprattutto, che c’è grande interesse alla clonazione dei riproduttori di alto valore genetico per accelerare il miglioramento genetico delle mandrie. essuno,

infatti, si sognerebbe di fare bi-

stecche con un animale clonato, operazione costosa e accessibile

economicamente solo per replicare riproduttori di ottimo valore geneti-co. Etichettare le carni derivate dalla progenie di questi animali clonati, come chiede il Parlamento europeo, potrebbe dunque ridurre gli effetti della liberalizzazione

degli scambi, ma a quanto pare nessuno a Bruxelles si sbilancia nel dare alla crociata anti-clonazione una valenza commerciale, che dun-que avrebbe solo motivazioni “etiche”. Sarà anche vero, ma ci teniamo il dubbio.

Freno alle ricerche

Nel frattempo l’attenzione rivolta all’argomento clonazione, seppure indirettamente, sembra aver interfe-rito con le attività di ricerca di Ce-sare Galli, il ricercatore italiano che

per primo è riuscito ad ottenere la clonazione di un bovino (il toro Galileo) e nel cui centro, all’avan-guardia in questo settore, si stanno conducendo ricerche sugli xeno-

trapianti. Parola difficile che indi-ca la possibilità di ottenere dagli animali organi idonei al trapianto sull’uomo. Risultati interessanti

sono già stati ottenuti per la cura

del diabete ed altri sono in corso sul rene. Ma avendo a che fare con animali Ogm e per di più clonati, il lavoro del centro, che ovviamente si svolge nel completo rispetto di leg-gi, protocolli e regolamenti, sembra trovare ogni giorno nuove difficoltà e persino atteggiamenti ostili. Ora è arrivato, dopo lunga attesa, il via libera al proseguimento delle ricer-che da parte del Consiglio superiore della Sanità. Ma c'è da dubitare che la caccia alle streghe sia finita…

Con i suoi 870 associati rappresenta la quasi totalità (90%) delle aziende venete che si dedicano all’alleva-mento del bovino da carne. E’ que-sto il biglietto da visita di Unicarve, l’associazione produttori di carne bovina nata circa quindici anni fa dalla fusione dei preesistenti orga-nismi associativi degli allevatori.

Negli ultimi gior-ni di maggio i soci di Unicarve si sono incontrati per la loro assem-blea dedicata fra l’altro al rinnovo delle cariche di-rettive, che ha visto riconfer-mato alla presi-

denza Fabiano

Barbisan. L’as-semblea è stata anche l’occasione per fare il punto sulla situazione del comparto

carni bovine che si trova ad affron-tare ad armi impari il mercato e che vede con preoccupazione le proposte in discussione per la rifor-ma della Pac. “Possibile che anche quando cerchi di proporre soluzioni che allo Stato non costano niente - si è sfogato Barbisan - chi governa sia sordo e cieco?”. Barbisan è poi passato a raccontare le lunghe peri-pezie che hanno accompagnato, fra molte e inutili carte, le proposte di Unicarve e che in sintesi propone-vano di affiancare al “classico” sistema dell’etichettatura facoltativa il sistema di qualità superiore na-zionale zootecnia. “Secondo noi - ha affermato Barbisan - quella era l’occasione per collegare l’art. 68 a un piano carni nazionale, per non continuare la 'strategia dei contri-buti' che invece di dare un aiuto alla nostra zootecnia, l’hanno im-poverita". "il nostro obiettivo - ha continuato il presidente dell'Unicar-ve - non erano e non sono i 20 o 30 euro in più da dare all’allevatore per capo prodotto, ma costruire un percorso che mettesse in condizione chi produce carne, di vedersela pagata per il valore che ha e non trovarci a dare la colpa alla grande distribuzione organizzata, che altro non fa che il suo lavoro e bene:

“Non vogliamo essere i mezzadri della carne”

Così il presidente di Unicarve, l'as-sociazione produttori carni bovine venete, rilancia l'esigenza di una strategia per il futuro del settore Agronotizie 300 - 01-06-2011

Un momento dell'assemblea Unicarve che ha ri-

confermato alla presidenza Fabiano Barbisan

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pagare il meno possibile i prodotti che acquista e allungare i paga-menti il più possibile! C’è solo un sistema per non fare i 'mezzadri

della carne': avere un prodotto che non sia facilmente sostituibile nei banchi frigorifero dei punti vendi-ta.”

“Vogliamo dar vita - ha concluso Barbisan - a un piano carni nazio-nale che veda coinvolti coloro i quali vogliono veramente aiutare la zootecnia bovina da carne ed emar-ginando i cosiddetti 'perditempo' che delle riunioni e dell’aria fritta hanno condito la loro esistenza".

Le sorprese della Pac

All’assemblea di Unicarve ha parte-

cipato Mario Catania, capo dipar-timento delle politiche europee e internazionali del Mipaaf, profondo conoscitore dei “meccanismi” alla base delle decisioni che sono prese a Bruxelles. E' da lui che è giunta la conferma del progressivo impove-

rirsi, sino al loro totale annulla-mento, nel volgere di pochi anni, dei sostegni finanziari destinati al settore delle carni bovine. Impor-tante è allora portare avanti nelle sedi comunitarie le istanze dei no-stri allevatori, “istanze - ha ricorda-to Catania - che tardano ad arriva-re sul tavolo del ministero visto che ancora una volta le rappresentanze sindacali ed economiche non sono riuscite, su richiesta esplicita del ministero, a produrre un documen-to comune di salvaguardia degli

interessi dei propri associati.” I rappresentanti delle Organizzazioni professionali presenti all’incontro hanno dichiarato di trovarsi d’ac-cordo con le proposte di Unicarve, in particolare per un piano carne che privilegi i percorsi di qualità

e informazione al consumatore. Ora bisogna vedere se ci sarà accor-do anche nei fatti e non solo nelle parole. Non c’è tempo da perdere, la riforma della Pac è alle porte e ai confini della Ue premono gli ac-

cordi Mercosur che potrebbero spalancare le porte alle carni che provengono dal Sud America. E per la malandata bovinicoltura da carne italiana potrebbe essere il colpo di grazia.

Costi di produzione che aumentano, prezzi penalizzati dal difficile rap-porto con la distribuzione organiz-zata, mercato dei cereali in tensione ed esportazioni in sofferenza a cau-sa dell'euro forte. Questo lo scena-rio con il quale deve fare i conti il mondo della carne e sul quale si è puntato lo sguardo in occasione della 42esima assemblea di Uniceb, l'unione che riunisce le imprese che operano nel commercio di carni e bestiame. Da Verona, dove si è svolto l'incontro il 27 maggio, il presidente di Uniceb, Renzo Fossa-

to, ha toccato molti aspetti che ri-guardano il settore e fra questi la forte incidenza dei costi relativi alle misure di prevenzione per la Bse (vacca pazza) sui prezzi della carne, anche se ha tenuto a sottoli-neare che vi sono delle aperture quali l’elevazione, a partire dal 1°

luglio 2011, da 48 a 72 mesi del-l’età dei bovini a partire dalla qua-le diviene obbli-gatorio il test Bse. Connesso alla Bse c'è poi il divieto, ancora in vigore, di impie-

go delle farine

animali nell'ali-

mentazione del

bestiame, cosa che determina un aumento dei costi in due settori, quello della macella-zione e dell'alimentazione animale. Il divieto, ha ricordato Fossato, dovrebbe però essere rivisto, alme-no per quanto riguarda le specie monogastriche, entro fine anno. Inoltre, ha tenuto a sottolineare Fossato, non si può pensare che l’etichettatura di origine o posizioni intransigenti contro gli Ogm possa-no dare una risposta a tutti i proble-mi dell’agricoltura. Passando all'a-nalisi delle prospettive di mercato, il presidente di Uniceb ha eviden-ziato come l’unico settore che do-

vrebbe emergere è quello delle

carni suine, sostenuto da una ripre-sa del consumo, mentre per quanto riguarda il settore delle carni bovine si delinea un aumento delle impor-tazioni nette.

Definire le strategie

Altra variabile da tenere in conside-razione nell'analisi delle prospettive è la progressiva riduzione dei ter-reni disponibili per le colture in quanto sempre più impiegati per la produzione di bio-carburanti, una

Per le carni costi alti e prezzi bassi L'assemblea di Uniceb, l'unione dei commercianti di bestiame, ha pun-tato il dito sulle difficoltà contin-genti e sulle sfide future Agronotizie 300 - 01/06/2011

L'emergenza vacca pazza, sebbene superata, conti-

nua a far sentire i suoi effetti sui costi di produzio-

ne delle carni bovine

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riduzione che si scontra con l'au-mento demografico e con la neces-sità di garantire una sicurezza di approvvigionamento ai circa 500 milioni di consumatori della Ue.

In tema di politica agricola comuni-taria, molto atteso all'assemblea di Uniceb l'intervento di Paolo De

Castro nella sua veste di presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europeo. De Castro ha affrontato le principali problemati-che attualmente in discussione con

particolare riferimento all'evoluzio-ne della Pac dopo il 2013, all'eti-chettatura di origine dei prodotti alimentari, alla proposta di regola-mento sulle norme di commercia-

lizzazione dei prodotti agricoli ed alle implicazioni dei possibili ac-cordi in seno al Mercosur ed al Wto (organizzazione mondiale dei commerci) con le relative ricadute per il comparto zootecnico.

L'affollata assemblea di Uniceb, che ha visto gli interventi di Pier

Giuseppe Facelli (Ministero della Salute), Jean-Luc Meriaux (Uecbv), Mario Catania (Mipaaf), si è concluso con l'auspicio che le istituzioni comunitarie si impegnino per garantire la “sicurezza ali-mentare” conciliando corrette poli-tiche a sostegno di una agricoltura “attiva” e di un ricorso intelligente alle biotecnologie, evitando che la produzione di energie rinnovabili possa in qualche modo entrare in competizione con la produzione di cibo.

Il mondo della carne è preoccupato per le scelte che si stanno delinean-do a proposito di riforma della

Pac. Preoccupazioni che hanno indotto Assocarni (l'associazione che riunisce le industrie della carne) e Pfizer Animal Health, multinazio-nale farmaceutica con forti interessi in campo zootecnico, a darsi appun-tamento a Roma il 21 giugno per dibattere questo tema. Ne è uscito un incontro affollato al quale hanno fatto gli “onori di casa” il vicepresi-dente di Assocarni, Luigi Scorda-maglia e il presidente della multi-nazionale farmaceutica Juan Ra-

mon Alaix. Gremito il palco e l'udi-torio da molte presenze (difficile qui ricordarli tutti) di quanti hanno responsabilità in fatto di scelte di politica agricola. Precise le richieste che si sono levate dall'incontro con al primo posto la necessità di difen-dere il budget agricolo italiano e di mantenere un premio accoppiato

(fuori dall'artico-lo 68) per gli allevamenti di bovini. Questa la richiesta avanzata da Luigi Scorda-maglia che ha poi ricordato la ne-cessità al con-tempo di allegge-rire e semplifi-

care il pesante

apparato buro-

cratico che grava sulle aziende della filiera. Le proposte scaturite dall'incontro non si fermano qui. I risultati ottenuti nel controllo della Bse (vacca paz-za) suggeriscono la necessità di rivedere taluni vincoli, come l'ob-bligo di distruzione dell'intero inte-stino bovino. Un obbligo che appe-santisce i costi di macellazione e che potrebbe essere rimosso dopo che l'Oie (Organizzazione mondiale per la salute animale) ha sancito l'assenza di rischio. Ambiente e allevamenti

Scordamaglia ha voluto anche repli-care alle accuse di inquinamento che a volte vengono rivolte agli allevamenti intensivi. Recenti studi, infatti, hanno dimostrato che nelle aree dove è più diffuso l'alleva-

mento intensivo le emissioni sono

inferiori rispetto a quelle che si riscontrano laddove si pratica l'alle-vamento estensivo. In tema di am-biente è stata avanzata la richiesta di ridurre gli incentivi (definiti esa-gerati ed irrazionali) per l'utilizzo energetico di terra fertile (fotovoltaico) e mais (biogas) che vengono sottratti all'alimentazione. Un cenno è andato anche alle tecno-logie innovative, per le quali, con un chiaro riferimento agli Ogm, si

chiede di rivedere divieti che fini-rebbero per togliere al nostro Paese opportunità di progresso scientifico.

Carni bovine strette fra Pac e burocrazia Difesa del budget italiano e mante-nimento del premio accoppiato. E poi un apparato burocratico più leggero. Queste le richieste emerse dall'incontro promosso da Assocar-ni e Pfizer Animal Health sul tema della riforma della politica agrico-la comunitaria Agronotizie 303 - 23/06/2011

Le richieste che vengono dal mondo delle industrie non sono distanti da quelle che emergono dagli alle-vamenti Fonte immagine: Meiaponte Farm's

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Le proposte

Le richieste perorate dal vicepresi-dente di Assocarni sono continuate con l'invito ad evitare che il costo di sovrastrutture burocratiche inca-ricate dei pagamenti degli aiuti fini-sca con l'essere superiore allo stesso valore degli aiuti distribuiti. C'è poi la necessità di coordinare l'attività di controllo dei diversi organismi valorizzandone le diverse specifi-che professionalità, evitando inutili

e confuse sovrapposizioni e confer-mando un modello di controllo ufficiale italiano che ha dimostra-

to di funzionare bene. Tutte richie-ste, ha sottolineato Scordamaglia, la cui attuazione potrebbe essere im-

mediata e a costo zero, ma che che porterebbero alle aziende agroali-mentari italiane benefici superiori a qualsiasi forma di sostegno o aiuto.

Divisi si perde

Benefici, aggiungiamo, che potreb-bero riverberarsi anche sul mon-

do degli allevatori e sull'intera

filiera che dunque dovrebbe portare avanti queste istanze in modo allar-gato. Disperdersi nella difesa di quelle che a torto sono considerate prerogative di una sola parte piutto-sto che dell'intero sistema, può es-sere inefficace. Insomma la barca è la stessa e tanto vale remare tutti nella stessa direzione.

Alla fine è arrivata anche la confer-ma che negli hamburger italiani non c'è traccia di E. Coli. Ma intanto la notizia che in Francia alcuni bambi-ni erano finiti all'ospedale a seguito del consumo di carne ha fatto il giro di tutti i media. E i toni allarmistici che sempre (purtroppo) accompa-gnano queste informazioni hanno contribuito e non poco a mettere il

consumatore sul “chi va là”. Così dopo ortaggi e frutta la paura

(anche in questo caso ingiustificata) si è spostata sulle carni. Un settore quello delle carni, che già deve ve-dersela con una situazione di mer-cato difficile che colpisce in modo

trasversale il settore bovino e

quello suino. Un altro episodio di allarmismo alimentare che come i precedenti prende le mosse oltre confine e proprio per questo ripro-pone la necessità di disporre di eti-chette chiare anche in merito alla

provenienza.

L'etichetta, indispensabile

Per la carne bovina, ricorda Coldi-retti, l'obbligo di indicare in etichet-ta la provenienza è già in vigore, ma basta l'aggiunta di qualche altro

ingrediente, cosa frequente nei prodotti a base di carne, per supera-re questo vincolo e rendere “anonima” l'ori-

gine. Vuoti nor-mativi e triango-lazioni commer-ciali, ha denun-ciato l'Associazione italiana allevato-ri, non permetto-no al consumato-re di sapere cosa mette nel piatto. Ecco allora l'invi-

to del presidente di Aia, ino An-

dena, a scegliere prodotti garantiti dal marchio Italialleva. “Perchè con Italialleva - afferma Andena - il consumatore ha invece la certezza che la carne utilizzata sia stata prodotta in stalle italiane.”

E' scesa in campo anche l'Uniceb, l'unione degli importatori e dei commercianti di carne ha rinnovato l'invito (inascoltato) ad evitare al-larmismi, ed ha ricordato che tutti i prodotti a base di carne, in partico-lare quella bovina, che giungono sulle tavole degli italiani sono sot-toposti a controllo. Un sistema di

controllo che funziona come di-mostra la frequenza con la quale gli allarmi alimentari abbaino origine fuori dai nostri confini.

Controlli efficaci

In più, viene da aggiungere, l'Italia vanta un efficiente sistema di vigi-lanza veterinaria e un altrettanto efficiente servizio di indagini di laboratorio capaci di fornire rispo-ste certe in tempi rapidi. In appena due giorni dal sequestro delle parti-te di carne sospettate di veicolare l'E,coli si è avuto dall'Istituto zoo-profilattico delle Venezie il respon-so di “non colpevolezza”. Le incer-tezze, le conferme e le smentite, i ritardi e le reticenze che hanno ac-compagnato l'episodio di contami-nazione da Coli in Germania segna-no la differenza con le nostre strut-ture preposte alla tutela della salute. Delle quali possiamo vantare effi-cacia ed efficienza. Evviva..

Quel Coli che non c'è

Gli episodi che hanno coinvolto la carne francese ripropongono la necessità di etichette chiare in me-rito alla provenienza. Agronotizie 303 - 23/06/2011

L'Italia si conferma all'avanguardia per il suo si-

stema di vigilanza Fonte immagine: agriculturasp

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Per la dichiarazione in etichetta dell'origine delle carni Parlamento-eEuropeo e Consiglio sono final-mente giunti ad un compromesso. Per le carni suine, ovicaprine e del pollame scatterà l'obbligo di indi-carne l'origine. Saranno invece eso-nerati i prodotti che pur essendo

a base di carne contengono anche

altri prodotti. Ma è presto per met-tersi a guardare le etichette speran-do di trovare queste indicazioni sull'origine.

L'accordo dovrà essere ratificato dal Consiglio, cosa che avverrà non prima dell'autunno ed è previsto un periodo di circa tre anni per con-sentire alle imprese di mettersi in

regola. Perché nelle etichette do-vranno figurare oltre all'origine anche le informazioni di carattere nutrizionale.

Parziale soddisfazione

L'accordo soddisfa solo in parte le attese degli allevatori che speravano che l'indicazione di origine fosse allargata a tutti i prodotti a base di carne e di latte. Così non è stato anche per la posizione contraria delle industrie del settore, preoc-cupate per le complicazioni che una norma più estensiva potrebbe com-portare. Nonostante la semplifica-zione prevista ora dal legislatore europeo, il presidente di Federali-mentare, Filippo Ferrua, ha e-spresso preoccupazioni per la facol-tà concessa ai singoli paesi membri di introdurre in etichetta ulteriori informazioni rispetto a quelle pre-viste a livello comunitario. Perples-sità sono state poi espresse per la deroga concessa a favore degli

alimenti

confezionati

nei punti

vendita e nei locali attigui alla distribu-zione.

Qualche

critica

Soddisfatto invece il ministro dell'Agricoltura, Saverio Romano, che ha ricordato come la decisione presa a Bruxelles segua la strada già tracciata dall'Ita-lia in merito all'etichettatura dei prodotti. Per il presidente di Coldi-retti, Sergio Marini, l'estensione dell'obbligo di etichettatura di origi-ne è un passo avanti che va però esteso al più presto anche ai prodot-ti trasformati, una valutazione so-stanzialmente condivisa dalla Cia. Il presidente di Fedagri-Confcooperative, Maurizio Gardi-

ni, è entrato nel merito del provve-

dimento sollecitando una maggio-

re considerazione per il settore

cunicolo dove l'etichettatura rimane volontaria. La “dimenticanza” del legislatore europeo nei riguardi del settore cunicolo era peraltro già stata oggetto di forti critiche da parte di Anlac, come riferito da Agronotizie, critiche alle quali si erano aggiunte quelle di Avitalia. Non resta che sperare che nella formulazione finale dei provvedi-menti comunitari si dia conto delle attese del settore cunicolo.

Per le carni arriva l'origine in etichetta

Occorre ancora tempo prima che le etichette con la

dichiarazione di origine per le carni siano operative Fonte immagine: McPig

Raggiunto il compromesso fra Par-lamento e Consiglio europeo. Ma i prodotti trasformati sono esclusi Agronotizie 305 - 07/07/2011

Che per la carne bovina sia stagione di crisi, e non da oggi, sono tutti d'accordo. Lo vanno ripetendo gli importatori e i commercianti di car-ni riuniti nell'Uniceb, lo dicono a gran voce gli allevatori attraverso le loro associazioni. Molte potrebbero essere citate e fra queste Italia Zoo-tecnica che proprio nei giorni scorsi

ha lanciato il progetto di un piano per risollevare le sorti del settore del quale si è parlato anche su A-gronotizie. Al coro di preoccupa-zioni per la sorte degli allevamen-

ti di bovini da carne si sono aggiun-te le industrie del settore, macellato-ri e trasformatori riuniti in Assocar-ni. L'occasione per denunciare le difficoltà del settore è venuta dal recente incontro voluto dalla stessa Assocarni per analizzare le criticità del settore e per elaborare un piano nazionale per il rilancio della zoo-tecnia da carne. A fare gli onori di casa il presidente di Assocarni, Lui-gi Cremonini, e il vicepresidente Luigi Scordamaglia. La presenza del presidente dell'Associazione allevatori, ino Andena, lascia ben

Carni bovine, è tempo di passare ai fatti

Assocarni si dice preoccupata della situazione e il ministro dell'Agricol-tura auspica 'soluzioni condivise'. Gli allevamenti, intanto, chiudono. E dal Veneto si denuncia la difficile situazione dell'associazione alleva-tori Agronotizie 306 - 14/07/2011

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sperare sulla possibilità che nel predisporre piani e strategie per le carni bovine non si lavori a compar-timenti stagni, allevatori da una parte, industrie dall'altra e magari commercianti e importatori da u-n'altra ancora. Il ministro dell'Agri-coltura, Saverio Romano, interve-nendo all'incontro ha ribadito che è “fondamentale coinvolgere tutte le istituzioni e tutti i soggetti che com-pongono la filiera produttiva bovi-na italiana, a livello nazionale e regionale, per trovare soluzioni condivise e creare nuove sinergie che consentano di garantire un forte rilancio di tutto il comparto e ciò anche attraverso un’opera di sburocratizzazione delle procedure e delle pratiche che gravano sui produttori.” E per dare forza al suo pensiero ha ricordato che il patri-monio bovino italiano negli ultimi venti anni si è ridotto del 30%. Di qui la necessità, ha sostenuto il mi-nistro, di arrestare il progressivo

smantellamento della produzione di carne bovina.

Il Veneto e l’Aia

Non si può che essere d'accordo, ma sul come raggiungere questo risultato non sembra, per il momen-to, esserci un disegno preciso né, per usare le parole del ministro, “soluzioni condivise”. Mentre la crisi della carne bovina attende che i buoni propositi si tramutino in proposte concrete prima e in fatti poi, resta sullo sfondo la difficile situazione dell'Associazione ita-

liana allevatori, privata del soste-gno (circa 60 milioni di euro) alle sue attività fra le quali rientrano la selezione e la tenuta dei Libri Gene-alogici degli animali di interesse zootecnico, bovini da carne, ovvia-mente, compresi. Una via di uscita pareva giunta con l'impegno del ministro Romano a rendere disponi-

bili almeno 25 milioni. Ma la ma-novra finanziaria ha rimesso tutto in discussione e dal Veneto si è alzata la voce dell'assessore regionale all'Agricoltura, Franco Manzato, che chiede al ministro quali solu-zioni intende adottare per rendere possibile le attività dell'associazio-ne allevatori. Intanto, informa un comunicato dello stesso Manzato, la Regione Veneto metterà a di-

sposizione 4,1 milioni di euro che permetterà l'operatività delle sedi provinciali (Apa) dell'associazione allevatori. “Si tratta di una partita importante - si legge nel comunica-to - ai fini della garanzia qualitati-va e quantitativa delle produzioni animali, della tutela delle risorse genetiche nazionali anche rispetto alle strategie commerciali dei paesi esportatori”.

Tanti i fronti aperti

Complessa dunque la partita che il ministro Romano si trova a dover giocare sul fronte della zootecnia. Alla crisi degli allevamenti di bovi-ni da carne si aggiunge la necessità di trovare risorse per le attività di selezione, ma le difficoltà econo-miche del Paese non lasciano mol-

ti margini di manovra. C'è poi da risolvere la pesante situazione del settore suinicolo, le preoccupazioni del mondo cunicolo, i malumori per le ultime mosse su quote latte e multe, l'altalena dei mercati cereali-coli e delle materie prime per l'ali-mentazione del bestiame, solo per citare alcuni dei problemi sul tappe-to. Da Bruxelles arriva l’approva-zione all’origine in etichetta per la carne. Potrà essere un aiuto, ma insufficiente. Ancora da Bruxelles giunge il via libera a meccanismi di controllo dell'offerta per i prodotti a marchio. Ottimo, per non dire indi-spensabile. Ma anche questo non sarà sufficiente. Serve altro, serve davvero un gioco di squadra fra tutte le componenti delle filiere zootecniche. E qui che l'opera di mediazione del ministero può

rivelarsi risolutiva. Purché ci si dia da fare e presto. Ogni giorno altri allevamenti chiudono, strangolati dalle ferree regole del mercato.

Si moltiplicano gli allarmi per la difficile situazione degli allevamen-

ti di bovini da carne Fonte immagine: Lapsus

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E' una sfida difficile quella che il mondo della carne dovrà affrontare nell'immediato futuro. Lo scenario che si va delineando è quello di un'Europa che si appresta ad essere deficitaria di carne mentre gran parte del mondo accresce la sua richiesta di carne. uove minacce e

nuove opportunità, dunque, e bi-sogna attrezzarsi per superare le prime e cogliere le seconde. Il co-me, però, non è semplice. Per pre-

pararsi a questi nuovi scenari Uni-peg, il gruppo cooperativo di Reg-gio Emilia leader nel settore delle carni bovine, ha messo in tavola il suo asso acquisendo il 100% di Castel Carni, azienda modenese forte nella lavorazione delle carni suine e non solo. Presentando i det-tagli di questa operazione, il presi-dente di Unipeg, Fabrizio Guidet-

ti, ha tratteggiato gli scenari che il mondo della carne si trova ad af-frontare. E gli indicatori economici prevedono per l'Italia un calo dei consumi di carni bovine intorno al 5%, mentre restano stabili i consu-mi di carni suine e avicole. Nume-rosi i fattori che frenano il comparto delle carni bovine. L'aumento dei

prezzi all'origine (+ 12% nel 2011) ha dato respiro agli allevamenti, ma ha eroso i margini delle altre com-

ponenti della filiera per l'impossibi-lità di ripartire gli aumenti sul con-sumatore. Agli aspetti economici si sono aggiunti gli effetti delle cam-pagne di dissuasione all'acquisto di carni. Il consumo complessivo di carne in Italia non lascia spazio a ipotesi di crescita ed oggi è attesta-to su circa 80 kg procapite, nei qua-li figurano carni bovine per 23 kg, carni suine per poco meno di 40 kg e oltre 20 chili di carni avicunicole.

La situazione dentro e fuori la Ue

Allargando lo sguardo all'Unione europea, la produzione di carne bovina si attesta su circa 8 milioni di tonnellate, con un consumo di 8,5 milioni che viene soddisfatto dunque facendo ricorso ad impor-

tazioni extra Ue. Equilibrio fra domanda e offerta lo si riscontra nel comparto suinicolo la cui produzio-ne (circa 20 milioni di tonnellate) cresce in sintonia con l'aumento delle richieste. Situazione analoga per il comparto avicolo, con una produzione di circa12 milioni di tonnellate.

Sui mercati extracomunitari si

assiste intanto ad una crescita

degli acquisti di carni suine nei paesi dell'Est a forte crescita econo-mica, come India e Cina. Sullo sce-nario dei consumi di carne, in parti-colare quelle bovine, si potrebbero poi presentare nei prossimi anni i paesi dell'Africa che si affacciano sul Mediterraneo. Un bacino di 280 milioni di abitanti che si apprestano a conoscere (così si spera) demo-crazia e sviluppo economico. Un processo che si accompagnerà ad un mutamento degli stili di vita, con un aumento dei consumi di carni, bovine in primo luogo.

Il mondo chiederà più carne

Uno scenario dunque caratterizzato da alcune criticità come la riduzio-ne dei consumi domestici e le diffi-coltà nel comparto della macella-zione, ma dove si intravedono nuove opportunità con l'allargarsi della domanda mondiale di carni e con l'aumentare della richiesta di

Crescita e innovazione nel futuro delle carni

L'acquisizione di Castel Carni da parte di Unipeg rientra fra le stra-tegie per il superamento delle sfide che il comparto delle carni dovrà affrontare Agronotizie 323 - 24/11/2011

Un momento della presentazione del nuovo assetto di Unipeg dopo

l'acquisizione di Castel Carni. In piedi il presidente di Unipeg, Fa-

brizio Guidetti, mentre illustra la nuova fisionomia del gruppo. Alla

sua destra Ivano Lugli, vice presidente di Unipeg e procedendo ver-

so sinistra Giuliano De Maria, cui si deve l'attuale assetto di Castel

Carni e che oggi assume la delega alla gestione dell'azienda. A sini-

stra della foto, infine, Luciano Malferrari, consigliere Unipeg con

delega al coordinamento delle attività commerciali di Castel Carni

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nuovi prodotti a base di carne. Op-portunità che per essere colte ri-chiedono aziende ben strutturate e di dimensioni adeguate, capaci di investire nella ricerca e nella messa a punto di prodotti con un alto contenuto di servizi per soddi-sfare le mutate esigenze dei consu-matori. Sono questi gli “enzimi” che hanno condotto Unipeg ad ac-quisire un'azienda privata come Castel Carni che ha fatto della ri-cerca e dell'innovazione di pro-

dotto la sua bandiera. Qualche numero può essere di aiuto per me-glio delineare i contorni di questa operazione. Unipeg nasce nel 2004 dalla fusione di Unicarni e di Mclc Pegognaga e oggi vanta un fatturato prossimo ai 390 milioni di euro, con un volume di carni processate di oltre 113mila tonnellate. Numeri importanti che portano questo gruppo cooperativo a detenere

l'11% della quota di mercato nel comparto della macellazione bovi-na, superata in Italia solo da un gruppo privato (Inalca con il 13%) e a grande distanza da chi occupa la terza posizione (Vercelli, 2,7%). Principali canali di sbocco delle produzioni Unipeg sono la Gdo (grande distribuzione organizzata) dove è presente sia con il proprio marchio (CarniAsso), sia con i mar-chi della stessa Gdo (private label). Forte la penetrazione nelle macel-

lerie tradizionali, dove passa oltre il 21% delle produzioni Unipeg. astel Carni si presenta con un fattu-rato di 60 milioni di euro e con una produzione di 18mila tonnellate di carni processate per anno. Ma il suo fiore all'occhiello non sono i volumi lavorati, ma la forte spinta all'inno-vazione nella trasformazione delle carni, suine in particolare, per la preparazione di porzionati e pronti

a cuocere distribuiti con il marchio Fiocco Rosa o con le private label della Gdo.

Le prospettive

Con l'entrata di Csatel Carni nell'or-bita di Unipeg ci si aspetta ora una crescita del fatturato (per il 2014 si punta ad 80 milioni) e soprattutto una spinta all'innovazione di pro-dotto nel comparto delle carni bovi-ne presidiato da Unipeg. Nuovi prodotti per conquistare nuove fasce di acquirenti contrastando così il calo dei consumi e maggiori dimensioni per competere sui mer-

cati internazionali, dove il settore delle carni dovrà giocare la sua prossima sfida. Che non sarà sem-plice.

Si respira aria di recupero sui mer-cati della carne bovina e i prezzi pagati agli allevatori per i vitelloni a fine ciclo si collocano su prezzi che arrivano a superare i 3 euro al chilo per le razze più pregiate. Prez-zi che sono in media superiori a quelli dello scorso anno. Ma gli allevatori sono preoccupati. All'o-rizzonte si profila una riforma della Pac penalizzante per il comparto delle carni bovine. E poi bisogna fare i conti con i vincoli previsti dalla direttiva nitrati. Le deroghe accordate a poco servono. La favo-revole congiuntura di mercato non deve essere motivo per abbassare la guardia, ma anzi è il momento più favorevole per studiare le mosse

per mettere al riparo gli alleva-

menti dalle nuove sfide che si pro-

filano all'orizzonte. E' con questa visione che Azove (Organizzazione produttori carni bovine del Veneto) ha dato vita al progetto “SustainBeef”, i cui risultati sono stati resi noti nel corso di un incon-tro che si è svolto recentemente.

La ricerca

Nucleo del progetto la ricerca di soluzioni tecniche e manageriali capaci di ridurre i costi di alleva-mento e al contempo contenere al minimo l'impatto degli alleva-

menti sull'ambiente. Alla base degli studi i dati e le analisi che Azove ha raccolto in oltre dieci anni e che ha messo a disposizione dell'Università di Padova per le necessarie valutazioni. Il progetto SustainBeef, hanno spiegato Giu-

seppe Borin e Pierluigi Lovo, ri-spettivamente direttore e presidente di Azove, intende dare nuove ri-sposte al comparto della zootec-

nia da carne puntando in particolare sulla riduzione dei costi. Su questa direttrice si sono articolati gli inter-

venti dei relatori intervenuti all'in-contro per illustrare i dati emersi dalla ricerca. Una ricerca, ha ricor-dato Luigi Gallo dell'Università di Padova, che si è svolta coinvolgen-do 19 aziende per un totale di 24mila capi allevati. Si sono stu-diati gli aspetti strutturali, le razioni e i parametri produttivi. Fra i dati emersi, la conferma che ad un mag-gior consumo di proteina grezza da parte degli animali scaturisce una maggiore produzione di azoto. Su questo parametro si può dunque intervenire per ridurre le emissioni di azoto nel terreno.

Proteine e azoto

Una conferma è venuta da Giovan-

ni Bittante, già preside della facol-tà di Agraria dell'Ateneo patavino, che ha evidenziato la possibilità di mantenere buone performance

produttive pur in presenza di una

riduzione della percentuale di

proteina nella razione alimentare. Il risultato è un risparmio sui costi di alimentazione, una minore im-

La ricerca in aiuto dei bovini da carne Dal progetto SustainBeef le rispo-ste per ridurre l'impatto ambientale e al contempo migliorare la redditi-vità degli allevamenti Agronotizie 323 - 24/11/2011

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missione di azoto nel terreno e an-che una diminuzione delle emis-

sioni di metano. Si è poi passati all'esame degli aspetti produttivi e qualitativi, argomento affrontato, da Massimo Marchi, sempre del-l'Università di Padova. Significati-vo il dato emerso sul periodo di ingresso degli animali in stalla che ha messo in evidenza come i mi-gliori risultati economici si realizzi-no con le partite entrate in stalla fra maggio e agosto.

Fra le razze che hanno fatto parte dell'indagine figurano la Charolaise e la Limousine, con quest'ultima che a sorpresa ha mostrato carcasse meno conformate.

Salute animale

Le ricerche non hanno trascurato gli aspetti sanitari dell'allevamento che hanno visto all'opera i veterinari di Azove e dell'Istituto zooprofilattico delle Venezie. Un capitolo impor-tante a questo proposito è quello delle patologie articolari , causa di notevoli perdite economiche negli allevamenti di bovini da carne. Massimo Morgante, della Facoltà di Veterinaria dell'Università di Padova, ha riferito che le cause di queste patologie non sono esclusi-vamente riconducibili a cause batte-riche, ma riconoscono alla loro ori-gine anche altre cause di origine

genetica e metabolica. Fondamen-

tale anche in questo caso è la pre-venzione e la diagnosi precoce.

Indirizzare gli allevamenti

Ora si tratta di trasferire sugli alle-vamenti le conoscenze acquisite dal progetto SustainBeef e qui entra in gioco il ruolo di Azove, realtà che per dimensioni e organizzazione può indirizzare la ricerca, come è avvenuto in questo caso, e che può orientare la produzione finaliz-zando il lavoro degli allevatori al-l'ottenimento di margini migliori prestando al contempo attenzione all'ambiente e al benessere anima-le.

Ogni chilo di carne bovina che esce da un allevamento di vitelloni costa più di due euro. Lo conferma un attento studio recentemente pubbli-cato dal Crpa (Centro ricerche pro-duzioni animali di Reggio Emilia).

Lo stesso studio mette in evidenza che almeno dal 2008 il prezzo dei vitelloni è al disotto del costo di

produzione. In queste condizioni gli allevamenti di bovini da carne dovrebbero aver già chiuso i batten-ti da un pezzo. Invece sono ancora in attività, almeno la maggior parte. Come si spiega? Tutto merito dei premi Pac che consentono la so-

pravvivenza degli allevamenti, offrendo un pur risicato margine di redditività. E' ancora lo studio del Crpa a sottolinearlo. Solo grazie al pagamento unico aziendale e del

premio accoppia-to alla macella-zione, infatti, gli allevamentii han-no ottenuto un'in-tegrazione del

reddito azienda-

le sufficiente a remunerare i co-sti di produzione, lasciando un pic-colo margine positivo. Questa è la “fotografia”

del settore per il 2010. Ma per que-st'anno si teme che l'aumento dei costi, in particolare dell'alimenta-zione per il rincaro del mais (+ 65% nella prima metà dell'anno), possa annullare anche i benefici del soste-gno comunitario. é si può contare

su una ripresa delle quotazioni di mercato tale da mettere “in sicurez-za” gli allevamenti. I consumi di carni bovine sono stabili o peggio in flessione, cosa che certo non favorisce una spinta sulle quotazio-ni. Al contrario continuano le ten-sioni sui prezzi delle materie pri-

me per l'alimentazione, sempre più volatili e altalenanti sotto le spinte dei mercati globali e delle specula-zioni finanziarie.

Attenti alla Pac

Il mercato preoccupa, ma non spa-venta. Allevatori e operatori del settore sono avvezzi agli sbalzi di “umore” e al saliscendi dei prezzi. La “tempesta perfetta”, quella capa-ce di spazzare via le ultime speran-ze di sopravvivenza dei nostri alle-vamenti, è invece dentro alla rifor-ma della Pac. I nostri allevamenti, per la loro particolare fisionomia, potrebbero vedere una forte ridu-zione degli aiuti che hanno sin qui percepito. Spesso si tratta di stalle da ingrasso, che si riforniscono di vitelli importati al peso di circa 300

La carne bovina rischia (in Italia) l'estinzione

I nostri allevamenti sopravvivono solo grazie ai premi comunitari, che la riforma della Pac potrebbe annullare o ridurre in gran parte Agronotizie 325 - 15/12/2011

Produrre un chilo di carne bovina costa oltre due

euro

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chilogrammi e poi portati sino al finissaggio con pesi di oltre 600 chili. Stalle che in molti casi non

hanno a disposizione grandi su-

perfici di terreno agricolo e che per l'alimentazione si rivolgono ad acquisti esterni all'azienda. A que-ste tipologie di allevamento, che peraltro trovano diffusione solo in

Italia, la riforma della Pac non de-dica attenzione. E il risultato sarà un taglio degli attuali premi. Taglio

che porterà alla chiusura delle

stalle da carne, visto che è solo grazie ai premi comunitari che si realizza un margine, come dimostra l'analisi del Crpa. Stalle chiuse e aumento delle importazioni, che

coincide con un un peggioramento della nostra bilancia commerciale. E' questo lo scenario al quale biso-gna prepararsi. E che si potrebbe evitare se a Bruxelles si riuscisse a far valere le ragioni degli alleva-menti da carne italiani. Un risultato che in passato è stato raggiunto solo poche volte.

La crescita della popolazione e del reddito mondiale stanno alimentan-do un trend di progressivo au-mento del consumo pro-capite di

proteine animali nei Paesi in via di sviluppo, riferisce il rapporto World Livestock 2011: Lvestock in

food security (La Zootecnia nel

mondo 2011).

Si stima che il consumo di carne

crescerà di circa il 73% entro il

2050 , mentre il consumo di pro-

dotti caseari salirà del 58% rispet-to ai livelli odierni. Gran parte della domanda futura di prodotti d'alle-vamento - in particolare nelle aree metropolitanee in espansione, in cui si concentra la maggior parte della crescita della popolazione - verrà soddisfatta dall'uso di sistemi d'al-

levamento intensivo su larga sca-

la, afferma il rapporto Fao.

"Allo stato attuale, non esistono

alternative tecni-camente o econo-micamente fatti-bili alla produ-zione intensiva per realizzare l'offerta di pro-dotti alimentari zootecnici neces-saria a soddisfa-re i bisogni delle città in espansio-ne", sostiene il rapporto.

Ma tali sistemi sono fonte di preoc-cupazione sia per il loro impatto

ambientale, come l'inquinamento delle falde acquifere e l'emissione di gas serra, sia in quanto potenzia-li incubatori di malattie, segnala il rapporto, avvertendo che "una sfida inderogabile è quella di rendere la produzione zootecnica intensiva più sostenibile a livello ambientale".

Secondo la Fao, allo stato attuale delle conoscenze e della tecnologia vi sono tre modi di farlo: ridurre il livello di inquinamento prodotto dagli scarti e dai gas serra; ridurre la quantità di acqua e cereali ne-cessaria a produrre ogni dato am-montare di proteine animali e rici-clare i sotto-prodotti agro-

industriali tra le popolazioni di

bestiame.

Maggiore efficienza per soddisfa-

re la domanda

La crescita della produzione zootec-nica degli ultimi 40 anni è stata dovuta all'aumento del numero

dei capi di bestiame allevati. Ma "è difficile immaginare di poter soddisfare la crescente domanda prevista in futuro allevando il dop-pio del pollame, l'80% in più di piccoli ruminanti, il 50% in più di bovini e il 40% in più di suini, e continuando a sfruttare lo stesso livello di risorse naturali di ades-so", afferma il rapporto Fao.

Al contrario, gli aumenti produttivi dovranno scaturire da una maggio-

re efficienza dei sistemi zootecnici nel convertire le risorse naturali in cibo e nel ridurre gli sprechi.

Zootecnia, efficienza e crescita dei consumi Dal rapporto Fao emerge che il consumo di carne crescerà di circa il 73% entro il 2050. 2ecessari nuovi sistemi d'allevamento rispet-tosi dell'ambiente Agronotizie 325 - 15/12/2011

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Riecco le quote latte, dove meno te le aspetti. Questa volta tornano con il “milleproroghe”, il decreto che si vara per correggere eventuali lacune lasciate nel Bilancio dello Stato a fine anno. Anche questa volta, come sempre, è assalto a que-sto decreto nel quale ognuno tenta di inserire richieste e proposte di ogni tipo (non a caso si chiama “milleproroghe”). Sono oltre 1500 gli emendamenti giunti da ogni angolo del Parlamento e si va dal-l'ennesimo condono edilizio ai fon-di per l'editoria passando per talune aperture alla caccia.

E fra le tante proposte ecco quella di rinviare di altri sei mesi (un primo rinvio era già stato accordato fra mille polemiche) il pagamento delle multe latte rateizzate il cui termine era scaduto con il 31 di-cembre del 2010. Prima della sua approvazione definitiva il decreto subirà una forte “cura dimagrante” passando attraverso una serie di

verifiche per valutare l'ammissi-

bilità delle tante, troppe, richie-

ste. Si è iniziato martedì uno feb-braio, dove sono caduti sotto la scure dell'ammissibilità 542 emen-damenti (e fra questi il condono edilizio) e si continuerà nei prossi-mi giorni valutando contenuti e costi di ogni voce e vedremo se alla fine, fra le poche decine di emenda-

menti sopravvissuti, vi sarà anche la proroga al paga-mento delle multe latte, che intanto ha superato la prima “scrematura”.

Le posizioni

La proposta di rinvio delle multe ha già aperto un con-fronto serrato all'interno del Governo, con la Lega che spinge per la proroga e il mini-stro dell'Agricoltura, Giancarlo

Galan, che invece è contrario, co-me già si dichiarò sei mesi fa, quan-do fu concesso di rimandare il pa-gamento delle rate dal 30 giugno al 31 dicembre 2010. A fianco del ministro si è schierata Coldiretti per la quale “non esistono motivazioni per un'ulteriore proroga del paga-mento delle multe” e sulla stessa lunghezza d'onda si è detta Confa-gricoltura per la quale “non si pos-sono accettare ulteriori dilazioni”, come pure la Cia che ha sentenziato “basta premiare i furbi che non hanno rispettato le regole”. Un'al-zata di scudi che ha rafforzato le

richieste del ministro Galan nel suo appello al senso di responsabili-tà dei parlamentari. “Tanto più - ha sottolineato il Ministro – che il ter-mine di pagamento è già scaduto e le ingiunzioni sono arrivate”.

La situazione

Il 21 gennaio, infatti, sono scaduti i termini previsti dalla legge 33-/2009 per la rateizzazione delle multe. Gli allevatori interessati, informa Agea, sono poco meno di

2000 per un totale di 548,75 mi-

lioni di euro. Più in dettaglio si tratta di 541 allevatori che non han-no mai fatto domanda di rateizza-zione, ai quali si aggiungono 494 produttori che pur avendo inoltrato la richiesta non hanno poi concluso l'iter di accettazione. Sono 232 gli allevatori le cui domande sono state accettate, mentre per altri 442 sono ancora in corso le procedure di

riesame da parte di Agea e del Commissario straordinario. La parte restante di allevatori è rappresentata da quanti hanno azzerato il loro debito grazie alle sospensive o al versamento delle multe e dai pochi che hanno debiti inferiori ai 25mila euro.

Il futuro

Ora non resta che attendere la con-clusione dell'iter legislativo del

decreto milleproroghe per sapere come finirà questa ennesima vicen-da legata alle quote latte. Con una certezza, di quote latte si parlerà ancora, almeno sino ad aprile 2015 quando finalmente saranno tolti i vincoli alla produzione di latte. Sperando che il rimedio non sia peggiore del male...ma questa è un'altra storia.

LATTE

Quote latte e multe, ancora una proposta di rinvio

Si riapre la polemica sui pagamenti delle rate che un emendamento al 'milleproroghe' vorrebbe rimanda-re di altri sei mesi Agronotizie 283 - 03/02/2011

Al primo vaglio di ammissibilità sono

stati eliminati 542 emendamenti, ma

resta per il momento la proposta per il

rinvio delle multe

Fonte immagine: Shlabotnik

Page 55: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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Gli allevatori dovranno aspettare il prossimo mese di luglio per riceve-re 40,02 centesimi per ogni litro di latte venduto. Prima di allora do-vranno accontentarsi di soli 39 cen-tesimi. E i soldi arriveranno a ses-santa giorni dalla consegna delle partite di latte. Questo, in sintesi, l'accordo raggiunto in Lombardia

per la definizione del prezzo del latte sino a settembre. Un accordo parziale, perchè a firmarlo non c'è Assolatte (l'associazione delle indu-strie lattiere), ma solo Italatte che per quanto importante (società del gruppo Lactalis, nota con molti e noti marchi come Galbani, Inver-nizzi e Cademartori) non rappresen-ta comunque la totalità del latte lombardo. In rappresentanza degli allevatori troviamo poi solo le firme

di Coldiretti e Cia. Manca la firma di Confagricoltura che ha giudicato insoddisfacenti i termini dell'ac-

cordo. Proprio come accadde poco più di sei mesi fa, ma a ruoli inver-titi, quando fu invece Confagricol-tura a siglare con Italatte un accor-do giudicato insoddisfacente da Coldiretti. In base a quell'accordo, scaduto a dicembre, il latte veniva pagato fra un minimo di 36,50 cen-tesimi e un massimo di 37,30. Il nuovo accordo non è piaciuto nemmeno all' OC Latteitalia (erede di Unalat) che lo giudica insoddisfacente rispetto al mercato attuale e alle sue prospettive di au-mento.

Il mercato

Al di là delle continue divergenze che purtroppo animano il mondo agricolo, registriamo che il nuovo accordo rappresenta comunque un miglioramento rispetto al preceden-te. E vedremo che influenza avrà

nel resto d'Italia, dove si guarda alla Lombardia come capofila nella produzione di latte. Certo è che in questi sei mesi il prezzo dei due principali formaggi italiani, il Par-migiano Reggiano e il Grana Pada-no è cresciuto di circa il 20%. E molti allevatori speravano che an-che il prezzo del latte potesse cre-scere in uguale misura. A favore di un aumento più sostenuto del prez-zo c'è anche la favorevole congiun-tura sui mercati internazionali. La domanda mondiale di latte è in crescita e le scorte sono ai minimi e comunque già impegnate. Se ne è parlato anche la scorsa settimana su Agronotizie, commentando l'anda-mento del mercato dei formaggi. Specchio fedele di questa situazione è l'andamento del prezzo del latte

spot, quello venduto fuori dai con-tratti commerciali la cui quotazione è puntualmente riportata dalla Ca-mera di Commercio di Lodi. L'ulti-ma rilevazione riporta per fine gen-naio punte di 41,5 centesimi, ma la tendenza è quella di ulteriori au-

menti. Almeno per il momento, perchè resta sul mercato del latte

una forte volatilità che rende quanto mai difficile fare previsioni.

Ci vorrebbe un indice

Una situazione, dunque, che rende sempre più problematico raggiun-

gere un accordo sul prezzo che metta d'accordo allevatori e indu-strie. Un aiuto potrebbe venire dal-l'ormai antico progetto di legare il prezzo del latte ad un “paniere” composto dall'andamento dei costi delle materie prime per l'alimenta-zione degli animali e dal prezzo di mercato dei formaggi. Un progetto, questo dell'indicizzazione del prez-zo, che risolverebbe molti problemi. Se ne parla da tempo, ma non si giunge mai ad una conclusione. Proprio come accade per l'unità delle rappresentanze agricole, da

molti invocata ma solo a parole. Intanto le industrie del latte ringra-ziano...

Latte, quel prezzo che divide

Raggiunto un accordo in Lombar-dia che vede però forti contrapposi-zioni fra le rappresentanze degli allevatori Agronotizie 285 - 17/02/2011

L'intesa sul prezzo è stata siglata fra gli allevatori di Coldiretti e Cia

e una tra le più importanti industrie lattiere

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E adesso? Dopo lo stop al “Milleproroghe” promosso dal Qui-rinale e la sua nuova formulazione, il rinvio del pagamento delle multe latte, almeno per il momento, sem-bra riconfermato. Ma l'ultima paro-la sarà detta nel pomeriggio di saba-to 26 febbraio, quando l'iter legisla-tivo sarà completato. Sempre che si

faccia in tempo, perché il decreto dovrà essere votato alla Camera e poi tornare al Senato dopo aver superato l'esame delle Commissio-ni. Insomma una vera e propria corsa a ostacoli. Si farà in tempo? La posta in palio è la decadenza del decreto legge e il suo annullamento. Se così fosse c'è da chiedersi quali saranno le conseguenze per gli

allevatori che non hanno rispettato la scadenza del 31 dicembre 2010. Potranno risolvere il ritardo pagan-do una “mora”? O dovranno rinun-ciare al programma di rateizzazione e pagare tutto e subito? O si prov-vederà ad un nuovo rinvio? Ma inutile ora fare congetture, aspettia-mo cosa accadrà sabato pomerig-gio.

Il sostegno all'Aia

Intanto preoccupa l'assenza, prima e dopo lo stop al Milleprorghe, dei sostegni alle attività del-l'Associazione italiana allevatori (Aia). E non si tratta solo di selezio-ne e miglioramento genetico, pur importanti, ma di un articolato lavo-ro di controllo che riguarda tutta la filiera produttiva sia del latte, sia della carne. Ed è stravagante che mentre si porta avanti un forte im-pegno per avere etichette trasparen-ti, dove sia indicata l'origine dei prodotti, si tolgano risorse al mon-

do degli allevatori la cui associa-zione ha dato ampia dimostrazione di efficienza e professionalità nei suoi 60 e passa anni di attività. Og-gi al sistema Aia fanno riferimento oltre 76mila allevamenti per un totale di capi bestiame che supera i 5 milioni. Quasi tutto il latte pro-dotto in Italia (circa l'80%) viene

sottoposto a controlli nei 24 labo-ratori dell'associazione allevatori e i risultati di oltre 16 milioni di analisi sono utilizzati anche nei programmi di miglioramento e selezione. Un lavoro imponente realizzato anche grazie al contributo degli allevatori e al sostegno finanziario dello Sta-to. Un sostegno destinato a contrar-si anche in relazione alle difficoltà generate dalla crisi economica in atto e che ha indotto il “sistema allevatori” a mettere in atto già da tempo una profonda riorganizza-zione interna, indirizzata a miglio-rare l'efficienza, comprimendo al contempo i costi. Riorganizzazione che per quanto efficace non risolve l'azzeramento delle coperture finan-ziarie alle attività dell'associazione allevatori che lo scorso anno hanno ancora potuto contare su un contri-buto di circa 65 milioni di euro.

I commenti

“Sono momenti particolarmente difficili - dichiara ino Andena presidente di Aia - per il sistema zootecnico nazionale. L’amarezza è ancora maggiore - aggiunge Ande-na - perché vediamo calpestata la dignità di un sistema che in prima persona si è messo in discussione decidendo di riorganizzarsi. E’ difficile frenare la delusione se pen-siamo che a luglio 2010 la Confe-renza Stato-Regioni ha validato il testo del Programma annuale dei controlli 2010 e successivamente reso operativo con DM, nel quale il processo di ristrutturazione appro-vato dal Sistema Allevatori è defini-to come funzionale agli obiettivi di efficienza ed efficacia raccomanda-ti, considerando che tale percorso esige tempi di messa a punto ed

attuazione che tengono conto di vari aspetti, non ultime le specifici-tà regionali.” Parole dure arrivano anche dal segretario generale della Fai-Cisl, Augusto Cianfoni, che “condanna senza reticenze i com-portamenti irresponsabili di chi, insidiando il sistema associativo degli allevatori, sta costruendo un grave pregiudizio su tre mila posti di lavoro altamente specializzati.” Una situazione difficile che ha in-dotto la stessa Fai-CIsl, insieme ad altre sigle sindacali, ad indire uno sciopero nazionale di 8 ore per l'11 marzo.Le preoccupazioni degli alle-vatori sono approdate in Regione Lazio dove l'assessore all'Agricoltu-ra, Angela Birindelli, ha annuncia-to l'aumento della cifra stanziata per il 2011 in favore del comparto zoo-tecnico nazionale, che passa da 1,5 a 3 milioni di euro. Con queste ri-sorse, ha affermato l'assessore, si conta di garantire la continuità dei servizi e dei controlli affidati all'As-sociazione allevatori. Una iniziativa lodevole anche per il significato, ma che non modifica il quadro della situazione. Gli allevatori, e i pro-grammi di selezione e miglioramen-to genetico, attendono una rispo-sta a livello nazionale. Potrà questa risposta venire dalla Conferenza Stato Regioni che si sta svolgendo a Roma mentre scriviamo queste ri-ghe? Non resta che aspettarne la conclusione.

I soldi degli allevatori Mentre il Milleproroghe continua la sua corsa contro il tempo per essere approvato prima della sca-denza, il 'sistema allevatori' deve fare i conti con l'assenza di soste-gni Agronotizie 286 - 24/02/2011

Per l'Associazione allevatori po-

trebbe defilarsi un grave proble-

ma se non saranno resi disponibi-

li i finanziamenti alle attività di

selezione e controllo degli alleva-

menti Fonte immagine: Poolie

Page 57: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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E' deciso. La scadenza per pagare le rate delle multe latte slitta al 30

giugno. E' quanto prevede il com-ma 12-duodecies del “Milleproroghe” il cui testo ha su-perato l'ultimo passaggio alla Ca-mera ed ora è legge dello Stato (legge 26 febbraio 2001, n.10). Una decisione sofferta e accompagnata da un coro di proteste come ormai è prassi quando si parla di quote latte. Decisione iniqua secondo Confagri-coltura che si dice indignata della proroga.

Decisione grave per Coldiretti tanto più che nello stesso provvedimento sono state escluse misure impor-

tanti come il sostegno alle attività

dell'associazione allevatori o il bonus gasolio. Ad alimentare le polemiche ha contribuito la ridda di ipotesi sui costi di questa proroga, prima valutata in 30 milioni e poi

ridotta a soli 5 milioni. Soldi per di più che verrebbero recuperati dai fondi destinati al sostegno di talune gravi patologie come l'assistenza ai malati oncologici. Un argomento che come intuibile ha gettato altra benzina sul fuoco delle polemiche.

Il “puzzle” delle rate

Ma come stanno realmente le cose? Proviamo a rimetterne insieme i “pezzi” fondamentali. Al rinvio, come anticipato anche da Agronoti-zie, sono interessati due gruppi di allevatori, al primo gruppo appar-tengono quelli che hanno aderito alla rateizzazione decisa nel 2003 e che oggi sono alle prese con la set-tima rata delle multe. Nel secondo gruppo (meno numeroso) troviamo gli allevatori che hanno approfittato della nuova “finestra” del 2009, con la quale si è offerta un'altra possibi-lità (pagando però gli interessi) di rateizzare le multe. Per questi ultimi si tratta di pagare la prima rata del loro debito, che già era stato rinvia-to dal 30 giugno del 2010 al 31 dicembre dello scorso anno. Ora il rinvio riguarda tutti gli allevato-

ri, ma la decisio-ne arriva solo adesso, a grande distanza dalla scadenza del 31 dicembre 2010, con il risultato che molti alleva-tori hanno già saldato il loro debito a fine an-no. La gran parte (9.740) degli 11.326 allevatori del primo gruppo ha così provve-duto a pagare la

settima rata en-

tro la scadenza

di fine anno. Una situazione analoga si è verifi-cata per gli allevatori del “secondo gruppo”. Complessivamente si trat-ta di 232 allevatori dei quali solo una sessantina non avrebbero salda-to a dicembre la loro prima rata. Preso atto che la maggior parte de-gli allevatori aveva pagato le rate entro dicembre, i conti sul costo della “operazione rinvio” sono così passati da 30 a 5 milioni di euro. A giugno, e mancano solo pochi mesi, tutti dovranno mettere mano al

portafoglio e adempiere al paga-mento, chi della settima e chi della prima rata. Dunque i costi dell'inte-ra operazione andrebbero spostati non sul capitale (i cinque milioni), ma solo sugli interessi. Chi si è cimentato in questi calcoli affer-

ma che il costo degli interessi si

aggira sui 200mila euro. E a paga-re dovrebbe essere lo Stato visto che per il primo gruppo (quelli della legge 119/2003) la rateizzazione non prevede costi per gli allevatori, che quindi non sono tenuti a pagare interessi. Per il secondo gruppo, che invece non gode di questa agevola-zione, al costo della rata si dovreb-bero aggiungere gli interessi che nel frattempo sono maturati. Interessi che in questo caso non peserebbero sui conti dello Stato. Bruxelles ci guarda

Tanto rumore (e fatica) per nulla, o per poco, verrebbe da dire. Ma non la pensano così a Bruxelles dove già lo scorso anno non piacque la decisione di rinviare da giugno a dicembre il pagamento delle rate. Tanto che nello scorso ottobre è stata recapitata al ministero dell'A-gricoltura una richiesta di chiari-menti da parte del Commissario Dacian Ciolos. La risposta italiana è partita solo da pochi giorni e ve-dremo se le spiegazioni saranno tali da evitare l'accusa di aver infranto le norme comunitarie. Incrociamo le dita, perché se infra-zione c'è stata la prima volta c'è anche in questo secondo caso. E il conto potrebbe essere ben più

salato degli interessi che il rinvio dei pagamenti ci è costato.

Quote latte e Milleproroghe, tanto rumore per nulla

La maggior parte degli allevatori ha saldato il debito in dicembre e il costo del rinvio delle multe riguar-derebbe solo gli interessi maturati sino alla nuova scadenza Agronotizie 287 - 03/03/2011

Ora si teme che questo secondo rinvio delle multe

possa far scattare le sanzioni di Bruxelles nei con-

fronti dell'Italia

Fonte immagine: Joe Shlabotnik

Page 58: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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Sale il prezzo del petrolio, complice la difficile situazione nel Magreb, e cresce il prezzo del latte. E' sempre così, oro nero e oro bianco viag-giano a braccetto sui mercati. Non ci sono connessioni dirette fra que-sti due prodotti, ma è pur vero che il costo dell'energia si riflette su gran parte delle attività produttive, latte incluso. Così il prezzo del latte spot, quello venduto fuori dai contratti fra allevatori e industrie, è tornato a salire e sulla piazza di Lodi (che fa da riferimento per que-sto prodotto) si torna a parlare di oltre 43 centesimi al litro. In fer-mento anche il mercato dei formag-gi. Il prezzo del Grana Padano, vali-do termometro del settore, è cre-sciuto rispetto ad un anno fa di qua-si il 30%. Cresce il prezzo del lat-

te, ma crescono anche i costi per

produrlo. Un'occhiata al mercato del mais e della soia, componenti indispensabili dell'alimentazione della vacca, è sufficiente per capire cosa accade. Rispetto ad un anno fa il mais costa oltre il 70% in più

(circa 230 euro tonnellata) e la soia ha fatto un balzo in avanti di quasi il 40% (circa 550 euro tonnellata). Il risultato è che dare da mangiare alle vacche costa di più visto che il prezzo dei mangimi, stando ai cal-coli della Coldiretti, è cresciuto del 17%.

Il prezzo nel Lazio, in Toscana e

in Campania

Costi in salita e mercato dei for-maggi in ripresa dovrebbero essere gli ingredienti giusti per nuovi ac-cordi fra allevatori e industrie del settore all'insegna di prezzi del latte più alti. Ma non è così. Poche setti-mane fa, in Lombardia, si è fatico-

samente raggiunto un accordo fra Coldiretti e Italatte (dunque un ac-cordo parziale, che riguarda solo alcuni dei protagonisti della filiera, per quanto importanti) che ha fissa-to a 39 centesimi di euro il prezzo del litro di latte alla stalla. Aumenti

modesti e non condivisi da altre

rappresentanze agricole. Ora le difficoltà a raggiungere un accordo fra allevatori e industrie si ripresen-ta nel Lazio, con protagonista la Centrale del latte, che per gli alle-vatori di questa Regione è uno dei principali interlocutori. Le posizio-ni sono distanti, con gli allevatori che chiedono di allineare il prezzo alla nuova realtà di mercato, richie-

ste che però non trovano ascolto. In segno di prote-sta gli allevatori hanno persino minacciato di

gettare il latte

nel Tevere. Mi-naccia che re-sponsabilmente non è stata porta-ta a termine, ma il problema prez-zo è tutt'altro che risolto. Il Lazio rappresenta poco più del 3% della produzione di

latte italiano e viene al sesto posto nella graduatoria delle regioni a vocazione lattiera della Penisola. Dal prezzo del latte dipende il futu-ro di oltre 1700 aziende e le deci-sioni che saranno prese nel Lazio condizioneranno gli analoghi ac-cordi in scadenza in Toscana e in

Campania. In queste due Regioni andranno in scadenza a fine aprile gli accordi sul prezzo del latte fissa-to a 39 centesimi al litro per la To-scana e a 40 centesimi per la Cam-pania. E già si annuncia difficile trovare un punto di incontro nella nuova trattativa.

Ci vuole un “indice”

Ma perché, viene da chiedersi, tanta resistenza da parte delle industrie nell'accordare gli aumenti richiesti dagli allevatori? La forbice fra prezzo del latte e mercato dei for-maggi si è allargato e sembra offrire spazi di manovra sufficienti ad au-menti che non assottigliano i margi-ni, legittimi, delle industrie. Indu-strie che hanno tutto l'interesse a favorire una produzione naziona-

le di qualità, indispensabile per la produzione di formaggi Dop. Una qualità che va sostenuta conceden-do agli allevatori un prezzo equo. A spaventare le industrie è la volati-

lità del mercato del latte, sempre più globale ed esposto ad ogni “refolo di vento” capace di agitare prezzi e tendenze. E spaventano i dati sulla produzione mondiale,

tutti di segno più. Un ingrediente che potrebbe far scendere i prezzi se non ci sarà un aumento della domanda altrettanto consistente.

Fissare un prezzo, per un anno o anche solo per alcuni mesi, è dun-que difficile come dimostra l'assen-za di accordi regionali e la difficoltà a raggiungere intese anche solo aziendali. Se il mercato è volatile, e tale resterà a detta di esperti ed eco-nomisti, non resta che allinearsi a queste mutate condizioni. Lo stru-mento c'è e si chiama indicizzazio-

Prezzo del latte, servono nuove regole

Le trattative si spostano in Lazio, dove si ripresentano le difficoltà nel trovare un accordo fra allevato-ri e industrie. E' tempo di ripensare ad un prezzo legato agli indici di mercato Agronotizie 289 - 16/03/2011

L'indicizzazione del prezzo del latte può essere una

risposta alla volatilità del mercato del latte, sempre

più globale

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ne del prezzo, se ne parla da anni ma senza giungere ad un risultato concreto. Un esempio, pur limitato ad una funzione di orientamento, lo si può consultare su Clal, dove è stato messo a punto uno strumento

di simulazione per calcolare il

prezzo del latte. L'importante è fissare i parametri giusti che ricono-scano ad ognuno, allevatori e indu-strie, un margine soddisfacente e il gioco è fatto. E' una nuova sfida e

come tale può nascondere qualche insidia. Sempre meglio dell'incer-tezza del presente e delle vecchie, superate, regole del gioco.

Curiosa vicenda questa di Parmalat. Gioiello dell'agroalimentare prima, emblema dei crack poi, conteso vessillo del Made in Italy oggi. Guidata da Enrico Bondi che l'ha portata fuori dalle tormentate vicen-de del dopo Tanzi, l'azienda di Col-lecchio è ora di fronte ad impor-

tanti svolte che si concluderanno

prima dell'estate, con l'assemblea

degli azionisti. E sono in molti che a colpi di azioni vogliono prendere in mano le redini dell'azienda. Fra i contendenti alla “scalata” figurava-no alcuni fondi esteri con un pac-chetto di azioni importante, il 15% o poco più. Azioni che ora sono

passate nelle mani del gruppo

francese Lactalis, e nei cui forzieri era già presente il 14,3% delle azio-ni Parmalat. La multinazionale francese, che ha già forti interessi in Italia dove possiede marchi impor-tanti, ha ora in mano oltre il 29%

di Parmalat e si candida alla guida del gruppo. Fra gli azionisti “minori” si annoverano importanti nomi come Intesa San Paolo e As-sogestioni e si è insistentemente ricordato il possibile coinvolgi-mento della famiglia Ferrero, il “cavaliere bianco” che potrebbe salvare l’italianità del gruppo Par-malat. Ma gli spazi di manovra

sembrano, al momento, limitati, e l’Italia corre il serio rischio di per-dere un altro pezzo importante del “Made In Italy”. E così Coldiretti Lombardia invoca garanzie per il latte italiano visto che nelle mani francesi potrebbe finire il 10% del latte munto in Lombardia. La Cia chiede l’intervento del Governo perché “non si può assistere passi-vamente – ha dichiarato il presiden-te Giuseppe Politi – all’assalto dello straniero in questo importante settore”. E per il presidente di Co-pagri, Franco Verrascina, siamo di fronte al “saccheggio” del Made in

Italy. Ma già in precedenza il pos-sbile passaggio di Parmalat in mani francesi aveva suscitato l’attenzione del mondo politico, a iniziare dal ministro dell’Economia, Giulio

Tremonti, che si era detto alla ri-cerca di strumenti legislativi capaci di mettere al riparo l’italianità da acquisizioni “ostili”. Vedremo se il decreto legge varato in estremis il 23 marzo potrà rimettere in gioco una cordata italiana. Una vicenda, questa di Parmalat, della quale si sono occupati tutti i media e chi volesse approfondire l'argomento non ha che l'imbarazzo della scelta, dal “Corriere della Sera”, a “Il Sole 24 Ore”. Molte indicazioni si pos-

sono trovare anche su “Corpo 8”

di questa settimana, inutile dun-que ripetere cose che si possono leggere ovunque. Il mercato del latte Proviamo a osservare allora il qua-dro d’insieme da un altro punto di vista, quello del mercato del latte

e dei rapporti fra industrie e alleva-tori. Partiamo dal prezzo del latte, fermo al palo dei 39-40 centesimi al litro, immobilizzato dalle tensioni sui mercati internazionali, in balia di un difficile equilibrio fra pro-duzione mondiale ed evoluzione

dei consumi. E poi si aggiungono i venti della speculazione che soffia-no sul latte come sulle altre com-modities agricole. Non c'è da stu-pirsi se il prezzo del latte è “volatile”, cioè instabile e altale-nante, volatilità che giustifica in qualche modo le resistenze delle

industrie del latte nel negare ai produttori aumenti anche quando il mercato è in ripresa, come in questi mesi. La vicenda Parmalat dice però che il business del settore lattiero casea-rio, a dispetto di questa “volatilità” del latte, è assai allettante. In Italia vale poco meno di 22 miliardi di euro, ma di questo valore solo una parte modesta, appena il 23%, va

nelle tasche degli allevatori. Alle industrie del latte resta la fetta più rilevante (41%) mentre il rimanente 36% è a vantaggio della distribuzio-ne. Se lo squilibrio in favore di que-st'ultima è evidente, la quota appan-naggio delle industrie è significati-va e da sola varrebbe a spiegare l'interesse verso l'acquisizione di un gruppo come Parmalat. Il business del Made in Italy Ma c'è di più. Parmalat vuol dire produzione italiana e il “Made in

Italy” piace. Piace in molti settori come quello della moda e del fashion, tanto che solo pochi giorni

Parmalat insegna che il latte italiano vale di più

Le vicende dell'azienda di Collec-chio, contesa tra Francia e Italia, devono indurre ad una maggiore attenzione al Made in Italy Agronotizie 290 - 24/03/2011

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fa il marchio Bulgari è finito, senza che nessuno battesse ciglio, nelle mani del gruppo francese (sempre loro...) Lvhm. E piace anche il “sapore” dell'agroalimentare Made in Italy. Non è un caso se proprio Lactalis ha già fatto ampiamente

shopping in Italia accaparrandosi marchi storici fra i quali Galbani, Invernizzi, Cademartori e Vallelata. Oggi anche Parmalat rischia di an-dare all'ombra della torre Eiffel, sempre che il decreto "antiscalate" varato il 23 marzo dal Governo non ribalti le carte. Ma il segnale è chia-ro, il “Made in Italy” ha un forte richiamo e un valore intrinseco che non è ancora stato utilizzato appie-no. Alla base di tutto c'è però il

latte delle vacche italiane, che va

pagato per quel che vale. E i mar-gini ci sono, lo dice la catena del valore. Magari riducendo lo squili-brio a vantaggio delle industrie e della distribuzione. Queste cose gli allevatori le sanno, ma forse è giun-to il momento di “alzare la voce” e di far sentire di più il loro peso nelle trattative con le industrie. Poi occorre mettere mano ad una seria valorizzazione del Made in Italy agroalimentare sui mercati interna-zionali. Lo spazio c'è e se così non fosse fatichiamo a capire tanto af-fanno per acquisire il controllo di un'azienda lattiera il cui “appeal” è nel nome piuttosto che nei fatturati, per quanto migliorati sotto la guida

di Enrico Bondi. Che adesso si vor-rebbe persino estromettere. Fonda-mentale il sostegno pubblico nella promozione del Made in Italy, ma

non basta. Le industrie devono essere in grado di coordinare i loro sforzi e di attuare sinergie. E piace-rebbe vedere la discesa in campo,

con forza e convinzione, delle

associazioni di settore, come As-solatte e Federalimentare. Perché i singoli difficilmente potranno avere risorse e competenze sufficienti. Con l'eccezione di qualche grande multinazionale. Magari francese. Che del “Made in Italy” valorizzerà solo quel che le conviene.

Finalmente per il stabilire il prezzo del latte si ricorre ad un indice che tiene conto dell'andamento del mer-cato e dei costi di produzione. Se ne parla da tempo e anche su Agrono-tizie a più riprese è stata sostenuta l'esigenza di ricorrere all'indiciz-zazione del prezzo del latte. Ora il prezzo potrà seguire gli andamenti del mercato e dare maggiori soddi-sfazioni a tutti, allevatori e industrie del settore. Avviene in Piemonte, regione che è solo al quarto posto (870mila tonnellate), nella produ-zione di latte, ma l'importante è che qualcuno abbia intrapreso questa via. Altri seguiranno, è solo que-stione di tempo. Nel raggiungere l'obiettivo un ruolo chiave è stato svolto dalla Regione Piemonte e dall'assessore all'Agricoltura, Clau-

dio Sacchetto, che si sono adopera-

ti per raggiungere questo risultato, con il quale è stata scritta “una pa-gina importante - ha detto lo stesso Sacchetto - per quel che concerne i rapporti all'interno del sistema lattiero caseario piemontese”.

I termini dell'intesa

L'accordo si basa sull'impiego di un paniere composto da 15 voci fra le quali figurano quotazioni nazionali e internazionali di prodotti caseari ed elementi che entrano fra le voci di costo nella produzione del latte. A cadenza mensile l'Osservatorio sul mercato dei prodotti zootecnici dell'Università del Sacro Cuore di Piacenza provvederà all'aggiorna-mento dei dati che costituiscono il paniere e alla definizione del prezzo del latte. A garanzia del regolare andamento dell'accordo vigilerà una commissione paritetica che avrà il compito di monitorare il meccani-

smo di indicizzazione e decidere gli eventuali aggiornamenti che si rendessero necessari.

Nel definire il prezzo finale del latte entrano poi in gioco parametri di

qualità valutati anche in base alla destinazione finale del latte. L'ac-cordo entra in vigore il primo

aprile ed è stato sottoscritto per la parte industriale da Inalpi e dal Ca-seificio Pugliese. Soddisfazione da parte di Coldiretti, Confagricoltura, Cia e Copagri (finalmente tutte in-sieme...) che hanno siglato l'accor-do in rappresentanza degli allevato-ri.

Il prezzo nel Lazio

Resta invece legato agli schemi tradizionali l'accordo siglato nel Lazio con la mediazione del-

Prezzo del latte, la rivoluzione parte dal Piemonte Raggiunto l'accordo per il sistema indicizzato. Intesa siglata anche nel Lazio, ma seguendo gli schemi tra-dizionali Agronotizie 291 - 31/03/2011

Il Piemonte si candida come ca-

pofila per l'indicizzazione del

prezzo del latte alla stalla

Page 61: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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l'assessorato all'Agricoltura, guidato da Angela Birindelli, dove alleva-tori e industrie hanno fissato a 42 centesimi al litro il prezzo del latte. Prezzo che sale di un centesi-mo per il prodotto di alta qualità. E' uno dei prezzi più alti pagati in Ita-lia, ma nonostante questo non rac-

coglie consensi unanimi, tanto che già si parla di una riapertura delle trattative nel prossimo agosto. E chissà che in quell'occasione anche il Lazio segua l'esempio del Pie-monte. Ma la vera svolta la si at-tende dalla Lombardia, dove si produce quasi la metà del latte ita-

liano (4,3 milioni di tonnellate) e dove il prezzo è fermo sotto quota 40 centesimi al litro. Quando anche lì si passerà al prezzo indicizzato la “rivoluzione” potrà dirsi completa-ta.

Dopo la sua presentazione nel di-cembre dello scorso anno, il "pac-chetto latte" della Commissione europea è all'esame del Parlamento e del Consiglio.

Piovono critiche dalle associazioni di categoria, Coordinamento Via

Campesina e European Milk

Board in testa. Con un documento

congiunto, le due organizzazioni dei produttori hanno bollato come "insufficienti" per un reale rilancio del settore sia le norme proposte dalla Commissione, sia gli emenda-menti presentati dall'eurodeputato nordirlandese James Nicholson, rapporteur per il Parlamento.

Perplessi anche i giovani

Anche i giovani agricoltori del Ceja hanno espresso le loro per-plessità presentando una piattafor-ma di richieste di modifica che prevedono innanzitutto l'adozione

di un meccanismo di "soft lan-

ding", di atterraggio morbido, per i produttori dopo il 2015, quando il sistema delle quote sarà definitiva-mente smantellato.

Un'esigenza non recepita dal testo della Commissione, ma fatta pro-pria dal Consiglio dei ministri agri-coli e dal rapporto Nicholson.

Il principio più importante contenu-to nelle proposte dell'Esecutivo è la necessità di agire per rafforzare il potere contrattuale dei produttori

nella filiera attraverso l'aggrega-

zione dell'offerta, anche interpro-fessionale. Ma, come si legge nel rapporto icholson, il "pacchetto" non spe-cifica come fare in concreto per distribuire meglio il valore aggiunto nelle varie fasi della catena, né si fa accenno al ruolo della Grande di-stribuzione organizzata nelle orga-nizzazioni interprofessionali.

Gli ostacoli

Gli ostacoli di carattere tecnico da superare sono molti, ma l'impres-sione che si ricava dal dibattito di questi mesi è che senza interventi di sistema, cioè sulla filiera intera, l'applicazione pratica del principio del potere contrattuale rischia di avere effetti limitati e scontentare

anche gli stessi produttori.

Secondo il presidente della Com-

missione Agricoltura del Pe Paolo

De Castro, il testo dell'esecutivo va emendato per "mettere in condizio-ne i consorzi di tutela Dop e Igp di fare una reale programmazione dell'offerta, vincolare le Organizza-zioni dei produttori ad avere un'ef-fettiva disponibilità del prodotto, accentuare il carattere interprofes-sionale delle Organizzazioni".

Anche il Consiglio sta lavorando su questo aspetto.

Ma la spaccatura tra gli Stati membri - Italia e Francia da un lato, Germania e Regno Unito dal-l'altro - potrebbe impedire sviluppi concreti.

'Pacchetto latte', piovono le critiche delle associazioni

Bruxelles - Dopo la presentazione della Commissione europea, il documento è all'esame del Parla-mento e del Consiglio. E i giovani agricoltori del Ceja chiedono un 'atterraggio morbido' per i pro-duttori dopo il 2015 Agronotizie 292 - 07/04/2011

Bruxelles, critiche dalle associa-

zioni di categorie al pacchetto

latte

Page 62: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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La vicenda non è nuova. Già tempo fa i Carabinieri del Nac (nuclei Ca-rabinieri antifrodi) avevano messo in evidenza alcune discrepanze fra i dati dell’anagrafe bovina e le pro-duzioni di latte dichiarate ai fini del conteggio dei limiti produttivi im-posti dalle quote. Stando a questi accertamenti vi sarebbero meno

vacche di quelle che risultano in

attività e la produzione di latte sarebbe dunque inferiore rispetto a quella conteggiata ai fini delle quo-te. Dunque nessuna multa sarebbe

dovuta. Questa almeno è la tesi sostenuta dai “cobas” del latte che chiedono l’azzeramento delle multe e il riconteggio delle produzioni. Una delegazione di allevatori ha portato questa richiesta all’attenzio-ne di Agea (Agenzia per le eroga-zioni in agricoltura) e del Commis-sario di Governo per le quote latte, Paolo Gulinelli. Ma la risposta del presidente di Agea, Dario Fruscio, non lascia molte speranze. “Il pre-lievo - si legge nel comunicato di Agea - è calcolato sulle dichiara-zioni di commercializzazione di acquirenti e produttori basate e-sclusivamente su documenti fiscali (fatture); le altre informazioni pre-senti nelle banche dati, come il nu-mero di capi risultante nell'anagra-fe zootecnica, sono utilizzate sol-tanto come elemento di riscontro della coerenza del quantitativo di latte prodotto e fatturato da ciascu-na stalla in relazione ai capi pre-senti e idonei a produrre latte.”

I controlli alle Regioni

Una funzione di riscontro, dunque,

mirata solo a mettere sul chi va là le amministrazioni locali nei confronti di anomalie che potrebbero celare comportamenti anomali che merita-no attenzione e ulteriori accerta-menti. Nel comunicato di Agea, ricco di riferimenti normativi, si ricorda infatti che spetta a Regioni

e Province autonome il compito

di verificare la coerenza fra quanti-tativo di latte dichiarato e numero di vacche allevate. Ma ad Agea non sono mai giunte segnalazioni di

aziende con un numero di animali incompatibile rispetto alla produ-zione fatturata. E a sgombrare il campo dagli equivoci arriva anche la precisazione che solo a partire dalla campagna lattiera 2007/2008 l’anagrafe bovina ha assunto carat-tere certificatorio. Prima di questa data i “numeri” dell’anagrafe era-no considerati “non completa-

mente affidabili”. Anche le ultime speranze di evitare le multe sembra-no così sfumare.

Multe latte, svanisce l'ultima speranza

Le discrepanze fra produzione e anagrafe bovina lasciavano spazio a dubbi sulla correttezza dei calco-li. Ma nessuna segnalazione è mai giunta ad Agea

Chissà cosa ne pensa Enrico Bon-

di. Lo avevano nominato commis-sario straordinario di una Parmalat nel pieno della bufera. E magari qualcuno pensava persino che

non ce l'avrebbe fatta a risollevare le sorti del colosso del latte travolto dai debiti e dallo scandalo. Eppure dopo poco Parmalat ricominciava, lentamente, a macinare utili. Tanto che Enrico Bondi, dismesso il vesti-to di Commissario, indossava poco dopo quello di amministratore dele-gato. E continuava a far crescere il gruppo sino ad arrivare alla quo-tazione in borsa. Se ne è parlato poco, ma quello raggiunto da Bondi è stato un gran risultato. Passato quasi in silenzio, nonostante nella cassaforte di Parmalat si fosse

raccolto un bel gruzzolo, circa 1,4 miliardi di euro. Ci ha pensato la scadenza del mandato a Bondi a far tornare Parmalat sotto i riflettori della cronaca, solo quella finanzia-ria però, più attenta a registrare i cambi nei vertici delle società. A nessuno era venuto in mente che

Parmalat era nel frattempo di-

ventata una bella azienda, un “buon partito” per possibili acquisi-zioni. Ci voleva Lactalis, colosso francese del settore lattiero casea-rio, per far capire agli italiani quan-to valesse Parmalat. E da quel mo-mento è stato tutto un fiorire di pro-poste e controproposte per evitare lo “scippo francese”, al grido di salviamo il Made in Italy. Appello

tardivo e anche poco comprensi-

bile. Parmalat, come la maggior parte dell'industria casearia italiana, ricorre a quote importanti di latte importato per far fronte alle richie-ste del mercato. Non serve la di-chiarazione in etichetta per sapere che molto del latte a lunga conser-vazione consumato in Italia (e non solo quello...) proviene da vacche allevate Oltralpe e anche più in là, dove i prezzi sono più bassi.

La contromossa

E mentre in Italia ci si struggeva nel mettere insieme una cordata (sempre più sfilacciata) disponibile ad acquisire il controllo di Parmalat, ecco arrivare da Lactalis una con-tromossa inattesa, l'Opa, l'offerta

pubblica di acquisto delle azioni

Parmalat ad un prezzo assai allet-tante, oltre il 21% in più rispetto

Più che a Parmalat pensiamo agli allevamenti Ci si preoccupa della italianità del latte, ma a rischio c'è il futuro delle nostre stalle Agronotizie 295 - 28/04/2011

Page 63: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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alla quotazione media degli ultimi dodici mesi. L'obiettivo è il control-lo totale di Parmalat, con una spesa complessiva di circa 4,5 miliardi di euro. on entriamo nei dettagli,

ne sono pieni i quotidiani di questi giorni e chi ne volesse sapere di più può dare un'occhiata a “Corpo 8” in questo numero di Agronotizie.

Un gigante

Fare previsioni è prematuro, anche se appare sempre più probabile il passaggio di Parmalat nell'orbita di Lactalis. Che in questo caso diver-rebbe il primo gruppo lattiero

caseario d'Europa e un “gigante” del settore in Italia, dove già ha fatto incetta (e nessuno se ne faceva cruccio...) di aziende come Galbani,

Cademartori, Invernizzi, tanto per citare i marchi più noti.

In questa ipotesi Lactalis si trove-rebbe in una posizione dominante e c'è da chiedersi quale sarà il suo atteggiamento nei confronti degli allevatori italiani, quando sarà il momento di definire il prezzo del

latte. Faticosamente in Lombardia (dove Lactalis è presente in modo significativo) si è raggiunto un ac-cordo per fissare a 39 centesimi il prezzo di un litro di latte (diventeranno 40,02 centesimi solo a luglio). Poco, tant'è che alcune sigle sindacali hanno espresso forti critiche facendo anche mancare la propria firma. Con l'acquisizione di Parmalat il potere contrattuale di Lactalis (già enorme, rispetto a quello degli allevatori) sarebbe an-

cora maggiore e la tentazione di giocare al ribasso sul prezzo del latte potrebbe prevalere.

Ci vorrebbe Bondi

Ma inutile adesso fasciarsi la testa. Gli allevatori, in ogni caso, farebbe-ro bene a chiedere alle loro organiz-zazioni di attrezzarsi per fronteg-giare una sfida che sarà comunque dura. Altro che dividersi su ogni

cosa come ancora continuano a fare. Anche alla zootecnia italiana, in una crisi non meno devastante rispetto alla Parmalat del dopo-Tanzi, servirebbe una “guida” come quella di Enrico Bondi. Che avrà altro di cui occuparsi e che difficilmente accetterebbe. Peccato.

A fine maggio il Parlamento euro-peo prenderà un decisione in merito alla relazione di James icholson a proposito della legislazione propo-sta dalla Commissione europea per il mercato del latte. E i motivi di preoccupazioni per quanto si andrà a decidere sono molti. Secondo i produttori di latte aderenti all'Emb (European milk board), i contenuti di questa proposta non sono tali da permettere un rafforzamento della posizione degli allevatori nei con-fronti del mercato. Per questo moti-vo gli allevatori hanno deciso di portare la loro protesta sotto le fine-stre del Parlamento Europeo, a Bru-xelles, facendosi accompagnare da 14 Faironikas (una per ogni delega-zione presente), i modelli di vacca a grandezza naturale. Presente alla

manifestazione anche una dele-gazione di alleva-tori italiani asso-ciati a Copagri e Apl (Associazione produttori latte della pianura padana). A parere di Roberto Ca-

valiere, membro del direttivo del-l'Emb e responsa-bile nazionale del settore lattiero caseario di Copa-gri, ci sono anco-ra buone possibi-lità per migliorare il pacchetto latte.

Da parte degli allevatori si teme in particolare una nuova crisi del mer-cato del latte verso la quale gli alle-vatori sarebbero privi di ogni dife-sa. Fra le richieste portate avanti dagli allevatori aderenti all'Emb figura la creazione di una struttura capace di monitorare il mercato del

latte e di allineare produzione e domanda. Dalla sede del Parlamen-to gli allevatori hanno marciato verso la Commissione Europa per manifestare il proprio dissenso nei confronti delle posizioni liberiste del Commissario Karl de Gucht, che a parere degli allevatori del-l'Emb portano vantaggi solo alle industrie di trasformazione.

A Bruxelles la protesta degli allevatori

L'obiettivo è quello di migliorare i contenuti del 'Pacchetto latte'. Pre-sente anche una delegazione italia-na Agronotizie 296 - 05/05/2011

Gli allevatori si sono fatti accompagnare dalle Fai-

ronikas, i modelli di vacca a grandezza naturale Fonte immagine: Marco Papale

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Le difficoltà per gli attori delle fi-liere lattiero-casearie nel mondo sono ancora elevate, soprattutto in Paesi come l’Italia in cui l’eccellen-za del prodotto presuppone costi di produzione molto elevati che ne garantiscano la qualità e la sicurez-za.

Ciò nonostante, il settore si sta bat-tendo molto duramente contro la crisi economica internazionale, anche se l’attuale prezzo del latte ancora non soddisfa gli allevatori. E i risultati si stanno vedendo anche a livello mondiale, dove la produ-zione di latte è in aumento rispetto al 2010; tra i Paesi produttori, il territorio che sta mettendo a segno i risultati migliori da questo punto di vista è il Centro e il Sud America, dove si registrano ottime perfor-mance di Argentina (+16,56%), Uruguay (+8,14%) e Brasile (+7%).

Bene anche l’Europa a 27 (+2,89%), la Nuova Zelanda (+3,21%) e gli USA (+2,19%), mentre gli unici segni negativi di rilievo arrivano da Paesi importatori come il Giappone (-3,4%) e Russia (-2,2%). Buone notizie, dunque, a livello globale. Sostanzialmente stabile anche la produzione in Italia, che nei primi mesi dell’anno ha segnato un comunque positivo +1,28%.

Segnali positivi

Il settore sta quindi rialzando len-tamente la testa dopo le batoste degli ultimi anni, che hanno costret-to molti allevatori a chiudere le

stalle o vendere l’attività. Già qual-che segnale di ripresa si era regi-strato durante l’ultima edizione della Fiera Internazionale del Bovi-no da Latte di Cremona, uno dei più importanti appuntamenti mondiali per il settore, che aveva visto cre-scere in modo esponenziale i visita-tori esteri; un chiaro segnale del fermento internazionale e soprattut-to un grande stimolo per le imprese italiane per trovare nuove strade commerciali.

E anche quest’anno la Fiera Inter-nazionale del Bovino da Latte si sta già preparando per la prossima

edizione, in programma a Cremo-

na dal 27 al 30 ottobre 2011; un appuntamento da non mancare per tutti gli operatori della filiera, per-ché sarà il posto in cui avere una panoramica dettagliata del compar-to da tutti i punti di vista: tecnologi-

co, genetico, politico, ed economi-co.

E il confronto tra i protagonisti del settore non si ferma: si è appena concluso nella sala convegni della Fiera di Cremona l'incontro che le sigle sindacali di settore Fai, Flai e Uila hanno organizzato per portare avanti le loro proposte per risolle-vare il comparto, argomento del quale si occupa anche questo nume-ro di Agronotizie.

Cresce il latte nel mondo

Stabile la produzione in Italia ma resta l'incognita sull'evoluzione dei mercati internazionali. Dalla Fiera di Cremona le prime anticipazioni Agronotizie 298 - 19/05/2011

Già si pensa alla prossima fiera di

Cremona per fare il punto sulla

Solo una boccata d'ossigeno per sostenere le attività del sistema alle-vatori guidato da Aia (se ne parla anche su questo numero di Agrono-tizie), mentre la francese Lactalis è pronta a “bersi” Parmalat. Due vi-cende fra loro slegate, ma con in comune l'incerto futuro dei lavo-ratori impegnati nell'una e nell'al-tra. Quanto basta per far scendere in campo i sindacati del settore agroa-limentare (Fai, Flai e Uila) che a Cremona hanno dato appuntamento al “gotha” del settore lattiero-caseario. Ne è scaturito un incontro affollato, complice la presenza del ministro dell'Agricoltura, Saverio Romano, e del presidente della Comagri del Parlamento europeo, Paolo De Castro, e dei tanti “big”

del settore (impossibile ricordarli tutti) che hanno accolto l'invito dei sindacati per affrontare i temi caldi del momento. Si è così puntato il dito contro l'annosa difficoltà del settore di “fare sistema” che ha innescato un complicato rapporto

Il latte italiano non sa fare 'sistema'

La fragilità della filiera lattiero casearia al centro dell'incontro dei sindacati dell'agroalimentare Agronotizie 298 - 19/05/2011

Anche il mondo del latte sconta le

divisioni del mondo agricolo

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fra chi produce latte, chi lo trasfor-ma e chi lo commercializza. La frammentazione del comparto non è stata sconfitta nemmeno dalle Organizzazioni dei Produttori, trop-pe volte tali solo sulla carta. E ora ci si trova a fare i conti con il “pacchetto qualità” e con il “pacchetto latte” che la Ue promuo-ve e che affida ai contratti di filiera (e dunque alle forme organizzate dei produttori) un ruolo chiave. E così il latte italiano non solo è più fragile di fronte al mercato globale, ma rischia di essere escluso dai vantaggi di questi “pacchetti” o di coglierne solo una parte. Se la qualità non basta

Basterà la qualità evocata dal mini-stro Romano a mettere in sicurezza il latte italiano dalle difficoltà del mercato? Le convinzioni del mini-stro vacillano di fronte alla consta-tazione che i pur ottimi requisiti del nostro latte non sono valsi ad oggi

a fronteggiare le emergenze. La qualità, infatti, non è bastata a scon-giurare la chiusura delle stalle, il cui numero si è dimezzato dal 2000 ad oggi, passando da 75mila unità produttive a sole 40mila. Ma le stalle “professionali”, ha ricordato De Castro, sono assai meno, forse non più di 15mila. Le divisioni si pagano

Senza una strategia per il futuro altre aziende crolleranno sotto il peso del mercato. La parola d'ordi-ne scaturita dal convegno di Cre-mona è allora “fare sistema” con un progetto di filiera dove si incontrino produzione, trasformazione e lavoro per valorizzare al meglio le nostre produzioni. Facile a dirsi, un po' meno a tradursi in concreto. Anche il convegno di Cremona si è perce-pita l'incomunicabilità che ancora

affligge i sindacati agricoli. Non a caso sono stati i sindacati dei lavo-ratori (uniti) e non quelli agricoli

(divisi), ad organizzare il podio cremonese dal quale lanciare l'ap-pello per il salvataggio del latte. Difficile con queste premesse im-maginarsi una svolta nelle strategie per il settore lattiero o più in gene-rale nella politica agricola. Di una

svolta c'è invece grande bisogno. Dietro l'angolo

All'orizzonte c'è la riforma della

Pac e poi, nel 2015, con l'azzera-mento delle quote latte, il mercato sarà definitivamente libero. Proprio ora che negli Usa stanno pensando ad introdurre le quote come mezzo per superare la volatilità del prezzo del latte. Ma indietro non si torna, ha ribadito anche De Castro. Biso-gna prepararsi allora al dopo-quote finché siamo in tempo. E se Parmalat parlerà francese, come probabile, ci sarà da vigilare. Per il latte italiano e per la sorte dei lavo-ratori.

Dopo tanto parlarne, ecco arrivare le cartelle esattoriali destinate a chi non è in regola con il pagamento delle multe latte. I destinatari sono gli allevatori che pur avendo pro-dotto più latte del dovuto non han-no aderito ai programmi di ra-

teizzazione e che non hanno ri-corsi in sospeso. I loro debiti sono oggi “esigibili” ed Agea ha affidato agli esattori di Equitalia il compito di notificare gli importi delle multe consegnando le cartelle di paga-mento, anticamera di una possibile ipoteca o del pignoramento dei be-ni. E con la consegna di una delle prime cartelle esattoriali, puntuale, è scattata la polemica. A farne le spese è stato un esattore di Equitalia

che, riportano le cronache di questi giorni, è stato persino “sequestrato” dagli allevatori ai quali aveva notificato la multa. Cer-to, gli animi sono accesi e l’entità della cartella esattoriale consegnata, 587mila euro (ma in arrivo ce ne sarebbero anche di più pesanti), suona come una condanna alla chiusura della stalla. Ma certi com-portamenti non possono trovare giustificazione.

La rabbia, il torto e la ragione

Sebbene ingiustificabile, c’è da chiedersi però dove nasca tanta “rabbia”. Occorre allora un breve “riassunto” delle ultime tappe di questa lunga e tormentata vicenda delle quote latte. Partiamo allora dalla legge 33/2009, con la quale si è data agli allevatori la possibilità di ottenere un aumento gratuito della quota a fronte dell’impegno a paga-re le multe in forma rateizzata. Una proposta alla quale non tutti gli

allevatori hanno aderito, e la cui efficacia ha sofferto del continuo rinvio delle scadenze (prima il 31 dicembre 2010 e poi il 30 giugno di quest’anno, ormai alle porte). Men-tre gli allevatori erano alle prese con la scelta se aderire o meno alla proposta di rateizzazione, dai Nac (nucleo dei Carabinieri che fa capo al ministero dell'Agricoltura) usci-vano i risultati di una indagine che metteva in dubbio i "numeri" della

L'esattore bussa alla porta degli allevatori Proteste e polemiche dopo la con-segna delle prime cartelle esatto-riali con le multe per il troppo latte prodotto. E siamo solo agli inizi Agronotizie 299 - 26/05/2011

Gli allevatori non in regola con le

quote insistono nel considerare

errati i calcoli sulla produzione

italiana di latte

Fonte immagine: joe shlabotnik

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produzione di latte. L'Italia, si po-trebbe desumere dalla relazione dei Nac, avrebbe prodotto meno latte rispetto a quanto risulta ufficial-mente. Dunque non avrebbe mai superato i vincoli imposti dalla Ue e nessuna multa, di conseguenza, sarebbe dovuta.

I “numeri” sono corretti

Questa "interpretazione" dell'inda-

gine dei Nac, benché confutata a più riprese da Agea, è presto dive-nuta la nuova bandiera degli alleva-tori “irriducibili”, che si sentono legittimati a produrre quanto vo-gliono e a non pagare multe. Intanto sono in arrivo circa 600 cartelle

esattoriali anche con importi mi-lionari. Insomma, benzina sul fuo-co che il ministro dell’Agricoltura sarà chiamato a spegnere. Saverio Romano si è già detto più possibili-

sta rispetto al suo predecessore, Giancarlo Galan, ma come que-st’ultimo è tuttavia deciso a far ri-spettare le regole e dunque a far pagare il dovuto. Difficile trovare un punto di equilibrio. C'è chi ipo-tizza come soluzione l'apertura di una nuova rateizzazione (sarebbe la terza e non mancherebbero le critiche). E sempre che Bruxelles non si metta di traverso.

Nessuna multa per gli allevatori che hanno prodotto più latte rispetto alla loro quota individuale. Per il secondo anno, infatti, l'Italia non ha superato il tetto produttivo imposto dalla Ue con il regime delle quote latte. Per l'annata lattiero casearia 2010-2011 (che si è conclusa il 31 marzo di quest'anno) la produzione complessiva di latte si è fermata a quota 10,61 milioni di tonnellate, 266mila tonnellate in meno rispetto alla quota nazionale, salita a 10,87 milioni di tonnellate dopo l'aumen-to ottenuto nel 2009 dall'allora mi-nistro dell'Agricoltura, Luca Zaia. A rendere noti i dati produttivi è Agea, che ha così confermato non solo l'assenza di multe a carico

dei produttori, ma anche la resti-tuzione delle somme trattenute in attesa della conclusione dell'annata lattiero casearia. La restituzione delle trattenute di legge, ha tenuto a segnalare Agea, sarebbe dovuta avvenire più avanti, entro il 31 ago-sto, ma si è preferito anticipare i tempi in considerazione delle diffi-coltà che da tempo incontrano gli allevamenti di bovine da latte. Il presidente di Agea, Dario Fruscio, ha commentato questa anticipazio-

ne delle restitu-zioni come la volontà di “perseguire l’o-biettivo di far pervenire il mas-simo sostegno alle aziende che producono latte in un momento di particolare criti-cità”. Per rag-giungere questo risultato Agea ha accelerato i

tempi per il

calcolo delle

quantità di

latte vendute, cosa che ha consentito non solo di anticipare le restituzioni, ma di evi-tare al contempo la trattenuta (che viene operata dagli acquirenti) della quota di prelievo mensile del mese di marzo, in scadenza a mag-gio. In questo modo gli allevatori già dal mese di marzo hanno potuto percepire per intero il corrispetti-

vo del latte venduto senza essere penalizzati dalle trattenute. I van-taggi, sottolinea Agea in suo comu-nicato, non si fermano agli allevato-ri, ma si estendono agli acquirenti che hanno così la possibilità di svincolare le fideiussioni loro pre-state a garanzia delle somme tratte-nute ai produttori.

“La sollecitudine e l’attenzione di Agea verso il mondo della produ-zione del latte - ha dichiarato Fru-

scio - conferma, anche in questa circostanza, la sua vicinanza e la sua solidarietà, nei termini possibili e leciti, alle condizioni, in questa fase particolarmente tesa, sia finan-ziarie che di margine economico di tale categoria.”

on per tutti

L'incubo quote non è però finito per tutti. Restano da pagare le multe

maturate negli anni precedenti

che molti allevatori stanno pagando a rate dopo aver aderito ad una del-le due opportunità di rateizzazione sancite prima dalla legge 119 del 2003 e poi con la più recente legge 33/99. In sospeso, infine, resta la difficile posizione di alcune centi-

naia di allevatori (poco più di 600)

Quote latte e multe, incubo (quasi) finito Per il secondo anno la produzione italiana di latte è rimasta nei limiti imposti dalla Ue. Resta il nodo delle multe pregresse Agronotizie 300 - 01/06/2011

Agea ha accelerato i calcoli consentendo un'antici-

pazione dei rimborsi agli allevatori Fonte immagine: George Donnelly

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che di rate e multe non vogliono sentirne parlare. Il loro debito con l'erario è diventato in molti casi esigibile e sono arrivate le prime

cartelle esattoriali, con l'inevitabi-le coro di proteste delle quali si è occupato anche Agronotizie la scor-sa settimana. I debiti contratti con l'erario raggiungono in qualche caso cifre milionarie. on sarà

semplice mettere d'accordo il

rispetto della legge e il salvatag-gio di queste aziende, altrimenti a rischio chiusura. Un problema che non è sfuggito al presidente di Agea che a questo proposito ha auspicato “che attraverso iniziative e fatti veramente concludenti si possa giungere su un terreno di maggior dialogo che tenda a risolvere le

condizioni di esasperazione in cui tale categoria produttiva si ritiene sia stata posta. Ferma restando la cornice articolata e complessa delle disposizioni normative nazionali e regolamentari europee che discipli-nano la materia oggetto di così radicale contrapposizione.”

Mancano ormai pochi giorni al 30 giugno, data ultima (dopo due rinvii decisi fra molte polemiche) per pagare le rate dovute dagli allevato-ri che hanno prodotto più latte ri-spetto alla propria quota produttiva. In questi giorni sono anche arrivate le prime cartelle esattoriali all'indi-rizzo dei produttori le cui multe sono diventate esigibili. Altri alle-vatori, invece, sono ancora in attesa di conoscere se e quanto dovranno pagare quando le sospensive ancora in atto avranno una risposta. Un tema “caldo”, dunque, questo delle multe e a volte c'è confusione sui “numeri” di questa lunga e tormen-tata vicenda delle quote latte. Per cercare di fare chiarezza Agronoti-zie si è rivolta alla “fonte”, cioè ad Agea (Agenzia per le erogazioni in agricoltura), rivolgendo al respon-sabile dell'ufficio stampa, Gianluca

Marchi, alcune domande. Eccole.

Per la campagna lattiero casearia

2010/2011, così come per quella

precedente, l’Italia non ha supe-

rato la quota latte nazionale fissa-

ta dalla Ue. Resta però aperto il

problema delle multe per il passa-

to: quale è l’entità complessiva

delle multe dovute alla

Ue? E a partire da

quale anno?

“L’Italia - ci ha risposto Gianluca Marchi - ha pagato 1.870 milioni di euro per le campagne 1988/89 – 1992/93, posti a carico dell’erario. Per le campagne 1995/96 - 2008/09 l’importo pagato alla UE ammonta a 2.537 milioni di euro, di cui 2.268 sono stati imputati ai produttori. Di questi ne sono stati riscossi 230 e rateizzati, con la legge 119/2003, altri 346 (in corso di versamento).

Agea ha recentemente affidato a

Equitalia il compito della riscos-

sione delle multe latte divenute

“esigibili”. Quanti sono gli alleva-

tori in questa condizione e qual è

l’importo complessivo di queste

multe? Inoltre quali sono gli anni

ai quali queste multe si riferisco-

no?

“La legge 33/2009 - precisa Marchi - ha previsto una ulteriore possibili-tà di rateizzare tutte le somme do-vute. A 2.581 produttori sono state intimate le somme esigibili, per un importo di 854 milioni di euro, rife-riti a tutte le campagne imputate. Agea ha attivato la riscossione da parte di Equitalia per circa 59 mi-lioni di euro, riferiti a 624 produtto-ri che non hanno richiesto la rateiz-zazione ed a 40 produttori che han-no avuto la richiesta respinta per

non aver raggiunto la soglia minima rateizzabile prevista dalla legge di 25.000 euro. A breve è da definire la posizione di 1.041 produttori che hanno richiesto la rateizzazione di 452 milioni di euro, ma non hanno sottoscritto nei termini il contratto loro proposto.”

Con il 30 giugno scade la seconda

proroga per pagare le rate stabili-

te dalle due leggi citate. Qual è

l’importo delle multe a questa

scadenza e quanti sono gli alleva-

tori interessati?

“Per quanto riguarda la settima rata - puntualizza Marchi - stabilita dal-la legge 119/2003, 10.096 produtto-ri hanno già versato l’importo do-vuto (19 milioni), mentre 1.231 produttori devono ancora provvede-re al versamento di circa 5 milioni. Per quanto riguarda la rateizzazione della legge 33/2009, hanno sotto-scritto il contratto 329 produttori. L’importo della prima rata ancora da versare ammonta a 2,7 milioni, ma per 255 di loro è in scadenza alla stessa data anche il versamento della seconda rata, pari a circa 5 milioni.”

Quote latte e multe, sono questi i numeri

Agronotizie ha chiesto ad Agea di fare il punto della situazione in vista delle prossime scadenze Agronotizie 3302 - 16/06/2011

Page 68: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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Misure per l’agricoltura delle regio-ni ultra-periferiche, interventi per le isole minori del Mar Egeo, abroga-zione di norme obsolete. Questi alcuni dei temi in discussione alla Commissione Agricoltura e Svilup-po Rurale del Parlamento europeo nella seduta del 27 giugno. Senza nulla togliere a questi argomenti, il “clou” della giornata si è tutto con-centrato nella approvazione del progetto di relazione (relatore Ja-mes icholson), che ha per titolo “Modifica del regolamento (CE) n. 1234/2007 del Consiglio per quanto riguarda i rapporti contrattuali nel settore del latte e dei prodotti lattiero-caseari.” Tradotto dal “burocratese” europeo, si tratta del-la importante proposta con la quale si vogliono creare le premesse per consentire agli allevatori di perce-pire un prezzo più equo per il

latte prodotto. Per correggere lo

squilibrio fra produttori e indu-

strie del settore in quanto a potere contrattuale, gli allevatori devono essere messi nelle condizioni di aderire ad organizzazioni dei pro-duttori (OP) attraverso le quali de-vono essere negoziate le vendite di latte. Il compito delle OP sarà quel-lo di garantire che agli allevatori vada una più equa ripartizione del prezzo pagato dai consumatori, indispensabile per coprire l’aumen-to dei costi e l’aumento della do-manda di latte.

Serve un contratto

Tutto il latte commercializzato do-vrà essere oggetto di un contratto scritto nel quale, prima della conse-gna, sia indicato il prezzo del latte per un periodo di almeno 12 mesi. Volumi di produzione e prezzi medi pagati dal primo acquirente (in pra-tica le industrie del latte e i caseifi-ci) dovranno essere dichiarati con cadenza mensile. Questi “numeri” serviranno per il lavoro di una “Agenzia di monitoraggio” (è questa una richiesta degli eurodepu-tati) che avrà il compito di segnala-re con tempestività eventuali squili-bri nel mercato del latte.

Offerta sotto

controllo

Non meno im-portante la pro-posta di un siste-ma di gestione

dell’offerta per i

prodotti lattiero

caseari che pos-sono fregiarsi di un marchio Dop o Igp. Pur se con il vincolo di evi-tare distorsioni della concorrenza o penalizzazioni

per i piccoli produttori, la possibili-tà di controllare l’offerta potrebbe essere una risposta concreta alle ricorrenti crisi di mercato dei no-stri principali formaggi, Parmigiano Reggiano e Grana Padano in testa.

Si tratta solo di una prima serie di proposte (che la Comagri ha appro-vato con 34 voti favorevoli e tre contrari), alle quali potranno ag-giungersene altre prima che si con-cluda l’iter legislativo, quando la relazione sarà messa ai voti, entro la fine dell’anno, dal Parlamento europeo.

I pareri

La relazione approvata da Comagri raccoglie intanto il favore di Confa-gricoltura dell’Emilia-Romagna che saluta con soddisfazione la presa di coscienza da parte del Parlamento europeo della necessità di un riequi-librio dei rapporti di filiera. Un

passo importante, lo ha definito Roberto Cavaliere, responsabile del settore lattiero caseario di Copa-gri, che a proposito della program-mazione delle produzioni Dop e Igp ha invitato i Consorzi di tutela a svolgere al meglio il loro compito che è anche quello di vigilare sulle troppe truffe. Apprezzamento è

giunto da parte delle centrali coo-

perative che vedono accolte molte delle loro richieste, in particolare per quanto riguarda la programma-zione produttiva dei formaggi a marchio. Resta però sullo sfondo, a parere di Maurizio Gardini, presi-dente di Fedagri Confcoopertaive, la necessità di chiarire il ruolo delle OP e le loro funzioni. "Le OP - sostiene Gardini - devono essere imprese a tutti gli effetti e per far questo devono vendere il prodotto dei propri soci, altrimenti gli alle-vatori rimarranno sempre relegati nel ruolo di meri fornitori di mate-ria prima senza possibilità alcuna di poter aggiungere valore ai loro prodotti". Ora bisogna attendere cosa dirà il Parlamento Ue quando in sede di “Plenaria” procederà alla approvazione definitiva della pro-posta.

C'è un contratto nel futuro del latte europeo Procede al Parlamento Ue la di-scussione sull'obbligatorietà dei rapporti contrattuali fra allevatori e industrie. Avanza il progetto di tenere sotto controllo la produzione dei formaggi Dop Agronotizie 304 - 30/06/2011

Ora bisogna attendere la discussione in “Plenaria”

e l'approvazione definitiva che si prevede per il

tardo autunno (nella foto il palazzo Berlaymont, a

Bruxelles) Fonte immagine: Tiseb

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Ci si aspettava una terza opportuni-tà di rateizzare le multe latte. Que-ste almeno le conclusioni alle quali gli osservatori erano giunti dopo le dichiarazioni del ministro dell'Agri-coltura, Saverio Romano, che si era detto pronto a trovare una solu-zione al problema. Poi è arrivato il commissariamento di Agea, istitu-zione che fra i suoi compiti annove-ra quello della verifica delle quote latte e del calcolo delle multe. E poco dopo la decisione, contenuta nelle pieghe della recente manovra finanziaria, di sospendere il man-

dato ad Equitalia per la riscossione delle multe divenute esigibili. Molti hanno interpretato questi due fatti come la risposta del ministro Ro-

mano al problema delle multe. Altro che rateizzazione, in pratica un rinvio “sine die” ai debiti degli allevatori non in regola con il regi-me delle quote.

Coro di proteste

Immediate le prese di posizione contro questa eventualità. “Un provvedimento che ormai prelude ad un condono tombale – ha detto il presidente di Cia, Giuseppe Politi - che premia i furbi delle quote lat-te”. Una difesa di casta a discapito della maggioranza degli allevatori onesti, si legge in un documento di Confeuro. Una beffa per gli alleva-tori onesti, afferma il presidente di Confagricoltura, Mario Guidi. E' ancora Guidi, insieme al suo vice Antonio Piva, che affida ad un comunicato il compito di chiedere al Governo lo stralcio del provve-dimento sulle quote latte dal corpo

della manovra. Al coro di proteste risponde una precisazione del mi-

nistero dell'Agricoltura nella quale si legge che le norme inserite nel decreto legge del 30 giugno non interrompono l'azione di recupe-

ro delle multe già avviate da Equi-talia. In pratica, precisa il ministero, le cartelle esattoriali saranno trasfe-rite ad Agea, che dovrà provvedere al recupero dei crediti. Una decisio-ne presa in considerazione che Age-a, essendo “organo pagatore nazio-nale”, costituisce l'ente competente nel settore agricolo e lattiero casea-rio.

Il compito di Agea

Ora si tratta di vedere se Agea è in grado di allargarsi dal pagamento delle provvidenze per l'agricoltura alla riscossione dei crediti. Le pre-messe non sembrano le migliori dopo la cura dimagrante imposta

af Agea dai tagli al finanziamento

pubblico e la conseguente riduzio-ne del personale. Senza dimenticare che Agea è “attrezzata” per di-stribuire soldi e non per riscuo-

terne. A meno che dalle ingiunzio-

ni di pagamento non si passi alle “trattenute alla fonte”, con una sorta di compensazione fra multe dovute e sostegni elargiti. Una strada però già abbandonata in passato.

Chi paga e chi no

Pare proprio che gli “irriducubili” delle quote latte possano tirare un sospiro di sollievo. Anche se c'è da registrare la presa di posizione del Quirinale che proprio sul tema delle quote latte ha chiesto un chia-rimento prima di dare il via libera al decreto legge. La risposta è giunta dal ministro Giulio Tremonti con la precisazione che la riscossione delle multe sarà assicurata dalle ingiunzioni di pagamento. Ricordia-mo che ad essere coinvolti nelle iscrizioni a ruolo sono (meglio dire erano?) 664 allevatori ai quali è chiesto il pagamento di 59 milioni

di euro. Per i circa 12mila allevato-ri che invece hanno deciso di paga-re il debito, anche se a rate, non resta che mettere mano al portafo-

glio, cosa che in molti già hanno fatto. Altri ancora hanno da tempo regolarizzato la loro posizione, sia pagando le multe sia acquistando quote (che oggi non valgono più nulla, o quasi...). Altri ancora, e non sono pochi, attendono che la loro posizione sia chiarita.

Quote latte e multe, l'infinito tira e molla 2elle pieghe della manovra di bi-lancio arriva lo stop ad Equitalia per le riscossioni. Ma Bruxelles pone dei paletti e il Quirinale chie-de lumi Agronotizie 305 - 05/07/2011

Rieccole le quote latte. E questa volta non ci sono solo le multe da pagare, ma bisogna fare i conti con le sentenze di condanna inflitte agli allevatori dal Tribunale di Milano. Con pene anche molto severe, come i cinque anni e mezzo di re-clusione inflitti ad uno degli alleva-tori coinvolti nella vicenda. Le

decisioni della quarta sezione pena-le del Tribunale di Milano riguar-dano nel complesso una quindici-

na di allevatori ai quali è stato contestato il reato di truffa e che dovranno risarcire quanto dovuto (si parla di 30 milioni di euro da restituire ad Agea). Senza contare i risarcimenti per le parti civili, fra le quali Coldiretti e Confagricoltura. Inutile entrare nei dettagli della vicenda della quale si sono occupa-ti molti quotidiani (La Stampa, Corriere della Sera, Giornale, per citarne alcuni) ai quali rimandiamo per chi volesse conoscere i nomi delle persone coinvolte. Non è di questo che ci vogliamo occupare. E

Quote latte, tutti colpevoli Alcuni allevatori sono stati con-dannati dal Tribunale di Mila-no. Ma le responsabilità non riguardano solo i produttori di latte Agronotizie 315 - 06/10/2011

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nemmeno esprimere giudizi, a quel-li ci pensa la magistratura, che già per episodi analoghi di qualche anno fa, a Torino, aveva emesso sentenze di condanna a carico degli allevatori. Analogo anche in quel caso il “modus operandi” per evi-

tare le multe. Un meccanismo pe-raltro non complicato. Ci si affidava a cooperative “compiacenti” (o appositamente create) che in qualità di primi acquirenti del latte avreb-bero dovuto applicare le multe e versarle ad Agea. Cosa che ovvia-mente non avveniva. E il giudice chiamato a valutare l'operato di questi allevatori e responsabili di cooperative ha applicato la legge e condannato. Con il plauso di Col-

diretti che all'indomani della sen-tenza del tribunale di Milano ha affidato ad un comunicato il compi-to di dire “giustizia è fatta”, aggiun-gendo subito dopo che è “triste per quei produttori che si sono lasciati trascinare in questa vicenda”. “Una sentenza epocale” ha fatto eco Con-fagricoltura. Ma a dire il vero, una sentenza analoga, lo abbiamo detto, già era venuta dal tribunale di Tori-no, con un giudizio che in quel caso riguardava fra agli altri l'ex euro-parlamentare leghista Giovanni

Robusti, che i più attenti alle vicen-de del latte ricorderanno alla guida degli allevatori quando nel gennaio del 1997 bloccarono con i loro trat-tori l'aeroporto di Linate.

Le multe e le proteste

Già, le proteste, ormai solo un ri-cordo. Perché in quegli anni, dopo aver per lungo tempo illuso gli alle-vatori che le quote e le multe non

sarebbero mai state un loro pro-

blema, arrivò la doccia fredda. Bru-xelles passava all'incasso facendo piazza pulita del “bacino unico” con il quale l'Italia aveva salvato gli allevatori dalle multe (facendole però pagare a tutti gli italiani...). Aiuto indebito, sentenziò Bruxelles, e si passò alle quote produttive individuali. Ma i conti per molti anni non sono tornati, il numero

delle vacche assomigliava alla

tombola natalizia e i dati produt-tivi alle estrazioni del lotto. Con un susseguirsi interminabile di ri-corsi ai Tar da parte di molti alleva-tori. Solo una manciata di mesi fa un'indagine dei Carabinieri met-

teva di nuovo in dubbio dati e

produzioni delle vacche italiane. Poi il dubbio è rientrato, ma serve a ricordare quanta confusione su que-sto argomento è regnata per tanto, troppo, tempo. Con tanta amarezza per quegli allevatori, e sono la mag-gior parte, che nel frattempo si sono messi in regola magari indebitando-si per acquistare quote.

Il peccato originale

E su tutto resta il “peccato origina-le”, aver accettato supinamente, nel 1984, quando le quote latte nacque-ro, una quota produttiva che co-

pre a malapena il 50% del consu-

mo di latte in Italia, quando ad altri Paesi era concesso di produrre il doppio o il triplo delle proprie ne-cessità. Ma si sa, non è da oggi che la politica italiana è disattenta nei confronti delle “cose” agricole. In questa contorta e confusa situazione molti allevatori hanno pensato, a torto evidentemente, di poter fare a modo loro. E sono stati condannati. Spiace però che non possano esser-ci giudizi per chi, avendo responsa-bilità in campo agricolo, ha lasciato che la vicenda quote latte potesse trasformarsi in un inestricabile

groviglio. Nessun tribunale potrà esprimersi, illeciti non ce ne sono. Ma ad emettere un giudizio po-

trebbero essere tutti gli allevato-ri, quelli che si sono indebitati per mettersi in regola e quelli che, sba-gliando, hanno cercato altre vie. E sulla sentenza ci sono pochi dubbi. Tutti colpevoli.

Bovine da latte di alta genealogia, tecnologie all'avanguardia per le stalle e per gli allevamenti suini, un folla di visitatori da tutta Italia e dall'estero. Ecco i principali ingre-dienti che hanno decretato il suc-cesso della 66esima edizione della fiera internazionale del bovino da latte di Cremona, che si è svolta contemporaneamente a Italpig ed Expocasearia, ospitate anch'esse in contemporanea nel quartiere fieri-stico cremonese. E poi un fitto ca-lendario di incontri, dibattiti, meeting e tavole rotonde, e fra i tanti la ottava edizione degli Stati generali del latte, l'evento clou

della manifestazione. Ma differen-za degli anni passati questa volta

non si è parlato di quote latte e

multe. A preoccupare gli allevatori sono ora le proposte di riforma

della Pac che la Commissione ha presentato a Bruxelles. Proposte “senza anima” le ha definite il mini-stro dell'Agricoltura, Saverio Ro-

mano, intervenendo all'incontro di Cremona, aggiungendo che “la ri-forma disincentiva la produzione e allontana dalle campagne.” Ed ec-co la proposta italiana, il trasferi-mento del greening (il sostegno

alla non coltivazione per una pre-

sunta tutela ambientale) sul se-

condo pilastro. Sarà questa la mo-difica che il ministro Romano pre-

Cremona, protagoniste le vacche e la Pac

Il dibattito su quote e multe che in passato animava la fiera è stato sostituito dalle preoccupa-zioni sulla riforma proposta da Bruxelles Agronotizie 319 - 03/11/2011

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senterà il 18 novembre al Commis-sario Dacian Ciolos. L'obiettivo è quello di lasciare ai singoli paesi il compito di stabilire i criteri con i quali sostenere le politiche di tutela ambientale. Vedremo come sarà accolta questa proposta italiana.

Sempre divisi

Il ministro Romano incontrerà Cio-los all'indomani dello svolgimento degli Stati Generali dell'agricoltu-

ra che si volgeranno sempre a Cre-mona l'11 e il 12 novembre. E da Cremona il ministro Romano ha lanciato un appello. “Per vincere il negoziato Pac - ha sostenuto Roma-no - le organizzazioni professionali dovranno sottoscrivere un docu-mento unitario e condiviso.” Sarà possibile? Agli Stati Generali del latte la posizione defilata di Coldi-

retti lascia capire che l'impresa non sarà poi così facile. Intanto il presi-dente di Confagricoltura, Mario

Guidi, ha assicurato la disponibilità della sua organizzazione. E per Mario Lanzi, presidente di Cia Lombardia, è necessario porre fine ad una eccessiva frammentazione

sul fronte della rappresentanza e delle strutture di servizio. La sfida da superare non riguarda solo Bru-xelles, ma si sposta sui mercati in-ternazionali dove l'agricoltura dovrà recuperare competitività pensan-do sopratutto alle esportazioni. Su

questo argomento si è soffermato Guidi chiedendo più attenzione all'agricoltura nella riforma dell'Ice. Sulla stessa lunghezza d'onda il vicepresidente di Confagricoltura, Antonio Piva (che è anche il presi-dente di CremonaFiere), il quale ha tenuto a sottolineare il ruolo del latte italiano quale “ingrediente” del successo all'estero delle nostre eccellenze casearie.

Export, via di uscita

Che l'export debba essere la parola d'ordine per affrontare il futuro è emerso dalle evidenze sui consumi interni, oggetto dell'intervento di Roberto Fiammenghi, di Coop Italia. Quando a fine anno saranno tirate le somme sull'andamento dei consumi di prodotti agroalimentari, ha ricordato Fiammneghi, si avrà infatti la conferma di una contra-zione del mercato interno di circa l'1,5%. La crescita sarà dunque affidata al solo export. Ma il sud dell'Europa, ha affermato Paolo Bruni, presidente di Cogeca (l'organizzazione che rappresenta la cooperazione a livello europeo), stenta a raccogliere la sfida dell'in-ternazionalizzazione dei mercati. Per questo si rende sempre più ne-cessario, è il parere espresso da Maurizio Gardini, presidente di Fedagri Confcooperative, che il mondo cooperativo si faccia inter-

prete della necessità di organizzare l'offerta indirizzandola verso nuovi sbocchi internazionali.

Vacche in passerella

Ignare del dibattito che si svolgeva nelle sale convegni (nella quattro giorni cremonese si sono tenuti ben 33 incontri) le bovine da latte pre-senti in fiera sfilavano sul ring alle-stito in fiera per partecipare ai nu-merosi concorsi in programma. Ad aggiudicarsi il titolo di campiones-

sa per la categoria vacche (la più ambita) è stata la Frisona italiana Bonnyfarm Veronique, una Gol-dwin x Leader x Astre, di proprietà di Alberto, Giovanni e Mario

Chiappini, allevatori con la A maiuscola di Ghedi in provincia di Brescia. Una menzione d'onore, sempre per la categoria vacche, è stata attribuita a Albasse Goldsun

Ostrica, una Goldsun x Mtoto x Juror dell'allevamento Beltramino, di Buriasco in provincia di Torino. Molto apprezzata poi la manifesta-zione "Life is Brown", l'esposizione interamente dedicata al made in Italy organizzata da Anarb, l'asso-ciazione degli allevatori della razza Bruna. Il titolo di regina della sele-zione è andato a ikita, una Bruna figlia di Picasso dell'allevamento Michel Quistini di Bergamo.

Bene l'export, produzione in au-mento, ma forte calo della domanda interna: è quanto emerge dalla ri-cerca sul mercato lattiero caseario condotta da Ismea, presentata da Mariella Ronga nell’ambito della 66esima Fiera Internazionale del Bovino da latte che si è svolta a

Cremona. La ricerca di Ismea evi-denzia che nel 2010 la produzione mondiale di latte è aumentata (+2%), ma la domanda è cresciuta a ritmi ancora più sostenuti, in parti-colare per le polveri, e soprattutto nei paesi del Sud-Est asiatico; nel 2011 si confermano le stesse dina-miche, anche se la domanda di pol-veri sta aumentando in misura espo-nenziale.

Il latte nella Ue

Nell’Ue-27 le consegne di latte

sono aumentate del +2,5% nel periodo gennaio-luglio 2011 grazie a condizioni climatiche favorevoli e

Il mondo chiede più latte Lo evidenziano i dati presentati da Ismea in occasione della fiera di Cremona. In aumento la produzio-ne nella Ue e negli Usa oltre che in Oceania Agronotizie 319 - 03/11/2011

Il Parmigiano Reggiano, insieme

al Grana Padano, guida la gra-

duatoria dei nostri formaggi più

esportati

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all’aumento dei prezzi alla stalla (+16% in media). In Italia il prezzo medio alla stalla è pari al +20% rispetto al livello del 2010. Sempre nello scorso anno, la maggiore di-sponibilità di materia prima è stata impiegata nella produzione di for-maggi (+2,5%), mercato in cui l’Ue

ha confermato la propria

leadership (export +17%), fornen-do circa la metà dei volumi scam-biati a livello internazionale. Nel 2011, la forte crescita della do-manda mondiale di latte scremato in polvere ha favorito la crescita della produzione interna e favorito le esportazioni (+33%)

Il latte in Italia

In Italia la produzione di latte è in aumento (+1,8% nella prima parte del 2011) grazie alla maggiore ri-

chiesta dell’industria, alla ripresa delle esportazioni e al lieve miglio-ramento dei margini aziendali. Sul fronte della trasformazione indu-striale, nel 2010, sono aumentate

le produzioni di yogurt e burro, ma sono rimasti stabili i formaggi,

nonostante il maggior numero di forme prodotte di Grana (+2,8%) e Parmigiano (+2,4%). Nel 2010 i costi agricoli hanno subito un

lieve incremento (+0,5% rispetto al 2009), ma per l’allevamento bovino i costi sono aumentati ad un ritmo molto più sostenuto (+6%). Sono cresciuti soprattutto i costi dell’a-

limentazione del bestiame (+8%), in particolare orzo e cruscami. Nei primi nove mesi del 2011 i costi sono aumentati ad un ritmo ancora più accelerato (+13%). Nel 2010 i prezzi all’origine di latte e deriva-

ti sono cresciuti (+13,5% rispetto al 2009) ad un ritmo superiore ri-spetto al totale agricoltura (4,5%) e zootecnia (5,2%); l’incremento ha riguardato soprattutto i prezzi dei formaggi duri (+17%) e delle mate-rie grasse (+31%). E nei primi nove mesi del 2011 la crescita dei prezzi si è fatta ancora più sostenuta (+19,7%).

L'export

Quanto all’export il 68% circa del valore realizzato sui mercati esteri è

rappresentato da formaggi Dop; la tendenza dell’export di formaggi Dop nel 2010 è favorevole : +16% in valore e +5% in volume. Grana

Padano e Parmigiano Reggiano

da soli sviluppano i tre quarti del

totale del valore dei formaggi

Dop esportati; nel 2010 le esporta-zioni di Grana Padano e Parmigiano Reggiano sono aumentate del +10% in volume. I dati relativi a Grana Padano e Parmigiano Reggiano parlano di un +4% nei primi sette mesi del 2011.

Le previsioni per i prossimi mesi

parlano di una produzione in au-

mento (UE-27, Argentina, Brasile, USA, Oceania), grazie a condizioni climatiche favorevoli e a prezzi alla stalla stimolanti, e di una crescita di consistenza degli stock (burro, latte scremato in polvere) nell’Ue e negli Usa. Sul piano della domanda si prevedono a livello internazionale una crescente richiesta di derivati del latte da parte dei paesi emer-genti (latte in polvere, siero), un aumento dei prezzi al dettaglio e un rallentamento della domanda dome-stica.

L'accordo sul prezzo del latte in Lombardia è stato raggiunto. Per il periodo da ottobre a dicembre gli allevatori riceveranno 403 euro ogni mille litri di latte venduto. E per i primi tre mesi del prossimo anno, sino a marzo, dunque, il prezzo salirà a 407 euro. L'accor-do precedente partiva da 390 euro per fermarsi ad un massimo di 400 euro per mille litri. Anche questa volta si tratta però di un accordo parziale perché a firmarlo non c'è Assolatte (l'associazione delle indu-strie lattiere), ma solo Italatte che per quanto importante (società del

gruppo Lactalis, nota con molti e noti marchi come Galbani, Inver-nizzi e Cademartori, ai quali ha da poco aggiunto anche quello di Par-malat) non rappresenta comunque la totalità del latte lombardo.

Ci sono tutti

Questa volta l'accordo è stato sigla-to anche da Confagricoltura e non solo da Coldiretti e Cia come avve-nuto in precedenza. Segno di un'in-tesa allargata e condivisa che la-scia ben sperare, visto che la zoo-tecnia da latte ha di fronte sfide ben più impegnative di questa. Il prezzo che è stato deciso è peraltro fra i più alti nei paesi della Ue ed è allineato alle quotazioni del latte spot (quello venduto fuori dai con-tratti) che sulla piazza di Lodi è da tempo assestato su una media di

circa 440 euro. L'aver ottenuto un aumento del prezzo per i primi mesi del 2012 apre buone speranze sul-l'andamento delle quotazioni dei

due grandi “grana”, il Parmigiano Reggiano e il Grana Padano. La spinta sulla produzione di questi due formaggi che si è registrata negli ultimi mesi lascerebbe infatti temere una flessione delle quotazio-ni che trascinerebbe verso il basso anche il prezzo del latte. Ma così non sarà, stando alle previsioni del-

Latte in Lombardia, c'è il prezzo Le Organizzazioni professionali e Italatte hanno siglato un accordo per i prossimi sei mesi Agronotizie 319 - 03/11/2011

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le industrie del latte. Queste almeno sono le conclusioni che si possono trarre dall’aumento di prezzo che gli allevatori sono riusciti a strappa-re.

on parte l'indice

Vedremo come evolveranno i mer-

cati. Intanto registriamo la delusio-ne di chi sperava che dopo l'esem-

pio piemontese, dove l'indicizza-

zione del prezzo è già attuata, anche in Lombardia si potesse se-guire una strada analoga. Non è andata così. Peccato, perché la Lombardia, dove si produce il 40% di tutto il latte italiano, è inevitabil-

mente la capofila alla quale tutti guardano per decidere le politiche del settore zootecnico. Vedremo se a marzo 2012, quando l'accordo appena siglato dovrà essere rinno-vato, i tempi saranno maturi per questo salto di qualità che chiude-rebbe la stagione delle incertezze contrattuali.

Pacchetto latte, si parte. Accolti gli emendamenti (oltre 30) presentati dal Parlamento europeo, si è ora pronti a dare il via libera all'appli-cazione dei sostegni destinati al settore lattiero per superare la fase di crisi, che peraltro i mercati han-no, per il momento, messo dietro le spalle. Dei contenuti di questo “pacchetto” e del suo omologo sulla qualità (anch'esso in dirittura di arrivo) si discute da tempo, com-mentandone l'altalena dei contenuti nei vari passaggi fra Commissione

e Parlamento.

Ora i giochi si sono conclusi e il presidente della commissione Agri-coltura del Parlamento europeo, Paolo De Castro non nasconde la sua soddisfazione nell'anticipare che fra i molti emendamenti accolti figurano le richieste del Parlamento in tema di programmazione della

produzione. Con la prossima ap-provazione dei regolamenti comu-nitari sarà così data possibilità ai Consorzi di tutela dei formaggi

Dop di “governare” la produzio-

ne, evitando che spinte produttive incontrollate possano generare ci-cliche stagioni di crisi dei prezzi come quelle che sino ad oggi hanno imperversato sul mercato lattiero caseario

Allevatori protagonisti

E' ancora fresco il ricordo delle difficoltà vissute dai due grandi formaggi “grana”, il Parmi-giano Reggiano e il Grana Padano, una crisi lunga e difficile che si teme possa riaf-facciarsi con l'au-mento delle pro-duzioni degli ultimi mesi. Una ulteriore prova della necessità di

trovare strumenti di “governo” della produzione che non entrino in conflitto con le norme antitrust. E' pensando a questi aspetti e alla tutela dei produttori di latte che il legislatore europeo ha previsto che nell'indirizzare la produzione i Con-sorzi di tutela abbiano il sostegno dell'intera filiera, e in particolare

degli allevatori la cui rappresentan-za all'interno dei consorzi è spesso sbilanciata a favore delle industrie di trasformazione.

Via libera ai contratti

Confermata poi la volontà espressa sin dalle fasi iniziali nel prevedere che le compravendite di latte av-vengano attraverso contratti con le aziende di trasformazione. Prez-zo, quantità fornite, durata del con-tratto sono gli elementi attorno ai quali dovranno necessariamente ruotare i rapporti fra allevatori e industrie del latte. Con un ruolo di primo piano svolto dalle organizza-zioni dei produttori, sulla falsariga di quanto già si verifica per l'orto-frutta, che su questo fronte si trova in vantaggio rispetto al mondo del latte.

Ci sarà un Osservatorio

Sullo sfondo resta la volatilità dei mercati internazionali del latte, dove il prezzo è in balia di molte-plici fattori, al pari delle altre com-modities agricole. Lo scenario è complesso ed è difficile fare previ-sioni. L'aumento dei consumi di latte nei paesi con economie in forte crescita possono modificare profon-damente gli andamenti di mercato. Così come eventi climatici avversi possono modificare gli andamenti

Il 'Pacchetto latte' apre alla programmazione Conclusi i lavori di preparazione delle misure in favore del compar-to. Accolti gli emendamenti del Parlamento e fra questi la possibi-lità per i Consorzi di pilotare le produzioni Agronotizie 323 - 24/11/2011

ei primi giorni di dicembre sarà reso noto il via

libera al pacchetto latte predisposto a Bruxelles

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produttivi facendo scattare impre-vedibili rialzi o al contrario favo-rendo una caduta dei prezzi. Per restare in Europa, non bisogna poi dimenticare l'appuntamento ormai prossimo con il 2015, anno nel quale le quote cesseranno di esi-

stere e ognuno dei 27 Paesi della Ue sarà libero di spingere sulla pro-duzione. Le ripercussioni sul mer-

cato del latte potrebbero essere

pesanti e non tutte di segno posi-

tivo. E' per questo che il “pacchetto latte” si è arricchito di un nuovo strumento, l'Osservatorio sul mer-cato del latte. Da Bruxelles verrà monitorato l'andamento del mer-

cato lattiero caseario nel tentativo di predisporre previsioni sull'anda-mento dei prezzi. Con le informa-zioni che l'Osservatorio sarà in gra-do di trasferire al mondo produtti-

vo, a sua volta in possesso degli strumenti per governare le produ-zioni, le crisi del mercato del latte

dovrebbero avere le ore contate. Purché le previsioni siano azzecca-te, ma questo è un altro problema. Per il momento accontentiamoci della possibilità di governare le produzioni che il “Pacchetto Latte” regala ai Consorzi di tutela. E spe-riamo ne facciano buon uso.

Come anticipato alcune settimane fa da Agronotizie, è partira la rivo-luzione nel settore del latte: le istituzioni europee hanno tratto insegnamento dalla crisi attraversa-ta nel 2009 e hanno raggiunto un accordo per rafforzare il potere

contrattuale dei produttori di

latte e prodotti caseari. L’obietti-vo: assicurare prezzi più equi e più stabili per sostenere gli allevatori e aiutarli al superamento del regime delle quote latte, che sarà abbando-nato nel 2015, pilotando le produ-zioni.

Riconoscimento delle organizza-

zioni

I produttori potranno riunirsi in Op (Organizzazioni di produttori): una misura introdotta per promuovere l’aggregazione e, così facendo, raf-forzare il peso di chi produce all’in-terno della catena alimentare.

egoziazione dei contratti

Come per l’ortofrutta, le Op saran-no autorizzate a negoziare, per con-to dei produttori che rappresentano,

contratti collettivi con le aziende

di trasformazione. A essere stipu-lati saranno innanzitutto i prezzi, in base a quelli di mercato, tenendo conto anche di altri fattori che pos-sono ripercuotersi negativamente sull’andamento della domanda. I contratti, da siglare prima della compravendita, serviranno per defi-nire anche quantità fornite, modali-tà della raccolta e della distribuzio-ne dei prodotti e durata dell’intesa. Per quest’ultima, d’accordo con la filiera, ogni Stato potrà indicare in sei mesi la lunghezza minima.

Formaggi Dop e Igp

Regole specifiche riguardano i pro-dotti caseari tutelati da Denomi-

nazione d’origine protetta (Dop) e Indicazione geografica protetta

(Igp). Le Op potranno gestire la produzione di questi formaggi, pro-grammando i volumi di modo da garantire un equilibrio adeguato tra

domanda e offerta. Perché possano assumere tale ruolo, però, dovranno rappresentare almeno 2/3 dei pro-duttori di prodotti caseari che rica-dono all’interno delle suddette cate-gorie. Non solo: questi produttori dovranno fornire almeno 2/3 del latte destinato alla produzione di tali formaggi.

Reazioni

''La filiera lattiero-casearia – ha commentato Paolo De Castro, pre-sidente della Commissione Agricol-tura del Parlamento europeo - avrà finalmente un sistema di regole riorganizzato e coerente con lo scenario attuale''. De Castro ha anche salutato con favore l’esito del primo importante trilogo (il sistema di consultazione tra le istituzioni comunitarie) dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, che per l’agricoltura ha introdotto pari pote-ri nel processo decisionale a Parla-mento e Consiglio europei. La Con-

federazione italiana agricoltori

(Cia) ha commentato l'accordo di autogoverno dei produttori definen-dolo “la strada maestra per regola-re il mercato, una buona opportuni-tà da estendere però a tutte le filie-re agroalimentari''.

Tempistiche

L’intesa dovrà ora essere approvata dal Parlamento europeo riunito in sessione plenaria, probabilmente nel mese di febbraio, nonché dal Consiglio dell’Ue, che rappresenta i governi dei Paesi membri. Le nuove regole dovrebbero quindi entrare in vigore già nel 2012 e si applicheranno fino al 2020.

Bruxelles, la rivoluzione del 'Pacchetto latte' Raggiunto dal trilogo Commissio-ne-Consiglio-Parlamento Ue l'ac-cordo sulla programmazione pro-duttiva e sull'immissione dei for-maggi Dop sui mercati. Le organiz-zazioni ringraziano Agronotizie 324 - 07/102/2011

Pacchetto latte, al via la program-

mazione della produzione dei for-

maggi Dop

Fonte immagine: Morguefile.com

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Gli allevatori sardi di ovini sono ancora lì a chiedersi i motivi del trattamento subito a fine anno, quando sbarcati per dirigersi a Ro-ma, sono stati bloccati e rispediti a casa, senza poter far sentire le loro ragioni sotto alle finestre del “Palazzo”, come avrebbero voluto. Una protesta che prendeva le mosse dalla crisi che imperversa sul set-

tore e che ancora non molla la presa. Quella protesta, che il movi-mento dei pastori sardi aveva an-nunciato come composta e civile, non c'è stata, ma in compenso l'ac-caduto ha trovato larga eco sui me-dia, televisioni comprese, permet-tendo di far conoscere le richieste dei pastori ancor più e meglio che se la protesta si fosse svolta nei modi consueti. Una visibilità che non ha però portato ai risultati spe-rati e la crisi è ancora tutta lì, con il prezzo del latte ovino che non ne vuole sapere di tornare su livelli remunerativi . Ed è ancora pesante il surplus di pecorino che affolla i magazzini di stagionatura e che non trova sbocchi di mercato dopo il crollo delle esportazioni, specie quelle indirizzate ai mercati statuni-tensi, principali consumatori del pecorino. Una situazione difficile per non dire drammatica per molti allevatori e in particolare per quelli della Sardegna, regione dalla quale esce la maggior parte del latte ovino prodotto in Italia.

Le risposte

Della crisi del mon-do della pastorizia si parla da tempo e non sono mancati impegni, in partico-lare da parte della Regione Sardegna per trovare soluzio-ni, a iniziare dal sostegno al prezzo

del latte (purché conferito in forme organizzate), aiuti diretti agli alle-vatori (ma le risorse sono modeste) e “governo” della produzione in-centivando utilizzi del latte diversi dalla trasformazione in pecorino. Interventi importanti e non sempre semplici da attuare, ma che hanno il “difetto” di avere ricadute non im-mediate sui mercati. Gli allevatori, con il portafoglio vuoto e i credi-tori alla porta, avrebbero invece bisogno di risposte celeri. Tanto che l’urgenza della crisi ha indotto il Parlamento ad affrontare l’argo-mento con una interrogazione

rivolta al ministro dell’Agricoltu-ra, Giancarlo Galan.

L'intervento di Galan

Nella sua risposta Giancarlo Ga-

lan si è detto consapevole dell’im-portanza di questo settore e delle difficoltà che gli allevatori stanno attraversando e ha ricordato che già nello scorso novembre, su iniziativa dello stesso ministro, sono stati stanziati 4 milioni di euro per so-stenere il rilancio della filiera ovi-caprina. Il ministro ha voluto ricor-dare l’azione relativa ai formaggi

ovini da destinare agli indigenti, come avvenne per la crisi dei for-maggi grana. L’intervento com-

plessivo assomma a 14 milioni di

euro e un primo bando per un am-montare di 7 milioni di euro per l’assegnazione di mille tonnellate di prodotto è già in corso di assegna-zione da parte di Agea. Non è man-cato un cenno al Tavolo di filiera dove il ministero ha contribuito alla messa a punto del contratto quadro grazie al quale potranno essere più trasparenti i rapporti commercia-

li oltre che premiata la qualità e una produzione che non abbia gli attuali picchi stagionali, ma sia meglio distribuita nell’anno. Il Consorzio di tutela del Pecorino Romano ha già presentato un progetto di pro-mozione sul mercato europeo, tutte iniziative che si affiancano ai prov-vedimenti dalla Regione Sardegna con una specifica legge regionale dedicata agli interventi straordinari per il settore ovicaprino. “Per assi-curare la massima attenzione alla questione – ha concluso Galan in risposta all'interrogazione parla-mentare – nel mese di febbraio è mia intenzione convocare una nuo-va riunione del Tavolo di filiera nazionale.” Sarà un’occasione, si spera, per imprimere un’accelera-zione agli interventi in favore del settore. Che ci sia bisogno di fare in fretta lo impone la gravità della situazione.

OVII

La crisi della pastorizia arriva in Parlamento Il ministro Giancarlo Galan ha fatto il punto della situazione ri-spondendo ad una interrogazione parlamentare Agronotizie 282 - 27/01/2011

Una nuova riunione del tavolo di filiera del set-

tore ovino è attesa per il prossimo febbraio Fonte immagine: Blumblaun

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Sono necessarie misure urgenti per stimolare la produzione di carne ovina nella futura politica agricola comune (Pac). E' questo l'appello lanciato da Copa-Cogeca prenden-do spunto dall'allarmante diminu-

zione della produzione europea. La questione è stata discussa in questi giorni nel gruppo consultivo della Commissione europea. Inter-venendo a Bruxelles, il presidente del gruppo di lavoro del Copa-Cogeca, Emmanuel Coste, ha av-visato che "la produzione europea continua a scendere anche se le importazioni verso l'Ue sono dimi-nuite dell'11% nel 2010 rispetto al 2007. Inoltre, è previsto che questa tendenza al ribasso continui nel

2011". "Anche se i prezzi sono ab-bastanza buoni - ha aggiunto Em-manuel Coste - e si prevede che restino positivi, i costi di produzio-ne sono aumentati rapidamente strangolando i produttori.” Di fron-te a questa situazione si richiede dunque che la Ue si faccia carico di una politica capace di fermare

l'abbandono della produzione di

carne ovina per garantire ai consu-matori un adeguato livello di ap-provvigionamento interno.

La carne..

Il Segretario generale del Copa-Cogeca, Pekka Pesonen, ha sottoli-neato che "il Copa-Cogeca chiede quindi alla Commissione europea di garantire che vi siano abbastan-za misure in seno alla Pac per sti-molare la produzione e il consumo e per incoraggiare i giovani agri-coltori a entrare nel settore.”

...e il latte

I problemi dell'allevamento ovino non si fermano alla carne, ma coin-volgono, specie per quanto riguarda l'Italia, la produzione del latte desti-nato alla trasformazione. Il settore è da tempo in crisi e il prezzo del latte è fermo a 60 centesimi al litro, sotto il costo di produzione. Gli allevatori che fanno capo al Movi-mento dei pastori guidato da Felice Floris, denuncia l'assenza di risul-tati delle iniziative anticrisi dei mesi scorsi. La protesta dalla Sarde-gna minaccia ora di spostarsi a Bru-xelles, dove si dovrà dunque parlare non solo della carne ovina, ma an-che del latte.

I pastori chiedono aiuto alla Ue Appello di Copa-Cogeca per frena-re l'abbandono degli allevamenti. In Italia la crisi del latte ovino non si placa e gli allevatori minacciano di portare la loro protesta a Bru-xelles Agronotizie 299 - 26/05/2011

Si riduce il numero di allevamen-

ti ovini nella Ue

L'Unione Europea ha deciso di stanziare 4,5 milioni di euro per sostenere le ricerche sul benessere animale portate avanti da Awin, acronimo di “Animal Welfare Indi-cators”, un sodalizio scientifico che riunisce esperti di questa materia a livello internazionale. Il progetto, guidato da Adroaldo Zanella dello Scottish Agricoltural College, vede la collaborazione di ricercatori pro-venienti da Brasile, Stati Uniti, Eu-ropa. Un ruolo significativo sarà

svolto dal Dipartimento di Scienze Animali dell'Università di Milano al quale è affidato il compito di coordinare uno dei quattro settori di ricerca sui quali si impernia il pro-getto. Protagonisti delle attività di ricerca sono i piccoli ruminanti (pecore e capre), gli equidi (cavalli e asini) e i tacchini. I gruppi di la-voro si articoleranno su quattro diverse aree fra loro complementa-ri. Una di queste è la messa a punto degli indicatori precoci delle pro-blematiche legate al benessere e degli indicatori di dolore. Altra area di studio è quella relativa alle conseguenze degli stati patologici sul benessere. Una terza area di indagine riguarda i fattori di alleva-mento che possono influenzare lo sviluppo degli animali e le strategie

adattative che questi possono mette-re in atto. Conclude il progetto la creazione di una “scuola scientifi-

ca” finalizzata alla ricerca e alla formazione sul benessere animale.

Un passo avanti

Con il sostegno agli studi coordinati da Awin continua il percorso della Ue nella conoscenza del benessere animale, percorso iniziato da tem-po e che ha trovato un'accelerazione nel luglio del 2009 sotto la presi-denza svedese della Ue. Ricordia-mo che per altre specie animali, come ad esempio polli da carne e galline ovaiole, già si è arrivati a stabilire quali debbano essere le condizioni di allevamento capaci

Benessere animale, ora si pensa anche a pecore e capre

La Ue sostiene gli studi su piccoli ruminanti, tacchini, equidi. Alle ricerche partecipano anche studiosi italiani Agronotizie 302 - 16/06/2011

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di garantire adeguati livelli di

benessere agli animali. Dal prossi-mo gennaio, in particolare per le galline ovaiole, saranno ammesse solo gabbie di dimensioni adeguate o sistemi di allevamento a terra. Anche per suini e vitelli sono state definite in passato le condizioni da rispettare negli allevamenti.

Valutazione oggettive

Ora gli studi si trasferiscono su altri animali di interesse zootecnico e l'obiettivo anche in questo caso è quello di riuscire ad individuare indicatori di benessere concreti e rilevabili. L'importante è evitare

che la misurazione del benessere animale, come a volte è accaduto in passato, possa essere dettata da valutazioni empiriche, magari con una visione antropomorfa del pro-

blema, dove il benessere animale si confonde con quello dell'uomo.

Sostegni al prezzo del latte ovino, utilizzo del latte per impieghi diver-si dalla trasformazione in pecorino, offerte di formaggio agli indigenti per alleggerire le eccedenze. E poi il (solito) “tavolo di filiera” che avrebbe dovuto rendere più traspa-renti i rapporti commerciali. Que-sti alcuni degli interventi che a ini-zio anno erano stati messi insieme per tentare una risposta alla crisi della pastorizia. Tutto inutile, o quasi. Il prezzo del pecorino non sale e con lui resta fermo il prezzo del latte (circa 60 centesimi di euro al litro) pagato agli allevatori, che non copre nemmeno le spese di produzione. Gli allevatori, ancora una volta, si trovano con il portafo-glio vuoto e i creditori alla porta. Ed è di nuovo protesta. Protestano gli allevatori che si riconoscono nel Movimento pastori sardi guidato da Felice Floris e protestano gli alle-vatori del “Movimento dei forco-

ni” (nome emblematico...) che in-sieme hanno marciato per le strade di Messina il 20 luglio per gridare la loro preoccupazione per il futu-ro delle loro aziende. E si replica il 26 luglio a Cagliari dove gli alle-

vatori di ovini torneranno a riven-dicare azioni concrete per uscire dalla crisi. Quelle decise quando era ministro dell'Agricoltura Giancarlo

Galan non hanno dato, evidente-mente, i frutti sperati. Riuscirà l'at-tuale ministro, Saverio Romano, a

fare di meglio? Vedremo.

Schiarite da Bruxelles

Intanto arriva da Bruxelles la noti-zia che nel prossimo futuro i Con-sorzi di tutela avranno la possibilità di guidare i livelli di produzione per allinearsi, per quanto possibile,

alla domanda di mercato. Quella del pecorino, si sa, è una crisi da ec-cesso di offerta dopo il crollo delle

esportazioni, in particolare negli Usa. Ri-durre la produ-zione potrebbe essere dunque la chiave di volta non solo per uscire dalla attuale crisi, ma anche per evita-re che situazio-

ni analoghe si ripresentino. Ma serve tempo. Quanto proposto a Bruxelles deve essere tradotto in atti normativi che devono poi essere attuati sul campo dagli enti di tute-la. Quanti allevamenti ovini soprav-viveranno in attesa di questi tempi migliori? Pochi se non si correrà presto ai ripari.

E' ancora crisi per il latte ovino Gli allevatori tornano in piazza per manifestare le forti difficoltà del settore Agronotizie 307 - 27/07/2011

Le pecore a Cagliari, i suini a Mila-no. Uniti nello stesso giorno, il 26 luglio, da una protesta per una crisi che ha origini diverse, ma identici

effetti, il fallimento e la chiusura

degli allevamenti. Iniziamo dalla manifestazione che si è svolta a Cagliari, organizzata dal Movimen-to dei pastori sardi di fronte al “palazzo” della Regione Sardegna.

Alla mai risolta crisi del pecorino e del prezzo del latte fermo a circa 60 centesimi al litro, si sono ag-giunte le richieste di rimborso (con tanto di interessi) di alcune formule di aiuto concesse agli allevatori e ad altre categorie produttive. Que-sti aiuti sono stati “bocciati” da Bruxelles che ha stabilito che deb-bano essere restituiti. Quasi una beffa di fronte alle promesse, anco-ra disattese, di aiuti agli allevamen-ti colpiti dalla crisi. Così la protesta è salita di tono sfociando in qual-che tafferuglio, inutile e contro-producente. Poi la decisione del presidente del Consiglio Regionale, Claudia Lombardo, di accogliere

Una delle manifestazioni promosse dal Movimento

dei pastori sardi

Pecore e suini, due facce della stessa crisi Senza un'adeguata organizzazione dell'offerta, l'agricoltura sarà sem-pre in balia del mercato e alla mercé degli altri protagonisti della filiera, industrie e distribuzione Agronotizie 308 - 28/07/2011

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una delegazione degli allevatori negli uffici della Regione per ascol-tarne le richieste. E sono state nuo-ve promesse di intervento. Gli ani-mi si sono calmati, ma altra cosa è trovare una soluzione alla crisi del pecorino, ancora tutta da risolvere.

Suini a Piazza Affari

“Formula” diversa quella scelta dagli allevatori di suini per manife-stare le proprie preoccupazioni. Guidati da Coldiretti, i suinicoltori provenienti da molte regioni italia-ne si sono dati appuntamento a “Piazza Affari”, sede dalla Borsa, a sottolineare idealmente l'intreccio fra le difficoltà degli allevamenti

e le speculazioni che agitano i mer-cati delle materie prime per l'ali-mentazione del bestiame. Un dato per tutti, il prezzo del mais (uno degli “ingredienti” base dei mangi-mi) che nel volgere di 12 mesi è cresciuto di circa il 60%, “schizzando” da 160 a 260 euro per tonnellata. Inevitabili le conseguen-ze sul prezzo dei mangimi, aumen-

tati del 17%. Per gli allevatori un ulteriore costo che secondo le stime di Coldiretti (che prende in esame anche l'aumento della bolletta ener-getica) raggiunge quota 300 milioni di euro. Davvero troppo per un set-tore già alle prese con prezzi di mercato che non coprono nemmeno le spese di produzione.

Settore al collasso

Ma non c'è solo il “caro-mangimi” dietro alle diffi-coltà che hanno fatto chiudere migliaia di alle-vamenti di suini, passati nel volge-re di dieci anni da quasi 200mila a meno di 30mi-la. L'altro punto dolente è quello

delle importa-zioni. Troppe cosce di suino, si è detto davanti a “Piazza Affari”, varcano i confini per trasformarsi in prosciutti “Made in Italy”. E a poco servirà la norma europea sull'origi-ne in etichetta, che riguarda la carne, ma non i prodotti trasfor-

mati, come i prosciutti. Un punto sul quale gli allevatori chiedono una correzione di rotta. Anche di questo si discuterà al “tavolo suini-colo” che il ministro dell'Agricoltu-ra, Saverio Romano, ha fissato per il 29 luglio.

Frenare la produzione

Gli allevatori di suini, come quelli di pecore, lamentano l'aumento dei costi e la caduta dei prezzi delle loro produzioni. In più arrivano le importazioni fuori controllo e le speculazioni sulle “commodities”, certamente concause della crisi che ha portato in piazza gli allevatori.

Le promesse della presidente Clau-dia Lombardo e le conclusioni del “tavolo suinicolo” poco potranno se non si interviene sulla “causa

scatenante”, l'eccesso di produ-

zione. C'è troppo pecorino e trop-po latte di pecora è avviato a questa produzione e ci sono troppi pro-sciutti che entrano nel circuito Dop. Senza un “governo” della produ-

zione la crisi non troverà soluzio-

ne. Così è stato per tanti altri pro-dotti degli allevamenti e non solo. Prima è toccato al Parmigiano-Reggiano e al Grana Padano, ora è il turno delle pesche. E poi sarà di nuovo la volta dei formaggi e via di questo passo (già ci sono i primi segnali...). Per il Prosecco si è deci-so di contingentare la produzione per evitare il crollo dei prezzi da eccesso di offerta. Lo si prenda come esempio.

Un momento della manifestazione che ha visto pro-

In Sardegna gli allevatori di ovini sono ancora alle prese con la crisi del latte il cui prezzo è da tempo bloccato a poco più di 60 centesimi

e non riesce nemmeno a ripagare i costi di produzione. Tutta colpa del crollo delle esportazioni di pecorino e dell'eccesso di produzione che tiene il mercato sotto scacco. Se i problemi di mercato sembrano al momento non trovare ancora una soluzione, qualche nota positiva arriva sul fronte della prevenzio-

ne delle malattie che possono col-pire le greggi e in particolare alcune

parassitosi e la temibile Scrapie, una encefalopatia spongiforme pa-rente prossima del morbo della “vacca pazza”. L'Agris, Agenzia regionale per la ricerca in agricoltu-ra, si è infatti aggiudicata per il prossimo triennio un finanziamen-

to europeo complessivo di 800mi-la euro nel campo della resistenza genetica alle malattie degli animali. In particolare, 350mila euro saran-no destinati all'attuazione del pro-getto "Sustainable Solutions for Small Ruminants" per supportare le ricerche nel campo dell'individua-zione dei geni che modulano la resistenza genetica alle principali

Sardegna, quando la prevenzione sposa la genetica Il sostegno di Bruxelles per i pro-getti di selezione di ovini resistenti alle malattie Agronotizie 311 - 08/09/2011

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patologie ovine, mentre 450mila euro saranno destinati al recluta-mento di due giovani ricercatori

europei per la messa a punto di modelli di controllo delle infezioni di nematodi gastro-intestinali negli ovini. Addio, quasi, alla Scrapie

Le ricerche nel campo stanno di-ventando sempre più numerose anche sull'onda degli ottimi risultati che la selezione genetica ha avuto nella quasi completa eradicazione dalla Sardegna della Scrapie ovi-

na. Attraverso la selezione di ceppi geneticamente resistenti a talune patologie si ottengono risultati di grande importanza nella riduzione dei costi per i trattamenti sanitari e si evitano le perdite economiche che gli allevatori subiscono in pre-senza di malattie degli animali.

I benefici

Da non sottovalutare è poi il mi-glioramento della qualità delle pro-duzioni e l'aumentata sicurezza alimentare dei prodotti ottenuti da

questi animali capaci di esprimere maggiore resistenza alle patologie. "L’Agris, che ha supportato dal punto di vista tecnico-scientifico la Regione nella stesura e applicazio-ne del Piano di selezione per la resistenza alla Scrapie - ha sottoli-neato il commissario straordinario di Agris, Efisio Floris - è all'avan-guardia nelle ricerche per il con-trollo delle principali patologie ovine e, in particolare, le mastiti, la paratubercolosi e i nematodi ga-stro-intestinali".

Prima fu il movimento dei pastori sardi. Sue le proteste per la crisi della pastorizia che sfociarono in manifestazioni di piazza più che “vivaci”. A fine 2010 tentarono di portare la protesta sotto le finestre del “Palazzo”, a Roma. Ma furono bloccati ancor prima di giungere nella capitale e costretti a rientrare. Seguirono “tavoli di crisi”, impegni ministeriali (c'era ancora Galan), progetti di promozione del pecori-no. Ma la crisi è ancora lì, più tenace e forte di prima. Il prezzo del latte ovino continua ad essere pagato poco più di 60 centesimi al litro, quando il solo produrlo costa 85 centesimi di euro. E continua inesorabile la chiusura di centinaia di allevamenti che a questa lunga stagione di crisi non possono fare fronte. Ora sono scesi in piazza i sindacati agricoli “ufficiali”, Col-diretti, Confagricoltura e Cia, che sono riusciti nel portare la protesta alle porte di Roma. Lunedì 14 no-vembre il corteo dei trattori mossi dai pastori del Lazio (ma alla prote-sta hanno aderito anche le altre re-gioni vocate all'allevamento ovino, come Toscana Sicilia e Sardegna)

ha rimesso sotto ai riflettori dell'o-pinione pubblica i problemi degli allevamenti di pecore. Peccato che le stanze del “Palazzo” fossero vuote o al massimo con gli “inquilini” affaccendati nel traslo-co, dopo le dimissioni del Governo. E suonava quasi a beffa che l'invo-cazione di interventi per il settore fosse rivolta ad un ministero, quello dell'Agricoltura, che i rumors di quel giorno davano persino per sop-presso.

Come ieri

L'esistenza del ministero è stata confermata, ma i problemi del set-tore sono ancora lì, come ieri. La produzione di pecorino resta su-

periore alla domanda di mercato dopo il crollo delle esportazioni negli Usa, che erano la principale destinazione delle nostre produzio-ni. I progetti di indirizzare la produ-zione verso produzioni alternati-ve, formaggi freschi e altre tipolo-gie, diverse dal pecorino, a quanto pare non trovano applicazione. Intanto gli allevatori sono costretti a spingere sulle mungiture nel tenta-tivo di fare cassa per fronteggiare

i debiti, nella speranza che domani il mercato si riprenda. Un'attesa vana e che si protrae da oltre un anno.

Solidarietà

Per il momento la manifestazione degli allevatori ha raccolto la soli-darietà del presidente della commis-sione Agricoltura della Regione Lazio, Francesco Battistoni. Suo l'auspicio che si possa trovare un punto di incontro fra le imprese trasformatrici e gli allevatori per raggiungere un equilibrio sul prez-zo. Il Lazio, ha ricordato Battistoni, ha approvato una legge sul “Made in Lazio” che avrebbe l'obiettivo di favorire il rilancio dei prodotti agri-coli locali. Tutte iniziative lodevoli, per carità, anche se poi ci chiedia-mo quale possa essere il reale im-patto sul mercato. Più utile, ne sia-mo convinti, sarebbe l'indicazione in etichetta dell'origine del latte. Se ne continua a parlare in Italia e a Bruxelles. Ma le industrie del set-tore sono contrarie. E come sem-pre le industrie sanno tutelare i pro-pri interessi. Quando gli agricoltori saranno in grado di fare altrettanto?

Latte ovino, crisi senza fine 2on si risollevano le sorti del setto-re e gli allevatori continuano nelle loro proteste Agronotizie 320 - 17/11/2011

Il prezzo del latte ovino è ancora

inferiore ai costi di produzione Fonte immagine: Blumblaun

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SUII

La crisi che da molti mesi attanaglia il settore suinicolo italiano perdura, anzi si aggrava. È una dura realtà, con la quale devono fare i conti gli allevatori di suini, quella che emer-ge dalla presentazione del Rapporto congiunturale del Crefis – Centro ricerche economiche sulle filiere suinicole.

“Questa edizione del Rapporto – ha precisato Gabriele Canali direttore del Crefis – pur concentrandosi sui mesi estivi, allarga lo sguardo al-l'ultimo biennio per avere preziosi termini di confronto. In questo am-bito emergono indicazioni signifi-cative dall'analisi dei prezzi estivi dei suini da macello che, pur se-gnalando una lieve ripresa rispetto al trimestre precedente, risultano inferiori rispetto alle quotazioni dell'estate 2009.

Segno che la crisi è di lunga durata

e, soprattutto, in peggioramento. Unico tenue segnale positivo – con-clude Canali – viene dalle cosce destinate al prosciutto crudo tipico, i cui prezzi sono un po' più alti ri-spetto all'anno scorso.

Le documentazioni

Crefis è frutto della collaborazione tra Smea – l'Alta Scuola in econo-mia agro-alimentare dell'Università Cattolica – l’assessorato Agricoltu-ra della regione Lombardia, le Ca-

mere di Commer-cio di Brescia, Mantova e Cre-mona e la Provin-cia di Mantova, con il coordina-mento di Union-camere Lombardia.

L'Osservatorio si propone di contri-buire al rafforzamento della com-

petitività delle filiere suinicole nazionali e di lavorare per una loro crescita sostenibile anche attraverso

tre importanti pub-blicazioni: un an-

nuario sul settore suinicolo naziona-le, rapporti congiunturali trimestrali sull’andamento delle filiere, newsletter mensili per gli operatori delle filiere consultabili sul sito www.crefis.it.

Per i suini è ancora tempo di crisi Un'analisi del Crefis fotografa il perdurare delle difficoltà che po-trebbero in futuro anche aggravarsi Agronotizie 281 - 20/01/2011

Viene da lontano la crisi della suini-coltura italiana. E dura da tempo, troppo tempo. Eppure avrebbe tutte le carte in regola per essere immune dalle turbolenze di mercato. Tutta (o quasi) imperniata sulla produzio-ne del suino pesante (130-160 chili e oltre) da destinare alla produzione di prosciutti e insaccati di qualità (in prevalenza del circuito Dop), la nostra suinicoltura può vantare caratteristiche che non si riscon-

trano in nessuna altra parte. Né in Europa e forse nel mondo. Una tipicità costosa da realizzare e che dovrebbe essere premiata con il prezzo. Ma non è così. Nel nostro Paese sono allevati 9 milioni di suini, che non bastano però a soddi-sfare le esigenze del consumo, spe-cie di carne. Finiamo così per im-

portare quantità considerevoli di carni, ma anche di cosci da trasfor-

mare in prosciutti. I dati diffusi da Anas lo scorso anno dicono che a fronte dei 26 milioni di cosci pro-dotti in Italia ne abbiamo importati 55 milioni. Come dire che ogni tre prosciutti, solo uno è nato in Ita-

lia da suini pesanti. Gli altri sono “prosciuttini” ottenuti da suini leg-geri e meno costosi da allevare e di prezzo più basso. Certo non del circuito Dop, ma spesso “naturalizzati” e ritenuti italiani da chi li acquista.

I “numeri”

Ecco uno dei motivi, ma non l'uni-co, della crisi che strangola la no-stra suinicoltura, costretta a spen-dere molto per allevare suini pe-

santi, ma pagata come se sfornas-

se solo suini leggeri. Meglio allora, sostengono alcuni, trasformare i nostri allevamenti e puntare sul suino da carne da macellare ad 80 o 90 chili, come fanno in Germania, o in Belgio o in Francia o negli altri paesi grandi produttori di suini dai quali importiamo carni per quasi un

La Ue apre allo stoccaggio privato per i suini Lo scandalo diossina ha accentuato la crisi del settore e Bruxelles cerca ora di correre ai ripari Agronotizie 282 - 27/01/2011

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milione di tonnellate. Faci-le a dirsi, ma perderemmo la tipicità dei nostri pro-sciutti e dei nostri insac-

cati che valgono, come si legge da una recente inda-gine del Crefis, 7,36 mi-liardi di euro, dei quali circa uno realizzato attra-verso l'export.

Per affrontare le difficoltà del settore è stato istituito presso il Mipaaf un tavolo di crisi, poi ha preso corpo il Cun (Commissione unica nazionale per i suini da macello) che avrebbe do-vuto risolvere le distorsioni nella formulazione del prezzo di mercato. Iniziative lodevoli, ma di scarsa efficacia.

Si apre lo stoccaggio

Poi è arrivata la diossina (in Germa-nia), i consumi in quel Paese sono crollati e con loro i prezzi. E la crisi della suinicoltura da italiana è di-ventata europea. L'Italia, evidente-mente, non è riuscita a farsi ascolta-re da Bruxelles, ma la Germania sì, che con i suoi 27 milioni di suini è il paese della Ue con il più alto pa-trimonio suinicolo, seguita da Spa-gna (23,4 milioni), Polonia (18,5 milioni) e Francia (14,2 milioni). Al Consiglio dei ministri agricoli della Ue che si è tenuto il 24 gennaio la crisi della suinicoltura è divenuta argomento centrale delle discus-

sioni. Si è così deciso di accogliere una proposta avanzata dal Belgio per la riapertura delle misure per

lo stoccaggio privato delle carni. Come per gli altri settori in crisi (il latte fra questi), si è poi decisa l'i-stituzione di un gruppo di lavoro incaricato di studiare le misure a medio termine per favorire la ripre-sa del settore, come le innovazioni per aumentare l'efficienza degli allevamenti e la promozione dei consumi.

La posizione italiana

Il ministro Giancarlo Galan si è detto favorevole alle proposte del Belgio che peraltro hanno riscosso l'unanimità da parte dei membri del Consiglio. Ma la crisi, almeno per la suinicoltura italiana, non può

dirsi conclusa pur con

questi aiuti della Ue. Ne sono convinti anche in Confagricoltura che all'in-dirizzo del ministero ha mandato una serie di ri-chieste che vanno dalla programmazione della produzione (ci sono troppi prosciutti, specie anonimi) ad un più facile accesso al credito, passando da una migliore organizzazione dell'offerta ad una diversi-ficazione produttiva. “Occorre - a detta del presidente di Confagri-coltura, Federico Vec-

chioni - una riorganizza-zione produttiva che le altre suini-colture europee hanno già avviato.” La richiesta di una nuova e più effi-cace politica a favore del settore suinicolo arriva anche dalla Cia che all'indomani delle decisioni prese a Bruxelles invoca la rapida convoca-zione del tavolo di filiera per trova-re risposte alle difficoltà del mondo suinicolo.

Ben vengano i “tavoli”, ma perché abbiamo dovuto attendere che

fosse il Belgio a chiedere aiuto per i propri suinicoltori? Eppure in Ita-lia gli allevamenti sono in difficoltà da anni e in condizioni non meno difficili dei colleghi del Nord Euro-pa. A Bruxelles non ci ascoltano, si dice. O siamo noi a non parlare? Chissà.

L'Italia ha una forte specializzazione nella produ-

zione del suino pesante, che non viene valorizzata

dal mercato in misura sufficiente

Ci ha pensato lo scandalo diossina ad aggravare la già difficile situa-zione della suinicoltura europea e che in Italia è persino più pesante che negli altri paesi. Bruxelles ha così deciso di riaprire gli aiuti allo

stoccaggio privato delle carni (se ne è parlato anche la scorsa settimana su Agronotizie) nel tentativo di ridare sostegno ai mercati, dopo il calo dei consumi che ha fatto preci-pitare i prezzi. Già dal primo feb-

braio è così operativo il regola-

mento Ue n. 68/2011 del 28 gen-naio che definisce le misure di aiuto per lo stoccaggio. Hanno accesso a questi sostegni gli operatori che assumendone i costi e i rischi sono disponibili ad immagazzinare la

carne suina per un periodo che va

da un minimo di tre mesi ad un

massimo di 5. Se le difficoltà di mercato dovessero continuare la Commissione potrebbe prendere in esame la possibilità di ampliare il periodo di stoccaggio. Al termine di questo periodo la carne potrà essere immessa sul mercato europeo o su quello internazionale. L’importo degli aiuti varia in funzione del periodo di stoccaggio e dei tagli stoccati.

Al via l'ammasso privato per i suini Dal primo febbraio disponibili gli aiuti della Ue, ma occorrono anche interventi nazionali per superare le difficoltà, più forti in Italia che altrove Agronotizie 283 - 03/02/2011

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I commenti e le proposte

L’apertura dell’aiuto all’ammasso privato è stata accolta con favore da Fedagri che per voce del presidente del settore zootecnico, Giovanni

Bettini, ha chiesto che alle misure

comunitarie si affianchino inizia-

tive di carattere nazionale. Fra queste un valido sistema di etichet-tatura e l’autodisciplina delle pro-duzioni Dop, richieste che devono però fare i conti con quanto si sta discutendo a Bruxelles nell’ambito

del “pacchetto” qualità.

A tirare per la giacca il ministro Giancarlo Galan per interventi a favore della suinicoltura arriva an-che l’Associazione mantovana alle-vatori che ha ricordato al ministro l’impegno degli allevatori di alline-are la genetica in allevamento alle nuove modalità di valutazione dei cosci, impegno che imporrebbe uno slittamento dei controlli sulle cosce. Fra le richieste degli allevatori mantovani figura anche la messa a

punto di un listino specifico in Borsa merci per i suini iscritti al

Consorzio del suino pesante pa-

dano. Al pari dei colleghi suinicol-tori di Padova, anche da Mantova arriva la richiesta di aiuti per que-gli allevatori che decidono di ri-

durre la produzione. Una bella idea per ridare tonicità al mercato allentando la pressione produttiva. La difficoltà sarà quella di trovare i fondi necessari a sostenere il pro-getto. La situazione delle casse del-lo Stato non lascia spazio all’ottimi-smo.

Qualche starnuto, nasi che colano, casi di aborto fra gli animali in gra-vidanza e maschi meno fecondi e poi una caduta delle prestazioni produttive. Questi i sintomi princi-pali fra i suini adulti. Per i suinetti i sintomi sono analoghi ma la pro-gnosi è infausta, con mortalità assai elevata. Eccola la malattia di Au-

jeszky, dal nome del veterinario

ungherese che nel lontano 1902

per primo la individuò. E da allora ha fatto la sua comparsa negli alle-vamenti di tutto il mondo, causando danni enormi per la facilità con la quale il virus che ne è responsabile riesce a trasmettersi e per la sua resistenza all'ambiente esterno (sopravvive egregiamente anche a -8 gradi, ma per fortuna teme la luce e il caldo).

Pericolosa e invadente, è una ma-lattia con la quale tutti i paesi a suinicoltura avanzata hanno ingag-giato da anni una lotta senza quar-tiere. E in molti casi si è raggiunto il successo, tanto che nella Ue nu-merosi sono i paesi che possono

vantarsi di aver debel-

lato la malattia acqui-sendo lo status di “paese indenne”. Fanno però eccezione Spagna e Italia dove la malattia di Au-jeszky è ancora in cima alle preoccupazioni degli allevatori. Non che si sia stati con le mani in ma-no, anzi. Dal 1997 è ope-rante un piano di control-lo che aveva portato ad una significativa riduzio-ne dei casi di malattia. Ma il quadro si è ag-gravato a partire dal 2007 ed è ancora peg-giorato nel 2009 come

testimoniano i controlli condotti dal Centro di Referenza nazionale per l'Aujeszky, che ha sede presso l'Isti-tuto Zooprofilattico della Lombar-dia e dell'Emilia-Romagna. I casi di sieroprevalenza della malattia negli allevamenti Lombardi (dove gli allevamenti sono assai diffusi) è infatti passato dal 39% nel 2004 (era l'83% nel 1997) al 46,6% nel 2009.

Pericoli sanitari e commerciali

L'aggravarsi del quadro comporta problemi non solo per i danni im-mediati sugli allevamenti, ma so-prattutto per le conseguenze sui commerci intra ed extra europei, che potrebbero subire uno stop a causa della presenza della malattia sui nostri territori. Facile immagi-nare le conseguenze, specie in alcu-ni comparti come quelli del pro-sciutto e non solo. Di qui la necessi-tà di correre ai ripari, non prima però di aver analizzato le cause del “ritardo” italiano nell'eradicare questa malattia. Fra i fattori di com-plicazione vi è la particolare tipolo-gia dei nostri allevamenti, unici in Europa nella produzione del sui-no pesante, che comporta un ciclo di ingrasso di nove mesi, contro i sei degli altri paesi europei. A com-plicare la situazione c'è anche la parziale applicazione dei piani vac-cinali nei reparti di ingrasso e l'im-possibilità di utilizzare vaccini atte-nuati, contrariamente a quanto con-

Suini, si inasprisce la lotta alla malattia di Aujeszky Avviato il nuovo programma di lotta a questa patologia che può mettere in difficoltà anche gli scambi commerciali Agronotizie 287 - 03/03/2011

Nota anche con il nome di Pseudorabbia rag-giunge un'alta mortalità fra i suinetti Fonte immagine: Fabry Mondino Photography

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cesso in altri paesi dela Ue.

Il nuovo programma

Ora si cambia. Il 28 febbraio è en-trato in vigore il nuovo piano di eradicazione dell'Aujeszky le cui linee d'azione sono tratteggiate nel Decreto del ministro della Salute del 30 dicembre 2010. Fra le novità più importanti vi è la possibilità di impiegare sui riproduttori i vacci-ni attenuati deleti, vaccini di nuo-va generazione che all'efficacia associano la possibilità di ricono-scere gli animali vaccinati da quelli infetti. Altro punto chiave del pro-gramma di eradicazione è la certifi-cazione che deve accompagnare

gli animali nei loro spostamenti. Le movimentazioni saranno così

accompagnate dal “Modello IV” dove verranno annotate date e nu-mero delle vaccinazioni. La certifi-cazione potrà essere fatta diretta-mente dall'allevatore nei casi in cui non sia obbligatoria la preventiva visita clinica del veterinario ufficia-le. L'associazione degli allevatori suini (Anas), ritiene tuttavia possi-bile la visita del veterinario ufficia-le anche quando ciò non sia espres-samente stabilito dalle norme, cosa che consentirebbe allo stesso veteri-nario di certificare sul Modello IV le avvenute vaccinazioni, evitando così all'allevatore un aggravio

delle già complessa burocrazia che pesa sugli allevamenti.

I tempi

Si prevede che occorrano almeno tre anni per completare il piano di eradicazione dell'Aujeszky e in questo periodo si procederà con la dichiarazione di indennità nelle province i cui allevamenti saranno esenti dalla malattia. Per le aziende che avranno raggiunto la qualifica di “allevamento indenne” scatterà l'obbligo di rifornirsi solo da alle-vamenti a loro volta indenni e sarà vietato introdurre soggetti pro-venienti da stalle di sosta, fiere o mercati. Poi appuntamento al 201-

3, quando sarà obbligatorio destina-re alla riproduzione solo animali provenienti da allevamenti indenni. E finirà, si spera, l'incubo di vedersi bloccare le esportazioni per colpa dell'Aujeszky.

Crisi difficile quella della suinicol-tura italiana. I prezzi non ne vo-gliono sapere di riprendersi e gli interventi discussi nei vari tavoli di filiera sembrano inefficaci. Il Cun, la Commissione unica nazionale per il settore suino che avrebbe dovuto favorire una più equilibrata defini-zione del prezzo, continua a regi-strare un mercato debole dove il

segno meno la fa da padrone. A soffrire è soprattutto la produzione del suino pesante, quello di 130 kg e oltre di peso vivo, le cui carni sono destinate alla trasformazione. Una produzione tipica italiana questa del suino pesante, pratica-mente sconosciuta negli altri paesi a forte suinicoltura, dove si produco-no solo suini magri, di circa 100 kg di peso. Una produzione per la qua-le siamo deficitari (importiamo molta della carne suina che consu-miamo) e che vanta quotazioni per-sino migliori di quelle del suino

pesante. Un controsenso vi-sto che allevare suini pesan-ti costa assi più che allevare

suini magri. Colpa dell'ec-cesso di offerta di suini pe-santi che vanno ad “intasare” il mercato del prosciutto. Questa una delle spiegazioni. Che stride con la massiccia importazione di cosci che il più delle volte diventano “Made in Italy” dopo aver varcato la frontiera. Ma tant'è e la crisi resta lì a soffocare imprese suinicole di prim'or-dine che producono la mate-ria prima della quale si fa vanto la nostra salumeria.

La proposta

Per uscire dal tunnel il neo presi-dente di Anas (Associazione nazio-nale allevatori suini), Andrea Cri-

stini, ha allora lanciato una propo-sta. Abbandonare, in parte, la pro-duzione del suino pesante per dedi-carsi a quella del suino da macel-

leria. Le aziende suinicole a rischio chiusura avrebbero una nuova pos-sibilità di riprendersi e al contempo si alleggerisce la filiera del pro-sciutto Dop, lasciando spazio ad

una ripresa del mercato. Sembra l'uovo di Colombo, ma il percorso non è privo di trappole e traboc-chetti. Al primo posto la spietata concorrenza del prodotto di impor-tazione, realizzato in Paesi del Nord Europa che possono vantare costi di produzione più bassi dei nostri. Il dibattito su questo tema è aperto e sarà certo uno degli argomenti al centro della prossima Rassegna Suinicola Internazionale di Reggio Emilia che aprirà i battenti dal 14 al

Crisi suina, le risposte della 'Rassegna' Appuntamento a Reggio Emilia con la Rassegna suinicola internaziona-le per discutere i progetti che mira-no a risolvere i problemi che afflig-gono il settore Agronotizie 292 - 07/04/2011

cancelli del quartiere fieristico di Reggio

Emilia si apriranno dal 14 al 16 aprile

per la 51esima edizione della Rassegna

suinicola internazionale

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16 aprile. Un'occasione per Anas per divulgare i progressi ottenuti in campo genetico, strumento indi-spensabile per il rilancio del settore.

Gli appuntamenti

Molte le iniziative in programma e fra queste la presentazione, venerdì 15, del programma “Rigener@”

messo a punto da Anas per ripro-durre in allevamento scrofe di alto valore genetico, produttivo e sanita-rio. Molti poi gli eventi congressua-

li che faranno da cornice alla espo-sizione di animali vivi e di mezzi e attrezzature per il settore suinicolo che affolleranno il quartiere fieristi-co di Reggio Emilia. Fra gli appun-tamenti di spicco figura la tavola rotonda in programma nella mattina di venerdì 15 aprile sul tema “La nuova Pac e la filiera suinicola ita-liana” che sarà presieduta dal presi-dente della Commissione Agricol-tura del Parlamento Europeo, Paolo De Castro. “Quale innovazione di prodotto” è il tema che sarà affron-tato la mattina di giovedì 14 aprile.

Non poteva mancare fra gli argo-menti quello della qualità, al centro dell'incontro organizzato dal CRPA (Centro ricerche produzioni anima-li) sabato 16 aprile, dove si parlerà di marcatori genetici e qualità del

prosciutto crudo. Ma il programma della “Rassegna” non si esaurisce qui, molti gli appuntamenti di carat-tere tecnico ed economico affrontati durante la tre giorni suinicola. Ec-cone di seguito una sintesi, mentre per il programma completo riman-diamo a quanto pubblicato sul sito della “Rassegna”.

Sono ormai cinque anni, con poche e rare interruzioni, che gli allevatori di suini continuano a produrre in perdita. Colpa dei costi crescenti e dei prezzi del suino pesante in co-stante flessione. Una situazione insostenibile, ha ribadito il presi-dente dei suinicoltori (Anas), An-

drea Cristini, intervenendo in oc-casione del convegno “La nuova Pac e la filiera suinicola italiana”

che si è tenuto in occasione della Rassegna suinicola internazionale che si è svolta a Reggio Emilia dal 14 al 16 aprile. Per trovare le solu-zioni adatte occorre analizzare le cause di questa crisi, che origina dalla peculiare specializzazione italiana nella produzione del suino pesante, destinato alla trasformazio-ne in prosciutti e salumi per il cir-cuito Dop, divenuto una sorta di mono prodotto dei nostri alleva-menti. L'impossibilità di diversifi-care la produzione ha così portato ad un eccesso di produzione la cui conseguenza è il crollo dei prezzi. Un tunnel dal quale si esce o chiu-dendo una parte degli allevamenti o

indirizzando la

produzione ver-

so un animale

più leggero di non oltre 130 kg (il suino interme-dio, lo ha definito Cristini). Scartata la prima ipotesi per le ovvie con-siderazioni di carattere econo-mico e sociale, non resta che aprire alla produ-zione di suini leggeri per la produzione di carne, segmento

sul quale l'Italia è fortemente defici-taria e dove le importazioni copro-no quasi la metà del nostro fabbiso-gno. Resta da verificare se gli alle-vamenti da carne italiani saranno

in grado di competere in termini di costi di produzione con quelli del Nord Europa dai quali oggi ci rifor-niamo.

Etichette e nuova Pac

La partita è tutta da giocare e non si potrà contare sulla stabilità dei mer-cati, ha ricordato nel suo intervento il presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento Europe-o, Paolo De Castro. Siamo entrati, ha ricordato De Castro, in una nuo-va fase dove le eccedenze alimen-

tari del passato sono state sosti-

tuite da una una situazione defici-

taria per l'aumento della domanda mondiale di derrate alimentari, lat-te, carne e cereali al primo posto. Bisogna dunque attrezzarsi per una “gestione dell'instabilità”, cosa che la nuova Pac si appresta a fare utilizzando due leve, la prote-zione degli agricoltori e la gestione del mercato. Gli strumenti sono contenuti in due strumenti legislati-vi in fase di approvazione, il pac-chetto qualità e il pacchetto latte. Il primo interviene ad esempio sulla etichettatura e il secondo promuo-vendo l'interprofessione e nuovi strumenti contrattuali. Un punto di grande interesse per l'Italia sarà il superamento dei problemi legati alla programmazione delle produ-zioni, strumento che affidato ai

Gestire l'instabilità, parola d'ordine per la suinicoltura Dalla Rassegna suinicola di Reggio Emilia le indicazioni su come af-frontare la crisi del settore Agronotizie 294 - 21/04/2011

Un momento dell'incontro sulla nuova Pac e la filie-

ra suinicola

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Consorzi Dop potrebbe restituire tonicità al mercato, ma sino ad oggi bloccato a livello nazionale dalle norme antitrust.

Per l'etichettatura, ha ricordato De Castro, ha grande significato l'ap-provazione dell'emendamento 101 (che vede come prima firma quella dello stesso De Castro) grazie al quale per tutte le carni (comprese

quelle di suino) scatterà l'obbligo, a conclusione dell'iter legislativo che si concluderà entro l'estate, di indicare in etichetta la provenienza.

Alleanze indispensabili

Ma altri ancora saranno i banchi di prova sui quali i suinicoltori do-vranno misurarsi a livello nazionale e non solo europeo. L'Assessore all'Agricoltura della Regione Emilia Romagna, Tiberio Rabboni, ha lanciato in occasione della Rasse-gna suinicola internazionale la pro-posta di un accordo quadro fra allevatori e industrie del settore. Uno strumento che potrebbe aiuta-re, fra l'altro, ad aprire un dialogo costruttivo con la Gdo (grande di-stribuzione organizzata), dalla quale passa una parte rilevante del consu-mo di carni suine e di prodotti della salumeria. Anche su questo fronte la Ue si sta muovendo per favorire

un'armonizzazione dei tempi di pagamento. Ci sarà poi da fare i conti con la nuova Pac, dopo il 201-3. Ormai è certo, gli aiuti ci saranno ancora, ma saranno sganciati dalla produzione (disaccoppiamento). L'obiettivo è quello del riequilibrio delle risorse, che sino ad oggi han-no premiato le agricolture del Nord Europa. Ma la peculiare situazione dell'agricoltura italiana richiede a sua volta risposte mirate e interven-ti per ammorbidire l'impatto che

la nuova Pac potrà avere per le nostre produzioni. Ed è oggi che occorre presentarsi a Bruxelles con proposte adeguate. Domani, a rego-le fatte, inutile lamentarsi.

Le crisi, si sa, aumentano la voglia di partecipazione. Si riempiono le fiere e si affollano le sale convegni. Luoghi dove è possibile dibattere i problemi e cercare, quando possibi-le, vie d'uscita. Alla regola non si è sottratta la 51esima edizione della Rassegna suinicola internazionale di suinicoltura che si è svolta a Reggio Emilia dal 14 al 16 aprile. Le difficoltà che da tempo affliggo-no il settore sono così state al cen-tro della manifestazione, catalizzan-do l'attenzione dei 12mila visitatori che hanno diviso la loro attenzione fra i dibattiti e i numerosi stand (230 il numero degli espositori pre-senti) dai quali le aziende del setto-re hanno messo in mostra mezzi, attrezzature e proposte per gli alle-vamenti dei suini. Affollato, e non poteva essere diversamente, l'incon-tro con il ministro dell'Agricoltura, Saverio Romano. Ospite del gran-de stand allestito dall'Associazione nazionale allevatori suini (Anas), al ministro va riconosciuto il “coraggio” della disponibilità al

confronto con un settore in forte difficoltà e dun-que in attesa di risposte precise. Risposte difficili da formulare, tanto più per un ministro fresco

di nomina e sino

a ieri lontano

dai temi dell’a-

gricoltura. Ine-sperienza che non gli ha impe-dito di schierarsi con determina-zione contro gli Ogm. “Non per motivazioni scientifiche”, ha tenuto a precisare il ministro di fronte ai suinicoltori riuniti a Reggio Emilia, ma per una valutazione di opportu-nità. I consumatori di tutto il mon-do, ha sostenuto Romano, sono alla ricerca di qualità e salubrità e si dicono contrari agli Ogm. Garan-

tendo filiere Ogm free i prodotti

italiani si troveranno in una posi-

zione di vantaggio sui mercati mondiali. Questa la tesi. Che non ha convinto tutti, come sempre capita quando si parla di Ogm. Primo, programmare

Entrando nel merito dei problemi del settore, il ministro ha ribadito

l’esigenza di uscire dalla gestione delle emergenze per entrare in una fase di programmazione e di defini-zione delle strategie politiche che accompagnino le scelte in campo agricolo. Le scelte devono essere quelle della protezione della quali-tà e in questo ambito l’etichettatura dei prodotti suini è fondamentale. Su questo tema bisogna però regi-strare la posizione critica di molti Paesi europei, disponibili però a dare il via libera all'etichettatura delle sole carni suine che potrebbe-ro così avere l'indicazione dell'ori-gine. Gran parte della carne suina consumata in Italia è però di impor-tazione (i nostri suini pesanti vanno al circuito della trasformazione) ed

La crisi suina da un 'tavolo' all'altro In occasione della Rassegna suini-cola il ministro dell'Agricoltura ha riproposto un piano nazionale di settore per affrontare le difficoltà del momento Agronotizie 294 - 21/04/2011

L'affollato incontro con il ministro dell'Agricoltu-

ra, Saverio Romano

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è giunto il momento di diversifica-re le nostra produzione dando spazio al suino leggero per la pro-duzione di carne fresca. Duplice il vantaggio, un alleggerimento nella produzione del suino pesante, oggi superiore alle richieste dell'industria e all'origine della crisi, e una ridu-zione della nostra dipendenza dal prodotto di importazione che copre il 40% dei fabbisogni in carni suine fresche. Un “tavolo” per la filiera

Per affrontare i problemi della sui-

nicoltura il ministro si è detto pron-to ad istituire un tavolo di filiera dal quale mettere a punto un piano di

settore capace di trovare un punto di sintesi fra gli interessi, a volte contrapposti, dei vari protagonisti della filiera, produzione, trasforma-zione e distribuzione. Questi gli impegni che il ministro si è assunto in occasione della “Rassegna”. I suinicoltori sono ora ansiosi di

vedere i risultati. Di “tavoli” e “piani” ne hanno già visti in passa-to. Ma la crisi è ancora lì.

Cinque centesimi al chilo, otto euro per un suino di 160 kg. A tanto am-monta la perdita per ogni suino pesante che esce dagli allevamenti italiani. E' quanto emerge dall'anali-si condotta dal Crpa (Centro ricer-che produzioni animali) presentata

in occasione della Rassegna suini-cola internazionale di Reggio Emi-lia. Tutta colpa della crescita dei costi di produzione negli alleva-menti a ciclo chiuso, costi che nel 2010 sono aumentati in media del 4,6% rispetto al 2009, in particolare in seguito all’incremento delle spe-se per l'alimentazione dei suini (+6,6%). Il costo complessivo, rile-va il Crpa, si è così portato a 1,36 euro per kg peso vivo, mentre il prezzo medio del suino pesante nel 2010 è rimasto fermo al 2009.

La crescita dei costi non ha rispar-miato la produzione dei magron-

celli, categoria di suini di circa 35 kg di peso, desti-nati agli alleva-menti da ingras-so. In questo set-tore si è registrato un + 4,5% dei costi, sospinti in particolare dalla voce alimentazio-ne a sua volta in crescita del 5,3%. Il prezzo medio dei suinetti, stan-do alle rilevazioni di Anas (Associazione nazionale alleva-tori suini), nel 2010 è cresciuto

Suini sotto costo, ma non è una promozione...

in misura modesta (+2,4%), cosa che ha penalizzato gli allevamenti

a ciclo chiuso e i produttori di

suinetti, ma che ha per contro favo-rito gli ingrassatori. L'analisi del Crpa evidenzia infatti che quest'ul-tima categoria ha registrato un au-mento dei costi di produzione più contenuto rispetto ai colleghi del ciclo chiuso e del ciclo aperto, con un aumento pari all’1,5%, grazie appunto al contenimento dei prezzi d’acquisto dei magroncelli.

on siamo concorrenziali

Il Crpa evidenzia inoltre come, nei confronti dei principali Paesi euro-pei, i suinicoltori italiani sostenga-no un costo di produzione superiore mediamente del 19%. Il divario è da attribuire al maggior onere per

la produzione del suino pesante rispetto ai suini leggeri europei e ad un livello di efficienza tecnica infe-riore degli allevamenti nazionali. I costi di produzione più bassi si rile-vano in Danimarca e in Francia con 1,41 e 1,37 euro al kg peso morto rispetto a 1,73 euro al kg dell’Italia. La forte competitività dei produt-

tori suinicoli danesi e francesi è da attribuire all’elevata produttività delle scrofe, che arrivano a produr-re 27 suinetti svezzati per scrofa.

Sono “numeri” che devono far ri-flettere in vista della svolta che la nostra suinicoltura è invitata a pren-dere affiancando al tradizionale suino pesante la produzione di un suino leggero, da macelleria. La concorrenza del prodotto di impor-tazione, come dimostrano le analisi del Crpa, è molto forte e gli alleva-tori italiani dovranno dimostrare grandi capacità manageriali per poterla fronteggiare.

Attenti all'import

Intanto sul fronte dell'import il

2010 ha fatto registrare per le

carni suine un nuovo record. L'I-talia ha infatti importato 1,04 mi-lioni di tonnellate, con un incre-mento del 12,8% rispetto all'anno precedente. L’aumento - spiega il Crpa - riguarda in prevalenza le

Le analisi presentate dal Crpa in occasione della Rassegna suinicola evidenziano il divario fra prezzi di mercato e costi di produzione Agronotizie 294 - 21/04/2011

L'ingresso della 51esima edizione della Rassegna

suinicola di Reggio Emilia, tribuna dalla quale il

Crpa ha fatto conoscere i risultati delle sue analisi

sul settore suino

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cosce fresche per la produzione del prosciutto crudo non Dop e del pro-sciutto cotto (+15% rispetto al 200-9). Nel contempo anche l’export dei prodotti lavorati è aumentato in modo significativo (+8,2%). Si trat-ta per lo più di prosciutti crudi (+7,4%), salami (+13,8%) e morta-della (+15,9%).

I dati emersi dall'analisi del Crpa, in particolare sul fronte dell'importa-zione, lasciano immaginare con-

crete possibilità di sviluppo per le

produzioni italiane, a condizione che si realizzi una efficace competi-tività fra prodotto italiano e prodot-

to di importazione. Molto dipenderà dalla capacità degli allevatori italia-ni di raggiungere standard pro-duttivi di elevata efficienza. E gli esempi non mancano. Un aiuto po-trà poi venire dall'indicazione in etichetta della provenienza delle carni suine. In questi giorni la Ue ha compiuto un passo avanti in que-sta direzione e una decisione defini-tiva sarà presa entro la prossima estate, come spiegato in dettaglio anche in questo numero di Agrono-tizie. Altro fronte sul quale lavorare è quello della distribuzione del reddito lungo la catena del valore. L'analisi del Crpa ha messo in evi-

denza che nel 2010 i macelli hanno incassato lo 0,2% in più rispetto all'anno precedente. Stabili (nelle perdite) gli allevatori, mentre l’in-dustria di trasformazione ha visto calare le proprie entrate dello 0,2%. Per i dettaglianti, infine, si registra un incremento del fatturato pari allo 0,8%. Un riequilibrio si rende ne-cessario. Per attuarlo sarà indispen-sabile (e non facile) coinvolgere nelle politiche di settore anche la

Gdo, la grande distribuzione orga-nizzata, oggi protagonista indiscus-sa nel rapporto con il consumatore.

Gli allevatori di suini si accingono ad una importante svolta. Abbinare alla produzione del suino pesante destinato alla trasformazione anche quella di un suino “intermedio” (o leggero, comunque non più di 130 kg) per la produzione di carne. L’o-biettivo è quello di alleggerire il mercato del prosciutto Dop, dove c’è un eccesso di offerta che pena-lizza i prezzi, e al contempo propor-re una carne suina “Made in Italy”, visto che quella che si consuma oggi è per gran parte di importazio-ne. Sin qui il progetto, semplice nella sua essenza, ma assai compli-

cato da realizzare per le molteplici implicazioni, non ultime quelle di natura genetica, alla base sia della produzione di un prosciutto di qua-lità, sia di una carne di eccellenza.

Carne e prosciutti

Per quegli allevatori che non voles-

sero abbandonare la produzione del suino pesante e al contempo ottenere carni tenere e di qualità anche per il consumo fresco, c'è una via di uscita. La risposta arriva dalle ricerche condotte dal Crpa nell’ambito di un progetto finalizza-to ad indagare i rapporti fra base genetica e qualità delle carni e dei prosciutti. La ricerca, sostenuta dalla Regione Emilia Romagna e alla quale hanno collaborato Uni-versità, enti di ricerca e imprese private, si è posta l’obiettivo di ap-profondire gli effetti del genotipo sulle proprietà dei tagli destinati al consumo fresco oppure alla stagio-natura. In pratica si è voluta verifi-care la compatibilità e l’eventuale correlazione fra tenerezza dei

tagli da consumo fresco e l’idonei-tà delle cosce a fornire prosciutti capaci di soddisfare le richieste dei disciplinari di tutela e degli stagio-natori. La ricerca ha utilizzato tec-niche di genetica molecolare ed ha preso le mosse a partire da sei geni per i quali già erano stati segnalati gli effetti sulle caratteristiche quali-tative della carcassa e della carne. Fra questi il gene Titina (TTN) par-rebbe contraddistinguere i soggetti

che presentano prosciutti con mag-

giori pesi, minori cali e quindi una più elevata resa di stagionatura. Altri geni (il PRKAG3 e CAST) sembrerebbero invece legati ad alcune caratteristiche tecnologiche della carne fresca e con parametri del prosciutto stagionato.

I risultati

Le ricerche hanno preso in conside-razione numerosi elementi, dai fat-tori che influenzano l’assorbimen-

to del sale da parte della coscia, al tempo post-mortem prima della salagione (i prosciutti salati a 96 ore

Prosciutti e carne di qualità, la risposta è nei geni

Una ricerca affidata al Crpa evi-denzia i rapporti fra genotipo dei suini e proprietà dei tagli destinati al consumo e alla trasformazione Agronotizie 295 - 28/04/2011

Una curiosa rappresentazione del

DA Fonte immagine: Mknowles

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dalla macellazione tendono ad as-sorbire meno sale) sino ai rapporti fra genotipo e pH, colore e marez-zatura dei prosciutti, proprietà della carne. In conclusione i risultati de-gli studi hanno dimostrato che non c’è incompatibilità fra la tenerez-

za dei lombi per il consumo come

carne fresca e la qualità dei pro-

sciutti stagionati, caratteristiche che

si riscontrano con modulazioni di-verse nei genotipi corrispondenti ai polimorfismi per TTN, CAST638 e PRKAG3.

Le ricerche non possono ancora dirsi concluse, ma le prime indica-zioni tracciano già una rotta interes-sante per raggiungere l’obiettivo finale. Ora non resta che aspettare

la messa a punto di marcatori

genetici che con un semplice esame di routine consentano di sapere in anticipo se abbiamo di fronte ani-mali capaci di fornire prosciutti

di qualità e carni tenere e apprez-

zate (e magari pagate per quanto valgono). O se al contrario bisogna rimettere mano alla selezione.

In occasione di una riunione di alto livello con la Presidenza ungherese della Ue, il Presidente della Coge-ca, Paolo Bruni, ha lanciato un appello per l’applicazione di misure urgenti per migliorare la redditività a lungo termine del settore europeo della carne suina. Questa richiesta si iscrive nell’ambito delle conclu-sioni discusse dai ministri europei dell’agricoltura nel gruppo consulti-

vo allargato sulla carne suina.

Il gruppo è stato creato per trovare soluzioni al fine di migliorare la situazione catastrofica del settore europeo della carne suina. Rivol-gendosi al Ministro ungherese dell’-agricoltura, Sandor Fazekas, Bruni ha dichiarato: “Il settore è in crisi ormai da tre anni, in parte a causa dell’aumento dei costi legati ai fat-tori di produzione. Alla luce della difficoltà della situazione, racco-mandiamo misure rapide ed efficaci per aiutare gli agricoltori ad af-frontare l’estrema volatilità sui mercati a termine, come valori mi-

nimi e massimi per i mercati finan-ziari. Inoltre, vorremmo che la po-sizione degli agricoltori dell’Ue nella catena alimentare sia consoli-data affinché ricevano un miglior reddito dal loro prodotto. Questo obiettivo può essere raggiunto tra l’altro grazie a una concentrazione dell’offerta tramite le organizzazio-ni di produttori, come le cooperati-ve”.

Sì alle farine animali

Pekka Pesonen, Segretario genera-le del Copa-Cogeca, ha dichiarato: “Suggeriamo anche di facilitare l’accesso all’intervento per gli alle-vatori, ad esempio, con agevolazio-ni di credito. Inoltre, chiediamo lo sviluppo di un piano europeo per le proteine. Il divieto sull’utilizzo di proteine animali trasformate prove-nienti da non ruminanti dovrebbe essere tolto immediatamente. I pro-duttori di carne suina dovrebbero potersi raggruppare in organizza-zioni di produttori, come le coope-rative, al fine di ridurre i costi di produzione e aumentare il valore della loro produzione”.

Paolo Bruni ha aggiunto: “Le rego-le di concorrenza in Europa vanno riviste per permettere alle organiz-zazioni di produttori, come le coo-perative, di crescere di dimensioni e di scala, contribuendo a una cate-na alimentare più equilibrata”. Le richieste delle parti interessate del gruppo consultivo allargato sono state inviate alla Commissione per essere analizzate.

Suini, dalla cooperazione la risposta alla crisi

Le richieste della Cogeca a livello europeo per aiutare il settore a superare la lunga stagione di diffi-coltà Agronotizie 298 - 19/05/2011

Concentrare l'offerta è una delle soluzioni proposte per superare

la volatilità dei prezzi

Page 89: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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Stato di crisi per la suinicoltura e moratoria triennale sui mutui

bancari accesi dagli allevatori, queste le richieste immediate che Confagricoltura porterà avanti per fronteggiare la grave crisi che atta-naglia questo comparto della zoo-tecnia nazionale. Le due misure d’urgenza precedono quelle com-prese in un più articolato progetto strategico di intervento nel breve e medio periodo, che sarà sottoposto all’attenzione del ministro per le Politiche agricole e agli assessori regionali. Le decisioni sono state prese durante il vertice nazionale dell’organizzazione degli imprendi-tori agricoli tenutosi il 25 maggio a Roma. Allevamenti al collasso

“La situazione della suinicoltura richiede interventi immediati - ha detto il presidente di Confagricoltu-ra, Mario Guidi - il numero di alle-vamenti che cessano l’attività è in costante crescita, con un progressi-vo impoverimento della filiera tutta

ed una significa-tiva riduzione dell’occupazio-ne. E’ indispen-sabile ed urgente definire un piano di settore che identifichi solu-zioni tali da per-mettere, da un lato di recupera-re concorrenzia-lità e spazi sui mercati, dall’al-tro di riportare la redditività azien-dale a livelli ac-cettabili”. Credito e costi

In particolare servono adeguati in-terventi sul credito per gli alleva-menti che si sono esposti finanzia-riamente per i necessari investimen-ti aziendali e per le problematiche gestionali. Ed è importante che le Regioni utilizzino i fondi dei Psr aprendo una corsia preferenziale alle imprese suinicole.

L’attenzione di Confagricoltura è altissima sulla gravosità dei costi di produzione, superiori a quelli sop-portati dai competitor europei, so-prattutto per quanto riguarda i disci-plinari di produzione e la manodo-

pera. Occorrono in particolare inter-venti per ridurre il costo del lavoro, ad esempio attraverso agevolazioni alle aziende che assumono. In que-sto contesto va rivista la catena del valore, in cui gli allevatori sono oggi penalizzati rispetto alle altre componenti della filiera.

“Sono indifferibili interventi ade-guati alla gravità della situazione - ha concluso Guidi - perché i pro-dotti della filiera suinicola sono uno dei simboli del made in Italy alimentare, un patrimonio che deve essere difeso ad ogni costo”.

Così si fronteggia la crisi suinicola Confagricoltura chiede un piano strategico di settore con interventi su mercati, credito e costo del lavo-ro Agronotizie 299 - 26/05/2011

I costi di produzione sopportati dagli allevatori

italiani sono superiori rispetto a quelli dei competi-

tor stranieri

Una chance che per alcuni allevato-ri suinicoli potrebbe rappresentare la via di uscita dalla crisi che da alcuni anni ha mandato in forte sofferenza il settore. Una chance che si chiama suino intermedio e che sta già interessando un impor-tante stabilimento di macellazione, la Italcarni di Carpi (Modena) e alcune aziende suinicole, tant’è vero che la programmazione elabo-rata per quest’anno prevede la ma-

cellazione di circa 70mila suini, che diventeranno più di 200mila nel 2012 per arrivare a 450mila nel 2013. Il peso di macellazione del suino intermedio oscilla intorno ai 130kg, ben al di sotto di quei 170 kg richiesti per la produzione dei salumi del circuito tutelato, Pro-sciutto di Parma e di San Daniele in testa.

Il progetto, iniziato alcuni mesi fa, va dunque avanti e ai numerosi incontri organizzati per illustrare agli allevatori modalità e caratteri-stiche di questo tipo di allevamento il pubblico partecipa sempre nume-roso. “L’interesse è notevole - affer-

C'è un suino intermedio nel futuro della suinicoltura Il settore è di fronte ad un bivio e in occasione di Italpig, che si terrà in ottobre a Cremona, gli operatori si confronteranno sui temi più pres-santi per la sopravvivenza del com-parto Agronotizie 300 - 01/06/2011

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ma Moritz Pignatti, direttore ope-rativo di Italcarni - e giustifica una serie di aspettative da parte del mondo produttivo più che compren-sibili. E’ evidente però che ai suini-coltori interessati a percorrere que-sta strada viene richiesto un vero e proprio salto culturale, perché chi deciderà di impegnarsi nella produ-zione di un suino intermedio non potrà parallelamente mandare a-vanti quella del suino pesante. La scelta dovrà quindi essere pondera-ta e rispondere a quel concetto di specializzazione che sta diventando una variabile sempre più importan-te”.

Il suino intermedio

Di suino intermedio, a dire il vero, si parla da tempo, ma è solo negli ultimi tempi che alle parole sono seguiti i primi esperimenti concreti. Da tempo infatti Italcarni insegue l’opportunità di immettere sul mer-cato nazionale un prodotto desti-

nato al consumo fresco che si dif-ferenzi, in meglio, rispetto a quanto viene importato, con l’obiettivo di ridurre considerevolmente la quota di quel 40% che oggi arriva dall’e-stero. Dal mondo produttivo inten-zionato a giocare questa carta le voci declinano al positivo. “In base ad alcuni sondaggi effettuati di recente - spiega Marco Lunati, consigliere nazionale dell’Anas (Associazione Nazionale Allevatori Suini) - per l’acquisto di un prodot-to fresco italiano i consumatori sarebbero disposti a spendere an-che il 10% in più. Considerato il periodo di crisi economica che stia-mo vivendo si tratta di un dato su cui riflettere. E’ evidente che la produzione di un suino del peso di 130-135 kg per noi allevatori si tradurrebbe in una considerevole diminuzione dei costi di produzione legati soprattutto all’alimentazione. Inoltre ridurrebbe anche il carico di azoto escreto, il che avrebbe effetti positivi sullo smaltimento dei

reflui; senza dimenticare la resa alimentare che una razione più proteica, quale quella che verrebbe fornita a un animale destinato a questo circuito produttivo, potrebbe garantire: 35% rispetto al 28% di un suino pesante”.

Appuntamento a Italpig

La suinicoltura italiana si trova dunque a un bivio, perché la situa-zione di crisi degli ultimi anni sta mettendo veramente a repentaglio la vita del settore, e si pensi all’e-norme patrimonio agricolo e agroa-limentare che attualmente si trova a rischio. A Italpig, il Salone della suinicoltura italiana che si svolgerà a Cremona dal 27 al 30 ottobre

2011, gli operatori della filiera a-vranno la possibilità di confrontarsi sui temi più attuali del settore con l’obiettivo di trovare risposte con-crete per il rilancio del comparto.

Si chiama Cun, Commissione unica nazionale per il settore suinicolo, ed è nata nel 2008 per monitorare e rendere trasparente il mercato dei suini da macello. Il Cun è uno degli strumenti fissati dal protocollo di intesa per la filiera suinicola, solle-citato dal Mipaaf, con il quale si voleva dare una risposta alla crisi del settore suino. A far scattare la decisione di fissare un mercato uni-co nazionale per la definizione delle quotazioni erano le continue diffi-coltà a raggiungere un'intesa sul prezzo nelle principali borse merci.

In particolare sulla piazza di Man-tova, una delle più importanti per la grande diffusione di allevamenti suini, l'esito delle trattative settima-nali si concludeva troppe volte con un “non quotato”. Segno della mancata intesa fra acquirenti (le industrie di macellazione e trasfor-mazione) e i venditori (gli allevato-ri). Con il risultato di spingere al ribasso le quotazioni anche sulle piazze ove un accordo, pur faticosa-mente, veniva raggiunto. Di calo in calo, il prezzo dei suini pesanti rag-giungeva a malapena la quota di un euro o poco più, a fronte di un costo di produzione ben superiore, alme-no 1,40 euro per chilo di peso vivo. In questi tre anni che ci separano dalla istituzione del Cun, sono cam-biati tre ministri (Luca Zaia, poi Giancarlo Galan, e infine Saverio Romano) e due presidenti di Anas,

l'associazione dei suinicoltori (a Giandomenico Gusmaroli è suc-ceduto a fine 2010 Andrea Cristi-

ni). Chi non è cambiata è la crisi. Certo, i prezzi del suino pesante, di 160 kg e oltre, sono un po' aumen-tati raggiungendo e superando 1,30 euro per chilo. Sempre però al di

sotto dei costi di produzione.

Situazione difficile

Nei primi tre mesi del 2011, infatti,

Crisi suinicola, gli allevatori minacciano lo sciopero Braccio di ferro con le industrie, che hanno scelto di disertare le contrattazioni facendo mancare la definizione del prezzo. Svilite le misure anticrisi decise tre anni fa Agronotizie 301 - 09/06/2011

Il mancato raggiungimento di

un'intesa sul prezzo dei suini pe-

santi alla Cun di Mantova acuisce

le difficoltà del settore

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la redditività degli allevamenti ha

subito un calo del 12,4% rispetto ai tre mesi precedenti, come rileva il Crefis. Una situazione difficile, alla quale gli allevatori tentano di dare una risposta diversificando la

produzione e affiancando al suino pesante un animale più leggero per la produzione di carne da avviare al consumo fresco. Se ne è parlato anche in occasione della Rassegna suinicola di Reggio Emilia, come riportato in uno dei precedenti nu-meri di Agronotizie. L'obiettivo è quello di alleggerire il circuito dei prosciutti Dop, appesantito da un eccesso di produzione e avvilito dalla concorrenza dei prosciutti “anonimi”, sospinto a sua volta da un imponente flusso di importazio-ne di cosce suine fresche. In pratica ogni tre prosciutti consumati, due arrivano da oltre frontiera. Riequili-brare il mercato non è facile e non è rapido. emmeno ai Consorzi di

tutela è concesso di guidare la

produzione senza incappare nelle regole dell'Antitrust. Se ne sta di-scutendo a Bruxelles, nel pacchetto qualità, ma per il momento i con-sorzi hanno le mani legate.

on quotato

Dunque una situazione complessa e delicata dove la comparsa della dicitura “non quotato” per i suini pesanti anche da parte del Cun del primo giugno è giunta come uno

tsunami dopo un terremoto. Di-sgrazia su disgrazia. Ed è una con-seguenza della decisione da parte delle industrie di trasformazione

di disertare l'appuntamento per

la fissazione del prezzo. Ferma e decisa la posizione degli allevatori. Lorenzo Fontanesi, presidente di Opas, un'organizzazione dei produt-tori aderente ad Unapros (Organizzazione nazionale tra le organizzazioni di produttori di car-ne suina), ha stigmatizzato l'atteg-giamento delle industrie. “I macel-latori rappresentano una parte ne-cessaria e insostituibile all’interno della Commissione unica nazionale - afferma Fontanesi - e non possono creare una turbativa di mercato con la diserzione del confronto.”

Da queste considerazioni è partito l'invito agli allevatori a non conse-gnare i suini sino a quando non

saranno definiti e pubblicati i

prezzi di mercato. Una provoca-zione, ovviamente, tesa ad una rapi-da ripresa del dialogo.

Toni critici anche da parte di Con-fagricoltura, che ha affidato ad un suo comunicato il compito di bolla-re l'accaduto come “l’obiettivo mal-celato di una parte degli operatori di squilibrare ulteriormente le ri-partizioni all’interno della catena

del valore, a scapito degli allevato-ri.” “I suinicoltori - prosegue Con-fagricoltura - nonostante le difficol-tà, hanno dimostrato grande re-sponsabilità e chiedono, pertanto, comportamenti altrettanto coeren-ti.” E a proposito di suinicoltori, un invito a leggere la lettera pubbli-

cata in questo numero di Agrono-

tizie, inviataci da una nostra lettri-ce. Vi si possono cogliere le molte ragioni degli allevatori e l'ennesimo allarme per un settore ormai allo stremo.

"Ho chiesto gentilmente ospitalità a questa testata, che altrettanto gene-rosamente me l’ha concessa, per portare all’attenzione di più persone possibili la situazione critica in cui vive un settore dell’economia reale, dell’economia primaria: la suinicol-tura. Il settore famoso per la salu-meria di alta qualità e per le produ-zioni Dop che esportiamo in tutto il mondo. Gli allevatori non riescono a farsi riconoscere un prezzo che copra i costi di produzione da molti mesi e la crisi sta attanagliando le aziende. La Commissione unica nazionale dei suini da macello (Cun) con sede a Mantova, costituita per la formu-lazione del prezzo dei suini e in particolare per la declaratoria sepa-rata per i suini Dop, che opera con la supervisione del Mipaaf, nelle ultime tre settimane ha dei grossi problemi nel formulare le quota-zioni. La situazione è ulteriormente peggiorata mercoledì 1° giugno

2011 quando i macellatori (Assica) non si sono presentati in Commis-sione per la quotazione settimanale con la seguente conseguenza: rile-vazione non pervenuta per assenza dei commissari macellatori. Di se-guito i dati a disposizione per le quotazioni.

Dati Assica: numero suini macellati n. 142.894 +5,97 %, peso medio kg.169,929

Dati Anas peso medio 169,07 kg -4,03% suini consegnati."

on quotato

"La Cun non ha avuto luogo, in quanto i commissari dei macella-

tori non si sono presentati in Commissione, pur essendo presenti sul mercato di Mantova. I commis-sari dei suinicoltori hanno constata-to l’assenza dei macellatori, segnale palese di non partecipazione alla

'Il made in Italy sulla pelle dei suinicoltori'

Lettera alla Redazione - Le difficol-tà della suinicoltura italiana denun-ciate da una lettrice di Agronotizie all'indomani della mancata quota-zione al Cun, la Commissione unica nazionale dei suini da macello Agronotizie 301 - 09/06/2011

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Cun e quindi di una volontà preor-dinata di non trovare alcun ac-cordo. Si fa presente che nessun commissario dei macellatori aveva tempestivamente avvisato la segre-teria della propria assenza.

La segreteria della Bmti (Borsa merci telematica italiana), dottores-sa Del Monte, ha preso atto dell’as-senza e secondo quanto previsto dal regolamento vigente, non ha potu-to validare la Cun per la mancan-za della parte acquirente. Vi è stato uno sconcerto generale in quanto il mercato dei suini registra-va un andamento positivo: con que-sto comportamento da parte dei commissari dei macelli, si deduce che i macellatori non intendono validare la Cun, nonostante gli im-pegni sottoscritti nel Tavolo di Fi-liera.

Il regolamento, inoltre, non prevede le conseguenze di tale comporta-mento e pertanto si attende un prov-vedimento da parte del ministero e delle associazioni di categoria. I commissari insieme ad altri alleva-tori presenti alla Cun, hanno svolto una breve riunione indicando una quotazione di riferimento di 1,375 € e con la raccomandazione di evita-re le consegne, in una situazione anomala, imposta unilateralmente."

Le conseguenze

"Qual è la conseguenza? Gli alleva-tori non hanno un prezzo di riferi-mento per la vendita dei loro suini, e sono soggetti al “ricatto” dei macellatori; le associazioni sinda-

cali ad oggi non hanno fatto alcun comunicato stampa (prese di posi-zione sono però giunte nei giorni seguenti, ndr) e il ministero non dà notizie. E’ frustrante constare che la politica agricola italiana è allo sbando. Il tanto decantato made in Italy a-

groalimentare è fatto sulla pelle

degli agricoltori. Agricoltori che negli ultimi anni hanno visto perde-re di valore le loro aziende ed anda-re in fumo il lavoro di generazioni. Agricoltori che si trovano nell’im-possibilità di continuare ad esercita-re una professione che prima di

tutto richiede passione, che ha un funzione ambientale e pubblica di fondamentale importanza."

Un grazie di cuore da una semplice contadina.

L'impennata dei prezzi delle mate-rie prime per l'alimentazione dei suini che si è registrata a partire dalla metà del 2010 ha fatto da de-tonatore ad una situazione che per il settore suinicolo era già critica da alcuni anni. E' quanto emerso du-rante l'assemblea dei soci Anas (Associazione nazionale allevatori suini) che oltre ad approvare i bi-lanci consuntivo 2010 e preventivo 2011 è stata un’importante occasio-ne per un confronto sullo stato della suinicoltura italiana. Il presidente di Anas, Andrea Cristini, ha indicato con preoccupazione la significativa contrazione del numero di alleva-

menti e del patrimonio costituito

dalle scrofe allevate, diretta conse-guenza delle sofferenze vissute dal settore. Il bilancio degli scambi con l’estero, nonostante le buone presta-zioni delle esportazioni di carni lavorate, è peggiorato ed ha ridotto ulteriormente la quota di autoap-

provvigionamento. Per quanto riguarda le cosce, destinate ai pro-sciutti crudi e cotti, l’autoapprovvi-gionamento ha raggiunto nel 2010 appena il 32%. E’ un dato impres-sionante che fa riflettere circa la tenuta di un sistema produttivo, che ha nel prosciutto il prodotto simbo-lo e che dovrebbe fare maggiore leva su una produzione “qualitativamente differenziata” al 100% italiana. Secondo quanto e-merso dall’assemblea serve un rilancio delle produzioni di quali-

tà, sostenuto da un governo “quali-quantitativo” dell’offerta, ed è op-portuno avviare la diversificazione produttiva del così detto “suino intermedio” per offrire nuovi sboc-chi di mercato ad una parte degli allevamenti che intendono operare

al di fuori dei tradizionali circuiti Dop. Cristini ha, inoltre, messo in evidenza i progressi compiuti nel-

l’attività di miglioramento gene-

tico delle razze suine e l’impegno di Anas per rafforzare la diffusione dei risultati, attraverso la distribu-zione agli allevamenti italiani dei riproduttori “selezionati a marchio GEN.I” necessari per migliorare l’efficienza in allevamento e la qua-lità del prodotto.

Di fronte alla gravità della crisi che sta mettendo in serio pericolo la sopravvivenza economica di nume-rosi allevatori, questo il messaggio scaturito dall’assemblea Anas, la suinicoltura italiana ha ancora in serbo energie e potenzialità per affrontare la sfida di un mercato

sempre più globale che tende ad erodere la marginalità dell’alleva-mento. La rigenerazione di diversi segmenti del mercato e la trasparen-te valorizzazione delle peculiarità “italiane” sono la via maestra per il rilancio di un settore che ha genera-to, a prezzi franco allevamento, una produzione di 2.459 milioni di euro, pari al 16,5% dell’intera zootecnia.

Così Anas risponde alla crisi della suinicoltura Dall'assemblea dell'associazione degli allevatori di suini le proposte per affrontare le difficoltà del setto-re. Ai primi posti la valorizzazione delle peculiarità della produzione italiana Agronotizie 302 - 16/06/2011

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E' un legame a doppio filo quello che lega Assica, l'associazione delle industrie della trasformazione della carne, con il mondo della suinicol-tura. Lo dimostrano i 7,9 miliardi di euro che derivano dai salumi a fron-te di un fatturato complessivo di

8,2 miliardi realizzato dalle azien-de che si riconoscono in Assica. Oltre un miliardo del fatturato

complessivo viene dall'export e il comparto può vantare una bilancia commerciale in attivo per 823 mi-

lioni di euro. Sono questi i numeri più significativi presentati in occa-sione dell'assemblea di Assica che

si è svolta a Parma il 23 giugno e che ha riconfermato alla presidenza Lisa Ferrarini. La scelta di Parma, ha ricordato la presidente, ha voluto sottolineare l'istituzione proprio a Parma della Commissione unica

(Cun) dei tagli di carne suina fre-

sca e dei grassi. Questa, insieme alla Cun di Mantova per la quota-zione dei suini vivi, rappresenta un tentativo per dare al settore un si-stema di definizione dei prezzi

moderno, capace di interpretare al meglio gli equilibri fra domanda e offerta. All'assemblea di Assica è seguito un vivace dibattito che ha messo al centro le difficoltà della filiera suinicola, incapace negli ultimi anni di produrre valore, sia per gli allevatori, sia per le industrie di trasformazione. “E' arrivato il momento - ha detto la presidente Ferrarini - di superare le contrap-posizioni e di guardare avanti uni-ti.” Forte poi il richiamo alle istitu-zioni alle quali si chiedono gesti

concreti per risollevare le sorti del settore.

Le risposte

La risposta è giunta dal ministro dell'Agricoltura, Sa-verio Romano che reduce dal G20 di Bruxelles è intervenu-to all'assemblea di Assica riconoscendo la necessità di trova-re il modo per dare

un sostegno agli alle-

vatori, per riequilibra-re la situazione e per garantire competitività al settore. Il modello da promuovere ha ricordato il ministro, è quello del Made in Italy in una pro-spettiva di sinergie tra i vari pro-tagonisti. A questo proposito non è mancato da parte del ministro un richiamo alle industrie, alle quali ha ricordato che non sempre il prodot-to di importazione utilizzato per la

trasformazione offre caratteristiche analoghe, per qualità e sicurezza, a quello italiano. E nemmeno il suc-cesso dei nostri salumi all'estero

sarebbe tale senza la qualità che

esce dagli allevamenti italiani e che si ritrova nelle Dop nazionali. Sulla stessa lunghezza d'onda il presidente di Confagricoltura, Ma-

rio Guidi che inoltre ha ribadito l'importanza dell'etichettatura, che rappresenta un importante fattore per garantire la competitività del settore.

E' tempo di alleanze fra industrie e suinicoltori L'assemblea di Assica è stata l'oc-casione per ribadire l'importanza di superare le contrapposizioni. Dal ministro Romano l'impegno a cercare soluzioni per la crisi del settore Agronotizie 304 - 30/06/2011

Un momento dell'assemblea di Assica

La redditività dei suinicoltori italia-ni è ai minimi storici. Un problema che si trascina da tempo. Anche nel 2010 (dati diffusi dal Crpa, Centro ricerche produzioni animali) il co-sto di produzione ha avuto un

aumento sull’anno precedente pari al 4,6%. Fra i fattori di costo spicca l'aumento della voce ali-mentazione (+6,6%) a causa dell’e-norme volatilità dei prezzi delle materie prime utilizzate per i

mangimi, volatilità che gli analisti prevedono continuare anche nei

prossimi mesi e che potrebbe pre-ludere a un 2011 caratterizzato da costi in ulteriore aumento.

I numeri

In riferimento al suino pesante (160-170kg) destinato alla produ-zione dei principali prosciutti Dop l'esame dei costi per il 2010 evi-denzia che gli allevatori spendono 1,36 euro per ogni chilogrammo di peso vivo prodotto, un livello di poco superiore all’1,32 euro/kg speso nel 2009.

Situazione analoga per i produttori dei magroncelli (35 kg circa di peso vivo), che per produrre un chilogrammo di carne hanno speso nel 2010 2,34 euro, il 4,5% in più dell’anno precedente. Più modesto

Suini, i numeri della crisi 2el confronto con i colleghi degli altri Paesi i suinicoltori italiani sono penalizzati dai maggiori costi necessari per produrre suini pesanti, indispensabili per le filiere dei salumi a denominazio-ne Agronotizie 303 - 23/006/2011

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l'aumento dei costi per gli ingrassa-tori, fermo ad un più 1,5%.

Forte il divario che divide gli alle-vatori italiani dai loro colleghi

europei. I suinicoltori italiani, unici produttori a livello europeo del sui-no pesante, devono infatti sostenere costi superiori del 19% rispetto ai colleghi d’oltre confine, dove si produce suino da carne, di circa 100 kg di peso vivo.

Un contesto complicato, all’interno del quale non vanno sottovalutati l’import e l’export delle carni suine. Ai dati positivi dell'export (+8,2% nel 2010 rispetto al 2009) si è con-trapposto un aumento del 12,8% delle importazioni, pari a 1,04 mi-

lioni di tonnellate di carne estera

entrata sul territorio italiano, carne costituita in prevalenza da cosce fresche destinate alla produ-zione di prosciutto cotto e crudo non Dop.

Miglioramenti possibili

Secondo l’analisi del Crpa l’effi-cienza tecnica degli allevamenti poi, gioca un ruolo significativo nella redditività aziendale. E ancora una volta il confronto con gli altri Paesi europei ci penalizza. Infatti, prendendo come metro produttivo il numero di suinetti svezzati all’anno per ogni scrofa, si rileva che in Ita-lia gli allevamenti presentano una media di 22,64 soggetti, mentre in

Danimarca siamo a 27,45, in Olan-da a 27,19, in Francia a 26,16 per arrivare a poco più di 23 suinetti in Belgio, Germania e Spagna.

Se ne parlerà ad Italpig

Un carosello di numeri su cui riflet-tere e che sarà tema di discussione a Italpig, il Salone nazionale della

suinicoltura italiana in calendario

a Cremona dal 27 al 30 ottobre 2011. La manifestazione, oltre ad essere punto di riferimento e osser-vatorio qualificato sulla suinicoltura nazionale, sarà anche l’occasione per fare sentire la voce degli alleva-tori, stretti in una crisi che sta stre-mando gli allevamenti minacciando la sopravvivenza.

A iniziare dal primo luglio è diven-tato operativo il sistema comunita-

rio di classificazione delle carcasse suine che determinerà il pagamen-

to a peso morto degli animali. Con un forte ritardo l'Italia si allinea così agli altri Paesi europei che già avevano adottato questo sistema.

Una rivoluzione. Così la definisce in una dichiarazione rilasciata a Cremonafiere il direttore del-l’Istituto Nord Est Qualità (Ineq), Francesco Ciani, che insieme al-

l’Istituto Parma Qualità (Ipq), sono incaricati del controllo del-le procedure. “Il nostro compito - puntualizza Ciani - sarà duplice: garanzia della corretta applica-zione dei criteri di classificazione e rispetto dei range previsti dalla normativa che, va sottoline-ato, riguarda

tutte le produzio-

ni destinate a

diventare Dop o

Igp, prosciutti in testa. D’ora in avanti, infatti, per entrare nel cir-cuito tutelato, le carcasse dovranno essere classificate”. Gli obiettivi

L’applicazione di questa norma si pone l’obiettivo di evitare che le cosce avviate alla trasformazione in prosciutti Dop possano presentare difetti fra i quali uno dei più diffusi è la scarsa copertura di grasso. Cia-ni evidenzia l’importanza del nuovo corso che ha fra i suoi obiettivi quello di favorire un percorso di qualità nella trasformazione, con possibili benefici economici a van-taggio degli allevatori. “Anche se il sistema della classificazione delle carcasse non è stato pensato a li-vello europeo per la suinicoltura italiana bensì per quella del 2ord Europa - afferma Ciani - siamo convinti che esistano per il nostro comparto straordinarie opportunità che vanno colte e per le quali stia-mo lavorando da tempo”.

I requisiti

Ma la norma sulla classificazione

Anche i suini hanno un “classificatore” Per entrare nel circuito dei prodotti tutelati le carcasse dovranno essere esaminate e classificate seguendo la griglia stabilita dalla Ue. Ma intanto la crisi continua a 'mordere' Agronotizie 305—07/07/2011

Sono solo una cinquantina per ora i macelli che

rispondono ai requisiti necessari per procedere

alla classificazione dei suini

Page 95: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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delle carcasse non riguarda sola-mente gli allevatori. Interessa ma-celli, laboratori di sezionamento, stagionatori. Per i primi, in partico-lare, è previsto che siano esclusi dall’applicazione della normativa quelli che non macellano più di 10mila maiali l’anno “i quali, d’ora in avanti - spiega ancora Ciani - dovranno trasformare in produzioni non inserite nel circuito tutelato, a meno che non intendano investire e adeguare le loro strutture. In ogni caso, i circa 50 macelli che a tutt’-

oggi si sono attrezzati per la classi-

ficazione, parliamo dei più rappre-sentativi a livello nazionale, sono ai nastri di partenza e già dalla fine dello scorso anno, in base ai dati in nostro possesso, erano in grado di classificare il 94% dei suini macel-lati” Dibattito aperto

Il nuovo sistema, tuttavia, non con-vince tutti. A Italpig (Cremona, 27-30 ottobre 2011) il Salone della suinicoltura italiana, dopo 4 mesi dall’entrata in vigore della norma europea sulla classificazione delle carcasse, sarà possibile trarre un primo bilancio e analizzare i pro e i contro che potranno emergere. Un’occasione in più per aiutare la suinicoltura italiana a trovare gli strumenti idonei per uscire dal

tunnel della crisi. Una crisi che in pochi anni ha portato alla chiusura di molti allevamenti e alla riduzio-ne del numero di scrofe in attivi-

tà. Un calo al quale si è data rispo-sta con l'aumento delle importa-

zioni. Una situazione che ogni gior-no si fa più difficile e non c'è dub-bio che anche questo sarà un tema al centro della prossima edizione di Italpig.

“Qualche starnuto, nasi che colano, casi di aborto fra gli animali in gra-vidanza e maschi meno fecondi e poi una caduta delle prestazioni produttive. Questi i sintomi princi-pali fra i suini adulti.” E' quanto si poteva leggere qualche mese fa su

Agronotizie numero 287 a proposito della malat-tia di Au-jeszky dei suini, contro la quale è operativo

dallo scorso

mese di

marzo un

nuovo pia-

no di con-

trollo ed eradicazione che prevede anche l'im-piego di vaccini atte-

Malattia di Aujeszky dei suini, non c'è tempo da perdere

Avviato il piano vaccinale e fra 16 mesi scattano le limitazioni previste dalla Ue per gli allevamenti che non sono indenni Agronotizie 309 - 04/08/2011

La prossima edizione di Italpig, a Cremona, sarà un'oc-

casione per fare il punto sulla situazione della malattia

di Aujeszky

Fonte immagine: Olav Rokne

nuati deleti. Nella Ue sono numero-si i paesi che hanno debellato que-sta malattia, acquisendo lo status di “paese indenne”. In Italia (ma an-che in Portogallo e in Grecia, ad esempio) la malattia di Aujeszky è

ancora in cima alle preoccupazio-

ni degli allevatori. Tanto più che i programmi di lotta già attuati a iniziare dal 1997 hanno avuto una battuta di arresto nella loro effica-cia. Una conferma arriva dalle di-chiarazioni di Loris Alborali, Re-sponsabile della sezione diagnosti-ca dell’Istituto zooprofilattico della Lombardia e dell’Emilia Romagna, intervistato da Cremonafiere. “Se dall'avvio del piano di eradicazione e fino al 2004 abbiamo assistito a una significativa riduzione della sieroprevalenza, passata dall’83% al 39% - spiega Loris Alborali - nei tre anni successivi, quindi dal 2004 al 2007 abbiamo assistito a una stabilizzazione del fenomeno a cui però ha fatto seguito un ulteriore aumento che nel 2009 ha registrato una sieroprevalenza del 46,6%.”

Appuntamento al 2013

Intanto si avvicina la data del 1 gennaio 2013, quando scatterà l'obbligo sancito dalla Ue di desti-nare alla riproduzione solo gli ani-mali provenienti da allevamenti

indenni dalla malattia di Aujesky. Un vincolo che si aggiunge al bloc-co della movimentazione degli ani-mali e allo stop dei commerci in presenza di focolai della malattia. Le ripercussioni economiche sono facilmente immaginabili e certa-mente superiori al costo del piano vaccinale deciso alla fine di feb-

braio. “Come Istituto zooprofilattico - dice Loris Alborali - stiamo portan-do avanti una serie di iniziative per stimolare la necessaria sensibiliz-zazione affinché tutte le parti coin-volte si coordino e agiscano a livel-lo di sistema: solo in questo modo potremo arrivare anche in breve tempo a un ridimensionamento della sieroprevalenza che ci per-metta di rispettare la data del 1 gennaio 2013.”

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“Crisi e rilancio della suinicoltura”, questo il titolo del piano messo a punto dal Mipaaf per risolvere la difficile situazione della suinicoltu-ra italiana. Succedeva tre anni fa, nell’estate del 2008, e tre ministri fa, quando a sedere sulla poltrona di via XX Settembre al ministero del-l'Agricoltura c’era ancora Luca Zaia. Poi è arrivato Giancarlo Ga-

lan e infine Saverio Ro-

mano. Sono cambiati i nomi dei ministri, ma non la crisi della suinicoltu-ra. Ancora tutta da ri-

solvere. E ancora una volta arriva l’impegno del ministro (quello attuale) che promuove un tavolo (l’ennesimo) per dire agli allevatori che si stanno studiando i rimedi. Un

“piano” si dice dal mini-

stero, c’è già, ma potrà essere integrato dalle proposte e dagli ulteriori suggerimenti da parte dei rappresentanti delle asso-ciazioni, entro il termine del 29 agosto. Questo per assicurare l'esame, da parte della Conferenza Stato-Regioni, del de-creto attuativo del piano entro metà settembre. Questa volta, è ancora la voce ufficiale del ministero a dirlo, si fa sul serio, tanto che si sono resi disponibili 7 milioni di euro, in-crementabili con il contributo delle Regioni. Dove troveranno, le Re-gioni, i soldi da elargire ai suinicol-tori e tutta da vedere, così come l’impiego che si farà dei sette milio-ni di euro (briciole, come vedremo). Le Organizzazioni degli allevatori, pur con toni e sfumature diverse, hanno accolto con un plauso gene-ralizzato l’iniziativa del ministero.

Visti gli esiti dei precedenti “piani” e la vaghezza di questo ancora allo studio forse era meglio attendere prima di sbilanciarsi in un senso o nell’altro.

Pannicello caldo

Per il momento si può solo prendere atto che i sette milioni di euro pro-messi al settore sono poco più di un “pannicello caldo”. Ogni suino che esce dagli allevamenti italiani si porta dietro (sono calcoli della Cia) 20 euro di perdita. Forse qualcosa in meno visto che proprio a fine luglio i prezzi dei suini pesanti

sono saliti di un po', giungendo a

quota 1,425 euro al chilo. Ma la sostanza non cambia. Proviamo a fare qualche calcolo. In Italia, se-condo le stime riportate da Anas nel 2010, sono presenti oltre nove mi-lioni di capi. Se per ognuno di essi si perdono venti euro, il mondo dei

suini è di fronte ad un “baratro”

di 180 milioni di euro. Ben poco potranno i 7 milioni racimolati (siamo convinti con fatica) dal mi-nistro Romano. Certo, i nostri sono conti imperfetti e approssimati, ma rendono l’idea della gravità della situazione e della esiguità delle risorse disponibili.

Sogni e speranze

Serve altro e molti sono i suggeri-menti. Dal mondo della cooperazio-ne arrivano proposte di agevolare l’accesso al credito (ma poi i soldi bisogna pur restituirli…), un “sistema qualità nazionale” (ma il mercato è disposto a pagarla questa qualità?), l’attuazione di un valido sistema di etichettatura (che le industrie vedono come il fumo ne-gli occhi…). Un tema, questo della riconoscibilità della provenienza dei prosciutti, sul quale insiste Col-diretti, ma la battaglia anche a Bru-xelles è stata persa. L’origine in etichetta vale per le carni, ha det-

to la Ue, non per i prodotti tra-

sformati. Certo insistere bisogna, ma la soluzione è lontana è qui c’è bisogno di fare in fretta. E non serve invocare i controlli di fron-tiera, come propongono alcune organizzazioni agri-cole, visto che le frontiere, di fatto, non esistono. Dalla Cia arriva l’invito a dare maggior peso nei Consor-

zi di tutela alla “parte

agricola”. Giusto, ma as-sai difficile. Basta vedere quel che succede al Cun (commissione unica nazio-nale), sede privilegiata per una corretta definizione del prezzo dei suini vivi, ma dove le industrie fanno

pesare la loro assenza. Un compor-tamento stigmatizzato da molti e in particolare da Confagricoltura e da Copagri, ma è una riprova dello scarso potere contrattuale degli allevatori di fronte alle industrie.

Risposte difficili

Che fare allora? Semplice e allo stesso tempo complicato. La crisi della nostra suinicoltura è in gran parte legata alla sua specializzazio-ne nella produzione del suino pe-sante destinato alla trasformazione. Ci sono troppe cosce destinate a

Tre ministri e una crisi, quella dei suini

La leggera ripresa dei prezzi non allenta la gravità della crisi. Si propongono 'tavoli' e promettono soldi (briciole), ma il nodo sta nella programmazione della produzione Agronotizie 309 - 04/08/2011

Il circuito dei prosciutti Dop sembra non essere in

grado di assorbire la produzione nazionale, mentre

siamo costretti ad importare grandi quantità di

carne e di cosce “anonime”

Fonte immagine: Paul and Jill

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diventare prosciutti a marchio Dop, mentre, quasi una beffa, im-portiamo carne per il consumo fre-sco e milioni di cosce da trasforma-re in prosciutti anonimi. Dunque bisogna allineare la produzione alle richieste del mercato. Ridurre la produzione di suini pesanti e aumentare la produzione di suini di peso più leggero, 100 chilogrammi di peso vivo o poco più. La ricetta è già stata proposta a più riprese dal presidente dei suinicoltori (Anas), Andrea Cristini. Convertire gli allevamenti è cosa che richiede tempo (e coraggio) e che espone ad altri rischi. Siamo certi che la carne di suino prodotta in Italia sarà in

grado di competere, in termini di costo, con quella di altri paesi della Ue a forte vocazione suinicola? In molti nutrono dubbi, anche se la partita, ovviamente, è tutta da gio-care. Per efficienza e capacità gli allevatori italiani hanno le carte in regola per tentare una competizio-

ne, sebbene gravati dall’handicap di costi superiori per l’alimentazione e per l’energia.

on c'è tempo

Ma non c’è tempo per attendere che questa trasformazione verso un suino più leggero, se mai ci sarà, possa avvenire. Bisogna fare in fretta, perché gli allevamenti,

schiacciati dalla crisi, stanno chiudendo. Un urgenza sulla quale tutti, ma proprio tutti, si sono detti d’accordo. E allora non resta che passare dai Consorzi di tutela e

attrezzarli con gli strumenti per

governare i livelli produttivi. Sino a ieri non era possibile a causa delle norme sulla concorrenza. Le recenti decisioni in tema di riforma della politica agraria prese a Bruxelles aprono questa via. Dunque, che si aspetta?

Finalmente un segno più davanti alle quotazioni dei suini grassi, quelli destinati a produrre cosce per la filiera dei prosciutti e dei salumi Dop. Non succedeva da tempo. Me-rito, forse, delle nuove regole che si è dato il Cun (Commissione unica nazionale dei suini da macello) ad inizio agosto, tese a superare le di-visioni fra allevatori e industrie di trasformazione. Ma a guidare la ripresa, se di ripresa si può parlare, è il calo delle macellazioni rispetto a 12 mesi fa, un calo puntualmente registrato dal Crefis, il centro ricer-che economiche sulle filiere suine dell'Università di Piacenza. Rispetto ad un anno fa le macellazioni com-

plessive di suini hanno fatto regi-

strare in Italia un meno 3,9%. Si riduce di conseguenza anche il nu-mero dei capi macellati che scende del 3,1% (i dati si riferiscono a maggio 2011 rispetto al maggio 2010).

E in calo è anche il comparto dei

suini pesanti, che nello stesso pe-riodo perdono in quanto a macella-zioni l'1,9%. Assai più significativo il calo delle macellazioni dei ma-

groni, che in 12 mesi hanno perso un 50%, anche se la tendenza è ora

Per i suini è tempo di ripresa Dopo la lunga stagione di crisi le quotazioni sono in aumento e pre-miano il prodotto destinato alle filiere Dop Agronotizie 311 - 08/09/2011

per una ripresa.

Cresce il suino pesante

Intanto le quotazioni definite dalla Cun per le cosce fresche destinate alla produzione di prodotti tipici presentano in agosto prezzi di 3,995 euro al kg per la categoria pesante (+1,1% rispetto al mese precedente) e di 3,718 euro al kg per per la cate-goria più leggera, che cresce del 2% rispetto al mese di luglio. Cre-

scono in agosto anche le quotazio-

ni dei suini pesanti, che arrivano a quota 1,499 euro al chilo, con un bel 5,2% in più rispetto al mese di luglio. Il confronto con appena do-dici mesi è significativo, più 14,9%. A conferma della preferenza per il prodotto di qualità, è il contempora-neo calo delle quotazioni per le cosce fresche destinate alle pro-duzioni non tipiche, i tanti pro-sciutti “anonimi” che hanno sin qui contributo ad affollare il mercato.

E adesso?

Dunque la crisi è finita? Presto per dirlo anche se ancora una volta si ha la conferma che le motivazioni della crisi erano (e sono) in gran parte legate all'eccesso di offerta. Un motivo in più perché la filiera possa darsi strumenti adeguati per

indirizzare la produzione, equili-brando per quanto possibile l'offer-ta alla domanda. Ma dopo aver fat-to i conti in casa nostra occorre guardare con attenzione come si muove la produzione suinicola ne-gli altri paesi. Nella Ue, informa il Crefis, il prezzo dei suini è più alto rispetto al 2010 e a guidare la clas-sifica dei maggiori aumenti è la Francia, con un più 5,8% per i suini leggeri. Un'occhiata anche Oltreo-ceano per conoscere l'andamento del mercato Usa, dove si registra

un più 7,4% del prezzo delle car-casse rispetto al mese di luglio, che arrivano a toccare una media di 1,651 euro/kg. Niente male, verreb-be da dire.

Le tendenze

Mercati della carne suina in tensio-

Ue, aumento delle macellazioni e

prezzi di mercato Fonte immagine: Mostlysunny1

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ne, dunque, ma bisogna fare i conti ora con le tendenze della produzio-ne che nella Ue fanno segnare una propensione all'aumento delle

macellazioni. Confrontando la si-tuazione produttiva dei 27 paesi della Ue, le macellazioni del mese di maggio 2011 rispetto a quelle dello stesso periodo dell'anno pre-cedente fanno registrare un aumen-to significativo del 7,4% (+ 23% in Danimarca). Quale sarà l'impatto sul mercato italiano di questi au-

menti delle macellazioni a livello europeo è presto per dirlo, ma il timore che possano compromette-

re la ripresa delle quotazioni è legittimo. Un motivo in più per accelerare quel percorso che vede nei Consorzi di tutela gli strumenti per “governare” la produzione in-terna di prodotti a marchio Dop e in particolare dei prosciutti, vanto e specializzazione della suinicoltura italiana.

Per gli allevatori la voce destinata all’alimentazione dei suini è tra le più onerose: il costo di produzione infatti, secondo il Crpa (Centro ri-cerche produzioni animali), attribui-sce all’alimentazione una quota di circa il 60% del totale, e la volatili-tà dei prezzi delle materie prime

unite alle difficoltà del mercato

dei suini hanno inciso negativa-mente sulla redditività delle azien-de. Cremonafiere ha chiesto a Silvio Ferrari, presidente di Assalzoo, l'associazione che riunisce le indu-strie mangimistiche, di fare il punto della situazione e di tracciare le prospettive nel breve-medio perio-do.

“I prezzi delle materie prime per mangimi hanno subito negli ultimi 18 mesi una crescita costante – spiega Silvio Ferrari – che ha porta-to il livello di alcune di esse, in par-ticolare i cereali, ad aumenti molto consistenti. Limitando l’analisi agli ultimi 12 mesi vorrei ricordare che il prezzo del mais è cresciuto di un ulteriore 25% circa, il grano tenero

di circa il 15% e l’orzo del 16%. Si tratta quindi di aumenti notevoli che non hanno mancato di pesare su una zootecnia non proprio in salute”.

E’ azzardato parlare di stabilità

dei prezzi delle materie prime o è

più corretto ritenere che una cer-

ta forma di speculazione è ancora

in atto?

“Possiamo dire – risponde Ferrari - che la fase di forte ascesa dei prezzi sembra essersi attenuata, ma di certo non possiamo considerare il mercato delle materie prime per mangimi in una fase stabile. Per-mangono troppe variabili che pos-sono determinare rapide fluttuazio-ni: il livello delle produzioni è in diminuzione a fronte di una doman-da in crescita e questo non solo a livello nazionale o europeo, anche mondiale. Le scorte, sempre a livel-lo mondiale, sono state intaccate e non abbiamo ancora ricostituito quelle che avevamo prima del 2007. A livello europeo poi il problema è ancora più preoccupante perché in questo caso ci troviamo di fronte ad un completo azzeramento delle scorte.”

Molte aziende suinicole hanno

chiuso e altre, pur di sopravvive-

re, hanno optato per le soccide o

per altri contratti di produzione

con le industrie del settore. Dal

Mangimi e suini sono ora alleati sul mercato Mercati in ripresa e minori turbo-lenze per le materie prime induco-no il presidente di Assalzoo, Silvio Ferrari, ad essere ottimista sul futuro della suinicoltura italiana Agronotizie 314 - 29/09/2011

vostro punto di osservazione co-

me sta evolvendo la suinicoltura

italiana?

“Credo che anche in questo settore – replica Ferrari - sia auspicabile venga ricercata e favorita una maggiore integrazione di filiera, indispensabile per aiutarci ad usci-re da una crisi divenuta per questo settore strutturale. Occorre cresce-re in efficienza e abbattere dove possibile costi che spesso mettono fuori mercato i nostri allevamenti suinicoli. È evidente che oggi la soccida stia riscuotendo successo, perché è l’unico strumento a dispo-sizione della filiera suinicola che consente di ottenere risultati. E’ altrettanto vero però che essa sna-tura il ruolo imprenditoriale dell’-allevatore, che a conti fatti diventa un dipendente”.

Quali sono le previsioni per il

mercato delle materie prime?

“Come accennato – dice Ferrari - il mercato delle materie prime si è progressivamente riposizionato su livelli completamente diversi rispet-to a 18 mesi fa. Dobbiamo ormai ritenere che questi prezzi, oscillanti intorno ai 200 euro/t. per quanto riguarda ad esempio il mais, posso-no rappresentare una soglia di ba-se. Difficile immaginare che si pos-sa tornare indietro”.

Si può essere ottimisti riguardo la

suinicoltura italiana?

“Bisogna esserlo - risponde con decisione Ferrari - 2ell’ultimo tri-mestre le quotazioni sono andate bene e per i prossimi 4 mesi sembra profilarsi la possibilità di mantene-re margini positivi. È evidente però che questa tendenza dovrà conti-nuare per un periodo lungo affin-ché le aziende possano raggiungere una soglia di maggiore sicurezza finanziaria. 2ell’ultimo anno i costi alimentari hanno eroso la margina-lità dell’allevatore nonostante alcu-ni attori della filiera, mangimisti su tutti, abbiano compresso la propria marginalità per supportare il com-parto, ma credo che debba essere

Page 99: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

99

fatto uno sforzo maggiore anche a valle della filiera”.

Di carne al fuoco del dibattito ce n’è davvero molta. E Italpig, il punto di riferimento della suini-

coltura nazionale in programma alla Fiera di Cremona dal 27 al 30 ottobre 2011, sarà il luogo più adat-to per un’analisi approfondita sulle migliori soluzioni da adottare per rilanciare definitivamente il com-

parto suinicolo italiano, grazie an-che ai numerosi incontri dove tutti gli operatori della filiera a livello internazionale avranno occasione di confrontarsi.

Le quotazioni dei suini sono in ri-presa, seppur lentamente. Ma la stagione della crisi per questo setto-re è tutt'altro che superata. Un argo-mento dibattuto a più riprese anche su Agronotizie anticipando l'arrivo di un ennesimo pia-no anticrisi messo a punto nelle stanze del ministero dell'Agricoltura. Il nuovo piano, ancora in fase di

bozza, ma già delineato nelle sue linee essenziali e discusso con Regioni e pro-tagonisti della filiera, prende le mosse dall'analisi del set-tore e dai motivi della lunga stagione di crisi. Punto cen-trale, peraltro noto da tempo, è l'eccesso di offerta di sui-ni pesanti (rappresentano l'80% della produzione sui-nicola italiana) il cui destino principale è la trasformazione in prosciutti e insaccati. Per contro siamo costretti a importare carni suine per il consumo fresco. Illogi-co, ma solo all'apparenza. La con-correnza internazionale sulla produ-zione di carne si basa sul prezzo e in questo campo la nostra suini-

coltura è perdente. Per la produ-zione di prosciutti e salumi di quali-tà serve invece un suino pesante e qui gli allevatori italiani possono vantare capacità ed esperienze ine-guagliate altrove. Questa specializ-zazione produttiva resta dunque la

via maestra, ma perché, è lecito chiedersi, gli allevatori continuano a produrre più del dovuto? La rispo-sta sta nel forte indebitamento

delle aziende che impone una con-tinua accelerazione produttiva per assolvere i debiti contratti. E poi c'è la frammentazione del settore e la sua scarsa capacità di aggregazione che complica ogni tentativo di indi-rizzo delle produzioni.

Molti auspici

Questo il quadro dal quale prende le mosse il nuovo Piano, ricco di au-spici e buone intenzioni, ma con

poche risorse e poche idee davvero innovative. Vediamone le principa-li. Ai primi posti figura lo sviluppo delle Organizzazioni dei Produt-tori, che dovrebbero essere il trami-te per aggregare l'offerta suinicola. Non è da oggi che per il settore agricolo guarda alle OP con grandi speranze. In parte raggiunte per

alcuni settori, come quello ortofrut-ticolo, con risultati deludenti invece per la zootecnia. Ora il Piano suini-colo vorrebbe superare lo scoglio stimolando l'adesione degli alle-

vatori attraverso la leva finanzia-

ria (accesso al credito, ai sostegni, ai Psr). Lo sviluppo delle OP do-vrebbe essere accompagnato dal-l'Organismo Interprofessionale, strumento già codificato nel 2005 (D.lgs 102/2005) ma di fatto non operativo. Si riuscirà a resuscitarlo?

Forse, purché riformato come già la stessa “bozza” del Piano preve-de.

I soldi (pochi)

Il Piano passa poi all'e-same degli strumenti finanziari. E qui c'è poco da sperare, soldi non ce sono, o sono davvero pochi. Si parla di stru-menti di co-garanzia, credito agevolato,

Consorzi Fidi. Si pro-pone persino di concor-dare con gli operatori

del credito un “pacchetto di inter-venti mirati alle imprese suinicole”. I soldi, comunque, ce li devono

mettere gli allevatori. Qualche risorsa potrebbe arrivare dai Psr. Ma non mancano le difficoltà da superare.

Troppi macelli

Troppi i suini prodotti, ma troppi anche i macelli operanti in Italia, con disfunzioni e diseconomie. Ed ecco allora che il Piano propone

Ancora un piano anti-crisi per i suini

Predisposta la bozza degli interven-ti per il settore. Poche le risorse a disposizione mentre si fa largo l'i-dea di un suino a marchio qualità Agronotizie 315 - 06/10/2011

Fra gli interventi previsti anche quello di un con-

tratto quadro fra allevatori e industrie Fonte immagine: Olav Rokne

Page 100: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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una razionalizzazione della rete degli impianti di macellazione, favorendo la fuoriuscita dal settore delle aziende obsolete e fuori mer-cato. Ma non sarà né facile, né rapi-do. Come pure sarà difficile venire a capo del complesso problema della gestione dei reflui, accentua-to dalla concentrazione degli alleva-menti in alcune aree più vocate alla suinicoltura. Anche di questo si occupa il Piano, pensando alle ri-sposte che possono arrivare dalle nuove tecnologie per il recupero energetico dalle biomasse. Ma sullo sfondo resta il problema delle turbative che possono derivare sui mercati (si pensi al mais, ad esem-pio) con un aumento degli impianti di questo tipo.

Una bella idea, il suino SQ

Nei precedenti piani a sostegno della suinicoltura un ruolo centrale era rappresentato dalla promozione delle carni ottenute dai suini pesanti (che ovviamente non producono solo prosciutti...). Nacque così il Gran Suino Padano Dop. Una bella idea che Bruxelles ha però bocciato. Ora ci si riprova seguendo un'altra via, quella del suino SQ, sigla

che sta per Sistema Qualità a-

zionale. E' quest'ultima una delle possibilità introdotte con l'ultima riforma della Pac, nel 2006, che dà la possibilità ai singoli paesi di i-dentificare in questo modo prodotti che per qualità offrano caratteristi-che superiori rispetto a quelle previ-ste dalle norme commerciali corren-ti. Il Mipaaf, in accordo con la filie-ra e con le istituzioni coinvolte (Regioni al primo posto) ha svilup-pato così un proprio “SQ” per le carni suine. Ciò permetterà fra l'altro di distinguere le carni suine dei suini pesanti rispetto a quelle di altro tipo, oltre che di altra prove-nienza. E per questa iniziativa qual-che “soldino” lo si può recupera-re dai sostegni che erano destinati al Gran Suino Padano e che non è stato possibile utilizzare.

Suini leggeri

Il progetto di trasferire una parte

della produzione italiana dal suino pesante verso quello leggero, per il consumo di carne fresca, non è ab-bandonato, ma resta al momento relegato ad un “progetto pilota”

per valutarne la fattibilità. Il Pia-no conferma infine l'operatività del Cun, le commissioni uniche di di mercato per la definizione del prez-zo dei suini vivi, dei tagli di carne fresca e di grasso e strutto, alle qua-li si potrebbe aggiungere una Cun per i suinetti. Il Piano si occuperà poi di risolvere le criticità emerse

con l'applicazione della tabella di

classificazione delle carcasse, stru-mento imposto dalla Ue.

Contratto quadro

Non poteva mancare un riferimento alla fase della commercializzazione, affrontata con due strumenti, la definizione di un “contratto qua-dro” di filiera fra produttori e

industrie e un'intesa con la Gdo, la grande distribuzione organizzata, attraverso la quale passa la maggior parte dei consumi di carni suine e salumi. Al primo punto è prevista l'applicazione di un contratto qua-dro che avrà l'obiettivo di definire i requisiti dei prodotti e la remunera-zione del prodotto stesso, tenendo conto dei costi di produzione e dell'andamento dei prezzi di merca-to. E per i rapporti con la Gdo si vuole giungere a forme di collabo-razione, magari attraverso un tavolo

interprofessionale. Ci si può prova-re, ma è difficile credere ad un ri-sultato positivo.

Salute animale, l'incompiuta

Per completare il quadro degli in-terventi bisognerà arrivare, final-mente, alla soluzione dei problemi sanitari che ancora affliggono la suinicoltura italiana e che già nel precedente Piano, quello che recava la firma del ministro Zaia, prevede-va l'eradicazione della malattia

vescicolare. Che invece è ancora lì, come pure la Peste suina africana che alberga in Sardegna. Problemi che vincolano il nostro export di carni, ma che a quanto pare nem-meno questo nuovo Piano spera di poter risolvere. Non si spiega altri-menti la proposta di istituire una “territorializzazione” sub nazio-nale che delimiti zone del Paese indenni alle quali possano essere riaperte le porte dell'export. Sem-

bra quasi una “resa” alle malattie

del suino. Che contrasta con l'o-biettivo di promuovere sui mercati internazionali i nostri prodotti. Un progetto, si legge nel Piano, che ha l'obiettivo di portare ad un terzo la quota di prodotti Dop esporta-

ti. Bello, ma non avverrà domani. Il Piano fissa questa meta nel medio-lungo termine. Insomma, più un auspicio che un progetto.

Latte e sottoprodotti animali posso-no finire in mangiatoia. Il via libe-ra è arrivato da Bruxelles nel febbraio di quest'anno con il rego-lamento Ue 142/2011, un docu-mento “mostro” nel quale ci si oc-cupa di tutto, dai fertilizzanti ai campioni diagnostici, ai sottopro-

dotti di origine animale. Un regola-mento che grida vendetta alla man-

cata sburocratizzazione delle norme comunitarie per quanto è ricco di vincoli, moduli da com-

pilare, certificati da validare. Ma che alla fine dà la possibilità di impiegare nell'alimentazione del bestiame alcuni sottoprodotti di origine animale. Un'opportunità che solo ora diventa operativa con l'emanazione, avvenuta in questi giorni, da parte del ministero della Salute, della nota applicativa (resa disponibile on-line dal-l'Associazione dei suinicoltori,

Latte in mangiatoia, ora si può Stabiliti i criteri per impiegare i sottoprodotti di origine animale nell'alimentazione del bestiame Agronotizie 318 - 26/10/2011

Page 101: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

101

Anas) che detta le regole per poter utilizzare questi sottoprodotti di alto valore nutritivo e destinati altri-menti a costose eliminazioni negli impianti di smaltimento.

Cosa si può usare

I sottoprodotti di origine animale che potranno essere utilizzati nell'a-limentazione del bestiame sono quelli che residuano dalla produ-zione di alimenti per l'uomo o gli stessi prodotti non più idonei ad essere immessi in commercio. Inu-tile sottolineare che la norma preve-de che gli stessi sottoprodotti non devono in alcun modo presentare rischi per la salute né degli uomini, né degli stessi animali. Altra cate-goria di sottoprodotti è quella del latte e derivati, purché sottoposti a trattamenti termici di sanificazione (sterilizzazione e pastorizzazione).

I vincoli da rispettare per l'impiego

di questi sottoprodotti sono molte-plici e riguardano sia gli impianti di produzione sia gli allevatori ai quali sono destinati. Gli stabilimenti di origine devono anzitutto essere riconosciuti e comunicare alla Asl di competenza le caratteristiche del prodotto e gli allevamenti cui sono destinati. La tracciabilità deve essere garantita da una serie di moduli e registri da compilare se-guendo specifici piani di autocon-trollo. Non meno severe le proce-dure che riguardano gli alleva-menti, che a loro volta dovranno richiedere il nulla osta alla propria Asl. E per ottenere la necessaria autorizzazione dovranno dimostrare il possesso di diversi requisiti, fra i quali l'essere iscritti all'anagrafe nazionale degli allevamenti. Inoltre potranno utilizzare solo i sottopro-dotti provenienti da impianti di pro-duzione situati nella stessa provin-cia ove ha ssede l'allevamento o in quella confinante. Si vuole evitare,

giustamente, che partite di sottopro-dotti si mettano a correre su e giù per lo Stivale.

Caseifici con allevamento

Anas, nel commentare la nota del ministero della Salute, sottolinea che gli allevamenti che utilizzano latte e derivati provenienti dalla stessa azienda di allevamento pos-sano avvalersi di procedure sem-plificate. E' il caso ad esempio de-gli allevamenti di suini che fanno parte integrante dei caseifici. Oggi meno numerosi che in passato, ma da sempre esempio di un virtuoso ciclo di valorizzazione dei sotto-prodotti animali. Il siero di latte ottenuto dopo la caseificazione è infatti un'ottima base alimentare per la produzione di quei suini pesanti che hanno fatto grande la nostra tradizione salumiera.

Non solo il latte, ma anche il com-parto suinicolo è stato fra i protago-nisti della fiera di Cremona che si è conclusa il 30 ottobre e che ha ospi-tato, in contemporanea alla fiera internazionale del bovino da latte, anche Italpig, manifestazione dedi-cata al mondo della suinicoltura. Non solo esposizione di animali vivi e di tecnologie innovative, ma anche occasione per dibattere i temi del settore. Fra questi l'incon-tro che ha avuto per tema “Un futu-

ro da riscrivere per la suinicoltu-

ra italiana” in occasione del quale Ismea ha presentato una dettagliata analisi del comparto.

I dati, illustrati da Claudio Federici ri-cercatore di Ismea, parlano di una “crescita delle macel-lazioni ma, soprattutto, dell’import e dell’e-xport”; lo studio, inol-tre, evidenzia come “alla contrazione/stabilità dei prezzi pagati agli alle-vatori corrisponde una crescita dei costi correnti che erode la redditi-vità dell’allevamento”.

Il ruolo dell'export

Tra il 2000 e il 2011 le macellazio-

ni sono aumentate ad un ritmo dell’1% annuo; l’import delle carni ha viaggiato ad una media del +2,3% mentre l’export si è attestato ad un + 5,1%; se i consumi pro capite hanno fatto registrare +0,7%, l’indice dei prezzi, specularmente, è

calato dello 0,7%, a fronte di un incremento dell’indice costi del 2,6%; l’indice di redditività, infine, ha progressivamente perduto il 3,2%. L’export si rivela, dunque, il solo salvagente del settore: i più importanti importatori sono la Ger-mania, la Francia e il Regno Unito.

L’analisi di Ismea chiarisce come “nel periodo recente si osserva una crescita sostenuta delle Denomina-zioni d’Origine (+27%), il cui mer-cato al consumo nazionale nel 2010 vale 2,7 miliardi di euro (3,3 com-

L'export, un salvagente per la suinicoltura

La conferma viene dalle analisi presentate da Ismea a Cremona, nell'ambito di Italpig Agronotizie 319 - 03/11/2011

Sempre in sofferenza la redditività degli alle-

vamenti suini

Page 102: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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preso l’export)”; la crescita in va-lore, tuttavia, “non interessa il Par-ma - che vale oltre la metà del mer-cato - ma tutti gli altri prodotti”.

Nel quadro di una situazione econo-mica generale in cui prevalgono la sfiducia e la preoccupazione , le imprese percepiscono un drastico calo del livello di competitività. Tuttavia, si legge nell’analisi di Ismea, “il clima di fiducia delle imprese di seconda lavorazione delle carni nel 2011 risulta ampia-

mente superiore a quello del com-plesso dell’industria alimentare: le attese di produzione trainano più dell’incremento degli ordini e della riduzione. Sono soprattutto i paesi dell’area extra Euro a migliorare le attese circa gli ordini”.

L'evoluzione della domanda

Ismea si sofferma anche sui cam-biamenti della domanda interna legati alla profonda trasformazione delle politiche del lavoro

(occupazione giovanile, femminile, precarizzazione) e dei redditi (disuguaglianze economiche) che incidono pesantemente sui consu-

mi. Se nel quinquennio compreso fra il 2006 e il 2011 la dinamica di acquisto evidenzia una sostenuta crescita del valore dei salumi, nel-l’ultimo biennio la crescita degli acquisti di salumi è rallentata nonostante la contrazione media dei listini.

Tutta colpa della Blue Tongue, la malattia “della lingua blu” che in Sardegna e non solo ha colpito alle-vamenti ovini e bovini. Perché l'e-mergenza Blue Tongue ne ha fatta dimenticare un'altra, quella della Peste suina africana (Psa), che na-scosta in qualche piccolo e isolato allevamento della Sardegna ne ha approfittato per riemergere dall'iso-lamento nel quale i piani di eradica-zione l'avevano relegata, senza però debellarla completamente. E a no-vembre la Psa si è ripresentata con nuovi focolai facendo scattare l'al-larme sanitario. Allarme grave, perché si tratta di una malattia con-tagiosa per i suini, facilmente tra-smissibile, impossibile da preveni-

re con le vaccinazioni, impossibile

da curare. L'unica risposta è l'ab-battimento degli animali negli allevamenti colpiti dall'infezione. Tutti abbattuti, sani o malati che siano. E poi l'istituzione di cordoni

sanitari attorno al focolaio di infezione per impedire che il virus possa sfuggire. Misure draconiane previste dai regola-menti di polizia di veterinaria che arreca-no colpi durissimi agli allevamenti, an-che se poi arrivano gli indennizzi. Non sem-pre puntuali, però, e non sempre adeguati. Malattia subdola

L'indispensabile collaborazione degli allevatori nel portare a com-

pimento i piani di eradicazione è

così venuta meno, almeno in qual-che caso. E' quanto accaduto in Sardegna, dove la Peste suina afri-cana è arrivata nel 1978 per poi non lasciare più l'isola, con fasi alterne di recrudescenza. Una malattia en-demica che sopravvive a causa del-l'isolamento di qualche piccolo alle-vamento dove è abitudine pratica-re il pascolo, favorendo così il diffondersi del virus . Nel resto d'Italia e in tutta la Ue le cose sono andate diversamente. I piani di era-dicazione, pur se “dolorosi” e co-stosi, hanno dato i loro frutti e oggi la Psa è stata sconfitta. Ma basta un virus nascosto in un pezzo di carne,

un insaccato o un gustoso “porceddu”, e la frittata è fatta. La Psa potrebbe tornare a flagellare gli allevamenti europei e saremmo daccapo con abbattimenti e fosse della morte dove bruciare e seppel-lire migliaia di animali. Scene che le autorità sanitarie di tutta Europa hanno il terrore di tornare a vedere. Ecco spiegato l'altolà che Bruxel-

les ha decretato nei confronti delle produzioni suinicole provenienti dalla Sardegna. Un blocco inevita-bile tenendo conto delle possibili conseguenze sanitarie. Ma che per gli allevamenti sardi professionali, e sono molti, è insostenibile sotto il profilo economico. In situazioni di normalità le carni e gli insaccati prodotti in Sardegna trovano ovvia-mente sbocco nelle altre regioni italiane e in qualche caso anche all'estero. Bloccare questa possibili-tà equivale a decretare il fallimento

Peste suina (africana), un insuccesso italiano

Oltre 30 anni di interventi per eli-minare il virus dalla Sardegna non hanno dato esito. 2on così nel resto d'Europa dove i piani di eradica-zione hanno funzionato. E ora nei guai ci sono gli allevamenti più coscienziosi Agronotizie 324 - 07/12/2011

I piccoli allevamenti non rinunciano al pascolo

dei suini, cosa che favorisce la diffusione del

virus

Fonte immagine: Andrew Girdwood

Page 103: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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e la chiusura degli allevamenti. Un corridoio sanitario

Da più parti si sono sollevate prote-ste per la decisione di Bruxelles, che colpirebbe tutti gli allevamen-

ti dell'isola, quelli dove la peste si annida e che di questa emergenza sono responsabili, ma allo stesso tempo anche quelli ad elevata pro-fessionalità, che hanno investito nell'igiene e nella prevenzione, te-stimoniata da continui controlli e verifiche che escludono la presenza del virus della Psa. Forti allora si sono levate le richieste di aprire un “corridoio sanitario” dal quale

fare transitare i prodotti di que-

ste aziende “sicure”. Bruxelles, insomma, starebbe peccando di un eccesso di precauzione le cui conse-guenze per la suinicoltura della Sardegna potrebbero essere deva-stanti. Vero. Ma prendersela con

Bruxelles non ha molto senso. Le colpe ci sono, ma sono tutte in casa nostra. Al primo posto l'ina-deguatezza dei piani di eradica-

zione della Psa dalla Sardegna che hanno “bruciato” fior di finanzia-menti senza portare al risultato voluto. Difficile immaginare che oltre 30 anni di insuccessi nella lotta alla Psa siano dovuti soltanto alla mancata collaborazione degli allevatori sardi. Cosa che non è accaduta nel resto d'Europa, che la Psa è riuscita cacciarla via. Ora si ricomincia daccapo e l'assessore regionale all'Agricoltura Oscar

Cherchi ha dichiarato in questi giorni che altri 8,5 milioni di euro

saranno investiti per il migliora-mento degli allevamenti. Potevamo risparmiarli, o utilizzarli con più efficacia, se i piani precedenti aves-sero dato esiti migliori. Aiutare gli allevamenti

Ma adesso bisogna far fronte al-l'emergenza, inutile recriminare su cosa non è stato fatto. Sarà difficile aprire un corridoio sanitario per consentire la commercializzazione delle carni suine fuori dalla Sarde-gna. Non per questo gli allevatori potranno essere lasciati soli. Se blocco sarà, che sia almeno com-

pensato da aiuti che ne annullino gli effetti economici negativi. E si proceda davvero a eradicare la Pe-ste suina africana dall'isola. Di mezzo c'è la sopravvivenza di molti allevamenti e, perché no, l'immagi-ne dei prodotti locali e della capaci-tà dell'Italia di far fronte alle emer-genze sanitarie. Altrimenti sarà difficile vantare la superiorità dei

nostri prodotti se non siamo nem-

meno in grado di sconfiggere una

malattia ormai scomparsa da tutta Europa.

Per i suinicoltori la crisi è solo un ricordo, seppure amaro. Da giugno l'indice di allevamento calcolato da Crefis (Centro ricerche economiche sulle filiere suinicole) continua in-fatti a mantenersi con il segno più davanti e a novembre ha fatto regi-strare un incremento del 5,2% ri-spetto al mese precedente. La reddi-tività degli allevamenti, è ancora il Crefis ad evidenziarlo, si è così riportata nella media europea. Merito del buon andamento delle quotazioni di mercato che in parti-colare per i suini pesanti ha messo a segno incrementi sensibili, portan-dosi in prossimità di 1,6 euro al chilo. In confronto con lo stesso

periodo dell'anno precedente si ha un aumento di oltre il 25%. Bene anche l'andamento delle quota-

zioni per i suini leggeri, prossimi ad una media di 1,3 euro al chilo, con un aumento rispetto a 12 mesi fa di oltre il 21%. Il buon andamen-to delle quotazioni dei suini vivi ha trascinato verso l'alto il mercato delle cosce destinate al circuito dei prodotto Dop, con prezzi in media oscillanti da 3,92 a 4,16 euro al chilo, rispettivamente per i tagli più leggeri e più pesanti. Stessa fisiono-mia per le quotazioni delle cosce non destinate al circuito Dop, segno che l'eccesso di offerta che aveva fatto scattare il crollo delle quota-zioni nei mesi precedenti sembra essere del tutto rientrato. Buoni

risultati anche per le nostre e-

sportazioni, che nel solo mese di agosto hanno fatto registrare un aumento del 7,5% rispetto all'anno precedente, per un valore di 103 milioni di euro.

La situazione nella Ue

A spingere verso l'alto il mercato suinicolo italiano è però anche il buon andamento dei prezzi negli altri Paesi. In Francia il mese di novembre ha visto salire il prezzo dei suini del 4,8% rispetto al mese

I suini e la crisi tra un addio e un arrivederci Migliorano le quotazioni grazie alla minore pressione della produ-zione. Ma dalla Ue arrivano i primi segnali di un'inversione di tendenza Agronotizie 325 - 15/12/2011

Efficienza e compressione dei

costi sono gli strumenti con i qua-

li gli allevamenti possono contra-

stare le prossime sfide con il mer-

cato

Fonte immagine: Rad Betty Black

Page 104: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

104

precedente. Incrementi analoghi si sono poi registrati in Germania (+4,5%) e nei Paesi Bassi (+4,1%). Al contrario la Spagna si avvia ad una chiusura del 2011 con il segno meno davanti.

E' la Germania, con una media

1,63 euro/kg, a detenere il prima-

to per i prezzi più alti, seguita da Danimarca (1,46 euro/kg) e dalla Francia (1,41 euro/kg). Prezzi che si riferiscono a suini leggeri, visto che la produzione del suino pesante è una “specialità” tutta italiana. Si scopre così che i nostri suini pesanti “costano” come quelli leggeri di importazione, motivo per il quale le industrie hanno convenienza a rifornirsi “in loco”, acquistando suini pesanti italiani, certamente di migliore qualità per la trasformazio-ne, piuttosto che importare suini e cosce leggere.

Produzione in aumento

Tutto bene dunque? Sì, ma potrebbe non durare. In Italia, come eviden-zia il rapporto del Crefis, si è avuto da inizio anno un sensibile calo

delle macellazioni che si sono ri-dotte di oltre il 16%. La minore offerta, come sempre, è un ottimo “tonico” per il mercato, prima op-presso da un eccesso di prodotto. Ma negli altri Paesi della Ue si sta

però assistendo al fenomeno in-verso. I dati riferiti allo scorso me-se di agosto fanno segnare un incre-mento di quasi il 7% rispetto all'an-no precedente. A guidare la corsa

all'aumento troviamo la Spagna (il cui mercato è in sofferenza) e la Polonia. Sopra le media della Ue ci sono poi la Francia (+8,7%) e la Germania (+7%). Se queste tenden-ze saranno confermate non è diffici-le ipotizzare una flessione dei prez-zi, che inevitabilmente finirebbe

con il ripercuotersi sul mercato ita-liano.

Ottimizzare le performance

Per gli allevamenti resta dunque di fondamentale importanza insistere sul miglioramento delle perfor-

mance produttive al fine di otti-mizzare i rendimenti e abbassare i costi di produzione, perché la sfida con le produzioni degli altri paesi della Ue resta aperta. Una sfida che ci vede penalizzati perché allevare suini pesanti è inevitabilmente

più costoso rispetto alla produzione di suini leggeri. E presto ci sarà da fare i conti con la Direttiva nitrati e con le tensioni sui mercati dei cereali, mai sopite. Insomma, il mercato va meglio, ma non per que-sto si può ”abbassare la guardia”.

Bruxelles ha deciso per il blocco della movimentazione dei suini e delle carni suine dalla Sardegna. La decisione è ormai ufficiale dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Uffi-ciale dell'Unione Europea numero L 335/109 del 17 dicembre. Tutta

colpa della peste suina africana (Psa), della quale già Agronotizie si è occupata nelle scorse settimane. Una malattia infettiva praticamente scomparsa da tutta Europa, ma che sopravvive da oltre 30 anni in Sar-degna. I piani di eradicazione sin qui messi in atto l'hanno confinata in pochi e piccoli allevamenti che

spesso sfuggono ai controlli. Ma dai quali il virus ha rifatto la sua comparsa nelle settimane scorse, tanto da interessare sette delle otto provincie della Sardegna.

Sospesa la deroga

L'evoluzione della malattia in Sar-degna, si legge in premessa alla decisione della Commissione, costi-tuisce un pericolo per il settore suinicolo italiano e per quello euro-peo. La deroga concessa all'Italia che autorizza la spedizione di carni suine e di prodotti a base di carni suine dalla Sardegna verso altre regioni è stata così sospesa.

Una decisione draconiana come questa trova giustificazione nella

Stop ai suini dalla Sardegna Il blocco delle produzioni prove-nienti dall'isola è stato confermato da Bruxelles Agronotizie 326 - 22/12/2011

Per gli allevamenti professionali della Sardegna le conseguenze eco-

nomiche del blocco potrebbero essere gravi Fonte immagine: the iunes

Page 105: Agronotizie - 12 mesi di zootecnia - rivista agricoltura 2011

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pericolosità della malattia (che è bene ricordarlo, non colpisce l'uo-mo) capace di estendersi con faci-lità grazie alla resistenza del virus che si mantiene infettante anche nelle carni. Per gli allevamenti sardi a carattere professionale, che dell'i-giene e della osservanza di strin-genti norme sanitarie hanno fatto la loro regola, il danno è doppio. E nemmeno potranno contare sul

“corridoio sanitario” attraverso il quale speravano di poter superare il blocco deciso da Bruxelles. Le loro

produzioni saranno costrette a resta-re sull'isola e il danno economico delle mancate vendite sugli altri mercati sarà enorme.

Soccorrere gli allevamenti

I servizi veterinari sono al lavoro in tutta la Sardegna per tenere sotto controllo l'infezione ed impedirne l'ulteriore diffondersi. E speriamo che questa volta si arrivi davvero ad eradicare questa malattia una

volta per tutte. Nel frattempo biso-

gnerà però sostenere gli alleva-menti professionali che della diffu-sione delle malattia non hanno alcu-na responsabilità, mentre si trovano a dover pagare da soli le colpe al-trui. Perché di responsabilità in questa vicenda ce ne sono molte, e si distribuiscono fra chi alleva an-cora senza alcuna attenzione alle regole base di igiene e delle autorità sanitarie che in tanti anni non sono riuscite a eradicare la malattia dalla Sardegna.