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Ortopedia Reumatologia www.gpini.it e archivio di Vol. 122 • n. 3/4 • 2011 • 10261 Dicembre 2011 Editoriale a cura di Cesare Verdoia e Luigi Sinigaglia frattura senza causa efficiente. La riduzione della resistenza consegue a due eventi: dimi- nuzione della quantità di tes- suto osseo per unità di volume e alterazione della qualità del- le trabecole ossee. Dal 2000 a oggi le fratture da fragilità ossea, e in particolare quelle del collo femorale e dei corpi vertebrali, sono in cre- scita costante. L ’impatto socio- economico è tanto importante da indurre i responsabili della Sanità di molti Paesi a inter- C. Verdoia I l termine osteoporosi indica una situazione patologica dello scheletro nella quale si ha una ridotta resistenza del- l’osso che va quindi incontro a venire con campagne di infor- mazione atte a sensibilizzare la classe medica e la popola- zione in generale. In Italia è stato recentemente evidenziato che i pazienti ri- coverati per frattura di collo femorale sono mediamente al terzo/quarto episodio frattura- tivo. Quindi è stata rivalutata la frattura pregressa, anche se considerata minore (caviglia, spalla, polso), in quanto dal punto di vista prognostico i pazienti con fratture pregresse sono più esposti a una nuova frattura e quindi presentano una prognosi funzionale e di sopravvivenza sfavorevole. In un recente studio multicentri- co italiano su dati di dimissio- ne dal pronto soccorso, cui ab- biamo collaborato, è stata sti- mata un’incidenza annuale di oltre 400.000 fratture da fra- gilità, di cui 21% all’anca, 11,7% all’omero, 8,8% alla ca- viglia, 20,7% al polso e 37,8% alle vertebre dorsali e/o lombari. I dati attuali ci dicono che l’e- tà media dei fratturati del col- lo femorale si è spostata dai 70 agli 80 anni: questo è spie- gabile dall’innalzamento della vita media, ma anche dalla presa di coscienza terapeutica che imposta un nuovo ap- proccio agli ammalati con fra- gilità ossea. Anche la mortali- tà elevata, che nel primo anno raggiungeva picchi del 30%, è risultata significativamente di- minuita. Si rende quindi necessario at- tuare un approccio terapeuti- co adeguato allo stato di salu- te dei pazienti, comprensivo di una valutazione metabolica Le fratture da fragilità scheletrica continua a pag. 3 Osteoporosi e fragilità ossea L. Sinigaglia Le fratture da fragilità scheletrica: il ruolo del reumatologo continua a pag. 3 I dati clinici ed epidemiologi- ci pubblicati negli ultimi an- ni hanno confermato che la fra- gilità scheletrica è una caratte- ristica comune alla maggior parte dei pazienti reumatologici che, indipendentemente dalla patologia di base, presentano un rischio aumentato di frat- ture osteoporotiche a livello as- siale e appendicolare. Questa nozione, comune anche ad al- tre patologie caratterizzate da decorso cronico e impronta in- fiammatoria, ha portato a una necessaria presa di coscienza del problema da parte di di- versi specialisti di settore, non solo reumatologi, ma anche pneumologi, neurologi, inter- nisti, endocrinologi, gastroen- terologi. La trasversalità di questa pro- blematica è giustificata dal fatto che ogni condizione infiammatoria cronica può di per sé comportare una fragili- tà scheletrica in virtù dello stesso meccanismo fisiopato- logico che sottende la malattia di base e che poggia sull’atti- vazione di mediatori endoge- ni in grado sia di promuovere la flogosi sia di esaltare il rias- sorbimento osteoclastico, con il risultato di indurre una maggior fragilità dello schele- tro. Per quanto attiene la reuma- tologia, questo convincimen- to basilare è ulteriormente rafforzato dal fatto che nella maggior parte delle malattie reumatologiche si assiste nel tempo a una progressiva per- dita di autonomia funzionale, con il risultato di una ridotta efficienza dell’apparato loco- motore che a sua volta riduce il fisiologico stimolo osteofor- mativo legato al carico e al mantenimento della funzione. Questi due eventi congiunti, DOI 10.1007/s10261-011-0032-4 DOI 10.1007/s10261-011-0033-3

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OrtopediaReumatologia www.gpini.ite

archivio diVol. 122 • n. 3/4 • 2011 • 10261 • Dicembre 2011

Editoriale

a cura di Cesare Verdoia e Luigi Sinigaglia

frattura senza causa efficiente.La riduzione della resistenzaconsegue a due eventi: dimi-nuzione della quantità di tes-suto osseo per unità di volumee alterazione della qualità del-le trabecole ossee. Dal 2000 a oggi le fratture dafragilità ossea, e in particolarequelle del collo femorale e deicorpi vertebrali, sono in cre-scita costante. L’impatto socio-economico è tanto importanteda indurre i responsabili dellaSanità di molti Paesi a inter-

C. Verdoia

Il termine osteoporosi indica

una situazione patologica

dello scheletro nella quale si

ha una ridotta resistenza del-

l’osso che va quindi incontro a

venire con campagne di infor-mazione atte a sensibilizzarela classe medica e la popola-zione in generale.In Italia è stato recentementeevidenziato che i pazienti ri-coverati per frattura di collofemorale sono mediamente alterzo/quarto episodio frattura-tivo. Quindi è stata rivalutatala frattura pregressa, anche seconsiderata minore (caviglia,spalla, polso), in quanto dalpunto di vista prognostico ipazienti con fratture pregresse

sono più esposti a una nuovafrattura e quindi presentanouna prognosi funzionale e disopravvivenza sfavorevole. Inun recente studio multicentri-co italiano su dati di dimissio-ne dal pronto soccorso, cui ab-biamo collaborato, è stata sti-mata un’incidenza annuale dioltre 400.000 fratture da fra-gilità, di cui 21% all’anca,11,7% all’omero, 8,8% alla ca-viglia, 20,7% al polso e37,8% alle vertebre dorsali e/olombari.

I dati attuali ci dicono che l’e-tà media dei fratturati del col-lo femorale si è spostata dai70 agli 80 anni: questo è spie-gabile dall’innalzamento dellavita media, ma anche dallapresa di coscienza terapeuticache imposta un nuovo ap-proccio agli ammalati con fra-gilità ossea. Anche la mortali-tà elevata, che nel primo annoraggiungeva picchi del 30%, èrisultata significativamente di-minuita.Si rende quindi necessario at-tuare un approccio terapeuti-co adeguato allo stato di salu-te dei pazienti, comprensivodi una valutazione metabolica

Le fratture da fragilità scheletrica

continua a pag. 3

Osteoporosi e fragilità ossea

L. Sinigaglia

Le fratture da fragilità scheletrica: il ruolo del reumatologo

continua a pag. 3

Idati clinici ed epidemiologi-ci pubblicati negli ultimi an-

ni hanno confermato che la fra-gilità scheletrica è una caratte-ristica comune alla maggiorparte dei pazienti reumatologiciche, indipendentemente dallapatologia di base, presentanoun rischio aumentato di frat-ture osteoporotiche a livello as-siale e appendicolare. Questa

nozione, comune anche ad al-tre patologie caratterizzate dadecorso cronico e impronta in-fiammatoria, ha portato a unanecessaria presa di coscienzadel problema da parte di di-versi specialisti di settore, nonsolo reumatologi, ma anchepneumologi, neurologi, inter-nisti, endocrinologi, gastroen-terologi.La trasversalità di questa pro-blematica è giustificata dalfatto che ogni condizioneinfiammatoria cronica può diper sé comportare una fragili-tà scheletrica in virtù dellostesso meccanismo fisiopato-logico che sottende la malattia

di base e che poggia sull’atti-vazione di mediatori endoge-ni in grado sia di promuoverela flogosi sia di esaltare il rias-sorbimento osteoclastico, conil risultato di indurre una

maggior fragilità dello schele-tro.Per quanto attiene la reuma-tologia, questo convincimen-to basilare è ulteriormenterafforzato dal fatto che nella

maggior parte delle malattiereumatologiche si assiste neltempo a una progressiva per-dita di autonomia funzionale,con il risultato di una ridottaefficienza dell’apparato loco-motore che a sua volta riduceil fisiologico stimolo osteofor-mativo legato al carico e almantenimento della funzione.Questi due eventi congiunti,

DOI 10.1007/s10261-011-0032-4

DOI 10.1007/s10261-011-0033-3

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la flogosi da un lato e la per-dita di funzione dall’altro,sono probabilmente suffi-cienti a determinare un pro-gressivo depauperamentoscheletrico, che si traducenell’osteoporosi che accom-pagna la gran parte dellemalattie reumatiche.La complessità di questiaspetti deve poi essere inte-grata da un’altra considera-zione cruciale che riguarda itrattamenti che comunemen-te il reumatologo utilizza alloscopo di ridurre i sintomilegati alla flogosi e i danni aessa connessi. In questo con-testo terapeutico, molti far-maci comunemente impiegatihanno a loro volta effettinegativi sullo scheletro siaperché inibiscono la funzioneneoformatìva sia perché sonoin grado, a loro volta, diaumentare il riassorbimentoosteoclasto-mediato.Queste brevi considerazioni

preliminari sottolineanocome l’osteoporosi nellemalattie reumatologiche siaun evento multifattoriale cherichiede un approccio com-plesso, che tenga conto diquesti molteplici aspetti nellanecessità di un bilanciamentocontinuo tra le terapie che siinstaurano e le caratteristichedel singolo paziente.È perfino ovvio sottolinearecome la comparsa di una frat-tura da fragilità possa rappre-sentare un evento devastantenel paziente reumatologico,sia per la compromissionesupplementare della qualitàdella vita sia per la necessitàin molti casi di nuovi inter-venti terapeutici, farmacolo-gici o chirurgici. E apparealtrettanto ovvia la considera-zione relativa al fatto che i piùimportanti algoritmi generatiin questi anni per il calcolodel rischio di frattura nellapopolazione generale femmi-

nile abbiano incluso la pre-senza di una malattia reuma-tica e della terapia con corti-costeroidi come importantifattori di rischio aggiuntivonel computo del rischio indi-viduale di frattura che dovràpoi generare la condotta tera-peutica.Il problema delle fratture dafragilità nella pratica clinicareumatologica deve essereaffrontato pertanto sotto unaduplice prospettiva. La primaè di ordine diagnostico e pre-vede il riconoscimento, nonsempre facile, della fratturastessa. Se a questo propositole fratture vertebrali sembra-no essere emblematiche,stante la sottostima che anchenel paziente reumatologicoviene ampiamente riportata,esistono certamente casi disottovalutazione anche peraltri tipi di frattura, come lefratture pelviche, le fratturemetatarsali o, in qualche

caso, le stesse fratture difemore prossimale. La secon-da prospettiva è quella legataalla necessità di una diagnositempestiva di fragilità schele-trica e della conseguente stra-tegia preventiva e terapeutica.Questa opportunità non puòessere lasciata inevasa ancheperché esistono oggi, a dispo-sizione del clinico, formidabi-li possibilità terapeutiche.Per contestualizzare infine ilruolo del reumatologo, odello specialista di malattiemetaboliche dello scheletro ingenerale, in un ambito comequello del nostro Istituto,dove esistono eccellenze orto-pediche e fisiatriche, è neces-sario ricordare come la fragili-tà scheletrica non sia una con-dizione monomorfa, ma possaessere espressione di svariatepatologie a diversa eziopato-genesi, la cui diagnosi puòspesso risultare difficile.Questa considerazione non

può che sottolineare la crucia-le importanza della necessitàdi un approccio multidiscipli-nare che preveda in primaistanza l’inquadramento dia-gnostico del paziente “fragile”.Una strategia di questo tiposembra essere la sola in gradodi scongiurare il rischio dinuove fratture secondo il notoeffetto moltiplicativo che laprima frattura da fragilità puòinnescare, con ripercussioninegative non solo dal puntodi vista della prognosi funzio-nale e della sopravvivenza, maanche con pesanti riflessi suicosti che questa drammaticaconcatenazione di eventigenera in termini di economiasanitaria.

L. SinigagliaDipartimento di

Reumatologia e SpecialitàCliniche di Supporto,

Istituto Ortopedico G. Pini,Milano

OrtopediaReumatologiae

archivio di

dell’osso. Pertanto risulta dirilevanza clinica, per l’ortope-dico, una valutazione dell’os-so dopo una frattura, per po-ter indicare una terapia cheaiuti la guarigione dalla frat-tura, ma soprattutto che ridu-ca la probabilità di nuove frat-ture.Perché le fratture da fragilitàaumentano?Ci sono molte cause che in-ducono il fenomeno, ma duesono le più evidenti: l’aumen-to dell’età media con il conse-guente incremento di patolo-gie che possono favorire l’o-steoporosi e i fattori di rischio.Già nel 2002 l’InternationalOsteoporosis Fondation (IOF)riportava un’incidenza cumu-lativa annuale di fratture dafragilità pari a 1.500.000 casi,mentre il numero degli episo-di di infarto miocardico e di ic-tus era rispettivamente pari a513.000 e 228.000.In Italia, dallo studio epide-miologico sulla prevalenza del-l ’osteoporosi (ESOPO), èemerso che su quasi4.000.000 di donne osteopo-rotiche la prevalenza di frat-ture di femore al di sopra di 60anni è risultata essere oltre il40%, con un aumento signifi-cativo – 45% per le donne e18% per gli uomini – sopra i75 anni, quando peraltro cre-sce ulteriormente il rischio di

cadute.Ovviamente le sedi anatomi-che che più risentono dell’in-debolimento strutturale del-l’osso sono collocate dove vi èmaggior presenza di osso tra-becolare: l’estremo prossima-le del femore, il corpo verte-brale, la spalla, l’estremo di-stale del radio, la caviglia. Af-fluiscono così nei nostri re-parti di chirurgia ortopedica-traumatologica pazienti sem-pre più anziani o comunque inpreda ad alterazioni metaboli-che e strutturali del tessuto os-seo che rendono il tessuto diqualità scadente; il risultato fi-nale sarà una tenuta più pro-blematica dei mezzi di sintesio degli impianti protesici. Og-gi disponiamo di mezzi tera-peutici che ci consentono direndere l’osso meccanicamen-te più affidabile, e quindi nondovremo solo limitarci alla sin-tesi o alla sostituzione prote-sica, ma impostare al pazien-te un trattamento farmacolo-gico anti-osteoporotico ade-guato, da segnalare al medicodi base al momento della di-missione ospedaliera.Molto si è parlato di BMD e difattori di rischio, ma solo re-centemente si è considerata lafragilità nel suo complesso equindi la predisposizione allefratture.Con le carte di rischio FRAXdell’Organizzazione Mondia-

le della Sanità (OMS), cheprendono in esame i fattori dirischio che vanno a condizio-nare le fratture da fragilità(fratture pregresse, familiari-tà, menopausa precoce, ma-grezza, fumo, alcolismo, tera-pie osteopenizzanti, malattieneuromuscolari ecc.), si è po-tuto mettere in evidenza comenon basti una bassa BMD dasola per determinare un au-mentato rischio di frattura, masia necessaria una correlazio-ne tra i valori densitometrici egli altri fattori causali per in-crementare la probabilità delrischio fratturativo. Questascala può infatti evidenziareun maggior rischio fratturati-vo in soggetti osteopenici ri-spetto a quelli osteoporotici.Cosa vuol dire soggetto fragi-le nel nostro caso?Quando un soggetto riduce si-gnificativamente la propriaforza muscolare, specialmen-te negli arti inferiori, e deveservirsi degli arti superiori peralzarsi da seduto, quando ilsuo equilibrio è instabile,quando cammina con passoradente, quando il suo coor-dinamento neuromotorio èscarso, quando la massa deitessuti molli si riduce preco-cemente, il soggetto è diven-tato “fragile” e predisposto al-le cadute accidentali domesti-che e per strada. Ebbene, laconoscenza di questi elemen-

ti, unita a fattori intrinseci edestrinseci di rischio fratturati-vo, deve contribuire all’attua-zione di protocolli preventivi.Da tempo in Paesi dell’Europasettentrionale si attuano pro-tocolli di mantenimento dellacoordinazione neuromotoria,con riduzione significativa delnumero di cadute. In questo fascicolo di Archi-vio di Ortopedia e Reumato-logia vengono trattati anche ifarmaci a disposizione per con-trastare le diverse forme diosteoporosi e poromalacia, cherisultano utili anche durantele fasi di guarigione delle frat-ture da fragilità. Le conclusioni pratiche percercare di trattare razional-mente i pazienti fragili sono:• effettuare la valutazione

anamnestica dei fattori di ri-schio

• eseguire una radiografia dor-so-lombare per evidenziareeventuali fratture vertebralipregresse

• evidenziare lo stato metabo-lico dell’osso con pochi esa-mi strumentali per inqua-drare la situazione clinica

• la chirurgia deve essere pia-nificata in relazione allo sta-to del tessuto osseo

• la riabilitazione deve essereprecoce e mirare a recupe-rare la psico-motricità

• trattare i pazienti dimessicon tutti i supporti medici

oggi a disposizione e verifi-candone l’efficacia

• porre in atto i primi rimediutili a ridurre il rischio difrattura agendo sui fattoriche lo inducono e sui qualiè possibile intervenire.

Noi ortopedici non possiamopiù delegare il trattamento me-dico ad altri; possiamo avva-lerci in seconda istanza del-l’aiuto di esperti che si dedica-no al problema, ma non dob-biamo chiamarci fuori. Per-tanto sarebbe utile che nei no-stri ospedali agissero unità in-tegrate al trattamento del pa-ziente fragile fratturato. Questodeve essere un obiettivo delprossimo futuro, ma perché sirealizzi è necessaria la consa-pevolezza del problema e lavolontà di affrontarlo.Dunque questo fascicolo diArchivio di Ortopedia e Reu-matologia, redatto in collabo-razione con i colleghi reuma-tologi dell’A.O. Istituto Orto-pedico G. Pini e con il contri-buto di autorevoli colleghi or-topedici italiani, vuole essereun concreto passo avanti intale direzione.

C. VerdoiaI Divisione Ortopedia

e Traumatologia, Istituto Ortopedico G. Pini, Milano-

Clinica Ortopedica e Traumatologica dell’Univer-

sità degli Studi di Milano

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