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In questo numero Il contratto unico a tempo indeterminato a tutele crescenti Uno dei contenuti che hanno già fatto e certamen- te faranno ancora a lungo... Il Jobs Act e modifica dell’art. 18 La novità più eclatante – se non altro per il carico sim- bologico ad essa... Modifica dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori Il Jobs Act interviene anche sulla disciplina dei controlli a distanza, che trova il... La modifica dell'art. 2013 codice civile: disciplina delle mansioni. Se la parole chiave del Jobs Act è “flessibilità”, uno degli interventi più significativi... Semplificazione delle forme contrattuali Lo scorso 3 dicembre 2014, è stata approvata dal Senato, in via definitiva, la... Introduzione di un compenso orario minimo Tra le novità del Jobs Act annoveriamo anche la pre- visione della prossima... N° 38 - Dicembre 2014 E INFINE ABBIAMO IL JOBS ACT! di Luca Failla Partner, LabLaw Studio Legale M i pare questa la grande novità (come cantava Lucio Dalla) dopo l’annuncio che ne aveva fatto Matteo Ren- zi a gennaio di quest’anno. Quasi un anno dopo ab- biamo la legge delega a cui seguiranno nei prossimi 6 mesi i decreti attuativi. Detto questo non è facile dire oggi che cosa porterà questa legge e ciò data l’ampiezza della delega oggi approvata dal Parlamento, al punto tale che già da più parti si sottolinea e non con pochi argomenti l’incostituzionalità della stessa legge per violazione dell’art. 76 Cost. e dei limiti e criteri di determina- tezza che la norma prevede. © crazymedia - Fotolia.com E finalmente è arrivato: molti non ci credevano, ma il Jobs Act è diventato legge. Cosa sia realmente, però, è dif- ficile da dire. Sarà un bel titolo (anche un po’ esotico) o finalmente la tanto attesa riforma del lavoro? Come in tutti i gialli, la risposta la avremo solo nel finale. Fuor di metafora, è noto a tutti che la risposta all’interrogativo proposta nel titolo dipenderà dalla capacità del legislatore di tradurre i principi e le linee guida affermati nella legge in norme precise, chiare e rispondenti alle esigenze più volte espresse in diverse sedi, in sede di elaborazione dei decreti delegati. Quello che vorrei aggiungere è che questa volta vogliamo esserci anche noi a dare il nostro contributo professionale alla realizzazione di questa impor- tante riforma: il 18 dicembre porteremo le nostre proposte alla Commissione Lavoro della Camera. Enrico Cazzulani, Past President - AIDP Gruppo Regionale Lombardia JOBS ACT: UNA NUOVA ETICHETTA O UNA GRANDE RIFORMA?

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In questo numero

Il contratto unico a tempo indeterminato a tutele crescenti Uno dei contenuti che hanno già fatto e certamen-te faranno ancora a lungo...

Il Jobs Act e modifica dell’art. 18La novità più eclatante – se non altro per il carico sim-bologico ad essa...

Modifica dell'art. 4 dello Statuto dei Lavoratori Il Jobs Act interviene anche sulla disciplina dei controlli a distanza, che trova il...

La modifica dell'art. 2013 codice civile: disciplina delle mansioni.Se la parole chiave del Jobs Act è “flessibilità”, uno degli interventi più significativi...

Semplificazione delle forme contrattuali Lo scorso 3 dicembre 2014, è stata approvata dal Senato, in via definitiva, la...

Introduzione di un compenso orario minimoTra le novità del Jobs Act annoveriamo anche la pre-visione della prossima...

N° 38 - Dicembre 2014

E INFINE ABBIAMO IL JOBS ACT!di Luca FaillaPartner, LabLaw Studio Legale

Mi pare questa la grande novità (come cantava Lucio Dalla) dopo l’annuncio che ne aveva fatto Matteo Ren-zi a gennaio di quest’anno. Quasi un anno dopo ab-

biamo la legge delega a cui seguiranno nei prossimi 6 mesi i decreti attuativi.

Detto questo non è facile dire oggi che cosa porterà questa legge e ciò data l’ampiezza della delega oggi approvata dal Parlamento, al punto tale che già da più parti si sottolinea e non con pochi argomenti l’incostituzionalità della stessa legge per violazione dell’art. 76 Cost. e dei limiti e criteri di determina-tezza che la norma prevede.

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E finalmente è arrivato: molti non ci credevano, ma il Jobs Act è diventato legge. Cosa sia realmente, però, è dif-ficile da dire. Sarà un bel titolo (anche un po’ esotico)

o finalmente la tanto attesa riforma del lavoro? Come in tutti i gialli, la risposta la avremo solo nel finale. Fuor di metafora, è noto a tutti che la risposta all’interrogativo proposta nel titolo

dipenderà dalla capacità del legislatore di tradurre i principi e le linee guida affermati nella legge in norme precise, chiare e rispondenti alle esigenze più volte espresse in diverse sedi, in sede di elaborazione dei decreti delegati.Quello che vorrei aggiungere è che questa volta vogliamo esserci anche noi a dare il nostro contributo professionale alla realizzazione di questa impor-tante riforma: il 18 dicembre porteremo le nostre proposte alla Commissione Lavoro della Camera. •

Enrico Cazzulani, Past President - AIDP Gruppo Regionale Lombardia

JOBS ACT: UNA NUOVA ETICHETTA O UNA GRANDE RIFORMA?

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Vedremo se e quando la Corte Costituzionale, con l’esperto e neo nominato giudice Silvana Sciarra, esperta di area lavoristica, sarà investita della que-stione quale ne sarà l’esito.

Per adesso non possiamo che goderci – quanto meno dal punto di vista del dibattito e delle aspettative - questo momento di grande eccitazione e provare a tracciare i potenziali sviluppi futuri.

È indubbia una cosa, che per l’ennesima volta siamo di fronte ad una grande occasione demiurgica, che infatti almeno in teoria gli ingredienti per una ricetta ci sarebbero tutti, a partire dalla ampiezza degli ar-gomenti e dei temi oggetto della potenziale riforma che coinvolgono direi la totalità dei temi del diritto del lavoro su cui ogni giorno lamentiamo problemi e arre-tratezze: dalla semplificazione delle forme contrattuali alla emanazione di un Codice Unico del Lavoro (su cui già per la verità si sono cimentati con successo ormai sia Pietro Ichino che Michele Tiraboschi ed un nutrito gruppo di esperti del settore), dalla introduzione del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti con il suo portato innovativo della modifica dell’art. 18 per le nuove assunzioni, dalla riforma dei servizi per l’im-piego, alle politiche attive per il lavoro (con la auspi-cabile riforma integrale degli inefficaci centri per l’Im-piego ci si augura in raccordo dinamico e positivo con i privati delle dinamiche Agenzie per il Lavoro), dalla modifica anche in pejus del rigidissimo art. 2103 sulle mansioni visti gli attuali tempi di crisi, alla revisione dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori sugli impianti e le tecnologie dei controlli a distanza non più in linea con il livello di innovazione tecnologica sino alla riforma del sistema degli ammortizzatori sociali eccessivo sia per costo che per ampiezza (mera assistenzialità ) dei servizi erogati.

Insomma per l’ennesima volta (ma forse mai come oggi con questa ampiezza e sistematicità) il nostro Governo avrà la possibilità nei prossimi 6 mesi di “ri-scrivere” dalle fondamenta il nostro diritto del lavoro.

Quale sarà l’esito di questa sfida? Difficile a dirsi adesso anche se al momento le pre-

visioni (direi meglio i vaticinii) sui nuovi testi si spreca-no e se ne sentono di tutti i colori, il che preoccupa talvolta.

Purtroppo noi giuslavoristi siamo ormai abituati a queste novità, quasi ogni due anni in Italia (l’ultima volta con la riforma Fornero) c’è qualcuno che vuole riformare dalle fondamenta il nostro antico (qualcuno dice e non a torto vecchio e antiquato...) sistema del diritto del lavoro.

Sarà la volta buona? Dobbiamo per forza sperarlo.

Che ciò uscirà dal lavoro delle segrete stanze dipen-derà non tanto dalla capacità dei giuristi oggi all’opera bensì dalla battaglia (intrinseca e tutta interna al go-verno e alla maggioranza parlamentare che lo sostie-ne..) tra spinte innovative verso una moderna riforma del diritto del lavoro e resistenza conservativa verso il passato e la difesa dello status quo.

Da questo confronto tutto interno alla maggioranza dipenderà l’assetto degli interessi che potrà uscire dai decreti attuativi.

Le premesse anche per fare bene (come sempre) ci sono, chè illustri colleghi sono impegnati in questo sforzo titanico, un pò di prudenza è però obbligata, chè in passato spesso le nostre speranze sono anda-te deluse e solo l’ottimismo della ragione continua a farci credere che questa sarà la ... volta buona.

Anche perché se falliremo anche questa volta, un’al-tra occasione così di sicuro non ci ricapita. •

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Uno dei con-tenuti che hanno già

fatto e certamente faranno ancora a lungo discutere del

c.d. Jobs Act di recente approva-to dal Parlamento è l’introduzione del contratto c.d. “a tutele cre-scenti” che – almeno stando alle intenzioni dichiarate dal Governo – dovrebbe divenire concreta-mente operativo già all’inizio del 2015 con l’emanazione del primo dei decreti attuativi della delega parlamentare.

L’intento primario del legislato-re è quello di rendere il contratto unico a tutele crescenti la forma comune del contratto di lavoro, subordinato o “parasubordinato” che sia: oltre ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato caratteriz-zati dalla sussistenza del requisi-

to “classico” della subordinazione (inteso come assoggettamento al potere direttivo datoriale), al nuo-vo contratto a tutele crescenti dovranno infatti essere ricondotti anche tutti quei rapporti carat-terizzati da un concetto di di-pendenza essenzialmente “eco-nomica” del lavoratore rispetto all’impresa.

Sul punto, bisognerà attendere l’emanazione del decreto delega-to per capire quali saranno, con precisione, i requisiti concreti ca-ratterizzanti la nuova nozione di “dipendenza”, pur essendo chia-ro fin da ora che: (i) si tratterà di un concetto più ampio di quello attuale di subordinazione, ancor-chè idoneo a ricomprenderlo; (ii) in esso saranno ricondotte anche quelle forme di lavoro autono-mo, oggi per lo più rientranti nel mondo delle collaborazioni coor-

dinate e continuative (a progetto e non), caratterizzate dalla mo-nocommittenza e dalla posizione di sostanziale soggezione econo-mica del collaboratore (percetto-re di un reddito basso) rispetto al committente.

La prima scommessa del Go-verno è, dunque, quella di ridurre al minimo i contratti di lavoro c.d. “atipici” (rapporti di collabora-zione a progetto in primis), il cui ambito di applicazione – dopo es-sere stato già fortemente ridimen-sionato dalla c.d. “Riforma Forne-ro” – a partire dal 2015 dovrebbe essere ulteriormente ridimen-sionato dalla “forza espansiva” del contratto a tutele crescenti, nell’ambito del quale i rapporti di collaborazione caratterizzati dal requisito della dipendenza eco-nomica dovrebbero essere “assi-stiti” da buona parte dell’appara-to di norme protettive tipiche del diritto del lavoro. In altre parole, nel disegno del Governo, l’atteso aumento di occupazione passerà attraverso la conversione di una parte rilevante degli odierni con-tratti a progetto in veri e propri rapporti di lavoro “dipendente”.

Vi è, però, anche una secon-da scommessa: se l’apparato di tutele fino a oggi proprio in via esclusiva del rapporto di lavoro subordinato appare destinato ad applicarsi, dopo la riforma, an-che alla gran parte degli odier-ni contratti a progetto e “atipici”, dall’altra parte il lavoro dipenden-te a tempo indeterminato sembra destinato a uscire definitivamente dal concetto di “job for life” per di-ventare uno strumento assai più flessibile.

Verrà, infatti, introdotta la nuo-va disciplina sui licenziamenti, destinata a eliminare definiti-vamente la sanzione della rein-tegrazione, almeno per i licen-ziamenti c.d. “economici” e a sostituire alla verifica effettuata ex post dal giudice del lavoro (fondata su valutazioni spesso eccessivamente discrezionali) un severance cost certo e pre-vedibile, di ammontare crescen-te in funzione dell’anzianità di servizio del lavoratore. •

IL CONTRATTO UNICO A TEMPO INDETERMINATO A TUTELE CRESCENTI di Carlo Fossati Partner, Studio Legale Ichino – Brugnatelli e Associati

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La novità più eclatante è certa-mente quella dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Se ne è discusso ampiamente e le mobilitazioni sono già in atto.

Quale che sia l’esito della battaglia sui decreti attuativi, la delega è approvata e su que-sto dobbiamo ragionare ora, con i limiti della ampia delega che potrebbe consentire esiti differenti sia per ambito di applicazione che per qualità e ampiez-za della norma.

È bene precisare che la modifica dell’art. 18 non potrà riguardare tutti i rapporti di lavoro, ma unica-mente - stando al testo approvato - il contratto a tem-po indeterminato a tutele crescenti, e cioè la nuova forma contrattuale di cui si parla da tempo.

Ed è a tale contratto - sostanzialmente un contratto con indennizzi crescenti e predeterminati in caso di licenziamento - che la reintegrazione sarà solo nei casi residualissimi del recesso nullo e discriminato-rio e di quello disciplinare illegittimo, da individuarsi quest'ultimo ad opera dei decreti attuativi.

Ma a parte la reintegrazione, il licenziamento nel contratto a tutele crescenti vedrà solo indennizzi pre-determinati e crescenti sulla base dell’anzianità del lavoratore (in linea con i disegni di legge Madia, Boeri e Ichino) con soglie e misure differenti (7 o 15 gg. all’anno/mese, sino ad un massimo di 12 o 24 mensi-lità per i casi di anzianità maggiori). Non è chiaro poi se tutti i licenziamenti tout court saranno sanzionati con indennizzo (cioè una penale predeterminata: il prezzo del recesso) ovvero solo quelli dichiarati “il-legittimi” dal Giudice, potendo cambiare e di molto dall’una all’altra soluzione, l’impatto della normativa ed il gradimento del contratto da parte delle aziende.

È auspicabile peraltro che il Governo abbia la for-

za di regolare anche il licenziamento per scarso ren-dimento, eliminando una volta per tutte la roulette russa delle aule dei tribunali, in linea con altri paesi europei dove il recesso per poor performance è la normalità e non una scommessa spesso impossibile da vincere se non a grandissima fatica.

Sicuramente sarà sempre reintegrabile – in que-sto la delega è chiarissima - il lavoratore colpito oltre che da licenziamento nullo e/o discriminatorio (così come per rappresaglia) anche da licenziamento di-sciplinare illegittimo, tema questo impossibile da af-frontare oggi senza essere degli indovini.

Qualcuno ipotizza la reintegrazione del lavoratore licenziato disciplinarmente quando sarà accusato di un fatto (materiale ma non giuridico) costituente rea-to (che per definizione comprende anche l’elemento soggettivo con tutto il suo carico di problemi) che poi dovesse risultare insussistente in giudizio.

Mi pare una costruzione così astrusa che è facile ipotizzare già ora la scomparsa del licenziamento per motivi disciplinari (che nessun datore rischierà la reintegrazione potendo “monetizzare” il recesso) ed il conseguente aumento del contenzioso volto invece a dimostrare la sottesa “disciplinarietà” del recesso (in aggiunta alla discriminatorieà e/o nullità già oggi divenuta una costante nelle nostre aule dei tribunali) in tutti i casi in cui questo sarà intimato, foss’anche per superamento del periodo di comporto o mancato superamento della prova (anche per un contratto a tutele crescenti).

E la partita si sposterà - come sempre avviene per il diritto del lavoro - dalla legge scritta a quella “ap-plicata”, e cioè alle aule dei tribunali ed ai Giudici del lavoro, arbitri come sempre dei fallimenti o dei successi delle nostre riforme.

Comunque vada, ne vedremo delle belle. •

IL JOBS ACT E MODIFICA DELL’ART. 18 di Luca FaillaPartner, LabLaw Studio Legale

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MODIFICA DELL'ART. 4 DELLO STATUTO DEI LAVORATORIDisciplina dei controlli a distanza dei lavoratoridi Renato ScorcelliPartner, Scorcelli, Rosa & Partners Studio Legale

Il Jobs Act inter-viene anche sul-la disciplina dei

controlli a distan-za, che trova il suo essenziale riferi-

mento normativo nell’art. 4 S.L..

Com’è noto, la norma vieta di installare apparecchiature fina-lizzate al “controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” mentre consente, previo accordo sin-dacale (o, in mancanza, auto-rizzazione amministrativa), l’in-stallazione di apparecchiature o impianti richiesti da esigenze or-ganizzative, produttive o di sicu-rezza che possano comportare un simile controllo.

Si tratta di una disposizione che in origine era stata pensata per un’applicazione limitata, per im-pedire odiose forme di controllo a distanza sui lavoratori, princi-palmente, mediante l’impiego di impianti audiovisivi. A differenza dei precedenti, gli artt. 2 e 3, pe-raltro, il precetto dell’art. 4 S.L. non è limitato alla sola “attività lavorativa”, ma è esteso all’intera “attività dei lavoratori”.

Attualmente, la norma finisce per interessare praticamente tut-ti i contesti lavorativi per effetto dell’evoluzione tecnologica e del-la diffusione di strumenti di lavoro (pc, sistemi informatici aziendali, sistemi di localizzazione satellita-re, etc.) che possiedono le carat-teristiche previste dalla norma.

Anche in questa materia, la de-lega al Governo è alquanto am-pia, riguardando la revisione del-

la materia dei controlli a distanza “sugli impianti e strumenti di lavo-ro, tenendo conto dell’evoluzione tecnologica e contemperando le esigenze produttive e organizza-tive dell’impresa con la tutela del-la dignità e della riservatezza del lavoratore”.

Se è chiaro l’intento del legi-slatore di realizzare un adegua-mento della disciplina vigente agli sviluppi tecnologici (visto che per certi strumenti di lavoro quotidia-no l’assoggettamento alle proce-dure di autorizzazione previste dall’art. 4 S.L. appare estrema-mente complesso), sono altret-tanto chiari i limiti entro i quali dovrà muoversi il Governo.

Tale adeguamento, infatti, po-trà riguardare solo i controlli a distanza “sugli impianti e stru-menti di lavoro“. In tal senso, è significativa la precisazione intro-dotta dalla Camera dei Deputati il 25 novembre 2014, finalizzata a fugare qualsiasi dubbio circa l’oggetto del controllo a distanza, che non può quindi riguardare la persona del lavoratore.

Inoltre, fermo restando tale am-bito, l’intervento legislativo dovrà realizzare un contemperamen-to degli interessi in gioco. Sotto questo profilo, considerato che certi moderni strumenti di lavo-ro sono particolarmente invasivi della riservatezza del lavoratore e possono altresì essere utiliz-zati in modo abusivo con finalità di controllo della sua persona, è lecito attendersi un rafforzamen-to del sistema delle tutele che tenga conto proprio delle inno-vazioni tecnologiche in ambito lavorativo.

Peraltro, occorre tener presen-te che l’art. 4 S.L. disciplina solo il versante, per così dire, civilisti-co della materia, imponendo, a tutela della dignità del lavoratore, certi limiti al potere datoriale di controllo. Com’è noto, la prote-zione della privacy del lavoratore è invece demandata alle dispo-sizioni del Dlg.s 196/2003 e non può escludersi quindi anche una modifica a tale impianto norma-tivo per adeguare tale tutela ai moderni contesti lavorativi ed alle tecnologie ivi utilizzate. •

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LA MODIFICA DELL'ART. 2013 CODICE CIVILEDISCIPLINA DELLE MANSIONIdi Claudio MorpurgoPartner, Morpurgo e Associati Studio Legale

Se la parola chiave del Jobs Act è “flessibilità”, uno degli inter-venti più significativi in tal sen-

so potrebbe essere quello che porte-rà alla revisione della disciplina delle mansioni. Tra le finalità dichiarate del-

la Riforma vi è, infatti, quella di incidere su uno degli aspetti, solo all’apparenza, più garantisti della nor-mativa giuslavoristica ma, in realtà, simbolo vivente di un sistema ideologicamente – e giuridicamente - antiquato. Il riferimento va, in particolare, all’art. 2103 del Codice Civile che pone limitazioni formida-bili allo jus variandi datoriale. Di fatto, sino ad oggi, l’unica possibilità “certa” concessa ad un datore di lavoro, nel mutare il contenuto della prestazione di un suo dipendente, risiede nell’individuare mansioni equivalenti o, comunque, superiori. Il tutto, peraltro, con un’ulteriore barriera costituita dall’irriducibilità, in questi casi, della retribuzione. L’art. 2103 del Codice Civile, per dare ancora maggiore forza ai suddetti principi, statuisce, altresì, la nullità di quei patti di c.d. demansionamento, in quanto l’irriducibilità del-la prestazione sarebbe un diritto indisponibile del lavoratore. Nella pratica, allora, il mutamento delle mansioni è stato considerato possibile o in residuali casi (tutela della maternità, salvaguardia di posti di lavoro in esubero nel contesto di accordi sindacali, tutela di fronte ad una inabilità sopravvenuta, non-ché per peculiari esigenze di servizio) ovvero, nella pratica, tramite escamotage quale la risoluzione di un rapporto di lavoro e la successiva instaurazione di un altro con differenti contenuti. Con il rischio, poi, di trovarsi in Tribunale, nelle situazioni controverse e non rientranti in quelle ammesse, a dover risarcire il

lavoratore demansionato, anche in una prospettiva di responsabilità da mobbing e di risarcimento del danno non patrimoniale. Tramite il Jobs Act, sarà, invece, finalmente legittimo rivedere, con atto da-toriale anche unilaterale, le mansioni dei lavoratori subordinati, seppur con dei parametri precisi di inter-vento ancora non del tutto liberalizzati e con qualche manifesto profilo di criticità gestionale. In particola-re, sarà consentito “demansionare” un dipendente esclusivamente in presenza di fenomeni oggettivi quali “processi di rioganizzazione, ristrutturazione o conversione aziendale” che il datore di lavoro dovrà dimostrare nella loro materialità e consequenzialità causale rispetto al singolo provvedimento assunto, rigorosamente provando che la modifica dell’inqua-dramento si è realizzata contemperando “l'interesse dell'impresa all'utile impiego del personale con l'in-teresse del lavoratore alla tutela del posto di lavoro”. La Riforma decreta, altresì, che ulteriori ipotesi pos-sano essere previste in sede di contrattazione collet-tiva, anche di secondo livello. Il contenuto della Ri-forma è effettivamente interessante, ma è portatore di alcuni dubbi relativi, ad esempio, alla tematica del-le conseguenze economiche del mutamento dell’in-quadramento (i limiti alla modifica del trattamento re-tributivo che, apparentemente, non dovrebbero più sussistere o che potrebbero essere “superati” con modalità di decontribuzione) e, soprattutto, sul pia-no applicativo e processuale, alla consapevolezza che una normativa che onera la parte datoriale di provare oggettivamente il contesto in cui si realizza il singolo provvedimento demansionatorio, sarà lo strumento – o, meglio, il pretesto - per una prolifera-zione dei contenziosi di questa natura. . •

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SEMPLIFICAZIONE DELLE FORME CONTRATTUALI Riduzione/abrogazione dei contratti a progetto/iva etc.di Filippo CapurroPartner, Studio Legale Associato Beccaria e Capurro

Lo scorso 3 dicembre 2014, è sta-ta approvata dal Senato, in via definitiva, la legge delega sul

Jobs Act, così come era stata modi-ficata dalla Camera dei deputati il 25 novembre 2014. A breve, la legge ver-

rà pubblicata in Gazzetta Ufficiale.Tra i cinque temi oggetto di delega, la semplifica-

zione della disciplina delle tipologie contrattuali e dei rapporti di lavoro è forse quello destinato ad avere l’impatto operativo più dirompente.

L’art. 7 del provvedimento in esame contiene una serie di norme programmatiche che individuano i principi e i criteri direttivi cui dovrà conformarsi l’in-tervento su tale tema, che avverrà mediante uno o più decreti legislativi entro il mese di giugno 2015.

La lett. a) della richiamata norma tratteggia l’am-bizioso scopo generale dell’intervento, che consiste nel “riordinare i contratti di lavoro vigenti” e dovrà essere realizzato in tre momenti:

1. individuazione e analisi di tutte le forme con-trattuali esistenti;

2. valutazione della effettiva coerenza di tali for-me contrattuali rispetto al tessuto occupazio-nale e al contesto produttivo nazionale e inter-nazionale;

3. conseguente semplificazione, modifica o su-peramento delle tipologie contrattuali attual-mente esistenti modulata in funzione delle esi-genze emerse all’esito dell’analisi.

Gli interventi previsti dovranno essere orientati in modo tale da privilegiare nelle nuove assunzioni la scelta per il contratto a tempo indeterminato, attra-verso: (i) un meccanismo di oneri diretti e indiretti che lo rendano più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto; (ii) la previsione di tutele crescenti in re-lazione all’anzianità di servizio; (iii) l’esclusione della possibilità di reintegra del lavoratore nel posto di la-voro in caso di licenziamenti economici, con previ-sione di un indennizzo economico certo e crescente con l’anzianità di servizio; (iv) la limitazione del diritto alla reintegra ai casi di licenziamento nullo e discri-minatorio e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato.

Di particolare interesse la specifica previsione in materia di collaborazioni coordinate e continuative: essa segue il percorso inaugurato dalla Riforma

Fornero (L. 92/2012), che aveva stretto le maglie del lavoro autonomo tout court e parasubordinato e in particolare del lavoro a progetto. Il Jobs Act intro-duce una significativa novità: infatti, pur ribadendo la necessità del rispetto del minimo retributivo, spe-cifica chiaramente che la sorte delle collaborazioni coordinate e continuative è quella di essere supera-te. Contratto a tutele crescenti, contratto a termine e apprendistato saranno, quindi, le tipologie contrat-tuali prevalenti.

Infine, il provvedimento in esame prevede la pos-sibilità di estendere il ricorso a prestazioni di lavoro accessorio per tutte le attività discontinue e occa-sionali nei diversi settori produttivi, facendo salva la piena tracciabilità dei buoni lavoro acquistati, con contestuale rideterminazione contributiva.

In tale complessivo contesto, appare allo stesso funzionale, ma anche ambizioso, il proposito di pro-cedere alla abrogazione di tutte le disposizioni che siano incompatibili con quelle del testo organico semplificato che verrà elaborato sulla base delle li-nee direttive sin qui illustrate.

Le previsioni del Jobs Act sono, infine, completate dalle novità introdotte dalla Legge di stabilità per il 2015 in materia di lavoro autonomo che allarga la platea dei titolari di partita IVA beneficiari del regime fiscale agevolato. •

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INTRODUZIONE DI UN COMPENSO ORARIO MINIMOdi Emanuela NespoliPartner, Toffoletto De Luca Tamajo e Soci

TTra le novità del Jobs Act annoveriamo

anche la previsio-ne della prossima introduzione di un

compenso orario minimo. Il Dise-gno di Legge delega il Governo ad adottare uno o più decreti legi-slativi nel rispetto, tra gli altri, del seguente criterio direttivo: «intro-duzione, eventualmente anche in via sperimentale, del compenso orario minimo, applicabile ai rap-porti aventi ad oggetto una pre-stazione di lavoro subordinato, nonché, fino al loro superamento, ai rapporti di collaborazione co-ordinata e continuativa, nei setto-ri non regolati da contratti colletti-vi sottoscritti dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei dato-ri di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazio-nale, previa consultazione delle parti sociali comparativamente più rappresentative sul piano na-zionale».

Ad oggi la previsione di com-pensi minimi è affidata unicamen-te alla contrattazione collettiva, mentre non esiste una retribuzio-ne minima avente fonte legale; l’unico limite imposto ai datori di lavoro è rappresentato dal rispet-to dell’art. 36 della Costituzione, norma che sancisce il principio secondo il quale la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità ed alla qualità del lavo-ro prestato, nonché sufficiente a garantire al lavoratore ed alla sua famiglia un’esistenza libera e di-gnitosa. La sufficienza e la pro-porzionalità della retribuzione,

secondo l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza, sarebbero garantite dal rispetto dei minimi tabellari previsti dalla contratta-zione collettiva di categoria, a prescindere dalla diretta applica-bilità della fonte collettiva; anche nei rapporti di lavoro non regolati da alcun contratto collettivo, per-tanto, il parametro di riferimento generalmente utilizzato è già la retribuzione tabellare prevista dal CCNL del relativo settore pro-duttivo. Peraltro i minimi previsti dai contratti collettivi nazionali di categoria già rappresentano un limite anche per il compenso dei collaboratori a progetto. Infatti la legge n. 92 del 2012 ha modifica-to l’art. 63 della legge n. 276 del 2003 prevedendo che, in assen-za di contrattazione specifica, il compenso del collaboratore non può essere inferiore alle retribu-zioni minime previste dai CCNL applicati nel settore di riferimento a figure professionali analoghe.

Con l’introduzione del compen-so minimo orario di legge, l’Italia si mette al passo con la maggior parte degli altri Paesi Europei, nei quali da tempo è già presen-te una disposizione legale volta a stabilire la soglia minima del salario, in alcuni casi fissando minimi mensili, o su base set-timanale o orari. Secondo i dati pubblicati da Eurostat (l’Ufficio Statistico dell’Unione Europea), aggiornati al 1° luglio 2014, sola-mente 7 Stati tra i membri dell’U-nione non prevedono alcun c.d. “national minimum wage”; oltre all’Italia, che con il Jobs Act esce dalla lista, non hanno il compen-

so minimo di legge la Danimarca, Cipro, l’Austria, la Finlandia, la Svezia e – ma solo fino al 31 di-cembre 2014 – la Germania. Dal gennaio 2015, infatti, i lavoratori tedeschi avranno diritto ad una retribuzione oraria non inferiore ad euro 8,50. L’importo delle retri-buzioni minime mensili varia no-tevolmente da paese a paese: si passa da Paesi dove il salario mi-nimo mensile è sotto ai 500 euro, come la Bulgaria e la Romania, per citarne due, a Paesi nei quali il minimo mensile supera (e in al-cuni casi anche di molto) i 1.000 euro (Inghilterra, Francia, Irlanda, Olanda, Belgio e Lussemburgo). A breve, vedremo dove si posi-zionerà l’Italia rispetto agli altri Paesi europei. •

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