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libertas trimestrale di cultura politica ed economica diretto da Dario Antiseri 1 giugno 2011 Perché tornare a Rosmini Dario Antiseri Paolo Armellini Markus Krienke Flavio Felice Umberto Muratore Focus a cura di Bruno Bordignon Dove va la scuola libera? L’Economia sociale di mercato secondo Alfred Müller Armack di Francesco Forte Dibattiti “Ero straniero e mi avete ospitato” di Lorenzo Prencipe Rubrica Le grandi figure del cattolicesimo liberale: Alessandro Manzoni di Dario Antiseri Segnalazioni bibliografiche Comitati per le Libertà Freedom Committee Comitatus pro Libertatibus cattolici per la libertà

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libertastrimestrale di cultura politica ed economicadiretto da Dario Antiseri

1 giugno2011

Perché tornare a RosminiDario AntiseriPaolo ArmelliniMarkus KrienkeFlavio FeliceUmberto Muratore

Focus a cura di Bruno BordignonDove va la scuola libera?

L’Economia sociale di mercato secondo Alfred Müller Armackdi Francesco Forte

Dibattiti“Ero straniero e mi avete ospitato”di Lorenzo Prencipe

RubricaLe grandi figure del cattolicesimo liberale:Alessandro Manzonidi Dario Antiseri

Segnalazioni bibliografiche

Comitati per le LibertàFreedom CommitteeComitatus pro Libertatibus

cattolici per la libertà

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Editoriale di Dario Antiseri

Studi- Ragioni per tornare a Rosmini DARIO ANTISERI - Membro del Comitato Scientifico della Scuola Internazionale

Alti Studi - Collegio San Carlo Modena.- Introduzione a Rosmini PAOLO ARMELLINI - Professore aggregato di Storia delle Dottrine Politiche,

“La Sapienza”, Roma- La libertà della società MARKUS KRIENKE - Direttore della “Cattedra Antonio Rosmini”

della Facoltà Teologica di Lugano- Persona e mercato FLAVIO FELICE - Professore ordinario di Dottrine Economiche e Politiche,

Pontificia Università Lateranense- Rosmini cattolico e liberale UMBERTO MURATORE - Direttore Centro Internazionale Studi Rosminiani Stresa

Focus- Dove va la scuola libera? a cura di BRUNO BORDIGNON - Università Pontificia Salesiana di Roma

L’economia sociale di mercato FRANCESCO FORTE - Professore emerito di Scienze delle Finanze, “La Sapienza”, Roma

Dibattiti“Ero straniero e mi avete ospitato” LORENZO PRENCIPE - Dottorando Pontificia Università Lateranense

RubricaLe grandi figure del cattolicesimo liberale: Alessandro Manzoni, DARIO ANTISERI

Segnalazioni bibliografiche, a cura di MAURIZIO SERIO, Ricercatore di Sociologia dei Fenomeni Politici,Università degli Studi Guglielmo Marconi, Roma.

libertastrimestrale di cultura politica ed economica

cattolici per la libertà

DIRETTORE EDITORIALEDario Antiseri

COMITATO DI REDAZIONEFlavio Felice - coordinatore

Fabio G. AngeliniDario AntiseriPaolo ArmelliniPaolo AsolanAntonio CampatiRocco PezzimentiFrancesco Saverio ProfitiMaurizio SerioPierluigi Torre

COMITATO EDITORIALE

Dario Antiseri, Direttore della rivistaVladimir Bukovskij Presidente Generale dei Comitati per le LibertàDino Cofrancesco Presidente del Comitato Esecutivo Comitati per le LibertàFlavio Felice, Presidente di Tocqueville-ActonAngelo Gazzaniga Portavoce dei Comitati per le LibertàGiovanni Rabbia Presidente della Fondazione Cassa Risparmio di Saluzzo

La rivista è gratuita e liberamente scaricabile in formato pdf.Gli articoli possono essere riprodotti anche in maniera parziale solo su autorizzazione dell’autore.Il sito libertates.com è pubblicato sotto Licenza Creative Commons (CC BY-NC-ND 2.5).Per informazioni: [email protected]

Editore: Comitati per le Libertà, 20122 Milano, via Daverio 7Provider-distributore: Aruba.it SpA (www.aruba.it) - piazza Garibaldi 8 / 52010 Soci (AR) - Anno VII Copyright © 2003Realizzazione Tipolitografia Angelo Gazzaniga, 20154 Milano, via Piero della Francesca 38

La rivista è realizzata con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo

N. 1 - giugno 2011Perché tornare a Rosmini

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Protagonisti, non ascari

La diaspora dei cattolici nelle diverse formazioni politicheha posto fine alla loro incidenza nella vita politica.

E pensare che il mondo cattolico nel dopoguerra ha salvato(con l’aiuto degli Americani) il Paese: è stato un presidio dellalibertà e con ciò dello sviluppo economico.

Il popolo cattolico sparso nelle 25.000 parrocchie, attivonelle tante sedi e iniziative della Caritas, generosamente presen-te nel vasto universo del volontariato non ha e non trova, ainostri giorni, una rappresentanza politica. È diffusa l’idea che non ci siano le condizioni o, addi-rittura, che non ci sia affatto bisogno di un partito dei cattolici. I cattolici, si è detto e si conti-nua a ripetere, dovrebbero dare testimonianza dei valori in cui credono in tutte le formazioni incui si trovano a militare. Nobile intenzione, indubbiamente; una meritevole proposta morale.Solo che, nella quasi totalità dei casi, gli esiti di questa posizione si sono risolti e si risolvono inuna completa serie di disfatte politiche. Tu cattolico sei in una Commissione, in un partito; faipresente soluzioni in linea con i tuoi valori; la maggioranza, però, vota – per convinzione,opportunismo, vigliaccheria, bassi interessi – per soluzioni in contrasto con i tuoi valori; tu haitestimoniato, ma inutilmente; hai salvato l’anima, ma quello che tu reputi “il sale della terra”non ha neppure l’effetto dell’acqua calda.

La persona è sacra e inviolabile dal concepimento all’ultimo istante della vita. L’anno scor-so ci sono stati in Italia aborti in un numero equivalente ai cittadini di una città come Bergamo.Sacro l’embrione, inviolabile il feto. Ma la persona sta anche sui banchi di scuola e nelle auledell’Università. Del “buono-scuola”, strumento di libertà di scelta da parte delle famiglie, nonsi parla più. Si ha quasi paura di parlarne. Eppure esso costituirebbe l’introduzione nel sistemaformativo italiano di quelle linee di competizione in grado di aiutare sia quel grande patrimo-nio costituito dalla scuola di Stato sia le scuole non statali a sollevarsi dalla non brillante situa-zione in cui si trovano. E quali aiuti ha avuto la famiglia (nidi, asili) – della quale da tante partici si è proposti come paladini? È stata fatta una riforma dell’Università: se ne è parlato e discus-so per mesi e mesi, una questione di fondamentale importanza per il futuro del Paese, ma ilmondo cattolico è rimasto sostanzialmente taciturno. Che fine ha fatto quella grande scuola cheè stata la FUCI? E che ne è dell’AIMC e dell’UCIIM?. Ininfluenti nell’ambito mediatico – sem-pre meno edificante – e poco ascoltati, nonostante tanti nobili e generosi sforzi, in quello dellapiù ampia informazione, le tante iniziative di gruppi, centri e associazioni non riescono ad anda-re al di là del livello del “prepolitico” – gli altri hanno in mano “il politico”, fanno cioè politi-ca, noi ci affaccendiamo nel “prepolitico” e proponiamo “ascari” per altri eserciti. E, intanto,sulle nostre strade muoiono ogni anno circa 6.000 persone e 250.000 sono i feriti, di cui 20.000restano seriamente handicappati: un vero bollettino di guerra. E se drammatica, come più voltedenunciato da esponenti radicali, è la situazione delle “persone” nelle nostre carceri, mai unpartito si è preso cura di ascoltare coloro che forse meglio degli altri ne conoscono i problemi,cioè i cappellani delle carceri. E ci accorgiamo dei Rom solo quando ci troviamo a piangere suiloro piccoli morti bruciati o annegati. Nel frattempo la classe politica si occupa di “altro”.Predica il merito e pratica la più squallida logica della corte – di una corte abbastanza affolla-ta da servi in livrea e clarinetti “ben remunerati”.

Siamo tutt’altro che disfattisti. Proprio per questo non ce la sentiamo di restare nelle retro-vie. Non ci sono più le condizioni per cui tutti i cattolici si sentano chiamati a militare in un unicopartito, ma quello che sosteniamo come possibile – e di cui si avverte l’urgenza e la mancanza– è un significativo partito di cattolici liberali che si situi nella grande tradizione di quel catto-licesimo liberale che va da Tocqueville a don Sturzo. Protagonisti e non ascari – devoti pecca-tori ben distinti dagli atei devoti; laici perché cattolici; capaci da laici perché cattolici di unaazione politica cristianamente ispirata «a difesa – come voleva don Sturzo – della libertà pertutti e sempre». C’è o no oggi, in Italia, l’urgenza di un partito di cattolici liberali?

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Perché tornare a Rosmini

di Dario AntiseriRagioni per tornare a Rosmini

1. La persona ha sempre ragione di fineÈ stato il padre rosminiano G. Bozzetti ad insistere sulfatto che costante resta, nell’opera di Rosmini, l’interessedi «stabilire il valore della persona individuale umana,tenendo tuttavia ben presente la profonda caratteristica,che egli attribuisce alla stessa individualità umana, diessere cioè essenzialmente sociale, ossia di essere pernatura in società con Dio e con tutti gli altri uomini». Edesattamente in relazione alla persona fondamentale è perRosmini la questione della proprietà. «La proprietà – egliscrive nella Filosofia del diritto – esprime veramentequella stretta unione di una cosa con una persona [...].Questa specie di unione che si chiama proprietà cadesempre dunque tra la persona e la cosa e racchiude undominio di quella sopra di questa. La proprietà è il prin-cipio della derivazione dei diritti e dei doveri giuridici. Laproprietà costituisce una sfera intorno alla persona, di cuila persona è il centro; nella qual sfera niunaltro può entrare». Da ciò l’imperativo dirispettare l’altrui proprietà. Per Rosmini – èquesto il commento del sinceramente com-pianto mons. Clemente Riva – «la persona[...] ha sempre ragione di fine e non può maiessere quantificata nella sua altissima digni-tà». E ancora: «Le persone sono principio efine dello Stato. Sono esse che costituisco-no, che assegnano lo scopo e i limiti, per cuilo Stato e tutti gli organi statali sono deisemplici mezzi per le persone che ne sonorealmente il fine. Di qui il carattere ministeriale o di ser-vizio dell’autorità [...]. Per questo il bene pubblico, comebene dell’organismo statale deve essere subordinato albene privato di ciascuna persona. E il bene comune non èaltro che il bene privato e proprio di tutte le singole per-sone, o quel bene generale a cui ciascuna realmente par-tecipa». La persona non è parte di un tutto o società per-

fetta che sarebbe lo Stato etico assoluto; lo Stato è in fun-zione della persona: «Lo Stato – è ancora Riva a parlare– ha una sfera ben limitata di azione che non investe tuttala persona [...]. La concezione rosminiana dello Stato èanche la più radicale critica della Statolatria».

2. Contro il perfettismoLa pagina più celebre di Rosmini sull’antiperfettismo èquella contenuta nel capitolo quattordicesimo della suaFilosofia della politica. «Il perfettismo – egli scrive –,cioè quel sistema che crede possibile il perfetto nelle coseumane, e che sacrifica i beni presenti alla immaginata

futura perfezione, è un effetto dell’ignoran-za. Egli consiste in un baldanzoso pregiudi-zio, per quale si giudica dell’umana naturatroppo favorevolmente, se ne giudica soprauna pura ipotesi, sopra un postulato che nonsi può concedere, e con mancanza assoluta diriflessione ai limiti naturali delle cose».Secondo Rosmini, dunque, il perfettismo èin primo luogo un effetto dell’ignoranza e, insecondo luogo, il frutto di un vero e propriopregiudizio. È ignoranza, infatti, di un intero

principio ontologico, quel «gran principio della limitazio-ne delle cose» e si radica su di un “baldanzoso” pregiudi-zio, consistente in un’immagine “troppo favorevole” dellanatura umana.L’uomo non è un essere infallibile. E la sua fallibilitàsegna tutti i suoi progetti, a cominciare da quelli politici.Il governo, fa presente Rosmini, «è composto da persone

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di Dario AntiseriRagioni per tornare a Rosmini

Il perfettismo èeffetto

dell’ignoranza eignora il granprincipio della

limitazione dellecose

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che, essendo uomini, sono tutte fallibili». E la società nonè certo composta da “angeli confermati in grazia” quantopiuttosto, appunto, da “uomini fallibili”.Va da sé, pertanto, che la perfezione è un ideale irraggiun-gibile a causa di quella che Rosmini chiama “l’infermitàdegli uomini”, ma questo non implica che gli uomini deb-bano esimersi dal cercare di migliorare le situazioni so-ciali esistenti. È pur vero, egli annota nell’opera Dellanaturale costituzione della società civile, che «l’infermi-tà degli uomini non permette ch’essi attingano in verunacosa alla piena perfezione, ma egli è falso che la perfezio-ne non sia lo scopo a cui debbono tendere i voti e le azionidegli uomini». E nella Filosofia della politica sottolineacome tutte le critiche rivolte al perfettismo «non son voltea negare la perfettibilità dell’uomo e della società. Chel’uomo sia continuamente perfettibile e fin che dimoranella presente vita, egli è un vero e prezioso, è un dogmadel Cristianesimo».La fallibilità umana e l’inevitabile imperfezione delle u-mane società, tutt’altro che comportare l’accasciamento«in una timida ed inerte rassegnazione», implicano unimpegno senza sosta in vista di miglioramenti comunquesempre perfettibili, in quanto «la perfezione ultima, l’i-deale della società, non viene mai da essa [l’azione poli-tica] raggiunto o realizzato, per quantunque vi si avviciniincessantemente»

3. Il compito del politico: «Evitare tutti i mali socialmente evitabili»

Il perfettismo è destinato al fallimento perché ignoral’esistenza del peccato originale e, di conseguenza, nontiene conto di quel disordine interiore che accompagnal’uomo in tutto il suo agire compreso quello politico. Perquesto, Rosmini sostiene che gli uomini politici non de-vono proporsi di costruire una società perfetta, ma aspira-re ad una società che «sappia evitare tutti i mali social-mente evitabili». E da qui la inflessibile ed efficace criti-ca cui Rosmini sottopone il pensiero utopico. L’utopistasi crea un mondo immaginario e sta «in continui lagni delmondo reale». Anche noi, scrive Rosmini, «ardentementebramiamo che la condizione dei poveri e dei manuali sia

migliorata, e che le istituzioni sociali rechino a tutti, senzaeccezione, prosperità temporale, agiatezza, e soave earmoniosa, convenienza» ma nel contempo denunciamocome false le «sentenze dei moderni Utopisti». Essi sonosoltanto dei «profeti di smisurata felicità» che adulando eingannando gli uomini carpiscono la loro buona fede e sipresentano come i soli medici in grado di curare i malidella società: si presentano come medici, ma sono la ma-lattia. In tal modo, “mostruose” utopie abusando del “sa-cro nome di umanità” prendono piede e finiscono col sov-vertire dai fondamenti l’intera società. «Recidono la radi-ce di tutti i doveri e, perciò, anche la fonte di tutti i suoibeni individuali e sociali: la libertà». In ogni utopista vivee si agita un capitano di ventura assetato di vendetta e disangue, intenzionato a ridurre a fantocci i suoi simili. Laverità è che l’utopista «lungi dal felicitare gli uomini, sca-va l’abisso della miseria; lungi dal nobilitarli, gli igno-bilita al par de’ bruti; lungi dal pacificarli, introduce laguerra universale, sostituendo il fatto al diritto; lungi d’e-guagliar le ricchezze, le accumula; lungi da temperare ilpoter de’ governi lo rende assolutissimo; lungi da aprirela concorrenza di tutti a tutti i beni, distrugge ogni concor-renza; lungi da animare l’industria, l’agricoltura, le arti, icommerci, ne toglie via tutti gli stimoli, togliendo la pri-vata volontà e lo spontaneo lavoro; lungi da eccitare gl’in-gegni alle grandi invenzioni, e gli animi alle grandi virtù,

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comprime e schiaccia ogni elaterio dell’anima, rendeimpossibile ogni nobile tentativo, ogni magnanimità, ognieroismo ed anzi la virtù stessa è sbandita, la stessa fede al-la virtù è annullata». La pretesa folle dell’utopista consi-ste nella divinizzazione del finito e nella collettivizzazio-ne e deresponsabilizzazione dell’io. L’utopista è la scim-mia dell’escatologia.

4. I danni dell’assistenzialismoAntiperfettista e, conseguentemente, a favore dell’idea edella pratica di perfettibilità delle azioni e dei progettiumani, Rosmini – la cui vita è stata una dedizione aglialtri, un autentico esempio di carità cristiana – ha lucida-mente avversato quello che noi oggi chiamiamo assisten-zialismo: «La beneficenza governativa ha un ufficio pienoin vista delle più gravi difficoltà, e può riuscire, anzichédi vantaggio, di grave danno, non solo alla nazione, maalla stessa classe indigente che si pretende beneficiare;nel quale caso, invece di beneficenza è crudeltà. Ben so-vente è crudeltà anche perché dissecca le fonti della bene-ficenza privata, ricusando i cittadini di sovvenir gl’indi-genti che già sa o crede provveduti dal governo, nol sono,nol possono essere a pieno».Su questo punto, ecco la riflessione di uncattolico francese, contemporaneo diRosmini, vale a dire di Fédéric Bastiat (nelloscritto Giustizia e fraternità): «Allorché sisarà ammesso in via di principio che lo Statoha l’incarico di operare in modo fraterno infavore dei cittadini, si vedranno tutti i citta-dini trasformarsi in postulanti. Proprietà fon-diaria, agricoltura, industria, commercio,marina, compagnie industriali, tutti si agite-ranno per reclamare i favori dello Stato. Iltesoro pubblico sarà letteralmente saccheg-giato. Ciascuno troverà buone ragioni per provare che lafraternità legale deve essere intesa in questo senso: “i van-taggi per me ed i costi per gli altri”. Lo sforzo di tutti ten-derà a strappare alla legislazione un lembo di privilegiofraterno».Ed ora un altro pensatore più vicino a noi, anch’egli sa-cerdote cattolico e liberale, e cioè don Luigi Sturzo. Larealtà – scriveva Sturzo nel 1951 – è che «quel che siafferma nel campo morale, responsabilità delle proprie a-zioni anche col rischio di doverne portare le conseguenze,si afferma nel campo politico, e nel campo economico.Oggi si è arrivati all’assurdo di voler eliminare il rischioper attenuare le responsabilità fino ad annullarle [...]. Gliamministratori, i direttori, gli esecutori degli enti statalisanno in partenza che se occorrono prestiti, garantisce lo

Stato; se occorre lavoro dovrà trovarlo lo Stato; se siavranno perdite si ricorrerà allo Stato, se si produce maleripara lo Stato; se non si conclude un gran ché, i prezzi limantiene alti lo Stato. Dov’è il rischio? Svaporato. E laresponsabilità? Svanita. E l’economia? Compromessa».E sempre Sturzo (1951): «[...] Lo stato è per definizioneinabile a gestire una semplice bottega di ciabattino». Einfine (1952): «Lo statalismo non risolve mai i problemieconomici e per di più impoverisce le risorse nazionali,complica le attività individuali, non solo nella vita mate-riale e degli affari, ma anche nella vita dello spirito».

5. Principio di sussidiarietà e difesa della scuola libera«Il governo civile opera contro il suo mandato quand’egli

si mette in concorrenza co’ cittadini e collesocietà ch’essi stringono insieme per ottene-re qualche utilità speciale: molto più quan-do, vietando tali imprese agli individui e alleloro società, ne riserva a sé il monopolio».Con queste parole Rosmini formula quelloche è il principio di sussidiarietà orizzonta-le, inteso chiaramente nel senso che il pub-blico (sia esso lo Stato, la Regione, laProvincia o il Comune e, oggi, l’Europa) nondeve fare ciò che i cittadini – singolarmenteo nelle associazioni spontanee, i “corpi inter-

medi” – si propongono di fare e sanno fare da soli, senzal’intromissione di altre istituzioni. Si tratta di un principiocardine della Dottrina sociale della Chiesa e che troviamoanche nei scritti di liberali laici come, per esempio, J.Stuart Mill, K. Popperl o F.A. von Hayek. Ed è esattamen-te nell’orizzonte di questo principio si situa l’impegno diRosmini a favore della scuola libera. «I padri di famiglia –scrive in Della libertà d’insegnamento – hanno dalla natu-ra e non dalla legge civile il diritto di scegliere per maestried educatori della loro prole quelle persone nelle qualiripongono maggior confidenza. Questo diritto generalecontiene i diritti speciali seguenti:1. Di far educare i loro figli in patria o fuori, in scuole

ufficiali o non ufficiali, pubbliche o private, come sti-mano meglio al bene della loro prole.

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“Il governo civileopera contro il suo

mandatoquand’egli si mettein concorrenza co’

cittadini”

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2. Di stipendiare appositamente quelle persone nellequali essi credono di trovare maggior probità, scienza eidoneità.

3. Di associarsi ad altri padri di famiglia, istituendo insie-me scuole dove mandare insieme i loro figli».

La persona umana è libera e responsabile: responsabile diquello che fa, di quanto permette che si faccia. «La ragio-ne di tutti gli avvenimenti sociali si trova nell’uomo, ele-mento della società». Così, responsabili dei danni dellarivoluzione francese furono, secondo Rosmini, quei filo-sofi che fecero passare nelle menti degli uomini principisbagliati: «Capitanarono questa canaglia i cosiddetti Fi-losofi, cioè i filosofi senza logica del secolo XVIII [...]. Lasocietà si affidò ai primi capitani che le si offersero, diròanche agli unici. Sventura! Erano de’ sofisti, degli empi!Così la causa del progresso si trovò orribilmente involta inquella delle passioni popolari, atee, anarchiche, mille ideedi rimescolarono, si urtarono, ne nacque il caos, e dallementi passò purtroppo nelle realtà della vita».Per concludere, una riflessione di Umberto Muratore:«Rosmini è uno di quei pensatori di genio, che diventanointeressanti nelle stagioni e tra le persone desiderose discendere in profondità e senza pregiudizi. Non ha ambi-zioni personali, non è capace di adulare o di ingannare, a-ma troppo l’uomo per non prenderlo sul serio. Egli con-duce il discorso sull’uomo con tutti i mezzi a disposizio-ne ed in tutte le direzioni possibili. Non cede, dunque, allatentazione (così facile!) di esaurirsi entro qualche parzia-le intuizione, né alla moda del tempo di fermarsi sui soliaspetti mondani, né alle abitudini ecclesiastiche di chiu-dersi in qualcuno dei pure importanti settori teologico,pastorale, ascetico, mistico. Questa apertura incondizio-nata lo rende interlocutore di tutti, ma non concede l’e-sclusiva a nessuno».

Bibliografia essenzialeG. CAMPANINI, Antonio Rosmini e il problema dello Stato,Morcelliana, Brescia, 1983 (Con ampia nota critico-bibliografica)U. MURATORE (a cura di), Antonio Rosmini. Il discorsosull’uomo, Città Nuova, Roma, 1989U. MURATORE, Rosmini per il Risorgimento, Edizioni Ro-sminiane, Stresa, 2010M. SGARBOSSA, Antonio Rosmini: genio filosofico, profe-ta scomodo, Città Nuova, Roma, 1996C. RIVA, Critica rosminiana al perfettismo politico, in«Humanitas», 1963P. ZOVATTO, Introduzione a Rosmini, Sodalidas, Stresa,1992D. ANTISERI - M. BALDINI (a cura di), Personalismo libe-rale, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1997

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Antonio Rosmini nella storiografia relativa all’Ot-tocento filosofico e politico italiano ed europeo vienericordato come l’illustre abate dal forte carisma che eraavversato nella Curia romana dalle correnti più retrive etradizionaliste, ma non da Pio IX che ne stimava invecesia la profonda spiritualità che la sicura fedeltà alla Chie-sa. Rosmini è stato fra più attivi assertori dell’aperturadella Chiesa alla modernità, anche perché convinto del-l’attivo contributo del cristianesimo al progresso dei po-poli e della giustizia nella società. La Chiesa secondoRosmini doveva rinnovarsi abbandonando il potere tem-porale e dedicarsi alla sua più autentica missione spiritua-le, che è la comunicazione universale del messaggio e-vangelico come dice nelle Cinque piaghe della SantaChiesa (1832, ma pubblicate nel 1848). Per questo Ro-smini aveva fondato l’Istituto della Carità, sostenendoche nell’epoca presente, accanto alla carità materiale espirituale si doveva tenere conto della carità intellettuale,per riconquistare gli spiriti al cristianesimo non con l’a-stratta forza dell’autorità, ma soprattutto con la ben piùprofonda opera della persuasione razionale.D’altronde diversi pontefici gli avevanoriconosciuto doti di intellettuale e scrittorevolte per un verso a scoprire gli errori dellamodernità, ma dall’altro a mostrare ladimensione eterna e universale dei contenutidel cristianesimo, che ogni epoca può e deveriscoprire a partire dalle proprie esigenze.Nell’epoca di Rosmini la novità della storiaera proprio la riconquistata coscienza deipopoli della propria indipendenza. Per l’I-talia questo significava doversi opporre alla ingombrantepresenza dell’Impero austro-ungarico, che vessava i po-poli e gli stati italiani, provocando guerre e repressioni.Nei primi giorni in cui Rosmini era a Roma nel 1848 PioIX aveva manifestato nei confronti di Rosmini grandeconsiderazione, tanto che, dopo aver ottemperato all’im-pegno di guidare una delegazione di plenipotenziari perscrivere una carta costituzionale dell’eventuale unitàd’Italia caldeggiata anche da Pio IX, Rosmini avrebbedovuto diventare cardinale e forse anche Segretario di

Stato. I rapporti divennero più freddi durante la perma-nenza nella città di Gaeta, che nel tormentato 1848 diven-ne centro della scena politica internazionale. Rosmini l’a-veva seguito nell’esilio volontario a Gaeta dopo l’instau-razione del regime repubblicano a Roma, ed egli conti-nuava a consigliare il papa di non cedere alle tentazioniassolutistiche e reazionarie cercando di convincerlo a nondichiarare illegittimo il nuovo potere. In fondo Papa PioIX era stato un pontefice aperto alle riforme che avevapromulgato con fermezza e moderazione. Gaeta divennein quel contesto luogo di singolare incontro e scontro fraideali contrapposti di assolutismo e libertà.

Rilevanti sono le vicende complesse e articolate dellapresenza di Rosmini a Roma e poi a Gaeta, spiegata da luinella Missione a Roma, importante nel contesto dell’ela-borazione dei suoi progetti costituzionali. Il 1° giugno1846 era salito al soglio pontificio Papa Mastai, che portail nome di Pio IX, il quale succedeva a Gregorio XVI chetanto aveva spronato Rosmini sulla strada dell’approfon-dimento filosofico e politico, per riguadagnare anime al

cristianesimo in un’epoca come quella suc-cessiva alla rivoluzione francese che si eramostrata aggressiva contro di esso. Nel1848 Rosmini aveva pubblicato due operefonte futura delle sue sventure: la Costitu-zione secondo giustizia sociale e le Cinquepiaghe della Santa Chiesa, in cui propone laforma di statuto da lui ritenuta convenientealle condizioni politiche italiane e la riformadell’ordine ecclesiastico. Il 1848 è l’annodel maggior risveglio per l’indipendenza na-

zionale. Rosmini ricorda a Pio IX che non ci si può porrecontro la legittima aspirazione del popolo italiano di fuo-riuscire dal giogo austriaco. Al mese di luglio Rosminiviene improvvisamente chiamato a Torino dietro consi-glio di Gioberti, ed è invitato a recarsi a Roma in quantoplenipotenziario dello stato sabaudo, per indurre Pio IXad allearsi col Piemonte nella guerra contro l’Austria.Egli mostra anche e soprattutto il desiderio di proporre alPapa un Concordato col Piemonte e il progetto di unaConfederazione degli Stati italiani (Regno sabaudo,

Perché tornare a Rosmini

di Paolo ArmelliniIntroduzione a Rosmini

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Perché tornare a Rosmini

Rosmini è stato frai più attiviassertori

dell’apertura dellaChiesa allamodernità

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Repubblica di Venezia, Stato pontificio, Granducato diToscana). Non riuscendo ad ottenere l’alleanza militare,egli rinuncia al mandato, ma viene trattenuto a Roma dalSommo Pontefice, che gli fa annunciare di prepararsi alcardinalato. Avvenuto l’assassinio di Pellegrino Rossi, sifa il nome di Rosmini come Presidente dei Ministri e Mi-nistro dell’Istruzione del Governo pontificio costituziona-le.Ma il Papa, dinanzi alle critiche e alle riserve mossecontro Rosmini dalla parte della curia legata al cardinaleAntonelli, reazionario e tradizionalista, sia per gli indiriz-zi politici che per il contenuto delle due opere, muta il suoatteggiamento di favore. Rosmini, deluso, lascia Gaetaper Napoli, preso dalla pubblicazione delle sue opere. Manel frattempo alcune di esse vengono messe all’Indice.Con ciò non ha più corso la sua nomina annunciata a car-dinale. Egli abbandona la sua attività politica e riprendequella letteraria più intensamente di prima. A Gaeta avevascritto intanto il suo commento all’Introduzione del Van-gelo secondo S. Giovanni. Passerà il resto della sua vita aStresa attendendo lo svolgimento delle sue opere filosofi-che, tra cui la Logica e la Teosofia.

Soffermiamoci dunque sul pensiero etico e politico diRosmini, valutando gli elementi fondamentali del suo co-stituzionalismo che guidarono la proposta neoguelfa del-l’unità federale d’Italia. Cosciente della crescente secola-rizzazione della società, Rosmini sapeva che ormai ilmantenimento del potere temporale del Papa era anacro-nistico e proprio il recupero della sua funzione originariadi diffondere il messaggio di verità e giustizia proprio delcristianesimo implicava il ritorno alla funzione universa-le di difesa dei diritti delle persone e dei popoli che era in-sita nel tradizionale compito di arbitrato internazionalefin lì svolto dal papato. Per questo esso doveva esercitarenuovamente la sola autorità spirituale. Questo era il pro-gramma comune di molti cattolici liberali, che sentivanoil bisogno di evidenziare nel dovere dei Papi e della curiaromana quella di promuovere una salvezza delle animeindividuali come condizione per un rinnovamento dellasocietà, poiché il vero progresso sta nella liberazione dalpeccato che è personale e appartenente alla dimensioneinvisibile dell’uomo. Rosmini aveva profeticamente pre-visto nella Filosofia della politica che la crescita del be-nessere esclusivamente economico promosso dalle visua-li utilitaristiche del Gioia e del Romagnosi poteva pro-muovere un miglioramento della maggior parte degli uo-

mini di una società a scapito di individui e minoranze sa-crificate al benessere della totalità; pensare poi come piùimportante il futuro senza considerare le condizioni sto-riche presenti in cui ci può essere il progresso di un popo-lo è l’errore dei miti perfettistici della società, che sacri-ficano il presente ad un irrealizzabile avvenire. Le societàpossono perseguire la loro unità se viene mantenuto comeprimario il fine di conseguire la sostanza della società,che si ha quando l’amore per il bene comune porta unpopolo a formarsi come nazione attraverso una costitu-zione e a darsi un potere militare non mercenario, comeera accaduto invece nell’epoca buia del medioevo. Finqui si ha un movimento centripeto della società. Essa poistoricamente si disgrega quando accanto alla sostanza sitende a conseguire i beni accidentali e superflui che sonolegati ai lussi. Per questo accanto alla ragione praticadelle masse, che guida queste a vivere nella vita comuni-taria secondo un senso comune radicato nella saggezzadelle generazioni, occorre affiancare la ragione specula-tiva di quegli individui maggiormente inclini ad usarel’intelligenza nella scienza della società, al fine di sceglie-re mezzi proporzionati ai fini generali del corpo sociale.In questo modo esso ha meno probabilità di cadere inpreda alle forze centrifughe che lo condannerebbero alladissoluzione e alla caduta in quanto oggetto di desideriodi possesso di stati più forti. Per questo la politica in

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quanto scienza deve essere capace di non attivare nelpopolo desideri destinati a rimanere insoddisfatti, cheprocurerebbero malumori e scontento da considerare al-l’origine del risentimento giuridico dei popoli e fonte del-la loro ribellione. Fine del corpo sociale è l’appagamentodegli individui, che è diverso sia del semplice benesseremateriale, che può anche rendere insoddisfatti i popoliperché i bisogni produttivi legati alla crescente indu-strializzazione possono aumentare a dismisura a solo van-taggio dei capitali e non delle classi lavoratrici, e inoltreè diverso anche dalla beatitudine, che è uno stato dell’ani-ma che riguarda la vita ultraterrena in virtù dell’azionedella grazia divina. La politica e il diritto si devono pren-dere cura dell’appagamento che è uno stato interiore del-l’anima di ognuno, il quale deve tener conto dei mezzidisponibili per ottenerlo nello stato presente della civiltà,che nei suoi vari gradi nelle differenti epoche storichecambia in relazione a condizioni storiche cangianti. Alpolitico è dunque necessario conoscere la topografia delcuore umano.

Stabiliti i punti essenziali del suo pensie-ro politico occorre illustrare il suo progettocostituzionale, in relazione ai rapporti fra unavisione del risorgimento non dominata da unavisione anticattolica e una proposta di unitàfederale del popolo italiana inconsueta sia peri laici che per i cattolici, ma pregna di valoriispirati al cattolicesimo. Varia è stata la clas-sificazione delle interpretazioni del Risor-gimento. De Sanctis parla del cammino irre-versibile della storia nazionale italiana versola secolarizzazione; secondo Gentile invececon il cattolicesimo di Rosmini e Giobertisiamo di fronte all’alterità del Risorgimentoitaliano rispetto alla tradizione francese illu-ministica e rivoluzionaria. L’idea di Risorgi-mento rimane comunque legata a una restau-razione dei valori, e non delle forme sociali in cui essi sisono storicamente determinati perché tendono al di là deiconfini storico-nazionali. In Italia si è andato affermandoun modello politico statalista e giacobino, contro quellofederalista del risorgimento cattolico che però oggi risul-ta profeticamente attuale.

Gioberti nella sua opera Del primato morale e civiledegli italiani esprime il suo confederalismo neoguelfo.Difende la sua soluzione confederalistica mostrando co-me il cattolicesimo sia stato strumento di civiltà. Per luil’immobilismo della tradizione cattolica italiana è un mo-tivo da contrapporre all’inquietudine rivoluzionaria euro-pea. L’Italia deve prendere coscienza di tali valori e porsi

in testa al movimento di reintegrazione di essi nel mondomoderno. Dalla tesi “L’Ente crea l’esistente” egli è porta-to poi a sviluppare la sua formula politica, che così enun-cia: “La religione crea la moralità e la civiltà del genereumano”. Vano è il tentativo di far risorgere nazioni se nonsi ricorre alla religione. L’Italia deve appoggiarsi all’uni-ca moralità che è quella che ha insegnato il Papa. Nellasua opera propone una federazione di Stati sotto la Pre-sidenza onoraria del Papa. La soluzione intende eviden-ziare sia le chiusure dei conservatori sia le intemperanzedei rivoluzionari. La soluzione non ha avuto però succes-so sia perché i guelfi non hanno accettato la riduzione del-la religione a civiltà, sia perché i ghibellini vi hanno scor-to una difesa dell’oscurantismo papalino. Il difetto enor-

me che questa visuale mostra agli occhi diRosmini è quella di identificare, all’internodi una proposta nazionalistica e tendenzial-mente democratica, il compito del popoloitaliano con quello di una rinascita cattolicaguidata da un papato troppo politicizzato, infunzione di critica degli errori moderni delsoggettivismo, dello psicologismo e del-l’individualismo politico. Per Rosmini poila proposta di Gioberti è segnata dall’erroredel panteismo razionalistico.

Il federalismo personalistico di Rosmi-ni viene enunciato nello scritto Sull’Unitàd’Italia del 1848 in cui si sostiene la noncontraddittorietà tra unità e federalismo. Iltesto è però legato all’opera La Costituzio-ne secondo giustizia sociale (1848), capola-voro del suo costituzionalismo. Per Rosmi-

ni si è parlato di un federalismo antropologico, i cui fon-damenti sono da ricercare nella Filosofia politica (1839)e nella Filosofia del Diritto (1843). L’uomo nel suo ope-rare deve seguire il lume della ragione posto direttamen-te in lui da Dio in quanto l’uomo non è legislatore di sestesso, ma suddito della legge morale in quanto riceve daDio i criteri della conoscenza e della condotta individua-le e sociale. Essere conformi alla legge morale è il dove-re, che è un rapporto fra la norma e la sua attuazione egenera l’essere morale. L’imperativo morale impone ilrispetto della persona come fine nel suo rapporto con ilbene Sommo, cioè Dio. L’uomo di tutti i tempi e di tuttele epoche conosce speculativamente le cose senza ombra

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“Pensare come piùimportante ilfuturo senza

considerare lecondizioni storichepresenti in cui ci

può essere ilprogresso di unpopolo è l’errore

dei mitiperfettistici della

società”

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di errore, che rimane legato alla mutevolezza delle sensa-zioni, ma raggiunge la certezza con la sintesi intellettiva.Quando infatti egli si esprime in un giudizio, interviene lasintesi dell’essere ideale, forma infinita e universale del-l’essere presente alla mente nella sua sola idealità. Essa,essendo virtualmente ogni cosa dal punto di vista dellaconoscenza, ha bisogno per determinarsi della ricchezzadella realtà concreta e storica, che si offre alle modifi-cazioni del corpo, chiamato sentimento fondamentale, efa sì che l’uomo possa esprimere la realtà in senso spazia-le e temporale. Queste tesi vengono sviluppate nel NuovoSaggio sull’origine delle idee pubblicato significativa-mente a Roma nel 1830. Ma la dottrina dell’essere ideale costituisce il fondamen-to anche della morale perché l’essere è un bene da amare,che reca in sé, oltre alla forma dell’essere ideale e dell’es-sere reale, anche quella dell’essere morale. L’uomo, che ècapace di una sintesi infinita e progressiva ma mai com-pleta ed attuale, sa che l’essere è stato creato da Dio, cheha così impresso nelle cose un diverso grado di amabili-tà. Ma l’uomo può scegliere di amare l’essere in un ordi-ne che non è quello in cui lo conosce e per questo una me-tafisica dell’essere fondata sulla dottrina dell’essere idea-le deve prevedere una stima pratica dell’essere che non siadegua meccanicamente alla sua stima speculativa. Cri-stianamente Rosmini nei Principi di scienza morale diceche si può conoscere infatti l’essere e il bene, ma si puòscegliere contrariamente ad esso. Si tenga conto che l’uo-mo tende ad amare Dio ed è una persona capace dell’in-finito in modo paradossale, perché la pienezza della suapresenza non può darsela, offrendosi Dio pienamente al-l’uomo solo nella grazia della sua libera elezione. Nel Ra-zionalismo teologico che si insinua nelle scuole teologi-che Rosmini aveva infatti polemizzato con l’insegnamen-to presente prevalentemente negli istituti cattolici, volti asottovalutare l’errore del razionalismo, che non conside-ra la realtà della natura lapsa della ragione umana, inca-pace perciò di avere una piena visione beatifica colle suesole forze naturali. L’uomo è pur sempre condizionato inquanto persona dalle pulsioni e dalle dinamiche psicolo-giche della sua natura che lo accomunano agli elementisenzienti del mondo. Il peccato ha segnato l’uomo nellacondizione corporea, mentre la colpa è della persona, chesi può liberare però con l’aiuto dell’intervento divino. Ec-co perché Rosmini nell’Introduzione al Vangelo di S.Giovanni commentato del 1848 dice che l’uomo vive sìdopo il peccato nella condizione di una natura decaduta,ma essa è stata per sempre redenta dall’azione dell’In-carnzaione.

La dottrina morale e religiosa costituisce così la base

della vita giuridica, sociale e politica. Diritto fondamenta-le è la libertà, poi la proprietà. La società civile è costitui-ta allo scopo di salvaguardare e regolare l’esercizio ar-monico dei diritti personali, per permettere a tutti il rag-giungimento del bene sommo. Il bene espresso da Ro-smini è quello di tutti gli individui, in cui tutti partecipanodella medesima natura umana e non ha nulla di soggettivi-stico e di relativistico, ma è universale, perché ha un fondoontologico. La giustizia sociale non può ledere i diritti fon-damentali, lo Stato ha il solo compito di regolare la moda-lità dei diritti al fine di proteggerne il loro armonico eser-cizio. La società teocratica esiste indipendentemente dallavolontà umana, mentre quella domestica e quella civilesono liberamente promosse dalla libertà dell’uomo. Sonoquindi tre le istituzioni sociali dell’uomo: la famiglia, lasocietà civile e la società teocratica, di cui la Chiesa istitu-zionale è solo la rappresentazione sensibile, perché essaassomma in sé sia la società del genere umano che la re-pubblica degli spiriti di ogni tempo salvati da Dio.

Solo la famiglia e la Chiesa hanno fine in sé perchésono luoghi in cui i valori della persona emergono in mo-do naturale, perciò il valore dello Stato è strumentale inquanto posto al servizio della persona. Rosmini vuolecombattere il dispotismo che si annida nei regimi monar-chici non costituzionalizzati e nella tirannia della maggio-ranza, guidata dalle passioni, che spesso governa sui regi-mi democratici. È stato il cristianesimo e il suo amore di-sinteressato per la giustizia a far sì che ogni potere sia sot-toposto a giudizio, sia cioè costituzionalizzato. La distin-zione tra potere e religione non significa la divisione trainteriorità ed esteriorità, ma afferma che la persona appar-tiene sia alla società civile che a quella teocratica e allaChiesa la quale, garantendo la sua libertà e la libertà dellacoscienza individuale, è a fondamento di qualsiasi altra li-bertà. Questo è tra l’altro il contenuto principe di un’ope-ra come Le Cinque piaghe della Santa Chiesa (1832,pubblicata nel 1848), ove egli elenca i mali principalidella Chiesa di oggi: la distinzione e separazione tra cleroe popolo, che deve tornare ad essere soggetto protagoni-sta della vita della Chiesa con una riforma della liturgia;la cattiva educazione del clero, che deve affidarsi a vesco-vi e cardinali che devono essere maestri attingenti la lorocultura in quella dei Padri e non nei manuali di teologia;la sottomissione della comunità cristiana al potere tempo-

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rale (giurisdizionalismo), che si evidenzia col controllodell’elezione dei vescovi da parte del potere temporale; lamancanza di libertà della Chiesa, troppo indaffarata a ri-cercare potere e ricchezze. La liberazione della Chiesa dapreoccupazioni temporali avrebbe riservato alle forze lai-che della Chiesa e dei popoli una nuova freschezza, chesi sarebbe esercitata nella ricerca di nuovi equilibri nellecostituzioni moderne, senza cadere nella rivendicazioneastratta dei diritti dei cittadini, che nelle costituzioni vede-vano la difesa giuridica di essi in modo che sembravanonascere con le costituzioni stesse. A Rosmini interessavaevidenziare come i diritti non li crea l’uomo politico inte-so come semplice cittadino di uno Stato, ma sono natura-li e precedono la costituzione della società civile. Il pote-re politico regola giuridicamente soltanto la modalità diesercizio dei diritti senza cioè crearli.

Nella Costituzione secondo giustizia sociale secondoRosmini, oltre ad una rappresentanza attiva, è necessariaanche una rappresentanza passiva espressa da un’istituzio-ne preventiva (il Tribunale politico) che deve prevenire idisordini e gli abusi dei diritti umani. Per questo sin dallaNaturale costituzione della società civile del 1827, egliprevede una rappresentanza degli interessi (in cui la pre-senza è limitata patrimonialmente soltanto a coloro che,dotati di una proprietà e una censo, si potevano considera-re indipendenti) e una rappresentanza dei diritti universa-li, affidata a un Tribunale politico eletto a suffragio univer-sale dai maggiorenni maschi indipendentemente dalla reli-gione, lingua e condizione socio-economica. È la rappre-sentanza borghese, che egli ha il merito di rivendicare insenso progressista, essendo egli aperto a considerare lamobilità sociale rispetto ad una società organica di stampotradizionale. Occorre notare però come questo aspetto permolti critici sia un residuo di patrimonialistico ancora duroda superare anche per un liberale come Rosmini.

Il teologo roveretano per il futuro dell’Italia prevedeuna confederazione di Stati in cui i popoli siano protago-nisti. Quando nel 1848 viene chiamato ad elaborare unprogetto costituzionale per l’Italia egli parla di una “con-federazione perpetua” con una Dieta permanente in Ro-ma con i seguenti uffici: dichiarare guerra e pace, regola-re le dogane e definire i contributi finanziari degli Stati al-la Confederazione, stipulare trattati commerciarli e di na-vigazione con altre nazioni, vegliare alla concordia deglistati e proteggere l’uguaglianza dei cittadini, uniformare isistemi monetari, le leggi etc. La confederazione è garan-zia di un’unità che rispetti la realtà storica e geograficadella penisola. Nel suo progetto per la Costituzione delloStato Romano (1848) Rosmini propone al Papa di am-mettere come deputati dello Stato Romano anche cittadi-

ni di altri stati. Nella Costituzione secondo giustizia so-ciale propone l’organizzazione di una dieta a Roma concompetenza delle relazioni estere e della concordia dellemembra della nazione. Ciascuno Stato partecipa con unasua camera legislativa (principio federalista), mentre laDieta centrale, votata proporzionalmente da tutto il popo-lo italiano (principio unitario), non rappresenterebbe inte-ressi privati ed opposti, ma solo quello dell’Italia intesacome nazione. Essa attuerebbe le funzioni di un governofederale, con l’Alta Corte di Giustizia, che deve unifor-mare politicamente tutti gli Stati Italiani, senza perdere lapropria individualità. Ecco così Rosmini inneggiare al-l’unità d’Italia, che apparirebbe convergere verso questofine dovendo i principali stati italiani rinunciare a partedella propria sovranità, per acquistare con l’unità diversoprestigio e potenza anche agli occhi dei tradizionali paesiche hanno attraversato l’Italia come terra di conquista.Anche la Chiesa, dotandosi di una Dieta e partecipando inquanto Stato costituzionale, avrebbe riacquistato la sua li-bertà di parola e di azione nel consesso internazionale, li-berandosi dal giogo austriaco.

Rosmini è stato un profeta sfortunato quanto lungimi-rante perché poi, anche dopo la promulgazione dello Sta-tuto albertino del 1848, ha previsto gli errori di una ecces-siva separazione fra Stato e Chiesa e quelli di una ecces-siva immissione dell’una nell’altro e viceversa. Nel pri-mo caso non si considera che l’uomo appartiene all’uno eall’altra, e considerare l’uomo solo un suddito dello Statoè un errore perché esclude nell’opera della ricerca del-l’appagamento la Chiesa, che è sempre chiamata a difen-dere l’idea che la persona con i suoi diritti naturali è sud-dita solo a Dio, ridimensionando e circoscrivendo i limi-ti di ogni potere temporale tendenzialmente dispotico inogni forma ed età. Ma è un errore anche l’immissione del-l’uno nel campo dell’altra, poiché la Chiesa difende l’uo-mo rivendicando i valori eterni e i diritti universali, men-tre lo Stato è sempre una istituzione particolare, che di-fende prevalentemente interessi tendenzialmente organiz-zati dai partiti, necessari negli Stati costituzionali ma de-leteri se lasciati al loro destino e non orientati al bene co-mune. La vera relazione da stabilire tra Stato e Chiesa èquella dell’armonia, che prevede appunto che l’uomo è u-na unità di spirito e corpo, invisibile e visibile, che devo-no convivere e coordinarsi al fine di raggiungere la virtùe l’appagamento.

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di Markus Krienke (Lugano)La libertà della società

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1. Di nuovo sul “liberalismo sui generis” di RosminiNegli ultimi anni, è cresciuto l’interesse nel pensiero

politico ed economico di Rosmini, e precisamente nel suoconcetto di libertà. La libertà è stata analizzata nella chia-ve del suo personalismo costituzionale – la persona come«diritto umano sussistente» – e perciò in quanto è il prin-cipio basale di ogni ordinamento sociale. Questa è la rea-lizzazione della giustizia sociale. In questa chiave sonostati rilevati gli aspetti antisocialisti ed antiperfettisti diquesto liberalismo personalistico, e le istanze del liberomercato. In altre parole, il “liberalismo sui generis” diRosmini è stato considerato soprattutto attraverso quelleistanze che il Roveretano, nella sua Filosofia del diritto,tratta nella prima parte, ossia nel «diritto individuale».

È passata inosservata, invece, la dimensione socialedi questa libertà, una dimensione che non contraddice ilpersonalismo metodologico di Rosmini,ma che piuttosto lo integra e impedisce diridurlo ad un mero “individualismo meto-dologico”. In questo senso, il “liberalismosui generis” di Rosmini è piuttosto da indi-viduare nell’essere un personalismo meto-dologico. Come si lascia evi-denziare benein Rosmini, è questa la dimensione checontraddistingue il “cattolicesimo liberale”nei suoi massimi esponenti (Rosmini,Tocqueville, Lord Acton, Sturzo), anchenei confronti dei padri protestanti dell’eco-nomia sociale di mercato. Sarebbe da ana-lizzare in uno studio apposito di quali dif-ferenze si tratta, e soprattutto che certa-mente non si può parlare di una contrappo-sizione di esclusione reciproca. Proba-bilmente è necessario collocarli insieme inun quadro complessivo che solo nella somma delle suevarie dimensioni e sfumature diventa una prospettivacompleta e sufficientemente complessa.

La seguente analisi mira a rilevare, in due cenni bre-vissimi, la dimensione liberale nella seconda parte dellaFilosofia del diritto, ossia nel «diritto sociale». Questocompito costituisce la cartina di tornasole del liberalismo

rosminiano: si evidenzierà come l’idea rosminiana di so-lidarietà viene pensata radicalmente come libertà e chesolo con questo argomento si completano concettualmen-te l’antisocialismo e l’antiperfettismo di Rosmini. Nel re-cupero della dimensione della solidarietà, il personalismoliberale di Rosmini dimostra inoltre la sua rilevanza pro-prio per la discussione intorno al liberalismo oggi: infat-ti, se la enciclica sociale Caritas in veritate non costitui-sce un’antitesi al liberalismo, ma se invece è possibile u-na sua interpretazione liberale, allora si scopre anche inessa un’operazione paragonabile, ossia la focalizzazionedelle relazioni costitutive di solidarietà della persona, ba-

se e linfa vitale della società civile. Proprio inquesta prospettiva, uno sguardo sul Dirittosociale di Rosmini ci può dare un contributoimportante per la conferma che – come in o-gni crisi – anche in questa attuale le tendenzee voci “statalistiche” riemergono. Per fronteg-giarle bisogna ripensare le categorie di “socie-tà” e “solidarietà” in chiave liberale. Proprioquesto, come si vedrà, è il tema del Diritto so-ciale della Filosofia del diritto di Rosmini.

2. La libertà nel Diritto sociale di RosminiIl Diritto sociale, suddiviso in una parte

generale e una parte speciale, tratta in que-st’ultima di tre «società necessarie alla per-fetta organizzazione del genere umano» (FDII, 483). Interessandosi in modo molto conte-nuto per le associazioni che nascono dalla

spontanea attività dei cittadini, e distanziandosi da qua-lunque forma di corporativismo, Rosmini analizza innan-zitutto le istituzioni necessarie in cui la persona si concre-tizza: ossia società teocratica, domestica e civile. Con lateoria delle tre società Rosmini evita non solo di ridurre ilfenomeno sociale alla pura volontà individuale, ma anchedi ipostatizzarle in maniera metafisica (neotomismo) o

Perché tornare a Rosmini

La dimensionesociale dellalibertà non

contraddice ilpersonalismo

metodologico diRosmini, ma

piuttosto lo integrae impedisce di

ridurlo ad un mero“individualismometodologico”

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statale (socialismo). Questo perché egli concepisce i tretipi di società fondamentali a partire dalla persona, stabi-lendo così il criterio etico-sociale per una teoria liberaledelle associazioni o della società. Gli elementi fonda-mentali di questa teoria sono la sussidiarietà (2.1) e lasolidarietà (2.2).

2.1 La libertà d’associarsi in società oneste e religioseLa struttura necessariamente sociale della libertà si e-

sprime innanzitutto nelle critiche che Rosmini indirizzaalla concezione francese in quanto essa la ridurrebbe uni-camente alla dimensione individuale, non concependoche la più preziosa componente della libertà sarebbe lasua realizzazione sociale: rifacendosi ad un intervento diGuizot, Rosmini si lamenta che «egli si fa il sostenitore ditutte le libertà individuali, e non s’accorge punto, che lalibertà d’associarsi in società oneste e religiose, ch’eglivulnera sì profondamente col suo discorso, è appunto unadelle più preziose libertà individuali» (FD II, 483). Si no-ta subito che Rosmini qui non parla di “associazioni” inquanto tali, come fa ad esempio Tocqueville a cui Ro-smini si ispirò massimamente. Invece, il Roveretano ri-vendica contro la Rivoluzione francese espressamentel’esistenza dei gruppi religiosi. Anche nella Filosofia del-la politica cita ampiamente Tocqueville per quanto ri-guarda la critica alla «tirannia della massa» come rischioe conseguenza del liberalismo individualistico degli ideo-logues, ma significativamente non fa neanche un cennoalla sua famosa dottrina delle associazioni come corpi in-termedi che caratterizzano la società civile americana.Probabilmente Rosmini teme che essa potrebbe esserefraintesa in Europa come un corporativismo che alla finenon si basa più sul principio della persona, giovando in-vece al dispotismo.

A questo punto si evince l’aspetto centrale del libera-lismo rosminiano nel fatto che nella società cristiana lapersona si costituisce non nella sua dimensione naturalené in quella sociale, ma precisamente nella sua relazionealla trascendenza, per cui l’elemento personale è il “divi-no nell’uomo” e costituisce solo in questo modo la suavera libertà. Per questo, secondo Rosmini, le singole as-

sociazioni religiose, i gruppi, ordini e tutte le realtà di vitacristiana, che confluiscono nella società necessaria che èla società teocratica ossia Chiesa, svolgono un ruolo eticonella società: sono quella garanzia della libertà umanache a sua volta non può essere garantita dall’organismopolitico, perché precede qualsiasi forma sociale. Il ruoloetico – non strettamente religioso – dei gruppi religiosiconsiste nella difesa della dignità umana. Per questo, Ro-smini ricava in essa una dimensione universale che tra-scende la specificità della fede cristiana, perché tratta diquell’elemento primordiale di libertà che caratterizza o-gni uomo e che forma di tutti gli uomini, universalmentee globalmente, la «società del genere umano». In quantoespressione visibile della «società del genere umano», perRosmini la società teocratica è la prima e fondamentalesocietà in quanto non è frutto di un costruttivismo socia-le ma è collocata nella natura umana stessa, rivelandosicosì l’espressione più autentica della dignità umana.

Rivendicando allora il diritto dei gruppi religiosi con-tro Guizot, Rosmini rivendica la libertà nella sua realizza-zione sociale, ossia la sua garanzia al di là di qualsiasigruppo o associazione a livello sociale. Questa libertà è ildiritto originario della persona, è il «diritto umano sussi-stente» (FD I, 49), il principio dell’ordinamento giuridi-co. In quanto tale, essa non viene garantita e difesa sol-tanto dai diritti personal-liberali, come Rosmini precisanella prima parte della Filosofia del diritto, ma anche dal-l’ordinamento sussidiario delle istituzioni sociali.

2.2 Solidarietà e bene comune nella società civileCome la società teocratica, anche la società domestica

(la famiglia) è radicata nella libertà originale della perso-

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Perché tornare a RosminiLa libertà della società

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na: mai individualisticamente riducibili, come le strutture(istituzioni) etico-sociali fondamentali danno la base aqualsiasi forma di società. Rispetto ad esse, la società civi-le non è collocata allo stesso livello, in quanto si rapportaa queste due prime società solo in modo sussidiario. Senzaquesta distinzione categoriale, Rosmini metterebbe arischio il suo liberalismo fondamentale: la società non staallo stesso livello dell’individuo e delle sue prime realiz-zazioni sociali («società oneste e religiose», «famiglia»).

Rosmini concorda quindi con il liberalismo nel rico-noscere, come elemento costitutivo della società, la liber-tà individuale che, in quanto tale, non può essere sostitui-ta da nessuna istituzione sociale, perché è criterio di que-ste ultime. Allo stesso momento, Rosminievita la deriva individualistica del liberali-smo, criticando la riduzione dell’ambito so-ciale alla pura somma degli individui in es-so viventi, cioè alla garanzia della «libertàesteriore». Una tale concezione di societàcivile appare “vuota” perché al di là dell’in-dividuo esiste soltanto un’amministrazioneminimale – uno Stato “guardiano notturno”– che si riduce alla tutela dei meri diritti in-diviudal-liberali. Ma tale concezione re-stringe, secondo Rosmini, «troppo il fineprossimo della civil società». Per il Rove-retano, che è un autentico liberale perchéparte originariamente dalla persona, la li-bertà ha anche una dimensione sociale enon soltanto individuale: essa realmente ac-cresce la libertà individuale di ciascuno (FD II, 1604-1610). Tradurre questa dimensione di libertà – che anco-ra non è la “libertà positiva” – in un assetto costituziona-le, significa per Rosmini realizzare la giustizia sociale. Ilsignificato di questo termine non può quindi essere ricon-dotto alla sua pura dimensione individualistica. Così sifraintenderebbe anche lo stesso costituzionalismo rosmi-niano.

Come si può descrivere meglio questa libertà dellasocietà che individualisticamente non si può realizzare?Per Rosmini essa consiste nell’«appagamento costante

dell’animo». Ma subito egli precisa che questo «appaga-mento» è sempre l’appagamento dell’individuo, non dellasocietà. Esso trascende l’individuo, ma non per questo lasocietà acquisisce qualche precedenza: infatti, se esso nonè il risultato dell’«efficacia della volontà» (FP p. 203s.),perché si tratta del fine remoto dell’esistenza umana, allo-ra a maggior ragione nessuna associazione può avere que-

sto appagamento come fine immediato, bensìsolo come «fine remoto». Se ne evince cheRosmini, parlando delle associazioni e diqualsiasi società a livello civile, innanzituttoprecisa che esse non precedono l’uomo nelladigni-tà, perché il «fine remoto» è il fine piùproprio della persona, non una prerogativadella società.

Ma al di fuori di questo «fine remoto» e-sistono anche i «fini prossimi» che riguarda-no quella necessità dell’uomo di associarsiche non è una “necessità” della persona madella natura umana (utilità). Ma se l’ultimo«fine remoto» si trova nella persona, alloraanche la società civile e le associazioni fannoin ultima analisi capo non allo Stato, ma allapienezza e al supremo modo dell’appaga-

mento della persona che è il suo valore supremo. Si con-ferma un’ulteriore volta la dimensione sussidiaria dellaconcezione rosminiana.

La società civile si può considerare il prototipo di tuttequeste associazioni a livello civile – che sono quindi nonquelle religiose – il cui «fine comune» è l’appagamento: la«natura generale dell’associamento» (FP p. 205). Rosminisottolinea, che a livello non costitutivo della persona, madell’utilità sociale – che è pure una “necessità” – la volon-tà umana cerca la «comunione e solidarietà». La solidarie-tà, per Rosmini, «unifica, e così associa fra loro diverse

Nella societàcristiana lapersona si

costituisce nonnella sua

dimensionenaturale né in

quella sociale, maprecisamente nellasua relazione alla

trascendenza

Perché tornare a RosminiLa libertà della società

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volontà». Infatti, alla base di ogni società sta il fatto che«più volontà cospirino in un fine congiuntamente», e que-sto fenomeno Rosmini lo chiama solidarietà (FD II, 36s.).Tale «cospirazione» presuppone però sempre la consape-volezza di ogni singolo e quindi non può mai essere impo-sta scavalcando i diritti individuali della persona: l’«attodunque che forma la società è un complesso di atti con-temporanei e consenzienti della volontà di più persone, lequali pongono in comunione qualche cosa: questo com-plesso d’atti, la pluralità delle persone, la cosa che essepongono in comune; ecco i soli elementi, le condizioni es-senziali della società» (FD II, 49).

3. ConclusioneAl fondamento del socialismo e dello statalismo Ro-

smini enuclea una libertà concepita in modo astratto-indi-viduale. Al contrario, egli evidenza che solo una libertàche è personalisticamente compresa e si esprime a livelloprimordiale rispetto allo Stato come realizzazione dellapersona – cioè per Rosmini in gruppi religiosi e nellafamiglia – può assicurare la base per la realizzazione dellalibertà. Il Cristianesimo, così Rosmini, si rivolge innanzi-tutto alla persona e quindi a questi primi due tipi di socie-tà: attraverso esse, rinnova la persona e produce l’elemen-to basale di qualsiasi società liberale, il «soggetto de’diritti» (FD II, 493, 496). Rosmini lo difende non solo nelsuo aspetto individuale, ma anche sociale. Quest’ultimadimensione è importante per non perdere sul versante so-ciale la libertà guadagnate sul versante individuale.

Per questo Rosmini è molto critico per quanto alle as-sociazioni intermedie collocate nella società civile: se

non si considera il necessario carattere sussidiario di que-st’ultima, allora si sfocia in un corporativismo che inde-bolisce il principio di persona e quindi distrugge la liber-tà della società. Rosmini concepisce la società civile co-me “società necessaria”, in quanto espressione della soli-darietà umana, ma sottolinea il suo mero carattere sussi-diario. In questo senso, egli delinea un modello giuridico-concreto di come realizzare quella necessaria congiunzio-ne tra sussidiarietà e solidarietà nella quale l’ultima enci-clica sociale Caritas in veritate ha identificato la chiaveper il tema d’attualità della Dottrina sociale della Chiesache è la “società civile”.

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Perché tornare a RosminiLa libertà della società

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Il libro di Muscolino: Persona e mercato. I liberalismidi Rosmini e Hayek a confronto (Rubbettino, 2010), siprefigge l’arduo compito di un originale confronto traAntonio Rosmini-Serbati e l’economista austriaco, pre-mio Nobel per l’economia nel 1974, Friedrich Augustvon Hayek, nella prospettiva di mostrare una serie di pa-rallelismi concettuali, pur senza cadere nella tentazionedel riduzionismo. Osserviamo che a partire da tale con-fronto si delinea una sorta di “personalismo liberale” ov-vero “liberalismo personalistico” di matrice tipicamenterosminiana tanto nelle sue istanze autenticamente libera-li, quanto nella sua portata morale-religiosa. Rosmini rie-sce ad integrare questi due momenti, che in Hayek riman-gono volutamente e metodo logicamente distinti, senzaper questo pregiudicare le ragioni del liberalismo e conesso le ragioni della libertà della singola persona.

Anticostruttivismo ed antirazionalismo sono senz’al-tro le prospettive teoriche nelle quali le posizioni dei no-stri due autori incrociano un possibile punto di incontro.Muscolino mette opportunamente in eviden-za questi elementi teorici e li collega allaprospettiva liberale tipicamente anglosasso-ne, in netta contrapposizione con la pro-spettiva liberal-democratica, altrettanto tipi-ca di un certo costruttivismo che ha caratte-rizzato l’esperienza liberale di matrice con-tinentale, la cui direttrice giunge fino allaRivoluzione Francese. Invero, sia Hayek siaRosmini denunciano i rischi di una derivadispotica insita nei processi democratici,qualora risultassero assolutizzati, sacralizza-ti. In pratica, qualora non fossero sottoposti ai principi disussidiarietà e di poliarchia, ovvero qualora li percepissi-mo in termini hobbesiani come sciolti dalla complessarete di pesi e di contrappesi istituzionali ed etico-cultura-li, così come Tocqueville aveva fatto notare nella suaDemocrazia in America, opera ben presente nelle rifles-sioni dei nostri due autori.

Dal coraggioso e pressoché inedito confronto tra Ro-smini e Hayek compiuto da Muscolino risulta evidentecome il primo riesca nella complessa operazione di difen-dere normativamente il liberalismo, al punto da indivi-duare proprio nella dimensione normativa il primo esitodella costruzione personalistica del liberalismo. Ecco,allora, che Rosmini rinvia direttamente alla sua antropo-logia, in forza della quale la dimensione personale è ri-conducibile all’intuizione dell’idea dell’essere, pernocentrale del pensiero rosminiano. Tale istanza “trascen-dente” dell’uomo avrebbe il merito di instillare nei pro-cessi economici e politici un peculiare elemento di “rot-tura” ed un fattore di “disturbo”, che strutturalmente eproceduralmente agirebbero come possibili efficaci anti-doti contro il veleno del perfettismo ed introdurrebberonei processi politici ed economici la questione normativadella dignità dell’uomo. È in questa prospettiva teoricache ritroviamo il fondamento della verità e della giustizia,le quali, se analizzate nelle loro espressioni storiche, de-vono necessariamente fare i conti con le istituzioni socia-li, al pari di altre categorie, quali ad esempio l’“utile” e il“minimo mezzo”, categorie imprescindibili della dimen-

sione sociale. In altre parole, si possono rin-tracciare già in Rosmini alcuni principi poli-tico-economici di matrice teorica antico-struttivistica, antiperfettista e fallibilista, ti-pici del percorso teorico di un altro gigantedel pensiero sociale cattolico di improntaliberale come don Luigi Sturzo. Si tratta diprincipi quali la “solidarietà” e la “sussidia-rietà”, reinterpretati in chiave antiperfettista(in questo senso annoverabili tra i principicardine del liberalismo), in quanto presuppo-sti dell’ordinamento politico-economico che

ha come perno teorico il “personalismo metodologico” ecome criterio normativo la trascendente dignità della per-sona umana. Risulta interessante come proprio questadimensione personalistica in Rosmini appaia riconducibi-le all’istanza trascendente dell’idea dell’essere e consen-ta alla nozione di “relazione trascendente” di rappresenta-re il fondamento della persona umana. Bisogna tuttavia

Perché tornare a Rosmini

di Flavio FelicePersona e mercato. I liberalismi di Rosmini e Hayek a confronto

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Perché tornare a Rosmini

Sia Hayek siaRosmini

denunciano i rischidi una deriva

dispotica insita neiprocessi

democratici

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sottolineare che tale fondamento di natura antropologicanon si traduce ancora e di per sé in alcuna specifica reli-gione – invero, l’idea dell’essere rimane una pura istanzaideale-universale. È interessante notare che la stessadimensione personalistica, come si è già scritto in ordineai rischi insiti nell’assolutizzazione e nella sacralizzazio-ne del processo democratico, è presente in Tocquevillenella misura in cui il sociologo francese esprime l’istanza“religiosa” dell’individuo come fondamento delle suelibertà civili e, conseguentemente, la libertà religiosa co-me prima e fondamentale forma di libertà.

Base del pensiero rosminiano è senz’altro il suo costi-tuzionalismo, il quale è già stato descritto da Muscolinoin un suo studio precedente. È nel confronto con Hayek,tuttavia, che si evince la fondamentale importanza, inquanto è tramite il costituzionalismo che Rosmini riesce,a dispetto del suo anticostruttivismo e antisocialismo, adinserire il principio della “giustizia sociale” come criterionormativo a livello sociale. Hayek, come sappiamo, insintonia con il suo radicale individualismo metodologico,si trova nelle condizioni di dover rifiutare tale concetto, inquanto gli appare “atavico”, figlio di una società tribale,ovvero “onirico”, in quanto prodotto di un “miraggio” nelquale la “great society”, la popperiana “società aperta”,non può permettersi di perdersi, pena il risucchio nelladimensione sociale clanica e tribale che nell’epoca con-temporanea ha assunto le tinte fosche e terrificanti deltotalitarismo. Secondo Hayek, la nozione di giustiziasociale è priva di contenuto, poiché l’apparato governati-vo è incapace di agire per uno scopo specifico, dalmomento che esprime la propria volontà attraverso il di-ritto che presenta le caratteristiche di astrattezza e genera-lità dei fini. Ne consegue che la richiesta verrà raccolta daalcuni membri della società che assegneranno particolariquote della produzione a vari individui o gruppi. PerHayek tale sottomissione, che ha come fine la giustiziasociale, porterà inevitabilmente alla eliminazione di quel-le condizioni indispensabili per la crescita e lo sviluppodella libertà personale. Inoltre, la nozione di giustizia so-ciale è priva di contenuto poiché non individua una con-troparte responsabile di tale stato ingiusto; in una società

aperta, in cui vige l’ordine di mercato, un evento è il risul-tato di un processo impersonale che non è né giusto néingiusto. Afferma a questo proposito Hayek: “Come in ungioco, mentre è giusto esigere di essere onesti e non im-brogliare, sarebbe assurdo chiedere che i risultati per i di-versi giocatori siano giusti”.

Ebbene, Hayek, per ragioni di ordine metodologico, èperciò fortemente intenzionato a ricondurre il principiodella “giustizia” alla dimensione individuale (ovvero per-sonale) dell’agire. Ed effettivamente, Muscolino dimostracome sarà proprio il personalismo di Rosmini – e la suaprima conseguenza: il fatto che la persona è “il diritto u-mano sussistente”, a spingere le singole persone a dar vitaad istituzioni politiche ed economiche che tentino di ri-spondere all’esigenza di risolvere problemi “sociali”; os-sia, l’agire individuale si risolve nell’edificazione di isti-

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tuzioni che hanno come obiettivo la soluzione di proble-mi sociali. Ecco, dunque, che la giustizia, in quanto virtù,è praticata dalla persona (e non potrebbe essere altrimen-ti), ma le azioni individuali si risolvono in istituzioni poli-tiche ed economiche che, nella misura in cui rispettano epromuovono la dignità umana, possono essere definiteorientate alla “giustizia sociale” ovvero contraddire que-st’ultima. In tale senso, Rosmini non cadreb-be nell’“agguato di Hayek”. Egli, in definiti-va, non compie l’errore che Hayek imputa aduna parte consistente di interpreti del pensie-ro sociale cattolico. Invero, Rosmini, citatoda Hayek nel secondo volume, intitolato Ilmiraggio della giustizia sociale, della sua o-pera Legge, legislazione e libertà, non inter-preta il principio della giustizia sociale inmodo olistico, a partire da una fantomatica“Ragion di Stato”; in pratica, non trasferiscela responsabilità dell’esercizio della virtù del-la giustizia allo “Stato”: una chiave interpre-tativa quest’ultima della giustizia sociale che Hayek ebbea definire un “miraggio” e a denunciare come “presunzio-ne fatale” – il criterio interpretativo della nozione di giu-stizia sociale in Rosmini è e rimane la persona umana. Aquesto punto possono apparire evidenti le conseguenzepratiche e le ricadute politiche di tali considerazioni ro-sminiane sull’ordinamento sociale. Un ordinamento os-servato nella sua storica concretezza e contingenza, alme-no nella misura in cui si consideri l’ordinamento socialecome un sistema complesso, all’interno del quale le sueistituzioni possono tentare di manifestare l’esigenza dirispecchiare e di favorire la libertà personale. Una libertàche non è mai astratta ed atomizzata, bensì è sempre unalibertà di, una libertà da ed una libertà per. Caratteridistinti di una libertà, tuttavia intesa come esperienza esi-stenziale integrale, individuale e indivisibile, caratteri iquali, affinché si concretizzino nelle dimensioni storico-esistenziali nelle quali vive la persona, dovranno tradursiin libertà con, una libertà che incontra la libertà dell’altroe in forza di tale incontro il soggetto che agisce può com-piere l’esperienza dell’autocoscienza – dei propri limiti edelle proprie potenzialità.

Tale assetto della costituzione comporta alcuni obbli-ghi di giustizia da parte dello Stato che Hayek spiega conragioni storiche ed argomenti funzionalistici. Ragioni ed

argomenti che ad alcuni sono parsi e possono continuaread apparire legittimamente deboli ed insufficienti sotto ilprofilo di un’adeguata antropologia cristiana, eppure sirivelano così concreti e rigorosi per comprendere le dina-miche di una società aperta – e questo è un punto che nonandrebbe sottovalutato proprio da coloro che hanno acuore la tensione al “bene comune”.

Coerentemente Hayek, in forza delrigore del suo impianto metodologico, nonvuole giustificare alcuni obblighi che loStato ha nei confronti dei cittadini se nonricorrendo alla logica strumentale, non e-scludendo peraltro, anzi favorendo, la solu-zione rosminiana ed in seguito sturziana enovakiana di un’interpretazione della giu-stizia sociale fondata sul principio di sussi-diarietà orizzontale. Ad ogni modo, Ro-smini, opportunamente, ricorre in modo e-splicito all’ambito del “bene comune” esembrerebbe anticipare quanto affermato

da Benedetto XVI nella sua enciclica Caritas in veritate.Nel contesto problematico della promozione per via isti-tuzionale della dignità umana, all’interno del costituzio-nalismo rosminiano, si deve considerare il fondamentalee lungimirante contributo di Ro-smini in ordine alla rea-lizzazione di “Tribunali politici”, ossia, delle corti indi-pendenti atte a giudicare la costituzionalità, ovvero lacoerenza con la “giustizia sociale” delle forze politiche.

Proprio per la loro stringente attualità, in un’epoca diprofonda crisi economica, politica e legale, giudico i pa-ragrafi sul costituzionalismo un contributo preziosissimodi Muscolino non solo agli studi rosminiani ma ancheall’analisi del liberalismo, inteso come teoria dell’ordinepolitico, una teoria politica della contingenza.

Merita una particolare attenzione ed un favorevoleapprezzamento anche l’ultimo capitolo con il quale l’au-tore riflette sulla concezione rosminiana di “filosofia cri-stiana”. Innanzitutto, Muscolino sottolinea che quando siriflette sulla “modernità”, con riferimento al pensiero po-litico o anche giuridico, ci si basa spesso su una definizio-ne non necessariamente univoca di “modernità”. Si pensialle legittime, ma non per questo sempre condivisibili,interpretazioni che al termine “modernità” hanno datoalcune componenti laiciste ed antireligiose del pensierocontemporaneo, le quali hanno letto la modernità come

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Il criteriointerpretativo

della nozione digiustizia sociale in

Rosmini è erimane la persona

umana

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abbandono, ovvero rifiuto e rigetto della dimensione reli-giosa (cristiana). Dal canto suo, Muscolino ha evidenzia-to come il liberalismo, per Rosmini, non è una concezio-ne culturalmente “indifferente” o eticamente neutra, bensì“neutrale” ovvero imparziale che valorizza il primatodella coscienza, dunque, con essa apprezza la dimensionetrascendente in quanto fondamento della persona. Questanon lede le libertà civili a livello sociale, bensì le fonda,le offre le ragioni etiche (oltre che logiche) e le difendecontro il pericolo del positivismo (la logica verificazioni-sta le cui ricadute sociali sono identificabili nel “perfetti-smo”) politico e giuridico che con il suo indifferentismoetico rischia di trovarsi del tutto impreparato e di-sarma-to di fronte alle minacce del fondamentalismo. Un fonda-mentalismo che mina alle radici in primis i cosiddetti “sa-cri principi laici”, quei principi che, pur non essendo laBibbia (se sono laici devono essere il prodotto di una con-venzione e la convenzione è ex definitione storica e con-tingente), meritano di essere tenuti in altissima considera-zione, in quanto espressione istituzionale del migliorrisultato possibile che uomini fallibili ed ignoranti sonoriusciti ad ottenere, passando per le vette e gli abissi dallaconcreta esperienza storico-politica. Non a caso con ilTocqueville, Rosmini sottolinea che la “libertà religiosa”non è semplicemente una conseguenza, quanto piuttostola base delle altre libertà fondamentali. Ed in Rosmininon sarebbe potuto essere diversamente, in quanto il con-cetto di “libertà” di Rosmini non è un concetto indifferen-te, eticamente debole ed astratto, bensì “forte” poichéfondato su quanto di più concreto e storico ci sia sullaterra: la persona. A tal proposito, scrive Muscolino: “conla definizione della persona come diritto sussistente Ro-smini si fa difensore di una opzione giusnaturalistica cheoggi appare come l’unica in grado di resistere alle obie-

zioni positivistiche”. Dato che lo stato, come ha eviden-ziato Böckenförde, non può “produrre” o “garantire” talefondamento, è il costituzionalismo secondo la giustiziasociale a realizzare la sintesi della libertà con la dignitàpersonale. Perciò, posso solo concordare con la conclu-sione del nostro autore: “il liberalismo è tale solo quandoè personalistico cioè quando le persone concrete sono ilvero fine della convivenza organizzata”. Una conclusioneche incontra la ricca tradizione del cattolicesimo liberalee sembrerebbe far eco ad un noto brano dell’economistatedesco Wilhelm Röpke: “il liberalismo non è [...] nellasua essenza abbandono del Cristianesimo, bensì il suo le-gittimo figlio spirituale, e soltanto una straordinaria ridu-zione delle prospettive storiche può indurre a scambiare illiberalismo con il libertinismo. Esso incarna piuttosto nelcampo della filosofia sociale quanto di meglio ci hannopotuto tramandare tre millenni del pensiero occidentale,l’idea di umanità, il diritto di natura, la cultura della per-sona e il senso dell’universalità”. In definitiva, “Che co-s’è il liberalismo?”, si domanda Röpke: “Esso è umanisti-co. Ciò significa: esso parte dalla premessa che la naturadell’uomo è capace di bene e che si compie soltanto nellacomunità, che la sua destinazione tende al di sopra dellasua esistenza materiale e che siamo debitori di rispetto adogni singolo, in quanto uomo nella sua unicità, che civieta di abbassarlo a semplice mezzo. Esso è perciò indi-vidualistico oppure, se si preferisce, personalistico”.

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Antonio Rosmini oggi viene comunemente consi-derato, accanto all’amico Alessandro Manzoni, un padrenobile del catttolicesimo liberale. Ai suoi tempi più che“cattolico liberale” veniva definito “liberale moderato”.Dopo la sua morte, la sua apertura alle democrazie libera-li venne a costituire come una scuola politica, al puntoche nei vocabolari italiani alla voce “prete rosminiano”seguiva la seguente definizione: “prete dotto, liberale,austero, pio, non intransigente”. Una definizione chesegnalava, al tempo stesso, sia la stima universale per ilsuo contributo politico, sia la integrità intellettuale etica ereligiosa della sua testimonianza.

Ma in cosa consiste il suo “liberalesimo”?Anzitutto, se si vuole partire da molto lontano, nel

ricupero, all’interno del mondo cattolico, di quella virtùdella “liberalità” che Tommaso d’Aquino aveva mutuatada Aristotele. Rosmini è “liberale” nel sensoche si mantiene benevolmente “aperto” egeneroso nel condividere, nel pensare e nelvivere, tutti i fermenti sani della modernità.Parlare e trattare con lui, nello scritto e nellavita, voleva dire incontrare un uomo prontoad ascoltarti ed a riconoscere le tue ragioni,alieno da ogni forma di bigottismo o di chiu-sura mentale, disponibile a pensare ed agire“in grande”. Egli è un promotore e distribu-tore di sostanze materiali intellettuali e spi-rituali recepite e date con profusione, senzagrettezze o pregiudizi. Da qui la sua notoriabenevolenza, la sua partecipazione fattivaad iniziative di vasto respiro, il suo comuni-care con tutti gli spiriti aperti del tempo. Unmodo di dimostrare coi fatti che il cattolice-simo poteva benissimo convivere con ilnuovo spirito liberale senza tradire, anzi rafforzando ivalori religiosi.

Nel campo specifico della politica, poi, egli è, insie-me, liberale e cattolico, perché ha intravisto degli elemen-ti interessanti per lo stesso mondo cattolico nelle sorgen-

ti democrazie liberali. La sua visione al proposito lo faemergere come uno dei pochissimi spiriti cattolici chehanno reso giustizia alla modernità, senza lasciarsi travol-gere o invischiare nei vizi della modernità.

Egli cioè si accorse presto che nei nuovi movimentipolitici, ispirati dall’illuminismo e dalla rivoluzione fran-cese, giaceva un seme che non poteva essere se nond’ispirazione cristiana, evangelica. Questo seme sano,che costituiva come la radice portante di tutte le democra-

zie liberali, consisteva nel venire a galla,cioè a livello di coscienza di tutta la popola-zione, il principio del valore della persona u-mana.

Come Rosmini dirà nella Filosofia deldiritto, le democrazie partivano dal presup-posto che la persona non solo possiede ildiritto, ma è essa stessa il diritto, si identifi-ca col diritto. Per cui il governo politico, e lalegislazione che esso produrrà, dovrà ruotaresempre attorno alla persona come al centrodi ogni valore. E questo è un concetto evan-gelico che giustifica le tre parole d’ordinedella rivoluzione francese: libertà, ugua-glianza, fraternità. Direi di più: solo in ambi-to cristiano potevano nascere le democrazieliberali, e solo in quest’ambito si poteva spe-rare che esse potessero mantenersi forti e

prospere.Riconoscere che la persona è il diritto, significa che

d’ora innanzi la legislazione dovrà fondarsi non più sullatradizione o sulla nobiltà o sulla ricchezza, ma sul valoreintrinseco di cui è portatore ogni individuo. Per cui diven-

Perché tornare a Rosmini

di Umberto MuratoreRosmini cattolico liberale

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Perché tornare a Rosmini

Rosmini è“liberale” nelsenso che si

mantienebenevolmente

“aperto” egeneroso nel

condividere, nelpensare e nelvivere, tutti i

fermenti sani dellamodernità

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Perché tornare a RosminiRosmini cattolico liberale

ta primario puntare sul rispetto e quindi sulla libertà chel’individuo può sprigionare dal suo interno. Lo Stato avrànella intelligenza e nella volontà dei suoi cittadini il pri-mo capitale da proteggere e promuovere, la sua originariaricchezza, sulla quale accumulare gli altri generi di ric-chezza. Promuovere la persona significa favorire lo spri-gionarsi di tutte le potenzialità positive insite nell’indivi-duo, favorire la perfezione della persona umana, perfezio-ne che a sua volta è la spinta naturale spontanea in ogniindividuo.

Se però questo era il seme sano delle democrazie libe-rali, bisognava stare attenti a tutte quelle forme di culturache avvelenavano il seme con teorie mascherate di libera-lesimo. Ora, per Rosmini imperversavano ai suoi tempi

forme di democrazia che non promettevano nulla dibuono, perché tenevano questo seme come un bambinonell’acqua sporca. Bisognava dunque purificare il concet-to di libertà da quelle libertà che Rosmini chiamava “ba-starde”, cioè illegittime.

Bisognava ad esempio chiarire molto bene cosa siintendeva per “persona”. Teorie come quella della volon-tà generale (Rousseau), dell’uomo generale (Marx), delloSpirito Assoluto (Hegel) solo in teoria promuovevano ilrispetto per l’uomo. Infatti l’uomo che essi avevano inmente di costruire era un modello astratto, ideale, ricava-to da teorie costruite a tavolino. Invece per Rosmini lapersona da rispettare era l’individuo concreto, in carne edossa, con i suoi limiti e le sue imperfezioni, il povero cri-sto che ci troviamo ogni giorno davanti. Le democrazieche sposavano la prima concezione di uomo finivano conuna contraddizione lampante: in nome di un uomo ideale,che non esisteva nella realtà, uccidevano o facevano sof-frire gli uomini reali. Robespierre, scrive Manzoni in undialogo dedicato a Rosmini (Dialogo dell’invenzione),mandava alla ghigliottina tutte le persone che non corri-spondevano al suo ideale di cittadino (ideale che egliaveva preso da Rousseau). Le cattive teorie della personafavorirono il costituirsi dei movimenti politici che in se-guito passarono sotto il nome di democrazie totalitarie.Tutte le ideologie del Novecento caddero in questa trap-pola: sono partiti dalla celebrazione dell’uomo, per poiapprodare al soffocamento delle persone. Basti ricordareil fascismo, il nazismo, il marxismo, il maoismo.

Un altra incoerenza che Rosmini trovava nel liberali-smo del suo tempo era la confusione tra diritto di libertàe abuso del diritto di libertà. Ogni diritto per lui trovava illimite, ma anche la garanzia di legittimità, nel dovere dalquale nasceva. Voglio dire che per lui la libertà del singo-lo rimane legittima se sa stare entro i confini del lecito. Seinvece per libertà si intende il diritto di fare ciò che sivuole, svincolato da ogni limite etico, allora non si puòpiù parlare di diritto ma di abuso, licenza, arbitrio.

Altra mina vagante delle democrazie liberali del tem-po era la convinzione che lo Stato fosse assoluto, cioèsciolto da ogni vincolo di legge ad esso precedente, come

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le leggi di natura e di ragione e i diritti insiti nell’indivi-duo e nella famiglia. Il diritto alla verità, alla virtù ed allafelicità della persona, come i diritti di sposarsi e di asso-ciarsi sono valori che precedono lo Stato e quindi devonosolo essere da esso riconosciuti e protetti. Lo Stato abusadel proprio diritto, e non è liberale, quando voglia sovrap-porsi a questi diritti e presuma di poterli concedere onegare, mentre dovrebbe limitarsi solo alla loro efficace epacifica amministrazione. Uno Stato che creda di poterlegiferare su tutto si arroga l’onnipotenza di Dio, è mina-to dalla malattia del “perfettismo”, finisce inevitabilmen-te col far soffrire i suoi cittadini e col far loro subire ingiu-stizia.

Ancora illiberale è lo Stato che non lasci alla Chiesa lalibertà di muoversi, oppure che protegga la Chiesa per gio-varsene o snaturarla. La Chiesa non chiede né privilegi, néprotezioni, ma chiede allo Stato soprattutto di essere libe-ra di trasmettere con fedeltà il messaggio spirituale ad essaaffidato. Chiede di essere libera nel suo Capo visibile(c’era ancora il diritto imperiale di veto sull’elezionepapale), nei suoi vescovi (vescovi e sacerdoti erano ingran parte di nomina regia), nel comunicare tra i suoimembri, nella predicazione al suo popolo. Solo in questomodo essa diventa utile agli Stati. E’ strano, commentaRosmini, che tutti chiedano libertà (per la coscienza, per lastampa, per i popoli, ecc.), e solo per la Chiesa si continuia negare tale diritto. Se Gesù stesso ha dato alla Chiesa lamissione di predicare e di insegnare, perché vincolare talediritto-dovere con leggi e prescrizioni di ogni genere?

Gli inconvenienti delle nascenti democrazie liberali,il loro rischiare di continuare ad essere illiberali e dispo-tiche sotto la maschera della libertà, ha origine nello spi-rito delle “costituzioni alla francese” nate dalla nota rivo-luzione. Qui si era affermato che tutto il potere viene dalpopolo (cioè dal parlamento che lo rappresenta), capovol-gendo il principio delle monarchie assolute che tutto ilpotere viene dall’alto (cioè dai monarchi). Il capovolgi-mento non faceva altro che trasmettere, spostandolo, ilprincipio del dispotismo. Mentre la verità che le nuovedemocrazie dovevano portare avanti consisteva nel prin-cipio che tutto il potere, e quindi tutti i diritti, venivano daDio, il quale li scriveva prima di tutto nel cuore e nellaragione di ogni singola persona umana.

Per ovviare agli inconvenienti delle nuove democra-zie, Rosmini suggeriva di creare costituzioni nuove, non

succubi di quella francese, nelle quali venissero celebratii diritti della natura e della ragione umana e garantisseroalla persona la libertà in tutta la sua ampiezza, ma anchein tutta la sua legittimità. Una libertà integra, ma anchepurificata dagli eccessi opposti del dispotismo e del liber-tarismo o abuso di libertà. Allora avremo una libertà cheal tempo stesso si realizza nella giustizia. E perché la giu-stizia fosse mantenuta agile ed efficiente Rosmini propo-neva l’istituzione di “tribunali di giustizia”, cui affidare ilcompito di vigilare nei rapporti tra il cittadino ed il pote-re politico.

Lo Stato che promuove la libertà nella giustizia hamaggiori probabilità di altri Stati che il suo popolo, purnei limiti contingenti che segnano il passare delle stagio-ni e delle forme politiche, cresca in benessere temporalee spirituale ed in consenso interiore.

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Perché tornare a RosminiRosmini cattolico liberale

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Presento, anzitutto, in estrema sintesi, alcuni dati.Successivamente cercherò di approfondirne il significatoper avanzare qualche proposta.

Alcuni datiIniziamo dai gestori. Il dodicesimo rapporto sulla

Scuola Cattolica in Italia (2010), A dieci anni dalla leggesulla parità, pubblicato dal Centro Studi Scuola Catto-lica, documenta: «Il sistema complessivo delle scuoleparitarie è decisamente squilibrato verso il basso, con lascuola dell’infanzia che incide per oltre il 70%, mentrenegli ordini successivi di scuola si nota la scarsissima in-cidenza della secondaria di 1° grado (meno del 5%).Quanto alla varietà degli enti gestori si deve notare chepiù di un terzo del totale è un gestore laico (ente locale oprivato), mentre le scuole formalmente cattoliche supera-no appena il 45%, con una loro presenza ancora forte nelprimo ciclo dell’istruzione, ma con un’incidenza minoretra le scuole dell’infanzia. Si può infine osservare cometra le scuole secondarie di 2° grado i gestori laici preval-gano di gran lunga (quasi due terzi) su quelli di matricecattolica, evidenziando la diversa dinamica di questolivello scolastico, dove il ricorso alla scuola paritaria puòessere dettato dalla ricerca di un rimedio agli insuccessiincontrati nella scuola statale» (pp. 135-136).

Vediamo il numero di scuole. Nel Quaderno dellaDirezione Generale per gli Studi, la Statistica e i SistemiFormativi, dal titolo La scuola in cifre 2008, si legge chesono «in aumento le scuole paritarie» (p. 24): «Il sensibi-le calo demografico dell’ultimo decennio, riducendo laplatea degli alunni, ha avuto un evidente riflesso sull’of-ferta del servizio scolastico che, in termini di sedi scola-stiche, ha visto la riduzione di oltre 4.000 unità dall’A.S.1996/97. Negli ultimi anni il trend in diminuzione mostratuttavia un rallentamento con un numero di sedi scolasti-che, statali e non statali, che si attestano intorno alle 57mila unità. Considerando i diversi livelli scolastici, si ri-scontra una crescita, se pur in misura minima, delle scuo-le secondarie di I e II grado. Le scuole paritarie aumenta-no in tutti i livelli scolastici rispetto allo scorso anno, rag-giungendo un +2,7 in totale. Quasi il 92% delle scuole

non statali, escludendo le province di Trento e Bolzano ela Val d’Aosta, sono paritarie con un valore massimo di99% per le scuole secondarie di I grado»

Dal medesimo quaderno veniamo a sapere che «ilpercorso scolastico regolare di uno studente costa quasi129.000 euro» (p. 18).

Se portiamo lo sguardo sui dati disponibili per lescuole cattoliche, riportando sempre dal dodicesimo rap-porto sulla Scuola Cattolica (p. 137) con riferimento al2007-08, ma considerando i dati raccolti per oltre diecianni (dal 2001-02), vi troviamo: «Sono le scuole dell’in-fanzia a crescere in tutti e tre i parametri considerati [tota-le delle scuole, totale degli allievi, numero medio di allie-vi per scuola] e, in termini più precisi, di 590 scuole(+13,1%), 40.895 alunni (+15%) e 1 alunno/scuola rispet-tivamente. A loro volta, le primarie e le secondarie di 1°grado aumentano quanto a numero di studenti (+2.912 o+2,1%; +3.284 o +5.8%) e al rapporto studenti/scuole(+10,6 e + 12) mentre diminuiscono riguardo a scuole (-64 o -5,8%); -40 o 6,5%); per il periodo 2000-08 anche laFp cresce come allievi (+14.234 o + 26%) e come rappor-to allievi/Centri (+97,3), ma si riduce riguardo ai Centriosservati (-61 o -23,7%). Nelle secondarie di 2° gradol’incremento avviene solo su un parametro: più specifica-mente crescono nel rapporto studenti/scuole (+11,8),mentre calano riguardo alle scuole (-138 o 17,8%) e aglistudenti (-5.005 o -7,1%), anche se tra il 2006-07 e il2007-08 si è registrato un leggero aumento».

Per rilevare la domanda di una scuola libera, non sta-tale, mi riferirò alle recente ricerca (conclusa nell’ottobre2010) Scegliere la scuola: orientamenti e caratteristichedei genitori (presentazione a cura di Tommaso Agasisti e

Dove va la scuola libera?

a cura di Bruno Bordignon

24libertas

FFOOCCUU

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Luisa Ribalzi): «Il condizionamento economico penaliz-za molto le famiglie meno abbienti, considerazione ovviama non per questo meno grave: incrociando l’indice distatus con le scelte emerge che le famiglie che non posso-no permettersi la scuola paritaria sono il 17,4% nel livel-lo basso, e scendono a 13,3% in quello medio e a 4,1% inquello alto.

L’intreccio fra la motivazione ideologica e quellecontingenti aggiunge nuovi elementi alle nostre conside-razioni. Alla domanda su quanto abbiano pesato sullascelta di una scuola statale da un lato la convinzione chedebba esistere una scuola unica, e dall’altro i vincoli dinatura economica (rette e costi aggiuntivi), per questi ulti-mi la risposta è stata affermativa per 153 persone, pari al21,2% del campione (la coerenza fra le risposte è moltoelevata: ricordiamo che il 18,2% aveva risposto di averescluso la scuola paritaria per ragioni di tipo economico),e al 29,4% dei rispondenti, e esaminando insieme le duerisposte “penso che ci debba essere una sola scuola pub-blica uguale per tutti” e “avrei voluto scegliere la scuolaparitaria ma ho incontrato problemi/ostacoli di naturaeconomica”, vediamo che esiste una marcata differenzadi opinioni fra coloro che hanno incontrato ostacoli dinatura economica e coloro che non ne hanno: i primi pen-sano che debba esistere un’unica scuolauguale per tutti nella misura del 50,6%, peri secondi il valore sale a 67,4% (+16,8).Questo rafforza l’idea che esista una parte difamiglie, sia pure ridotta (8,4%), per cui lascuola statale non solo è una “scelta” obbli-gata, ma contrasta con le loro convinzioni.Sono le persone più gravemente penalizzatedai meccanismi di finanziamento del siste-ma scolastico».

Se, infine, intendiamo calcolare «quantorisparmia lo Stato sugli studenti che frequentano le scuo-le paritare», gli unici dati a disposizione sonodell’A.Ge.S.C. (Associazione Genitori Scuole Cattoliche,5 ottobre 2007): «Ogni riduzione in Legge Finanziaria sulsistema paritario comporta in realtà un incremento dispesa per lo Stato di oltre 10 volte la cifra risparmiata.[…] Attenendosi ai soli dati numerici esposti, si sottolineache l’entità della cifra di 6.245 milioni di Euro (oltre12.000 miliardi delle vecchie lire) che lo Stato dovrebbe

“spendere” per consentire la frequenza delle scuole stata-li agli studenti delle scuole paritarie, rende economica-mente “conveniente” per lo Stato incrementare il proprioimpegno in Legge Finanziaria a favore delle famiglie fre-quentanti il sistema paritario, così che queste non abbia-no ad iscrivere i propri figli nelle scuole statali.

Il “collasso” economico del sistema non statale, infat-ti, comporterebbe un aggravio di spesa per lo Stato equi-valente ad una manovra finanziaria. È dunque economi-camente strategico per lo Stato incrementare le risorseeconomiche affinché il sistema paritario possa sostenersie le famiglie italiane possano sceglierlo».

Il significato dei dati propostiAnzitutto dovrebbe essere documentato che la libertà

della scuola permette di diminuire fortemente la spesapubblica sull’istruzione. Se oltre a quanto documentato,aggiungiamo che, secondo Ludwig von Mises, la gestio-ne burocratica non sviluppa l’imprenditorialità, non offreun servizio di qualità e non permette il calcolo dei costi,constatiamo che la scuola di Stato non è legata a motiva-zioni di ordine economico o gestionale, ma ideologico. InItalia, poi, l’attività scolastica è attività dello Stato perso-na giuridica, nonostante tutte le dichiarazioni di autono-

mia (funzionale).Storicamente, come insegna Harvey J.

Graff, la scuola imposta dallo Stato (Fe-derico II di Prussia nel 1763; Rivoluzionefrancese nel 1792) è stata rifiutata dai genito-ri. In Svezia, invece, nel 1700 è riuscita l’al-fabetizzazione della ragazze, perché è statarealizzata in collaborazione tra parrocchie efamiglie.

In Italia, come le ricerche ormai ci docu-mentano, non solamente le scuole primarie

nello Stato Pontificio e nel Regno delle Due Sicilie eranosviluppate in tutti i comuni ed erano gratuite; non sola-mente non si è voluto investire per le scuole del Sud; mai genitori, quando si sono visti imporre le scuole governa-tive per i loro figli, le hanno rifiutate.

Il progetto statalista, prima del Piemonte (leggeBoncompagni) e, successivamente, nazionale (legge Ca-sati), è consistito nell’affermazione del concetto rivolu-zionario giacobino-rousseauiano di «nazione» che «pose

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FocusDove va la scuola libera?

La libertà dellascuola permette di

diminuirefortemente la

spesa pubblicasull’istruzione

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in una nuova prospettiva i rapporti fra politica e religione,conferendo carattere religioso alla politica e una missioneeducatrice allo Stato» (Emilio Gentile). Siamo di fronteallo Stato educatore e maestro, la forma più pericolosa diStato etico (Dario Antiseri).

Un docente, dipendente dallo stato, formato dallostato e non libero professionista, ha costituito il punto diforza delle scuole di stato, come ha documentato CharlesL. Glenn.

Anzitutto è da riconoscere che lo Stato non possiedein sé medesimo la giustificazione né della propria esisten-za né della propria attività: esso si fonda sulle persone deicittadini che sono la morale e il diritto sussistenti. In Ita-lia, a iniziare dal Piemonte, si è verificata la statizzazionedel diritto, una rivoluzione ideologica senza precedenti!Lo Stato, al contrario, non può avere alcuna visione delmondo né filosofica né religiosa: deve garantire la libertàdelle persone. Pertanto, il voler imporre, in nome delloStato, la scuola unica è un attentato contro la libertà.

Come riconoscono Popper e, soprattutto, Hayek, i va-lori non sono fondati né razionalmente né dalle leggi: di-pendono dalla responsabilità delle persone e sono svilup-pati dalle religioni e dalle famiglie. L’aver voluto esclu-dere l’esperienza religiosa dalle scuole di Stato (basti so-lamente ricordare la polemica attuale sul Crocifisso ascuola o sulla celebrazione della festa del S. Natale) e l’a-verne allontanate le famiglie, ha causato non solamente ildistacco delle scuole dalla società civile, ma anche l’at-tuale disordine valoriale.

Poiché la verità va sempre ricercata, da chiunque, cre-dente e non credente, secondo la propria coscienza, lafede cristiana mi impegna a ricercare sempre la veritàsenza mai imporre la mia fede ad altri; e per fede, a con-ferma e sostegno della mia ragione, sono convinto chel’assenso di una persona debba avvenire a livello umano,cioè alla verità conosciuta come tale e liberamente: nonsolamente è possibile, valido, decisivo il dialogo in que-sto clima, ma è da sostenere, con Alexis de Tocqueville,che «chi cerca nella libertà altra cosa che la libertà stessaè fatto per servire».

Non cerca la libertà chi intende imporre la propriaverità di fede o di ragione, in qualunque forma e sottoqualunque pretesto. Una forma diffusa e fortemente ma-

nipolatrice delle coscienze è la scuola di Stato, sia essaimposta per sostenere un’educazione religiosa o laica.Non è certamente liberale la posizione di A. Thiers di so-stenere che «assimilare la libertà di insegnamento aglialtri diritti individuali sanzionati dalla Rivoluzione fran-cese è procedimento falso e pretestuoso: quando è in cau-sa la formazione delle giovani leve della nazione, le liber-tà individuali non possono non essere soggette al dirittoprioritario dello Stato. È forse ammissibile – chiedeThiers – che questi ceda ai privati, o divida con essi unafunzione, quella dell’insegnamento, che costituisce undiritto pubblico? Perché – egli continua – spetta allo Statopromuovere nella scuola un indirizzo culturale unitariorispondente ai principi ispiratori della società moderna, ai“valori” espressi dalla Costituzione, se si vuol porre lepremesse alla nascita di uno spirito civico nazionale cherispecchia il progresso storico-politico segnato dallaRivoluzione francese. Tanto più questa istanza si impone– Thiers dichiara – in un momento come questo, che vedetali “principi” e tali “valori” messi in discussione da unacultura diversa che propone una versione falsa e faziosadella storia della Francia, tale da costituire un fattore gra-vissimo di “pervertimento” dei giovani» (13 luglio 1844nella discussione sul progetto di legge Villemain).

Si vede chiaramente che, invece della libertà, si cercaciò che libertà non è: «La questione riguarda quali valorivadano insegnati, quelli dei genitori o quelli dello Stato. Sicombatte sempre per le menti dei bambini» (Judith Krug).

«Ogni cittadino deve avere la possibilità di far educa-re il proprio figlio come ritiene opportuno. È da questopunto che bisogna sempre partire: è questo il diritto. Nonsi può respingere la libertà di insegnamento per timore diveder nemici delle nostre istituzioni abusare del dirittoche verrà loro riconosciuto» (Alexis de Tocqueville il 18giugno 1844 quale membro della commissione specialesulla legge Villemain).

«Sarebbe un errore interpretativo gravissimo ritenerequindi che Tocqueville si dichiari a favore di più ampiegaranzie di libertà nella scuola secondaria per favoriresotterraneamente le aspirazioni del clero; egli lo fa soloed esclusivamente perché, come si è visto, mai egli ha

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FocusDove va la scuola libera?

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ammesso il diritto dello Stato di imprimere un univocoindirizzo dirigistico al corpo sociale, convinto che ciò sitraduca in una scadimento della vitalità creativa dei sin-goli e della società tutta» (Anna Maria Battista).

All’interno delle scuole, i processi di insegnamento edi apprendimento devono essere attivati nel rispetto dellaricerca della verità, criticamente: «la verità non è comeuna circolare con la quale si raccolgono le firme, ma stanel valore intrinseco dell’interiorità» (Sören Kiekegaard).

Il vero liberalismo deve scindere completamente ilnesso tra laicismo filosofico e libertà politica, ed, analo-gamente, tra religione cattolica e libertà politica: sola-mente in questo modo i valori presenti nella convivenzacivile, per la testimonianza e la vita delle persone, posso-no essere sviluppati e sostenere lo sviluppo di un paese.

Qualche propostaParto da due affermazioni:

- fino a quando la formazione dei docenti non sarà libera,né le scuole né i processi di insegnamento e di appren-dimento saranno liberi;

- «fino a quando la scuola non sarà libera,neppure gli italiani saranno liberi» (LuigiSturzo).

Ancora nel 1991, Sabino Cassese haaffermato: «Da un lato […] la scuola è unservizio collettivo pubblico o nazionale, nonstatale, a rete. Dall’altra, […] in essa è domi-nante un aspetto professionale e non buro-cratico, né burocratizzabile. [] Da questopunto di vista, la Costituzione repubblicanaè in parte viva, in parte morta. È viva là dovedispone che sia la Repubblica e non lo Stato ad organiz-zare scuole. È morta quando dispone che le scuole da isti-tuire siano statali».

L’attività scolastica, da attività dello Stato personagiuridica, deve divenire non attività dello Stato apparato(Regioni, Province, Comuni), ma attività pubblica, gesti-ta da enti pubblici, con proprio statuto, scelta dei docentie un budget senza vincoli di destinazione, calcolato sulnumero di studenti iscritti e frequentanti.

Analogamente devono essere trattate le scuole chefanno parte del servizio pubblico dell’istruzione, come lescuole paritarie. È la gestione burocratica che crea il siste-ma. Un servizio è pubblico per i destinatari ai quali è ri-

volto (pubblico in senso oggettivo) non per la gestione(pubblico in senso soggettivo): quante gestioni pubblichee statali stanno facendo gli interesse di privati?

Affinché sia libera, una scuola deve poter insegnare innome proprio e organizzare gli insegnamenti secondoprincipi stabiliti liberamente e scegliere i propri docentisempre liberamente, sia dal punto di vista del gestore chedel docente, il quale sceglie liberamente la scuola nellaquale insegnare perché ne condivide il progetto educativoe culturale. In caso contrario, una scuola non è più libera.

Organizzare liberamente gli insegnamenti comportala scelta, sempre libera, di ciò che si intende insegnare(curricoli) e di come si vuole insegnare (didattica). Tutticomprendono che la scelta dei curricoli, delle modalità diorganizzazione dei processi di insegnamento e di appren-dimento, e dei principi di organizzazione dell’intera atti-vità scolastica risponde, per esigenza logica, esplicita-mente o implicitamente, ad un’antropologia, ad una visio-ne dell’uomo; comporta finalità ben identificate e un pro-

getto educativo. Logicamente ne consegueche una scuola non può essere culturalmen-te, antropologicamente ed educativamenteneutrale.

Una scuola libera dà titoli di studio ediplomi in nome proprio, non altrui; non,quindi, in nome della Repubblica.

Una scuola libera garantisce i destinataridel servizio che eroga. Le garanzie, compre-sa la qualità del servizio erogato, vengonoassicurate dal responsabile o gestore; il con-trollo ne è affidato alle autorità competenti

dell’organizzazione democratica della società civile(Governo e Stato, sia lo Stato centrale che, eventualmen-te, le Regioni, le Province, i Comuni).

Affinché una scuola sia libera, l’accertamento daparte dell’autorità competente alla presa d’atto dovrebberivestire solo carattere di discrezionalità meramente tec-nica, rivolgendosi non tanto al fine positivo di constatarel’idoneità della scuola all’assolvimento dei compiti volu-ti, quanto a quello negativo di escludere l’insuscettibilitàdi poterli adempiere. Quindi, in linea con la giurispruden-za costituzionale italiana, soltanto accertamenti negativi,non attinenti alla idoneità degli insegnamenti e dell’orga-nizzazione di questi.

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FocusDove va la scuola libera?

I processi diinsegnamento e di

apprendimentodevono essereattivati nel

rispetto dellaricerca della verità

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1. Si è molto discusso del significato dell’espressio-ne “economia sociale di mercato” , sostenendo, alternati-vamente, che esso è un ossimoro in quanto l’economia dimercato è incompatibile con una costituzione sociale oche esso è una espressione indeterminata , suscettibile ditanti diversi significati. Fra questi, vi è chi ritiene che siada accogliere la tesi per cui con il termine “sociale” simodifica e corregge il termine economia di mercato. Cosìsi tratterebbe di una formula che comporta sostanzial-mente l’intervento pubblico per modificare l’economia dimercato. Ma questa tesi è completamente errata e fuor-viante. L’economia sociale di mercato, secon-do la definizione che ne dà il suo principaleteorico, vale a dire Alfred Müller Armack, chene coniò il termine e vi dedicò tutta la sua atti-vità scientifica e politica, come collaboratoredi Ludwig Erhard, ha come base fondamenta-le l’economia di mercato di concorrenza e lasua componente sociale non comporta modi-fiche a questo modello economico, ma lo pre-suppone e vi ci si deve conformare. Lo scrivein modo molto chiaro Müller Armack nel sag-gio su Il contenuto umano dell’economiasociale di mercato. In esso egli descrive leorigini e la formazione della base teorica del-l’economia sociale di mercato con riferimen-to alla scuola di Friburgo di Walter Eucken eFranz Böhm di Ordo, che alla fine degli anni‘30 e all’inizio degli anni ‘40 del 1900 conce-pì “l’ordine della concorrenza come mezzo per organiz-zare le grandi società di massa sulla base di un nuovo pro-getto”. Ed aggiunge che contemporaneamente AlexanderRüstow e Wilhelm Röpke, indipendentemente dallaScuola di Friburgo, avevano sviluppato il loro concetto diuna politica di economia di mercato e che le idee di que-ste scuole sono confluite in un progetto comune. Su que-sta base si inseriva la sua proposta, di contrapporre con-sapevolmente alla guida dal centro una concezione che inquanto economia sociale di mercato rivendicasse il dirit-to di creare un nuovo ordine economico basato su inter-venti di politica economica conformi al mercato e su un

rafforzato sistema di aiuti sociali sorretto dal sistema dimercato”. Ho messo in corsivo l’espressione “conformi almercato” , che chiarisce che il modello sociale dell’eco-nomia sociale di mercato non intende modificarlo, maconformarsi ad esso, accogliendone i principi.

2. Prima di procedere in tale dimostrazione è impor-tante chiarire che l’economia sociale di mercato non è,nel pensiero di Müller Armack e, penso, in quello di chivi aderisce , una concezione teorica puramente economi-ca. La preferenza per il mercato di concorrenza, come or-

dine economico, nasce dalla concezioneantropologica della limitatezza dell’uomo,che deve accettare le condizioni storiche incui si trova e non può pretendere di costrui-re un sistema perfetto mediante l’organiz-zazione sociale. Le nostre conoscenze sonolimitate e gli uomini, come dice Pascal,non sono né santi né bestie. Ai fini dellapolitica economica di oggi deriva da questaimpostazione che tutti i tentativi di prepro-grammare la storia su un determinatoobiettivo-finale sono tanto assurdi quantol’idea finora in piedi in tutti i paesi comu-nisti secondo cui la statizzazione dei mezzidi produzione porta alla svolta decisivanell’ordine della società. Nello stessotempo, a riflessione sulla natura umana esulla storia, genera la convinzione che non

si possa concepire l’evoluzione storica come predetermi-nata dai dati economici o da altri fattori oggettivi, perchégli uomini non sono atomi od automi, ma hanno una lorointrinseca libertà di scelta, che diventa tanto più rilevantequanto più la società assicura condizioni per realizzarla.

L’economia sociale di mercatosecondo Alfred Müller Armack

di Francesco Forte

L’economia socialedi mercato ha

come basefondamentalel’economia di

mercato diconcorrenza e lasua componente

sociale noncomporta

modifiche a questomodello economico

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Secondo Müller Armack pertanto “La tesi della totalevincolatività della classe per l’uomo, per come è radicatain tutta la dottrina marxista e neomarxista, non coglie laforma dell’essenza dell’uomo, che non può essere pro-priamente definito come un essere fissato storicamente aquesto o quel gruppo sociale, ma si colloca come esserestorico all’interno della concorrenza tra i vari raggruppa-menti. ... I raggruppamenti sociali in cui sta l’uomo sonodel tutto flessibili. …I gruppi sociali stanno in una socie-tà aperta, in cui anzi le posizioni dei singoli variano aseconda delle decisioni e degli sviluppi storici.Naturalmente, rimane un residuo di raggruppamenti, chediventano così variabili storiche”.

3. Dal punto di vista dell’analisi di economia positi-va, dunque, l’economia di mercato di concorrenza, conregole del gioco che ne assicurino il funzionamento, è lasola soluzione preferibile. Ma perché è desiderabile cheessa si completi con un ordinamento sociale conforme almercato? Le risposte sono, nel pensiero di MüllerArmack, come del resto in quello di Eucken e del gruppodi Friburgo e in quello di Röpcke , di ordine etico e sirifanno, in larga misura, ai valori del pensiero cristiano,nella versione liberale, che si collega anche a quella smi-thiana della simpatia. In Müller Armack converge in que-sta concezione, anche quella del socialismo liberale. Nel-la confluenza del pensiero cristiano, di quello liberale e diquello del socialismo liberale, la concezione di MüllerArmack acquista un interessante significato politico, chepervade la sua tesi per cui l’economia sociale di mercatoè uno “stile” di natura irenica. Il conflitto apparente fraqueste diverse dottrine si risolve in uno “stile” di politicaeconomica in cui esse possono confluire. La nozione di“stile” che Müller Armack accoglie in luogo di quella di“modelli” di politica economica, implica in effetti chenon vi è un modello rigido ma, in analogia con gli stilidell’arte, vi sono varie espressioni di alcuni principi gene-rali, che possono variare. Ed è probabilmente per questaragione che alcuni economisti, in buona fede, negano chela nozione di economia sociale di mercato sia determina-ta. Mi permetto di osservare che tale affermazione è insie-me corretta , ma anche fondamentalmente errata. È cor-retta nel senso che vi sono più modelli di economia socia-le di mercato. Ma solo alcuni sono compatibili con l’eco-nomia sociale di mercato come stile, che esige che gliinterventi sociali siano conformi al mercato e che il mo-

dello di mercato sia quello di concorrenza e che vi sia unordinamento per difendere la concorrenza dai monopoli edagli abusi del mercato. La nozione di ordinamento ireni-co per l’economia sociale di mercato non ha solo un valo-re di politica economica a livello di conflitto fra dottrinepolitiche, ma anche un valore più ampio, con riguardoalla composizione di conflitti sociali e a quelli fra i popo-li, con riferimento sia alle guerre commerciali, che a quel-le propriamente dette. In questo senso l’Unione europea el’Unione economica e monetaria europea, in quanto fon-date sullo stile dell’economia sociale di mercato sonomodelli irenici.

4. Müller Armack stesso nel corso degli anni, purrimanendo sostanzialmente fermo sulla tesi che gli inter-venti sociali debbono essere conformi al modello di eco-nomia di mercato di concorrenza provvisto di un ordina-mento che la garantisca, ha presentato schemi di politichesociali fra loro differenti, che costituiscono, si potrebbe

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L’economia sociale di mercatosecondo Alfred Müller Armack

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dire, i due modelli di base, entro cui sono possibili diver-se varianti intermedie, che realizzano le istanze di en-trambi. Il punto di partenza , come scrive Müller Armacknel saggio su “L’elemento sociale nell’economia socialedi mercato” sta nella conformità ai principio fondatividell’economia di concorrenza, consistente nel senso di re-sponsabilità, nel diritto di ciascuno alla proprietà e alcompenso in base al suo merito economico. “Come ilsistema che premia il lavoratore e l’impiegato e che simostra all’altezza, nel modo più efficiente possibile, an-che delle nuove sfide tecnologiche”. Ma ciò non basta,dato che esistono le diseguaglianze sociali e i problemidelle contingenze economiche. Da ciò consegue che “Ab-biamo necessità di una divisione di funzioni assolutamen-te chiara tra i compiti del sistema dei prezzi e i compiti delcompromesso sociale tra le persone… Il sistema dei prez-zi all’interno di questa concezione ha esclusivamente ilcompito di guidare il processo di produzione. Solo cosìrimane passabilmente garantito che venga prodotto ciòche, nella originaria armonizzazione quotidiana di tutti iconsumatori, si dimostra essere, grazie allaloro disponibilità a offrire per questo il loroprezioso denaro, quel che effettivamente cor-risponde più da vicino ai loro bisogni”.Tuttavia, se non si ha un chiaro modello pergli interventi sociali, “quest’economia dimercato subisce la minaccia di diventare...un sistema che procura i premi più alti a chisi fa largo nel modo più minuzioso possibileattraverso la giungla di leggi sociali partico-lari fatte con buone intenzioni e sa utilizzar-le nel modo più raffinato. In sintesi, diventauna minaccia il pericolo che venga premiato,alla fine, nel modo più elevato possibile, nonpiù l’abile pioniere, ma lo scroccone piùfurbo e senza scrupoli”. Pertanto “Le corre-zioni sociali incondizionatamente necessariein ordine alla distribuzione dei redditi quale deriva anzi-tutto dal processo di produzione dovrebbero però averepossibilmente solo la forma di trasferimenti diretti didenaro, quindi di transfer chiari. ... Solo così il problema

della redistribuzione può essere inquadrato e rappresenta-to sul piano politico. Solo così quanti ricevono un’agevo-lazione, quindi i malati, gli anziani e gli altri più deboli,oltre ad un reddito reale più elevato ottengono al con-tempo, anche come cittadini maggiorenni, la libertà didecidere essi stessi individualmente per che cosa essi vo-gliono utilizzare l’agevolazione. Solo così rimane loro ri-sparmiato che la burocrazia decida ciò che dev’esserebuono per i cittadini. Solo così viene effettivamente ele-

vato il peso delle voci dei più deboli nelladecisione sulle strutture della produzione.Solo così rimane passabilmente garantitoche ciò che viene molto richiesto dai più de-boli, per esempio l’assistenza per i malati ela previdenza per la vecchiaia, venga realiz-zato il più possibile senza sprechi e vengareso accessibile”. Questo modello, come sinota, comporta che la sanità consista soprat-tutto nella possibilità di accedere gratis allemedicine, ai medici e agli ospedali e clini-che di propria scelta, con un buono a ciòdestinato e altrettanto vale per l’istruzione,mentre anche il sistema delle pensionidovrebbe comportare la scelta fra diverseassicurazioni. Esso è, per altro, chiaramenteutopico, date le strutture delle assicurazionisociali. Di esso il nucleo centrale è il princi-

pio che la sicurezza sociale e il diritto all’istruzione gra-tuita o semi gratuita non siano gestiti da una burocraziapubblica, senza libertà di scelta del singolo. E quindi latesi di Müller Armack per la sanità implica che in gran

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L’economia sociale di mercatosecondo Alfred Müller Armack

Il nucleo centrale èil principio che lasicurezza sociale e

il dirittoall’istruzione

gratuita o semigratuita non siano

gestiti da unaburocrazia

pubblica, senzalibertà di scelta

del singolo

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parte il governo regionale debba avvalersi di strutture pri-vate convenzionate e che il cittadino qualsiasi possa sce-gliersi il servizio di ciascuna di queste strutture nella suaRegione o in ogni altra Regione, che possa avvalersi di unbuono scuola per la scelta della scuola a lui gradita e che,accanto alla previdenza obbligatoria pubblica, possa sce-gliere una previdenza integrativa a sua scelta che ha iden-tici benefici fiscali.

5.In un altro saggio, Müller Armack richiama gli 11punti che egli aveva prospettato nel 1947 per l’economiasociale di mercato, come base per gli ulteriori sviluppi.Essi sono i seguenti. “1. Creazione di un ordinamento d’impresa di caratteresociale, che inquadri il prestatore d’opera come persona ecome lavoratore e gli conceda un diritto di compartecipa-zione (Mitgestaltung) senza limitare al riguardo l’iniziati-va d’impresa e la responsabilità dell’imprenditore. 2. Attuazione di un ordine della concorrenza concepitocome dovere di tipo pubblico, volto ad imprimere all’a-spirazione al lavoro da parte del singolo il necessario o-rientamento verso il bene comune. 3. Perseguimento di una politica antimonopolistica per com-battere il possibile cattivo uso del potere nell’economia. 4. Realizzazione di una politica occupazionale di caratte-re congiunturale, con lo scopo di dare al datore di lavoro,nel quadro di ciò che è possibile, la sicurezza nei confron-ti dei contraccolpi della crisi. Va previsto al riguardo, al dilà di provvedimenti di politica creditizia e finanziaria, unprogramma di investimenti statali dotato di ragionevolesicurezza per quanto riguarda il bilancio. 5. Compromesso sui redditi tipico dell’economia di mer-cato, per annullare irragionevoli differenze di reddito e diproprietà attraverso la tassazione e i sussidi alle famiglie,gli aiuti ai minori e gli affitti per quanti ne hanno neces-sità dal punto di vista sociale. 6. Politica residenziale ed edilizia sociale. 7. Politica sociale in riferimento alla struttura delle imprese.8. Previsione di un’iniziativa personale di tipo cooperati-vo, per esempio nell’edilizia, all’interno dell’ordine del-l’economia.

9. Potenziamento dell’assicurazione sociale. 10. Pianificazione delle città. 11.Salari minimi e assicurazione del singolo salario attra-verso accordi tariffari su base libera. Egli aggiungeva: “Larealizzazione di un ordine economico avrà sempre il dop-pio aspetto di mostrarsi aperta nei confronti di sviluppinuovi e futuri, ma nondimeno garantire il mantenimentodegli sperimentati princìpi di fondo di un ordine im-prontato a libertà e compromesso sociale”. E per dare alnostro ordinamento di vita il carattere di una vera e propriacostituzione dell’economia sociale di mercato, richia-mava, come discrimine, il pensiero di Friedrich VonHayek nella sua opera “Die Verfassung der Freiheit”, cioèla Costituzione della libertà. E sottolineava l’importanzaessenziale dell’auto responsabilità dei singoli e la necessi-tà di riconoscere che “il nostro moderno sistema economi-co ha portato successi e progressi per la più ampia fetta dipopolazione, per esempio l’annullamento della miseria edella fame e anche la diminuzione della dipendenza; maciò che faceva funzionare il tutto era il lavoro delle mino-ranze, a prescindere se fossero ricercatori, tecnici, profes-sori, imprenditori, politici”.

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L’economia sociale di mercatosecondo Alfred Müller Armack

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In questi primi mesi del 2011, ancora una volta e inmisura drammatica, migranti economici e richiedentiasilo, provenienti dall’altra riva del Mediterraneo e sem-pre più difficilmente distinguibili tra loro, sono diventatil’oggetto del contendere dei Paesi dell’Unione europea,evidenziando le palesi contraddizioni di un’Unione, volu-tamente disunita sulle politiche migratorie, che i singoliStati pretendono gestire in proprio per ragioni essenzial-mente elettorali, proponendosi così di frenare l’impetuo-sa avanzata di movimenti politici a chiara connotazionexenofoba.

In effetti, con l’entrata in vigore – il 1° dicembre 2009– del Trattato di Lisbona, la materia riguardante l’immi-grazione e l’asilo continua a far parte del cosiddetto terzopilastro, determinato dalle scelte autonome degli Statimembri come sancisce il paragrafo 5 dell’articolo 63bisdel Trattato, che salvaguarda «il diritto degli Stati mem-bri di determinare il volume di ingresso nel loro territo-rio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terziallo scopo di cercarvi un lavoro dipendenteo autonomo».

Pur augurandosi che l’estensione delvoto a maggioranza qualificata possa, infuturo, facilitare un vero processo decisiona-le in senso comunitario ed un approccio piùrealistico delle politiche migratorie, per ilmomento le politiche degli Stati membri sul-l’immigrazione e l’asilo si propongono, qua-si esclusivamente, di rassicurare i propri cit-tadini assecondando le loro paure ed invecedi promuovere reali opportunità d’inclusionee di coesione sociale continuano a cavalcarelo slogan della tolleranza zero. È questa laragione per cui i singoli Stati europei gareg-giano nell’approntare legislazioni restrittive – di cui è sin-tomatica l’introduzione del reato di clandestinità nell’or-dinamento giuridico italiano – che diventano, almeno inparte, causa di nuovi “ingressi irregolari” ed aumentanole “nuove povertà” che colpiscono soprattutto i migranti

meno protetti giuridicamente.Dinanzi al possibile processo di liberazione da ditta-

ture decennali in nord Africa, in Medio oriente e nella pe-nisola arabica, ascoltiamo in Europa, da un lato, roboantidichiarazioni che rievocano una “novella” caduta di Muriatavici e, d’altro lato, si moltiplicano inviti e appelli a nonsottovalutare le possibili derive islamiste delle rivoluzio-ni, a far fronte ad epocali invasioni di migranti e/o profu-ghi, per facilità, chiamati – tutti – “clandestini”.

Dinanzi alla morte di decine d’immigrati nel Medi-terraneo, assistiamo impassibili al macabro rimpallo diresponsabilità tra chi avrebbe potuto salvarli in mare enon l’ha fatto per timore di doversi, poi, fare carico dellaloro accoglienza a terra.

In Italia, dinanzi all’arrivo reale di 25 mila migrantie/o profughi, soprattutto tunisini, e dopo l’iniziale tentati-vo governativo di tenerli tutti – e in condizioni disumane– sulla piccola isola di Lampedusa con l’obiettivo di rim-patriarli al più presto, perché clandestini, nei loro paesi diorigine, abbiamo assistito – nelle ultime settimane – allosmistamento molto discrezionale, di questo “materiale u-

mano” in alcune regioni italiane.Dopo aver sostenuto, sotto la pressione

della Lega e per alcuni mesi, la tesi che laquasi totalità dei migranti arrivati in Italianon aveva i requisiti (solo perché provenien-te dalla Tunisia) per richiedere l’asilo(tacendo il fatto che la valutazione dei requi-siti per l’asilo è sempre individuale) e quin-di era composta da “clandestini” da espelle-re, il governo italiano decide di concedereun visto temporaneo per ragioni umanitariecon l’obiettivo di facilitare la libera circola-zione di questi migranti nei paesi UE e lapossibilità di raggiungere parenti, amici econoscenti che vivono in Francia, Belgio o

Germania.Tale soluzione – fra l’altro – contestata dagli altri pae-

si UE e ostacolata dalla Francia che ha immediatamentechiuso le sue frontiere con l’Italia ricominciando a con-trollare (in deroga agli accordi di Schengen) tutti coloro

“Ero stranieroe mi avete ospitato” (Mt 25,35)

di Lorenzo Prencipe DDIIBB

AATTTT

IITTII

Per il momento lepolitiche degli

Statisull’immigrazione

e l’asilo sipropongono dirassicurare i

propri cittadiniassecondando le

loro paure

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che pretendono espatriare, è stata accompagnata daappelli – specie da parte del ministro degli Interni – aduna necessaria e indispensabile “solidarietà” europea conquegli Stati membri, nel caso specifico l’Italia, che si tro-vano ad affrontare particolari situazioni emergenziali.

In mancanza di tale solidarietà e quindi di una realedimensione politica si è perfino invocata l’inutilità di unaUE, puramente monetaria e mercantile, e la possibile de-cisione italiana di farne a meno, sottacendo però il fattoche sono gli stessi Stati nazionali – tra cui l’Italia – a nonvoler cedere quote di sovranità nazionale, per esempio inambito migratorio, ad una UE anche politica.

In realtà, si invoca la “solidarietà” europea solo persalvaguardare alcuni interessi nazionali che, naturalmen-te, entrano in conflitto con gli interessi di altri paesi mem-bri. In fondo, si esige un’utile “solidarietà” per ribadirel’idea che un paese da solo non può “accogliere tutta lamiseria del mondo”, ripetendo in maniera meccanica eparziale la frase pronunciata, nel 1990, dall’ex Primoministro francese, Michel Rocard. Come si può facilmen-te comprendere, con tale approccio non si va molto lonta-no e, anzi, si rischia di rimettere in discussione il cammi-no comune già percorso.

In verità, Michel Rocard aveva detto: «La France nepeut accueillir toute la misère du monde, mais elle doitsavoir en prendre fidèlement sa part». E saper prendere– a livello personale, ecclesiale, nazionale e sovranazio-nale – la nostra parte di “accoglienza” ci invita, soprat-tutto come cristiani, a riflettere in maniera più profondasul senso biblico e pastorale dell’accoglienza e dell’ospi-talità verso gli stranieri.

Ora, l’uomo biblico vive l’apertura all’altro perchél’ha imparata da Dio stesso che, fin dall’inizio, ama, cercae accoglie l’umanità. Nei testi biblici troviamo, allora, u-na profonda correlazione tra ascolto, accoglienza e ospi-talità. C’è, infatti, una coerente sintonia tra atteggiamen-to interiore e comportamento esteriore che esprimono labenevola apertura verso l’altro, la disposizione all’ascol-to accogliente e alla relazione ospitale. In fondo, non c’èvera accoglienza biblica senza rendersi disponibile, senzaaccettare di entrare in relazione con l’altro, specialmentese in stato di bisogno, richiedendo a chi accoglie e a chiospita un comportamento personale di intelligenza, disensibilità e di gratuità che non ammette indifferenza ver-so quanti sono sprovvisti di difesa e sostegno.

Inoltre, l’atteggiamento accogliente del cristiano ver-so chi è indifeso, il suo essere amichevole ed ospitale ver-so chi è nel bisogno, non è frutto di moralismo ideologi-co o di opportunismo, né tanto meno di “buonismo”, matrova senso e fondamento nel fatto che all’altro si deve lastessa accoglienza riservata a Cristo che si identifica conil povero ed il forestiero da accogliere (Mt 25,35.40)

come si legge nel racconto del sorprendente giudizio fina-le, dove l’evangelista usa, per “accogliere”, il verbo “sy-negagein” che implica un’ospitalità accogliente, fatta diincontro, di scambio, di condivisione, inclusione, ricono-scendo l’altro nella sua dignità di persona.

L’ospitalità cristiana, allora, non è tanto un’operabuona da compiere per assicurarsi la protezione divina oil paradiso, ma la possibilità di incontrare Dio, di vivere,cioè, un rapporto con Cristo presente nell’ultimo, nellostraniero, facendoci a lui prossimo, come sottolinea laparabola del buon samaritano (Lc 10,36).

L’ospitalità cristiana valica, perciò, i confini della leg-ge e delle nazioni e si apre alla convivenza fraterna uni-versale, perché è frutto dell’amore di Dio per l’uomo rea-lizzato nell’umanità di Cristo accolta (Gv 1,12). In tale ot-tica, non c’è contrapposizione tra ascolto e servizio, tracontemplazione ed azione, fra amore per Dio e amore delprossimo. Non ci sono due diversi modi di servire o di a-mare. L’ospitalità autentica non si accontenta di offrire unservizio emergenziale, ma suppone sempre l’accoglienza

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Dibattiti“Ero straniero e mi avete ospitato” (Mt 25,35)

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dell’altro, il suo ascolto, la sua compagnia, la relazionefraterna (Lc 10,38-42).

In tale ottica, l’accoglienza e l’ospitalità verso i mi-granti – pur nella diversità e gradualità di interventi chevanno dall’emergenza (prima accoglienza), alla sensibi-lizzazione delle società civili, all’impegno per la promul-gazione di leggi rispettose dei diritti umani fondamentali,al vivere la realtà che nella chiesa nessuno è straniero –diventano, sempre più, per il cristiano, il vero banco diprova della solidarietà, come capacità di riconoscere nel-l’altro la presenza di Dio.

E tale impegno vale non solo per ogni cristiano comeindividuo, ma anche per le comunità ecclesiali in conti-nuo atteggiamento di dialogo con le diverse società civi-li. In effetti, nella storia, l’azione e l’attenzione dellaChiesa verso i migranti, cattolici e non, è sostanzialmen-te quella dell’accoglienza, della difesa dei loro diritti fon-damentali e dell’offerta di una specifica cura pastoralecon l’annuncio della Parola di Dio e la vita sacramentalenella loro lingua e tradizione. La pastorale migratoria siarticola, così, attorno a forme miste di strutture pastorali,dove troviamo comunità con proprie e indipendenti strut-ture di parrocchia o di missione, comunità che utilizzanostrutture della Chiesa locale o comunità che ricevono, daun cappellano (proveniente dal paese di origine o mem-bro del clero del paese di arrivo), un servizio pastorale adhoc negli ambienti della Chiesa locale e senza strutturepastorali etniche.

La rinnovata comprensione ecclesiologica, scaturitadal Concilio Vaticano II, favorisce – anche a livello di pa-storale migratoria – la duplice consapevolezza per cui, daun lato, la responsabilità del servizio ai migranti appartie-ne alla Chiesa locale e non può essere ignorata o delega-ta alle Chiese di origine, e, d’altro lato, i migranti nonsono solo “soggetti-oggetti” da aiutare in maniera spessopaternalista, ma protagonisti e partner della vocazione“cattolica”, universale della Chiesa chiamata ad allargarelo spazio della tenda nel suo servizio al Regno, in chiavedi pastorale di comunione capace di relazionarsi con le le-gittime diversità.

Non ci si limita, comunque, ad enunciare diritti, ma laChiesa è invitata a promuovere attivamente tutte quelleiniziative che valorizzino le migrazioni come elementoimportante per l’arricchimento reciproco, per rinsaldare ivincoli di mutua comprensione e per la costruzione della

grande famiglia dei popoli. Partendo dall’idea che l’inte-grazione ecclesiale degli emigrati è un diritto fondamen-tale che riguarda la libertà e la dignità della persona, siafferma che tale esperienza non può essere veramente po-sitiva se l’emigrato non beneficia di un’inclusione econo-mica, sociale, giuridica culturale che gli permetta degnecondizioni di vita e di progresso, nel rispetto della suapersonalità e delle sue radici. Si tratta, perciò, di occupar-si del benessere integrale dei migranti che ha come obiet-tivo principale quello di favorire il processo d’inclusionedei migranti nella Chiesa e nella società nella prospettivadi una pacifica coabitazione e condivisione di valori fon-damentali.

In tale ottica, l’identificazione con il Cristo stranieroche chiede ospitalità non si fonda sulla mera appartenen-za religiosa, ma il pluralismo, messo in evidenza dal fe-nomeno migratorio, diventa “dimensione strutturale” del-la Chiesa dove i migranti sono considerati veri costrutto-ri di fraternità universale.

In fondo, la missione con i migranti, prima di preve-dere ed organizzare specifiche iniziative pastorali, è unmodo di essere Chiesa, una domanda sul tipo di Chiesache si vuole costruire e vivere. I migranti sono, infatti, lamisura della comunione realizzata nella Chiesa, una co-munione fatta di diversità vissute non come minaccia macome risorsa, una comunione non posseduta in manieraesclusiva dagli autoctoni e a cui i migranti devono obbe-dire, ma una comunione sempre in cammino verso i mar-gini, gli ultimi, gli altri.

Infine, anche in considerazione dei cambiamenti radi-cali nel mondo della mobilità umana, diventa sempre piùurgente nella Chiesa un approccio globale del fenomenomigratorio, con un’azione pastorale e sociale a tutto campoche superi le barriere tra gruppi di origine diversa e tenda0a non considerare le migrazioni come mere emergenze pro-blematiche da fronteggiare e bloccare, ma soprattutto comeeventi potenzialmente positivi dal punto di vista spirituale,sociale, economico e culturale, per le società di partenza,per quelle di arrivo e per i migranti stessi.

Solo in tale ottica, pensiamo veramente realizzabileed efficace la solidarietà tra persone e nazioni, per le qualii migranti non sono semplice “materiale umano” da di-stribuire, ma soprattutto esseri umani con una dignità ina-lienabile.

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Dibattiti“Ero straniero e mi avete ospitato” (Mt 25,35)

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di Dario Antiseri

1. Giustificare un’azione ingiusta «non è una scusa, èuna colpa»

«Evidentissima, negli spunti disseminati nelle opere lette-rarie [di A. Manzoni], nonché negli scritti più direttamen-te impegnati nel campo storiografico o moralistico, è l’in-fluenza di Rosmini» (R. Tisato, I liberali cattolici, 1959,p. 92). Gli incontri tra Manzoni e Rosmini sono testimo-niati dalle Stresiane di Ruggero Borghi. È nel 1860 cheManzoni riceve le visite di Cavour e Garibaldi; nel 1861,nominato senatore, partecipa alla seduta del Senato in cuisi proclama Roma capitale d’Italia. Nato il 7 marzo del1785, Manzoni muore a Milano il 22 maggio del 1873.Fu soprattutto con il suo romanzo I promessi sposi cheManzoni esercitò un’influenza di prim’ordine sulla piùampia opinione pubblica italiana, tanto da venir conside-rato come l’iniziatore del liberalismo cattolico italiano(G. Candeloro, Il movimento cattolico in Italia, 1953, p.22 e ss.). Liberale cattolico per la ragione che, a suo avvi-so, l’unico criterio valido per interpretare eventi storici esituazioni politiche sta nel bene e nel male dei singoli in-dividui la cui vita si è intrecciata e si è svolta in precisesituazioni e in concreti eventi storici. Interpretazioni de-terministiche, l’affidarsi alla ragion di Stato, l’esaltazionedei geni politici e della guerra, la sostituzione del princi-pe con princìpi dogmatici dalle conseguenze cariche disofferenze, la giustificazione utopistica di sacrifici certidella generazione presente in nome dell’ipotetico benedella generazione futura, sono concezioni e prospettiveeuristiche, che Manzoni rifiuta. «Quel che ci interessa nelManzoni, per capire il lato liberale del suo cattolicesimo,è l’interpretazione che dà, nelle Osservazioni sulla mora-le cattolica, del 1819, dei fondamenti interiori dell’obbe-dienza all’autorità della Chiesa. È sempre il dictamen in-teriore della coscienza che deve portare il credente ad ac-cettare la legge cristiana che, d’altra parte, si inseriscenell’ordine della grazia e della carità» (A. Passerin d’En-trèves, in Aa. Vv., I cattolici liberali nell’Ottocento, 1976,p. 100). Il fulcro della concezione morale e della prospet-tiva politica del Manzoni è la persona libera e responsa-bile, illuminata e fortificata dalla fede nella Provvidenza.Quella fede che, come leggiamo nel cap. VII delle Os-

servazioni sulla morale cattolica (pp. 114 -117), ha ac-compagnato i martiri cristiani i quali, come Ignazio diAntiochia o i cristiani di cui si parla nella lettera di Plinioa Traiano, ebbero il coraggio di opporsi al potere “assolu-to” dell’imperatore romano, di dissacrarlo e relativizzarloin nome del Dio trascendente: Kàysar non è Kyrios. È benvero che la cristianità nel corso della storia ha offerto e-sempi di crudeltà commesse con il pretesto della religio-ne, senonché – precisa Manzoni – «si può sempre asseri-re che coloro i quali le hanno commesse, furono infedelialla legge che professavano; che questa li condanna. Nel-le persecuzioni gentilesche, invece, nulla può essere attri-buito a inconseguenza dei persecutori, a infedeltà alla lo-ro religione, perché questa non aveva fatto nulla per te-nerli lontani da ciò» (ibidem). La verità è che «l’idea [...)della moralità, quale l’ha rivelata il Vangelo, è tale chenessun sistema di morale venuto dopo [...] non ha potutolasciar di prenderne qualcosa» (ivi, p. 233). È un’etica,quella cristiana, che – come leggiamo nella Storia dellacolonna infame – respinge la resa ai fatti: giustificareun’azione ingiusta o «fatti atroci dell’uomo contro l’uo-mo» come «effetto dei tempi o delle circostanze [...] nonè una scusa, ma una colpa».

2. Quando «idee irragionevoli» fanno perdere «l’orroredella carneficina»

La morale del Vangelo ci libera dall’idolatria e dal servi-lismo nei confronti del potere. In fondo, «ogni potere in-giusto, per far male agli uomini, ha bisogno di cooperato-ri che rinuncino ad obbedire alla legge divina, e quindil’inesecuzione di essa è la condizione più essenziale per-ché esso possa agire» (Osservazioni, cit., p. 291). Maquesto non deve far dimenticare «la lunga successione dicristiani coraggiosi che seppero non solo astenersi dallaadulazione, ma dire il vero con pericolo» (ivi, p. 292).Contrario al prìncipe assoluto, il cristiano ha da essere cri-tico anche nei confronti della presunta assolutezza diprincìpi e prospettive politiche assolute. Robespierre,scrive Manzoni in Dell’invenzione (Tutte le opere, pp.899-901), era un uomo privo di interessi privati, noncu-rante della ricchezza e dei piaceri, e di costumi sobri; ma

Le grandi figure del cattolicesimo liberale

Alessandro Manzoni“Io laico in tutti i sensi”

RRUUBBRR

IICCAA

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egli aveva imparato da Rousseau che l’uomo nasce buonoe che le istituzioni fossero l’unico ostacolo a uno statoperfetto della società; da qui la sua decisione “di levare dimezzo” tutti quegli uomini che si opponevano alla ricon-quista della felicità sulla faccia della terra. Una irragione-vole idea, dunque, «potè far perdere l’orrore della carne-ficina a un uomo, il quale, nulla indica che n’avesse l’a-bominevole genio». E in stragi e in oppressione del Pae-se, «sotto il nome di libertà», si è risolta, per la stessa ra-gione, la Rivoluzione francese, mentre, nel caso italiano«la libertà, lungi dall’essere oppressa dalla Rivoluzione,nacque dalla Rivoluzione medesima: non la libertà dinome [...], ma la libertà davvero, che consiste nell’essereil cittadino, per mezzo di giuste leggi e di stabili istituzio-ni, assicurato, e contro violenze private, e contro ordini ti-rannici del potere, e nell’essere il potere stesso immunedal predominio di società oligarchiche, e non sopraffattodalla pressura di turbe, sia avventizie, sia assoldate: tiran-nia e servitù del potere, che furono, a vicenda, e qualchevolta insieme, i due modi dell’oppressione esercitata inFrancia ne’ vari momenti di quella Rivoluzione; uno inmaschera di autorità legale, l’altro in maschera di volon-tà popolare». La Rivoluzione italiana è stata un processoscaturito dal “sacrosanto diritto” di superare quella divi-sione tra Stati che li rendeva “irreformabili” e da cui se-guitava a scaturire «una storia perpetua di strazi e di ver-gogne». Difesa, dunque, di una prospettiva moderata cheritroviamo, per esempio, nella seconda Stresiana, nel giu-dizio che il Manzoni dà sulle motivazioni a base del cri-terio maggioritario. E, infine, va sottolineato che, nel pen-siero di Manzoni, religione e politica sono “congiunte”,in quanto l’una e l’altra riguardano il “giusto”, ma tutta-via “distinte”, per la ragione che «la Chiesa, che fu fon-data sulla dottrina rivelata e carismatica, è indipendenteda ogni forma politica; perciò il Manzoni è contro la reli-gio instrumentum regni, come è contro il cattolicesimopolitico che fa dello Stato un instrumenturn religionis e o-gni altra teoria che non ponga la religione al di sopra degliinteressi mondani; contro il mantenimento del poteretemporale del Papa, ormai dannoso, anche se storicamen-te giusto» (M.F. Sciacca, Il pensiero italiano nell’età delRisorgimento, 1963, p. 219).

3. La libertà è una conquista tra le contraddizioni dellastoria

«“Io laico in tutti i sensi” [...] – scriverà Manzoni alRosmini in una lettera del 28 febbraio 1843 – fiero di por-tare avanti in armonia sia la sua “cattolicità” sia la sua

“laicità”» (U. Muratore, “Io, laico in tutti i sensi”: Ro-smini, Manzoni e la questione laica, in Aa. Vv., La co-scienza laica. Fede, valori, democrazia, Edizioni Ro-sminiane, Stresa, 2009, p. 171). Senza dimenticare leacquisizioni del pensiero moderno, Manzoni «ha posto subasi cristiane» la scienza dell’uomo: egli «riesce a prova-re che la fede, il coraggio, la resistenza degli umili allasofferenza sostengono questa civiltà vacillante e scossada tante debolezze e dalla corruzione, che minano anchele grandi istituzioni maestre, lo Stato e la Chiesa. Provaanche che l’uomo non è “nato libero”, come suggerivaRousseau, ma che deve conquistarsi la libertà fra tutte lecontraddizioni della storia e della società, con uno sforzoche impegna ogni individuo, fino a coloro che i “filosofi”umanitari avevano stimato insignificanti. Questo è il latodemocratico della inchiesta che Manzoni ha condotto, suun campo appartenente alla storia, malgrado il suo carat-tere apparentemente letterario, e questo è il messaggioche egli ha trasmesso a quei cattolici liberali, e anche aquei democratici che hanno cercato, dopo di lui, di co-struire in Italia uno Stato laico lottando contro il tempo-ralismo della Chiesa, ma pure contro gli eccessi di un an-ticlericalismo rancoroso e sterile» (A. Passerin d’En-trèves, cit., pp. 101-102).

Bibliografia essenzialeAA.VV., Cattolici liberali nell’Ottocento, SEI, Torino,1976A. MANZONI, Osservazioni sulla morale cattolica (1819),in Scritti filosofici, Rizzoli, Milano, 1976R. TISATO, Liberali cattolici, Canova, Treviso, 1959G. CANDELORO, Il movimento cattolico in Italia, Rina-scita, Roma, 1953U. MURATORE (a cura di), La coscienza laica. Fede, valo-ri, democrazia, Edizioni Rosminiane, Stresa, 2009

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Alessandro Manzoni“Io, laico in tutti i sensi”

Rubrica

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TTEEOORRIIAADARIO ANTISERI E CORRADO OCONE

Liberali d’ItaliaPrefazione di Giulio Giorello(Rubbettino, pp. 84, € 7,00)

Il volume, scritto in un linguaggio vivace ma rigoroso, èun esempio istruttivo di come i liberali non appartenganoa nessuna Chiesa ideologica e applichino anche a lorostessi l’assunto centrale della loro visione del mondo: «laconsapevolezza – come dice Antiseri con Alfred NorthWhitehead – che lo scontro tra idee non è un dramma,quanto piuttosto un’opportunità». Corrado Ocone propone, sul modello delle very shortintroduction, un profilo agile ma essenziale della vicendastorica della cultura politica liberale italiana nel No-vecento: da Croce ed Einaudi, passando per Sturzo e Sal-vemini, fino a Nicola Matteucci. Come tutte le ricostruzioni storiche, anche quella di Oco-ne, che è un laico, opera scelte ed esclusioni a partire daun’idea generale di cosa sia il liberalismo. Un’idea permolti aspetti differente da quella di un Maestro del libera-lismo come il cattolico Dario Antiseri che puntualmente,nel suo intervento, critica l’impostazione di Ocone e mol-te sue idee particolari.

FRANCESCO FORTE E FLAVIO FELICE (a cura di)Il liberalismo delle regoleGenesi ed eredità dell’economia sociale di mercato(Rubbettino, pp. 236, € 19,00)

Questo volume antologico è il primo di due dedicati alpensiero teorico e alle linee direttive sull’economia socia-le di mercato, soprattutto sulla base della tradizione diFriburgo di “Ordo”. Al centro della teoria di “Ordo” vi èla tesi che il mercato libero è essenziale per assicurare lalibertà, nel senso pieno del termine, che non include soloquella economica. Ma il libero mercato senza regole a es-so conformi non può funzionare in modo corretto e nonpuò assicurare la crescita economica e le basi per l’equi-tà distributiva. Si può dimostrare che la gravità dellagrande crisi del 2007 e degli anni seguenti e i problemi

che sono sorti per combatterla sono dovuti al mancatorispetto delle regole del libero mercato di concorrenza.Questo primo volume presenta non solo il pensiero deimassimi esponenti originari della scuola friburghese di“Ordo”, ossia Walter Eucken, Franz Böhm e Hans Gross-mann-Dörth con Constantin von Dietz e Adolf Lampe,ma anche quello di due economisti esponenti delle duescuole principali che si collegano a quella di “Ordo”: Wil-helm Röpke e Alfred Müller-Armack. L’antologia si chiu-de con un saggio di Luigi Einaudi.

SAN BERNARDINO DA SIENA

Antologia delle prediche volgariEconomia civile e cura pastoraledei sermoni di San Bernardino da Sienaa cura di Flavio Felice e Mattia Fochesato(Cantagalli, pp. 160, € 14,00)

Nel 1425 san Bernardino si rivolgeva al popolo senesedal Corso principale della città per poi continuare la suapredicazione dalla Piazza del Campo nel 1427. I suoi am-monimenti riguardavano sia aspetti della vita pubblicache costumi privati, la profonda affezione per la sua cittàe per il popolo senese lo spingeva a trattare e correggereogni aspetto della vita dei suoi concittadini, dalle questio-ni più rilevanti fino alle più semplici faccende quotidiane. La raccolta a cura di Flavio Felice e Mattia Fochesatomette in luce il messaggio civile, politico ed economicocontenuto nelle predicazioni del santo. L’amore di Cristo,insieme alla carità che ne scaturisce, è indicato da sanBernardino come il primo fondamento di ogni possibileagire politico ed economico.I discorsi tratteggiano una nuova dottrina civile attraversotemi di grande importanza e complessità come l’amore peril prossimo, la cura della comunità, la ricerca del benecomune, le regole della buona mercanzia, l’importanzadella preghiera. Le sue esortazioni alternano parole di seve-

SSeeggnnaallaazziioonnii bbiibblliiooggrraaffiicchhee

a cura di Maurizio Serio

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rità a momenti di simpatia e fiducia in cui prevale l’invitoa costruire una vera pace civile in cui non trovino spazio nél’indifferenza, né gli egoismi personali, ma in cui regninol’unità, la solidarietà e l’attenzione per il bene comune.

ORESTE BAZZICHI

Il paradosso francescano tra povertà e società di mercatoDai Monti di Pietà alle nuove frontiere etico-socialidel credito (Effatà, pp. 256, € 15,00)

La teoria e la pratica dell’economia di mercato sono ger-mogliate ben prima dell’etica protestante e del fondatoredella scienza economica, Adam Smith. I maestri france-scani del XIII, XIV e XV secolo conciliando l’attività spe-culativa con la pratica pastorale del vivere quotidiano, sisono scoperti economisti di notevole valore, anticipandoalcune acquisizioni teoriche fondamentali. Partendo daPietro di Giovanni Olivi, scopritore della teoria soggettivadel valore economico, e da Alessandro di Alessandria,acuto analista dei fenomeni di mercato e monetari, si arri-va, passando per san Bernardino da Siena, alla felice in-tuizione dei Monti di Pietà e alle nuove e legittime frontie-re etico-sociali dell’erogazione del credito ad interesse. Ifrati francescani, attraverso un’azione parenetica e praticamolto efficace sul popolo, riuscirono a dare una forte acce-lerazione al sistema sociale e allo sviluppo economico ecivile, i cui fondamentali principi conservano ancora oggi,nell’epoca della globalizzazione, tutta la loro attualità.

ANGELO PANEBIANCO

L’automa e lo spiritoAzioni individuali, istituzioni, imprese collettive(il Mulino, pp. 272, € 25,00)

Un robusto filo lega due delle questioni più controversedelle scienze sociali. La prima, indagata con prospettiveed esiti diversi dalle teorie dell’azione e dalle teorie delleistituzioni, ha per oggetto il rapporto fra determinismi so-ciali e libera volontà individuale, fra eteronomia e auto-nomia degli individui. La seconda riguarda i processi me-diante i quali l’interazione fra individui e l’aggregazionedelle loro azioni generano macroeventi e macrofenomeni.

Un campo di studi che non può prescindere da approfon-dite analisi preliminari intorno alla natura delle azioniindividuali, alle caratteristiche dei contesti in cui gli indi-vidui agiscono, ai gradi di libertà di cui dispongono inpresenza di vincoli e costrizioni istituzionali. Muo-vendosi all’interno di una prospettiva teorico-metodolo-gica consolidata, di cui la sociologia analitica è uno deifrutti odierni più sofisticati, il libro propone un articolatomenu di ipotesi sui meccanismi di scambio sociale, ilruolo delle regole formali e informali, gli effetti dell’on-nipresenza dei reticoli sociali sulla distribuzione e l’eser-cizio del potere. Uno schema teorico, costruito con rigo-re e originalità, utile ai fini dell’indagine sui percorsi e lemodalità di conversione dalle situazioni “micro” ai feno-meni “macro”. La scommessa è che migliorare la cono-scenza di questi processi serva ad affinare la capacitàdella teoria sociale e della teoria politica di spiegare per-sistenze e mutamenti nelle società.

FLAVIO FELICE

Economia e PersonaL’economia civile nel contesto teorico dell’economiasociale di mercato(Lateran University Press, pp. 239, € 16,00)

In tempi di crisi è diffusa la tendenza a cercare rispostedefinitive a problemi contingenti. L’autore parte dal pre-supposto che non esistano soluzioni definitive ed ottima-li proprio perché i problemi sono sempre contingenti, re-lativi, storicamente connotati. Compito dello scienziatosociale è di operare una continua vigilanza per coglierel’errore ovunque si annidi. Di qui, l’invito a mettersi al-l’ascolto del reale per cogliere quel flebile segnale checonsenta allo scienziato sociale di intervenire con la co-noscenza possibile, in forza di un’interpretazione coeren-te con la prospettiva antropologica cristiana che rende ra-gione dell’interesse dell’autore per le questioni sociali.

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Segnalazioni bibliografiche

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FLAVIO FELICE

Persona, impresa e mercatoL’economia sociale di mercatonella prospettiva del pensiero sociale cattolico

(Lateran University Press, pp. 285, € 20,00)

Ad un anno dalla promulgazione della Caritas in verita-te, Benedetto XVI ribadisce che “Il bene comune è la fi-nalità che dà senso al progresso e allo sviluppo” e che “Lapolitica deve avere il primato sulla finanza e l’etica deveorientare ogni attività”. In questo libro, l’autore analizzal’ipotesi che alla politica non si chieda di orientare le atti-vità economiche, ma di assicurare con metodo democra-tico il funzionamento delle istituzioni. Realtà economichecome l’impresa, istituzioni che possono promuovere lecondizioni per il perseguimento del bene comune anchesul piano economico. L’autore sottolinea l’affermazionedi Benedetto XVI sul primato della politica che si tradu-ce nella capacità di dar vita ad istituzioni fatte da uominiper altri uomini, nel rispetto dei principi di “poliarchia” edi “sussidiarietà”.

PPOOLLIICCYYRICCARDO CAPPELLO

Il CappioPerché gli ordini professionalisoffocano l’economia italiana

(Rubbettino, pp. 268, € 16,00)

Gli Ordini professionali sono una delle tante caste checonvivono in Italia strozzando l’economia, ostacolandola nascita di un vero mercato, obbedendo alla logica dellaautoconservazione. Si tratta di strutture che nessun Go-verno di centro, di sinistra o di destra ha l’interesse o laforza di mettere in discussione. Queste corporazioni sonogabbie, oltre che inutili, dannose per l’economia e per glistessi professionisti che dovrebbero, per primi, pretender-ne la demolizione per evitare che il mercato e le esigenzeinevitabili dettate dalle regole europee, distruggano ine-sorabilmente, prima o poi, quel che resta di un sistema in-capace di misurarsi con i processi della globalizzazione.Delle camicie di forza dunque, dannose per i giovani, perla bilancia dei pagamenti, per la competitività delle im-

prese e per i cittadini, metafora delle strutturali inefficien-ze del Paese. Col progetto di riforma della professione forense, lo Statocontinua ad obbligare cittadini e imprese ad affrontare co-sti per atti in cui l’intervento del professionista è impostocon l’esclusiva finalità di distribuire soldi a una categoriasottraendoli alla collettività. Della professione legale sioccupa ampiamente questo volume di Riccardo Cappello.In esso si esaminano “dal di dentro” le cause del declinodi un’attività che, invece, negli altri Paesi offre gratifica-zioni economiche e prestigio sociale.

ALESSANDRO GISOTTI

Dio e ObamaFede e politica alla Casa Bianca(Effatà, pp. 224, € 13,50)

Non si può comprendere davvero Barack Obama senzaconoscere il suo rapporto con la fede. Cresciuto in una fa-miglia plurietnica, agnostico fino a 20 anni, ha incontratoDio in una “Black Church” di Chicago. Nelle storiche e-lezioni che lo hanno portato alla Casa Bianca, è riuscitoad attrarre l’elettorato religioso. Eppure, dall’aborto alleunioni omosessuali, non mancano i punti di contrasto coni fedeli osservanti.Storia di un presidente americano alla ricerca di un terre-no comune, dal Cairo al Vaticano.

CARLO ANDREA BOLLINO

EnergiaLa follia mondiale(Rubbettino, pp. 242, € 13,00)

Una riflessione aggiornatissima sul tema energetico, cheanalizza i principali punti scottanti per il futuro globaledel pianeta e in particolare del nostro Paese. Dall’in-decisione politica dei grandi della terra, che non sono fi-nora stati capaci di affrontare il problema della sostenibi-lità, all’inquietante interrogativo su quanto petrolio anco-

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Segnalazioni bibliografiche

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ra veramente ci rimane sul pianeta, il libro affronta i prin-cipali nodi della politica energetica globale, ma soprattut-to su scala europea. Ombre e luci sul processo di libera-lizzazione del settore energetico italiano costituiscono lalezione del nostro passato recente, sulla base della qualecostruire le direttrici per la nuova politica energetica delPaese: ne va della competitività del sistema Italia e delbenessere dei futuri cittadini.

GIUSEPPE SBARDELLA

ControcorrenteLa mia storia di cristiano e di manager(Città Nuova, pp. 213, € 14,00)

Il racconto della lunga esperienza lavorativa in una gran-de azienda multinazionale di una persona come tantealtre, nelle varie fasi della sua carriera: un’esperienzacomposta non tanto di fatti quanto di emozioni, di consi-derazioni, di condivisioni d’animo, che ci viene offertacome contributo personale a leggere la realtà di ieri e dioggi e, per quanto possibile, a cambiarla in meglio, nellaconvinzione che vale la pena lottare, impegnarsi per vive-re e diffondere, anche sul luogo di lavoro, i valori in cuisi crede. A queste pagine va il merito di farci vivere, conumiltà e fermezza, quanto la dimensione etica può essereveicolata dall’esperienza di vita concreta fatta singolar-mente e in unità con altri: l’idea dell’impresa, anche mul-tinazionale, come casa comune.

PAOLA LIBERACE

Contro gli asili nido Politiche di conciliazione e libertà di educazione(Rubbettino, pp. 96, € 10,00)

Oggi, nel nostro Paese, le donne (e gli uomini) che lavora-no sono costrette ad allontanarsi dai figli sin dalla primainfanzia; oppure, se non ne hanno intenzione, a dimettersi. Se dichiarano qualche insoddisfazione, è piuttosto versola mancanza di un sistema capillare di strutture di assi-stenza alla prima infanzia realizzate e gestite dallo Stato. Ma è giusta una simile soluzione, che antepone esigenzediverse – la produttività, l’eguaglianza tra i sessi, l’eman-cipazione femminile – al bisogno conclamato dei figli di

trascorrere i primi anni il più possibile accanto ai genito-ri; che scoraggia l’assunzione della responsabilità educa-tiva in prima persona; che, proponendo lo Stato come sol-lecito tutore, genera la convinzione che un compito fon-damentale come l’allevamento dei figli, in particolarenella prima infanzia, possa essere delegato ad altri? Davvero il principale desiderio di madri e padri è quellodi lavorare, sempre e comunque, anche mentre i figli sonoancora in fasce? Che riflessi avrà questa lontananza sulfuturo dell’attuale generazione infantile, abituata a cre-scere sin da piccolissima senza famiglia? Con uno stile brillante e di alta divulgazione, l’autrice pas-sa in rassegna significativi casi storici e analisi finanziarie,fornendo infine una proposta di policy economicamentesostenibile e realisticamente fondata sui dati strutturali,congiunturali e antropologici del “modello italiano”.

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Segnalazioni bibliografiche

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La Fondazione Cassa di Risparmio di Saluzzo è la continuazione della Cassa di Risparmio di Saluzzo,costituita nel 1901; trae quindi le proprie origini e radici storiche dalle forti motivazioni di un’associa-zione di persone – cui partecipavano privati cittadini, il Comune di Saluzzo e la Cassa di Risparmio diCuneo – per “favorire lo spirito di previdenza, prevenire l’indigenza ricevendo in deposito e rendendofruttiferi i capitali che le vengono affidati”.A seguito dello scorporo dell’azienda bancaria del dicembre 2001 e successive evoluzioni normative èpersona giuridica privata, a base associativa, senza fini di lucro, con piena autonomia statutaria, regola-ta dalle leggi vigenti in materia e dallo Statuto.La Fondazione persegue scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico e realizza leproprie finalità istituzionali – prevalentemente nel Saluzzese – nei seguenti settori rilevanti: arte, attivi-tà e beni culturali; educazione, istruzione e formazione; salute pubblica, medicina preventiva e riabilita-tiva, nonché nei seguenti settori ammessi scelti: sviluppo locale;volontariato, filantropia e beneficenza;assistenza agli anziani, attività sportiva, affiancando ai propri progetti il finanziamento di progetti pro-posti da altri soggetti, ai sensi dell'art. 3 del Regolamento interno.Sono organi collegiali della Fondazione l’Assemblea dei Soci, l’Organo di Indirizzo, il Consiglio diAmministrazione, il Presidente, attualmente in persona del prof. Giovanni Rabbia.

Perché una fondazione di origine bancaria (piccola fondazione, molto connotata territorial-mente) partecipa a questa iniziativa? Le ragioni sono tutte legate ad una domanda - come siusa dire - “ineludibile”: quale libertà, se non nell’alveo di una forte disciplina etica libera-mente acquisita anche come divisa intellettuale e spirituale, può conciliare il complesso rap-porto tra l’individuo ed il momento storico in cui vive? Ed ancora: quali sono gli strumenti cul-turali più idonei per conoscere ed operare correttamente in un mondo in cui perfino il sensodelle parole può essere pericolosamente ambiguo e deviante? Infine: il bisogno di risposte puòdirsi soddisfatto da un andazzo culturale che alza una sola bandiera, quella del relativismo?

Ogni istituzione cammina con le gambe degli uomini che le appartengono. E, tra tutte (pub-bliche e private), può accettarsi la presenza di una fondazione, la cui missione è quella di spe-rare di incidere nel suo tempo con la presenza al fianco di chi studia, pensa, conosce ed operaaffinché i destini di tutti siano meno oscuri. Una (la) missione, una (la ) kulturkampf.

Il liberalismo cristiano (o, se si vuole, il cristianesimo liberale) ha alle spalle una grandee luminosa tradizione ed il merito di aver letteralmente salvato l’Italia nei momenti in cui lasua storia poteva precipitare verso l’abisso. Comunque la si pensi, dobbiamo sentirci respon-sabili nel mantenere viva e nel diffondere la sua scuola.

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Missione e profilo

Il Tocqueville-Acton Centro Studi e Ricerche è un think-tank indipendente, di ispirazione cattolica e libera-le, che intende:

- favorire l’incontro tra studiosi, intellettuali, cultori ed accademici interessati alle tematiche filosofiche, sto-riografiche, epistemologiche, politiche, economiche, giuridiche e culturali, avendo come riferimento la pro-spettiva antropologica ed i principi della dottrina sociale della Chiesa;

- promuovere una discussione pubblica più consapevole ed informata sui temi della concorrenza, dello svi-luppo economico, dell'ambiente e dell'energia, delle liberalizzazioni e delle privatizzazioni, della fiscalità edei conti pubblici, dell'informazione e dei media, dell'innovazione scientifica e tecnologica, della scuola edell'università, del welfare e delle riforme politico-istituzionali.

Si intende così rispondere all’assenza, nel nostro Paese, di un centro di elaborazione politica e culturale diispirazione cattolica e liberale, capace di promuovere nella società civile, nelle istituzioni e nella politica iprincipi dell’economia sociale di mercato, della dottrina sociale della Chiesa e dell’etica negli affari.

Philosophy statement

Vision“Una società aperta, libera e virtuosa dove la persona non sia ridotta a mero strumento ma a fine ultimo del-l’agire umano, affinché ognuno, con il proprio lavoro, possa partecipare alla continua opera creatrice, secon-do le proprie attitudini, competenze e capacità, nei settori dell’economia, della politica e delle istituzioni” .

Purpose“Divenire un riconosciuto punto di riferimento per l’economia sociale di mercato e l’etica nell’economia enelle istituzioni, un luogo scientificamente eccellente di riflessione e di elaborazione sulla funzione, l'insor-genza e l'attuazione delle norme morali, giuridiche e sociali che regolano la convivenza tra gli uomini”.

Means“Dar vita ad un think-tank nel quale, attraverso il costante riferimento alla dottrina sociale della Chiesa, sicoltivi la responsabilità morale e sociale di quanti prendono le decisioni nelle imprese, nelle professioni enella pubblica amministrazione e si sostenga, con una produzione scientifica di punta, l'elaborazione impar-ziale di politiche pubbliche, alle quali possano ispirare la propria azione i responsabili delle decisioni politi-co-amministrative democratiche nelle istituzioni di governo centrali e locali”.

www.tocqueville-acton.org

[email protected]

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bibliotheca albatros

i libri di libertates

Contro gli statosauriPer il federalismo

a cura di Stefano Magni

interventi diChiara Battistoni,

Marco Faraci

interviste aCarlo Lottieri, Giancarlo Pagliarini,

Alessandro Vitale

bibliotheca albatros

Se vuoi far l’americanoCome si entra in politica

negli USA, e come la si fa:una lezione per gli italiani

i libri di libertates

Ennio Caretto

bibliotheca albatros

Maledetta proporzionale

I chi, come e perché della democrazia maggioritaria

i libri di libertates

dario fertilio

bibliotheca albatros

Il terzo strapotereLa giustizia e i cittadini

i libri di libertates

Antonio MartinoFabio Florindi

I Comitati per le Libertà credono nella capacità dei cittadini di auto-orga-nizzarsi per difendere i propri ideali e interessi. Al centro dei loro princi-pi c’è la cultura delle libertà, cioè l’adesione ai valori liberali e la volon-tà di partecipazione alle scelte politiche. Più in particolare, gli aderentisostengono il libero mercato, la diffusione universale dei principi didemocrazia, il federalismo e la sussidiarietà come metodi organizzativi,lo sviluppo di ogni forma – globale e locale – di democrazia diretta.Fondati nel 1998, i Comitati hanno come organi statutari un comité de

Patronage internazionale, presieduto da Vladimir Bukovskij; un comitato di Presidenza rappre-sentativo della cultura liberale; un Esecutivo che a sua volta elegge un Presidente e unPortavoce. Attorno a questi organi, una rete di Comitati locali responsabili dell’attività sul ter-ritorio, per la diffusione e l’affermazione della cultura delle libertà. Chiunque può chiedere diaderire alla federazione e farne parte, dopo la ratifica dell’Esecutivo.L’atttività dei Comitati per le Libertà si può conoscere attraverso: - il sito internazionalewww.Libertates.com; - le news settimanali “Libertates” - le riviste digitali; - la casa editriceBibliotheca Albatros; - eventi e incontri organizzati durante l’anno..Fra gli eventi più importanti, la celebrazione ogni 7 novembre del Memento Gulag, la giorna-ta della memoria per le vittime del comunismo e di tutti i totalitarismi, che si svolge in diver-se città europee.

Il terzo strapotereSaggio di Antonio Martino eFabio Florindi sulla magistraturacon interviste aPiero Alberto CapotostiPaolo GuzzantiMario CattaneoBenedetto Della VedovaStefano d’AmbruosoMario Cervi

Maledetta proporzionale

Saggio di Dario Fertilio sullalegge elettoralecon giudizi di HannahAhrendt e Karl Popper;interviste a Willer Bordon,Giuseppe Calderisi, DanieleCapezzone, Benedetto DellaVedova, Paolo Guzzanti,Giovanni Guzzetta, AngeloPanebianco, GianfrancoPasquino, Mario Segni, MarcoTaradash, Adriano Teso,Guido Roberto Vitale

Contro gli statosauri

Volume di Stefano Magni cheraccoglie saggi di studiosi delfederalismo e interviste a perso-nalità che si occupano di questotema anche nell’ottica politicaed economica.Una serie di valutazioni e pro-poste per un federalismo auten-tico, moderno, realistico e van-taggioso per tutti.

Se vuoi far l’americano,come si entra in politicanegli USA e come la si fa:una lezione per gli italianiSaggio in cui Ennio Caretto,scrittore e giornalista, corri-spondente da Washington del“Corriere della Sera” prendespunto da una lettera-riflessionedi Adriano Teso, imprenditore eliberale, a un giovane chevuole entrare in politica. L’autore traccia un ritratto delsistema politico ed elettoraleamericano senza nascondernelimiti e difetti. Ma ritrae anche unsistema capace di garantireun’autentica democrazia in cuiogni cittadino ha davvero la pos-sibilità di essere eletto e di sce-gliere i propri rappresentanti.

Tutti i libri editi da Bibliotheca Albatros (la casa editrice dei Comitati per le Libertà) si trovano e si ordinano attraverso il sito www.libertates.com

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