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Cos’è la vegetazione? E’ un insieme di individui vegetali che si sviluppa spontaneamente ed
è coerente con il sito in cui si trova.
A piccola scala è quindi l’insieme delle comunità vegetali
(erbacee, arbustive e arboree, cioè praterie, cespuglieti e boschi)
che sono presenti all’interno di un determinato territorio.
Attenzione: Vegetazione non è sinonimo di Flora!
La flora è il “semplice” elenco di specie vegetali presenti in
un determinato territorio.
Principali aspetti della vegetazione d’Italia
Perché ogni territorio ha un diverso numero e tipo
di specie vegetali e di comunità vegetali?
Dimensioni dell’area
Caratteristiche ambientali (clima, substrato litologico, morfologia)
Localizzazione geografica (biogeografia)
Disturbo antropico, cioè quanto è stato trasformato
dall’uomo il territorio considerato
La distribuzione degli organismi risponde, infatti, a:
• fattori biogeografici: possibilità per una specie di raggiungere un
ambiente adatto, per la presenza, attuale o passata, di barriere e
collegamenti geografici;
• fattori ecologici: caratteristiche ambientali e interazioni tra
organismi.
L’elevata diversità biologica dell’Italia è dovuta:
• alla storia paleogeografica e paleoclimatica, che ha consentito
all’Italia di essere raggiunta da specie di origini molto diverse;
• alla diversità di ambienti (varietà di tipologie climatiche, litologiche,
topografiche e di uso del suolo).
Le ragioni della biodiversità in Italia
Blasi C. et al. (ed.), 2005. Stato della biodiversità in Italia. Palombi Editori.
Paleogeografia
b a
a) Paleogeografia nel Pliocene: in colore le terre emerse;
b) Paleogeografia nel Pleistocene, glaciazione di Riss: in colore chiaro i ghiacciai, in
grigio le terre emerse dell’epoca, in marrone le terre emerse attuali
Macroambiti vegetazionali italiani
L’Italia alpina
L’Italia appenninica
La Pianura Padana
La vegetazione costiera
Principali aspetti della vegetazione d’Italia
L’Italia alpina
Faggete
Peccete, abetine e pinete
Lariceti e cembrete
Fascia degli arbusti
contorti
Querceti caducifogli
Praterie alpine
Ghiacciai
Boschi di latifoglie
mesofile e castagneti
L’Italia appenninica
Faggete (e abetine)
(Pinete oromediterranee)
Fascia degli arbusti
contorti
Praterie alpine
Querceti caducifogli e sempreverdi
Boschi di latifoglie mesofile
e castagneti
Praterie soprasilvatiche
Oltre il limite degli alberi e la fascia degli arbusti contorti (orizzonte alpino)
troviamo le praterie primarie che costituiscono degli stadi dinamici stabili
(curvuleti, firmeti, elineti).
Si insediano dove le condizioni termiche sono troppo severe, la stagione
vegetativa è troppo corta, il vento e lo stress idrico troppo elevati per
consentire lo sviluppo degli alberi.
Ne distinguiamo differenti tipologie in base alle quote, all’umidità del suolo, alla
natura e alla coerenza del substrato e alla gestione operata dall’uomo.
Su substrati basici:
Praterie a Sesleria varia e Carex sempervirens su detriti di
pendio ed esposizioni meridionali
A quote maggiori (fra 2200 e 2900m), dove vi sono le
condizioni microclimatiche più estreme, nelle zone più
ripide e pietrose, si sviluppano i firmeti (cenosi a Carex
firma) con Dryas octopetala, Leontopodium alpinum e
salici nani.
In condizioni microclimatiche simili a quelle dei firmeti, ma
con suolo più profondo, si hanno le formazioni ad Elyna
myosuroides (Elineti).
Carex firma
Firmeto
Elyneto
Praterie a Sesleria varia e Carex
sempervirens
Dryas octopetala
Su substrati acidi o su suoli acidificati:
Alle quote maggiori si hanno le praterie a Carex curvula
(fino a 3000 m, al limite delle nevi persistenti).
In stazioni molto ventose i curvuleti possono essere
sostituiti dagli elineti.
Dove le temperature sono più miti e l’innevamento
meno prolungato si insediano i festuceti a Festuca halleri.
In ambiti caldo-aridi festuceti a Festuca varia.
L’eccessivo carico di pascolo porta all’insediamento in
queste praterie di Nardus stricta, specie poco appetibile e
molto resistente al calpestio, che può divenire dominante.
Praterie a Festuca varia Pascolo con Nardus stricta
Praterie a Carex curvula
Festuceti a Festuca halleri
Si hanno praterie primarie anche in Appennino:
sulle cime più alte dell’Appennino settentrionale troviamo ancora praterie con
caratteristiche alpine come i seslerieti a Sesleria varia, su substrati basici, e i
curvuleti su substrati acidi; su suoli più profondi festuceti a Festuca violacea.
In Appennino centrale (Sibillini, Laga, Gran Sasso) ci sono formazioni ad Elyna
myosuroides; su suoli profondi festuceti a Festuca violacea (Appennino laziale-
abruzzese).
Nell’Appennino meridionale queste praterie si fanno più rare, per via delle
minori quote dei rilievi, e si arricchiscono di specie termofile.
Formazioni ad arbusti contorti
Tra il limite inferiore delle praterie primarie e il limite superiore degli alberi,
si trova la zona dominata dalla boscaglia subalpina (arbusti contorti e prostrati; fra
i 2000 e i 2500m).
Gli arbusti dominanti sono i mirtilli (Vaccinium myrtillus, V. vitis-idaea, V.
uliginosum), i rododendri (Rododendron hirsutum, R. ferrugineum), l’azalea nana
(Loiseleuria procumbens), il pino mugo (Pinus mugo), l’ontano verde (Alnus
viridis), il ginepro nano (Juniperus communis alpina), l’uva orsina (Arctostaphylos
uva-ursi).
E’ possibile distinguere diverse tipologie di arbusteti che occupano stazioni dalle
caratteristiche ecologiche differenti:
Pino mugo (gr. del pino montano):
Il Pinus mugo si insedia su conoidi di detriti calcarei e dolomitici delle Alpi orientali
arrestandone il movimento. Sotto il mugheto spesso si trova un denso strato di Erica
carnea.
Ontano verde
Si insedia sulle ripide pendici dei versanti, soprattutto esposti a N, con
abbondante umidità edafica, svolgendo su substrati silicei la funzione di
arresto dei detriti che il pino mugo svolge su calcare.
Rododendri:
I rodoreti sono le formazioni arbustive più diffuse nelle Alpi.
Nelle Alpi costituite da rocce silicee prevale il rododendro ferrugineo.
Si insedia soprattutto su i versanti ad esposizione settentrionale, dove la neve
permane più a lungo (la neve protegge dal gelo le giovani foglie appena germogliate),
su suoli che già hanno dell’humus.
Sulle pendici calcaree domina, invece, il rododendro irsuto (più gracile con i fiori più
chiari), capace di insediarsi anche sulle rupi e su accumuli di detriti privi di humus,
sempre preferibilmente su i versanti settentrionali più umidi.
La distribuzione dei due rododendri ricalca abbastanza fedelmente la distribuzione delle
rocce calcaree e silicee, ma il rododendro ferrugineo è capace di insediarsi anche su
substrati calcarei se vi trova dell’humus acido.
Brughiera alpina
Cenosi costituite da ericacee quali il brugo (Calluna vulgaris), l’erica (Erica carnea),
diverse specie di mirtilli e l’uva orsina.
I vaccinieti, prevalgono su i versanti a lungo innevati, esposti a N o a E , mentre
su i pendii più caldi vengono sostituiti dal brugo e dall’erica carnea.
Ginepro nano
Il ginepro nano (Juniperus communis nana) è un arbusto prostrato che forma
densi cuscini appiattiti su i versanti più aridi ed esposti del piano subalpino; di
preferenza con esposizione meridionale, laddove le nevi si sciolgono prima
(esigenze ecologiche complementari a quelle dei rododendri.
Loiselerieto
L’aspetto di quote maggiori della brughiera alpina è costituito dalle formazioni ad
azalea nana (Loiseleuria procumbens), pianta ipsofila alto-alpina (arriva fino a 3000m),
originaria della tundra artica, che costituisce la vegetazione pioniera e finale di queste
zone.
Questa forma dei densi tappeti su i dossi e i crinali esposti e ventosi, non protetti dalla
neve nemmeno in inverno, soggetti al disseccamento estivo e a temperature invernali
che arrivano a -60°C.
Fra i rami striscianti dell’azalea nana si trova una ricca comunità di licheni, che
costituisce un’importante riserva di umidità, e solo pochissime specie di piante vascolari.
In Appennino settentrionale e nelle Alpi Apuane i cespuglieti d’altitudine hanno
ancora forti somiglianze con quelli alpini, anche se mancano molte specie ad areale
artico-alpino.
Vi sono i cespuglieti a ginepro nano, a Pinus mugo, vaccinieti, mentre i rodoreti
sono rari.
Arbusteti subalpini in Appennino
In Appennino centrale, l’economia prevalentemente agro-pastorale,
ha determinato una forte riduzione delle formazioni ad arbusti nani.
Si ritrovano cespuglieti densi a pino mugo, cespuglieti densi a ginepro
nano, frammenti di vaccinieti (V. myrtillus e V. gaultherioides) legati a
suoli profondi e acidi.
In Italia meridionale gli arbusteti alto-montani si
arricchiscono di specie endemiche,orofite S-mediterranee
e di SE mediterranee, mentre scompaiono gli elementi
legati all’Europa. Es. arbusteti a ginepro nano del Pollino
e le formazioni a pulvini spinosi delle montagne
meridionali e insulari. Astragalus siculus
Lariceti e cembrete
Larix decidua
Pinus cembra
3% (*)
Spontanei solo
sulle Alpi,
altrove sono
da impianto
(*) la % è riferita al totale dei boschi
Lariceti (formazioni a Larix decidua)
Il larice (Larix decidua) è una conifera quasi esclusiva delle
Alpi, presente, oltre che nell’arco alpino, solo in aree
disgiunte sui Carpazi e in Polonia.
Specie molto eliofila che sopporta bene i venti e si
adatta bene al suolo rupestre (sia calcareo che
acido). Resiste ad inverni freddissimi e prolungati, ma
anche alle elevate temperature che si possono avere in
estate su versanti ad esposizione meridionale.
Sopportando grandi escursioni termiche e condizioni
di aridità dell’aria elevate prospera nelle Alpi più
continentali
E’ l’unica conifera delle nostre latitudini ad essere caducifoglia,
caratteristica che gli permette di non perdere acqua che non
potrebbe essere compensata per via del suolo gelato
Si spinge alle quote più elevate, vivendo agli estremi
superiori della vegetazione forestale (individui a 2600m).
quando si mescola al peccio, non sopportando
l’ombreggiamento deperisce e viene sostituito
da quest’ultimo.
Riesce però a svilupparsi bene alle quote a
cui l’abete rosso non sopravvive (i lariceti
arrivano fino a 2200m, i singoli larici a oltre
2600 m di quota).
la sua eliofilia elevata fa si che dia luogo a
formazioni rade, il cui sottobosco, ricevendo
molta luce, è abbondante e praticamente
identico ai pascoli esterni al lariceto
Vi sono anche lariceti più densi, non con
l’aspetto di pascolo arborato, con
sottobosco ad ericacee (calluna,
rododendri, mirtilli).
Cembrete (formazioni a Pinus cembra)
È ben adattato al clima freddo e continentale,
spesso da luogo a formazioni miste con il larice
(larici-cembrete), ma anche a boschi puri,
specialmente su i versanti settentrionali.
Si insedia dove il larice ha già umificato il
suolo, si mescola con questo e, se si
sviluppa molto diminuendo la luce disponibile
per i larici, diviene dominante (mentre il larice
domina sui versanti soleggiati e a quote
maggiori).
Il pino cembro nelle Alpi è diffuso soprattutto nelle
vallate a clima continentale in una fascia
altimetrica che va da 1700 a 2200 m.
Pinete a pino silvestre (Pinus sylvestris)
Si sviluppano dalla fascia collinare
(langhe piemontesi ed Appennino
Emiliano) fino circa a 1800 m di quota
E’ una pianta eliofila, resistente alla
siccità e alle elevate escursioni
termiche, capace di svilupparsi su
suoli poveri, poco evoluti e in stazioni
quasi rupestri.
Le formazioni dominate dal pino silvestre
sono caratteristiche delle valli centro-
alpine a clima continentale, distinte da
elevate escursioni termiche, scarse
precipitazioni (Es. Val di Susa, Val
d’Aosta) e scarsissima umidità
atmosferica per la frequenza di forti venti.
Abetine e peccete
Abies alba
Picea abies
8%
A. nebrodensis
Sicilia, Madonie
Peccete
spontanee
solo su Alpi e
App.no sett.le
Abetine
presenti anche
nel resto
dell’App.no
Peccete (formazioni a Picea abies)
Le formazioni di abete rosso (Picea abies = Picea excelsa) costituiscono la
formazione più rappresentativa delle foreste alpine.
Hanno una grandissima diffusione (soprattutto
nell’orizzonte montano) dovuta al fatto che l’abete
rosso è una pianta mesofila, capace di resistere a
condizioni di moderata aridità, nocive per il faggio,
e a condizioni di luce sfavorevoli all’abete bianco.
Il peccio è una specie a carattere
microtermo, rifugge climi
marcatamente oceanici e preferisce
suoli a reazione acida
peccete montane (di quote modeste, 1000-1200m
su versanti N, su versanti S più basse) che si
mescolano con il faggio e l’abete bianco.
Dalle specie presenti nel sottobosco si distinguono diverse tipi di peccete:
pecceta subalpina con sottobosco costituito dalle
diverse specie che costituiscono la fascia degli
arbusti contorti (mirtillo nero, mirtillo rosso,
rododendro, lampone), tipica è la presenza delle
pirole (Pyrola uniflora, P. secunda), della Linnaea
borealis.
Le stazioni appenniniche costituiscono una peculiarità biogeografica e sono
considerate relitti del periodo glaciale.
Ci sono tre piccoli esempi di peccete spontanee nella parte settentrionale della catena:
uno nei pressi dell’Abetone in provincia di Pistoia (Appennino toscano), detto “Pigelleto
Chiarugi”, un altro presso Passo del cerreto nell’Appennino Reggiano (il cui indigenato
non è stato confermato da indagini recenti) e uno nell’Appennino parmense (Val Cedra).
Veduta del “Pigelleto Chiarugi”
Le faggete
Il faggio (Fagus sylvatica) è presente in tutto il territorio
nazionale ad esclusione della Sardegna e delle isole minori
(è ben rappresentato in Sicilia, mentre è quasi assente dalla
Val d’Aosta).
É una specie “oceanica”, necessita di elevata umidità
atmosferica, senza ampie escursioni termiche.
In Italia caratterizza il piano montano.
Nelle Alpi occupa le stazioni a clima più oceanico
generalmente al di sotto dei boschi di conifere (fra 600 e
1300m), in Appennino segna il limite della vegetazione
arborea (1000-1700m; escludendo le faggete eterotopiche
che possono trovarsi fra i 200 e i 500m), costituendo la
specie forestale più importante.
Indifferente al substrato, preferisce
suoli freschi e profondi, ma si
adatta anche a suoli meno fertili.
Forma cenosi in cui è fortemente
dominante (le faggete pure sono spesso il
risultato della selezione operata dall’uomo),
a cui possono partecipare altre specie
come Abies alba, Taxus baccata, Ilex
aquifolium, Sorbus aucuparia, Fraxinus
excelsior, Salix caprea, Acer
pseudoplatanus, A. platanoides, A. lobelii).
Le Faggete sono una delle formazioni boschive più estese: coprono il 10% di
tutta la superficie boscata del Paese.
La faggeta presenta una grande variabilità passando dall’Italia settentrionale a quella
meridionale: le faggete alpine e dell’Appennino settentrionale sono floristicamente più
simili a quelle dell’Europa centrale, mentre lungo l’Appennino si arricchiscono di
elementi orientali (presenti anche nel NE) e nel sud e in Sicilia di endemiti
mediterranei.
Le Faggete dell’Appennino settentrionale, più affini a quelle alpine e centro-europee,
possono essere distinte in:
faggete acidofile, che si insediano su
substrati acidi e oligotrofici, distinte
dalla presenza di diverse specie del
genere Luzula (L. pedemontana, L.
nivea, L. sylvatica) e da un sottobosco
dominato dal mirtillo nero.
faggete neutro-basifile, che si sviluppano su
suoli profondi ricchi di nutrienti,
caratterizzate dalla frequente presenza delle
dentarie (Cardamine bulbifera, C. heptaphylla,
C. kitabelii);
faggete termofile, essenzialmente rupicole,
spesso caratterizzate da una copertura
discontinua che permette l’ingresso di specie
delle praterie circostanti, distinte dalla presenza
di diverse specie di Cephalanthera.
faggete microterme, che si sviluppano a quote maggiori
delle precedenti, e sono caratterizzate da un generale
impoverimento floristico (sono frequenti Oxalis
acetosella, Adenostyles glabra e Trochiscanthes
nodiflorus).
Le Faggete dell’Appennino centrale mostrano un
impoverimento floristico legato al loro ruolo di
cerniera biogeografica: si perdono le specie alpine
che hanno il loro limite distributivo meridionale
nell’Appennino settentrionale e sono assenti o
sporadiche le specie delle faggete di quello
meridionale.
Le Faggete dell’Appennino meridionale manifestano un’autonomia più spiccata,
arricchendosi di entità endemiche o subendemiche ad areale meridionale (come
Ranunculus brutius e Campanula trichocalycina) e da specie con baricentro distributivo
Sud-appenninico e balcanico centro-meridionale (come Geranium versicolor e
Doronicum orientale).
Anche in questo caso possiamo distinguerne due tipologie: una termofila ed
una a carattere microtermo caratteristica di quote maggiori.
Querceti a prevalenza di cerro (Quercus cerris)
L’areale del cerro si estende principalmente nell’Europa
centro-meridionale e orientale. In Italia è diffuso in buona
parte della penisola (soprattutto sulla dorsale appenninica
dalla Toscana verso Sud), manca in Sardegna ed è raro in
Pianura Padana e in Sicilia.
Il cerro partecipa molto frequentemente alla
costituzione di querceti e boschi misti o dà luogo a
formazioni in cui è fortemente dominante.
Spesso queste cenosi presentano una notevole
diversità floristica.
È diffuso dalla bassa collina fino al limite del piano montano
(può raggiungere quote superiori in esposizioni soleggiate).
Ha un comportamento mesofilo sia nei riguardi della
temperatura che dell’umidità; si adatta a tutti i substrati, purchè
dotati della giusta umidità.
Cerrete submediterranee, che occupano le aree pianeggianti costiere e
subcostiere, ricche di specie termofile ad areale mediterraneo e orientale; nello
strato arboreo oltre al cerro sono frequenti la roverella, il farnetto, l’orniello,, il
sottobosco è ricco di specie arbustive (come Crataegus monogyna, Malus sylvestris
e Mespilus germanica) ed erbacee.
Cerrete delle aree collinari e submontane, che si arricchiscono di elementi
mesofili, più vicini alla flora delle faggete, e nello strato arboreo troviamo anche
l’Acer obtusatum, il nocciolo (Corylus avellana), il carpino bianco e il tiglio (Tilia
platyphyllos).
Le cerrete dell’Italia meridionale (Campania meridionale, Basilicata e Calabria)
possono essere distinte da quelle dell’Appennino centro-settentrionale per la presenza
di orofite Sud-Est Europee, di specie endemiche e dalla grande abbondanza di specie
a distribuzione mediterranea. Fra queste ricordiamo Lathyrus digitatus, L. jordani,
Melittis albida, Physospermum verticillatum ed Euphorbia corallioides.
Lathyrus digitatus
Lathyrus jordani Euphorbia corallioides Physospermum verticillatum
Melittis albida
formazioni a Quercus pubescens
La roverella ha un areale a gravitazione Sud-Europea.
In Italia è presente in tutte regioni, in ambienti molto diversi
grazie alla sua grande adattabilità.
Partecipa a diverse formazioni miste e caratterizza i boschi di latifoglie eliofile.
I boschi dominati dalla roverella sono in genere delle cenosi rade con sottobosco
ben sviluppato ricco di specie eliofile.
È una specie eliofila, xerofila e termofila (anche se resiste anche a temperature
piuttosto rigide), che si ritrova fra i 200 e gli 800m.
Cresce su terreni di natura differente, anche aridi e rocciosi.
Possiamo distinguere delle formazioni collinari più termofile, che si insediano
principalmente su substrati calcarei del versante tirrenico, caratterizzate
dall’abbondanza di specie sempreverdi e mediterranee, come Rosa sempervirens,
Rubia peregrina e Asparagus acutifolius.
Formazioni che si insediano su pendii calcarei del piano submontano (fra i 600 e i
1000m, nelle vallate dell’Appennino centrale). Nello strato arboreo la roverella,
dominante, è spesso accompagnata da Fraxinus ornus e Ostrya carpinifolia; nel
sottobosco sono comuni Cytisus sessilifolius, Juniperus oxycedrus e Brachypodium
rupestre.
Pinete montane e
oromediterranee
Pinus nigra - calciofilo
Pinus leucodermis
Pinus nigra subsp.
calabrica (sub P.
nigra subsp. laricio)
- substrati silicatici
Pinete a pino nero d’Austria spontanee
solo su Alpi or.li e App.no cent.le e mer.le
Pinete a pino silano (o di Calabria) in
Calabria, Sicilia e M.ti Pisani
Pinete a pino loricato
in Campania,
Basilicata e Calabria
Pinete montane dell’Appennino
Pinete a Pinus nigra
Il pino nero è una specie pioniera, xerofila, eliofila, resistente
al gelo, che si adatta facilmente a molti tipi di substrato. Per
queste sue caratteristiche e per il rapido accrescimento è stato
ampiamente utilizzato per i rimboschimenti.
In Appennino sono da segnalare alcuni frammenti di pinete
naturali a pino nero in Abruzzo (es. presso Villetta Barrea) oltre
ad alcuni presenti in Friuli all’estremo occidentale del suo areale.
Pinete a Pinus nigra subsp. laricio
Le nostre più vaste pinete di pino laricio si hanno in Sila,
Aspromonte e sull’Etna (endemismo di Calabria,
Sicilia e Corsica), fra i 1000 e i 1700m di quota.
Il pino laricio si insedia nella fascia di pertinenza del
faggio, occupando le pendici rupestri, con suoli poco
evoluti e a clima più continentale.
Pinete a Pinus leucodermis:
Il pino loricato è una specie montana, legata a stazioni rupestri e substrati calcarei,
che si spinge fino ai 2200 metri di quota.
Ha un areale limitato alla penisola balcanica e ad alcuni massicci dell’Italia meridionale.
In Italia è segnalato in Calabria (sul Pollino e presso Orsomarso) e in Lucania (M. Alpi e
M. La Spina).
Non forma dei popolamenti con sottobosco nemorale, anche dove è presente in
modo consistente da luogo ad una pineta inserita in un contesto di pascolo arido.
Leccete
Il leccio (Quercus ilex) è una quercia sempreverde
mediterranea. È più abbondante nel settore occidentale,
dove forma boschi puri molto vasti.
In Italia è diffuso principalmente nelle isole e nelle regioni costiere tirreniche e
ioniche, sul versante adriatico i popolamenti diventano discontinui; troviamo nuclei
isolati e relittuali lungo le coste dei laghi insubrici, sui colli euganei, in Friuli e nel
ferrarese. Lungo la penisola risale spesso le valli interne occupando versanti soleggiati
calcarei.
E’ tipico della fascia mesomediterranea ma dove le condizioni
stazionali non sono favorevoli alle latifoglie più esigenti (versanti ripidi,
calcarei, ad esposizione meridionale) sale in quota arrivando fino al
contatto con le faggete. Lo troviamo dalla riva del mare fino a oltre 1400.
È una specie molto xerotollerante e relativamente termofila anche se resistente al
freddo e alle brusche variazioni di temperatura.
Si adatta a diversi tipi di terreno, evitando solo quelli molto argillosi o con ristagno
idrico; allontanandosi dalla fascia mesomediterranea si comporta da specie calcicola
termica.
La lecceta è una formazione che crea condizioni di grande
sciafilia, in cui il leccio tende ad essere dominante, e in
genere è caratterizzata da una scarsa diversità floristica.
Possiamo distinguere molti tipi diversi di lecceta, fra queste:
• le leccete tipiche della fascia litorale (coste tirreniche della penisola), ricche di
elementi sempreverdi come Viburnum tinus, Phillyrea sp. pl., Arbutus unedo,
Pistacia lentiscus, Myrtus communis.
Caratteristica della lecceta è la presenza di molte specie
lianose, fra cui Rubia peregrina, Smilax aspera, Clematis
flammula, C. vitalba, Tamus communis.
• le leccete miste della fascia collinare e submontana, caratterizzate
dalla presenza di diverse latifoglie decidue: nello strato dominante assieme
al leccio possono essere comuni l’orniello (Fraxinus ornus), il carpino nero
(Ostrya carpinifolia), la roverella (Quercus pubescens), Acer
monspessulanum e Carpinus orientalis.
Appennino centrale
Boschi igrofili
Querceto “termofilo”
Ostrieto
Querceto “meso-igrofilo”
+ Lecceta
Faggeta
Querceto
“mesofilo”
NORD SUD
Veg.ne non forestale ca. 1800 m.
Faggete (Anemono-Fagetum sigmetum)
Boschi di forra (Tilio-Acerion)
Boschi misti (Melittio-Ostryetum sigmetum)
Ostrieti termofili (Asparago-Ostryetum sigmetum)
Leccete (Orno-Quercetum ilicis sigmetum)
Successione catenale reale in un settore dei M.ti Sabini
SW NE 1300 m 1300
300 m 300
Catena di
M.te Tancia
1292 m
M.te Cesa
756 m
Catena di
M.te Pizzuto
1283 m
Valle
Gem
ini
Fo
sso
di
Gala
tina
Macchie alte e
macchie basse e garighe 12%
e
32% (della sup.
arbustiva)
Olea europaea
Ceratonia siliqua
Chamaerops
humulis
Macchia mediterranea
Con il termine macchia si intende la vegetazione arbustiva sempreverde, dominata
da specie sclerofille, caratteristica dell’area mediterranea. Si tratta di cenosi molto
dense e compatte, alte da 2 a 4m, dominate da arbusti e ricche di specie lianose.
È la principale formazione legnosa presente
nelle aree costiere e subcostiere del
Mediterraneo.
Interessa gran parte della penisola e le isole,
spesso penetra verso l’interno sviluppandosi su i
versanti più caldi dei rilievi antiappenninici.
Esistono aspetti differenti di macchia, in base
alle caratteristiche climatiche, del substrato, al tipo
e all’intensità di disturbo cui possono essere
soggette.
Gli arbusti che più frequentemente la
costituiscono sono il mirto, il lentisco, l’erica, il
leccio, il corbezzolo, i ginepri, i cisti, il ramno, la
fillirea…
Per quanto riguarda l’origine la macchia può essere distinta in macchia primaria
e macchia secondaria:
la macchia secondaria è legata alla scomparsa della vegetazione forestale in seguito a
disturbi prolungati. Costituisce quindi uno stadio di degradazione della pre-esistente
vegetazione forestale spesso legato alla ceduazione, ad incendi ricorrenti e al
pascolo che spesso segue i primi due facendo regredire ulteriormente la vegetazione.
la macchia primaria, molto più rara, è propria di aree
con caratteristiche che non permettono lo sviluppo di
vegetazione forestale, per via dell’esistenza di
qualche fattore limitante (caratteristiche del substrato,
pendenze molto elevate, continua azione inaridente
del vento, elevato tenore salino).
Un esempio di macchia primaria a carattere
spiccatamente rupestre e la macchia a palma nana
(al Circeo la palma nana si mescola con l’euforbia
arborea).
È possibile distinguere diversi gradi di evoluzione (o di degradazione) della
macchia, fra i termini più evoluti ci sono gli aspetti a erica e corbezzolo e le
boscaglie a leccio, mentre fra gli aspetti meno evoluti (o più degradati) possiamo
ricordare le macchie a cisti, che si avvicinano ad una gariga.
In base allo sviluppo in altezza delle formazioni la macchia può essere distinta in
macchia alta o macchia-foresta (4-5m) e macchia bassa (1,5-2m).
Macchia a erica (Erica arborea) e corbezzolo (Arbutus
unedo)
La macchia ad erica e corbezzolo è una formazione di macchia
alta frequente su i substrati silicei lungo tutto il litorale tirrenico.
Queste comunità nel Lazio si trovano in corrispondenza di substrati
acidi, come su i Monti Ceriti e i Monti della Tolfa.
Sia il corbezzolo che l’erica hanno una grande capacità
di ripresa dopo il passaggio del fuoco (il corbezzolo è tra
le prime specie a riprendere a vegetare) e la loro
dominanza è probabilmente legata al regime degli
incendi.
Aspetti di macchia, spesso secondaria, dominati da
Myrtus communis e Pistacia lentiscus, a cui si
aggiungono spesso Rhamnus alaternus, Phillyrea
latifolia e le lianose Lonicera implexa, Smilax
aspera, Clematis flammula, Rubia peregrina e
Asparagus acutifolius.
Macchia a mirto (Myrtus communis) e lentisco (Pistacia lentiscus)
Tipologia diffusa in tutto il bacino del mediterraneo, comune nel Lazio costiero, si
spinge anche sui versanti calcarei dei rilievi non propriamente costieri.
Macchia ad euforbia arborea (Euphorbia dendroides)
L’Euphorbia dendroides è la più grande euforbia europea
(arriva a 2m).
È specie termofila che predilige stazioni soleggiate ed è
competitiva su falesie e versanti acclivi e rocciosi
indipendentemente dalla natura del substrato.
È adattata a condizioni di spiccata aridità: è una caducifoglia estiva (fenomeno
dell’estivazione), cioè perde le foglie da giugno a settembre entrando in riposo in
corrispondenza del periodo estivo più caldo e arido.
Gli arbusteti a Euphorbia dendroides si
rinvengono lungo i litorali più caldi, in ambiti
rocciosi.
La Pianura Padana
(e altre pianure)
Querceti caducifogli
Boschi igrofili
(Boschi di specie aliene,
es. Robinia pseudoacacia,
Ailanthus altissima,
Prunus serotina, Quercus
rubra, ecc.)
Altre specie:
Laurus nobilis
Boschi igrofili
Alnus glutinosa
Ulmus minor Sambucus nigra
Fraxinus oxycarpa
La vegetazione costiera Querceti
sempreverdi
Vegetazione
dunale
erbacea Garighe
(Pinete litoranee) Macchia mediterranea
Coste basse
MARE
Querceti
caducifogli e
boschi igrofili
La vegetazione costiera
Querceti sempreverdi
Garighe
(Pinete litoranee)
Macchia mediterranea
Coste alte Querceti caducifogli termofili
Vegetazione
casmofitica
alofila
MARE