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Cos’è la vegetazione? E’ un insieme di individui vegetali che si sviluppa spontaneamente ed è coerente con il sito in cui si trova. A piccola scala è quindi l’insieme delle comunità vegetali (erbacee, arbustive e arboree, cioè praterie, cespuglieti e boschi) che sono presenti all’interno di un determinato territorio. Attenzione: Vegetazione non è sinonimo di Flora! La flora è il “semplice” elenco di specie vegetali presenti in un determinato territorio. Principali aspetti della vegetazione d’Italia

Transcript of è coerente con il sito in cui si trova. (erbacee ... · Cos’è la vegetazione? ... Il Pinus mugo...

Cos’è la vegetazione? E’ un insieme di individui vegetali che si sviluppa spontaneamente ed

è coerente con il sito in cui si trova.

A piccola scala è quindi l’insieme delle comunità vegetali

(erbacee, arbustive e arboree, cioè praterie, cespuglieti e boschi)

che sono presenti all’interno di un determinato territorio.

Attenzione: Vegetazione non è sinonimo di Flora!

La flora è il “semplice” elenco di specie vegetali presenti in

un determinato territorio.

Principali aspetti della vegetazione d’Italia

Perché ogni territorio ha un diverso numero e tipo

di specie vegetali e di comunità vegetali?

Dimensioni dell’area

Caratteristiche ambientali (clima, substrato litologico, morfologia)

Localizzazione geografica (biogeografia)

Disturbo antropico, cioè quanto è stato trasformato

dall’uomo il territorio considerato

La distribuzione degli organismi risponde, infatti, a:

• fattori biogeografici: possibilità per una specie di raggiungere un

ambiente adatto, per la presenza, attuale o passata, di barriere e

collegamenti geografici;

• fattori ecologici: caratteristiche ambientali e interazioni tra

organismi.

L’elevata diversità biologica dell’Italia è dovuta:

• alla storia paleogeografica e paleoclimatica, che ha consentito

all’Italia di essere raggiunta da specie di origini molto diverse;

• alla diversità di ambienti (varietà di tipologie climatiche, litologiche,

topografiche e di uso del suolo).

Le ragioni della biodiversità in Italia

Blasi C. et al. (ed.), 2005. Stato della biodiversità in Italia. Palombi Editori.

Paleogeografia

b a

a) Paleogeografia nel Pliocene: in colore le terre emerse;

b) Paleogeografia nel Pleistocene, glaciazione di Riss: in colore chiaro i ghiacciai, in

grigio le terre emerse dell’epoca, in marrone le terre emerse attuali

Giacomini e Fenaroli,

1958. Flora d’Italia -

TCI

Regionalizzazione

fitogeografica

Bioclimi

Blasi C. et al. (ed.), 2005. Stato della biodiversità in Italia. Palombi Editori.

Morfologia

Sistemi di paesaggio (lito-morfologici)

Legenda dei sistemi della Reg. Mediterranea

Vegetazione

potenziale

Blasi C. (ed.), 2009.

Carta delle serie di

vegetazione d’Italia

CORINE Land Cover 2000

Legenda semplificata al III livello

APAT, 2005. Rapporti, 36.

Macroambiti vegetazionali italiani

L’Italia alpina

L’Italia appenninica

La Pianura Padana

La vegetazione costiera

Principali aspetti della vegetazione d’Italia

L’Italia alpina

Faggete

Peccete, abetine e pinete

Lariceti e cembrete

Fascia degli arbusti

contorti

Querceti caducifogli

Praterie alpine

Ghiacciai

Boschi di latifoglie

mesofile e castagneti

L’Italia appenninica

Faggete (e abetine)

(Pinete oromediterranee)

Fascia degli arbusti

contorti

Praterie alpine

Querceti caducifogli e sempreverdi

Boschi di latifoglie mesofile

e castagneti

Praterie soprasilvatiche

Oltre il limite degli alberi e la fascia degli arbusti contorti (orizzonte alpino)

troviamo le praterie primarie che costituiscono degli stadi dinamici stabili

(curvuleti, firmeti, elineti).

Si insediano dove le condizioni termiche sono troppo severe, la stagione

vegetativa è troppo corta, il vento e lo stress idrico troppo elevati per

consentire lo sviluppo degli alberi.

Ne distinguiamo differenti tipologie in base alle quote, all’umidità del suolo, alla

natura e alla coerenza del substrato e alla gestione operata dall’uomo.

Su substrati basici:

Praterie a Sesleria varia e Carex sempervirens su detriti di

pendio ed esposizioni meridionali

A quote maggiori (fra 2200 e 2900m), dove vi sono le

condizioni microclimatiche più estreme, nelle zone più

ripide e pietrose, si sviluppano i firmeti (cenosi a Carex

firma) con Dryas octopetala, Leontopodium alpinum e

salici nani.

In condizioni microclimatiche simili a quelle dei firmeti, ma

con suolo più profondo, si hanno le formazioni ad Elyna

myosuroides (Elineti).

Carex firma

Firmeto

Elyneto

Praterie a Sesleria varia e Carex

sempervirens

Dryas octopetala

Su substrati acidi o su suoli acidificati:

Alle quote maggiori si hanno le praterie a Carex curvula

(fino a 3000 m, al limite delle nevi persistenti).

In stazioni molto ventose i curvuleti possono essere

sostituiti dagli elineti.

Dove le temperature sono più miti e l’innevamento

meno prolungato si insediano i festuceti a Festuca halleri.

In ambiti caldo-aridi festuceti a Festuca varia.

L’eccessivo carico di pascolo porta all’insediamento in

queste praterie di Nardus stricta, specie poco appetibile e

molto resistente al calpestio, che può divenire dominante.

Praterie a Festuca varia Pascolo con Nardus stricta

Praterie a Carex curvula

Festuceti a Festuca halleri

Si hanno praterie primarie anche in Appennino:

sulle cime più alte dell’Appennino settentrionale troviamo ancora praterie con

caratteristiche alpine come i seslerieti a Sesleria varia, su substrati basici, e i

curvuleti su substrati acidi; su suoli più profondi festuceti a Festuca violacea.

In Appennino centrale (Sibillini, Laga, Gran Sasso) ci sono formazioni ad Elyna

myosuroides; su suoli profondi festuceti a Festuca violacea (Appennino laziale-

abruzzese).

Nell’Appennino meridionale queste praterie si fanno più rare, per via delle

minori quote dei rilievi, e si arricchiscono di specie termofile.

Formazioni ad arbusti contorti

Tra il limite inferiore delle praterie primarie e il limite superiore degli alberi,

si trova la zona dominata dalla boscaglia subalpina (arbusti contorti e prostrati; fra

i 2000 e i 2500m).

Gli arbusti dominanti sono i mirtilli (Vaccinium myrtillus, V. vitis-idaea, V.

uliginosum), i rododendri (Rododendron hirsutum, R. ferrugineum), l’azalea nana

(Loiseleuria procumbens), il pino mugo (Pinus mugo), l’ontano verde (Alnus

viridis), il ginepro nano (Juniperus communis alpina), l’uva orsina (Arctostaphylos

uva-ursi).

E’ possibile distinguere diverse tipologie di arbusteti che occupano stazioni dalle

caratteristiche ecologiche differenti:

Pino mugo (gr. del pino montano):

Il Pinus mugo si insedia su conoidi di detriti calcarei e dolomitici delle Alpi orientali

arrestandone il movimento. Sotto il mugheto spesso si trova un denso strato di Erica

carnea.

Ontano verde

Si insedia sulle ripide pendici dei versanti, soprattutto esposti a N, con

abbondante umidità edafica, svolgendo su substrati silicei la funzione di

arresto dei detriti che il pino mugo svolge su calcare.

Rododendri:

I rodoreti sono le formazioni arbustive più diffuse nelle Alpi.

Nelle Alpi costituite da rocce silicee prevale il rododendro ferrugineo.

Si insedia soprattutto su i versanti ad esposizione settentrionale, dove la neve

permane più a lungo (la neve protegge dal gelo le giovani foglie appena germogliate),

su suoli che già hanno dell’humus.

Sulle pendici calcaree domina, invece, il rododendro irsuto (più gracile con i fiori più

chiari), capace di insediarsi anche sulle rupi e su accumuli di detriti privi di humus,

sempre preferibilmente su i versanti settentrionali più umidi.

La distribuzione dei due rododendri ricalca abbastanza fedelmente la distribuzione delle

rocce calcaree e silicee, ma il rododendro ferrugineo è capace di insediarsi anche su

substrati calcarei se vi trova dell’humus acido.

Brughiera alpina

Cenosi costituite da ericacee quali il brugo (Calluna vulgaris), l’erica (Erica carnea),

diverse specie di mirtilli e l’uva orsina.

I vaccinieti, prevalgono su i versanti a lungo innevati, esposti a N o a E , mentre

su i pendii più caldi vengono sostituiti dal brugo e dall’erica carnea.

Ginepro nano

Il ginepro nano (Juniperus communis nana) è un arbusto prostrato che forma

densi cuscini appiattiti su i versanti più aridi ed esposti del piano subalpino; di

preferenza con esposizione meridionale, laddove le nevi si sciolgono prima

(esigenze ecologiche complementari a quelle dei rododendri.

Loiselerieto

L’aspetto di quote maggiori della brughiera alpina è costituito dalle formazioni ad

azalea nana (Loiseleuria procumbens), pianta ipsofila alto-alpina (arriva fino a 3000m),

originaria della tundra artica, che costituisce la vegetazione pioniera e finale di queste

zone.

Questa forma dei densi tappeti su i dossi e i crinali esposti e ventosi, non protetti dalla

neve nemmeno in inverno, soggetti al disseccamento estivo e a temperature invernali

che arrivano a -60°C.

Fra i rami striscianti dell’azalea nana si trova una ricca comunità di licheni, che

costituisce un’importante riserva di umidità, e solo pochissime specie di piante vascolari.

In Appennino settentrionale e nelle Alpi Apuane i cespuglieti d’altitudine hanno

ancora forti somiglianze con quelli alpini, anche se mancano molte specie ad areale

artico-alpino.

Vi sono i cespuglieti a ginepro nano, a Pinus mugo, vaccinieti, mentre i rodoreti

sono rari.

Arbusteti subalpini in Appennino

In Appennino centrale, l’economia prevalentemente agro-pastorale,

ha determinato una forte riduzione delle formazioni ad arbusti nani.

Si ritrovano cespuglieti densi a pino mugo, cespuglieti densi a ginepro

nano, frammenti di vaccinieti (V. myrtillus e V. gaultherioides) legati a

suoli profondi e acidi.

In Italia meridionale gli arbusteti alto-montani si

arricchiscono di specie endemiche,orofite S-mediterranee

e di SE mediterranee, mentre scompaiono gli elementi

legati all’Europa. Es. arbusteti a ginepro nano del Pollino

e le formazioni a pulvini spinosi delle montagne

meridionali e insulari. Astragalus siculus

Lariceti e cembrete

Larix decidua

Pinus cembra

3% (*)

Spontanei solo

sulle Alpi,

altrove sono

da impianto

(*) la % è riferita al totale dei boschi

Lariceti (formazioni a Larix decidua)

Il larice (Larix decidua) è una conifera quasi esclusiva delle

Alpi, presente, oltre che nell’arco alpino, solo in aree

disgiunte sui Carpazi e in Polonia.

Specie molto eliofila che sopporta bene i venti e si

adatta bene al suolo rupestre (sia calcareo che

acido). Resiste ad inverni freddissimi e prolungati, ma

anche alle elevate temperature che si possono avere in

estate su versanti ad esposizione meridionale.

Sopportando grandi escursioni termiche e condizioni

di aridità dell’aria elevate prospera nelle Alpi più

continentali

E’ l’unica conifera delle nostre latitudini ad essere caducifoglia,

caratteristica che gli permette di non perdere acqua che non

potrebbe essere compensata per via del suolo gelato

Si spinge alle quote più elevate, vivendo agli estremi

superiori della vegetazione forestale (individui a 2600m).

quando si mescola al peccio, non sopportando

l’ombreggiamento deperisce e viene sostituito

da quest’ultimo.

Riesce però a svilupparsi bene alle quote a

cui l’abete rosso non sopravvive (i lariceti

arrivano fino a 2200m, i singoli larici a oltre

2600 m di quota).

la sua eliofilia elevata fa si che dia luogo a

formazioni rade, il cui sottobosco, ricevendo

molta luce, è abbondante e praticamente

identico ai pascoli esterni al lariceto

Vi sono anche lariceti più densi, non con

l’aspetto di pascolo arborato, con

sottobosco ad ericacee (calluna,

rododendri, mirtilli).

Cembrete (formazioni a Pinus cembra)

È ben adattato al clima freddo e continentale,

spesso da luogo a formazioni miste con il larice

(larici-cembrete), ma anche a boschi puri,

specialmente su i versanti settentrionali.

Si insedia dove il larice ha già umificato il

suolo, si mescola con questo e, se si

sviluppa molto diminuendo la luce disponibile

per i larici, diviene dominante (mentre il larice

domina sui versanti soleggiati e a quote

maggiori).

Il pino cembro nelle Alpi è diffuso soprattutto nelle

vallate a clima continentale in una fascia

altimetrica che va da 1700 a 2200 m.

Pinete a pino silvestre (Pinus sylvestris)

Si sviluppano dalla fascia collinare

(langhe piemontesi ed Appennino

Emiliano) fino circa a 1800 m di quota

E’ una pianta eliofila, resistente alla

siccità e alle elevate escursioni

termiche, capace di svilupparsi su

suoli poveri, poco evoluti e in stazioni

quasi rupestri.

Le formazioni dominate dal pino silvestre

sono caratteristiche delle valli centro-

alpine a clima continentale, distinte da

elevate escursioni termiche, scarse

precipitazioni (Es. Val di Susa, Val

d’Aosta) e scarsissima umidità

atmosferica per la frequenza di forti venti.

Abetine e peccete

Abies alba

Picea abies

8%

A. nebrodensis

Sicilia, Madonie

Peccete

spontanee

solo su Alpi e

App.no sett.le

Abetine

presenti anche

nel resto

dell’App.no

Peccete (formazioni a Picea abies)

Le formazioni di abete rosso (Picea abies = Picea excelsa) costituiscono la

formazione più rappresentativa delle foreste alpine.

Hanno una grandissima diffusione (soprattutto

nell’orizzonte montano) dovuta al fatto che l’abete

rosso è una pianta mesofila, capace di resistere a

condizioni di moderata aridità, nocive per il faggio,

e a condizioni di luce sfavorevoli all’abete bianco.

Il peccio è una specie a carattere

microtermo, rifugge climi

marcatamente oceanici e preferisce

suoli a reazione acida

peccete montane (di quote modeste, 1000-1200m

su versanti N, su versanti S più basse) che si

mescolano con il faggio e l’abete bianco.

Dalle specie presenti nel sottobosco si distinguono diverse tipi di peccete:

pecceta subalpina con sottobosco costituito dalle

diverse specie che costituiscono la fascia degli

arbusti contorti (mirtillo nero, mirtillo rosso,

rododendro, lampone), tipica è la presenza delle

pirole (Pyrola uniflora, P. secunda), della Linnaea

borealis.

Le stazioni appenniniche costituiscono una peculiarità biogeografica e sono

considerate relitti del periodo glaciale.

Ci sono tre piccoli esempi di peccete spontanee nella parte settentrionale della catena:

uno nei pressi dell’Abetone in provincia di Pistoia (Appennino toscano), detto “Pigelleto

Chiarugi”, un altro presso Passo del cerreto nell’Appennino Reggiano (il cui indigenato

non è stato confermato da indagini recenti) e uno nell’Appennino parmense (Val Cedra).

Veduta del “Pigelleto Chiarugi”

Faggete

Fagus sylvatica

12%

Alpi, App.no e

Sicilia

No in

Sardegna

Le faggete

Il faggio (Fagus sylvatica) è presente in tutto il territorio

nazionale ad esclusione della Sardegna e delle isole minori

(è ben rappresentato in Sicilia, mentre è quasi assente dalla

Val d’Aosta).

É una specie “oceanica”, necessita di elevata umidità

atmosferica, senza ampie escursioni termiche.

In Italia caratterizza il piano montano.

Nelle Alpi occupa le stazioni a clima più oceanico

generalmente al di sotto dei boschi di conifere (fra 600 e

1300m), in Appennino segna il limite della vegetazione

arborea (1000-1700m; escludendo le faggete eterotopiche

che possono trovarsi fra i 200 e i 500m), costituendo la

specie forestale più importante.

Indifferente al substrato, preferisce

suoli freschi e profondi, ma si

adatta anche a suoli meno fertili.

Forma cenosi in cui è fortemente

dominante (le faggete pure sono spesso il

risultato della selezione operata dall’uomo),

a cui possono partecipare altre specie

come Abies alba, Taxus baccata, Ilex

aquifolium, Sorbus aucuparia, Fraxinus

excelsior, Salix caprea, Acer

pseudoplatanus, A. platanoides, A. lobelii).

Le Faggete sono una delle formazioni boschive più estese: coprono il 10% di

tutta la superficie boscata del Paese.

La faggeta presenta una grande variabilità passando dall’Italia settentrionale a quella

meridionale: le faggete alpine e dell’Appennino settentrionale sono floristicamente più

simili a quelle dell’Europa centrale, mentre lungo l’Appennino si arricchiscono di

elementi orientali (presenti anche nel NE) e nel sud e in Sicilia di endemiti

mediterranei.

Le Faggete dell’Appennino settentrionale, più affini a quelle alpine e centro-europee,

possono essere distinte in:

faggete acidofile, che si insediano su

substrati acidi e oligotrofici, distinte

dalla presenza di diverse specie del

genere Luzula (L. pedemontana, L.

nivea, L. sylvatica) e da un sottobosco

dominato dal mirtillo nero.

faggete neutro-basifile, che si sviluppano su

suoli profondi ricchi di nutrienti,

caratterizzate dalla frequente presenza delle

dentarie (Cardamine bulbifera, C. heptaphylla,

C. kitabelii);

faggete termofile, essenzialmente rupicole,

spesso caratterizzate da una copertura

discontinua che permette l’ingresso di specie

delle praterie circostanti, distinte dalla presenza

di diverse specie di Cephalanthera.

faggete microterme, che si sviluppano a quote maggiori

delle precedenti, e sono caratterizzate da un generale

impoverimento floristico (sono frequenti Oxalis

acetosella, Adenostyles glabra e Trochiscanthes

nodiflorus).

Le Faggete dell’Appennino centrale mostrano un

impoverimento floristico legato al loro ruolo di

cerniera biogeografica: si perdono le specie alpine

che hanno il loro limite distributivo meridionale

nell’Appennino settentrionale e sono assenti o

sporadiche le specie delle faggete di quello

meridionale.

Le Faggete dell’Appennino meridionale manifestano un’autonomia più spiccata,

arricchendosi di entità endemiche o subendemiche ad areale meridionale (come

Ranunculus brutius e Campanula trichocalycina) e da specie con baricentro distributivo

Sud-appenninico e balcanico centro-meridionale (come Geranium versicolor e

Doronicum orientale).

Anche in questo caso possiamo distinguerne due tipologie: una termofila ed

una a carattere microtermo caratteristica di quote maggiori.

Castagneti

Castanea sativa

Acer obtusatum

9%

Alnus cordata

Querceti caducifogli

Quercus cerris Q. pubescens

Q. petraea Q. robur

25%

Querceti a prevalenza di cerro (Quercus cerris)

L’areale del cerro si estende principalmente nell’Europa

centro-meridionale e orientale. In Italia è diffuso in buona

parte della penisola (soprattutto sulla dorsale appenninica

dalla Toscana verso Sud), manca in Sardegna ed è raro in

Pianura Padana e in Sicilia.

Il cerro partecipa molto frequentemente alla

costituzione di querceti e boschi misti o dà luogo a

formazioni in cui è fortemente dominante.

Spesso queste cenosi presentano una notevole

diversità floristica.

È diffuso dalla bassa collina fino al limite del piano montano

(può raggiungere quote superiori in esposizioni soleggiate).

Ha un comportamento mesofilo sia nei riguardi della

temperatura che dell’umidità; si adatta a tutti i substrati, purchè

dotati della giusta umidità.

Cerrete submediterranee, che occupano le aree pianeggianti costiere e

subcostiere, ricche di specie termofile ad areale mediterraneo e orientale; nello

strato arboreo oltre al cerro sono frequenti la roverella, il farnetto, l’orniello,, il

sottobosco è ricco di specie arbustive (come Crataegus monogyna, Malus sylvestris

e Mespilus germanica) ed erbacee.

Cerrete delle aree collinari e submontane, che si arricchiscono di elementi

mesofili, più vicini alla flora delle faggete, e nello strato arboreo troviamo anche

l’Acer obtusatum, il nocciolo (Corylus avellana), il carpino bianco e il tiglio (Tilia

platyphyllos).

Le cerrete dell’Italia meridionale (Campania meridionale, Basilicata e Calabria)

possono essere distinte da quelle dell’Appennino centro-settentrionale per la presenza

di orofite Sud-Est Europee, di specie endemiche e dalla grande abbondanza di specie

a distribuzione mediterranea. Fra queste ricordiamo Lathyrus digitatus, L. jordani,

Melittis albida, Physospermum verticillatum ed Euphorbia corallioides.

Lathyrus digitatus

Lathyrus jordani Euphorbia corallioides Physospermum verticillatum

Melittis albida

formazioni a Quercus pubescens

La roverella ha un areale a gravitazione Sud-Europea.

In Italia è presente in tutte regioni, in ambienti molto diversi

grazie alla sua grande adattabilità.

Partecipa a diverse formazioni miste e caratterizza i boschi di latifoglie eliofile.

I boschi dominati dalla roverella sono in genere delle cenosi rade con sottobosco

ben sviluppato ricco di specie eliofile.

È una specie eliofila, xerofila e termofila (anche se resiste anche a temperature

piuttosto rigide), che si ritrova fra i 200 e gli 800m.

Cresce su terreni di natura differente, anche aridi e rocciosi.

Possiamo distinguere delle formazioni collinari più termofile, che si insediano

principalmente su substrati calcarei del versante tirrenico, caratterizzate

dall’abbondanza di specie sempreverdi e mediterranee, come Rosa sempervirens,

Rubia peregrina e Asparagus acutifolius.

Formazioni che si insediano su pendii calcarei del piano submontano (fra i 600 e i

1000m, nelle vallate dell’Appennino centrale). Nello strato arboreo la roverella,

dominante, è spesso accompagnata da Fraxinus ornus e Ostrya carpinifolia; nel

sottobosco sono comuni Cytisus sessilifolius, Juniperus oxycedrus e Brachypodium

rupestre.

Pinete montane e

oromediterranee

Pinus nigra - calciofilo

Pinus leucodermis

Pinus nigra subsp.

calabrica (sub P.

nigra subsp. laricio)

- substrati silicatici

Pinete a pino nero d’Austria spontanee

solo su Alpi or.li e App.no cent.le e mer.le

Pinete a pino silano (o di Calabria) in

Calabria, Sicilia e M.ti Pisani

Pinete a pino loricato

in Campania,

Basilicata e Calabria

Pinete montane dell’Appennino

Pinete a Pinus nigra

Il pino nero è una specie pioniera, xerofila, eliofila, resistente

al gelo, che si adatta facilmente a molti tipi di substrato. Per

queste sue caratteristiche e per il rapido accrescimento è stato

ampiamente utilizzato per i rimboschimenti.

In Appennino sono da segnalare alcuni frammenti di pinete

naturali a pino nero in Abruzzo (es. presso Villetta Barrea) oltre

ad alcuni presenti in Friuli all’estremo occidentale del suo areale.

Pinete a Pinus nigra subsp. laricio

Le nostre più vaste pinete di pino laricio si hanno in Sila,

Aspromonte e sull’Etna (endemismo di Calabria,

Sicilia e Corsica), fra i 1000 e i 1700m di quota.

Il pino laricio si insedia nella fascia di pertinenza del

faggio, occupando le pendici rupestri, con suoli poco

evoluti e a clima più continentale.

Pinete a Pinus leucodermis:

Il pino loricato è una specie montana, legata a stazioni rupestri e substrati calcarei,

che si spinge fino ai 2200 metri di quota.

Ha un areale limitato alla penisola balcanica e ad alcuni massicci dell’Italia meridionale.

In Italia è segnalato in Calabria (sul Pollino e presso Orsomarso) e in Lucania (M. Alpi e

M. La Spina).

Non forma dei popolamenti con sottobosco nemorale, anche dove è presente in

modo consistente da luogo ad una pineta inserita in un contesto di pascolo arido.

Leccete e sugherete 9%

Quercus ilex

Q. suber

Leccete

Il leccio (Quercus ilex) è una quercia sempreverde

mediterranea. È più abbondante nel settore occidentale,

dove forma boschi puri molto vasti.

In Italia è diffuso principalmente nelle isole e nelle regioni costiere tirreniche e

ioniche, sul versante adriatico i popolamenti diventano discontinui; troviamo nuclei

isolati e relittuali lungo le coste dei laghi insubrici, sui colli euganei, in Friuli e nel

ferrarese. Lungo la penisola risale spesso le valli interne occupando versanti soleggiati

calcarei.

E’ tipico della fascia mesomediterranea ma dove le condizioni

stazionali non sono favorevoli alle latifoglie più esigenti (versanti ripidi,

calcarei, ad esposizione meridionale) sale in quota arrivando fino al

contatto con le faggete. Lo troviamo dalla riva del mare fino a oltre 1400.

È una specie molto xerotollerante e relativamente termofila anche se resistente al

freddo e alle brusche variazioni di temperatura.

Si adatta a diversi tipi di terreno, evitando solo quelli molto argillosi o con ristagno

idrico; allontanandosi dalla fascia mesomediterranea si comporta da specie calcicola

termica.

La lecceta è una formazione che crea condizioni di grande

sciafilia, in cui il leccio tende ad essere dominante, e in

genere è caratterizzata da una scarsa diversità floristica.

Possiamo distinguere molti tipi diversi di lecceta, fra queste:

• le leccete tipiche della fascia litorale (coste tirreniche della penisola), ricche di

elementi sempreverdi come Viburnum tinus, Phillyrea sp. pl., Arbutus unedo,

Pistacia lentiscus, Myrtus communis.

Caratteristica della lecceta è la presenza di molte specie

lianose, fra cui Rubia peregrina, Smilax aspera, Clematis

flammula, C. vitalba, Tamus communis.

• le leccete miste della fascia collinare e submontana, caratterizzate

dalla presenza di diverse latifoglie decidue: nello strato dominante assieme

al leccio possono essere comuni l’orniello (Fraxinus ornus), il carpino nero

(Ostrya carpinifolia), la roverella (Quercus pubescens), Acer

monspessulanum e Carpinus orientalis.

Giacomini e Fenaroli,

1958. Flora d’Italia -

TCI

L’Italia alpina

Appennino centrale

Boschi igrofili

Querceto “termofilo”

Ostrieto

Querceto “meso-igrofilo”

+ Lecceta

Faggeta

Querceto

“mesofilo”

NORD SUD

Veg.ne non forestale ca. 1800 m.

Faggete (Anemono-Fagetum sigmetum)

Boschi di forra (Tilio-Acerion)

Boschi misti (Melittio-Ostryetum sigmetum)

Ostrieti termofili (Asparago-Ostryetum sigmetum)

Leccete (Orno-Quercetum ilicis sigmetum)

Successione catenale reale in un settore dei M.ti Sabini

SW NE 1300 m 1300

300 m 300

Catena di

M.te Tancia

1292 m

M.te Cesa

756 m

Catena di

M.te Pizzuto

1283 m

Valle

Gem

ini

Fo

sso

di

Gala

tina

Giacomini e Fenaroli,

1958. Flora d’Italia -

TCI

Appennino calabro

Macchie alte e

macchie basse e garighe 12%

e

32% (della sup.

arbustiva)

Olea europaea

Ceratonia siliqua

Chamaerops

humulis

Macchia mediterranea

Con il termine macchia si intende la vegetazione arbustiva sempreverde, dominata

da specie sclerofille, caratteristica dell’area mediterranea. Si tratta di cenosi molto

dense e compatte, alte da 2 a 4m, dominate da arbusti e ricche di specie lianose.

È la principale formazione legnosa presente

nelle aree costiere e subcostiere del

Mediterraneo.

Interessa gran parte della penisola e le isole,

spesso penetra verso l’interno sviluppandosi su i

versanti più caldi dei rilievi antiappenninici.

Esistono aspetti differenti di macchia, in base

alle caratteristiche climatiche, del substrato, al tipo

e all’intensità di disturbo cui possono essere

soggette.

Gli arbusti che più frequentemente la

costituiscono sono il mirto, il lentisco, l’erica, il

leccio, il corbezzolo, i ginepri, i cisti, il ramno, la

fillirea…

Per quanto riguarda l’origine la macchia può essere distinta in macchia primaria

e macchia secondaria:

la macchia secondaria è legata alla scomparsa della vegetazione forestale in seguito a

disturbi prolungati. Costituisce quindi uno stadio di degradazione della pre-esistente

vegetazione forestale spesso legato alla ceduazione, ad incendi ricorrenti e al

pascolo che spesso segue i primi due facendo regredire ulteriormente la vegetazione.

la macchia primaria, molto più rara, è propria di aree

con caratteristiche che non permettono lo sviluppo di

vegetazione forestale, per via dell’esistenza di

qualche fattore limitante (caratteristiche del substrato,

pendenze molto elevate, continua azione inaridente

del vento, elevato tenore salino).

Un esempio di macchia primaria a carattere

spiccatamente rupestre e la macchia a palma nana

(al Circeo la palma nana si mescola con l’euforbia

arborea).

È possibile distinguere diversi gradi di evoluzione (o di degradazione) della

macchia, fra i termini più evoluti ci sono gli aspetti a erica e corbezzolo e le

boscaglie a leccio, mentre fra gli aspetti meno evoluti (o più degradati) possiamo

ricordare le macchie a cisti, che si avvicinano ad una gariga.

In base allo sviluppo in altezza delle formazioni la macchia può essere distinta in

macchia alta o macchia-foresta (4-5m) e macchia bassa (1,5-2m).

Macchia a erica (Erica arborea) e corbezzolo (Arbutus

unedo)

La macchia ad erica e corbezzolo è una formazione di macchia

alta frequente su i substrati silicei lungo tutto il litorale tirrenico.

Queste comunità nel Lazio si trovano in corrispondenza di substrati

acidi, come su i Monti Ceriti e i Monti della Tolfa.

Sia il corbezzolo che l’erica hanno una grande capacità

di ripresa dopo il passaggio del fuoco (il corbezzolo è tra

le prime specie a riprendere a vegetare) e la loro

dominanza è probabilmente legata al regime degli

incendi.

Aspetti di macchia, spesso secondaria, dominati da

Myrtus communis e Pistacia lentiscus, a cui si

aggiungono spesso Rhamnus alaternus, Phillyrea

latifolia e le lianose Lonicera implexa, Smilax

aspera, Clematis flammula, Rubia peregrina e

Asparagus acutifolius.

Macchia a mirto (Myrtus communis) e lentisco (Pistacia lentiscus)

Tipologia diffusa in tutto il bacino del mediterraneo, comune nel Lazio costiero, si

spinge anche sui versanti calcarei dei rilievi non propriamente costieri.

Macchia ad euforbia arborea (Euphorbia dendroides)

L’Euphorbia dendroides è la più grande euforbia europea

(arriva a 2m).

È specie termofila che predilige stazioni soleggiate ed è

competitiva su falesie e versanti acclivi e rocciosi

indipendentemente dalla natura del substrato.

È adattata a condizioni di spiccata aridità: è una caducifoglia estiva (fenomeno

dell’estivazione), cioè perde le foglie da giugno a settembre entrando in riposo in

corrispondenza del periodo estivo più caldo e arido.

Gli arbusteti a Euphorbia dendroides si

rinvengono lungo i litorali più caldi, in ambiti

rocciosi.

La Pianura Padana

(e altre pianure)

Querceti caducifogli

Boschi igrofili

(Boschi di specie aliene,

es. Robinia pseudoacacia,

Ailanthus altissima,

Prunus serotina, Quercus

rubra, ecc.)

Boschi igrofili 1%

Populus nigra

P. alba Salix alba

Altre specie:

Laurus nobilis

Boschi igrofili

Alnus glutinosa

Ulmus minor Sambucus nigra

Fraxinus oxycarpa

Robinia pseudoacacia

Ailanthus

altissima

Quercus rubra

Prunus serotina

Specie aliene

La vegetazione costiera Querceti

sempreverdi

Vegetazione

dunale

erbacea Garighe

(Pinete litoranee) Macchia mediterranea

Coste basse

MARE

Querceti

caducifogli e

boschi igrofili

Crucianelletum

Coste basse

La vegetazione costiera

Querceti sempreverdi

Garighe

(Pinete litoranee)

Macchia mediterranea

Coste alte Querceti caducifogli termofili

Vegetazione

casmofitica

alofila

MARE

Pinete mediterranee 3%

Pinus pinaster

P. pinea

P. halepensis

Pinus pinaster

P. halepensis

P. pinea