DOTTORATO DI RICERCA IN PROGETTAZIONE ......lui, di Cefalù, dà nuova linfa all’eco degli etimi...

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DOTTORATO DI RICERCA IN PROGETTAZIONE ARCHITETTONICA

Sede amministrativa:Università degli Studi di Palermo Dipartimento di Architettura

Sedi consorziate:Università degli Studi di Napoli “ Federico II”Dipartimento di Progettazione Urbana

Università degli Studi di Parma Dipartimento di Ingegneria Civile, dell’ Ambiente, del Territorio e Architettura

Università degli Studi di Reggio Calabria Dipartimento di Arte Scienza e Tecnica del Costruire

Collegio dei docenti:Cesare Ajroldi (coordinatore), Giuseppe Arcidiacono, Francesco Cannone, Dario Costi,Ludovico Maria Fusco, Pierfranco Galliani, Antonino Marino, Vincenzo Melluso, EmanuelePalazzotto (vice-coordinatore), Marcello Panzarella, Renata Prescia, Sandro Scarrocchia,Andrea Sciascia, Roberto Serino, Zeila Tesoriere, con Tilde Marra

Segretario:Emanuele Palazzotto

Dottorandi XXI ciclo:Sabina Branciamore, Monica Gentile, Ilenia Grassedonio, Vincenzo SimanellaDottorandi XXII ciclo:Giuseppina Farina, Edmondo Galizia, Luciana Macaluso, Fosca Miceli, Almerinda Padricelli,Rosa Maria Provvidenza PecoraroDottorandi XXIII ciclo:Valerio Cannizzo, Eugenio Mangi, Giuseppe Borzellieri, Giovanni Giannone, Glenda Scolaro

Comitato Scientifico: Cesare Ajroldi, Giuseppe Arcidiacono, Francesco Cannone, Dario Costi, Antonino DellaGatta, Lodovico Maria Fusco, Pierfranco Galliani, Antonino Marino, Vincenzo Melluso,Emanuele Palazzotto, Marcello Panzarella, Renata Prescia, Sandro Scarrocchia, AndreaSciascia, Roberto Serino, Zeila Tesoriere.

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DOTTORATO DI RICERCA IN PROGETTAZIONE ARCHITETTONICAUNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO, NAPOLI (FEDERICO II), PARMA, REGGIO CALABRIA

Esperienze nel restaurodel moderno

a cura diEmanuele Palazzotto

Nuova serie di architetturaFRANCOANGELI

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Pubblicazione realizzata nell’ambito del Dottorato di Ricerca in Progettazione Architettonica

con il contributo dei fondi PON 2000/2006 “Ricerca Scientifica, Sviluppo Tecnologico, Alta Formazione”

Misura III.4 “Formazione Superiore e Universitaria” - Dottorati di Ricerca

In copertina: Gibellina Nuova, plastico dell’insediamento e degli interventi di progetto per il centro civico, 1986 c.

Copyright © 2013 by FrancoAngeli s.r.l., Milano, Italy.

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Parte prima Esperienze nel restauro del moderno

9 Il progetto di restauro del moderno: consuntivo di una esperienzaCesare Ajroldi

13 Un restauro del moderno a Catania: progetto di nuovi servizi sportivi per S. Pio X, a NesimaGiuseppe Arcidiacono

17 La nuova Gibellina: opera d’arte e qualità urbanaFrancesco Cannone

23 Tra architettura moderna e città contemporaneaDario Costi

27 Recupero architettonico e rigenerazione urbana per la valorizzazione dei luoghi della dismissione industriale. Un caso di progetto a Reggio EmiliaPierfranco Galliani

33 Il restauro del moderno alla scala urbanaAntonino Marino

39 Punteggiata di architetture fra il Tirreno e lo IonioVincenzo Melluso

47 Per una scienza “probabile” del progetto di architettura Emanuele Palazzotto

55 Il restauro del moderno. Problemi di tutela, problemi di progettoRenata Prescia

61 Metodologia della progettazione per il restauroSandro Scarrocchia

67 Architettura e fenomenologia a Palermo. Paci, Rogers, Gregotti, Culotta e LeoneAndrea Sciascia

79 Dopo l’obsolescenza. Progetti per i viadotti ferroviari dismessiZeila Tesoriere

Parte secondaLe ricerche dei dottorandi (cicli XXI, XXII e XXIII)

87 Un monumento incompiuto. Il Teatro Popolare di Sciacca di Giuseppe e Alberto SamonàSabina Branciamore

93 La colonia “XXVIII ottobre” per i figli degli italiani all’estero a Cattolica, di Clemente Busiri ViciMonica Gentile

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Indice

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99 La sede della Federazione dei Consorzi Agrari a Catania di Francesco Fiducia, 1938Vincenzo Simanella

103 Il sistema di piazza Castronovo a Messina Giuseppina Farina

109 L’edificio INA nella Palazzata a mare di Messina (1936-38).Un restauro del moderno in una città di ricostruzioneEdmondo Galizia

113 Il restauro del moderno e la verifica di un metodo: la Chiesa Madre a GibellinaLuciana Macaluso

119 Il Centro Civico di Oswald Mathias Ungers a Gibellina Nuova Fosca Miceli

123 La palazzata a mare di Messina (1931-1958). Isolati VIII - XI Almerinda Padricelli

127 Il Municipio di Gibellina NuovaRosa Maria Provvidenza Pecoraro

131 Problemi di tutela, problemi di progetto. L’hangar per dirigibili ad Augusta Giuseppe Borzellieri

135 Il gruppo scolastico “el Timbaler del Bruc” a Barcellona di Oriol Bohigas e Josep M. Martorell. Tra architettura e pedagogiaValerio Cannizzo

141 Una declinazione del moderno in Sicilia. Palazzo Scia a Catania (1951) di Luigi PositanoGiovanni Giannone

145 Tra città reale e progetto incompiuto. Il caso dell’isolato di Cerdà alle spalle del-l’edificio in Carrer Pallars di O. Bohigas e J. M. Martorell.Eugenio Mangi

149 La fabbrica Cedis a Palermo (Marco Zanuso, 1954-57)Glenda Scolaro

153 Cronistoria del dottoratoa cura di Emanuele Palazzotto

165 English abstracts I contributi dei docenti del collegio

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Alcune occasioni recenti, la conferenza di FrancescoRispoli sul colloquio tra Enzo Paci e Ernesto NathanRogers1 e la presentazione2 del libro di MarcelloPanzarella, dedicato alle case unifamiliari di Culotta eLeone a Cefalù,3 hanno fatto riaffiorare - per certiaspetti in maniera diretta, per altri, in modo più sotter-raneo - quella trama di relazioni che si distende dallafenomenologia di Husserl, attraverso l’interpretazionedi Paci e i contributi di Rogers e Gregotti, all’architet-tura di Pasquale Culotta e Giuseppe (Bibi) Leone.Rintracciare alcuni passaggi di questo rapporto, per-mette una verifica ravvicinata su quanto profonda siastata l’influenza della fenomenologia sugli studi diarchitettura a Palermo, e quali apporti siano giunti,forse in maniera indotta, sino al dottorato in progetta-zione architettonica.

IndiziScrive Francesco Rispoli: «È quella di Paci, un’influenza talvolta più latente e contaminatacon altre linee di pensiero che si sono affacciate sulla scena del-l’architettura italiana. Tuttavia essa affiora a più riprese, come unmovimento carsico, nello scenario contemporaneo».4

Qualche anno prima Vittorio Gregotti ha chiarito come:«molti vocaboli della fenomenologia paciana sono passati nel lin-guaggio degli architetti: alcuni di noi parlano sovente di sospen-sione del giudizio, di orizzonti, di intenzionalità, di Umwelt, direlazione, di mondo della vita, espressioni che, sia pure con vistosislittamenti, descrivono anche oggi, per alcuni architetti, un’areaparticolare di metodi, di prospettive, di esperienze di resistenza difronte alle ideologie della crisi, di volontà, di ricostituzione direlazioni necessarie tra disciplina e contesto fisico sociale».5Soffermandosi sulla parola orizzonti,6 posta in eviden-za fra le altre da Gregotti, è interessante notare l’usoche, dello stesso termine, fa Marcello Panzarella nelpresentare le case di Culotta e Leone a Cefalù.Orizzonte o orizzonti7 risaltano nel definire, nelle varieproposizioni e con diverse sfumature, una meta cultura-le elevata dei due progettisti e un loro modo di porsirispetto all’esperienza del mondo ma, le stesse parolecostituiscono un indizio per un’altra indagine volta aconoscere una delle radici più significative della lorostessa ricerca. E Panzarella, allievo di Culotta e, come

Architettura e Fenomenologia aPalermo. Paci, Rogers, Gregotti,Culotta e LeoneAndrea Sciascia

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1. Ci si riferisce alla conferenza tenu-ta, presso la Facoltà di Architettura diPalermo il 6 novembre 2013, inoccasione della settima commemora-zione della scomparsa di PasqualeCulotta. La conferenza traeva spuntodal saggio: RISPOLI F., La ragione diUlisse. Il colloquio tra Enzo Paci eRogers, in «aut aut», n. 233, gen-naio–marzo 2007, pp. 57–81.

2. La presentazione del libroPANZARELLA M., Culotta e Leonea Cefalù. Le case unifamiliari,edizioni Arianna, Rende (CS)2013 a cui ci si riferisce, è quellasvolta il 14 dicembre 2013 aCefalù presso il Circolo Unione.

3. PANZARELLA M., Culotta e Leonea Cefalù. Le case unifamiliari, edi-zioni arianna, Rende (CS) 2013.

4. RISPOLI F., op.cit., p.79.

6. «… l’orizzonte che vedo è limitatodal mio sguardo e sfuma dal centroverso i confini del mio occhio, manon per questo io dubito di altri oriz-zonti, quelli che so potrei vedere vol-tandomi o guardando da altre posi-zioni. Orizzonti che sono sempre pre-senti nella stessa percezione dell’o-rizzonte che ora vedo e senza i qualiesso non sarebbe quello che è, oriz-zonti che non solo posso e potrò rag-giungere ma anche che non possopiù o non potrò mai raggiungere. Inciò che ora percepisco sono innestatialtri tempi e passati irrecuperabili,che fanno il presente che si apre alfuturo. Il presente vive del passatoche muore e non può far morire cheun passato realmente esistito». PACIE., Diario fenomenologico,Bompiani, Milano 1961, pp. 14-15.

5. GREGOTTI V., In ricordo diEnzo Paci, «Casabella», n. 523,aprile 1986, p. 2.

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lui, di Cefalù, dà nuova linfa all’eco degli etimi di Paci,facendoli riaffiorare con forza. Poco importa, almenoin quest’occasione, quanto volontariamente o involon-tariamente perché, nei fatti, le parole di Panzarella con-tengono un messaggio nel messaggio, una sovrascrittu-ra alla scrittura. D’altra parte Martin Heidegger hascritto: «l’uomo si comporta come se fosse lui il creatore e ilpadrone del linguaggio, mentre è questo, invece, che rimanesignore dell’uomo».8 Gli orizzonti sono un’iniziale confer-ma e, al contempo, un’improvvisa accelerazione rispet-to a un percorso che si vuole compiere un po’ più len-tamente.

ProveÈ necessario porre un dubbio: perché l’uso di alcuneparole costituisce un indizio sufficiente per individuareun’impostazione fenomenologica nella ricerca architet-tonica di Culotta e Leone e una sua persistenza e vita-lità negli studi di architettura di Palermo? Dagli indizisi passa alle prove certe: Pasquale Culotta consigliavasempre, e sino ad anni recentissimi, a tutti i suoi allievi,la lettura attenta di Esperienza dell’architettura9 diErnesto Nathan Rogers e lo stesso Marcello Panzarellaha confermato che la stessa importanza era attribuita daCulotta al Diario Fenomenologico10 di Enzo Paci.Esperienza dell’architettura raccoglie una serie discritti di Rogers e, soprattutto, una parte dei suoi edito-riali pubblicati su «Casabella-Continuità», da lui direttadal numero 199 del 1953 al 294-295 del 1965; EnzoPaci faceva parte del comitato di redazione della rivi-sta, dal numero 215 del 1957 sino all’ultimo diretto daRogers. A questo legame diretto con le fonti, si aggiun-ge, inoltre, com’è noto, la presenza di Vittorio Gregottia Palermo, tra la fine degli anni Sessanta e i primi anniSettanta, come docente di composizione architettonica.Lo stesso Gregotti era stato assistente universitario diRogers,11 e redattore della rivista «Casabella-Continuità» dal 1953 al 1957 e caporedattore dal 1957al 1962. Inoltre Giuseppe Leone era stato il primo degliassistenti di Gregotti12 a Palermo.

Insomma un indizio solo all’apparenza tenue, l’usodella parola orizzonti da parte di Panzarella, si rivelacome la patina di una stratificazione densa con moltipiani posti a diverse profondità, che invita a capirecome la riflessione di Paci sia stata terreno fertile perl’architettura di Culotta e Leone.In questo iniziale approfondimento, sicuramenteembrionale, si scelgono alcuni nuclei, come dei cuori,da cui si allontana progressivamente un sistema arterio-so che alimenta il “processo” del progetto dei duearchitetti siciliani. Le successive citazioni da Gregotti,Paci e Rogers sono assunte come pietre di confronto,come se fossero vocaboli ai quali Culotta e Leone,

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7. «Un altro rilievo, quello delTempio di Diana, alto sulla Roccache domina la Cattedrale, megaliti-co, arcaico, primordiale, è uno deiprimi atti di architettura compiuti daPasquale Culotta. (…) L’andare allefonti, il riconoscerle e toccarle conmano, riportandole nell’ambito dellecose comprese e possedute, indicanon tanto o non solo una direzione,ma soprattutto l’intenzione di segna-re per sé la qualità di un orizzonte»,PANZARELLA M., op.cit., pp. 15-17.«Dopo il cosiddetto Tempio diDiana e la Cattedrale normanna, laterza soglia attraverso cui Cefalù hapotuto realizzare il proprio incontrocon l’architettura è stata una casanel bosco. Si tratta di una casa per lavilleggiatura, progettata dall’archi-tetto Giuseppe Samonà per il fratel-lo Alberto, e costruita tra il 1948 e il1950 sulle pendici del monte diGibilmanna. Con quest’architettura,tre volte segreta – perché nel bosco,perché privata, perché non divulgata– l’architetto cinquantenne, giàautore di grandi interventi monu-mentali, mostra di voler dare unsenso e una consistenza differenti alproprio esercizio della disciplina.(…) In questo bosco, con questacasa, l’architettura torna ad osserva-re il proprio modo di essere nei luo-ghi, e a riconoscere la necessità ditogliersi dalla rusticità e dall’oblioin cui era caduta, per tentare unapropria rifondazione locale.Culotta e Leone, ancora studenti,osservano e riconoscono questi atti,che per loro costituiscono dellesoglie, dei precedenti immediati diriferimento. La scena antica delpaese dei pescatori si modifica eritrova il punto di partenza per unprocesso del tutto nuovo, in cui peròsi recupera coscienza di qualcosache è già stato, così nel tempo piùremoto, come in quello più recente.(…) In questi esempi e in quellepratiche di architettura si mostranodegli orizzonti, forse più attraenti diun indirizzo esatto, dunque dellestrade da battere, delle strade larga-mente da scoprire», PANZARELLAM., op.cit., pp. 20-23. «Una tra le prime case (casaButtitta, 1968, non realizzata), ben-

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hanno saputo attribuire, a posteriori, etimologie corret-te ed originali. In questa ricerca delle radici si farà riferimento direttoall’architettura di Culotta e Leone e, in alcuni passaggi,alla complessiva esperienza dell’architettura diCulotta, intendo per questa, oltre la produzione archi-tettonica condivisa con il suo amico fraterno Bibi(Giuseppe Leone), la sua riflessione teorica e la nonmeno importante sperimentazione didattica.I nuclei che si vogliono indagare possono essere rias-sunti nei seguenti:- la lezione di Frank Lloyd Wright e il mito mediterra-neo nell’architettura contemporanea;- la “sospensione del giudizio” e l’opposizione al pre-giudizio di una “concretizzazione mal posta”;- la poetica delle preesistenze ambientali e l’architettu-ra della modificazione;I nuclei, artificiosamente separati, sono anelli di unastessa catena; inseparabili ma, ai fini di questo ragiona-mento, tenuti tra loro distanti.

La lezione di Frank Lloyd Wright e il mito mediter-raneo nell’architettura contemporaneaSe la riflessione passa dalle parole all’architettura, èindubbio che le prime opere di Culotta e Leone, ilComplesso parrocchiale13 (1970) a Finale di Pollina,lungo la costa nord orientale della Sicilia, e la casaMitra (1968 - 1970) a Cefalù, sono entrambe architet-ture dichiaratamente wrightiane. La propensione adosservare, con sempre maggiore attenzione, le architet-ture d’oltreoceano è molto più di un’adesione giovanilee il riferirsi al maestro di Taliesin ha delle conseguenzesul loro modo di fare architettura che supera le inizialiassonanze di linguaggio.Era stato proprio Frank Lloyd Wright a dare corpo a unvento impetuoso, una corrente oceanica che, con lamostra di Berlino del 1910 e la pubblicazione edita daWasmuth, aveva tracciato, poco prima della grandeguerra, quali orizzonti immensi potevano aprirsi ai gio-vani architetti europei. E a distanza di cinquant’annidalla esposizione berlinese anche Culotta e Leone subi-scono il fascino dell’architettura dell’allievo di LuisSullivan. Anche per loro le architetture di Oak Parkerano state una folgorazione, che aveva aperto una stra-da verso un continente, l’America, da esplorare, in cuitutto era possibile e dove non vi erano preclusioni.Enzo Paci scrive: «Wright ci ha dimostrato di fatto che anche imetodi più audaci della tecnica non valgono in quanto mezzi pura-mente utilitari ma in quanto sono “vissuti”. Essi non devono resta-re al di fuori della integralità dell’uomo ma devono essere sentiticome qualcosa che scaturisce da una natura originaria e da un’e-sperienza originaria. Ciò non significa il rifiuto della tecnica ma,al contrario, che essa deve essere ricondotta alla realtà umana enon imporsi a tale realtà. Se uno degli aspetti della crisi contempo-

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ché per l’impianto e per i problemiaffrontati fosse alquanto differentedalla casa Samonà, mutua da quellail grande muro, assieme arcaico ewrightiano, e ripete di quella l’usodel forno esterno, isolato, posto adefinire con le altre murature, inmodo quasi miesiano, una cortepressoché virtuale. Si inizia qui perCulotta e Leone, un tirocinio, unapprendistato a distanza, da maestrie luoghi di elezione. Essi imparanoa proiettare, e progettano proiettan-do se stessi e questi luoghi sullosfondo di orizzonti distanti, pursempre osservandoli da qui, con lelenti di cui erano disponibili»,PANZARELLA M., op.cit., p. 25.

9. ROGERS E. N., Esperienza del-l’architettura, Giulio Einaudi edi-tore, Torino 1958.

8. HEIDEGGER M., Costruire abita-re pensare, in HEIDEGGER M.,Saggi e discorsi, Mursia, Milano,1976, p. 97.

11. Vittorio Gregotti è stato assi-stente universitario di ErnestoNathan Rogers, nel corso diCaratteri stilistici e costruttivi deimonumenti presso la Facoltà diArchitettura di Milano, tenuto dal-l’a.a. 1952-53, all’a.a. 1960-61.

10. PACI E., Diaro fenomenologi-co, Bompiani, Milano 1961.

12. TUMBIOLO R., intervista aMarcello Panzarella Cultura escienza di Pasquale Culotta, inTUMBIOLO R., Lo stretto rapportotra didattica dell’architettura ericerca progettuale. L’esempio diPasquale Culotta, tesi del dottora-to internazionale Villardd’Honnecourt, II ciclo, p. 159.

13. Cfr. SCIASCIA A., Chiese e tes-suti urbani. L’esperienza diPasquale Culotta, dai riferimentiinternazionali alle forme primarie,in FLORIO R. (a cura di), Città stori-che Città contemporanee. Strategiedi intervento per la rigenerazionedella città in Europa, Clean edizio-ni, Napoli 2012, pp. 74-92.

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ranea è dato dal modo con il quale l’uomo risponde alla tecnicaciò che Wright ha proposto in esempi viventi è un rovesciamentodel senso della tecnica: non più un’architettura che si lascia condi-zionare dall’esterno ma un’architettura che dall’interno fa la suatecnicizzazione».14Alla luce di queste proposizioni, basterebbe sfogliareLe occasioni del progetto,15 monografia che raccoglie iprogetti e le realizzazioni di Culotta e Leone, dalla finedegli anni Sessanta alla metà degli anni Ottanta, percapire come nelle loro architetture ogni “soluzione”,dal sistema strutturale, al disegno degli infissi, passan-do per quello delle coperture siano sempre parte inscin-dibile del progetto tout court. Non vi sono tecnicismisubiti, anzi il frequente contenimento delle energie eco-nomico-finanziarie da parte dei committenti li ha porta-ti ad una elegante essenzialità, raggiungendo, con mag-giore chiarezza, l’esito architettonico desiderato. Fra idiversi casi che si possono portare all’attenzione, perevidenziare il rapporto tra architettura e tecnica, siricorda esclusivamente la soluzione di copertura dellacasa Salem a Mazzaforno, località nei pressi di Cefalù.Nel giro di pochi anni i rimandi wrightiani sfumano esono sostituiti da quelli provenienti dalle architettureprogettate dalla generazione post kahniana, come rile-vato da Vittorio Gregotti16 sulla costa occidentale degliStati Uniti d’America. Infatti la casa Salem si pone,sulle rive del Mediterraneo facendo eco ai volumi cheMoore, Lyndon, Turnbull e Whitaker disponevano suibordi dell’Oceano Pacifico. La casa Salem si presentacome un prisma, a base quadrata, su pilotis a pochimetri dal mare, dove l’intonaco, di un colore, «verdeumido e nerissimo»17 ne ricopre in maniera continua ilvolume, sino all’ultimo lembo della copertura.Quest’ultima, a falde inclinate, si offre come una quin-ta facciata per chi raggiunge la casa dall’alto e il rive-stimento, si ripete monomaterico e monocromatico daipiedi alla testa, muta totalmente il significato dell’ar-chitettura che sembrava “condannata” all’ineluttabilerivestimento in tegole (coppi). Con casa Salem Culottae Leone tracciano uno stretto sentiero tanto distantedagli “apriori” dettati dai tecnicismi della modernitàquanto da quelli banali provenienti da una tradizionelocale ormai, per alcuni aspetti, afona. Riferendosi allapolemica che contrappose Rogers18 a Banham, Culottae Leone non vogliono custodire frigidaires ma, forseperché di una generazione diversa, trovano una stradadel tutto alternativa al neo liberty, sapendo criticareanche i cliché locali. O, da un altro punto di vista,come ha più volte sostenuto Marcello Panzarella,hanno saputo coniugare globale e locale19 dimostrando,in questa occasione specifica, come era possibile pro-porre una sintesi complessa fra più tradizioni e modi dipensare l’architettura. Al loro “guardare lontano,soprattutto l’America”,20 sul quale si tornerà per spie-

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14. PACI E., Wright e “lo spaziovissuto”, «Casabella-Continuità»,n. 227, 1959. Anche in «aut aut»,n. 233, gennaio-marzo 2007, p. 47.

16. GREGOTTI V., Presentazione,in CULOTTA P., LEONE G., op. cit.,pp. 5-6.

18. ROGERS E. N., L’evoluzionedell’architettura. Risposta alcustode dei frigidaires,«Casabella-Continuità», n. 228,giugno 1959.

19. PANZARELLA M., op. cit., p. 101.

17. PANZARELLA M., op. cit., p. 41.

15. CULOTTA P., LEONE G., Leoccasioni del progetto, Medina,Palermo 1985.

20. «Guardano però lontano, guar-dano soprattutto all’America, e qui,in questi luoghi, proiettanoun’America dell’invenzione, certoun’America del desiderio, forseanche passata attraverso gli affetti ei ricordi dell’America di chi, tra ifamiliari, un tempo vi era emigratoo ancora vi abitava: una grandeAmerica del mito. Di tali proiezio-ni, qua e Là effettuate nei dintornidi Cefalù, è oggi rintracciabile unaserie di esempi», PANZARELLA M,op. cit., pp. 25-26.

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gare le ragioni che fanno preferire frequentemente aidue giovani architetti siciliani l’architettura americanaa quella europea, bisogna aggiungere, da parte diPasquale Culotta, la capacità di sentirsi parte di un’al-tra tradizione, quella che vedeva il mito mediterraneocome matrice determinante dell’architettura contempo-ranea.21 Tale appartenenza era denunciata da parte diCulotta con una sorta di refrain che si concretizzavanel ripetere, con una certa insistenza, una sua particola-re definizione di architettura. Di un’architettura senzatempo ma riferita a un luogo preciso: la parte nordoccidentale della Sicilia e tale definizione era, come isuoi schizzi, contemporaneamente, descrizione e tra-guardo progettuale. “Prismi conficcati nel suolo, mono-materici e monocromatici dalla linea di terra alla lineadi colmo”. Nel “senza tempo”, cioè al di fuori deltempo, Culotta rinverdiva il modo perenne del mitomediterraneo. «Molte affinità di clima, di tradizioni, di toponi-mi e perfino di tratti etnici sono riscontrabili lungo le fasce costie-re dei paesi che affacciano sul Mediterraneo. E tra le varie manife-stazioni antropologiche quella che maggiormente registra e con-serva i segni di una civiltà sovranazionale è l’architettura. Si badiperò: non l’architettura “colta”, bensì quella anonima, espressionedi tecniche costruttive ripetitive e corali, collaudate da una culturacollettiva dell’abitare sedimentatosi nel corso dei secoli (…) El’inganno che il mito “mediterraneo” propina è la rappresentazio-ne sovra storica del passato come presente, insinuando l’elegantesupposizione dell’eterno, al di là del ciclico mutare delle stagioni,del perenne alternarsi del giorno e della notte e delle infiniteforme attraverso cui il tempo si mostra, quasi che l’arte di ogniepoca si fosse misurata con un unico tema: il desiderio di armonia.Ed è appunto come mito, come fantasma di un costruire semplicee armonioso, come simulacro dell’assenza di decoro e dei purivolumi euclidei, come forma simbolica dei canoni aritmetici della“divina proporzione”, come ombra della bellezza apollinea e comeeco delle sirene trasmesso dal mare… che la “mediterraneità” vavalutata, al di là della sua obiettiva verificabilità».22Una architettura dai volumi semplici, assoluti - Culottanon avrebbe condiviso l’aggettivo “anonima” in con-trapposizione a “colta” - monomaterica e monocroma-tica azzera i codici provenienti da una presunta tradi-zione aulica del passato quanto quelli appartenenti agli“ismi” mitteleuropei dei primi decenni del XX secolo.Esiste una eccezione, una grande eccezione, la ricercadi Le Corbusier. Vi è, infatti, una forte assonanza fraun’architettura fatta da “prismi conficcati al suolo,monomaterici e monocromatici dalla linea di terra allalinea di colmo”, e un’architettura come “gioco sapien-te, corretto, magnifico dei volumi sotto la luce”.In entrambe le definizioni sono le ombre e quindi laluce ad essere protagoniste assolute e a costituire larelazione vitale dell’architettura. Attraverso la luce (ele ombre) che bagna le superfici dei volumi, l’architet-tura da corpo inanimato, inizia a vivere dando forma e

22. GRAVAGNUOLO B., op. cit., p.8.

21. Cfr. GRAVAGNUOLO B., Il mitomediterraneo nell’architetturacontemporanea, Electa Napoli,Napoli 1994.

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dimensione al tempo sia nella sua accezione cronologi-ca che in quella atmosferica. La casa Salem, abitazionee torre di avvistamento, costruisce, quindi, una relazio-ne con il suo contesto specifico, la costa cefaludese e ilmare. Ma questo mare non è il solo Mediterraneo, sitratta di un fluido che tiene insieme il Mare Nostrum,l’oceano Atlantico sino a raggiungere il Pacifico stabi-lendo un legame fra il mito mediterraneo e quello dellawest coast. E l’architettura di Culotta e Leone puòessere letta come una sintesi difficilissima fra l’archi-tettura americana - non solo quella di Wright e poi diMoore - e quella lecorbusieriana. E cioè un’architetturalibera da pregiudizi e in grado di accogliere, nel silen-zio di un intonaco monocromatico disteso in modouniforme, la vita della luce.

La sospensione del giudizio e l’opposizione al pre-giudizio ad una concretizzazione mal posta«Noi non riusciamo, dunque, a vedere e a sperimentare la com-plessa vita dell’esperienza perché abbiamo, prima ancora di speri-mentare e di vedere, costruito delle cose artificiali, delle formeastratte, che ci impediscono di vedere le cose come sono e di vive-re in modo spregiudicato la vita dell’esperienza. Bisogna liberarsidalle “teorie precostituite”, dai giudizi dati prima di sperimentaree di vedere e cioè dai pregiudizi. La liberazione dai giudizi preco-stituiti è quell’operazione che Husserl chiama “la sospensione delgiudizio” o epoché. Soltanto se ci liberiamo da tutte le convinzioniprecostituite, dal peso di tutte le astrazioni di cui viviamo molto dipiù di quanto di solito siamo disposti ad ammettere, riusciamo aentrare davvero in contatto con il flusso vivente dell’esperienza,con quello che Husserl indica come l’autentico e concreto mondodella vita».23

Le affermazioni di Paci contenute ne L’architettura e ilmondo della vita, hanno costituito per Pasquale Culottae Giuseppe Leone una stella polare in base alla qualetracciare una rotta, che ha orientato la loro attività diprogettisti. E, tornando al mito mediterraneo dell’archi-tettura contemporanea, anche la “divina proporzione”,laddove assunta come un apriori, è scartata. La geome-tria e i suoi rapporti (aurei) sono per Culotta e Leoneun importante strumento di controllo ma mai la causagenerativa dell’architettura.Nell’approccio al progetto rifiutano qualsiasi fatto chepotesse costituirsi come modello. Anche la nozionemeno restrittiva di tipo, così intesa da Quatremère deQuincy, e la conseguente riflessione tipologica è, inparticolar modo da Culotta, sempre accompagnata ebilanciata dalla importanza attribuita all’architetturacome organismo. È Marcello Panzarella a chiarire que-sto passaggio. «Ho imparato il rilievo dell’architettura con l’as-sistente di studio di Pasquale Culotta, che era la bravissima dise-gnatrice Domenica Pedi, e con un altro giovane geometra che aiu-tava nello studio di Culotta & Leone, oltreché, naturalmente, conPasquale Culotta, che conduceva la regia delle operazioni.

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23. PACI E., L’architettura e ilmondo della vita, «Casabella-Continuità», n. 217, 1957, pp. 53-55.

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Facemmo allora il rilievo di una casa da lui scelta tra quelle deisuoi conoscenti. Si trovava in via Spinuzza, a Cefalù, nel centrostorico, e con loro l’ho rilevata dal magazzino, posto al pianoterra, fino alla soffitta.L’occasione mi fu utile per comprendere il concetto di tipo edili-zio, un’astrazione che nessuno mi aveva mai spiegato come sideve, ma che Pasquale Culotta mi aiutò a capire mostrandomicome tutte le case di quella via fossero organizzate con un princi-pio simile (la scala era messa nello stesso modo e la distribuzioneera analoga, il rapporto tra fronte e lati ciechi era simile, e cosìvia). Ma Pasquale Culotta, nella concretezza fisica del contatto colcostruito, mi mostrò anche come l’individualità dei vari organismiche interpretano il tipo sia una ricchezza da osservare e da assu-mere piuttosto che un fatto secondario da trascurare. Soprattutto,nella verità dell’organismo concreto, mise in evidenza la ricchezzadelle soluzioni contingenti che quanti avevano costruito la casa,modificandola anche nel tempo, avevano escogitato e messo inatto per rispondere alle esigenze specifiche o puntuali di chi nellacasa già viveva o di chi l’avrebbe abitata. Dunque, per me, la sco-perta del tipo fu contemporanea alla scoperta dell’organismo e siverificò in relazione a un unico esempio, posto a confronto con glialtri consimili e circonvicini: tale contemporaneità garantì per mela consapevolezza chiara e immediata dell’intreccio e della distin-zione tra i due fatti (in termini di concetto e in termini di oggetto),il tipo e l’organismo, ed ha costituito per me una ricchezza che hocustodito e, spero, anche arricchito nel tempo».24

Tale attenzione all’organismo allontana l’esperienzadell’architettura di Culotta, anche nel sodalizio conLeone, da una parte consistente della ricerca italianaladdove questa ha fatto della tipologia il cardine quasiesclusivo del suo approfondimento disciplinare. Sianell’accezione “apriori” muratoriana, che in quelladove si è utilizzata la tipologia come strumento di ana-lisi della architettura e della città, e quindi come sintesia posteriori. Rispetto a questo modo di pensare l’archi-tettura e la città si frappone una pausa, in alcuni casi unbaratro profondo rispetto alle intenzioni architettonichedi Culotta, ben rappresentate dalle parole estreme uti-lizzate da Aldo van Eyck in risposta a Vittorio Gregottiche gli chiedeva un suo intervento per il numero di«Casabella» dedicato ai Terreni della tipologia.25Se l’architettura possiede tale irriducibile complessitàespressa negli organismi, impossibile da sterilizzare inschemi, allora è facile immaginare quanto affine possaessere sembrato a Culotta lo sguardo spregiudicato diRobert Venturi espresso in Complessità e contraddizio-ni nell’architettura. Opponendo al less is more miesia-no il suo more is no less, confermava l’apertura menta-le di Culotta e Leone nell’aver capito, per tempo, che«pretendere di costruire in uno “stile moderno” aprioristico èaltrettanto assurdo che di imporre il rispetto verso il tabù di stilipassati».26

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25. «Casabella», n. 509-510, gen-naio-febbraio 1985, numero mono-grafico dedicato all’attualità dellanozione di “tipo” in architettura.

26. Rogers E. N., Le preesistenzeambientali e i temi pratici contem-poranei, «Casabella–Continuità»,204, febbraio–marzo 1955; anchein MAFFIOLETTI S. (a cura di ),Ernesto Nathan Rogers,Architettura, misura e grandezzadell’uomo. Scritti 1930–1969, IlPoligrafo, Padova 2010, p. 528.

24. TUMBIOLO R., intervista aMarcello Panzarella, Cultura escienza di Pasquale Culotta, inTUMBIOLO R., op. cit.,pp.158–159.

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Il rifiuto dell’apriori è una costante nell’attività propo-sitiva, cioè in quella progettuale di Culotta e Leone, maresta tale anche nella lettura dei luoghi. Il non accoglie-re gli apriori, i pregiudizi, ha permesso a Culotta di svi-luppare uno specifico modo di affrontare i sopralluo-ghi, posti a fondamento della sua didattica della proget-tazione, dove poteva accadere di «svegliarsi continua-mente nello stupore del paesaggio del mondo».27Pasquale Culotta, ricordava spesso una gita estiva fattanegli anni del suo apprendistato universitario al fiancodi Edoardo Caracciolo28 a Castelbuono, centro delleMadonie a pochi chilometri da Cefalù, come una delleesperienze che più l’avevano segnato nella lettura dellastruttura urbana. Questa esperienza è stata (da me) rie-vocata, anni addietro, in occasione di una consultazio-ne proposta dalla rivista «d’Architettura»,29 in collabo-razione con il Festival dell’architettura di Parma.«Culotta insegna per le strade della città, scruta, osserva, medita econtemporaneamente spiega e commenta. Questo mi sembra iltratto saliente da cui iniziare: insegna passeggiando. Anche la suamatita che si muove sul foglio può essere descritta come un errare,un passeggiare. La lezione en plein air del maestro stabilisce, alcontempo, delle continuità e delle costanti all’interno della Facoltàdi Architettura di Palermo. Infatti, se faccio un sopralluogo conCulotta lui cita sempre Edoardo Caracciolo (suo docente e mae-stro) e, in particolare, il ricordo di una visita estiva a Castelbuono,centro delle Madonie a circa cento chilometri da Palermo.Sentendo questo racconto ho capito che quella gita è stata perCulotta una vera iniziazione. La lectio magistralis di Caracciolo,manifesta a Culotta, molto di più dell’essenza urbana diCastelbuono, gli svela il “come” affrontare, conoscere e dialogarecon l’architettura della città. A volte penso a Caracciolo, alto forsepiù di un metro e novanta e a Culotta di trenta centimetri piùbasso, a passeggio per le strade di Castelbuono, sotto un micidialesole d’agosto, e l’allievo che pende letteralmente dalle labbra delmaestro. Il gigante Caracciolo spiega, spiega e ragiona ad altavoce sul perché di quell’allineamento, della logica di alcune altez-ze, della necessità di alcuni fondali, mentre un cielo di un azzurrodenso sovrasta entrambi. L’allievo resta incantato e rivede learchitetture come se fossero scacchi. Le pedine, i cavalli, gli alfie-ri, le torri ed anche re e regine hanno assunto le sembianze degliedifici che le mani dei progettisti hanno spostato e spostano nel-l’interminabile partita tra architettura e città».30

A questa descrizione si aggiungono alcune proposizio-ne tratte dal Diario Fenomenologico di Enzo Paci. «Il selciato sul quale cammino … La durezza, la compattezza,l’impenetrabilità delle cose. Per il filosofo, per l’uomo che vivenel filosofo, tutto questo può diventare enigmatico, diventa enig-matico. Tutto: la città, la propria casa, il tavolo sul quale lavora. Etutti gli eventi nei quali vive e le persone. Sono lì. Ma in qualchemodo io nego gli eventi e le persone e le cose. Questa negazione èfondamentale. Non posso negare quello che c’è, non posso negareil mondo nel quale vivo. Eppure dico di no. Non accetto l’impene-

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28. Edoardo Caracciolo, professore diurbanistica dal 1946 al 1962 presso laFacoltà di Architettura di Palermo. Lesue ricerche sulla storia dell’architetturae l’interesse verso l’urbanistica si fon-devano con l’attenzione costante versol’architettura rurale e spontanea sicilia-na. Restano fondamentali i suoi studisu Erice e sulla Val di Noto. Di seguitosi riportano alcune delle sue pubblica-zioni:CARACCIOLO E., Edilizia minore erici-na, in AJROLDI, CARACCIOLO, LANZA,Galleria mediterranea - Rilievi di edili-zia minore siciliana, Palermo 1938;Edilizia ericina, Palermo 1939; Ambienti edilizi sul Monte Erice,Proposta di scheda per la storia del-l’urbanistica, Estratto dall’ArchivioStorico Siciliano, serie III, vol. IV,Società siciliana per la Storia Patria,Palermo 1950;La città sul Monte Erice, «Casabella»n. 201, 1954;La casa ericina, estratto dagli atti del VConvegno Nazionale di Storia dell’ar-chitettura, Perugia 1948, Firenze 1956;Erice: conservazione e valorizzazionedi un patrimonio eccezionale, in Attidel Convegno di Gubbio, 1960 -«Urbanistica» n. 32, 1960 e inSalvaguardia e risanamento dei Centristorico-artistici, Atti del Convegno diGubbio - Stampa a cura della rivista«Urbanistica», Torino 1961;La cattedrale di Erice e cenni sulla edi-lizia ericina, Comunicazione allaSocietà Siciliana per la Storia Patria,Palermo.PIRRONE G. (a cura di), La ricostruzio-ne della Val di Noto, Quaderno n. 6della Facoltà di Architettura diPalermo, Palermo 1964.

30. SCIASCIA A., Archivi ArchitetturaSicilia, Laboratorio Italia 2005,esposizione d’Architettura,«d’Architettura» n. 27, maggio-set-tembre 2005, pp. 166-167. Uno stral-cio più esteso, ma ancora non com-pleto, del sopralluogo a Castelbuono,si trova in TUMBIOLO R., intervista adAndrea Sciascia Happy Days TimpaRussa, op. cit., pp.173-180.

29. Laboratorio Italia 2005, esposi-zione d’Architettura, «d’Architettura»n. 27, maggio-settembre 2005.

27. PACI E., op. cit., p.43.

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trabilità, l’opacità delle cose. Dire di no è, fenomenologicamente,“porre tra parentesi”, esercitare l’epoché, la sospensione del giudi-zio. (…) Il mondo è là: è stato creato, si diceva. Il mondo è là efinora io credevo che fosse naturale, che fosse ovvio il suo esserelà. Ora so che questo suo essere là è oscuro, enigmatico, coperto.(…) Devo risvegliare me stesso, diventare sveglio come finoranon sono mai stato. Ritrovare in me e nel mondo che sgorga da mela sorgente di tutti i significati. Il mondo nasce in me, nasce in meper la prima volta, perché per la prima volta lo sento significativo.Sono vivo nella vita desta, nel Wachleben, come dice Husserl.D’ora in avanti, in me, e negli altri che vegliano con me, che ope-rano con me, il mondo sarà trasformato in modo vero. Questaverità mi supera, mi appare come un’idea infinita alla quale conti-nuamente cerco di avvicinarmi. Così ho compiuto una rivoluzione.Ciò che era là, il mondo che era già là, è ora davanti a me: non èpiù un mondo già fatto ma da fare. È diventato un compito, unfine che dà significato alla vita, alla mia vita e a quella degli altri.L’epoché mi ha fatto scoprire una vita che va al di là di ciò che hogià vissuto, una vita che continuamente si supera, che sempre sitrascende trasformando il già fatto in un compito, in un significatodi verità. Questa vita nella quale davvero vivo è la vita intenziona-le».31Ci si accorge, con estrema evidenza, almeno per chi èstato anche una sola volta al fianco di Culotta in unodei suoi sopralluoghi, che tipo di sintesi era riuscito afare tra la lezione di Caracciolo e quella derivante dallafenomenologia. Un modo di vivere l’architettura e lacittà inedito, ricco di conseguenze, fecondo e del tuttoalternativo all’analisi urbana quando questa, per quantosapiente, si pone come momento slegato e senza conse-guenze per il progetto. L’intenzionalità della lettura ègià progetto. Ed è in questo passaggio che la pratica diHusserl della sospensione del giudizio si compone,nella lettura di Paci, con il rischio della misplaced con-creteness di Alfred North Whitehead. Architetture tra-sformate in modelli ma anche modi della conoscenzache divengono gabbie apriori sono esorcizzate in alcu-ne delle pagine più nitide del Territorio dell’architettu-ra di Vittorio Gregotti che si concludono con questafrase: «Poiché la liberazione dal pregiudizio costituito è il fonda-mento della nostra prima azione di lettura della forma architettoni-ca del mondo, ed essa è attività progettante, come la lettura del-l’essenza delle cose che ci circondano e di ciò che esse sono pernoi».32

La poetica delle preesistenze ambientali«È difficile immaginare un chilometro quadrato della penisoladove non si abbia a interferire con una preesistenza naturale o arti-stica di un qualche valore».33La poetica delle preesistenze ambientali è fortementecorrelata alla filosofia del relazionismo. Per Paci «Larealtà non è costituita dalla sostanzialità ma dalla modalità degliattributi, delle relazioni. Nessuna esistenza, o, meglio, nessuna“situazione” è in sé indipendente dalle relazioni ambientali. Una

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31. PACI E., Diaro fenomenologi-co, op. cit., pp.41-43.

33. ROGERS E. N., Il problema delcostruire nelle preesistenzaambientali, «L’architettura.Cronache e storia», n. 22, agosto1957; anche in MAFFIOLETTI S. (acura di ), Ernesto Nathan Rogers,Architettura, misura e grandezzadell’uomo. Scritti 1930–1969, IlPoligrafo, Padova 2010, p. 619.

32. GREGOTTI V., Il territorio del-l’architettura, Feltrinelli, Milano1988, p. 113.

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situazione si risolve nei modi delle sue possibilità. Ogni cosa cheesiste, o che non esiste, che esiste e non esiste, è in relazione adaltro da sé».34Per quanto il passaggio possa sembrare meccanico, sipotrebbe prendere in considerazione qualsiasi architet-tura di Culotta e Leone e spiegarla a fondo ripercorren-do quelle relazioni che queste hanno costruito con l’in-torno e con la particolare dialettica elaborata con la tra-dizione disciplinare. Le relazioni con l’intorno, e quin-di con le preesistenze, sono stabilite principalmenteattraverso una serie di percorsi - definiti da Culottacamminamenti - grazie ai quali, durante la redazionedel progetto rendevano la nuova architettura parteindissolubile del luogo; crocevia di preesistenti e nuovipercorsi, grazie ai quali si moltiplicano le relazioni.Dalle architetture di Culotta e Leone si percepisconovisivamente traguardi, figure artificiali o naturali, cheprima del loro intervento, nello stesso luogo, eranovaghe o inesistenti. Tracciare le connessioni rendevavive, cioè realmente presenti, le preesistenze e costrui-va un radicamento profondo al principio insediativoche stavano elaborando.Preesistenza è l’uliveto di casa Di Paola, il Duomo diCefalù e la massa straordinaria della Rocca per ilMunicipio. Anche la stazione ferroviaria costituiscepreesistenza rispetto al complesso dell’EGV center divia Roma. Nei confronti di ciò che preesiste i progettidefiniscono una rete di relazioni che sono costitutivedelle architetture.Per casa Di Paola l’uliveto guida le scelte dei volumi eporta con sé la costruzione dell’orto, ambito comple-mentare delle case presenti nella campagna di Cefalù.Ulivi ed orti non sono spettatori ma attori protagonistinella spazialità della casa come ha saputo descriverenel dettaglio Marcello Panzarella.35 E, con la stessalogica, l’inflessione del prospetto del Municipio annun-cia, da corso Ruggero, la presenza del Duomo e dellaRocca e il sistema di aperture regolari del prospettocostituisce una soglia fra “l’interno urbano” dell’archi-tettura e la stanza a cielo aperto di Piazza Duomo.Sempre a Cefalù la stazione posta ad una quota supe-riore rispetto alla via Roma, sul cui margine sorgel’EGV center, diventa un polo attrattivo e determinal’introduzione di un percorso-muro che attraversa dia-gonalmente tutta l’opera costruendo una connessioneurbana tra la strada di accesso al centro urbano e il ter-minal ferroviario.La questione delle preesistenze ambientali diventa perl’architettura di Culotta e Leone un tema centrale, unmodo di pensare l’architettura rispetto a qualsiasi con-testo. E l’orizzonte disciplinare è definito in manieraunivoca da un processo, tutt’altro che lineare, che sidistende dalla lettura, al progetto alla realizzazione.Processo e non procedimento perché «nessuna attività

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34. PACI E., op. cit., p. 33.Considerazioni simili sono espresseda Paci nel saggio, Problematicadell’architettura contemporanea.«Casabella–Continuità», n. 209,1956, pp. 41-46. Anche in «autaut», n. 233, gennaio-marzo 2007,pp. 16-33.

35. PANZARELLA M., op. cit., pp.63-69.

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umana, e soprattutto l’opera dell’architetto, è deducibile da princi-pi geometrici, o logici, che valgono soltanto per alcune tecnicheparticolari e non possono essere trasformati ipso facto in realtàoggettive senza imprigionare la vita dell’uomo».36 Quindi ilprogetto nel suo incedere scopre condizioni, fatti, rela-zioni e, nel suo specifico avanzare, ordina questi mate-riali e, nel porli in sequenza, stabilisce delle nuoveinterazioni del tutto impreviste e imprevedibili nelmomento del suo avvio. Il grado di imprevedibilitàrende vane le costruzioni apriori e porta in superficie,connessa alla questione delle preesistenze ambientali,la riflessione di Vittorio Gregotti sul tema dell’architet-tura della modificazione. E l’architettura di Culotta eLeone è tutta dentro l’idea di progetto che «diviene misu-ra della qualità della modificazione che esso stesso induce. In que-sto secondo caso non si dà conciliazione apparente o apparenteassimilazione come nel primo, ma la trasformazione delle relazio-ni (il confronto) assume essa stessa valore di linguaggio, o megliodi tensione verso il linguaggio».37 Ma osservando più neldettaglio le loro architetture resta da precisare in chemodo stabiliscono questa tensione verso il linguaggio.E nell’aggiungere, in modo complementare, alla teoriadelle preesistenze ambientali il tema dell’architetturadella modificazione si ha l’impressione che nella loroopera prevalga soprattutto quell’approccio caso percaso, più volte richiamato da Rogers. Come se la lezio-ne appresa, nel corso degli anni, dalla viva voce diGregotti abbia reso via via più penetrante quella diRogers e soprattutto quella di Paci. Dopo casa Mitral’architettura di Culotta e Leone tende a diventaremonomaterica e monocromatica, dalla linea di terraalla linea di colmo, ma questa scelta nasce da una spe-cifica condizione insulare, dalla quale Culotta si stac-cherà negli ultimi anni della sua vita nelle opere pro-gettate, senza Leone, al di fuori della Sicilia. Ma èaltrettanto vero che l’accumularsi della loro esperienzaprofessionale non ha mai costituito un limite, un aprioriinterno, nella loro sperimentazione caso per caso. Laloro resistenza a frenare ogni possibile irrigidimentodel loro processo progettuale può essere letto attraversoun illuminante passaggio di Francesco Rispoli, espres-so nel suo saggio La ragione di Ulisse. Il colloquio traPaci e Rogers, nella coniugazione fra una parte dellariflessione di Paci, con l’avventura formativa di LuigiPareyson.38 L’avventura della formatività di un “fareche mentre fa inventa il modo di fare” sembra descri-vere, oltre che una sintesi tra Paci e Rogers, il sentieropercorso dall’architettura di Culotta e Leone.Quando si scrive di un “fare che mentre fa inventa ilmodo di fare” riferendosi al progetto di architetturabisogna capire gli effetti sconvolgenti che questa sceltapuò avere. Produce una tensione continua rivolta in duedirezioni contrapposte; verso le conoscenze acquisite,dandogli continuamente un nuovo ordine, e verso la

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38. RISPOLI F., op. cit., p. 60.

37. GREGOTTI V., Modificazione,«Casabella», n. 498-499, gennaio-febbraio 1984, numero monograficodedicato all’indagine dell’idea di“modificazione” nella progettazionearchitettonica contemporanea.

36. PACI E., Wright e lo spazio vissu-to, «Casabella-Continuità», n. 227,1959, pp. 9-10. Anche in «aut aut»,n. 233, gennaio-marzo 2007, p. 45.

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meta, il punto di arrivo, del progetto che, sino all’ulti-mo, può subire degli spostamenti. Nel caso opposto ilprogetto si riduce ad un’operazione di montaggio, adun puzzle di pezzi precostituiti, ad un mero assemblag-gio. Questa modalità, oltre ad essere lontana dalla pro-gettazione è anche altrettanto distante dalla composi-zione volta a cogliere i principi dell’architettura.Aldo Rossi ha scritto: «Osserviamo ora un monumento: ilPantheon. Prescindiamo dalla complessità urbana che presiede aquesta architettura. In un certo senso noi possiamo riferirci al pro-getto del Pantheon o addirittura ai principi, agli enunciati logici,che presiedono alla sua progettazione. Io credo che la lezione cheposso prendere da questi enunciati sia del tutto attuale quanto lalezione che noi riceviamo da un’opera di architettura moderna; opossiamo confrontare due opere, e vedere come tutto il discorsodell’architettura, per quanto complesso, possa essere compreso inun solo discorso, ridotto agli enunciati base.Allora l’architettura si presenta come una meditazione sulle cose,sui fatti; i principi sono pochi e immutabili ma moltissime sono lerisposte concrete che l’architetto e la società danno ai problemiche via via si pongono nel tempo».39Nel rileggere il brano, tratto da Architettura per imusei, frequentemente si è esaltato il ruolo dei principi,pochi e immutabili, ma rare volte si è richiamata laresponsabilità che deriva dalla scelta, o meglio dallaindividuazione, di una fra le moltissime risposte con-crete. Invece, in questo caso, la sottolineatura si vuoleporre proprio sul modo in cui fra le moltissime, forseinfinite, risposte si giunge a quella che si ritiene piùsignificativa. Ribaltando, si ribadisce almeno per unavolta, il senso della frase di Rossi ci si trova in mareaperto quando, pur confortati dalla conoscenza deiprincipi, bisogna progettare per quello specifico luogo,in relazione a quelle preesistenze, a quella determinatacondizione climatica e in rapporto alle concrete richie-ste di una committenza. Anche in Rossi, d’altra parte,dopo lo svelamento dei principi, gli stessi trovano unaconclusione densa di significato nelle sue opere facen-do riferimento al profilo autobiografico. In altri termi-ni, raggiunti i principi, compresi i principi, la loroapplicazione, che dà forma all’opera architettonica,dipende sempre dall’azione del soggetto, dalla suacapacità di stabilire trame di relazioni fra un luogo dipartenza, pazientemente svelato, e uno di arrivo imma-ginato nel processo del progetto. Culotta e Leone intra-prendevano tale avventura come in un viaggio compre-so fra alcuni elementi di partenza e degli schizzi checostituivano, più che una meta certa da raggiungere,una bussola grazie alla quale non smarrirsi.

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39. ROSSI A., Architetture per imusei, in CANELLA G., COPPA M.,GREGOTTI V., ROSSI A., SAMONÀ A.,SCIMEMI G., SEMERANI L., TAFURIM., Teoria della progettazione archi-tettonica, Dedalo Bari, 1967, p. 126.

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programme and the project of restoration, recognising that the lat-ter plays a crucial role in the  monument care mission, but at thesame time entrusting it with the surplus of reasoning relating tomonument care. In this sense, the  restoration project so orientedcan be considered methodologically “weighted”. The methodo-logy acknowledges the relativity of planning autonomy within thefield of restoration. 

Andrea SciasciaArchitecture and Phenomenology in Palermo. Paci, Rogers,Gregotti, Culotta and Leone

Andrea Sciascia describes a route that stretches from the Husserl’sphenomenology, through the Enzo Paci’s lesson and contributionsof Ernesto Nathan Rogers and Gregotti , until the architecture ofPasquale Culotta and Giuseppe Leone.After demonstrating, through clues and evidences, which is thelink between phenomenology and the reflection of the two desi-gners Sicilian, reasoning is divided in three groups:- The lesson of Frank Lloyd Wright and the Mediterranean mythin contemporary architecture;- The "suspension of judgment" and opposition to the injury of a "concretization misplaced ";- The poetry of the pre-existing environmental and architecture ofthe modification;For each of these areas, the paper shows how deep and originalCulotta and Leone have been able to trace their route in architec-tural design .The Wright's architecture, as well as being an example in itself, isthe gateway to the United States of America , and to an architectu-re free from prejudice and in which the use of the technique arisesfrom the necessity of the project. The suspension of judgment isstrongly directs the proposal phase that the reading of the places,fundamental practice in the learning of Culotta. While the systemof pre-existing environmental Rogers is placed in relation to thephilosophy of relationism Paci giving a wider meaning to the solu-tion "case by case "

Zeila TesoriereAfter the obsolescencie. Projects for the disused railway via-ducts

This article focuses on the increasing number of abandonedrailways converted into new parkways, briefly investigating themtrough the prism of obsolescence. Over the past forty years, thefeatures matching with the average lifetime of infrastructural buil-dings have became of growing relevance dealing with contempo-rary policies in restructuring our territories.In the beginning of 21th century, facing the new challenges of thepost-carbon era, cities of developed society are riddled with tech-nical ruins, testaments to their recent productive past. Since theentanglement of transport infrastructure, industry and architecturehighly represents important segments of 20th century urban tis-sues, the end of their use cycles makes raise questions concerningits formal and local impacts. We would like to stress how, in orderto re-obtain continuing use of those abandoned artifacts, architec-

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