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PREMIODAVIDEVIGNALI I progetti che in questi anni hanno vinto il concorso

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PREMIODAVIDEVIGNALI

I progetti che in questi anni hanno vinto il concorso

Alice Vacondio, Nidi d’affetto 2015, serie di 6 fotografie

NIDO, la parola nido principalmente è una parola semplice, di solo due sillabe, di piccola lunghezza, sembrerebbe quasi una parola insignificante, ma a volte senza che la gente se ne accorga sono proprio queste parole a dare spessore alla nostra vita. Viviamo in case calde, viviamo nelle strade, viviamo sulla riva di un fiume, viviamo in un letto, viviamo nel mare, viviamo nel mondo... Possediamo questi luoghi e solo noi possiamo renderli nostri.

Nido significa rifugio e per il mio progetto ho voluto scegliere questa parola per descrivere alcuni nidi personali, di giovani adolescenti e delle loro storie, delle loro vite racchiuse in quei luoghi a loro cari, in una fotografia che voglio raccolga tutto. Questi nidi sono luoghi che contengono vita e storie, e voglio che siano queste persone, immerse nei loro spazi, a raccontare.

Mirea Papotto, Black Line 2015, Installazione con 5 fotografie

Censura: una forma di controllo sociale che limita la libertà di espressione, di pensiero e di parola. Applicando una censura si esercita un controllo totale sulla creazione, sulle idee e sulle opinioni. Nella maggior parte dei casi tale controllo è applicato nell’ambito della comunicazione pubblica, ad esempio nella stampa, nella televisione o in altri mezzi della comunicazione di massa, ma è possibile indirizzare tale oppressione anche su un individuo, limitandone l’espressività.

Il mio progetto muove dall’idea di censura dell’individuo, dall’impossibilità di comunicare. I miei scatti propongono la rivisitazione, in diverse modalità, della censura del volto. Il volto infatti designa non tanto i tratti fisiognomici di una persona, bensì ne indica la personalità unica ed irripetibile. Il volto è riflesso della realtà interiore e della natura di ognuno di noi.

La limitazione imposta all’espressività conduce inevitabilmente a uno stato di angoscia che talvolta tramuta in disperazione. Queste fotografie riflettono il disagio, l’insoddisfazione e la difficoltà nel mostrare il proprio stato interiore, il proprio io.

Alessia Sgarzi, Aeree passeggiate 2015, serie di 6 fotografie La ricerca che ho portato avanti si basa sulla necessità di vedere il micro mondo del quale in prima persona faccio parte con occhi estranei. Ho cercato di creare, per quanto parziale, il ritratto della realtà che vivo ogni giorno cogliendola da un punto di vista esterno, come se un elicottero la sorvolasse e ne registrasse immagini ai miei occhi ancora sconosciute. Col definirsi del soggetto della mia ricerca e del risultato che volevo ottenere, mi sono posta il problema di quale linguaggio dell'immagine usare. Ho così intrapreso lo studio di opere della storia dell’arte che riscontrassero caratteri comunicativi e compositivi a me utili.

Mi sono soffermata principalmente sui pittori fiamminghi di metà ‘500, in particolare sulle opere di Pieter Bruegel il vecchio. Ciò che colpisce di questi pittori, di Pieter Bruegel particolarmente, è come vi sia il tentativo di fare vedere ogni cosa con il maggior dettaglio e la maggiore chiarezza possibile. Per ottenere questo risultato Bruegel si avvaleva spesso di una sorta di vista aerea, con la quale restituiva un’immagine chiara di tutti i rapporti umani e materiali presenti nell'opera: come in un vasto palcoscenico, nei suoi dipinti ogni gesto è illustrato con grande chiarezza, ogni dinamica espressa nella maniera più univoca.

Mi piace pensare che Bruegel, prima di dipingere, camminasse a lungo sui tetti e sulle torri più alte delle cittadine olandesi in cui viveva e da queste "aeree passeggiate" egli riuscisse a cogliere l'essenza della realtà di cui faceva parte. Un po' come ho tentato di fare io portando avanti questo progetto.

Sara Dotti, Svelano nascondendo 2015, serie di 5 fotografie

Opere salvate, protette e custodite. Il loro essere nascoste lascia spazio all'osservatore di poter immaginare, fantasticare fino a raggiungere emozioni che creano una realtà del tutto inedita.

Corinna Gentili, Intermezzi 2014, serie di 9 fotografie

In questo progetto sono confluite due ricerche nate separatamente, dove sono raffigurati oggetti comuni, particolari minuti o degli indecifrabili corpi sfocati. Ho cominciato a realizzare i primi scatti con due idee di fondo: l’astrattismo — non quello geometrico, ma quello della pittura di Rothko, incentrata sul colore e sulla luce — e la tematica delle “piccole cose”, quelle della scena del sacchetto di plastica in “American Beauty” e de “Il Favoloso mondo di Amélie”.

Da una parte ho reso i miei scatti superfici di puro colore, ispirandomi ai “Freischwimmer” di Wolfgong Tillmans. Ho inquadrato fonti luminose senza metterle a fuoco, ho eliminato così il nitido contorno delle forme ottenendo macchie informi di colore. Nel frattempo ho preso dei rifiuti, oggetti al loro termine, come un mozzicone di sigaretta o la parte finale di una radice di liquirizia, mettendole in primo piano con l’ausilio di filtri macro ed eliminando quasi totalmente la profondità di campo per astrarle dal loro contesto.

Per il titolo ho trovato suggerimento dall’album “Tutti Morimmo a Stento” di De Andrè, dove ho colto un parallelo del mio intento nei cortissimi e suggestivi “intermezzi” in cui le parole lasciano spazio a strofe solo evocative.

Alex Garelli, Gioventù selvaggia 2014, serie di 7 fotografie

Quando si è giovani tutto sembra essere più infinito. Da giovani siamo così pieni di noi stessi da non renderci conto di quanto sia difficile il mondo che ci circonda. Siamo vuoti ma al tempo stesso pieni di emozioni, siamo fragili e abbiamo bisogno di trovare le certezze che non troviamo in noi stessi.

Siamo fatti di sogni, paure, amore, odio ed amicizie infinite, siamo vivi e viviamo di sguardi, di abbracci e di promesse troppo grandi e così difficili da mantenere. Gioventù selvaggia è un progetto che vuole mostrare attraverso l’occhio di un giovane fotografo le emozioni e i sentimenti che accomunano i giovani da sempre.

Giorgia Mangieri, Nonostante tutto 2014, video, 1’ 47”

Nonostante tutto guardo avanti a me. Vedo strade ancora da percorrere. Nonostante tutto riesco a trovare ancora qualcuno da amare, qualcuno che sta nascendo, che mi rende una bestia felice. Nonostante tutto io lo faccio per te.

Giulia Ferrari, Frammenti di tempo 2014, serie di 5 fotografie

“Non amare, né odiare la tua vita: ma il tempo che vivi, vivilo bene, lascia al cielo decidere quanto sia breve o lungo”. (John Milton)

Le mie fotografie raccontano dei passi che compiamo ogni giorno della nostra vita, i sospiri scagliati a terra a cercare una risposta che non arriva. Raccontano di momenti che si fermano nel tempo e non sembrano più ripartire, immobili, anche quando intorno a te tutto sembra andare velocemente, come le ruote di un treno sulle rotaie. Un’emozione, una parola hanno fermato il tempo dentro di me.

Tommaso Marchi, Casualità? 2013, serie di 6 fotografie

La fotografia, un’invenzione straordinaria. La sua utilità è indiscutibile, ma è chiaro che ultimamente ha raggiunto un livello di diffusione talmente ampio che il suo significato artistico è più che mai messo in dubbio.

In un’epoca dominata in ogni ambito dalla razionalità, non resta che recuperare, soprattutto in fotografia, gli istinti originari attraverso il rifugio nella casualità dell'azione.

Francesca Ghidini, 10 minuti 2013, serie di 5 fotografie

Sono uscita di casa per prendere la bici, di solito la tengo in giardino, ma oggi c'è troppo vento. Il giardino è sommerso dalle foglie, non ho mai visto niente di simile.

Nel giardino di una signora invece, al di là del sottopassaggio, non ci sono foglie, ma querce sradicate. Le case hanno perso il tetto, stasera forse piove, come faranno?

Un furgone bianco giace abbandonato in mezzo a un campo come un vecchio relitto, forse qualcuno verrà a cercarlo. 10 minuti è il tempo che il tornado ha impiegato a portar via i sacrifici di una vita.

Vittoria Ferrari, Isolabella 2013, serie di 5 fotografie

Le tue mani creano per poi distruggere. È la casa che mattone su mattone è cresciuta con me e che, litigio dopo litigio, crollava e che, lacrima su lacrima, si arrugginiva. È la dimora della mia coscienza, lì si è consumata la mia infanzia.

Frammenti d’amore sparsi tra le fessure del pavimento soffocano il tuo respiro. Per quanto quelle ragnatele reggeranno i detriti della vita?

Isolabella, non ti restano che labili raggi di sole, raggi che scaldano le tue mura, filtrati da mille ferite. Mentre ti guardo, poltiglia di fango e nuvole mascherano le mie lacrime.

Zhang Yang Min, Cosa rimane? 2012, installazione: serie di 15 fotografie, zucchero bianco, cubo

Il mio progetto muove da un’idea filosofica, da una riflessione sulla vita, sul futuro, sull’esistenza. È un tentativo di ricerca sul senso della vita. Perché c’è bisogno di lottare per vivere e per sopravvivere? Che senso ha, se poi finisce tutto? C’è chi crede nella reincarnazione, chi si affida alla speranza di un domani migliore. L’uomo è grande e al tempo stesso misero, perché non può cambiare il proprio destino. Possiamo scegliere però come vivere la nostra vita.

Ho voluto proporre una serie di impronte, di cose, oggetti o persone, sul tema della “ricordanza” e su quel che rimane della nostra esistenza nel mondo. Tutto cambia, tutto scorre, non possiamo tornare indietro nel tempo o fermarlo ma possiamo registrare il nostro passaggio in un determinato momento della storia: le impronte della mano o di un piede, le tracce degli oggetti di uso quotidiano, magari appartenuti ai nostri antenati, oppure di foglie (che cadono e ricrescono) o di cassette audio (che richiamano le voci che vi sono registrate). Queste stesse immagini fotografiche sono “ciò che rimane”.

Ho ottenuto le impronte degli oggetti premendoli su uno strato di zucchero: mi piace la sua materia quasi impalpabile, mi ricorda le foto della Luna su cui gli astronauti hanno lasciato le proprie impronte. Ho pensato di usarlo anche nell’allestimento, spargendolo sul pavimento così che ogni visitatore possa lasciare, egli stesso, la traccia del proprio passaggio.

Valentina D’Avino, Equilibrio 2012, serie di 15 fotografie

Il mio progetto rappresenta lo scorrere della vita. La vita è un continuo cambiamento, un cammino che dura un soffio. A volte è tortuoso e frenetico, un vortice di emozione dove sembra che il tempo scorra più veloce, mentre in altre occasioni sembra lineare e monotono,

oppure ci propone rapidi cambi di rotta, con difficoltà e ostacoli da superare. In altri momenti è semplicemente un filo su cui camminare come funamboli, barcollando e tentando di non cadere, di restare in equilibrio.

In qualsiasi fase ci si trovi, l’unica cosa sicura è che il tempo non aspetta.

Greta Cerfeda, Assenze 2012, serie di 7 fotografie

Assenze è il titolo del mio progetto fotografico, nel quale ho voluto comunicare il sentimento della solitudine e dell’abbandono. In ogni scatto, tranne uno, manca “qualcosa” che completerebbe e darebbe un senso pieno all’immagine. L’assenza di un elemento rispecchia fedelmente un mio vuoto personale interiore ed è proprio attraverso queste immagini che ho voluto rappresentare un mio autentico “senso di mancanza” dipendente dalla fine improvvisa di una lunga relazione sentimentale.

Un pasticcino privato della sua metà; una poesia di Eugenio Montale dedicata alla moglie morta, un albero ormai spoglio dove resta una sola foglia ormai secca e ingiallita; due lettini che conservano il ricordo dell’estate ormai passata; una scatola di lettere; un anello riposto da solo nella custodia doppia; una coppia di cui non si vede il volto che si allontanano.

In ogni scatto riesco a riconoscere una parte delle emozioni che mi stanno attraversando in questi mesi di solitudine dolorosa, in bilico come la foglia sola e abbandonata che di lì a poco, alla prima folata di vento, sarebbe caduta sul terreno, mescolandosi a tutte le altre.

Tutti gli oggetti e le persone che compaiono non sono solo oggetti e persone reali, sono soprattutto simboli del senso di mancanza e di pena che ancora mi attanaglia.