Dossier Turchia, Kurdistan, venti di guerra

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CHI VUOL FARE LAGUERRA NON DEVE

ESSERE LASCIATO IN PACE

Dossier su Turchia, Kurdistan e venti di guerra

Per costruire un movimento a Genova contro la guerra

A cura di Genova City Strike/ Rete Nazionale Noi Saremo Tutto

Piazza dei Trogoli di Santa Brigida 20 rosso

www.citystrike.orgwww.noisaremotutto.orgRadio Stella Rossa www.stellarossagenova.orgContattaci: [email protected]

1 ) Introduzione

2) Dopo l'attentato di Parigi

3) Le elezioni farsa in Turchia

4) La strage di Suruc

5) L'emergenza migranti

6) La guerra

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INTRODUZIONE

”Non c‘é stato un momento preciso in cui ècominciata questa guerra. Abbiamo combattutoin Corea, in Jugoslavia, in Iran. Il conflitto si èallargato sempre di più. Alla fine hannocominciato a sganciare bombe anche qui. E’successo come il diffondersi di un’epidemia. Laguerra si è estesa. Non è cominciata”.Colazione al Crepuscolo, di Philip K. Dick,1953

Iniziamo con una banalità di base: la guerra alleporte di casa è entrata nei perimetri dello spaziopolitico dell’UE, ha determinato uno stato dieccezione permanente evidente ai più e un saltodi qualità nelle scelte apparentementeirreversibili dei “signori della guerra”made inEurope.Nella percezione comune, gli indirettiambasciatori di questa “escalation” sono stati

per primi i profughi sradicati dai conflitti causati dallapolitica bellicista della NATO, dell’Unione Europea,dalle petrol­monarchie della penisola arabica inAfrica e in “Medio­Oriente”.Dietro la falsa contrapposizione tra integrazione edesclusione dei profughi giocata dalle elité dei governieuropei a seconda dei propri interessi (ricerca dimanodopera a basso costo versus ricerca di unconsenso basato sul concetto di sicurezza), c’è unasostanziale profonda matrice neo­coloniale nellapolitica di ogni schieramento che in fondo non fa checristallizzare l’abisso tra “razze schiave” e “razzepadrone” nel nuovo dis­ordine mondiale. In tal modoviene perpetrata tuttora quella politica diaccumulazione per espropriazione di terre, uomini erisorse che è alla base del nostro sistema economico.Se, negli anni recenti, questo sistema aveva offerto le

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briciole ad un parte della classe lavoratrice“autoctona” dei paesi imperialisti, anche a scapitodella forza­lavoro multinazionale, ora ha benpoco da offrire a tutti e mette in pericolo lasicurezza dei “più”.Il corollario di questa politica “neo­colonialista” èstata una percezione inferiorizzante dei “dannatidella terra” che ha fatto breccia da tempo tra i“proletari autoctoni” annichilendo una tradizioneinternazionalista che aveva visto – per una parteimportante del movimento operaio – nella lottadei popoli del tricontinente un naturale alleato peril miglioramento delle proprie condizioni di vitaanche nei propri territori.Ma i nostrani e autoctoni dannati della metropolistanno bruscamente scoprendo gli “effetticollaterali” di un ciclo di feroce competizioneglobale (in primis all’interno della contraddizionecapitale­lavoro) e di relativi conflitti, fino ad ora– tranne casi significativi ma marginali – rimastial di fuori della sfera della propria quotidianità etutt’al più nella rappresentazione falsante dellapropaganda di guerra dei media mainstream.Tutto questo accade in un contesto in cui ilconsenso dei tecno­burocrati di Bruxelles eFrancoforte, e delle loro articolazioni locali, è aiminimi storici.La pericolosità di questo boomerang sta facendoriflettere su un possibile cambiamento di tatticada parte di una parte della borghesia e del bloccodi potere dominante, che non vuole fare più lespese di una gestione scellerata dello strumentoguerra (e vedere risicati ancora maggiormente ipropri consensi) e sta dando credito a quelle vociinascoltate che da anni fanno dell’opposizionealla guerra un discrimine etico e politico.Ma scelte meno scellerate sarebbero possibili solocon una radicale inversione di tendenza ad operadi soggetti politici in grado di dare rappresentanzaad un mutamento drastico dei rapporti tra il“centro” e “la periferia” nell’attuale gerarchiaimperialista, restituendo alla sovranità popolare lescelte di fondo della politica in un cambio diparadigma nella tessitura di rapporti fraterni trapopoli e le loro legittime rappresentanze.Questo anche perché, a parte qualche voce fuoridal coro, la borghesia maggioritaria ha scelto datempo di andare alla guerra a qualsiasi costo.Tutto per la ragione criminale del pensieroeconomico secondo cui la guerra è lo sbocco

naturale della crisi: chi ha rimosso questo datostorico, come la sinistra radicale in primis, non èsolo intellettualmente disonesto ma politicamenteopportunista e ci condanna ad una gravosa sconfitta.Il prossimo gennaio entreremo nel 25° anno di statodi guerra permanente inaugurato dalla primaaggressione statunitense all’Iraq, allora stato sovranomulti­etnico e multi­confessionale la cuiconformazione politica era la conseguenza di unarivoluzione anti­coloniale, ed è sempre benericordarlo, in prima fila nella coalizione dei paesiarabi del “fronte del rifiuto” nei confronti di unanormalizzazione dei rapporti con lo stato d’Israele,nonché campione nell’accoglienza enell’integrazione dei profughi palestinesi.Da quel gennaio del ‘91 la tendenza alla guerra hasempre e solo subito brusche accelerazioni e i teatridei conflitti si sono estesi, moltiplicandone i fronti,fino alla situazione attuale in cui una linea dalMarocco fino alla Cina.Qui, non solo si affrontano gli attori globali e i lororeferenti locali nello scontro inter­imperialista, macombattono anche resistenze popolari dai contenutiprogressisti contro le aggressioni neo­coloniali eferoci dittature militari.A differenza del passato, non vi è attualmente uninvolucro politico in una cornice sovra­nazionale ingrado di fungere da camera di compensazione deiconflitti inter­imperialistici sempre più aspri in unquadro di bilanciamento delle forze in chiavedistensiva. Esistono invece vettori che accelerano latendenza alla guerra come NATO e Unione Europeache sono né più né meno gli attuali DottorStranamore che giocano con la vita di miliardi dipersone.Appare chiaro come in questo scenario, l’attualeleadership politica turca si sia fatta carico delprimato nella spinta al conflitto sia nei confronti delnemico “interno” che nei confronti di quello“esterno” delineando un profilo di intervento politicoche fa diventare la Turchia un laboratorio politicoper l’inasprimento della guerra. Ricevendo, per cosìdire, il testimone dall’alleanza tra neo­nazisti e neo­liberisti che ha provocato il golpe in Ucraina ormaidue anni fa e che attualmente governa il Paese.Più accetteremo la catastrofe legittimando il corsopolitico attuale nei punti più avanzati della contro­rivoluzione globale: Israele, Ucraina, Turchia, più cicondanneremo a subire lo stesso trattamento che inostri fratelli e le nostre sorelle subiscono in queiquadranti, perché lo stato d’eccezione permanente è

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per sua natura virale.L’urgenza di un movimento contro la guerra e di rottura dello stato d’eccezione permanente è improcrastinabile,sta a noi dare forza organizzata a una spinta che sotto­traccia possiamo registrare abitualmente nella sensibilitàdei ceti popolari. Stiamo veramente camminando sull’orlo di un baratro ad occhi bendati, e di fronte all’attualeempasse la guerra alla guerra non può che essere la risposta contro il nemico più vicino, che è quello in casanostra. Per quel che possiamo, ci mettiamo a disposizione per favorire la formazione di un processo locale chevada in questa direzione.

CONTRO LA GUERRA E IL TERRORECOMBATTIAMO CONTRO I NOSTRI VERI NEMICI

Con l’attentato di Parigi la guerra che insanguina ilMedio Oriente esce dagli schermi televisivi e arrivanel cuore dell’Occidente. Non è la prima volta negliultimi anni e non sarà l’ultima. In Europa vienecolpita la Francia e immediatamente si alza lo sdegnoche non viene mai usato quando intere popolazionivengono sterminate. Dopo il crollo del sistemasovietico, l’occidente ha messo tra i nemici l’Islamconducendo rovinose guerre in Afghanistan, Iraq,Siria. Spesso ha combattuto per procura creando eforaggiando organizzazioni (Al Qaeda, ISIS) che poigli si sono rivoltate contro, creando altre guerre.In Medio Oriente si combatte una guerra diffusa fattadi stragi quotidiane. Ogni tentativo di argine politicoalla barbarie viene distrutto scegliendo di volta in

volta il nemico (Saddam Hussein, Gheddafi, Assad),con lo scopo di accrescere il proprio controllo sulterritorio. Gli attori principali di questi massacri sonogli USA la NATO e la UE. Il loro scopo è dicontrollare le risorse e i traffici, vendere armi, crearestati fantoccio controllati dai governi amici dell’area(Arabia Saudita e altri paesi del golfo). La retorica suidiritti e sullo scontro tra civiltà è una barzelletta chenon regge a nessuno sguardo minimamente attento.L’occidente gioiva solo qualche giorno fa quando ilsultano Erdogan, uno dei principali alleati di fattodell’ISIS, raggiungeva la maggioranza assoluta inTurchia schiacciando nel sangue e nel terrore ogniresistenza.

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L’ISIS, passato da alleato contro Assad a nemiconumero uno, non potrebbe esistere senza l’appoggiodelle potenze che lo foraggiano vendendo armi ecomprando il petrolio. Per la NATO e per l’UE èsempre stato necessario armare una guerra direligione tra il blocco sunnita e quello sciita. Ma lareligione è solo il paravento dietro al quale agisconofattori economici. La distruzione di ogni formaorganizzata al saccheggio delle risorse in quell’areafornisce all’estremismo islamico le truppe didisperati che sostengono queste guerre.Le vittime innocenti di Parigi, così come le vittimedi Beirut, così come i compagni turchi e curdi uccisinelle strade di Ankara o nei villaggi del Kurdistan, icivili uccisi nel conflitto in Iraq e in Siria, le vittimedei bombardamenti sauditi appoggiati da USA,NATO e UE in Yemen: sono questi i frutti delsaccheggio organizzato dagli imperialisti occidentalie dagli imperialisti del Golfo loro alleati. Dietro diloro stanno gli interessi economici dei padroni delpetrolio, del gas, delle rotte di trasferimento

energetico.Come al solito pagano gli innocenti e il loro sangueviene utilizzato per giustificare nuove aggressioni.Oggi non dobbiamo appoggiare nessuna unionecontro un nemico che è innanzitutto in casa nostra.Non esiste nessuno scontro tra civiltà e le religioniservono solo a dividere chi è sfruttato daglisfruttatori.Non ci sarà pace né giustizia se continua il dominioincontrastato dell’imperialismo e dei suoi strumenti.Lottare contro la barbarie e la guerra diffusasignifica quindi capire che il nostro vero nemiconon è l’Islam, ma chi affama e sfrutta i popoli. Perquesto dobbiamo rifiutare di arruolarci nella loroguerra. Per questo occorre organizzarsi persconfiggere il nemico che è in casa nostra, che cisfrutta tutti i giorni, alimenta guerre e massacri,lascia che a morire per sé siano vittime innocenti.La guerra è contro tutti i lavoratoriFuori l’Italia da ogni guerra, dalla NATO e dalla UE

Qualche mese fa commentavamo, come ReteNazionale NST, il risultato delle elezioni in Turchiacon la speranza dell’avvio di un possibilecambiamento positivo. L’HDP, che rappresenta unaparte della sinistra turca e curda, aveva strappato il13% dei voti e, soprattutto, aveva contribuito atogliere la maggioranza al partito AKP del primoministro.Dietro i risultati, si avvertiva l’influenza del processodi pace tra il PKK e il Governo Erdogan. La strategiadei compagni del PKK era quella di spostare la lottasu un piano politico strappando potere al partito AKPmisurandosi su un terreno minato e difficilissimo.La situazione era fluida e potenzialmente in grado diaprire una contraddizione nell’apparato di potere inTurchia. La coabitazione trattativa tra AKP e HDP siè però rivelata , da subito, impossibile. Sullo sfondola situazione ai confini con Iraq e Siria dove laresistenza di Kobane all’avanzata dell’ISIS apriva unfronte per la creazione di una entità statale kurda.Qualche mese dopo, al culmine di una campagnaelettorale giocata con le armi e con l’esercito, lasituazione appare ribaltata con il partito AKP che

riconquista la maggioranza assoluta e con lasconfitta della sinistra e dei curdi che raggiungonoper il rotto della cuffia la soglia del 10% necessariaper entrare in parlamento.La politica come continuazione della guerraAppare evidente a tutti, come la vittoria politica diErdogan e dell’AKP sia soprattutto una vittoriamilitare. Durante la campagna elettorale la treguatra PKK e governo è totalmente saltata. L’esercitoturco ha ripreso a bombardare massicciamente lezone kurde controllate dal PKK (di cui l’HDP èsostanzialmente il braccio politico). Interi villaggisono stati bruciati mentre la repressione si spingevaa livelli parossistici, non solo contro i kurdi maanche contro la resistenza dei partiti della sinistraturca. All’interno della campagna di sangue sisegnalano anche delle stragi, ufficialmente daaddebitare all’esercito islamico: dalla strage diSuruc a quella di Ankara durante un comizioelettorale della sinistra. Si segnalano raid sanguinosi(di recente è stata uccisa davanti a casa la giovanemilitante comunista Dilek Dogan) e incarcerazioniper migliaia di militanti comunisti e anticapitalisti.

LA VITTORIA DI SANGUE DELSULTANO ERDOGAN

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Il cappio di Erdogan non ha risparmiato la stampa ela televisione. Con questa campagna di terrore,Erdogan si è accreditato come unico baluardo controil terrorismo addebitato al PKK, alla sinistra di classe(colpito pesantemente il fronte popolare DHKP­C) eall’ISIS di cui però il governo turco è il principalefinanziatore con l’acquisto di petrolio.Le grida della sinistra, secondo cui dietro gli attentatie le stragi ci sarebbero i servizi e lo stato turco, nonhanno ottenuto nessuna eco. Il governo di Erdoganha messo in berlina qualsiasi forma di controllodemocratico e ha ottenuto la vittoria militare epolitica che cercava.Elezioni farsaChe il verdetto delle urne non abbia nulla a che farecon un concetto, se pur vago, di democrazia èevidente a tutti gli osservatori imparziali. Bastaguardare i dati dell’affluenza che scendonomoltissimo nelle zone kurde o i brogli certificati conschede gettate nel cestino o bruciate. Questo è ilrisultato di un processo che non ha nulla a che vederecon la battaglia delle idee ma che rispecchia unpotere militare in cui le parti in causa si gestisconofette di potere per arrivare a una trattativa incondizioni di forza. Dopo le elezioni scorse, lasconfitta di AKP e i successi curdi nella battagliacontro l’ISIS potevano aprire una valanga cheavrebbe portato alla nascita di uno stato kurdo e allafine del regime islamico. Conoscendo e temendo laposta in gioco, il governo Erdogan ha puntato tuttosulla repressione sanguinosa e sul terrorismo di statovincendo la propria battaglia. Il fatto che l’HDP siariuscita comunque a entrare in Parlamento,rappresenta un piccolo elemento di resistenza macontemporaneamente appare una gentile concessionedel satrapo; con questa manovra Erdogan puòcontinuare a gestire in totale solitudine una trattativain cui ora ogni spazio di mediazione sembra negato.In questo contesto per la sinistra turca si apre unperiodo di riflessione e sicuramente una situazionedifficile da gestire e interpretare.Il ruolo internazionaleNella repressione del movimento kurdo e dellasinistra, Erdogan ha avuto alleati d’eccezione:l’Unione Europea e gli USA. In questi mesi, non si èlevata una voce di condanna istituzionale control’acquiescenza nei confronti dell’ISIS o contro lasanguinosa repressione. Erdogan continua a essere ilbeniamino di chi usa i diritti democratici e civilicome una clava per colpire soltanto chi non si allineaagli interessi economici delle proprie elite

economiche e padronali. In questo senso, nulla dinuovo sotto il sole, ma la conferma di unasituazione in cui le sinistre di classe non hannonessuna voce in capitolo. Per questo, la sconfittadei compagni in Turchia e il ritorno deciso versoun regime fascista ci devono ulteriormente farriflettere. Ogni volta ci scontriamo con la durarealtà dei fatti: per questo, invece di disquisiresulla tattica o sulla strategia dei compagni turchi ecurdi, occorrerebbe interrogarsi sulle nostrestrategie.Sicuramente, visto che l’internazionalismo è unconcetto che rifiuta ogni idealismo, cisembrerebbe sensato ragionare su come favorirela pace, la democrazia e il progresso in Turchiacercando di rafforzare le forze anti imperialistenei nostri territori. Magari cercandoconcretamente di mettere in difficoltà political’Unione Europea e la NATO. Cercando strade perunire politicamente quella parte di sinistra che fapropri questi concetti.

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L'OMBRA DI ERDOGAN DIETROLA STRAGE DI SURUC

Di fronte ad un attacco vigliacco quanto spietatocome quello che si è realizzato il 20 luglio a Pirsus(Suruç) all’indomani del terzo anniversariodell’istituzione dell’Autonomia Democratica inSiria non si pUò che condannare l’operato dell’Isiscosì come di quei paesi, Turchia in primis, cheavallano in toto questa politica assassina eguerrafondaia al servizio dell’imperialismo. Unagiovane militante dell’Isis si sarebbe fatta saltare inaria in occasione di una conferenza stampadell’organizzazione socialista giovanile SGDFall’interno del giardino del centro culturale Amara,punto di ritrovo nevralgico per quanto riguardal’organizzazione di solidarietà attiva alla Rojava ealla causa del popolo curdo e non solo dove inquesti mesi avevano trovato casa le centinaia disolidali accorsi per portare il proprio sostegno. Adora l’esplosione ha provocato ufficialmente lamorte di 37 persone (ma si mormora che ve nesiano di più) e vi sono più di cento feriti, molti deiquali in pericolo di vita. Tutto ciò in concomitanzacon un altro attacco portato avanti da unautobomba dell’Isis a Kobanê che ha mietuto altrevittime tra le fila delle YPG.Lungi dal fare una mera cronistoria degli eventi,quello che ci preme è sottolineare alcuni datipolitici.

Per prima cosa l’Isis e il governo Turco, tra i quali cisono stretti ed evidenti legami di collaborazione dicui esistono comprovate fonti documentate etestimonianze, fin’ora, con fasi più o meno alterne,hanno più o meno tollerato la presenza “straniera” alconfine, dovendo comunque rendere di conto dellaloro attività di repressione di “internazionali” neiconfronti di una “comunità internazionale”,repressione che invece non si fanno problemi adattuare a livello interno verso i curdi e i dissidenti e imilitanti politici di sinistra e/o estrema sinistra,anarchici e comunisti. L’episodio più grave di neiconfronti di “internazionali” è di poche settimane fa,quando alcuni compagni di Torino sono statiarrestati dall’esercito turco nei pressi del confineturco­siriano, di ritorno in Turchia da Kobanê etrattenuti sul posto. I militari turchi hanno sparato uncolpo di pistola, fermato i due compagni torinesi eun compagno curdo che è stato brutalmentepicchiato, privato delle scarpe e costretto rientrare inRojava a furia di sassate. Chi si trova a doverpassare illegalmente il confine turco­siriano devefronteggiare una situazione pericolosa nonostantel’affievolirsi del conflitto in quelle zone anche acausa dell’atteggiamento dell’esercito turco checontinua a presidiare la frontiera e ad ostacolare le

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attività di sostegno alla popolazione e diricostruzione. Appare ora chiaro come invecestavolta, non solo di come l’Isis non si sia fattaproblemi a colpire al centro del cuore delleattività di sostegno per la causa curda, ma di comeabbia proprio voluto lanciare un preciso segnalepolitico: vi colpiamo quando vogliamo e vicolpiamo dove siete più forti. Il fatto che sisentano liberi di farlo in Turchia è un datotutt’altro da trascurare ma che anzi va presonecessariamente in considerazione. Alcune fontitra cui un comunicato ufficiale del KCKaffermano che il MIT, i servizi segreti turchi,erano a conoscenza dell’attentato imminente.A niente valgono le ipocrite dichiarazioni delgoverno di Erdogan sui giornali quando affermache il ministero degli interni farà di tutto pertrovare i colpevoli. Sappiamo benissimo che lereclute dell’ISIS si aggirano indisturbate lungo ilconfine, si scambiano informazioni e sigarette coni soldati dell’esercito turco al confine, eseguonoattacchi dal territorio sotto la sovranità turca versola popolazione resistente in Siria, come è successorecentemente nell’ultimo di una serie di attacchiche ha coinvolto l’accesso alla frontiera di MursitPinar. C’è da dire che al confine la situazionereale oltre la volontà politica è più complessa diquello che potrebbe sembrare: la leva obbligatoriae la politica di gestione dell’esercito turco fa sìche i soldati semplici curdi o di origine curdavengano spesso usati come carne da macello eportati a sparare contro la loro gente. Abbiamoavuto modo di sapere da un compagno curdo chesi è trovato costretto a prestare servizio militare edi cui non possiamo rivelare l’identità che seanche le postazioni di soldati semplici si trovano adover fermare dei miliziani dell’Isis in corsaverso il reclutamento, nel momento in cui questisono consegnati come da ordine ai superiori,questi vengono portati in caserma e poi fattisparire, presumibilmente liberati. Non mancanocasi di suicidio tra i soldati dell’esercito turco chesi vedono spesso costretti a rimandare verso ilcaliffato nero intere famiglie in fuga: questa è lapolitica di frontiera dell’esercito e del governoturco, tra minacce di confino e prepotenze.All’interno di questo scenario viene dunqueoperato un vero e proprio blocco che va contro larichiesta di corridoio umanitario richiesto dalleYPG/YPJ e da larghe fette dell’opinione pubblica

solidale.L’altro aspetto da considerare si può riassumerecon la frase “un colpo al cerchio uno alla botte”.L’attentato esplosivo è stato realizzato duranteuna conferenza stampa della Federazione delleAssociazioni di Giovani Socialisti (SGDF), undelle tante sigle della sinistra turca, la qualeavrebbe dovuto partecipare a dei progetti diricostruzione della citta di Kobanê. Per quantonon possiamo affermare l’entità di unapartecipazione diretta all’attentato, lo stato turcoè comunque da considerarsi vero e propriocomplice politico attivo in quanto avevaimpedito domenica 19 il passaggio al confine aisuddetti militanti e dunque ostacolato ancorauna volta l’opera di sostegno alla popolazione edi ricostruzione di Kobanê. Il messaggio daentrambe le parti, Isis e governo turco(principalmente AKP e Erdogan, che per quantocon le ultime elezioni abbia perso lamaggioranza assoluta conserva ancora lamaggioranza relativa, nonostante il boomdell’HDP balzato al 12%) che altro nonrappresentano che lo stesso peso sui piatti dellabilancia dell’imperialismo, è di inficiare quantosi può dispiegare a livello internazionale maanche e soprattutto a livello interno in termini dicoalizioni, legami politici e sociali disolidarietà. Colpire non solo dunque il popolocurdo dentro lo stato turco, ma anche tutto ciòche si sta coagulando attorno a questomovimento: una serie di alleanze che Erdogannon vuole permettere a posteriori della rivolta diPiazza Taksim che, per quanto si trovi ormai infase di reflusso, rappresenta l’esperimento dimobilitazione di massa più importante dellastoria della Turchia negli ultimi anni e il cui ecorisuona ancora nelle coscienze.La situazione interna turca continua a esserepotenzialmente esplosiva, seppur tutt’oracontenuta: nonostante tutte le divisioni e ledifferenze politiche, vi è un magmaincandescente di organizzazioni militanticomuniste e anarchiche, molte delle qualipresentano un fronte armato. E’ di pochi mesi fal’operazione portata avanti dal DHKP­(C) diispirazione marxista­leninista al Palazzo diGiustizia di Istanbul in nome di Berkin Elvan,ragazzo di undici anni ucciso da un lacrimogenosparato ad altezza uomo durante le rivolte del

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2011, e abbiamo tutti davanti agli occhi sul web leimmagini delle manifestazioni esplose subito dopoin molte città della Turchia in cui si vedonomilitanti armati ai cortei perfettamente tollerati dalresto della folla, i quali vivono di una vita propriaall’interno di determinati quartieri nelle grandicittà. AKP, fascisti e Lupi Grigi cercano di sfruttarea breve­medio periodo l’Isis in termini dicontraddizioni interne ed esterne, di unitarietàinterna ed esterna, per quanto essi stessi venganodefiniti “infedeli” dai membri del califfato nero: laTurchia non solo si prefigura l’entrata a pienotitolo nell’Unione Europea, oltre ad essere membrodella Nato, ma sta cercando di guadagnarsi unruolo tutt’altro che secondario nei giochi politicidell’area medio­orientale, in “competizione­cooperazione” con paesi occidentali quali Usa maanche con paesi quali Arabia Saudita, Qatar edEAU, non ultima Israele: effettua accordiriguardanti le fonti energetiche con la Russiamentre compra il petrolio dell’Isis in una serie diballetti diplomatici.Si sovrappongono così vari piani, più livellidialettici di contraddizioni per le quali nonpossiamo che affermare che però se l’Isis deveessere individuato come il fanalino di coda dellepolitiche imperialiste di paesi occidentali e “petro­monarchie”, come un servo che si ribella alpadrone per diventare padrone a sua volta, come ilcaos necessario ad un nuovo ordine, lo stato turco èda individuare come nemico politico, comecontraddizione regionale in quanto protagonistaattivo all’interno della guerra di destabilizzazioneportata avanti in Siria. Stanotte, 20 luglio, è statauna notte di fuoco e di scontri in molte parti delpaese. Con le immagini del giardino del CentroAmara devastato dalla bomba davanti agli occhi, làcome parte di una delle tante delegazioni chehanno portato il loro sostegno e la loro solidarietàabbiamo scritto i report, scelto le foto, discusso,parlato con gli altri solidali da tutte le partid’Europa e non solo tra un çay e l’altro, fatto ledirette camminando nervosamente avanti e indietrocon la sigaretta accesa in mano, i rumori dellaguerra di sottofondo.Il pensiero va a tutti coloro con cui abbiamocondiviso un pezzo di strada, a coloro che ci hannoportato nei campi profughi, che ci hanno raccontatocon la voce e con gli occhi cosa avevano vissuto,cosa significa avere 17 anni e seppellire i propricompagni fatti a pezzi dai cani di Daesh, cosa

significa convivere da sempre con la repressionedello Stato turco, a coloro che hanno condiviso connoi il loro cibo, le loro canzoni intorno al fuoco masoprattutto la loro voglia di libertà, alcuni dei qualisono morti o sono stati feriti nell’attentato. Chehanno dato la vita per una rivoluzione tutta dacostruire.

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Cominciamo affermando una banalità per uncollettivo comunista come il nostro: siamofavorevoli alla libertà di movimento per tutti ilavoratori e per l’accoglienza degli immigrati chechiedono lo status di rifugiati.

Con lo sviluppo del sistema capitalista, illavoratore è assimilato a una merce. Se le merci ei capitali si muovono senza barriere statali, ilavoratori possono fare altrettanto. Questo valeper gli immigrati economici (coloro che sispostano per trovare migliori condizioni disalario) e vale per i rifugiati richiedenti asilo chescappano dalle guerre.

In questi mesi non si è fatto altro che parlare diemergenza profughi. Se ne è parlato lasciando permolto tempo solo fiato alla xenofobia e alrazzismo mentre i cosiddetti democraticitacevano. Fino alla settimana scorsa in cuiimprovvisamente l’Europa si è riciclata come ilcontinente umanitario, pronto all’accoglienza.

Improvvisamente i governanti della UE hannocominciato a blaterare di nuove regole perl’accoglienza, di abbattimento dei muri. Circolanoanalisi sulla quantità di immigrati cheservirebbero nei prossimi anni per rilanciarel’economia.

Dimenticano di ricordare che i profughi scappanoda guerre (Siria, Afghanistan, Libia) che lorostessi hanno creato e alimentato. Quando siricordano di questo, ne approfittano per rilanciareaccuse contro quei governanti che ancoraresistono, imputandolo loro la colpa della guerra edelle devastazioni. L’afflato umanitario delle éliteimperialiste dell’Europa è preludio a nuoveaggressioni, mentre tacciono e approvano laguerra che la Turchia sta scatenando nelle regionikurde e contro la sinistra comunista.

La questione dei profughi è legata alleinnumerevoli guerre che la NATO e la UE hannofomentato in questi anni, lasciando campo libero

NON PIU' NEMICI, NON PIU'FRONTIERE, AI CONFINI ROSSE

BANDIERE

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all’ISIS e alle manovre delle petrolmonarchie delGolfo. La guerra e l’invasione dello Yemen nonpreoccupano né gli USA né i paesi d’Europa.Mentre il prezzo del petrolio scendevertiginosamente, gli Stati Uniti lasciano chel’Arabia Saudita continui ad estrarne grandiquantità allo scopo di creare problemi economici aipaesi produttori nemici (Brasile, ma soprattuttoVenezuela). In cambio, costoro possono scatenareguerre in prima persona, alimentare i traffici conl’ISIS, distruggere i paesi non troppo allineati(Libia e Siria). Dove non intervengonodirettamente, gli imperialisti creano le condizioniper la guerra. I profughi vengono da lì, sono ilrisultato della fase di aggressione capitalista.

Gli immigrati economici sono invece dovuti allosviluppo capitalista ineguale, allo sviluppodemografico impressionante in alcune zone delglobo e alla stagnazione demografica nei paesi delcosiddetto primo mondo. La cifra mondiale degliabitanti ha raggiunto oramai la quota di 7 miliardi.La popolazione diminuisce e invecchia solo inEuropa e negli Stati Uniti. Le condizioni di vita esalariali sono diversissime tra i paesi che cresconoin popolazione e i paesi a capitalismo maturo. Lospostamento di grandi masse di lavoratori è quindiinevitabile e non è possibile fermarlo. Con pochidollari o euro guadagnati nei paesi del vecchiocapitalismo si alimenta un enorme flusso dirimesse verso i paesi d’origine. I lavoratoriseguono le possibilità offerte loro dal capitale: incondizioni di crisi fungono da “esercito industrialedi riserva”.

Il capitale ha una grandissima capacità ditrasformare le contraddizioni insite nel suo sistemadi sfruttamento in opportunità. In tutti i paesi in cuisi registrano imponenti flussi migratori (fortissiminelle zone asiatiche, non solo in Cina), sistabiliscono criteri di regolarizzazione che hanno loscopo di mantenere lavoratori ricattabili elavoratori più garantiti. I primi sono quelli piùfacilmente licenziabili e quelli a cui vieneassegnata la funzione di abbassamento del costodel lavoro, i secondi sono costretti ad accettarediminuzioni di tutele per rimanere competitivi.

Per il capitale, immigrazione economica e politicasi equivalgono: gli immigrati diventano numeri,oggetto di propaganda per future aggressioni o

politiche securitarie, potenziali addetti a bassocosto. Per l’opinione pubblica democratica eimperialista, l’atteggiamento umanitario è lapropaganda con la quale si introduce un nuovoattacco alle condizioni di tutti i lavoratori. Per irazzisti e gli xenofobi si tratta di un’occasione persoffiare sul fuoco delle contraddizioni, dividendo ilavoratori in base a presunte etnie o attitudini.

Il loro ruolo è speculare. Non analizzano le cause,sono complici nelle aggressioni imperialiste e ailavoratori. Si dividono il ruolo nella propaganda:chi fa l’umanitario e chi il cane razzista. Ma gliinfami che blaterano di sparare sui barconi non lofaranno perché alla loro base sociale servonolavoratori silenti e ricattabili, si limiteranno amediare con i democratici progettando galere,CIE, CPT…

In questi giorni, i democratici decidono cheservono più profughi. Per farli lavorare a costozero, sostituendo i lavori delle aziende partecipate,progettando ulteriori tagli al welfare. Tutto con laretorica del volontariato. Il modello EXPO dellavoro gratuito diventa una possibilità perprogettare l’accoglienza.

Contro tutte queste retoriche bisogna affrontare itemi chiave. Basta con le aggressioni imperialiste,collaborazione con gli stati e i paesi cherinunciando allo sviluppo neoliberista creanomigliori condizioni per i lavoratori nei loro luoghidi origine, libertà di movimento per tutti ilavoratori e regolarizzazione immediata per evitareche i migranti possano essere utilizzati perabbassare i diritti di tutti gli altri lavoratori.

No al razzismo, no all’imperialismo.

Non abbiamo un problema chiamatoimmigrazione, abbiamo un problema chiamatoimperialismo.

D’altronde, come recitava il nostro inno piùfamoso (vale per i soldati nella prima guerramondiale, come ai giorni nostri): “Non più nemici,non più frontiere, ai confini rosse bandiere. Ocomunisti, alla riscossa. Bandiera Rossa trionferà”

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SE QUALCUNO VOLESSE CHIEDERSICOSA SIGNIFICA GUERRA

Il rapporto di padronanza e la violenza ad essocollegata: ecco ciò che costituisce la caratteristica

tipica della “recentissima fase di evoluzione delcapitalismo”, ciò che doveva inevitabilmente

scaturire, ed è infatti scaturito, dalla formazionedegli onnipotenti monopoli economici.

Lenin, L’imperialismo

Il Medio Oriente è in guerra permanente damoltissimo tempo. Se vogliamo individuare una datad’inizio delle guerre più recenti potremmo proporre il16 gennaio del 2000 in cui cominciarono leoperazioni contro la “canaglia” Saddam Hussein reodi aver invaso il Kuwait. In realtà, la guerra in quelquadrante è un dato permanente a cominciare dallascientifica spartizione dei territori del moribondoImpero Ottomano da parte delle potenze coloniali, edin particolare dal sorgere del conflitto israelo­palestinese. Da 25 anni, per i media embedded (laquasi totalità), i cattivi diventano Saddam, Hamas,Bin Laden. Al Quaeda, i talebani, l’ISIS, Assad…Ilconflitto diventa un conflitto etnico religioso tra

sunniti e sciiti o uno scontro tra islam eoccidente, o ancora questione di tribù o etniecontrapposte. La retorica del conflitto di civiltàviene invocata per una crociata a difesa deivalori occidentali, le disgrazie dei subalternidell’area vengono spiegate come uno scontrointerreligioso, diventando tutt’al più “vittimeumanitarie” delle guerre per procura che sicombattono nell’area. Non c’è nulla di piùfuorviante, eppure è questa la retoricapredominante in grado di installarsi come unveleno pericolosissimo nell’opinione pubblica.

Eppure, basterebbe interpretare il risultato dellaconferenza stampa con la quale il ministerodella difesa russo ha accusato Erdogan di essered’accordo con l’ISIS per vedere subito unarealtà diversa. Il governo di Putin ha fornitoprove schiaccianti dei traffici di petrolio, armi evaluta tra il governo turco e l’ISIS, ha illustratole rotte dei trasporti, ha fornito le immaginisatellitari. La conferenza stampa di ieri ha fatto

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impallidire per chiarezza tutte le precedentipresentazioni di prove schiaccianti fornitedall’Occidente a sostegno delle proprie guerre. Sequalcuno si ricorda le pistole fumanti di Saddamfornite dall’allora segretario di Stato USA ColinPowell o da Tony Blair non può che notare ladifferenza. A distanza di anni, sarà lo stesso TonyBlair ha dichiarare di aver mentito fornendo provefalse per giustificare l’aggressione. Sostanzialmente,il governo russo accusa il governo turco di esserealleato di fatto dell’ISIS: la brutalità dell’accusa èaccompagnata da prove che non possono esserenegate. Eppure, Putin sembra scoprire l’acqua calda:questa cosa è nota a tutti e in particolare modo a chi(come il presidente USA) continua a negarel’evidenza sdegnato. Allora, la guerra in Siria e Iraqdiventa una questione legata al commercio delpetrolio? Allora la questione dello scontro tra sunnitie sciiti diventa una questione di secondo piano?Allora, più che imporre il velo agli occidentali, l’ISISvuole controllare il traffico di petrolio e di gasnaturale per conto della Turchia e dellepetromonarchie del Golfo? Allora si capisce il motivodell’alleanza politica ferrea tra NATO, UnioneEuropea, Turchia, Arabia Saudita e Qatar?

L’uso strumentale del Corano e della religione,impugnati da un lato (in maniera del tutto erronea efuorviante) come legittimatori del conflitto, dall’altrocome veri e propri accumulatori di capitalesimbolico, fa comodo a molti. E’ utile per i tagliagoledell’ISIS come per chi li combatte. Serve perrinsaldare le proprie truppe, dividere i lavoratori inogni paese e schierarli in una guerra che è totalmentecontraria agli interessi delle classi popolari.Parafrasando Brecht si potrebbe dire che dopo questeguerre faranno la fame egualmente sunniti e sciiti,cristiani, fedeli all’Islam o atei. Continueranno a fareprofitti le multinazionali del petrolio, gli imperialismiamericano ed europeo.

La strage del Bataclan a Parigi fornisce unostrumento in più, come già l’attacco alle torrigemelle, a Charlie Hebdo, le bombe nellemetropolitane. Se, da un lato, Al Quaeda o ISIS,hanno interesse a spostare il conflitto nei paesi checontrollano le multinazionali e quindi l’esportazionedi manufatti (provenienti a loro volta dalla vera epropria rapina o land grabbing dei paesi ex­coloniali),dall’altro nei paesi occidentali questo serve comepretesto per mobilitare la nazione contro il nemico

che diventa quinta colonna interna, giustificarerepressioni, restrizioni al diritto di critica e diespressione e mettere in atto una “rassicurante”atmosfera di emergenza coadiuvata daidispositivi securitari.

Occorre però specificare ancora quella che puòessere vista come una banalità analitica. Si trattadi un conflitto specifico dell’area mediorientaleo di un conflitto potenzialmente globale? Lestragi in Europa, la guerra nel Donbass, la crisinel Mali sembrano indicare che ci si muovelungo la seconda direzione. Ma esiste qualcosain più legato alla crisi dell’egemonia Usa sulcontinente, l’emergere dei paesi Brics, la crisi disovrapproduzione a livello mondiale. Sembranole condizioni per una generalizzazione mondialedel conflitto, ma ciò dipende anche da questionisoggettive. Detto in altri termini: normalmentesi attacca, si bombarda, si compiono attentati estragi e poi si fanno trattative per evitaregeneralizzazioni del conflitto. A volte ciò non èpiù possibile. Gli imperialismi sembrano divisi,ad oggi appaiono incerti e in preda a interessidivergenti. L’Italia sembra smarcarsi e assumereun atteggiamento cauto. Ciò dipende dallanecessità di tenere aperti diversi canali diinteresse: Renzi corre a congratularsi conErdogan che vince le elezioni in Turchia con laforza a costo di stragi continue, il ministroPinotti ricorda che l’Italia non entrerà nelconflitto per il momento. Contemporaneamenteil governo ricorda che la vendita di armiall’Arabia Saudita (e di fatto in transito versol’ISIS) è legale; e ha perfettamente ragione,perché le leggi vengono costruite secondointeressi precisi di alcune classi.

Non ci sarà nessuna strategia comune tra Usa,Europa e Russia. I primi useranno la forza perabbattere il loro nemico Assad, i secondi perdifenderlo. Continueranno quindi a svolgereinterventi divergenti perché hanno interessidivergenti.

Nel frattempo viene dispiegata la guerra internapropedeutica alla guerra esterna. La repressionedei manifestanti a Parigi, le pressioni suisindacati in Belgio ne sono la prova.Contemporaneamente salta il già orribile

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compromesso di Schengen per bloccare ulteriormentel’accesso alle frontiere per i profughi ed i rifugiati. Ipatti di stabilità degli Stati e i trattati sull’austerityeuropea non valgono più nulla se si tratta di spesemilitari. I lavoratori europei devono tirare la cinghia esubire continue manovre contro le loro tutele perché cisono i trattati da rispettare che però, per fare le guerre,vengono aboliti senza neppure discutere.

In questa situazione parlare di pace sembrarivoluzionario. Ma, in queste condizioni di ingiustizia eineguaglianza la guerra ha cause molto più serie cheattengono al modello di sviluppo capitalista.L’imperialismo dispone le sue truppe, divideartificialmente il campo tra buoni e cattivi in base alleproprie esigenze di dominio. La pace senza giustiziasociale non ha nessuna base reale di appoggio.

Creare un movimento contro la guerra significa lottarecontro il nemico più vicino che abbiamo. Esiste unarelazione strettissima tra i macelli che vengonocompiuti in Iraq, in Siria, in Kurdistan, nello Yemen eil massacro dei diritti che viene portato nei nostriterritori. Dichiararsi contro la guerra seriamentesignifica rendersene conto, solidarizzare con leresistenze in atto e mettere in difficoltà il nostroimperialismo con le lotte sociali e la creazione di unadiversa prospettiva politica.

Lottare per la pace significa organizzarci per fare la“guerra alla guerra”.

O giornalista inviato specialequali notizie porti al giornale?

Sono stato in America, in Cina,in Scozia, Svezia ed Argentina,tra i Sovieti e tra i polacchi,Francesi, Tedeschi, Sloveni eSlovacchi,ho parlato con gli Eschimesi,con gli Ottentotti, coi Siamesi,vengo dal Cile, dall’India e dalCongo,dalla tribù dei Bongo­Bongoe sai che porto? Una solanotizia!Sarò licenziato per pigrizia.Però il fatto è sensazionale,merita un titolo cubitale:tutti i popoli della terrahan dichiarato guerra allaguerra.

Il giornalista: Filastrocca trattada "Filastrocche in cielo e interra" di Gianni Rodari ed.Einaudi.

Sul muro c'era scritto col gesso viva la guerra.Chi l'ha scritto è già caduto.chi sta in alto dice: si va verso la gloria.Chi sta in basso dice: si va verso la fossa.La guerra che verrà non è la prima. Primaci sono state altre guerre.Alla fine dell' ultima c'erano vincitori e vinti.Fra i vinti la povera gente faceva la fame.Fra i vincitorifaceva la fame la povera gente egualmente.Al momento di marciare molti non sanno che allaloro testa marcia il nemico. La voce che li comandaè la voce del loro nemico.E chi parla del nemico è lui stesso il nemico.Sul muro. Bertold Brecht