DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE - Caritas · Perfino facendo un salto all’età della pietra...

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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Numero 16 – Giugno 2016 Haiti Rimpatri forzati Rifugiati costretti a partire, costretti a tornare

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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 16 – Giugno 2016

Haiti

Rimpatri forzatiRifugiati costretti a partire, costretti a tornare

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INDICE

Introduzione 3

1. Il problema a livello internazionale 5

2. Il problema a livello regionale 7

3. Le cause 9

4. I dati Caritas 11

5. Interviste e storie 14

6. La questione 17

7. Le esperienze e le proposte 20

Note 22

A cura di: Francesco Soddu | Marta Da Costa Afonso | Paolo Beccegato

Hanno collaborato: Maurizio Verdi | Federica De Lauso | Daniele Febei | Danilo Angelelli

Testi: Marta Da Costa Afonso

Foto: Marta Da Costa Afonso (tranne foto pagina 5: Archivio Migrantes)

Grafica e impaginazione: Danilo Angelelli

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 16 | Maggio 2016

HAITI | RIMPATRI FORZATIRifugiati costretti a partire, costretti a tornare

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La casa costituisce uno dei soggetti più disegnati daibambini; spesso è circondata dai componenti della fa-miglia perché rappresentano i primi riferimenti visibili,le sicurezze che ogni persona ha o dovrebbe avere.Perfino facendo un salto all’età della pietra troviamoincisioni rupestri raffiguranti caverne, le case di oggi.Nella Bibbia si legge come «indispensabili alla vitasono l’acqua, il pane, il vestito e una casa che serva dariparo» 1 e anche il Profeta Michea 2 parla della casa pa-terna come di un’eredità che nessuno ci dovrebbe to-gliere. Difficilmente si dimentica la propria casa per-ché è espressione del luogo d’inizio dal quale si dira-mano le relazioni e il percorso di vita personale.

In particolare la casa simboleggia il rifugio, quelluogo di accoglienza nel quale l’uomo si sente pro-tetto dal calore famigliare e proietta le proprie emo-zioni legate al nucleo originario amato o in alcuni casisofferto. Costruire una casa non significa soltanto edi-ficarne le mura, ma fondare un focolare. Un tetto cheprotegge la propria vita privata.

Ci sono tante espressioni che vengono utilizzatenel gergo comune e che richiamano al senso pro-fondo dell’abitazione. Tra di esse: “Fare come a casapropria”, “Stare in casa”, “Sentirsi a casa”, “Uscire di casa”,“Rientrare a casa”.

C’è qualcuno che passa una vitaintera nella propria abitazione na-tiva, ma è importante ricordare chela maggior parte delle persone adun certo punto esce di casa per an-dare in una nuova. A volte succedeper decisioni volontarie e piacevoli,come crearsi una nuova famiglia; avolte purtroppo forzatamente perscappare da situazioni terribili comeconflitti, insicurezza, violazione di diritti, povertà e de-grado ambientale. Lo spostamento ha da sempre con-traddistinto la storia dell’uomo. Fin dai tempi primitiviha manifestato una certa propensione a spostarsi perscoprire nuovi territori, mutamenti generalmente det-tati da bisogni specifici.

Così Papa Francesco: «Nella nostra epoca, i flussi mi-gratori sono in continuo aumento in ogni area del pia-neta: profughi e persone in fuga dalle loro patrieinterpellano i singoli e le collettività, sfidando il tradizio-nale modo di vivere e, talvolta, sconvolgendo l’orizzonteculturale e sociale con cui vengono a confronto. Semprepiù spesso le vittime della violenza e della povertà, ab-bandonando le loro terre d’origine, subiscono l’oltrag-gio dei trafficanti di persone umane nel viaggio verso ilsogno di un futuro migliore. Se, poi, sopravvivono agli

abusi e alle avversità, devono fare i conti con realtà dovesi annidano sospetti e paure. Non di rado, infine, incon-trano la carenza di normative chiare e praticabili, che re-golino l’accoglienza e prevedano itinerari di integra-zione a breve e a lungo termine, con attenzione ai dirittie ai doveri di tutti. Più che in tempi passati, oggi il Van-gelo della misericordia scuote le coscienze, impedisceche ci si abitui alla sofferenza dell’altro e indica vie di ri-sposta che si radicano nelle virtù teologali della fede,della speranza e della carità, declinandosi nelle operedi misericordia spirituale e corporale» 3.

I flussi migratori sono imponenti e travolgenti,tanto che la maggior parte degli Stati verso cui si diri-gono i migranti faticano a predisporre programmi diaccoglienza efficaci, così che la clandestinità trova vialibera.

L’arrivo dello straniero suscita molte reazioni di in-quietudine e rifiuto tra le popolazioni accoglienti. Un ri-fiuto che provoca dolore e che come dice PapaFrancesco4, è stato provato anche dalla Santa Famigliadi Nazaret all’inizio del suo cammino, infatti Maria «diedealla luce il suo primogenito, lo avvolse in fasce e lo posein una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nel-l’alloggio»5. Gesù, Maria e Giuseppe hanno inoltre spe-rimentato che cosa significa lasciare la propria terra edessere migranti perché minacciati dalla sete di potere diErode che voleva uccidere il neonato. Anch’essi furonocostretti a fuggire: «Giuseppe, destatosi, prese con sé ilbambino e sua madre nella notte e fuggì in Egitto»6.

La sensazione di rifiuto che vivono i migranti neitempi moderni è forte e accentuata da una delle pa-role più pronunciate al momento: RIMPATRIO (nell’at-

3HAITI | RIMPATRI FORZATI

I rimpatriati sono coloro che con coraggio sono partiticon una valigia piena di aspettative per una vita miglioree dignitosa e ritornano in patria con una valigia vuotadi speranze, l’amarezza di non avercela fatta, di non avertrovato la solidarietà sperata e ritrovarsi di nuovo con lemani vuote, anche più di prima

Introduzione

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4 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

tuale glossario internazionale, anche a livello giuridicoil termine utilizzato è “ritorno”).

È fondamentale guardare i migranti non solo inbase alla condizione di regolarità o irregolarità con cuiarrivano ma prima di tutto occorre vederli come per-sone, senza dimenticare che la maggior parte di loroprovengono da situazioni orribili. Uomini, donne ebambini costretti a lasciare le proprie radici, gli affetti,la propria casa, ad abbandonare le poche certezze perl’incertezza più assoluta, con l’unico obiettivo di rag-giungere il Paese vicino, per salvarsi la vita e ”rico-struirsi una nuova casa”. Capita però sempre piùspesso di non sentirsi accolti dal Paese raggiunto, disentirsi rifiutati e rimpatriati nuovamente nel Paesed’origine.

Tornano in patria, quel Paese natale che in altre si-tuazioni amerebbero e nel quale vivrebbero una vitaintera vicino ai propri cari, dal quale si sono allontanatiper cause complesse, spesso indipendenti dalla lorovolontà, e nel quale vengono rimpatriati, ritrovandosispesso con meno di quello con cui erano partiti per-ché hanno investito tutto, soldi e speranze, nel grandeviaggio. Un ritorno a casa a testa bassa, una sconfittanella sconfitta, un fallimento delle poche speranze cheerano rimaste e il sogno umano infranto.

I rimpatriati sono coloro che con coraggio sonopartiti con una valigia piena di aspettative per unavita migliore e dignitosa e ritornano in patria con unavaligia vuota di speranze, l’amarezza di non avercelafatta, di non aver trovato la solidarietà sperata e ri-trovarsi di nuovo con le mani vuote, anche più diprima.

Rimpatrio. Una parola che pesa e viene sempre piùpronunciata con leggerezza, spesso senza pensare alleconseguenze che tale azione provoca in coloro che losubiscono inermi. Per addolcirne il significato si senteparlare soprattutto di rimpatrio volontario, ma puòdavvero una persona, dopo aver attraversato il mare,il deserto, violenze di ogni genere e rischiato la vitaper scappare dal proprio Paese, pensare di rientrarevolontariamente in patria?

Per una persona che decide di sua spontanea vo-lontà il proprio rientro, si parla di ʺtornare a casaʺ, conla voglia e la gioia di ritrovare quegli spazi e incontrarequei visi che hanno caratterizzato l’inizio della propriavita e che si ricordano con gli occhi da bambino.

La casa dovrebbe essere accogliente, così come lenazioni nei confronti di chi si trova in difficoltà. Il per-corso attuale invece sembra vertere verso una semprepiù forte chiusura e intransigenza, senza pensare che,come dice Zygmunt Bauman, «le porte possonoanche essere sbarrate, ma il problema non si risolverà,per quanto massicci possano essere i lucchetti. Luc-chetti e catenacci non possono certo domare o inde-bolire le forze che causano l’emigrazione; possonocontribuire a occultare i problemi alla vista e allamente, ma non a farli scomparire» 7.

Il tema del rimpatrio, a questo punto più forzatoche volontario, sta acquistando sempre più vigore inEuropa, tanto che il Consiglio europeo ha invitato laCommissione a istituire un apposito programma dirimpatrio per far fronte agli arrivi sempre più in cre-scita. Si stima che nel 2016 fino a un milione di rifugiatie migranti marceranno verso l’Europa 8.

La pratica del rimpatrio, in un certo senso nuovaper il Vecchio Continente, è già in atto in altri Stati. Inalcuni casi si tratta di Paesi piccoli dimenticati e abban-donati alle loro disgrazie, di cui si parla molto poco.

Un esempio lampante è quello degli haitiani chedalla Repubblica Dominicana vengono rimpatriati adHaiti. Alcuni ci vivono e lavorano da anni, altri ci sononati nella Repubblica Dominicana. Si tratta di domini-cani di origine haitiana che all’improvviso si vedononegata la cittadinanza della quale avevano godutofino a quel momento, che vengono rimpatriati adHaiti, il Paese che si trova sull’altra sponda dell’isola edi cui in alcuni casi non sentono le radici. Da un mo-mento all’altro si trovano senza documento domini-cano e non hanno mai avuto quello haitiano: APOLIDIche non sanno più a quale Paese appartengono.

Nella ricorrenza della Giornata mondiale del Rifu-giato, Caritas Italiana propone questo Dossier conl’idea di raccontare il ritorno in patria di chi è stato rim-patriato e lo ha vissuto sulla propria pelle con un’ana-lisi approfondita dell’insolito caso haitiano. Vuoleessere una breve indagine sui motivi che spingono lepersone a spostarsi, su quel che succede una volta cheraggiungono il Paese tanto desiderato e soprattuttosu cosa accade quando vengono rimpatriati. È un ten-tativo di dare rilievo a quelle storie comuni, di gentecomune, le cui difficoltà, sentimenti, preoccupazionie stati d’animo meritano attenzione e fanno riflettere.

Molti gli haitiani che dalla Repubblica Dominicana vengono rimpatriati ad Haiti. Sitratta di dominicani di origine haitiana che all’improvviso si vedono negata la cittadi-nanza della quale avevano goduto fino a quel momento, che vengono rimpatriati adHaiti, il Paese che si trova sull’altra sponda dell’isola e di cui in alcuni casi non sentonole radici. Da un momento all’altro si trovano senza documento dominicano e non hannomai avuto quello haitiano: APOLIDI che non sanno più a quale Paese appartengono

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I motivi che spingono le popolazioni a muoversi sonotanti. Il turbocapitalismo delle disuguaglianze crea lapiù grande fabbrica di migranti. Nel caso delle migra-zioni forzate la gente fugge da violenze, conflitti, scon-volgimenti politici, violazione di diritti o disastriambientali; mentre per gli spostamenti volontari gliindividui lo fanno per esigenze lavorative, di studio,decisioni personali, e in generale per il desiderio diuscire da situazioni precarie.

Le aree che ricevono il maggior numero di migranti,spesso confusamente, vedono in testa l’Europa con 1,1milione all’anno, seguita da Asia con 1 milione, Americadel Nord con 0,6 milioni e Africa, che ha registrato un in-cremento annuo di 0,5 milioni 1. Medici Senza Frontierein un rapporto pubblicato a gennaio 2016, Corsa adostacoli verso l’Europa, parla del «catastrofico fallimentodell’Unione europea nel rispondere ai bisogni umanitaridi rifugiati, richiedenti asilo e migranti nel 2015» 2.

In tutto ciò, informazione e comunicazione, semprepiù accessibili a tutti, giocano un ruolo rilevante. At-traverso internet, tv, telefoni e turismo si scopre comea poche ore di navigazione, auto o volo c’è una realtàincantata in cui con facilità e velocità si accede a qual-siasi cosa. È spesso il messaggio recepito che incentivale persone a spostarsi verso i Paesi più ricchi, a voltesenza considerare che per posse-dere tali beni bisogna avere stabilitàeconomica, lavorativa e documentiin regola, tutti elementi non facili daconseguire.

Secondo l’ultima pubblicazionedell’Alto Commissariato delle Nazio-ni Unite per i Rifugiati (ACNUR) –United Nations High Commissionerfor Refugees (UNHCR) 3, le persone che in tutto ilmondo si sono viste costrette a lasciare il proprio luogodi origine, quindi spostamenti forzati e non volontari,nel 2015 sono state 65,3 milioni. Un numero record. Sicalcola che per ogni minuto trascorso, 24 persone sonostate costrette a lasciare le proprie case, l’equivalentedi 34.000 persone al giorno. Come ha sottolineato ilcardinal Antonio Maria Vegliò «i flussi migratori non sifermano, sono come l’acqua. Si può fare un muro maprima o poi troveranno uno spazio per andare avanti»4.

Le estenuanti e pericolose traversate che i migrantiaffrontano, spesso finiscono in tragedia. L’Organizza-zione mondiale per le Migrazioni (OIM) stima che il nu-mero di vittime e dispersi certificati durante tali spo-stamenti di massa in tutto il mondo, per il 2015 siastato di 5.350 persone 5.

Coloro che raggiungono la meta sperata, arrivatinel Paese accogliente, vengono riconosciuti come ri-fugiati, profughi, richiedenti asilo o irregolari. Questonon sempre equivale a stabilirsi e iniziare una nuovavita; infatti parte dei rifugiati fanno ritorno al proprioPaese d’origine attraverso programmi di rimpatrio.

Analizzando le statistiche, si nota come a fronte diuna quantità sempre più elevata di migranti, si è assi-stito a un numero inferiore di rientri dei profughi.Negli ultimi venti anni più di 17,1 milioni di rifugiatisono tornati nei loro Paesi di origine. Tra di essi, 12,9milioni sono stati rimpatriati tra il 1996 e il 2005, men-tre negli ultimi dieci anni sono stati solo 4,2 milioni.In particolar modo nel 2015 sono state rimpatriate201.400 persone, un quantitativo aumentato signifi-cativamente rispetto al 2014, anno in cui erano state126.000 6.

I rimpatri non possono essere fatti a caso ed è benericordare quanto indicato nel manuale che l’UNHCRha redatto: «Lo scopo della tutela internazionale nonè che i rifugiati continuino ad essere rifugiati per sem-pre, ma garantire alla persona di ripristinare la propriaappartenenza alla comunità e ristabilire la sua prote-zione a livello nazionale, sia nella propria patria o at-traverso l’integrazione in altri luoghi. Il rimpatriovolontario è spesso visto come la migliore soluzionesul lungo periodo per i rifugiati stessi e la comunità in-ternazionale» 7.

Inoltre si sottolinea come il processo di rimpatriodebba essere fatto in condizioni di sicurezza e dignitàaffinché chi ritorna in patria non sia vittima di abusi, nonvenga separato dalla famiglia, sia trattato con rispettodalle autorità e le vengano restituiti i propri diritti.

1. Il problema a livellointernazionale

5HAITI | RIMPATRI FORZATI

Secondo l’UNHCR le persone che in tutto il mondo si ve-dono costrette a lasciare il proprio luogo di origine –quindi parliamo di spostamenti forzati e non volontari– sono in crescita costante, crescita che sembra destinataa proseguire, almeno nel breve termine

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Pensando a quanto letto, si nota come sulla que-stione dei rimpatri c’è confusione e una certa incon-gruenza tra il dire e il fare. Basta guardare i dati che nel2015 hanno segnalato il ritorno a casa dei rifugiati pro-venienti da 39 nazioni. Tra i Paesi che hanno registratoil maggior numero di rifugiati rimpatriati ci sono: Af-ghanistan (61.400), Sudan (39.500), Somalia (32.300),Repubblica Centrafricana (21.600), Costa d'Avorio(12.200). Questi cinque Paesi messi insieme, hanno ri-cevuto l’83% di rifugiati rimpatriati durante l’anno 8.

Si tratta di Stati poveri in cui ci sono conflitti moltoduri… Difficile immaginare un rimpatrio sereno e vo-lontario. La soluzione di questi conflitti si può superaresoltanto costruendo ponti e non confini chiusi.

6 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

1,2

1995 2000 2005 2010 2014

2,1

0,91,0

1,6

0,8

0,5

2,4

1,1

1,4

1,1

0,7 0,70,6

0,30,2

0,5 0,50,4

0,1

Rimpatri di rifugiati 1995-2014 (in milioni)

Fonte: UNHCR

Una donna haitiana, rimpatriata dalla Repubblica Dominicana,davanti a una capanna improvvisata

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I latinoamericani che lasciano il loro Paese d’originesono all’incirca 7 milioni e mezzo all’anno 1. Se nesente parlare poco perché le notizie rivolte al pubblicoeuropeo riguardano soprattutto le preoccupazioni re-lative a sbarchi e persone in marcia verso l’Europa,provenienti da Africa ed Asia.

Non bisogna dimenticare che esistono altre situa-zioni drammatiche, proprio nelle Americhe. Qui i fe-nomeni più grandi ed eclatanti attualmente sono:quelli ai confini tra Messico e Stati Uniti, Colombia eVenezuela, Haiti e Repubblica Dominicana.

Il Messico rappresenta un Paese di origine, transito,destinazione e ritorno. Ogni anno in territorio messi-cano entrano 150.000 migranti irregolari, che secondole organizzazioni della società civile ammontano a400.000 2. Si calcola che il flusso trasmigrante che ar-riva in Messico provenga per il 90-94%, dal CentroAmerica, specialmente dal Guatemala, El Salvador eHonduras e che circa il 20% di queste persone sianodonne. La maggioranza entra irregolarmente predili-gendo la zona di frontiera di Soconusco in Chiapas,per poi proseguire verso gli Stati Uniti 3.

I rischi nei quali incorrono variano a seconda delmezzo scelto per spostarsi. Per coloro che scelgonotraghetti e piccole imbarcazioni che costeggianol’Oceano Pacifico i pericoli sono ilnaufragio, l’annegamento e l’insola-zione. Chi opta per viaggiare in ca-mion o in piccoli furgoni corre ilpericolo di asfissia, incidenti per ca-povolgimenti e detenzione alla fron-tiera.

Da quando sono aumentati i con-trolli frontalieri è più difficile accedere al trasporto tra-mite i treni merci, sui quali la vita è seriamente messaa repentaglio; si è esposti ad amputazioni per cadutedai vagoni, mancanza di sicurezza sui treni, stan-chezza e imboscate da parte di delinquenti. Qualcunoutilizza anche taxi e autobus; l’alternativa a questimezzi è camminare centinaia di chilometri fra le col-line.

Individui già vittime di povertà e soprusi nelle loronazioni d’origine, che negli Stati in cui transitano sonoancora più vulnerabili e indifesi poiché sprovvisti didocumenti regolari. Oltre al fatto che non si riconosceloro nessun diritto, è come se non esistessero: fanta-smi in viaggio; specialmente in Messico, Paese già de-turpato da una crescente aggressività data dall’im-perversare della criminalità organizzata e dagli abusidi potere, le vittime sono i più inermi. I migranti irre-

golari costituiscono la terza fonte di guadagno, dopotraffico di droga e di armi 4.

Gli Stati Uniti non sono da meno. A partire dal 2009il numero di gente che era presente sul territorio ame-ricano ed è stata deportata è aumentato: si parla di de-portazioni di massa di 200, 400, 600 persone al mese 5.Un dato che si prevede aumenterà notevolmente que-st’anno, in seguito alla dichiarazione fatta dal Diparti-mento per la Sicurezza Nazionale USA (DHS). IlDipartimento ha infatti annunciato il primo tentativosu ampia scala di un’incisiva operazione di polizia voltaa deportare tutti i migranti illegali che dal primo mag-gio 2014 sono entrati irregolarmente negli Stati Uniti.La decisione include tutti: adulti, anziani, adolescentie bambini non accompagnati. L’azione è conforme conquanto dichiarato dalla segretaria di stampa dell’ICEGillian Christensen 6: «La nostra frontiera non è aperta

all’immigrazione illegale e se le persone vengono quiillegalmente, non possono chiedere asilo e nessun’al-tra richiesta di necessità imminente e avranno ordinifinali di espulsione, saranno inviate indietro» 7.

Le principali zone in cui di solito avvengono le de-portazioni sono nella regione Nord-Ovest (Baja Cali-fornia, Sonora e Chihuahua) e nella zona Nord-Est(Coahuila e Tamaulipas).

Tanto in Messico quanto negli Stati Uniti, i depor-tati e le rispettive famiglie sono vittime di ingiustizie,violenze, sequestri di persona ed estorsione. NegliStati Uniti, la criminalità organizzata e i criminali co-muni hanno scoperto in queste persone una fonte diguadagno, grazie anche all’assenza di autorità chesvolgano azioni forti di contrasto a questi reati.

Nella gran parte delle città frontaliere, i primi tra-sgressori dei diritti umani sono le polizie municipali,

2. Il problema a livelloregionale

I latinoamericani che lasciano il loro Paese d’origine sonoall’incirca 7 milioni e mezzo all’anno . Nelle Americhe i fe-nomeni più grandi ed eclatanti attualmente sono: quelliai confini tra Messico e Stati Uniti, Colombia e Venezuela,Haiti e Repubblica Dominicana

7HAITI | RIMPATRI FORZATI

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incaricate di “chiedere i documenti”. La forza pubblicaè consapevole che i deportati non possiedono alcundocumento ufficiale di identificazione e gli agenti ap-profittano estorcendo loro denaro, facendo pagare“multe” o arrestandoli per 24, 48 e 72 ore secondo de-cisioni arbitrarie delle singole autorità.

In tanti casi, le deportazioni generano altresì van-taggi economici ai datori di lavoro statunitensi chesfruttano la manodopera a basso costo. Inoltre anchei centri detentivi amministrati da imprese private be-neficiano di tale processo perché ricevono dal go-verno nordamericano una determinata somma didenaro per ogni migrante, per il periodo che va dalmomento della detenzione fino alla deportazione 8.

Un’altra situazione molto delicata si sta vivendo alconfine tra Colombia e Venezuela. Paesi che si trovanoad affrontare situazioni complesse tanto al loro in-terno quanto tra di loro.

Il presidente colombiano Juan Manuel Santoscerca di garantire sicurezza e tranquillità in uno Statoin cui agiscono e sono sempre più forti le bande dinarcotrafficanti, paramilitari e gruppi di guerriglia.

Il presidente venezuelano Nicolas Maduro si è im-battuto in un gravissimo fiasco economico che nem-meno con il guadagno dalla vendita del petrolio, il cuiprezzo è caduto in picchiata, riesce ad arginare. Oltread un’inflazione altissima sono i generi alimentari diprima necessità che scarseggiano: riso, latte, zucchero,farina.

La crisi tra i due Paesi, che hanno reciprocamenteritirato i propri ambasciatori, è scoppiata in seguitoalla decisione dello scorso agosto (tuttora vigente) daparte del Venezuela di chiudere le frontiere di San An-tonio Táchira e Cúcuta, di militarizzare la regione e so-prattutto di espellere i cittadini colombiani illegal-mente presenti nel Paese. Caracas ha giustificato lapropria decisione come un intervento contro i narcoscolombiani, i traffici di droga e di merci lungo la fron-tiera.

Tale scelta ha provocato almeno 3.000 9 deporta-zioni di persone presenti nel Paese. Oltre a queste par-tenze, se ne sono calcolate più di 15.000 10 “volontarie”di cittadini colombiani, che pur avendo alcuni di essi i

documenti in regola, hanno lasciato velocemente ilPaese. La loro scelta è stata dettata dal timore e dallapaura di essere espulsi senza i propri familiari e di su-bire l’umiliazione della deportazione e la violazionedei diritti umani. Proprio come è successo a coloro chea forza sono stati obbligati ad abbandonare il Vene-zuela e sulle cui case è stata marcata la lettera “D” perricordare a chi di competenza di distruggerle e abbat-terle con le ruspe.

Soprattutto all’inizio della vicenda centinaia di co-lombiani hanno attraversato il torrente che fa da con-fine tra i due Paesi, con l’acqua alta e con in spallamaterassi, mobili ed elettrodomestici. Un tentativoestremo di mettere in salvo almeno una piccola partedei propri beni, per l’angoscia delle irruzioni delleforze dell’ordine venezuelane nelle proprie case.

Il governo colombiano ha creato centri di assi-stenza per accogliere i rimpatriati e coloro che scap-pano, ma un grosso problema riguarda le famiglie chesono state divise e che il governo sta cercando di ri-congiungere. Molti figli di colombiani sono nati in Ve-nezuela e la legge prevede che i minorenni nonpossano uscire dal Paese se non c’è un’autorizzazioneda parte dello Stato. Di conseguenza, pur avendo unamadre e un padre, molti minori sono stati forzata-mente separati dai propri genitori e nel frattempomandati in istituti 11.

Mentre in Europa e a livello internazionale si parlain maniera più delicata e sottile di rimpatrio volonta-rio, il termine maggiormente utilizzato nelle Americheè deportazione. Un vocabolo che compare spesso inarticoli e studi specifici ed esprime la forza con cuiquesta gente viene obbligatoriamente e brutalmenterispedita al mittente.

La quotidianità che si vive nelle zone di confine èdura, ma guardando ad una prospettiva futura risultainteressante la visione di Zygmunt Bauman, chescrive: «Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mat-toni o simboliche, sono a volte dei campi di battaglia,ma sono anche dei workshop creativi dell’arte del vi-vere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e ger-mogliano (consapevolmente o meno) i semi di formefuture di umanità».

8 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Zygmunt Bauman scrive: «Le frontiere, materiali o mentali, di calce e mattoni o simbo-liche, sono a volte dei campi di battaglia, ma sono anche dei workshop creativi dell’artedel vivere insieme, dei terreni in cui vengono gettati e germogliano (consapevolmenteo meno) i semi di forme future di umanità».

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È risaputo che nel mondo le popolazioni tendono aspostarsi sul territorio. «Siamo di fronte ad un cambia-mento di paradigma, ad un incontrollato piano incli-nato in un’epoca in cui la scala delle migrazioniforzate, così come le necessarie risposte, fanno chia-ramente sembrare insignificante qualsiasi cosa vistaprima» ha dichiarato l’Alto Commissario delle NazioniUnite per i Rifugiati 1.

Il rapporto Global trends 2014 dell’UNHCR mostrache in tutte le regioni gli sfollati interni sono in au-mento e che le leggi dei Paesi sono diventate più se-vere. Il rimpatrio sembra la soluzione immediata,almeno a livello visivo, per arginare il flusso di migrantiche ogni giorno bussano alle porte di molti Paesi delmondo, chiedendo protezione e aiuto.

Non è facile rispondere alle esigenze umanitarie dirifugiati, migranti e richiedenti asilo specialmente inEuropa, dove negli ultimi periodi la situazione sta as-sumendo proporzioni sempre più incontrollabili e ledecisioni prese fino ad ora sembrano dare pochi risul-tati. Il vescovo di Pointe-Noire, Miguel Angel OlaverriArroniz, ha sottolineato che sono «la sete di potere, legelosie e l’egoismo» ad indurre migliaia di donne, uo-mini e bambini sulle vie di avventure senza fine 2.

Sono forti anche le parole di Brice de le Vingne, di-rettore delle operazioni di Medici Senza Frontiere, cheha dichiarato: «Non solo l’Unioneeuropea e i governi hanno fallitocollettivamente nell’affrontare lacrisi, ma con le loro barriere e la ri-sposta caotica ai bisogni umanitaridelle persone in fuga hanno di fattopeggiorato le condizioni di migliaiadi uomini, donne e bambini già vul-nerabili» 3.

Migranti con volti rassegnati, infila sulle piste degli aeroporti chesalgono la scaletta dell’aereo, o ac-costati agli autobus per entrare aprendere posto. Persone provate psicologicamente efisicamente, rimandate a casa sotto la tutela di enti lo-cali e organizzazioni.

Come si è arrivati a situazioni tanto ingestibili?Quali sono le cause che hanno portato a vedere nelrimpatrio una buona pratica per risolvere, in parte, laquestione dei migranti?

Le cause sono date dagli effetti che tali sposta-menti di massa provocano. In poco tempo la situa-zione è degenerata e diventata incontenibile, en-trando così a far parte del sistema globale. Dove c’è ilmigrante, c’è tutta un’economia che si mette in moto.

Trovare una soluzione efficace e giusta per tutti non èsemplice e forse non costituisce la priorità dal mo-mento che anche i Paesi ospitanti sono alle prese conuna grave crisi economica interna.

Ecco quindi la risposta più semplice e immediata:il rimpatrio, che è il contrario di solidarietà, acco-glienza, ricerca della verità e risposte nuove alla crisimigratoria.

Uno degli aspetti principali di questa catena èsenza dubbio dato dalla criminalità organizzata che sipreoccupa, su pagamento di ingenti somme di de-naro, di programmare i viaggi dei migranti fino alla de-stinazione. In alcuni casi «questa mafia sequestra,aggredisce e recluta gruppi di migranti per la trattacon l’obiettivo di farli lavorare in schiavitù e nel peg-giore dei casi per estirpare loro organi da vendere sulmercato nero» 4. Tra le attività predilette, oltre allo

sfruttamento economico vi sono lo sfruttamento ses-suale, estorsioni, ricatti, reclutamenti forzati di adulti,giovani, bambini, sequestri, stupri, minacce e violenza.

I meccanismi criminali si assomigliano in tutto ilmondo; quel che accade in Europa, Africa e Asia èmolto simile a quanto succede in America Centrale,dove imperversa la criminalità organizzata migratoriache genera spostamenti forzati sia all’interno che al-l’esterno dei Paesi. Molta «attenzione è riservata allosfollamento forzato di vittime in condizione di peri-colo, la cui mancanza di protezione e la persecuzioneda parte della criminalità organizzata si manifestano

3. Le cause

Le cause dei rimpatri sono negli effetti che gli spostamentidi massa provocano. In poco tempo la situazione è dege-nerata e diventata incontenibile, entrando così a far partedel sistema globale. Dove c’è il migrante, c’è tutta un’eco-nomia che si mette in moto. Trovare una soluzione efficacee giusta per tutti non è semplice e forse non costituisce lapriorità dal momento che anche i Paesi ospitanti sono alleprese con una grave crisi economica interna

9HAITI | RIMPATRI FORZATI

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in diversi ambiti. Le persone si vedono costrette ad ab-bandonare le loro case, vanno alla ricerca di parenti indiverse aree del Paese, vengono spinte a trasferirsi inzone più lontane e spesso finiscono con il valicare lafrontiera internazionale. Molte persone che attraver-sano un confine internazionale lo fanno clandestina-mente, la stragrande maggioranza delle volte sonodeportati o espulsi da altri Paesi ospitanti. Data la vul-nerabilità e la mancanza di protezione, queste personepossono essere forzatamente reclutate e sfruttatedalla criminalità organizzata. La loro condizione di de-portati o espulsi li rende ancora più vulnerabili» 5.

Per fronteggiare il fenomeno della criminalità or-ganizzata è importante ampliarne la visione, vederlonon solo a livello locale o nazionale, ma comeun’azione a portata transnazionale le cui risposte de-vono essere date anche su altri piani: bilaterale, regio-nale e internazionale. Riducendo la visione dellaquestione il rischio è proprio quello di dimenticare leconseguenze umanitarie, le esigenze di protezione daparte delle vittime e in parte disconoscere e renderemeno visibile il problema dello sfollamento forzato.

Sembra infatti che i singoli Paesi, le organizzazioniinternazionali e gli organismi della società civile nonriescano a vedere il grande peso che ha la criminalitàorganizzata nello spostamento forzato, sia internoche esterno. Sui flussi migratori si tratta di un feno-meno emergente che richiede delle risposte tanto alivello umano quanto di sicurezza. Questa situazionedi confusione generale non fa altro che incentivarela criminalità organizzata a continuare imperterritail suo lavoro, la cui proporzione ha già assunto mi-sure enormi e per cui è difficile dare delle risposte ef-ficaci 6.

Al fine di evitare che questa catena continui inces-santemente senza mai fermarsi, è auspicabile, oltre apolitiche pubbliche efficienti in accordo con gli stru-menti internazionali, che i programmi di rimpatrio ereinserimento che si stanno attuando tengano contose le persone che si stanno rimpatriando sono fuggitedal loro Paese d’origine a causa delle violenze della cri-minalità organizzata. Questo è importante per cercaredi ridurre il rischio che queste stesse persone venganonuovamente identificate dalla criminalità organizzatae diventino vittime due volte del medesimo sistema 7.

Questi avvenimenti si uniscono alla nascita di ste-reotipi da parte delle popolazioni dei Paesi accoglientiin cui si fa sempre più forte «la paura che si producanosconvolgimenti nella sicurezza sociale, che si corra ilrischio di perdere identità e cultura, che si alimenti laconcorrenza sul mercato del lavoro o, addirittura, chesi introducano fattori di criminalità. I mezzi di comu-nicazione sociale, in questo campo, hanno un ruolo digrande responsabilità: tocca a loro, infatti, smasche-rare stereotipi e offrire corrette informazioni, dove ca-

piterà di denunciare l’errore di alcuni, ma anche di de-scrivere l’onestà, la rettitudine e la grandezza d’animodei più» 8.

Paura che incrementa a livello generale il pensieroche il rimpatrio rappresenti una buona soluzione perrisolvere il problema dei fiumi di migranti che ognigiorno si mettono in marcia. Se da un lato questa pra-tica apparentemente “risolve” in parte il problema neiPaesi riceventi, in realtà sembra avere ripercussionigravissime sui rimpatriati e peggiorarne ulteriormentele condizioni, oltre a fomentare frustrazione, rabbia,desolazione e sentimento di abbandono.

Si parla di vite umane e quando si visita un campodi rimpatriati, tra odori, catapecchie, volti duri e storiedi vita che fanno venire la pelle d’oca, è inevitabile re-stare in silenzio a guardare, chiedendosi: cosa sarà ditutta questa gente?

È un diritto dell’uomo migrare, ma le cause dellemigrazioni forzate vanno combattute, sradicate, affin-ché ogni persona che migra lo faccia per propriascelta. Come ha detto Papa Francesco, «molti non vo-gliono assumersi la responsabilità del destino di tantiemarginati e profughi» 9.

10 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Il confine tra Haiti e la Repubblica Dominicana è moltopermeabile. Si vede gente che va e viene come seniente fosse. Se ci si sofferma a parlare con gli abitantidei Paesi frontalieri, loro stessi dicono: «Guarda, quellapersona in sella all’asinello è haitiana, è venuta qui sta-mattina per vendere delle cose e ora torna in Domini-cana». Fa parte della quotidianità.

Durante un incontro, padre Luc Leandre, parrocodi Anse à Pitres, ha chiaramente spiegato: «Nelle zonedi frontiera tra i due Paesi, spesso la corruzione per-mette a uomini, donne e bambini di passare facil-mente oltreconfine. La maggior parte degli haitianivengono impiegati illegalmente e a basso costo persvolgere lavori domestici, di manovalanza e in alcunicasi di prostituzione. Un fenomeno ancora più com-plesso se si calcola che con la migrazione verso la Do-minicana si incrociano i tanti rimpatri ad Haiti. Quandoqueste persone vengono forzatamente e malamentefatte rientrare ad Haiti, si trovano senza niente, senzaquei bisogni primordiali come casa, acqua, cibo e as-sistenza sanitaria. Sognano una vita serena e felice maquando non si ha niente anche i sogni piano piano sispengono».

Caritas Italiana ha pensato di svolgere uno studiopresso alcune zone di frontiera haitiane: Ouanamin-the, Fond Parisien, Anse à Pitres, Capotille.

L’indagine è stata svolta dagli operatori di Caritas Ita-liana presenti sul territorio, in collaborazione con CaritasHaiti, SJM (Service Jésuite aux Migrants) e la Commis-sione Episcopale delle Migrazioni haitiana. Le tre istitu-zioni svolgono un lavoro intenso di sostegno, vicinanza,sensibilizzazione e accompagnamento a coloro chesono stati fatti rientrare nel Paese di origine.

La ricerca è stata fatta per fotografare e ascoltare iproblemi dei rimpatriati forzati haitiani, per meglio ca-pire cosa li ha spinti a partire, cosa succederà adessoe come si sentono.

È stata raccolta l’opinione di 171 rimpatriati (101maschi e 70 femmine), tutti adulti, di cui 68 ospitipresso centri di accoglienza, 93 installati in insedia-menti spontanei e 10 ospiti in abitazioni di amici o fa-miliari.

Il campione considerato è risultato prevalente-mente giovane: la maggior parte degli intervistati hatra 18 e 45 anni. Così il dettaglio:• 18-30 anni: 76 persone • 31-45 anni: 68 persone• 46-60 anni: 22 persone • Più di 60 anni: 5 persone

Solamente 6 degli intervistati hanno dichiarato diessere nati in Repubblica Dominicana, i restanti 165sono originari di Haiti e la maggioranza di loro, il30,9%, provengono dal Dipartimento del Sud-Est. È

bene aprire una piccola parentesi per precisare chenel campione non rientrano i minori e che nel capitolorelativo alle testimonianze, gli intervistati parlano deiloro figli nati in territorio dominicano, attualmentesenza nessun documento di riconoscimento: i cosid-detti “apolidi “.

La più parte dei rimpatriati incontrati, il 40,4%, hadichiarato che viveva in Dominicana per un periodocompreso tra 6 e 10 anni, vale a dire da prima e pocodopo il terremoto che mise in ginocchio Haiti il 12gennaio 2010. Evento tragico che inevitabilmente haincrementato il processo di fuga dal Paese.

Considerando il lungo periodo di permanenzadegli haitiani in Repubblica Dominicana, sorprende ilfatto che solo il 38,6% conosce lo spagnolo, il 100%parla creolo e nessuno il francese. Questo significa chela maggior parte non si sono integrati nella società do-minicana e che in questi anni hanno vissuto, comeloro stessi ci hanno detto, in quartieri e zone in cui vierano solo haitiani.

Inoltre è bene ricordare che per quanto riguardaHaiti «la lingua che si parla e come la si parla è uno deiprimi segnali di riconoscimento della situazione so-ciale delle persone. Ufficialmente vi sono due linguericonosciute: il francese e il creolo. Il francese, memoredel percorso storico, è di fatto parlato in modo fluenteda pochi» 1.

Questo ci fa riflettere perché significa che coloroche hanno migrato, già ad Haiti si trovavano in situa-zioni estremamente vulnerabili e precarie, non eranoparte del ceto abbiente e prima di partire erano aimargini della società.

4. I dati Caritas

Da quanto tempo vivevi in Repubblica Dominicana?

Anni Numero persone % sul totaleintervistati

0-5 anni 39 22,8%

6-10 anni 69 40,4%

11-15 anni 32 18,7%

Più di 15 anni 31 18,1%

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Un’ulteriore conferma di ciò è data dal fatto che,per l’83% degli intervistati, il principale motivo che liha spinti a recarsi nella vicina Repubblica Dominicanaè stato quello economico. Probabilmente se le condi-zioni in cui vivevano ad Haiti fossero state diverse nonsi sarebbero visti costretti a migrare nel Paese vicinoalla ricerca di una vita migliore. Ogni persona ha di-ritto di restare liberamente nel proprio Paese vivendoin dignità e sicurezza.

La maggioranza assoluta del campione, l’89,5%, èentrato in territorio dominicano senza permessi o visti,varcando il confine per le più note vie illegali.

Nella ricerca, la fragilità e invisibilità di queste per-sone risulta estremamente lampante perché il 69,6%ha detto di essere senza documenti. Solo il 30,4% pos-siede un documento di riconoscimento, nella maggiorparte dei casi rilasciato dalla Repubblica Haitiana. Al-cuni hanno raccontato di non essere mai stati regi-strati alla nascita, altri di aver perso tutti i documentinel terremoto e di non essere più riusciti a rifarli.

L’illegalità porta all’illegalità. Dato rafforzato dalfatto che l’81,3% dei rimpatriati alla domanda “Aveviun contratto di lavoro regolare in Repubblica Domini-cana?”, ha risposto no. Solo un piccola minoranza, il18,7%, in questi anni ha lavorato con un contratto re-golare e con i benefici che esso comporta.

Secondo i dati raccolti, il 48,5% ha lavorato in terri-torio dominicano principalmente nel settore agricolo,il 23,5% è stato impiegato in lavori domestici, il 2,9%presso degli hotel mentre il 25,1% ha indicato la voce“Altro”, nella quasi totalità dei casi con la specifica dellecostruzioni.

Per il 74,9% degli intervistati il rimpatrio è stato fattoin maniera forzata e per questo motivo praticamentetutti i loro beni sono rimasti in Repubblica Dominicana.Non sanno se riusciranno a riaverli e se potranno tornaredall’altra parte. Ciò che hanno guadagnato in anni diduro lavoro sembra essere andato perso.

Una volta rimpatriati, il 52,6% in qualche modo èriuscito a ricevere aiuto da parte di alcuni familiari oamici, per il restante 47,4% invece non è stato così.Fortunatamente ci sono organismi della Chiesa, asso-ciazioni e organizzazioni governative e non che stan-no cercando di fare il possibile per aiutarli.

Inevitabilmente i flussi migratori tendono a crearesconvolgimenti familiari. Alcune volte i membri si di-vidono, tanto nel migrare quanto nel ritornare; in altricasi vengono ricongiunti a parenti che non vedevanoo sentivano da anni: questo vale specialmente per irimpatri.

Queste tendenze sono confermate dalle rispostericevute alla domanda posta loro:

Una minoranza di coloro che sono stati rimpatriatisi è potuto ricongiungere con tutti i componenti dellafamiglia. Per la maggioranza, invece, il ritorno è avve-nuto solamente con alcuni componenti della famiglia,per altri è avvenuto in solitudine con il resto dei pa-renti rimasti oltre confine. In altri casi il rimpatrio dasoli è stato per il fatto di non avere familiari in Domi-nicana, e questo significa che nel periodo di perma-nenza in tale Stato il resto della famiglia era ad Haiti,quindi vivevano separati.

Le reazioni rispetto al rimpatrio sono diverse. Il59,1% degli intervistati raccontano che per le umilia-zioni subite e la paura non pensano di tornare in Do-minicana. Il restante 40,9% invece proverà a tornare inRepubblica Dominicana per vari motivi. qualcuno perraggiungere i parenti, altri perché nonostante le inti-midazioni e le angosce sentono di avere più opportu-nità per migliorare la propria vita.

Nell’indagine si è cercato di capire come si sentanoqueste persone ora che sono ad Haiti. Il 61,4% hadetto di essere arrabbiato, umiliato o senza futuro. Ilrestante 38,6% ha scelto l’opzione “Altro” specificandoche ora si sentono bene perché sono nel loro Paese.

I dati raccolti scattano la fotografia di una linea diconfine complessa in cui regna la confusione. Unafetta di umanità più fragile dei fragili. Situazioni e luo-ghi in cui non vi è protezione e diritti, in cui regna l’il-legalità. Queste persone, per molti aspetti invisibili,sembrano vivere in un vicolo chiuso, senza via discampo. I loro occhi non brillano più pensando al fu-turo. La forza della speranza si affievolisce con il pas-sare del tempo e l’accumularsi di dure esperienze divita; come la fiamma di una candela che lentamentesi spegne senza riuscire a riprendere il suo vigore per-ché gli manca l’essenziale per continuare ad essereluce.

Sei in possesso di documento di identitàe/o passaporto?

Sì: 52 persone30,4%

No: 119 persone69,6%

Rilasciato da Repubblica Haitiana: 46 persone

Rilasciato da Repubblica Dominicana: 4 persone

Rilasciato da entrambi i Paesi: 2 persone

I tuoi familiari sono rimpatriati con te (moglie/marito, figli, ecc.)?

Numeropersone

% sul totaleintervistati

Sì, tutti 63 36,8%

Solo alcuni 22 12,9%

No, sono rimasti in Rep. Dominicana 42 24,6%

Non ho familiari in Rep. Dominicana 44 25,7%

12 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Lo studio svolto da Caritas Italiana è composto didomande chiuse e di domande aperte. Di seguitosono riportate alcune risposte a una delle domandeposte agli intervistati.

Cosa pensi di fare ad Haiti nel prossimo futuro?

Non lo so

Vivere alla giornata

Non resterò ad Haiti, tornerò in Repubblica Dominicana

Fare del commercio

Cercare lavoro

Coltivare la terra

Lavorare nelle costruzioni

13HAITI | RIMPATRI FORZATI

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IntervistaPADRE GUSTOT LUCIEN CEMI, membro della Con-gregazione dei Missionari Scalabriniani, segreta-rio esecutivo della Commissione Episcopale dellaMigrazione ad Haiti

Cosa fa la Commissione Episcopale della Migrazionead Haiti?

«Il fenomeno della migrazione è una realtà moltocomplessa e alcune persone sono costrette a spostarsiper cercare una vita migliore. Purtroppo questi dislo-camenti comportano grandi sofferenze, toccano ilcuore di queste persone a volte abbandonate, sepa-rate dalle proprie famiglie, dalla società e dalla Chiesa. L’obiettivo della Commissione è di rinforzare e miglio-rare il servizio di accompagnamento socio-pastoraleai migranti e profughi ad Haiti. Riserviamo un’atten-zione speciale alle zone frontaliere tra la RepubblicaDominicana e Haiti, avvalendoci per la maggior partedelle strutture della Chiesa Cattolica. Lavoriamo fron-teggiando emergenze e priorità. Per questo motivocerchiamo di agire in partenariato con più organizza-zioni per realizzare interventi per aiutare coloro chesono costretti a migrare e poter offrire un serviziosocio-pastorale più efficace. Il rafforzamento e l’attua-zione di alcune attività nel settore socio-pastorale isti-tuzionale sono destinate a proteggere il migrante intutte le dimensioni del suo essere, come il figlio di Dio,creato a sua immagine. La Commissione istituita daivescovi di Haiti è uno degli organi sociali della Chiesacattolica di Haiti, esprime la preoccupazione di Cristoverso i migranti, i rifugiati, i rimpatriati, i deportati etutti coloro che vivono l’esperienza degli spostamentiforzati».

Quali sono i principali problemi che devono affron-tare i rimpatriati ad Haiti?

«Con la Commissione Episcopale della Migrazione adHaiti ci preoccupiamo molto per i rimpatriati haitiani.Andiamo a visitarli per stare loro vicino, cercare di ca-pire e conoscere quali sono i problemi che si trovanoad affrontare. Tra le tante difficoltà in cui incorrono irimpatriati, le principali sono: mancanza di una casa,assenza di assistenza sanitaria, disoccupazione perchénon hanno un lavoro, educazione perché non hanno imezzi per andare a scuola, complicazioni fisiche e ali-mentari perché non hanno da mangiare. Inoltre, per ladrammatica situazione in cui vertono, spesso sonosfruttati. Queste persone hanno bisogno di essere ac-colte, accompagnate, integrate e reinserite nella so-cietà. Dal punto di vista pastorale c’è un intenso lavoroda fare affinché la comunità li accetti con armonia. Con

la Commissione Episcopale della Migrazione ad Haiticerchiamo di rispondere e dare soluzioni a questi pro-blemi, anche se è difficile trovare i fondi necessari. Con-siderando i problemi reali e concreti che sono statimenzionati, è fondamentale sostenere i rimpatriati inquesto modo: fornire mezzi di sussistenza come kit ali-mentari e igienici; offrire a tutti loro, grandi e piccoli,un’educazione di base; aiutarli a tornare nei loro luoghid’origine; promuovere azioni di inserimento e integra-zione sociale a breve e lungo termine».

In che modo lo Stato haitiano aiuta i rimpatriati?«La Commissione conosce le principali frontiere traRepubblica Dominicana e Haiti e presta attenzionealle informazioni diffuse dai media. Cerchiamo sempreil dialogo con le persone e le istituzioni governative enon che operano sul territorio. Purtroppo ad ora nonabbiamo identificato azioni concrete da parte delloStato haitiano a favore dei rimpatriati. Ci sono alcunedichiarazioni fatte a carattere socio-politico di cui sistanno ancora aspettando i risvolti».

La comunità internazionale è intervenuta per cercaredi risolvere la delicata situazione tra Repubblica Hai-tiana e Repubblica Dominicana?

«Sì, la comunità internazionale interviene spesso invista di cercare una soluzione a questa crisi, ma nono-stante i tentativi, la situazione dei rimpatriati haitianinon cambia. Il numero dei rimpatriati continua ad au-mentare. Le deportazioni avvengono in condizioniche non rispettano i diritti umani. Ci sono personerimpatriate senza che venga dato loro il tempo diprendere i propri beni ed effetti personali. C’è anchechi è stato spogliato della proprietà, tanto dall’altraparte della frontiera, quanto in territorio haitiano. Lasoluzione a questo problema critico deve passare at-traverso la solidarietà nazionale e internazionale».

Tra i due Paesi ci sono tensioni. Da dove si potrebbeiniziare per collaborare?

«Tra i due Paesi ci sono sempre tensioni storiche, po-litiche, commerciali e migratorie. Noi della Commis-sione Episcopale della Migrazione ad Haiti pensiamoche bisogna iniziare a promuovere il dialogo tra le duepopolazioni. A livello della Chiesa Cattolica, è già ini-

5. Interviste e storie

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ziata l’esperienza del dialogo tra i due popoli attra-verso le due Commissioni Episcopali della Migrazione(Haiti e Repubblica Dominicana), così come tra i ve-scovi delle diocesi frontaliere dei due Stati; con l’in-tenzione di chiedere a entrambe le collettività dievitare l’odio, la violenza e la discordia per intrapren-dere un cammino di Pace. Per noi è importante ricor-dare a tutti che “c’è un’isola, due Paesi e una solaChiesa”. Specialmente in quest’anno giubilare, laChiesa chiede ai due popoli di promuovere la culturadella Misericordia».

Storie

JOSLINE JOSEPH ha 38 anni, è sposata, con 4 figli, ilpiù grande di 20 anni. È originaria di Capotille, un pic-colo paese nel Nord di Haiti in zona di confine. Fin dapiccola ha sempre sentito parlare della vicina Repub-blica Dominicana, di quanto fosse un Paese con piùopportunità. Ha sempre incontrato migranti che sispostavano e più volte ne ha ascoltato i racconti.

La curiosità, la voglia di migliorare la propria vitae quella dei propri cari, sono state le principali moti-vazioni che otto anni fa hanno spinto lei e tutta la fa-miglia al grande salto. Con il marito hanno chiestoaiuto ad alcuni parenti per poter pagare il viaggiodella speranza, con la promessa di restituire i soldi inun periodo successivo una volta stabilitisi in Domini-cana.

Arrivati oltre frontiera, il marito ha trovato rapida-mente lavoro come guardiano di una casa privatamentre il figlio maggiore qualche anno più tardi si èinserito nel campo agricolo, lavorando come brac-ciante. Josline si è invece dedicata alle faccende dicasa e ad allevare i figli. Rispetto ad Haiti, riuscivano avivere in condizioni migliori, benché vivessero irrego-larmente nel Paese.

In Repubblica Dominicana è nato l’ultimo dei lorofigli. Secondo la legge ius soli, essendo nato in quelPaese, avrebbe dovuto acquisirne automaticamentela cittadinanza. Al contrario, Josline non è mai riuscitaad avere alcun documento che gli riconoscesse talediritto, perché trovandosi lei e il marito illegalmente

nel Paese, le autorità non hanno fornito al figlio nem-meno l’atto di nascita.

Una sera la polizia ha fatto irruzione nella loro casae con la forza hanno preso lei, il marito e i figli più pic-coli (il più grande non si trovava lì); li hanno caricati suun’auto e di notte li hanno lasciati alla frontiera. Nonhanno avuto modo di avvisare il figlio maggiore e nonhanno potuto prendere i loro beni. In poche ore sisono ritrovati nuovamente ad Haiti nella loro città na-tale, Capotille.

Josline ha deciso che non tornerà più in Domini-cana e resterà con i propri figli a Capotille. Ora vive inuna casa in affitto con i suoi tre bambini cercando difare dei lavoretti per guadagnare qualcosa. Sta ten-tando, con l’aiuto delle autorità locali, di far ricono-scere al figlio più piccolo almeno la nazionalitàhaitiana perché al momento è apolide.

Il marito, anche se è stato rimpatriato in malomodo, è invece tornato in Dominicana, dove continuaa lavorare come guardiano. Non vuole vivere nella mi-seria di Haiti e ogni tanto manda dei soldi alla moglie.Anche il figlio maggiore ha preferito restare in Repub-blica Dominicana, perché lì vive meglio.

PIERRE MIGUEL è un uomo di 42 anni. Sguardo duroe arrabbiato perché si sente trattato ingiustamentecome un delinquente. Proprio 14 anni fa, nel pienodelle forze e dell’entusiasmo, assieme a sua moglie de-cise di realizzare un sogno. Per migliorare le condizionidi vita della loro famiglia e offrire un futuro ai loro duefigli, ormai già adolescenti, andarono a vivere in Re-pubblica Dominicana. Non volevano che ai loro figlitoccasse la loro stessa sorte, volevano dare loro piùopportunità, più dignità, più felicità.

Per pagare il viaggio vendettero tutto ciò che pos-sedevano. Riuscirono a entrare illegalmente nel Paese,e benché all’inizio non sia stato semplice, sia per lanuova lingua sia per capire come lì funzionassero lecose, entrambi riuscirono a trovare lavoro nelle colti-vazioni di canna da zucchero.

La casa in cui abitavano era semplice, ma avevanoun lavoro sicuro e riuscivano a cavarsela. Inizialmentei loro figli non poterono andare a scuola, ma quando

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Pierre e la moglie ottennero il permesso temporaneodi lavoro, poterono mandarli a scuola e dar loroun’educazione di livello superiore rispetto a quellache avrebbero avuto ad Haiti.

In tutti questi anni non sono mai tornati ad Haitiper vari motivi. Il poco che avevano se lo erano gua-dagnato duramente ed erano contenti della stabilitàraggiunta. Temevano che nonostante fossero in pos-sesso del permesso di lavoro temporaneo, una voltausciti dal Paese non sarebbero più riusciti a rientrare.

Pierre racconta che gli ultimi anni sono stati duriperché la polizia li minacciava sempre di più, perfinodi bruciare la loro casa, se non fossero tornati nel loroPaese d’origine. Una sera i poliziotti sono entrati nellaloro abitazione e con violenza, alzando la voce, hannoiniziato a offenderli… Poi hanno caricato Pierre, suamoglie e i loro figli su un piccolo autobus e li hannolasciati alla frontiera di Anse à Pitres. Non hanno po-tuto prendere nulla con loro, tutti i loro beni sono ri-masti in Dominicana.

Dopo tanti anni si sono ritrovati in un paese di fron-tiera haitiano, dove non conoscono nessuno e, cometanti altri rimpatriati, in un insediamento spontaneo, inuna “casa di cartone”, una grande distesa in cui non c’ènulla, nemmeno l’acqua, senza niente e senza speranze.Gli aiuti della Chiesa e delle organizzazioni governativee non, sono il solo sostegno che ricevono e che gli per-mette di andare avanti giorno per giorno senza saperein quale direzione e che cosa ne sarà di loro.

Pierre e la sua famiglia non vogliono più tornare inRepubblica Dominicana, hanno paura di subire ulte-riori ingiustizie e maltrattamenti, si sono sentiti pro-fondamente umiliati come persone. Ora desideranoiniziare una nuova vita, ancora una volta daccapo…ad Haiti, il loro Paese d’origine, ma non hanno piùnulla e nonostante abbiano dei parenti, non sono incontatto con loro da anni. Se chi vive ad Haiti ha diffi-coltà a trovare lavoro e stabilità, per la famiglia diPierre, e di tanti altri rimpatriati, è ancora più difficile.

SILIA DORESCA ha 39 anni. Accenna ad un sorrisoperché ci tiene a venire bene nella fotografia, ma losguardo e gli occhi sono quelli di chi ha vissuto una

vita dura, difficile con pochissimi momenti di feli-cità.

È sposata, ha 5 figli di 7, 10, 13, 15 e 22 anni, e conla sua famiglia ha sempre vissuto ad Haiti. Crescere deifigli senza avere sicurezza economica non è facile. Nélei né suo marito avevano un lavoro fisso, a volte riu-scivano a fare qualcosa, altre volte no. Ogni giorno cer-cavano di andare avanti in qualche modo. Haiti è unodei Paesi più poveri al mondo; questo non significache automaticamente sia tutto più economico, anzi icosti di molte materie prime sono elevati.

Da tempo Silia sognava di andare in RepubblicaDominicana. Ne sentiva parlare… Poi i racconti dei fa-miliari del marito che, anche se con qualche difficoltà,riuscivano a lavorare: uno spiraglio di luce in un Paesetanto vicino e a portata di mano.

Nel 2012, con l’aiuto di un cugino del marito, deci-sero con tutta la famiglia di intraprendere il grandeviaggio della speranza, alla ricerca di un futuro mi-gliore. Riuscirono ad entrare illegalmente in Domini-cana raggiungendo alcuni parenti nella città diconfine di Jimani.

Entrambi trovarono facilmente lavoro e benchénon guadagnassero molto, riuscivano a sostenere i bi-sogni primari di tutta la famiglia. Questo dava loro sol-lievo, anche se vivere senza documenti in regola nonera semplice; bisogna stare sempre all’erta, e non erapossibile accedere a molti servizi essenziali. Vivevanocostantemente nascosti.

Il marito e il figlio più grande trovarono lavoro neicampi, mentre Silia riuscì ad avviare un piccolo nego-zio in cui vendeva succhi di frutta. Gli altri bambinipassavano la maggior parte del tempo in casa, o aiu-tavano la mamma nel suo piccolo commercio.

Un giorno Silia si trovava in casa e stava lavando ipiatti, quando all’improvviso la polizia fece irruzioneminacciando lei e i suoi figli di morte se non fosserotornati ad Haiti. Terrorizzata dalle minacce e dalla vio-lenza, non ha pensato due volte a lasciare il Paese.

Ora si trova da sei mesi ad Haiti nella città di con-fine di Fond Parisien insieme ai suoi figli. Vivono in unabaracca senza servizi igienici. Silia spera di riuscire atornare quanto prima con i figli nella sua casa natale.Sta cercando di mettere da parte i soldi necessari peril viaggio. Non è facile perché l’unica persona che la-vora è il figlio maggiore, che pesca nel lago vicino perpoi vendere il pesce.

Non vuole tornare in Repubblica Dominicana per-ché ha paura e si sente offesa per come è stata trat-tata. Il suo sposo ha invece deciso di rimanere là.Purtroppo da quando è rimpatriata, Silia ha perso ognicontatto con il marito.

16 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Haiti e la Repubblica Dominicana sono due Paesi ca-raibici che si trovano sulla medesima isola, chiamataHispaniola.

Per meglio capire i fattori migratori che stanno ca-ratterizzando l’isola è bene fare una breve analisi sto-rica per avere un quadro della situazione. Hannoavuto esperienze similari, come l’origine coloniale,l’occupazione statunitense, il governo di più regimiautoritari e l’inizio di un percorso verso la democrazia.

A livello economico nel 1960 il PIL (prodotto in-terno lordo) pro capite delle due Repubbliche era si-mile. Da quel momento, mentre il PIL della RepubblicaDominicana è aumentato di circa il 5% l’anno ed èconsiderato uno dei più alti tassi di crescita in AmericaLatina, ad Haiti il PIL è cresciuto a un tasso annualedell’1% ed è considerato il più basso in America Latina.Per Haiti si è trattato di una discesa continua con unaproduttività nettamente negativa il cui numero di chivive in condizioni di estrema povertà, l’indice di anal-fabetismo e la percentuale della forza lavoro impe-gnata in agricoltura sono circa il 50%. Nella Repub-blica Dominicana invece si stima che solo il 4,3% dellapopolazione viva in povertà estrema e il tasso di anal-fabetismo e l’occupazione nel settore agricolo sonocirca il 18% 1.

Instabilità economica, sconvolgimenti politici ecalamità naturali, come il terre-moto, costituiscono le principalicause del flusso migratorio quoti-diano degli haitiani che cercano divarcare la frontiera per raggiun-gere la parte sviluppata dell’isola.La Repubblica Dominicana è a por-tata di mano per coloro che sonoalla disperata ricerca di lavoro equindi di migliorare la propria vita.I costi per l’espatrio sono decisa-mente inferiori rispetto a USA, Canada e Brasile, altremete in cui molti vorrebbero recarsi, ma più difficilida raggiungere anche per la difficoltà ad ottenere ivisti.

Le crescenti differenze di sviluppo tra i due Paesi,così come le politiche migratorie dominicane, sono glielementi che fino ad ora hanno determinato gli spo-stamenti all’interno dell’isola. Le normative che hannoregolato i movimenti dei migranti tra le due Repub-bliche sono caratterizzate da un alternarsi di fasi diapertura, restrizioni molto forti, rimpatri e deporta-zioni 2. Attualmente la situazione è delicata e tesa acausa di alcune decisioni che sono state prese daparte del governo dominicano e che hanno come

conseguenza il rimpatrio forzato di moltissimi haitiani,arrivando a violare il diritto di cittadinanza acquisito.

Fino al 26 gennaio 2010 in Repubblica Dominicanavigeva il diritto allo ius soli, vale a dire che chiunquefosse nato all’interno del territorio dominicano avevadiritto ad acquisirne la cittadinanza. A partire da taledata, 14 giorni dopo il terremoto che colpì Haiti e cheportò inevitabilmente all’aumento del flusso di mi-granti haitiani in cerca di rifugio in Dominicana, venneapprovata una modifica della costituzione che esclu-deva l’estensione della cittadinanza dominicana aidiscendenti di immigrati privi di documenti 3. Tale de-cisione venne rafforzata negli anni successivi, tantoche il 23 settembre 2013 il Tribunale Costituzionaledominicano si pronunciò molto chiaramente con lasentenza numero 168/13 4. Una sentenza con effettoretroattivo al 20 giugno 1929 che ha tolto lo status di

cittadini dominicani ai figli di immigrati irregolari,anche a coloro nati in territorio dominicano e previa-mente iscritti all’anagrafe.

Un’ordinanza che ha generato un notevole numerodi apolidi, con forte effetto discriminatorio in quantoha colpito maggiormente e retroattivamente coloroche sono dominicani di origine haitiana. Molte dellepersone vittime di tale decisione sono nate in Repub-blica Dominicana, riconosciute dallo Stato come cit-tadini dominicani attraverso il rilascio di documentiriconosciuti legalmente dalle istituzioni. Gente legatacon il Paese, che ha pagato le imposte, generato ric-chezza e collaborato alla sicurezza sociale, uomini edonne cresciuti lì, che hanno ricevuto un’istruzione nel

6. La questione

Instabilità economica, sconvolgimenti politici e calamitànaturali, come il terremoto, costituiscono le principalicause del flusso migratorio quotidiano degli haitiani checercano di varcare la frontiera per raggiungere la partesviluppata dell’isola. La Repubblica Dominicana è a por-tata di mano per coloro che sono alla disperata ricercadi lavoro e quindi di migliorare la propria vita

17HAITI | RIMPATRI FORZATI

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Paese dominicano e che proprio lì hanno creato il loronucleo familiare 5.

«Gli haitiani presenti nel Paese limitrofo oltrepas-sano il milione, mentre i sans-papiers di discendenzahaitiana che anelano alla regolarizzazione sono sti-mati tra le 200 e 500 mila unità» 6.

Gli apolidi non sono considerati cittadini di nes-suno Stato, e per questo motivo privati di qualsiasi di-ritto che deriva dalla cittadinanza. Per motivi indi-pendenti dal proprio volere essi vivono una situazionedi forte incertezza e precarietà.

Questi cambiamenti legislativi hanno inoltre por-tato le autorità dominicane a procedere con una fasedi rimpatri di massa di dominicani di origine haitianaad Haiti. Espulsioni spesso svolte con la forza e senzauna supervisione, gente caricata su autobus, riportataoltre confine con una valigia in mano e sovente du-rante le ore notturne. La Repubblica haitiana si è cosìtrovata costretta a ricevere un cospicuo numero dirimpatriati, dovendo affrontare un’emergenza com-plessa alla quale in situazione normale non è facile ri-spondere in maniera efficace; nel caso di un Paesecome Haiti in cui vi sono già presenti molti problemiirrisolti, è ancora più complicato.

Tali decisioni hanno inevitabilmente incrinato legià delicate relazioni tra le due nazioni, ci sono statereazioni violente e la stessa comunità internazionaleha fatto pressioni sul governo dominicano il quale hafornito una soluzione parziale al problema con l’ap-provazione della legge 169/14 del 21 maggio 2014.

Essa ha portato a identificare in due gruppi gli in-dividui interessati al provvedimento: coloro che ben-ché non abbiano un documentorisultano iscritti alla nascita nel regi-stro di stato civile dominicano, e co-loro che non sono mai stati iscritti alregistro. Tale legge è nata con loscopo principale di ripristinare la cit-tadinanza dominicana a coloro chein seguito alla sentenza del 2013 neerano stati arbitrariamente e retro-attivamente privati. Nel testo silegge che i figli di stranieri nati in Re-pubblica Dominicana potranno es-sere regolarizzati in conformità conle disposizioni del Piano Nazionaledi Regolarizzazione degli stranieri irregolari. Essi po-tranno optare per la naturalizzazione come statuitadalla legge, in seguito al trascorrere di due anni dal-l’essere riconosciuti parte di una delle categorie mi-gratorie stabilite dalla legge generale 285/04 edall’assenza di precedenti penali.

In tutto questo, il Piano Nazionale di Regolarizza-zione degli stranieri irregolari è scaduto il 17 giugno2015 e non tutte le persone prive di documenti sono

riuscite a registrarsi presso le autorità governative perottenere i documenti necessari per tempo. Molti diessi continuano a vivere in territorio dominicano eproprio perché senza documenti è difficile sapere conprecisione quanti siano i migranti haitiani presenti inRepubblica Dominicana.

Inoltre prima di tale provvedimento molta genteera già stata rimpatriata e ora si trova in zona di con-fine nel lato haitiano in Centri di accoglienza, installa-zioni spontanee o in alcuni casi qualcuno è riuscito atornare presso la propria famiglia. Alcuni di essi per-mangono apolidi e si sta cercando di fare il possibileper dare loro una cittadinanza.

In questo contesto confuso, a partire dall’agosto 7

2015 il governo dominicano ha ufficialmente ripresol’espulsione e il rimpatrio dei migranti irregolari, pro-cedimento già attuato anche in altri periodi. Nell’ul-timo rapporto pubblicato da Amnesty International,La situazione dei diritti umani nel mondo 8, si leggecome decine di migliaia di migranti haitiani abbianodeciso di ritornare ad Haiti, principalmente per pauradi essere espulsi con violenza o successivamente apressioni con sfondo xenofobo esercitate su di loro.

Un flusso di persone che ha portato ad un au-mento di tensioni tra le due nazioni, motivo per cuil’Organizzazione degli Stati americani ha inviato unamissione in entrambi i Paesi. In seguito a tale visita l’of-ferta di mediazione proposta dal segretario generaledell’OAS (Organization of American States) è stata re-spinta dalle autorità dominicane, così come la nego-ziazione con Haiti di un protocollo sulle espulsioni. Leautorità non hanno voluto rendere noto il protocollo

da loro proposto. La maggior parte delle espulsioniera stata disposta dalle autorità, previa valutazione diciascun caso. Ciònonostante, secondo l’Organizza-zione internazionale per la Migrazione e altre organiz-zazioni, molte persone aderenti al Piano Nazionale diRegolarizzazione hanno denunciato di essere stateespulse lo stesso.

«Danilo Medina, presidente della Repubblica Do-minicana dal 2012, afferma con decisione che il suo

Dall’agosto 2015 il governo dominicano ha ufficial-mente ripreso l’espulsione e il rimpatrio dei migranti ir-regolari, procedimento già attuato anche in altri periodi.Nell’ultimo rapporto pubblicato da Amnesty Internatio-nal, La situazione dei diritti umani nel mondo, si leggecome decine di migliaia di migranti haitiani abbiano de-ciso di ritornare ad Haiti, principalmente per paura di es-sere espulsi con violenza o successivamente a pressionicon sfondo xenofobo esercitate su di loro

18 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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19HAITI | RIMPATRI FORZATI

Paese non è razzista e che la legge 169 intende sem-plicemente allontanare persone prive di documenticon l’obiettivo di contrastare l’immigrazione irrego-lare. Ma il razzismo verso gli haitiani c’è eccome, e ser-peggia nella società dominicana alimentato dallamanipolazione dell’opinione pubblica operata dalleistanze più nazionaliste del Paese, alla ricerca di un fa-cile capro espiatorio delle difficoltà in cui esso versa.La paura della “invasione haitiana” da parte domini-cana fa così da contraltare alla realtà di centinaia dimigliaia di altri dominicani, quelli con origini haitiane,oggi sospesi in un limbo politico che impedisce lorodi partecipare alla vita sociale, amministrativa ed eco-nomica dello Stato» 9.

Secondo alcuni dati recenti, si calcola che a partiredal 17 giugno 2015 sono 89.538 coloro che hanno at-traversato il confine in territorio haitiano, di cui 19.759sono stati deportati ufficialmente presso le frontieredi Ouanaminthe, Malpasse e Belladères; 14.983 affer-mano di essere stati deportati, 54.627 dichiarano diessere tornati spontaneamente e 169 con l’aiuto e as-sistenza di OIM Repubblica Dominicana 10.

Da quanto detto emerge in maniera chiara il fattoche la popolazione haitiana è molto vulnerabile nelproprio territorio e ancora di più in quello dominicano,in cui la maggior parte accede illegalmente e per que-sto non ha alcun diritto: è come se non esistesse.

Nelle zone di confine tra i due Paesi sono forte-mente presenti situazioni di traffico illecito di mi-granti, gestite da gruppi organizzati e spesso in colla-borazione con le autorità locali. Quando si va in unazona di confine questi meccanismi sono facilmentevisibili ad occhio nudo. Un’organizzazione perfettache su pagamento di ingenti somme di denaro per-mette agli haitiani di oltrepassare il confine irregolar-mente. Si vedono gli haitiani che attraversano ilconfine a piedi e poco distante qualcuno che portale loro valigie; vengono così accompagnati, con tuttele loro speranze, in Repubblica Dominicana. Sono at-traversamenti che avvengono sia di giorno che dinotte.

Riuscire a raggiungere il territorio dominicano illesinon significa aver risolto tutti i problemi e poter vivereuna vita serena. Per certi aspetti tutto diventa più diffi-cile se si considera lo sfruttamento della forza lavoro,il fatto che entrando senza i corretti documenti essi

non possiedono proprietà, non godono dei servizibase come istruzione e assistenza sanitaria, sono sog-getti ad aggressioni, intimidazioni, arresti arbitrari, attidiscriminatori, xenofobia e i rimpatri ad Haiti.

I rimpatri generano delle inevitabili pressioni siasulla popolazione ricevente che sul servizio pubblico,che in un Paese debole a livello strutturale, ammini-strativo e politico risultano ancora più evidenti. Per mi-gliorare la situazione ci sarebbe bisogno di unaumento di capacità da parte del governo nel fornireservizi di base essenziali e un sistema economico ingrado di offrire nuovi posti di lavoro, entrambi ele-menti che purtroppo al momento sono carenti adHaiti. La Chiesa e diverse organizzazioni lavorano allafrontiera e cercano di sostenere i rimpatriati, ma le ne-cessità sono talmente tante che non è semplice.

Chi viene rimpatriato si trova ad affrontare diverseproblematiche, si sente abbandonato al proprio de-stino, ai margini della società e privato del minimo ne-cessario per poter vivere in sicurezza e dignità. C’è chivorrebbe tornare presso la propria famiglia d’originema non ha modo di pagare il trasporto per arrivarci,c’è chi non ha nessuno e niente, c’è chi aspetta il mo-mento giusto per ritornare in Repubblica Dominicanae c’è chi è stato rimpatriato mentre alcuni membridella famiglia permangono dall’altra parte dell’isola.Situazioni di transito e insicurezza in cui i sentimentidi abbandono e frustrazione sono molto forti, con ilrischio di cadere nel vortice dell’assistenzialismo edella prospettiva di una vita senza futuro.

Chi viene rimpatriato si trova ad affrontare diverse problematiche, si sente abbandonatoal proprio destino, ai margini della società e privato del minimo necessario per poter vi-vere in sicurezza e dignità. C’è chi vorrebbe tornare presso la propria famiglia d’origine,ma non ha modo di pagare il trasporto per arrivarci, c’è chi non ha nessuno e niente, c’èchi aspetta il momento giusto per ritornare in Repubblica Dominicana e c’è chi è statorimpatriato mentre alcuni membri della famiglia permangono dall’altra parte dell’isola

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Essere rimpatriati significa avere una cicatrice sullapelle, che porta il sapore dell’amarezza, dell’umilia-zione e dell’abbandono. Quando si ascoltano le storiedi vita dei rimpatriati si percepisce come il rimpatriorappresenti l’ennesima grande sconfitta, probabil-mente quella più dura, del lungo viaggio intrapreso.

«La Chiesa non teme di presentarsi come “espertain umanità”, proprio perché è consapevole che l’essereumano lasciato a se stesso correrebbe forti rischi dicreare solo una edizione sofisticata della legge dellagiungla» 1. La società moderna sta diventando unagiungla sempre più selvaggia, piena di contrasti. In unmondo globalizzato, interconnesso e interdipendentesi alzano muri e barriere. Tanti sono i diritti umani chesulla carta valgono per tutti, ma che in realtà sono go-duti da una piccola parte di popolazione. Pochi sono iricchi e troppi sono i poveri. In aumento le persone infuga dalle proprie case alla ricerca di un rifugio sicuro.

La comunità cristiana ha sempre cercato di avvici-narsi ai più vulnerabili, non solo proponendo serviziconcreti ma dando quel valore aggiunto che la condi-visione offre. Un’esperienza che cerca costantementel’incontro con l’altro senza avere paura, che porta adaprirsi all’accoglienza per far spazio al più debole,prendendosi cura delle sue fatiche, sofferenze e ferite.

Parlando di migrazioni, l’accoglienza rappresentail minimo comune denominatore per profughi, rifu-giati, richiedenti asilo, migranti e rimpatriati. Tanto perchi arriva, quanto per chi ritorna, l’accoglienza è laprima cosa. Il bisogno di un riparo, una casa, per sen-tirsi al sicuro e poter accedere a quegli elementi baseindispensabili per vivere una vita dignitosa.

Accoglienza di cui la Chiesa è promotrice, tanto chelo stesso Papa Francesco2, riferendosi al dramma dei mi-granti che sta scuotendo l’Europa, lo scorso anno in pros-simità del Giubileo della Misericordia invitò, a partiredalla diocesi di Roma, ogni parrocchia, ogni comunità re-ligiosa, ogni monastero, ogni santuario d’Europa a ospi-tare una famiglia di migranti. Un appello esteso a tuttele aree del mondo in cui si vivono situazioni similari.

Un grande esempio di solidarietà è stato promossoanche dalla Caritas Italiana, che proprio per incenti-vare l’esperienza dell’accoglienza ha proposto dueprogetti, il primo pilota già concluso “Rifugiato a CasaMia” e l’altro attualmente in corso “ProTetto. Rifugiatoa Casa Mia”. Un modo per incoraggiare l’integrazionee la condivisione di cui la famiglia umana ha bisogno.

È abbastanza evidente come i flussi migratori nonsi possano ignorare. Sono ormai entrati a far parte deltessuto strutturale della società moderna e non è piùpossibile parlare solo di sbarchi o ritorni perché la

questione ha radici molto più profonde che debbonoessere analizzate: sono i luoghi e i motivi per cui que-ste persone sono costrette a fuggire dalla loro casa,dalla loro patria, senza trovare un’alternativa piùumana. E proprio l’esperienza di vicinanza ai più indi-fesi permette di cogliere quanto queste persone, inuna situazione di pace, sicurezza, rispetto e benesserenon avrebbero mai abbandonato la loro casa. Emi-grare per loro è dunque una scelta obbligata e non vo-lontaria, con la fiducia di trovare porte aperte diospitalità, aiuto, comprensione, sostegno e umanità,da parte di chi comprende il disagio e il dramma deipropri simili.

Proprio per i motivi obbligati di tali spostamenti,come disse San Giovanni Paolo II in uno dei suoi di-scorsi, esiste il diritto ad emigrare che non è da dimen-ticare ed è da tutelare, ma è altrettanto importante«impegnarsi seriamente a salvaguardare anzitutto ildiritto a non emigrare, a vivere cioè in pace e dignitànella propria Patria. (...) ogni Paese deve essere postoin grado di assicurare ai propri abitanti, oltre alla li-bertà di espressione e di movimento, la possibilità disoddisfare necessità fondamentali quali il cibo, la sa-lute, il lavoro, l’alloggio, l’educazione» 3.

In questo percorso ecco quindi la Chiesa, che conla sua umanità ed esperienza cerca di difendere ladignità di ciascuna persona sperimentando la viadell’accoglienza, della condivisione e sostenendoil diritto a non emigrare, contribuendo anzituttoalla crescita dei Paesi da cui questa gente fugge.

Concludiamo con le parole di papa Francesco: «Lasolidarietà, la cooperazione, l’interdipendenza inter-nazionale e l’equa distribuzione dei beni della terrasono elementi fondamentali per operare in profonditàe con incisività soprattutto nelle aree di partenza deiflussi migratori, affinché cessino quegli scompensi cheinducono le persone, in forma individuale o collettiva,ad abbandonare il proprio ambiente naturale e cultu-rale. In ogni caso, è necessario scongiurare, possibil-mente già sul nascere, le fughe dei profughi e gli esodidettati dalla povertà, dalla violenza e dalle persecu-zioni» 4.

7. Le esperienze e le proposte

20 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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21HAITI | RIMPATRI FORZATI

CARITAS ITALIANA E I RIMPATRIATI HAITIANICaritas Italiana è presente ad Haiti dal 2010 conoperatori sul posto. Nel Paese caraibico ha realiz-zato 199 progetti per un totale di 22,3 milioni dieuro. Consapevole del dramma dei rimpatriati hai-tiani, Caritas Italiana è impegnata in due progetticon azioni concrete e mirate ad aiutarli. Relativa-mente a tale emergenza, sono stati finora finanziatiinterventi per un totale di 152.520 euro. Di seguitola descrizione dei due progetti:

sostegno al SJM (Servizio Gesuita per i Migranti/Solidarietà Frontaliera) per un anno, al fine di raf-forzare il loro programma di economia solidalegià attivo nella zona frontaliera di Fonds Parisiendestinato alle famiglie di sfollati, migranti e rim-patriati. Le principali attività svolte sono state lacreazione di 15 gruppi di mutuelle de solidarité perl’avvio di iniziative socioeconomiche/microim-

prese a gestione comunitaria e la concessione dipiccoli crediti singoli, l’avvio di un programma dialfabetizzazione e un ciclo di formazione sulla co-stituzione e gestione delle mutuelle de solidarité edelle microimprese.

Supporto a Caritas Haiti nell’accoglienza dei rim-patriati nelle regioni confinanti con la Repub-blica Dominicana dei Dipartimenti del Centro,del Nord-Est, del Sud-Est e dell’Ovest, con l’obiet-tivo di prevenire e controllare il generarsi di fe-nomeni quali abuso, sfruttamento e violenza. Ibeneficiari totali del progetto sono stati 2.215rimpatriati. Oltre alla distribuzione di kit alimen-tari e kit igienici, laddove possibile è stato assi-curato un sostegno alla formazione attraversoborse di studio e alla copertura delle spese per ilritorno alle proprie famiglie di origine.

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NOTEIntroduzione

1 Siracide (29,21).2 Rif. Profeta Michea (2,2).3 Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornata

mondiale del Migrante e del Rifugiato (2016), Migranti e ri-fugiati ci interpellano. La risposta del Vangelo della Miseri-cordia, https://w2.vatican.va/content/vatican/it.html

4 Messaggio del Santo Padre Francesco per la Giornatamondiale del Migrante e del Rifugiato (2014), Migranti e ri-fugiati: verso un mondo migliore, https://w2.vatican.va/con-tent/vatican/it.html

5 Vangelo di Luca 2,6-76 Vangelo di Matteo 2,147 Zygmunt Bauman, Society Under Siege (2002), Cambridge:

Polity Press – trad. it. S. Minucci, La società sotto assedio(2003), Bari‐Roma, Laterza.

8 Regional Refugee and Migrant Reponse Plan for Europe.Eastern Mediterranean and western balkans route, pag. 9,http://www.unhcr.org/570669806.pdf

1. Il problema a livello internazionale1 United Nations General Assembly, International Migration

and Development, Report of the Secretary-General(A/68/190 del 25 luglio 2013), pag. 6.

2 Cit. Migrazione, MSF: Corsa a ostacoli verso l’Europa, Rap-porto MSF fotografa l’impatto umanitario della rispostaeuropea, http://www.medicisenzafrontiere.it

3 Dati pubblicati da UNHCR in Global Trends forced displace-ment in 2015, pag. 25, http://www.acnur.org

4 Articolo Le frontiere, i muri, i rimpatri. Il cardinale Vegliò: «L’Eu-ropa è chiusa, egoista, vecchia. Ha perso di vista le sue tradi-zioni», http://www.santalessandro.org/, sezione Mondo.

5 Dato pubblicato sul sito OIM http://missingmigrants.iom.int/, sezione Latest Global Figures.

6 Dati pubblicati da UNHCR in Global Trends forced displace-ment in 2015, pag. 25, http://www.acnur.org

7 Manual de Repatriación Voluntaria: Protección Internacional,1996, UNHCR, Cit. Prólogo, pag. 4, http://www.acnur.org/t3/

8 Dati pubblicati da UNHCR in Global Trends forced displace-ment in 2015, pag. 25, http://www.acnur.org

2. Il problema a livello regionale1 Il diritto di difendere i diritti. La situazione dei Difensori dei

Diritti Umani dei migranti in America Centrale, Messico e Re-pubblica Dominicana (2013), dato pubblicato nell’Introdu-zione, Report nato dall’attività della campagna Sin Nombree dal progetto CAPDEM, https://difendereidiritti.wor-dpress.com/, sezione Materiali.

2 Il cammino della paura. I diritti violati dei migranti e dei lorodifensori in Messico, rif. cap. I – La migrazione centroameri-cana verso il nord, Report nato dall’attività della campagnaSin Nombre e dal progetto CAPDEM, https://difendereidi-ritti.wordpress.com/, sezione Materiali.

3 Un viaje sin rastros. Mujeres migrantes que transitan por Me-xico en situación irregular, Gabriela Díaz Prieto e GretchenKuhner., 2014, dati presenti a pag. 16.

4 Vedi nota 2, dato indicato a pag. 4, nell’Introduzione.5 Vedi nota 2, rif. del testo cap. 5 – Delitti e violazioni dei diritti

umani dei migranti rimpatriati/deportati.6 ICE: Immigration and Customs Enforcement.7 Notizia pubblicata nell’articolo Piano di deportazione negli

USA minaccia possibilità democratiche alla presidenza, LuisBeaton, giornalista di Prensa Latina.

8 Stesso riferimento della nota 5.9 Dato pubblicato nell’articolo Venezuela. Bambini strappati

ai genitori, deportazioni in Colombia e case segnate per es-sere demolite, pubblicato nel sito internet dell’AssociazioneAmici dei Bambini.

10 Dato pubblicato nell’articolo Cientos de colombianos mar-charon en solidaridad con los deportados de Venezuela,http://www.elpais.com.co/

11 Per rif. vedi nota 9.

3. Le cause1 Cit. del testo Quasi 60 milioni le persone costrette a fuggire

dalle loro case in tutto il mondo, pubblicato il 18/6/2015,Rapporto Global trends 2014 dell’UNHCR, http://www.unhcr.it, sezione Notizie, Comunicati stampa.

2 Rif. articolo Incontro a Brazzaville – Per una lettura teologicadella mobilità in Africa, di Jean-Baptiste Sourou, pubblicatoil 23/01/2016 da l’Osservatore Romano, http://www.news.va/it

3 Cit. dal testo: Migrazione, "Corsa a ostacoli verso l'Europa",http://www.medicisenzafrontiere.it/, sezione Notizie, Co-municati stampa.

4 Vedi nota 2 del cap. 2, cit. pag 7, capitolo Traffico e tratta dipersone in Messico: i più vulnerabili sono i migranti.

5 Vedi nota 2 del cap. 2, cit. pag 11-12, capitolo Le ragionidella migrazione. Nuove forme di violenza e criminalità inAmerica Centrale.

6 Rif. pag 8 e 45 del Diagnóstico Desplazamiento Forzado yNecesidades de Protección, generados por nuevas formas deViolencia y Criminalidad en Centroamérica, 2012, docu-mento elaborato da CIDEHUM a solicitud del Alto Comi-sionado de las Naciones Unidas para los Refugiados,ACNUR.

7 Vedi nota 6, rif. pag 45.8 Cit. del messaggio del Santo Padre Francesco, vedi nota 4

dell’Introduzione.9 Rif. Omelia del Santo Padre Francesco durante la domenica

delle Palme del 20 marzo 2016, https://w2.vatican.va

4. I dati Caritas1 Cit. pag 14 di Concentrato di Povertà. Investire nella scuola

per liberare un Paese, Dossier con Dati e Testimonianze, nu-mero 11, gennaio 2016, http://www.caritas.it

22 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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23HAITI | RIMPATRI FORZATI

6. La questione haitiana1 Rif. dei dati indicati visibili nel testo: Haití, Republica Domi-

nicana: más que la suma de las partes. Un estudio sobre lasrelaciones económicas bilaterales, pag. 3, Banco Mundial(2012).

2 Rif. vedi nota 1, pag. 15 del testo indicato.3 Art. 18 del testo Constitución de la República Dominicana,

proclamada el 26 de enero, pubblicata in Gaceta Oficial n.10561, 26/01/2010.

4 Sentenza TC/0168/13 del Tribunale Costituzionale dellaRepubblica Dominicana.

5 Vedi nota 1 del cap.2, rif. a pag 32 del capitoletto Privazionearbitraria della cittadinanza.

6 Cit. dell’articolo Repubblica Dominicana, la questione mi-gratoria haitiana, di Francesco Giappichini, in Cronache in-ternazionali.com ogni giorno uno sguardo sul mondo, http://www.cronacheinternazionali.com, sezione America Latina.

7 Rif. Dominican Republic officially resumes deportationsamid concerns for Dominicans of Haitian descent, AMR27/2304/2015 by Amnesty International.

8 Rapporto 2015-2016 La situazione dei diritti umani nelmondo, Repubblica Dominicana, pubblicato da AmnestyInternational, http://www.rapportoannuale.amnesty.it/

9 Cit. dell’articolo Repubblica Dominicana, il dramma deglihaitiani, di Luca Troiano, pubblicato da L’Indro – L'approfon-dimento quotidiano indipendente, http://www.lindro.it

10 Dati pubblicati nel documento: http://reliefweb.int/sites/re-liefweb.int/files/resources/Redhum_HT_Border_Monito-ring_Sitrep_21abril_2016_OIM-20160427-IA-18228.pdf

7. Le esperienze e le proposte1 Cit. pag. 9 del testo Costruire fraternità globale oggi, Caritas

Italiana, Edizioni Dehoniane Bologna.2 Papa Francesco, Angelus di domenica 6 settembre 2015,

https://w2.vatican.va3 Cit. del Messaggio di sua Santità Giovanni Paolo II per la

90ª Giornata mondiale del Migrante e del Rifugiato (2004),https://w2.vatican.va

4 Cit. per rif. vedi nota 3 dell’Introduzione.

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I precedenti dossier (disponibili su www.caritas.it; shortlink alla sezione: http://bit.ly/1LhsU5G):

1. GRECIA: Gioventù ferita – Gennaio 2015

2. SIRIA: Strage di innocenti – Marzo 2015

3. HAITI: Se questo è un detenuto – Aprile 2015

4. BANGLADESH, INDIA, SRI LANKA, THAILANDIA: Lavoro dignitoso per tutti – Maggio 2015

5. BOSNIA ED ERZEGOVINA: Una generazione alla ricerca di pace vera – Giugno 20156. GIBUTI: Mari e muri – Giugno 20157. IRAQ: Perseguitati – Luglio 20158. REPUBBLICA DEL CONGO: «Ecologia integrale» – Settembre 20159. SERBIA E MONTENEGRO: Liberi tutti! – Ottobre 201510. AFRICA, AMERICA LATINA, ASIA: Un’alleanza tra il pianeta e l'umanità – Dicembre 201511. HAITI: Concentrato di povertà – Gennaio 201612. AFRICA SUB-SAHARIANA: Salute negata – Febbraio 201613. SIRIA: Cacciati e rifiutati – Marzo 201614. NEPAL: Tratta di esseri umani. Disumana e globale – Aprile 201615. GRECIA: Paradosso europeo – Maggio 2016

Rimpatriati forzati: persone indifese costrette a lasciare le poche certezze per saltarenell’ignoto, mettendo a repentaglio la propria vita. Arriva poi il momento in cui pen-sano di avercela fatta, intravedono uno spiraglio di luce per una vita libera, degna eserena. Ed ecco che l’incubo di non poter scegliere il proprio destino torna. Costrettidi nuovo, ma stavolta a tornare da dove sono fuggiti.

Il rimpatrio forzato è un fenomeno globale che anziché unire sgretola la società, di-vide le famiglie, gli Stati, l’ opinione pubblica. Provoca precarietà, insicurezza, rabbia,senso di abbandono in chi inerme lo subisce.

Ci sono Paesi, come la Repubblica di Haiti, in cui dietro al rimpatrio forzato si celanomotivi, storici, politici ed economici che portano alla lesione di alcuni diritti fonda-mentali, come quello della cittadinanza.

Dall’estate del 2015 ad oggi, si calcola che sono 89.538 le persone che hanno oltre-passato il territorio haitiano. Di esse, 19.759 sono state deportate ufficialmente,14.983 affermano di essere state deportate, 54.627 dichiarano di essere tornate spon-taneamente e 169 con l’aiuto di OIM Repubblica Dominicana.