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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Numero 51 – Ottobre 2019 Disuguaglianze: nel cuore del problema Superare fame e squilibri alimentari per la dignità dei più poveri

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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 51 – Ottobre 2019

Disuguaglianze: nel cuore del problema

Superare fame e squilibri alimentari per la dignità dei più poveri

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INDICE

Introduzione 3

1. Al cuore del problema: verso un cambio di paradigma 5Uno sguardo diversoRicchezza e patrimonio pubblicoI rischi delle disuguaglianze

2. Un tema complesso: qualche idea per orientarsi 11 Quattro dimensioni della disuguaglianzaLe radici profonde delle disuguaglianzeDisuguaglianze e sviluppo sostenibile

3. Nutrire il pianeta? Disuguaglianze, fame, squilibri 17Un mondo affamato, sprecone, sovranutritoNessuna contraddizione: un sistema “coerente”, costruito sulla disuguaglianzaCibo e nutrizione nell’Agenda 2030: un problema di coerenza

4. L’Italia: un Paese sempre più disuguale 23Una disuguaglianza che minaccia le prospettive di tutti, ma soprattutto dei giovaniUn’agenda per il cambiamento

5. Costruire una società più giusta, più inclusiva, meno disuguale 28

Bibliografia 30

Note 33

A CURA DI: don Francesco Soddu | Massimo Pallottino | Paolo Beccegato

TESTI: Massimo Pallottino

FOTO: Mara Grimaldi (copertina e pagine 16, 17, 32, 35) | per Caritas Internationalis: Jiří Pasz (p. 3) e Assam Bihar (p. 4) | Reuters (p. 11) |Global Finance (p. 23) | per Oxfam: Elena Longarini (p. 27)

GRAFICA E IMPAGINAZIONE: Danilo Angelelli

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 51 | Ottobre 2019

DISUGUAGLIANZE: NEL CUOREDEL PROBLEMA

Superare fame e squilibri alimentariper la dignità dei più poveri

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«L’“ingiustizia sociale naturalizzata” – ossia come qual-cosa di naturale – e quindi resa invisibile – che ricor-diamo e riconosciamo solo quando “alcuni fannorumore in strada” e vengono rapidamente catalogaticome pericolosi e molesti –, finisce col far passare sottosilenzio una storia di differimenti e dimenticanze. Per-mettetemi di dirlo, questo è uno dei grandi ostacoli cheincontra il patto sociale e che debilita il sistema demo-cratico. Un sistema politico-economico, per il suo sanosviluppo, ha bisogno di garantire che la democrazia nonsia solo nominale, ma che possa vedersi plasmata inazioni concrete che veglino sulla dignità di tutti gli abi-tanti, secondo la logica del bene comune, in un appelloalla solidarietà e un’opzione preferenziale per i poveri.Ciò esige gli sforzi delle massime autorità […], per ridurrela distanza tra il riconoscimento giuridico e la praticadello stesso. Non c’è democrazia con la fame, né sviluppocon la povertà, né giustizia nell’iniquità».

Queste parole di papa Francesco, pronunciate il 4 giu-gno scorso durante il Vertice dei giudici panamericanisui diritti sociali e la dottrina francescana, sono tra lepiù incisive pronunciate in questa ultima parte di pon-tificato: sottolineano la profondaconnessione tra il tema della giusti-zia, della democrazia, e del ricono-scimento dei diritti sociali.

Nel dossier con dati e testimo-nianze numero 49, Vertici internazio-nali: servono veramente ai poveri?,pubblicato da Caritas Italiana nel lu-glio 2019, abbiamo suggerito dellepiste di riflessione per valutare l’utilità dei percorsi dinegoziazione internazionale collegati all’Agenda 2030.Nelle prossime pagine vorremmo invece sottolinearecome sia necessario andare al cuore del problemadell’iniquità di cui parla Papa Francesco: quei feno-meni di disuguaglianza che il mondo in cui viviamovede in peggioramento, e che hanno delle implica-zioni estremamente concrete e visibili.

Tra gli squilibri più visibili e scandalosi vi è quellorelativo all’alimentazione: non cessa di aumentare ilnumero di coloro che soffrono la fame, ma allo stessotempo aumentano i fenomeni di “sovra-alimenta-zione”, di spreco, di uso sconsiderato delle risorse. Sitratta di un esempio particolarmente significativo permostrare come gli effetti delle disuguaglianze si tra-ducano in un intreccio di questioni, sicuramente com-plesse, ma che con uno studio attento possono esseredecifrate e comprese. Lo squilibrio e l’ingiustizia nonsono un fenomeno “naturale”, ma il frutto di scelte po-

litiche ben precise compiute da donne e uomini chehanno la responsabilità di decidere, e a cui troppospesso noi stessi deleghiamo questa responsabilitàsenza nessun particolare controllo.

Si tratta di una notizia allo stesso tempo buona ecattiva: è una buona notizia perché significa che èpossibile fare qualcosa per raddrizzare la rotta, ma èanche “cattiva”, perché ci costringe a prendere una de-cisione, una posizione, un’iniziativa: nulla cambierà senoi stessi non porteremo avanti il cambiamento.

L’attenzione ai problemi globali si concentra facil-mente sulle persone più povere e vulnerabili. Si trattadi un’attenzione radicata nel cuore stesso del messag-gio evangelico, tradotto nell’opzione preferenziale per

i poveri, che articola uno dei principi della dottrina so-ciale della Chiesa. È necessario che il volto dei poveriaccompagni il nostro cammino, riempiendolo di quelcalore e di quella concretezza che nessuna ideologiapolitica o proposta sociale potrà mai avere: il senti-mento di appartenere alla stessa famiglia umana cheporta necessariamente a riconoscere la piena dignitàdi ogni persona fatta a immagine e somiglianza delCreatore, ogni donna e ogni uomo che abita (e abi-terà) il pianeta.

La Laudato si’ conduce a completare tale profondaconsapevolezza con una necessaria ”conversione eco-logica” e con un’alleanza da stringere con il creato, lacasa comune di tutto il genere umano. La necessariacura verso «tutti gli uomini e verso tutto l’uomo» ciporta, dunque, in un mondo sempre più consapevoledei limiti del pianeta e delle trasformazioni devastantiche lo stanno toccando, ad ampliare necessariamentelo sguardo: le condizioni della singola persona che in-

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Introduzione

DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

L’attenzione ai problemi globali si concentra facilmentesulle persone più povere e vulnerabili. È un’attenzione ra-dicata nel cuore stesso nel messaggio evangelico, tra-dotto nell’opzione preferenziale per i poveri, che articolauno dei principi della dottrina sociale della Chiesa

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contriamo, il nostro “prossimo”, non può che allargarsinei cerchi concentrici della “carità intelligente” di cuiparlava papa Benedetto XVI alle cause di tali povertà,alle ragioni strutturali che rendono tale povertà un fe-nomeno costante ma certo non inevitabile delle so-cietà umane.

È in questo che vogliamo tradurre la famosaespressione di San Paolo VI, secondo cui «la politica èla forma più alta di carità». Una carità che si componedi alcuni elementi inscindibili: la concretezza della sin-gola persona che incrocia il nostro cammino; quella ditutte le persone la cui dignità è violata nel non poterdare una risposta minima ai propri bisogni essenziali(nonostante un pianeta che – come numerosissimi

studi dimostrano – fornisce risorse in grado di soddi-sfare “sostenibilmente” una popolazione ben supe-riore a quella che abita attualmente il pianeta); di unacasa comune dove le abitudini di consumo di una pic-cola minoranza logorano in modo insostenibile, pro-vocando allo stesso tempo irreversibili trasformazioni;le cause alla base di questi fenomeni, i meccanismiche tollerano (e per certi aspetti promuovono attiva-mente) caratterizzazioni del mondo in cui viviamo.

La povertà, la fame, il cambiamento climatico sonofenomeni che non possono essere ignorati. Ma oc-corre andare alle loro cause profonde, che trovanonelle crescenti disuguaglianze presenti nella famigliaumana il vero cuore del problema.

San Paolo VI: «la politica è la forma più alta di carità». Una carità che si compone di ele-menti inscindibili: la concretezza della singola persona che incrocia il nostro cammino;quella di tutte le persone la cui dignità è violata nel non poter dare una risposta minimaai propri bisogni essenziali; di una casa comune dove le abitudini di consumo di unapiccola minoranza logorano in modo insostenibile, provocando allo stesso tempo irre-versibili trasformazioni; le cause alla base di questi fenomeni

4 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Uno sguardo diversoE proprio il mondo in cui viviamo, con le persone

concrete che incontriamo, ci indica la necessità di unasempre maggiore consapevolezza e attenzione sullecause, i meccanismi che non sono in grado di assicu-rare le condizioni minime di dignità materiale a ogniessere umano. Questo richiede un supplemento di at-tenzione, di comprensione, fino a un vero e propriocambio di paradigma: non è più sufficiente occuparsidella povertà senza porla nel contesto di una cre-scente disuguaglianza. Si tratta di una prospettiva si-gnificativamente diversa: occuparsi dei poverisignifica in qualche modo guardare agli effetti di unfenomeno, mentre indagare sulle disuguaglianze esulle loro cause significa concentrarsi sulle radici dellapovertà stessa: come nel caso di un bravo medico chedeve curare i sintomi di un malanno, ma non può noninterrogarsi sulle cause di quei sintomi, e sul modo dirimuoverle. Si tratta di adottare uno sguardo piùampio, per certi aspetti più complesso e faticoso daabbracciare, ma non per questo meno concreto; e cer-tamente sempre più necessario.

Significativamente, l’attenzione alle disuguaglianzeper lungo tempo è stato un problema consideratomarginale nel contesto della formulazione delle poli-tiche: l’idea largamente condivisa era che promuo-vendo la crescita economica sarebbe stato possibileprocedere a una distribuzione dei benefici da essa de-rivati; anzi, il beneficio derivante dal progresso econo-

mico delle fasce di popolazione più ricche sarebbe“sgocciolato” sui più poveri: è questa la teoria del tric-kle down (sgocciolamento, appunto), che a dispetto diogni dimostrazione empirica ha garantito la più intui-tiva, ma ingannevole, impalcatura concettuale a moltidecenni di teoria e pratica dello sviluppo. I fatti dipin-gono invece una realtà profondamente diversa. Ditutta la crescita economica avvenuta tra il 1980 e il2016, il 27% è andato a beneficio dell’1% della popo-lazione mondiale, i ricchi più ricchi che hanno visto iloro redditi e la loro ricchezza aumentare in modo as-solutamente sproporzionato. Meno della metà delguadagno di questi ricchissimi, cioè il solo 12%, è an-dato a beneficio della metà più povera della popola-zione mondiale. La curva ”a elefante” (figura sotto) 1

mostra con chiarezza l’ineguale distribuzione della ric-chezza derivante dalla crescita economica nel periodoconsiderato, la cui promessa (e possibilità) era quelladi eradicare la povertà dal pianeta, e che non ha fattoaltro che aumentare la concentrazione del potere eco-nomico.

1. Al cuore del problema:verso un cambio di paradigma

LA CURVA “A ELEFANTE” DELLA DISUGUAGLIANZA GLOBALE E DELLA CRESCITA | 1980-2016

10 20 30 40 50 60 70 80 90 99 99.9 99.99 99.999

Gruppi di reddito (percentili)

Cres

cita

del

redd

ito re

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(%)

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Il 50% più poveroha goduto del 12%della crescita totale

L’emergere deiPaesi più poveri

Sull’asse orizzontale, la po-polazione mondiale è di-visa in cento gruppi diuguale dimensione ordinatiin ordine crescente da sini-stra a destra, in base al li-vello di reddito di ciascungruppo. Il gruppo più ricco è

diviso in dieci gruppi; ancheil più ricco di questi gruppi è

diviso in dieci gruppi e ilgruppo superiore viene nuova-

mente diviso in dieci gruppi diuguale dimensione in base alla po-

polazione. L’asse verticale mostra lacrescita del reddito totale di un indivi-

duo medio in ciascun gruppo tra il 1980 eil 2016. Per il 10% più povero tra l’1% più ricco

del mondo, la crescita tra il 1980 e il 2016 è stata del74%. Come si vede, nel periodo considerato l’1% più

ricco ha beneficiato del 27% della crescita totale. Le stimedel reddito tengono conto delle differenze nel costo dellavita tra i Paesi. I valori sono al netto dell’inflazione.

Fonte: Alvaredo et al., World inequality report 2018

La compressione del 90%più povero in USA

ed Europa Occidentale

L’1% ha beneficiatodel 27% della crescita

totale

Prosperità dell’1%

5DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

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Oltre a raccontare dell’impressionante vantaggioottenuto da una piccolissima parte della popolazioneglobale (concentrata nella parte destra del grafico, la“proboscide dell’elefante”), questo grafico segnalaanche altri elementi importanti. Nella proporzione direddito “catturata” dal 50% più povero della popola-zione globale, si vede con chiarezza un effetto diemersione nei Paesi più poveri del pianeta dove, par-tendo da livelli di reddito spesso estremamente bassi,si produce un fenomeno di uscita dalla povertà. Si evi-denzia però anche che la parte più povera della po-

polazione mondiale, tra il 5 e il 10%, collocata nel mar-gine sinistro del grafico, ha beneficiato di questa cre-scita in misura ancora più limitata rispetto ai penultimidella classifica: sui più poveri dei poveri la ricchezza“sgocciola” ancora di meno… Colpisce poi la partecentrale del grafico: la sostanziale stagnazione delleclassi intermedie di reddito, che può essere interpre-tata in particolare con la “compressione” del 90% piùpovero (e all’interno di questo, delle classi medie) inEuropa Occidentale e (soprattutto, come si vedrà poi)negli USA.

Come si misura la disuguaglianza? Come sempre, quando si parla di statistiche, numeri, indicatori occorre superare lanebbia dell’obiettività percepita per comprendere come differenti misurazioni mettono in evidenza cose diverse, e inquesto modo anche definire e indicare cosa è giusto guardare. Per limitarsi alle disuguaglianze di reddito, la misura piùpopolare e in un certo senso lo “standard” a livello internazionale è il cosiddetto indice di Gini. Esso viene calcolato distri-buendo statisticamente su una curva le persone in base al loro reddito, cumulativo. In un grafico di forma quadrata se tuttele persone avessero esattamente la stessa proporzione di reddito la curva (detta curva di Lorenz) sarebbe rappresentatada una perfetta diagonale. Se invece tutte le persone non possedessero nulla, e solo l’ultima persona, quella più ricca, be-neficiasse di tutto il reddito disponibile, ci troveremmo in una società “perfettamente disuguale”. L’indice di Gini misuradunque l’area (in azzurro, nella figura) che rappresenta loscarto della curva reale da quella della perfetta ugua-glianza, assumendo un valore tra 0 e 1. L’indice di Gini hail vantaggio di essere sintetico e di permettere una facilecomparazione tra sistemi diversi, ma ha anche difetti im-portanti: in particolare di essere sensibile soprattutto acambiamenti nella “pancia” della curva di Lorenz. Ma nonè molto sensibile alle variazioni nelle “code” della curva:se, ad esempio, molte persone poverissime diventasseroancora più povere, e allo stesso tempo i più ricchi diven-tassero ancora più ricchi, l’indice di Gini non varierebbe.L’esempio del Messico nella figura sottostante 2 illustrabene questo paradosso. La proporzione del reddito deicinque decili centrali tra il 1990 e il 2010 cala dal 61,9% al49,5%; l’indice di Gini conseguentemente scende del 5%.Ma il grafico mostra la parte superiore e inferiore spostate in direzioni opposte: il 40% più povero della popolazione passadal percepire circa il 21% del reddito disponibile a poco più dell’11%; mentre i più ricchi che disponevano del 18% nel 1990,arrivano a disporre del 38% del reddito disponibile nel 2010! Dal grafico, è difficile vedere come possa essere difesa la per-cezione data dalla caduta del 5% dell’indice di Gini.Una possibile alternativa all’indice di Gini è stata elabo-rata dall’economista cileno José Gabriel Palma, che ha no-tato che la distribuzione per le classi centrali di reddito(dal secondo al sesto decile) tende ad essere abbastanzacostante. L’indice da lui proposto, il cosiddetto indice diPalma, consiste nel misurare il rapporto tra il reddito del10% più ricco e quello del 40% più povero. Nel caso delMessico illustrato nella figura, l’aumento dell’indice diPalma dallo 0,80 al 2,8 segnala con dei numeri la perce-zione dell’aumento della disuguaglianza colta intuitiva-mente nell’osservare il grafico. In queste pagine si impiega spesso un’ulteriore misura,meno raffinata da un punto di vista statistico ma molto piùintuitiva: la proporzione del reddito percepito dal 10% piùricco, o in alcuni casi dall’1% più ricco della popolazione. Si tratta di una misura molto utilizzata nel recente World InequalityReport 3, da cui sono tratti molti dei grafici e dati citati in queste pagine. Ogni calcolo e analisi sui temi della disuguaglianzasi deve comunque confrontare con dati largamente lacunosi e spesso difficili da comparare. È infatti solo relativamente re-cente il tentativo di ricostruire delle serie statistiche coerenti, comparabili e valide (in varia misura) per tutti i Paesi.

MISURARE LA DISUGUAGLIANZA (DISUGUAGLIANZA DI REDDITO)

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Perc

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Percentuale famiglie20 40 60 80 100

Curva di Lorenz

Area che rappresentalo scarto della perfettauguaglianza

Curva della perfettauguaglianza

B

A

Curvadella completa

uguaglianza

INDICE DI GINI

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50

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10

01990 2010

InferioreIntermedioSuperiore

PARAGONE DISTRIBUZIONE REDDITO | MESSICO

6 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Il fenomeno di concen-trazione della ricchezza haavuto luogo in tutto il pia-neta, ma non allo stessomodo. Se si osserva l’an-damento della proporzio-ne di reddito nazionalegoduto dal 10% più riccodella popolazione, si vedecon chiarezza come essosia aumentato praticamen-te ovunque nel mondo apartire dagli anni ’80 delsecolo scorso: ad esem-pio negli Stati Uniti e Ca-nada del 2016, il 47% delreddito nazionale è stato percepito dal 10% piùricco, rispetto al 34% nel 1980. Tale fenomeno è ri-scontrabile su tutto il pianeta, il che lascia supporreche le sue radici siano di carattere strutturale, e ra-dicate nel sistema globale. Tuttavia, esso non si èprodotto allo stesso ritmo in tutte le regioni delmondo: come mostra la fi-gura in alto, deve esseresicuramente notata la cre-scita più lenta del feno-meno in Europa, che nel1980 aveva un livello didisuguaglianza tra i piùalti del pianeta e che neglianni più recenti è unadelle regioni del pianetameno disuguale.

Questi dati dimostranoanche un altro argomentomolto importante: non so-lo la disuguaglianza non èuna caratteristica inevita-bile della storia, ma cheanche quando essa rap-presenta una spinta a li-vello globale, può essere contrastata efficacementeda politiche ben studiate. Come si può vedere nella fi-gura a destra 4, dopo un picco verificatosi nel periodotra le due guerre mondiali, le disuguaglianze a livelloglobale erano diminuite verticalmente in coincidenzadei tragici eventi bellici degli anni ’40. Le politicheadottate dopo la Seconda guerra mondiale avevanopermesso una loro ulteriore riduzione (soprattutto inEuropa) fino agli anni ’70-80 del secolo scorso,quando esse ripresero ripreso a salire vertiginosa-mente.

Queste riflessioni suggeriscono un vero e propriocambiamento di paradigma: l’attenzione alle personepiù deboli e più vulnerabili non può trovare una di-

men-men-

mensione di reale efficacia se non considerando ilsistema che è alla radice di quelle fragilità. Paradossal-mente, da un certo punto di vista, per aiutare i poveribisogna cambiare i ricchi.

Ricchezza e patrimonio pubblicoI dati ricordati fino ad ora e che segnalano una cre-

scente disuguaglianza di reddito, non rappresentanotuttavia l’unico modo di osservare la disuguaglianza.Da un punto di vista prettamente economico, esistela dimensione della disuguaglianza di ricchezza che,invece di misurare il “flusso” dato da reddito (cioè l’am-montare guadagnato in un dato periodo di tempo),misura lo “stock”, vale a dire il patrimonio o la ricchezzaesistente in un dato momento nel tempo. Le duegrandezze sono naturalmente collegate, poiché è na-turale che chi guadagna di più detenga alla fine unaquota di ricchezza maggiore; ma gli elementi che pos-sono provenire da tale tipo di analisi sono comunque

60%

50%

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30%

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LE DISUGUAGLIANZE DAL 1900 AL 2020: EUROPA, GIAPPONE, STATI UNITI

Fonte: Alvaredo et al., 2018

IndiaUSA –CanadaRussiaCinaEuropa

1980 1985 1990 1995 2000 2005 2010 2015

Fonte: Picketty, Capital et idéologie

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Stati Uniti

Europa

Giappone

7DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

1900 1910 1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010 2020

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ANDAMENTO DEL REDDITO DEL 10% PIÙ RICCO DELLA POPOLAZIONE | 1980-2010

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molto significativi. L’au-mento delle disugua-glianze di reddito sonostate accompagnate daun aumento delle disu-guaglianze di ricchezza,che erano calate in modograduale dai livelli estre-mamente alti dell’iniziodel XX secolo. A partiredagli anni ’80-90 del se-colo scorso esse hanno ri-cominciato a salire, senzatuttavia toccare di nuovo ilivelli del secolo prece-dente (vedi figura in alto).Questo aumento è statoguidato soprattutto dall’aumento della ricchezza de-tenuta dall’1% della popolazione globale.

Come si nota (e comprensibilmente), la ricchezzaaumenta e diminuisce in maniera più graduale ri-spetto al reddito, e costituisce una sorta di camera dicompensazione, a cui soprattutto i ceti più ricchi pos-sono attingere per salvaguardare i propri livelli di con-sumo.

La tendenza più importante degli ultimi 50 anni ètuttavia un’altra, e si riferisce all’importante sposta-mento dalla ricchezza detenuta dagli stati verso quelladetenuta dai privati. Tale spostamento, rappresentatonella figura in basso, è significativo non tanto perchénon sia positivo l’aumentodel patrimonio privato(anche se, come abbiamovisto, esso è andato a be-neficio soprattutto di chiera già ricco); quanto per-ché la diminuzione del pa-trimonio pubblico alludein qualche modo all’inde-bolimento delle strutturestatali, e dunque a una mi-nore capacità di svolgerequel ruolo redistributivoin grado di offrire un ba-luardo nei riguardi dellacrescente disuguaglianza.

Questo grafico segnalaanche altri elementi, piùcomplessi ma di grandis-sima importanza (e cheverranno brevemente svi-luppati nelle prossime pa-gine): il patrimonio pub-blico “netto” che appare in diminuzione è dato infattidalla ricchezza attiva meno il debito. In altre parole,

questa tendenza ha a che vedere da una parte conuna diminuzione delle “attività” possedute dal settorepubblico, ma anche con l’aumento del debito.

L’andamento delle disuguaglianze di reddito e diricchezza influenzano naturalmente quella che è lapreoccupazione finale, cioè la disuguaglianza nei con-sumi delle persone: i beni e i servizi che le personepossono acquistare direttamente con il reddito a lorodisponibile assieme ai consumi permessi dalle politi-che pubbliche (grazie a politiche di redistribuzione oforniti direttamente, come ad esempio scuola e sa-nità). Sono queste ultime ad essere maggiormentetoccate dall’indebolimento del settore pubblico.

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ANDAMENTO DEL REDDITO DEL 10% PIÙ RICCO DELLA POPOLAZIONE | 1980-2010

Fonte: Alvaredo et al., 2018

1920 1930 1940 1950 1960 1970 1980 1990 2000 2010

Fonte: Alvaredo et al., 2018

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L'AUMENTO DEL CAPITALE PRIVATO E LA DIMINUZIONE DEL CAPITALE PUBBLICONEI PAESI RICCHI | 1970-2016

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8 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

SpagnaUKGiapponeFranciaUSAGermania

Capitaleprivato

Capitalepubblico

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I rischi delle disuguaglianzeI fatti sembrano abbastanza chiari. Negli ultimi de-

cenni è avvenuta dunque un’impressionante concen-trazione della ricchezza in tutto il mondo, anche se inmisura diseguale nelle diverse regioni geografiche,nella sostanziale inconsapevolezza dei decisori maanche dell’accademia, che non riteneva il problemadelle disuguaglianze come “interessante”. È invece sol-tanto negli ultimissimi anni che questo tema è diven-tato centrale nel dibattito, grazie al contributo distudiosi come Tony Atkinson, Thomas Picketty, Ri-chard Wilkinson, Kate Pickett, Branko Milanovic e altri.Il punto non è solo di prendere consapevolezza di unfenomeno che si è sviluppato dapprima sotto tracciaper esplodere poi con tutte le sue contraddizioni neglianni più recenti; ma anche quello di capirne le cause,le conseguenze sulla società e le possibili cure. Comeabbiamo visto il primo argomento di allarme nei ri-guardi delle disuguaglianze riguarda il fatto che la loropresenza distribuisce i benefici della crescita econo-mica in gran parte a favore delle classi sociali più ric-che, e che esse rappresentano un sostanziale ostacoload una vera lotta contro la povertà.

RISCHI DI CARATTERE ECONOMICOAnche il tema della lotta contro la povertà non è

stato in realtà un tema di convergenza e interesse peri decisori globali se non dopo gli anni ’90 del secoloscorso. Da quel momento essa è diventata il (teorico)fulcro di ogni prospettiva di sviluppo, e si è venuta co-struendo una sorta di “narrazione globale”, che de-scrive passi da gigante nella lotta contro la povertàcompiuti soprattutto a partire dal 2000, con l’ado-zione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. Talenarrazione è stata fortemente contestata da autoricome Jason Hickel 5. E in effetti, per poter valutare cosaè successo negli ultimi decenni a questo riguardo, oc-corre cogliere alcune importanti sfumature: l’analisidelle differenze per Paese mostracon chiarezza che la diminuzionedella povertà globale definita inbase a una soglia di 1,90 USD algiorno, è massicciamente dovutosoprattutto a pochi Paesi asiatici.Se si adottano soglie diverse dipovertà e si escludono dal calcoloPaesi come la Cina, si osserva conchiarezza che il numero dei po-veri è più o meno stazionariodall’inizio del millennio, dopo es-sere cresciuto nei decenni prece-denti; e che anche la diminuzionein percentuale è piuttosto lenta 6.

La crescita economica nonsembra in grado, di per sé, di ri-

solvere i problemi di povertà e di deprivazione, pro-prio a causa di una situazione di crescenti disugua-glianze. Secondo un recente rapporto dell’OCSE 7,l’impatto in termini economici di queste ultime rischiadi essere assai preoccupante, dato che: quando aumenta la disuguaglianza di reddito, la

crescita economica tende a diminuire; l’effetto negativo della disuguaglianza sulla crescita

è determinata dai suoi effetti sui più poveri: nonsoltanto l’ultimo decile ma fino al 40% dei percet-tori di reddito inferiore;

la redistribuzione tramite tasse e benefici monetarinon ha per forza un effetto negativo sulla crescita;

la disuguaglianza ha un effetto sulla crescita ancheattraverso la formazione del capitale umano: piùampia è la disuguaglianza di reddito, più bassa è lapossibilità di investimento in educazione per le fa-miglie più povere.

RISCHI DI CARATTERE SOCIALEPiù in generale però si è fatta strada la consapevo-

lezza che società più ingiuste sono società meno felici.Il saggio di Wilkinson e Pickett 8 è stato uno dei primi amettere in fila le evidenze di una correlazione positivatra disuguaglianze e indicatori di disagio sociale – sa-lute mentale, consumo di droghe, salute fisica, spe-ranza di vita, obesità, gravidanze in adolescenza,rendimento scolastico, violenza, livelli di carcerazione,mobilità sociale ecc. – con gli indicatori di disugua-glianza: con un semplice modello di regressione linearenon è possibile dedurre da questa correlazione un le-game causale diretto. Ma certamente è significativo ve-dere come società più eque siano quelle dove i sintomidi infelicità e disgregazione sociale sono più contenuti.

Il tema della mobilità sociale, in particolare, è me-ritevole di attenzione: società diseguali sono societàin cui è più difficile che giovani capaci provenienti dafamiglie con un reddito modesto riescano a svilup-

REDDITO DEI GENITORI E ACCESSO ALL'UNIVERSITÀ, STATI UNITI, 2014

Fonte: Piketty, Capital et idéologie

9DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

Percentile del reddito dei genitori0 10 20 30 40 50 60 70 80 90

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pare le loro capacità e possano metterle dunque a ser-vizio della società e del bene comune: società dise-guali sono dunque società “sprecone” del talento deipropri figli, e dove le responsabilità finiscono per es-sere attribuite sulla base di un misto tra caso e possi-bilità “ereditate”. Colpisce a questo riguardo il graficodi pagina 9, che mostra una quasi perfetta correla-zione tra le possibilità economiche dei genitori e l’ac-cesso a studi superiori, con riferimento alla situazionedegli Stati Uniti d’America. È giusto che le persone piùformate abbiano le responsabilità maggiori, ma spes-so esse sono diventate tali senza un particolare meritoe competenza personale.

RISCHI DI CARATTERE POLITICOLa dinamica della formazione del capitale umano

in tempi di crescente disuguaglianza rappresenta unodei sintomi di un fenomeno più generale assai rile-vante: la concentrazione di potere economico e finan-ziario (in buona parte quindi “ereditario”), e di poterepolitico. Secondo Branko Milanovic 9, tale concentra-zione ha determinato la nascita di una vera e propria“plutocrazia globale” composta da quel manipolo diricchissimi che hanno beneficiatodella maggior parte della crescitadegli ultimi anni. È chiaro che taleconcentrazione di potere econo-mico e politico rischia di avere dei ri-svolti pericolosi: chi ha le possibilitàdi cambiare radicalmente il sistemanon ha in realtà alcun interesse amodificare una situazione che gligarantisce una stabile rendita di posizione; mentre chisi trova al margine della società in una condizione divulnerabilità e incertezza non trova alcun appiglio perinnescare il cambiamento; sono queste fasce socialiche paradossalmente si trovano a offrire conferma aquelle stesse élite politiche che difficilmente mette-ranno in discussione lo status quo.

Al rafforzamento delle élite economiche, secondoMilanovic, si unisce l’indebolimento e la precarizza-zione delle classi medie che si trovano sempre più so-spinte verso posizioni populiste o “innatiste”: è signi-ficativa (in Europa e in Nord America) la presenza diflussi di migranti non gestiti in modo appropriato intermini di integrazione a rappresentare il terreno diconfronto e anche di scontro, che degenera verso unaridefinizione dei principi stessi della convivenza demo-cratica (come i diritti umani) nel tentativo di una vanaprotezione della società occidentale dalle ondate dellaglobalizzazione. L’analisi di Milanovic è interessanteperché proviene da uno studioso che ha avuto respon-sabilità importanti anche all’interno della Banca Mon-diale, e che non si può certo accusare di essere unpericoloso estremista; ed è significativa perché mostra

con chiarezza come i fenomeni di carattere economico,politico e sociale sono strettamente interconnessi.

L’aumento delle disuguaglianze (forse in molti casiancor più del loro livello assoluto) provoca l’erosionedella percezione di sicurezza, in particolare da parti delleclassi sociali medie, che si trovano a dover esercitareogni sforzo per non scivolare in una situazione di pre-carietà ancora maggiore. E in questo contesto si diffon-dono fenomeni di “autodifesa” delle proprie (sia purpiccole e precarie) certezze materiali. La lotta tra poveridiventa la norma, e genera una società basata sullapaura e sul rancore10, dove trova facile gioco un’agendapolitica che di questa insicurezza fa la propria bandiera,in modo spesso del tutto indipendente dai dati di realtà.

Esiste un ultimo e fondamentale argomento chedeve essere sviluppato, in particolare riferimento alcontesto della cura per la nostra casa comune e delcambiamento climatico. È consapevolezza ormai co-mune che tutta l’umanità sia nel pieno di una transi-zione che dovrà portare verso un modello di sviluppoe uno stile di vita complessivamente molto più attentoagli impatti sul pianeta dei comportamenti umani.Ogni transizione genera però naturalmente delle ten-

sioni e dei costi che, in una società globale segnatadalle disuguaglianze, tendono a scaricarsi sulle per-sone più povere e vulnerabili. Questo è il senso pro-fondo della questione fortemente sottolineata dapapa Francesco nella Laudato si’: «Non ci sono due crisiseparate, una ambientale e un’altra sociale, bensì unasola e complessa crisi socio-ambientale» (LS 139).

Un mondo più disuguale è dunque un mondo piùingiusto e meno rispettoso della dignità umana, in cuiperò l’attenzione esclusiva alla povertà e all’inclusionenon consente di cogliere pienamente le dinamicheche di questa povertà sono causa. Concentrarsi sul mi-surare obiettivamente la povertà conduce a un’atten-zione per lo “spostamento” di coloro che sono definitipoveri al di sopra di una soglia data, senza curarsi sequesto avviene in modo più o meno equo o rispettosodei principi di giustizia e dignità. Ad esempio un con-tadino che trova lavoro in una piantagione può inquesto modo (almeno temporaneamente) essere clas-sificato come “non povero”, anche se questo tipo di im-piego aumenta la sua dipendenza e vulnerabilità, ediminuisce la prospettiva di un suo accesso alle risorseper garantire la propria sussistenza 11.

Tutta l’umanità deve impegnarsi per una transizione versoun modello di sviluppo più attento agli impatti sul pianeta.Ogni transizione genera però delle tensioni e dei costi che,in una società segnata dalle disuguaglianze, tendono ascaricarsi sulle persone più povere e vulnerabili

10 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Quattro dimensioni della disuguaglianzaFocalizzare la propria attenzione sulle disugua-

glianze di reddito e di ricchezza, e più in generale sulledisuguaglianze di carattere economico, non rende giu-stizia alla complessità del problema. Le disuguaglianzehanno radici nella cultura e nella psicologia di ogni per-sona, scavano nelle faglie delle società, polarizzano lapolitica. Mantenere l’attenzione sui soli argomenti dicarattere economico spinge a ritenere questi come i solidegni di attenzione, come se il benessere delle personenon dipendesse (talvolta anche in misura assai più con-sistente) anche da altre cose; e spinge a considerarecome unico orizzonte di formulazione delle politicheproprio quelle che hanno a che vedere con il redditoe/o la ricchezza. Si tratta invece di un fenomeno multi-dimensionale 1, in cui gli aspetti di carattere sociale eculturale devono trovare un pieno riconoscimento.

Le disuguaglianze (sia quelle di carattere econo-mico, sia quelle che hanno una radice sociale, politicao culturale) non sono però articolate sempre nellostesso modo, né articolano le loro conseguenze inmodo sempre uguale. Proprio per cogliere fino infondo le loro implicazioni, è utile distinguere quattrotipi di disuguaglianze, come nella figura a destra.Un’attenzione rivolta esclusivamente o prevalente-mente alle DISUGUAGLIANZE ORIZZONTALI può es-sere considerata coerente con la preoccupazionerelativa alla povertà e con la situazione di marginalitàdi alcuni gruppi. Tale preoccupazione genera conse-guenze di policy orientate all’inclusione, e con iniziativedi “azione affermativa” in favore di alcuni gruppi sociali.Si tratta di un’attenzione importante: nelle nostre so-

cietà vi sono ancora gravissime sacche di esclusione ediscriminazione che vanno affrontate e superate. Traqueste forse la più importante è quella nei riguardidelle donne e delle ragazze (vedi box). Esistono tuttaviaanche altre forme di grave discriminazione ed esclu-sione che conducono a forme di disuguaglianza oriz-zontale: ad esempio quelle che riguardano minoranzeetnolinguistiche oppure determinati gruppi sociali(come ad esempio i migranti o i figli delle persone stra-niere). Nel mondo di oggi diventano frequenti i casi didiscriminazione ed esclusione su base religiosa.

2. Un tema complesso: qualcheidea per orientarsi1

Disuguaglianzaorizzontale

(tra gruppi sociali)

Disuguaglianzaverticale (all’internodi ogni aggregato)

Disuguaglianzaspaziale

(tra regioni)

Disuguaglianzaintergenerazionale

LE DIVERSE DIMENSIONI DELLA DISUGUAGLIANZA

Fonte: Prato. The struggle for equity

Nel passare in rassegna indicatori di ogni tipo, colpisce che l’universo femminile emerga sempre come più povero, vulne-rabile, emarginato rispetto alla parte maschile della popolazione del pianeta. Un esempio tra i tanti: le donne tra i 25 e i 34anni hanno il 25% di possibilità in più di vivere in estrema povertà rispetto agli uomini della stessa età, e il rischio di speri-mentare una situazione di insicurezza alimentare è più alto del 10% per le donne a livello globale. L’esperienza della maternitàcontinua a essere associata a un grave rischio: nel 2017 quasi 300 mila donne sono morte per complicazioni legate al parto. La disuguaglianza tra i sessi è un fenomeno diffuso, con accenti e caratterizzazioni diverse, in tutto il mondo. Molti com-portamenti gravemente discriminatori hanno profonde radici culturali, come ad esempio la pratica delle mutilazioni ge-nitali femminili (subite da almeno 200 milioni di donne nel mondo di oggi), oppure dei matrimoni precoci. Anche lesocietà del nord globale esprimono un livello di violenza intollerabile nei riguardi delle donne, frequentemente proprioall’interno delle famiglie stesse. La discriminazione si articola in meccanismi di esclusione di “sistema”, sul piano economico, sociale e politico, ma ancheistituzionale. Secondo un recente studio della Banca Mondiale sono soltanto sette i Paesi a livello mondiale che garanti-scono piena uguaglianza tra i sessi con riferimento ai diritti legali che hanno a che vedere con il lavoro. A livello globaleil tasso di partecipazione delle donne tra i 25 e i 54 alla forza lavoro è del 55%, rispetto al 94% degli uomini.Vedi anche https://www.chiudiamolaforbice.it/2019/06/17/la-disuguaglianza-e-donna/

LA DISUGUAGLIANZA CHE COLPISCE LE DONNE, LE RAGAZZE, LE BAMBINE

11DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

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12 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Nel quadro che stiamo delineando, le discrimina-zioni vanno stigmatizzate in quanto ledono il principiodella pari dignità di ogni essere umano. Ma un’azioneaffermativa è necessaria nella misura in cui esse gene-rano disuguaglianze, cioè condizioni diverse per il solofatto di appartenere a un certo gruppo sociale. L’au-mento e la radicalizzazione delle discriminazioni e delledisuguaglianze orizzontali rappresenta un elemento didisgregazione sociale, ed è stato identificato come unodei fattori chiave nello sviluppo del conflitto violento 2.La lotta contro le discriminazioni e le disuguaglianze diquesto tipo è un segno di necessaria civiltà; ma il ri-schio è che senza incidere a livello di sistema, la lottacontro di esse non riesca a produrre dei risultati dure-voli, traducendosi, in qualche modo, in una opzioneconfermativa nei riguardi del sistema stesso che pro-duce ingiustizia, anche se ci sforziamo di correggernele storture più evidenti (e forse neanche tutte…).

Questo non vuol dire, naturalmente, che occorraabbassare la guardia nella lotta contro l’esclusione ela discriminazione! Ma secondo il già citato Branko Mi-lanovic esistono almeno tre ragioni per le quali questoapproccio non è sufficiente, ed è necessario invece ri-volgere la massima attenzione ai fenomeni di disu-guaglianza estrema o DISUGUA-GLIANZA VERTICALE 3: in primo luogo perché l’atten-

zione esclusiva ai fenomeni di di-suguaglianza orizzontale rischiadi acquisire un carattere identita-rio, equivalente e speculare aquello a cui ci si vorrebbe op-porre. Per prendere un esempioche tocca da vicino la nostra re-altà, costruire delle politiche “per gli stranieri” rischiadi porli in opposizione con il resto della popola-zione, con politiche affermative che rischiano di es-sere percepite come discriminazioni “preferenzialie ingiuste”4. E di aprire la strada ad una deriva doveil pericolo è quello di definire i diversi gruppi socialicome elemento di divisione e segmentazione, ren-dendoli mutualmente incompatibili 5;

in secondo luogo, il rischio è quello di confonderel’effetto con le cause, lasciando fondamentalmenteirrisolto il problema fondamentale delle radici delledisuguaglianze: si può includere, ma il sistema cheha generato l’esclusione rischia di venirne addirit-tura confermato e rafforzato;

infine, il rischio è che l’attenzione esclusiva alle di-mensioni orizzontali della disuguaglianza sempli-fichi eccessivamente il problema politico: nondovendo affrontare il problema della convergenzatra concentrazione di potere economico e di po-tere sociale e politico, non deve risolvere il pro-blema dell’opposizione al cambiamento.

L’attenzione alla disuguaglianza verticale implicaun elemento di carattere trasformativo, poiché inter-roga il sistema nel suo insieme e non soltanto le sueconseguenze.

Le DISUGUAGLIANZE GEOGRAFICHE rappresen-tano un fenomeno estremamente importante nelmondo in cui viviamo, e a cui bisogna prestare un’at-tenzione maggiore di quanto fatto finora. Un mondoglobalizzato è anche un mondo in cui la mobilità è digran lunga facilitata, dove la circolazione delle infor-mazioni è molto più veloce, e dove la vita in un’altraregione o Paese può essere facilmente percepitacome “migliore”. Il tema delle disuguaglianze geogra-fiche è stato in qualche modo oscurato dal fatto dipercepire la povertà come essenzialmente collocatanei Paesi poveri.

Anche in Italia, però, i fenomeni di squilibrio terri-toriale sono sempre stati un oggetto di attenzione edi riflessione (come nel caso della “questione meridio-nale”). Ciò che rappresenta oggi una novità è la mag-giore consapevolezza di una disuguaglianza tra lepersone che si trova radicata in questa disparità terri-toriale, tra diversi Paesi, tra regioni dello stesso Paese 6,ma anche tra aree “interne”, cioè quelle più lontane dai

collegamenti e dai servizi, caratterizzate da fenomenidi invecchiamento, spopolamento e fragilità di carat-tere economico). I fenomeni di disuguaglianza geo-grafica sono il contesto in cui si sviluppano (estoricamente si sono sviluppati) i fenomeni di migra-zione. Il fattore che motiva il progetto migratorio deisingoli è spesso infatti quello relativo al differenzialepercepito tra le condizioni di vita nei diversi luoghi diorigine e di destinazione molto più che alla povertà oalla deprivazione in senso stretto.

È infine necessario menzionare un tema di DISU-GUAGLIANZA GENERAZIONALE, per la quale il sem-plice fatto di essere nati in un decennio piuttosto chein un altro segna le nostre vite in termini delle possi-bilità che ci verranno offerte. In un mondo dove, adesempio, le condizioni di lavoro diventano sempre piùvulnerabili e precarie, i giovani tendono a vivere unacondizione di fragilità generalizzata, e a sviluppareuna prospettiva di “galleggiamento” ben diversa dallesperanze che avevano permesso ai loro stessi genitoridi costruire il proprio progetto di vita. Uno studio

Un mondo globalizzato è anche un mondo in cui la mo-bilità è facilitata, la circolazione delle informazioni è moltopiù veloce, e la vita in un’altra regione o Paese può esserepercepita come “migliore”. Il tema delle disuguaglianzegeografiche è stato “oscurato” dal fatto di percepire la po-vertà come essenzialmente collocata nei “Paesi poveri”

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dell’OCSE del 2014 7 segnala proprio come il rischio dipovertà che veniva associato tradizionalmente conl’età avanzata, si è spostato in maniera decisa nel corsodegli anni proprio alle fasce più giovanili della popo-lazione.

Ma l’eredità più importante che i giovani ricevonoè quella di una disuguaglianza radicata sulla disponi-bilità di risorse sul pianeta, che stiamo consumando aun ritmo molto più veloce di quanto il pianeta stessopossa rigenerare. Il che significa, in termini molto sem-

plici, che viviamo attualmente “a credito” delle gene-razioni che seguiranno la nostra. Il giorno del “sovra-sfruttamento” (World Overshoot Day) è il giorno in cuil’umanità termina le risorse che il pianeta è in gradodi rigenerare in un anno solare e comincia a consu-mare quelle del futuro: nel 2019 questo giorno è ca-duto il 29 luglio, in anticipo sull’anno precedente,come avviene ogni anno. Il che vuol dire che que-st’anno è come se avessimo bisogno di 1,75 pianetiper mantenere il nostro livello di consumo 8.

Secondo il rapporto Spotlight on financial justice, le crescenti disuguaglianze crescenti tra il Nord e il Sud globalisono state storicamente riprodotte e intensificate attraverso le generazioni, diventando una caratteristica cen-trale del nostro tempo. Le attuali regole dell’economia globale riproducono un circolo vizioso di disugua-glianza: una crescente disuguaglianza economica e di ricchezza tende a faraumentare la disuguaglianza politica, attraverso un aumento della capacità delleélite finanziarie e corporate nell’influenzare i processi di decisione.Dopo la crisi finanziaria globale del 2008, mentre le principali banche venivanosalvate a spese dei contribuenti, gli stati trascuravano i diritti umani fondamentaliricorrendo a misure di austerità. Questo creava impatti pervasivi sulla vita dellepersone in tutto il mondo, tra i quali la riduzione dell’accesso alle risorse naturalicomuni, la limitazione nell’erogazione di servizi pubblici di base come l’assistenzasanitaria, e l’edilizia per i gruppi più svantaggiati. L’aumento delle disuguaglianze,attraverso i fenomeni di finanziarizzazione che ne costituiscono una delle causeprincipali, sono la conseguenza delle regole del gioco ingiuste del sistema econo-mico globale.Il rapporto esamina l’impatto delle dinamiche di finanziarizzazione sotto diversipunti di vista, ed è articolato in cinque capitoli tematici: 1. Cibo e terra; 2. Salute;3. Diritti delle donne; 4. Edilizia abitativa; 5. Politiche infrastrutturali.

RIFLETTORI SULLA GIUSTIZIA FINANZIARIA

Spotlight on

Funded by the European Union

1

Download Report:https://bit.ly/33kVGQ

Le radici profonde delle disuguaglianzeSi può parlare di cause profonde delle disugua-

glianze? Oppure è necessario parlare di contesti in cuile disuguaglianze tendono ad aumentare facilmente?In ogni caso è importante essere consapevoli del fattoche le disuguaglianze non sono il frutto di un destinoineluttabile, ma sono la chiara conseguenza di sceltecompiute dai decisori, avallate e confermate, in qual-che misura, da tutti noi. Compresa l’inazione di frontealle sfide poste da cambiamenti che vediamo avveniresul pianeta e nell’umanità. Uno dei fenomeni che caratterizzano in modo più

profondo questi decenni e che più strettamentesono legati alla crescente disuguaglianza è quellorelativo alla altrettanto crescente finanziarizzazionedell’economia. La dimensione degli attivi finanziari“ombra”, l’aumento delle transazioni OTC 9, l’as-senza di regolazione, l’utilizzo di “sottostanti” 10 realisolo per finalità speculative: tutto questo porta aun prevalere delle dinamiche finanziarie su quelleeconomiche, stimolando oltre misura gli investi-

menti in capitale e la loro remunerazione; anche laproprietà “reale” di imprese produttive può finirenelle mani di proprietà di tipo “finanziario” che de-siderano massimizzare la rendita del capitale nelbreve termine (a discapito dell’investimento nel la-voro e nella produzione). Coloro che detengono ilpotere economico-finanziario acquisiscono in que-sto contesto un peso negoziale assolutamentesproporzionato anche nei riguardi degli stessi statie istituzioni multilaterali, divenendo essi stessi ar-bitri delle regole del gioco 11.

Oltre alla concentrazione dei redditi da capitale edella proprietà degli asset produttivi, il rapporto trafinanziarizzazione dell’economia e disuguaglianzetocca anche altre questioni, incluse quelle relativealla relazione tra disuguaglianze, indebitamento 12

e sistemi fiscali. Le politiche di competizione fiscale(volte cioè ad attirare redditi alti e investimenti) neiPaesi dell’OECD hanno progressivamente indebo-lito la progressività fiscale, con conseguente van-taggio per i redditi più alti. In molti Paesi le poli-

13DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

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14 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

tiche di consolidamento fiscale che si sono avute aseguito delle crisi finanziarie, le cosiddette politichedi austerity, stanno mettendo in pericolo anche lacapacità dello stato di garantire i servizi essenziali,a spese delle fasce sociali più povere e vulnerabili,ma in un contesto dove non cessa di aumentare laquota della remunerazione del capitale 13.

Alle dimensioni legate alla finanziarizzazione del-l’economia sono collegate anche altre importantiquestioni. La globalizzazione produttiva che rendepossibile il veloce spostamento alla ricerca di con-dizioni migliori di remunerazione del capitale, siasotto il profilo dei costi che sotto quello dei regimifiscali. Questo si traduce in fenomeni più ampi: laperdita del potere contrattuale della componente“lavoro” nelle relazioni industriali, il calo del pesodel lavoro nel reddito nazionale (a beneficio dellacomponente “capitale”), processi di precarizzazionee flessibilizzazione del mercato del lavoro 14.

Un elemento fondamentale nel processo di au-mento delle disuguaglianze è quello relativo alcambiamento tecnologico, e ai fenomeni di cre-scita dell’economia digitale. Se dauna parte i cambiamenti tecno-logici offrono delle opportunitàmolto importanti, «il cambia-mento tecnologico non è neu-trale: i suoi effetti tendono a di-spiegarsi in modo asimmetrico intermini di impiego e remunera-zione di lavoro e capitale, tra igruppi sociali, tra le imprese, tra le aree geografi-che. Il cambiamento tecnologico riflette i rapportidi potere esistenti e contribuisce alla loro evolu-zione, con conseguenze rilevanti sulla distribu-zione del reddito» 15. L’effetto complessivo delcambiamento tecnologico, in linea con quanto os-servato sopra in relazione alla diminuzione delpeso del lavoro, è quello di favorire i profitti ri-spetto ai salari.

Il cambiamento climatico e i processi di deteriora-mento che colpiscono il pianeta rappresentano, erappresenteranno sempre più, fattori fondamentalinell’aumento delle disuguaglianze. Una prima con-siderazione riguarda la responsabilità dell’attivitàumana nei cambiamenti in atto nella biosfera: l’im-patto dell’attività dell’uomo è esacerbato dalle cre-scenti disuguaglianze che si concretizzano conpicchi di consumo ad opera delle fasce più ricchedella popolazione, come nei casi in cui si costrui-scono piste da sci in pieno deserto 16. Allo stessotempo, però, tali cambiamenti impongono unatransizione, il cui costo rischia di ricadere per lo piùsulle fasce più povere e vulnerabili della popola-zione del pianeta. L’erosione della base delle risorse

e della biodiversità, l’aumento dei fenomeni me-teorologici estremi, il cambiamento delle condi-zioni delle produzioni agricole, l’aumento dellivello del mare: sono tutte manifestazioni che col-piscono in primo luogo i più poveri, a qualsiasi la-titudine.

Esiste un ultimo fattore, e probabilmente è il piùimportante di tutti. Se accettiamo l’idea che l’au-mento delle disuguaglianze non sia il frutto neces-sario delle dinamiche economiche e sociali, ma siainvece il frutto diretto e indiretto di scelte ben pre-cise, è alle modalità attraverso cui tale scelte ven-gono compiute che la nostra attenzione devevolgersi. L’aumento delle disuguaglianze fa riferi-mento a un preciso periodo storico e trova la suaradice in un clima culturale altrettanto preciso, bensintetizzato da una frase di Margaret Thatcher: «Ènostro compito gloriarci nella disuguaglianza e ve-dere talenti e abilità che ricevono sfogo ed espres-sione a beneficio di tutti noi» 17. È un punto di vistaper cui il “libero fiorire” dei talenti, in un contesto disana competizione genera disuguaglianze “vitali” il

cui effetto finale è di beneficio per tutti. Ma la storiache abbiamo visto svolgersi negli ultimi decenniproduce effetti ben diversi… Il clima culturale le-gato alla diffusione delle idee neo-liberiste ha dun-que largamente contribuito alla diffusione di poli-tiche direttamente alla radice delle disuguaglianze,sulla base di un pregiudizio negativo nei riguardidel ruolo dello stato sia in termini di definizionedelle regole di fondo il cui il mercato deve agire, sianel suo ruolo in termini di redistribuzione. Lo stesso“spirito del tempo” ha facilitato una disattenzionenei riguardi ai pericoli di questo fenomeno, sia a li-vello accademico che a livello di opinione pubblica.Non è dunque sorprendente che tale clima cultu-rale generi politiche che hanno effetti diretti o in-diretti in termini di aumento delle disuguaglianze.Quanto tali disuguaglianze stiano giocando unruolo ben poco “vitale” nei fenomeni globali, è sem-pre più evidente e difficile da contestare…

Il dibattito sulle cause della disuguaglianza puòdunque essere articolato a diversi livelli: da una letturache tende a proporre correttivi specifici per superarealcune delle fonti delle disuguaglianze, fino al ricono-

Se accettiamo l’idea che l’aumento delle disuguaglianzenon sia il frutto necessario delle dinamiche economichee sociali, ma sia invece il frutto diretto e indiretto di scelteben precise, è alle modalità attraverso cui tale scelte ven-gono compiute che la nostra attenzione deve volgersi

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scere il tipo di clima culturale e anche di immaginariocollettivo che genera una base tutto sommato nonsfavorevole a politiche che queste stesse disugua-glianze portano ad aumentare. Esiste un terzo passag-gio, su cui non è possibile non soffermarsi almeno unattimo. Ed è quello di chiedersi se il sistema econo-mico prevalente oggi sul pianeta non abbia le disu-guaglianze come un “effetto collaterale”, elementoforse spiacevole ma che in qualche modo possa essere

mitigato; ma come meccanismo “funzionale” del si-stema economico mondiale, che vede la riproduzionedelle disuguaglianze e dell’esclusione come parte in-tegrante e necessaria di esso 18. È difficile dare rispostaa tale interrogativo, che deve però stimolarci a nondare per scontato che questo sistema economico siacomunque “il migliore dei sistemi possibili”, ma anzi achiederci quali possano essere le strade per la costru-zione di un’alternativa 19.

La necessità di una riflessione volta a esplorare alternative rispetto al sistema economico mondiale è centralenel magistero di papa Francesco. Per questa ragione il Papa ha convocato un evento internazionale dal titoloEconomy of Francesco, che avrà luogo ad Assisi tra il 26 e il 28 marzo 2020, nel chiaro segno del Santo, esempioper eccellenza della cura per i deboli e di una ecologia integrale.L’invito, rivolto ai giovani economisti, imprenditori e imprenditrici di tutto il mondo, è quello di «incontrare chioggi si sta formando e sta iniziando a studiare e praticare una economia diversa, quella che fa vivere e non uc-cide, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda».Una vera e propria chiamata alla corresponsabilità nel segno dell’Esortazione Chri-stus Vivit: «Per favore, non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento!Voi siete quelli che hanno il futuro! Attraverso di voi entra il futuro nel mondo.A voi chiedo anche di essere protagonisti di questo cambiamento. […] Vichiedo di essere costruttori del mondo, di mettervi al lavoro per un mondomigliore» (n. 174).Vedi: https://francescoeconomy.org/it

THE ECONOMY OF FRANCESCO

Disuguaglianze e sviluppo sostenibileL’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile è l’oriz-

zonte posto a tutti i Paesi del pianeta e, significativa-mente, contiene un’attenzione specifica al tema delledisuguaglianze: l’obiettivo 10 20 è infatti dedicato pro-prio a «ridurre le disuguaglianze all’interno di e fra lenazioni entro il 2030». Si tratta di un significativo passoin avanti, dato che nei precedenti Obiettivi di Sviluppodel Millennio tale elemento non era contemplato.L’adozione di un obiettivo specifico con questo focusè senza dubbio un’ottima notizia, poiché rappresentauna legittimazione importante su questo tema a li-vello globale. A fronte di tale importante riconosci-mento, occorre però mantenere un certo grado dilucidità sul reale significato di questi obiettivi. Ci sonoalmeno tre osservazioni che limitano grandemente laportata dell’obiettivo 10, rispetto al tema delle disu-guaglianze: In primo luogo, è chiaro che esistono molti ele-

menti delle disuguaglianze che devono essere ri-conosciuti in altre parti dell’Agenda 2030, come nelcaso importante dell’obiettivo 5 relativo alla ridu-zione delle discriminazioni di genere. Ma molti altriobiettivi contengono dei target specifici sulle disu-guaglianze (come ad esempio il target 4.5 sull’edu-cazione ), spesso rappresentati come “attenzione

alle categorie più vulnerabili”. Il tema è invece deltutto assente dall’obiettivo 12 sul “consumo soste-nibile” quando invece ogni evidenza dice che unconsumo più sostenibile è in primo luogo soprat-tutto un consumo meno disuguale! Rappresentare“una parte” del tema all’interno dell’obiettivo 10 nedefinisce i contorni e lo legittima nel dibattito pub-blico e istituzionale, ma lascia irrisolte alcune do-mande fondamentali.

In secondo luogo, che tipo di disuguaglianza èrappresentata nell’obiettivo 10? Secondo alcuniautorevoli osservatori 21, il tema è tradotto esclu-sivamente in termini di “disuguaglianza orizzon-tale” e di “inclusione”: quest’ultima è un’attenzioneassolutamente necessaria ma – come abbiamovisto – del tutto insufficiente e non risolutiva. Ebasta scorrere i target in cui l’obiettivo 10 è artico-lato: grande attenzione ai temi dell’inclusionedelle fasce deboli 22, o meglio di alcune fasce de-boli, ma nessun tipo di misurazione della distribu-zione del reddito nel suo complesso. Non èsorprendente che tale concezione ristretta e selet-tiva di disuguaglianza emerga da un negoziato in-ternazionale complesso, chiaramente orientato a“sterilizzare” le dimensioni più politiche del dibat-

15DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

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16 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

tito 23; tale impostazione è stata peraltro condivisada parte della società civile internazionale coin-volta nel processo...

Il terzo elemento da notare è la conseguenza deiprimi due. Se la lotta alle disuguaglianze viene con-cepita esclusivamente nei termini di inclusione esenza alcun riferimento alle dimensioni di sistema,essa rischia di perdere completamente la sua di-mensione trasformativa, e di non rappresentaremolto di diverso da un altro obiettivo sulla povertàmagari detto con altre parole. La già rimarcata di-sconnessione dell’obiettivo 12 (Consumo sosteni-bile) dai temi della disuguaglianza contribuisce arinforzare l’illusione che sia possibile raggiungeredei pur lodevoli obiettivi in termini di consumo dienergia o riciclaggio dei rifiuti senza mettere inquestione dalle fondamenta quei meccanismi chestanno rendendo del tutto irrealistici quegli stessitarget di sostenibilità. Siamo infatti in un mondosempre più disuguale, che vede il consumo mate-riale crescere senza alcuna sosta, con ritmi cre-scenti: una crescita che non è dunque “colpa dei

poveri” (il cui numero rimane più o meno invariato),ma delle abitudini di consumo di quei pochi ricchisempre più ricchi. Non si può pensare di abbozzareuna (pur limitata) soluzione al problema delle di-suguaglianze senza chiedersi quali siano i mecca-nismi profondi che le generano, e senza provare aesplorare una modalità alternativa a quella cheprevale attualmente sul pianeta.

Queste considerazioni permettono anche di sotto-lineare la grave insufficienza di un approccio al-l’Agenda 2030 e allo sviluppo sostenibile incentratosull’idea del raggiungimento degli SDGs: in alcuni casi,concentrarsi sul tale raggiungimento rischia di nongarantire alcun reale miglioramento ma, anzi, favorireuno spostamento dell’attenzione da questioni difondo realmente importanti a un approccio un po’ ba-nalizzato e non particolarmente innovativo rispettoalla precedente enfasi alla “lotta contro la povertà”. Perquesta ragione è importante ricollocare il persegui-mento degli SDGs all’interno di una cornice più ampia,quella definita dai principi dell’Agenda 2030 24.

Se la lotta alle disuguaglianze viene concepita esclusivamente nei termini di inclusionee senza alcun riferimento alle dimensioni di sistema, essa rischia di perdere completa-mente la sua dimensione trasformativa, e di non rappresentare molto di diverso da unaltro obiettivo sulla povertà magari detto con altre parole

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Un mondo affamato, sprecone, sovranutritoIl perdurare del fenomeno della fame sul pianeta, e

anzi l’aumento delle persone affamate per ben quattroanni consecutivi rappresenta senza alcun dubbio unodei sintomi più importanti della necessità di un cam-biamento radicale nel sistema economico globale. LaFAO stima in 821,6 il numero di persone che hanno sof-ferto la fame nel 2018, come si vede nella figura di se-guito, che evidenzia anche come, significativamente,non cala neanche la percentuale di chi soffre la famerispetto alla popolazione mondiale. Nel determinare

questo trend negativo pesa la situazione di alcune re-gioni come l’Africa Occidentale e l’Asia Occidentale, maanche la vulnerabilità ai conflitti e alla siccità 1.

3. Nutrire il pianeta?Disuguaglianze, fame, squilibri

PERSONE DENUTRITE NEL MONDO

Perc

entu

ale

Mili

oni

19

17

15

13

11

9

7

5

1237

1107

977

847

717

587

457

3272005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018

947,2

14,5%822,3

11,8% 11,6%

814,4785,4

10,6%

796,5

10,7% 10,8% 10,8%

811,7 821,6

Anni

Prevalenza delle persone denutrite (percentuale) Numero di persone denutrite (milioni)

I valori 2018sono previsioni

Fonte: FAO

Si tratta di una situazione non rosea e in peggiora-mento, che rischia di essere ancora peggiore di quantorappresentato in queste cifre: è infatti estremamentedifficile tenere conto della variabilità del consumo di

cibo all’interno delle famiglie e delle comunità, e la so-glia di assunzione di calorie considerata insufficientenelle statistiche FAO è di molto inferiore al fabbisognocalorico di una persona che svolga un lavoro manuale.

17DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

Nei rapporti sullo stato della sicurezza alimentare nel mondo, la denutrizione è definita come la condizione incui il consumo abituale di cibo di un individuo è insufficiente a fornire la quantità di energia alimentare neces-saria per mantenere una vita normale, attiva e sana. In questi rapporti, la fame è definita come sinonimo didenutrizione cronica, cioè l’assunzione di meno di circa 1600-1800 calorie al giorno per oltre un anno. Ad esem-pio un conducente di risciò in India consuma in media tra le 3 e le 4000 calorie al giorno, e in ogni caso la mag-gior parte dei poveri si sostentano attraverso attività fisicamente impegnative, come ammette la stessa FAO.

DENUTRIZIONE

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18 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Ricalcolando il numero delle persone affamate conparametri più accurati, il conto di coloro che soffronola fame potrebbe essere anche il doppio o il triplo diquanto rappresentato nelle statistiche ufficiali! Tra duee due miliardi e mezzo di persone, a cui dovrebberoessere aggiunti coloro che soffrono la fame per menodi dodici mesi (chi l’ha detto che chi soffre la fame per11 mesi non è denutrito?); oppure coloro che dispon-gono di una quantità sufficiente di calorie, ma sof-frono di gravi carenze di vitamine e altre sostanzenutritive di base (condizione che potrebbe toccare al-meno 2,1 miliardi di persone sul pianeta) 2. Insomma,ci sono tutti gli estremi per affermare che le statisticheattualmente utilizzate per misurare lo stato della famesono largamente ottimistiche.

Osservare il fenomeno della fame concentrandosisolo sulle persone affamate è un po’ come osservareil fenomeno della povertà senza chiedersi perché i po-veri siano tali. Ma è possibile una iniziativa realmenteefficace a favore dei poveri e degli affamati, senza os-servare il “sistema” nel suo complesso? È possibile cu-rare la malattia della fame proponendo una ricettabasata sulla crescita economica, pur sapendo (comeabbiamo visto nelle pagine precedenti) che tale cre-scita tende ad andare a beneficio delle fasce socialipiù ricche molto più di quanto vada a risolvere i pro-blemi della fame dei più poveri? È la FAO stessa ad am-mettere ormai che le crescenti disuguaglianze nelmondo rappresentano un ostacolo nella risposta alproblema dell’insicurezza alimentare cronica 3.

Osservare la questione in una prospettiva “di si-stema” prendendo i sistemi alimentari come punto diriferimento, rappresenta un esercizio particolarmentesignificativo. Il cibo è infatti legato a doppio filo conogni aspetto della vita sociale, e la sua storia tiene in-sieme il livello più locale con quello più globale:aspetti economici, culturali, sociali, politici, che inte-ragiscono per generare effetti contraddittori e vere eproprie incongruenze. Il perdurare della fame sul pia-neta si accompagna infatti ad altri fenomeni di segnoopposto, come quelli legati allo spreco di cibo, che se-condo la FAO ammonterebbe approssimativamentea 1,3 miliardi di tonnellate all’anno. Una quantità in-credibile di cibo che si compone del 30% di tutti i ce-reali prodotti, e ben il 50% delle colture a radice, fruttae verdura 4. Ancora più significativo lo spreco del 20%della carne prodotta, considerando che la sola produ-zione di carne può assorbire fino a 100 calorie in man-gimi per caloria consumabile prodotta 5. Si tratta diun’autentica montagna di cibo che viene prodotta enon consumata, contribuendo in modo importanteall’esaurimento delle risorse del pianeta.

Ma mentre aumenta lo spreco di cibo e il numerodegli affamati, aumenta anche il numero di coloro chesoffrono di “sovranutrizione”. I fenomeni di obesità e

sovrappeso sono infatti in crescita in tutti i Paesi,come si vede nella figura a destra, con un conse-guente incremento dei tassi di mortalità che da essidipendono. La cosa preoccupante è che il tasso diobesità e sovrappeso sono in aumento in tutte leclassi di età, anche tra i bambini molto piccoli; e inmodo particolare tra i giovani e gli adolescenti, chesaranno gli adulti di domani. Si tratta di una situazioneestremamente preoccupante, fotografata anche dallaFAO nell’esaminare le forme di squilibrio nella nutri-zione, come il basso peso alla nascita, le diverse formedi maluntrizione (cronica e acuta), anemia delle don-ne in età riproduttiva.

Si tratta naturalmente di fenomeni preoccupanti ea cui è necessario dare risposta. Ma è possibile trattareobesità e sovrappeso semplicemente come uno squi-librio nutrizionale tra gli altri, che richiede magari unarisposta in termini tecnici? Non si tratta forse del sin-tomo di uno squilibrio più ampio, che deve ricevereuna risposta rispetto ai meccanismi che generano talifenomeni in termini così contraddittori?

Nessuna contraddizione: un sistema “coerente”,costruito sulla disuguaglianza

Il modo in cui i sistemi alimentari si articolano sol-lecita elementi di tipo molto diverso. Si tratta di feno-meni complessi, dove riconosciamo con chiarezzaquegli elementi che abbiamo già segnalato come ca-ratteristici dei contesti alla base della crescita delle di-suguaglianze su scala planetaria.

PREVALENZA DI SOVRAPPESO A LIVELLOGLOBALE PER CLASSI DI ETÀ

Perc

entu

ale

40

35

30

25

20

15

10

5

0

2000

2005

2010

2015

2018

4,9

5,9

10,3

18,4

30,8

38,9

< 5 anni ≥ 5-19 anni Adulti (18+ anni)

Fonte: FAO

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Il sistema produttivo agroindustriale. Il sistema pro-duttivo che nutre realmente il pianeta è quello ba-sato sul contributo dei piccoli agricoltori, cheproducono il 70% del cibo disponibile. Essi tuttaviaconsumano soltanto circa il 30% delle risorse; men-tre il sistema agroindustriale utilizza il 70% delle ri-sorse per produrre il 30% del cibo necessario agliabitanti del pianeta. Il sistema di produzione agro-industriale è costruito secondo una logica estratti-vista e monopolistica, con un numero estrema-mente limitato di aziende (di proporzioni colossali)che controllano l’insieme delle filiere produttive. Imeccanismi alla base dell’agricoltura agroindu-striale sono fondati su un modello tecnologico in-centrato su input chimici e su un uso intensivodelle risorse naturali, che vedono un peso cre-scente di processi di innovazione tecnologica e diprivatizzazione della conoscenza: lo sviluppo delleculture OGM, la gestione dei brevetti agroindu-striali, i processi di “biofortificazione” 6 delle culturerappresentano una tendenza crescente e perfetta-mente “simbiotica” con questo modello produttivo.Vettore quindi di concentrazione del potere e di ri-duzione della biodiversità (risorsa fondamentaleper la sopravvivenza di molti sistemi alimentari ma,in una prospettiva più ampia, di tutta l’umanità).Attualmente, tre quarti del cibo mondiale sonoprodotti a partire da sole 12 piante e 5 specie ani-mali, con riso, mais e grano che contribuiscono aquasi il 60% delle calorie e delle proteine vegetaliconsumate dall’uomo.

Il modello produttivo adalta intensità di risorseguadagna terreno, e siespande nelle aree an-cora non soggette aquesto tipo di sfrutta-mento, spesso santuaridella biodiversità utiliz-zati da comunità localisecondo modalità ri-spettose dell’ambientee del territorio. Il casodelle foreste amazzoni-che 7 è particolarmentesignificativo: al di làdelle voci critiche versole posizioni del presi-dente del Brasile Bolso-naro (che afferma senzaambiguità il diritto disfruttare le risorse eco-nomiche che si nascon-dono nella foresta sen-za alcun risparmio, sen-

za alcun rispetto per chi le abita, senza alcun ri-guardo per il valore planetario di queste foreste),sarebbe necessario riconoscere come la minaccianei riguardi delle foreste amazzoniche provenga daun insieme di interessi ben radicati in quegli stessiPaesi che si pronunciano, in modo talvolta un po’astratto, a favore di esse. Esiste un fenomeno piùampio di sottrazione delle terre su grande scala, ilcosiddetto land grabbing, che rappresenta a livellointernazionale uno dei fattori più importanti di di-suguaglianza: impoverimento delle fasce più vul-nerabili e concentrazione del controllo delle risorsenaturali e della terra nelle mani di pochi attori 8.

I fenomeni di accaparramento della terra e di sot-trazione delle risorse dalle comunità locali sonospesso un “effetto collaterale” di un fenomeno di fi-nanziarizzazione su ampia scala. Questo fenomenoha le sue radici nelle già menzionate acquisizionimassicce di risorse naturali compiute dalle grandicorporation agroindustriali, che vide una forte ac-celerazione a partire dagli anni ’90 del secoloscorso: il sistema finanziario internazionale so-stenne queste acquisizioni che servivano proprio apermettere l’espansione del modello produttivoagroindustriale. Ma fu dopo la crisi finanziaria ini-ziata nel 2008 che la terra divenne essa stessa unoggetto di investimento e di speculazione finanzia-ria. L’aumento dei prezzi della terra rende quest’ul-tima inaccessibile alle comunità locali che pure nehanno vitale bisogno per la loro stessa sopravvi-

venza. Ed è così che la terrasi trasforma da un dirittoumano a una “opportunitàdi investimento” 9. Il sistema produttivoagroindustriale, ancora mi-noritario sul piano quanti-tativo globale ma netta-mente maggioritario sottoil profilo del consumo dellerisorse (e anche sul pianodel potere finanziario) ècollegato a una vera e pro-pria transizione delle dietedella popolazione del pia-neta. I crescenti squilibrinutrizionali non rappre-sentano soltanto dei pro-blemi di salute individuale,da affrontare “medicaliz-zando” la fame, ma il pro-dotto di una dinamicaproduttiva e di mercatobasata sullo sviluppo di ali-menti a basso costo e a

Attratti dai loro alti tassi di crescita economica,dalle popolazioni giovani e in rapido sviluppo eda mercati sempre più aperti, le multinazionalidel cibo e delle bevande (Trasnational Food & Be-verages Companies – TFBC) stanno prendendo dimira i mercati asiatici con vigore. Contempora-neamente, il consumo di alimenti ultra-trasfor-mati, ricchi di grassi, sale e carico glicemico è inaumento nella regione. Le prove dimostrano chele TFBC possono sfruttare il loro potere di mer-cato per modellare i sistemi alimentari in modiche alterano la disponibilità, il prezzo, la qualitànutrizionale, l’opportunità e il consumo finale ditali alimenti. Un recente studio descrive i recenticambiamenti nei sistemi alimentari asiatici gui-dati dalle TFBC nei settori del commercio al det-taglio, manifatturiero e dei servizi alimentarivalutandone le implicazioni per l’alimentazionedella popolazione.(vedi Baker e Friel, Food Systems Transformations, Ultra-Processed Food Markets and the Nutrition Transition in Asia)

LA TRANSIZIONE NELLE DIETE IN ASIA

19DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

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basso valore nutrizionale definiti “alimenti ultra-tra-sformati” (Ultra Processed Food). Un crescente fi-lone di studio sta dimostrando come l’aumento delconsumo di questo tipo di alimenti sia associatoall’aumento di squilibri nutrizionali di ogni tipo(vedi box pagina precedente) 10. Alla luce di questotipo di elementi, forse recenti proposte di aumen-tare il carico fiscale su prodotti di questa natura (lefamose merendine) meriterebbero di essere presein considerazione con maggiore attenzione… manon è un caso che tali proposte si scontrino, anchein Italia, con interessi importanti e ben strutturati!E, ancora una volta, occorre notare che questo tipodi alimenti sono consumati dalle fasce più poveredella popolazione, mentre il valore finanziario cheviene estratto da questi settori produttivi contri-buisce alla quota crescente di remune- razione delcapitale, menzionato già nelle pagine precedenti.

Il modello produttivo agroindustriale globalizzatopresenta dei rischi particolarmente gravi in terminidi salute pubblica, in particolare con riferimento allaproduzione animale. Da una parte essa rappresentauna formidabile leva di estrazione delle risorse, acausa del forte incremento della produzione deimangimi di origine agricola e delgià citato tasso di conversione tracalorie vegetali e animali. Ma l’al-tro elemento chiave da citare èquello relativo all’aumento delconsumo di antibiotici causa dellamaggiore resistenza anti microbica, e ad una cre-scente vulnerabilità dell’umanità (in particolare deipiù poveri) alle malattie. Secondo il WHO siamo giàalle soglie di un’età “post-antibiotici”, mentre si pre-vede che il consumo globale di antibiotici aumentidel 67% entro il 2030, a causa del ruolo crescente chei Paesi BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica)avranno nell’espansione degli allevamenti intensivi11.Le scelte di consumo individuali, e in particolare inquesto caso il consumo di carne, sono direttamentecollegate all’aumento delle disuguaglianze.

L’insieme di queste dinamiche è facilitato dall’as-senza di confini soprattutto per i capitali e le merci.Sono le dinamiche della globalizzazione economicae finanziaria a cui prima si è accennato, e che tro-vano un’articolazione importante in una nuova ge-nerazione di trattati commerciali in cui tende adiminuire il peso di regole generali, negoziate su unpiano politico ma con una dimensione di democra-zia, rispetto alla fortuna di trattati bilaterali. Si trattadi accordi dove l’interesse del commercio prevale alpunto che nessuna misura eventualmente adottatadagli stati per affrontare un impatto potenzialmentenegativo sulla salute umana o sul clima potrebbeopporre un ostacolo “irragionevole” al commercio;

e dunque la renderebbe passibile di impugnazionedi fronte a collegi arbitrali in grado di decidere indi-pendentemente dagli ordinamenti degli stati stes-si 12. Ma anche le regole commerciali multilateralihanno l’effetto di rafforzare i monopoli, come dimo-strano le regole TRIPS sulla proprietà intellettuale esui brevetti, che limitano in modo importante la dif-fusione della conoscenza e della tecnologia, riser-vandone i frutti ai detentori dei diritti di proprietà.Dietro una patina di asserito “libero scambio” il si-stema internazionale del commercio protegge leeconomie più ricche dietro barriere che penalizzanoi Paesi più poveri, definiscono meccanismi di con-centrazione del potere economico, e contribuisconoall’erosione della base di risorse del pianeta 13.

La fame, lo spreco, la ”sovranutrizione” sono feno-meni del tutto contraddittori, ma sembrano inveceperfettamente coerenti con un sistema economicoglobale costruito sulle disuguaglianze: il consumoelevato delle fasce più ricche della popolazione è co-struito sull’alienazione di risorse dalla disponibilitàdelle comunità locali; e allo stesso tempo sulla pro-duzione industriale di cibo a basso costo che soddisfa

nell’immediato (ma in modo squilibrato) i bisogni ali-mentari della parte più fragile della popolazione, ga-rantendo un elevato ritorno agli investimenti di chitale cibo produce. In questo contesto lo spreco se-gnala una generalizzata inconsapevolezza del valoredelle risorse a partire dalle quali il cibo è prodotto,con un prezzo che spesso non riflette neanche lon-tanamente il suo reale valore in termini sociali e am-bientali: lo spreco è il destino della sovrapproduzionedi ciò che non serve a nulla se non ad aumentare ilvolume dei beni in circolazione, ma non vale nullaperché non costa nulla (anzi porta guadagno) a chilo produce e lo distribuisce. Le vetrine dei supermer-cati finiscono dunque per essere piene di cose che ingran parte non verranno acquistate, ma sono funzio-nali a vendere maggiori quantità di beni che poi inparte finiranno a loro volta sprecati. I prezzi di ap-provvigionamento di questi beni da parte di chi livende sono così bassi da consentire ancora un gua-dagno, scaricando sulla qualità nutrizionale, sui pro-duttori e sull’ambiente il vero costo di questomeccanismo. Questa è la conclusione che si raggiun-ge “unendo i puntini” tra vari elementi che in primabattuta sembrano definire delle contraddizioni in-spiegabili.

La fame, lo spreco, la sovranutrizione sono fenomenicontraddittori, ma sembrano invece coerenti con un si-stema economico globale costruito sulle disuguaglianze

20 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Cibo e nutrizione nell’Agenda 2030:un problema di coerenza

Il tema del cibo ha un ruolo centrale nell’Agenda2030. Uno degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibileè completamente dedicato a questo tema: l’obiettivo2 intende infatti «porre fine alla fame, raggiungere lasicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e pro-muovere un’agricoltura sostenibile». I target in cuil’obiettivo 2 si articola definiscono una visione incen-trata sostanzialmente sull’aumento della produzionee della produttività in agricoltura, assumendo che talipratiche possano essere identificate in un modo chesalvaguardino l’ambiente; e il tutto in un contesto dilibero mercato 14. Si tratta di una prospettiva che pre-senta qualche tensione: non è facile dare per scontatoche l’aumento di produzione e produttività e la salva-guardia dell’ambiente convergano spontaneamentee inevitabilmente… Molti casi sembrano invece sug-gerire esattamente il contrario: un aumento sostan-ziale della produzione e della produttività (l’obiettivo2 prevede il raddoppio della produttività per i piccolicontadini) avviene normalmente a spese di una mag-giore pressione sull’ambiente e di una minor cura perla sostenibilità! L’obiettivo di eradicazione della fameè comunque legato a doppio filo aquello relativo alla lotta contro lapovertà (obiettivo 1), e anche amolti altri. Ma neanche attraverso lariconosciuta connessione tra l’obiet-tivo 2 e molti altri OSS si riesce a de-finire con chiarezza l’orizzonte siste-mico entro cui la riflessione deveavere luogo.

La reale portata dell’obiettivo 2 ènaturalmente da valutare anche in relazione al conte-sto generale in cui esso viene messo in opera. Da que-sto punto di vista, la retorica oggi prevalente vede unapromozione incondizionata del ruolo del settore pri-vato, e del cosiddetto Multi Stakeholder Approach 15,dove si pongono su un livello di teorica parità ed equi-distanza attori del settore privato, del settore pub-blico, della società civile (teorico perché in realtà ilpeso negoziale reale di questi diversi attori è forte-mente squilibrato). Questo approccio condizionamolte delle iniziative “bandiera”, dell’Obiettivo 2, dovei temi della fame e della nutrizione sono affrontati at-traverso interventi tecnici a breve termine, piuttostoche attraverso una vera presa in carico dei determi-nanti sociali, culturali, economici e politici 16. E questonon è sorprendente, visto il complesso di spinte e in-teressi che si trovano dietro i sistemi di produzione dicibo, e di cui prima si è brevemente trattato: il passag-gio da una retorica di “interessi” (gli stakeholders) auna chiara affermazione dei “diritti” è il primo passag-gio per evitare che le soluzioni siano elaborate in con-

testi discutibili, dove il rischio è quello di “rinchiuderepolli e volpi nella stessa gabbia” perché si mettanod’accordo 17!

Come si è visto anche dai dati presentati nellaprima parte di questo dossier, il pianeta non sembraattualmente instradato in una direzione molto inco-raggiante. Anche il recente rapporto del SegretarioGenerale delle Nazioni Unite in preparazione agli in-contri di quest’anno tenuti per verificare lo stato diraggiungimento dell’Agenda 2030 ammette con chia-rezza che è necessario un cambio di passo sostanzialenell’ambizione delle soluzioni proposte per raggiun-gere dei risultati significativi 18. Il rischio è però che sesi continua a mantenere una prospettiva ristretta alla“messa in opera degli SDGs” le questioni veramentecentrali rimangano in ombra. Il fatto di adottare unaprospettiva di trasformazione implica necessaria-mente il considerare l’Agenda 2030 nel suo insiemesuperando frammentazione e restituendo il dibattitosu indicatori e misurazioni alla sua dimensione cor-retta: strumenti per aiutare a cogliere i fenomeni piùampi, e non “realtà in sé” indipendenti da quello chevediamo accadere sul pianeta. Allo stesso tempo oc-corre ristabilire i collegamenti tra le diverse parti del-

l’Agenda 2030, ristabilendo un livello di coerenzanecessaria, vale a dire vegliando a che azioni dette “so-stenibili” da un lato non abbiano effetti contraddittoricon altre parti dell’Agenda stessa.

Il PRIMO LIVELLO di questo dibattito deve concen-trarsi sulla necessità di evitare che determinati obiet-tivi e target vengano perseguiti a spese di altri. Sitratta di una riflessione importante, e abbiamo giàpreso atto del rischio di dare per scontata la possibilitàdi un’agricoltura allo stesso tempo superproduttiva erispettosa dell’ambiente. Il tema della coerenza traobiettivi e target 19 domina al momento attuale il di-battito sulla coerenza delle politiche sullo sviluppo so-stenibile; ma è ancora una volta limitato alla conside-razione di collegamenti tra elementi che, come ab-biamo visto, rischiano di essere limitativi oppure in al-cuni casi addirittura fuori bersaglio.

È dunque necessario un SECONDO LIVELLO, e unariflessione sulla coerenza rispetto ai principi del-l’Agenda 2030. Si tratta di un’attenzione necessaria ep-pure abbastanza assente dal dibattito complessivo sul

Il tema del cibo ha un ruolo centrale nell’Agenda 2030.Uno degli Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile è comple-tamente dedicato a questo tema: l’obiettivo 2 intendeinfatti «porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza ali-mentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agri-coltura sostenibile»

21DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

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tema... Forse perché i principi sono meno “misurabili”:vengono spesso citati con enfasi ma poi sostanzial-mente marginalizzati quando si tratta di costruire deisistemi di monitoraggio. Un riferimento chiaro ai prin-cipi di fondo su cui l’Agenda 2030 è costruita do-vrebbe diventare il concreto banco di prova pervalutare la conformità a un’idea di sviluppo sostenibileattento ai diritti, attento alla riduzione dei conflitti, at-tento alle dinamiche di partecipazione (per citarnesoltanto alcuni dei più importanti). Rispetto al temadelle disuguaglianze, andare oltre gli SDGs è in realtàl’unico modo per rappresentarne la dimensione “siste-mica”, superando quella dimensione orizzontale rap-presentata nell’obiettivo 10. Pensando alle politichedi lotta contro la fame e in particolare quelle rappre-sentate nell’obiettivo 2, è solo il punto relativo alla par-tecipazione degli attori sociali alla definizione dellepolitiche a fare la differenza tra un approccio tecno-cratico e dominato dagli interessi, e uno in cui la vocedei piccoli produttori e dei consumatori sia veramentepresa in conto. Ma, allo stesso modo, il tema della par-tecipazione non è considerato in nessuno dei targetdell’obiettivo 1. È solo la produzione che conta?

Un TERZO ELEMENTO è quello relativo alla coe-renza tra dimensioni interne ed esterne delle politi-che. In nome di una non sempre bene intesa praticitàoperativa le istanze di dialogo politico sull’Agenda2030 sono spesso rigidamente separate tra “agendainterna” e “agenda esterna”. Come se in effetti l’impattoe la ricaduta delle politiche a tutti i livelli non rappre-sentino elementi assolutamente fondamentali.L’esempio più importante e meno considerato èquello degli effetti della vendita delle armi nel mondo,come papa Francesco non si stanca di ripetere: «Leguerre interessano solo alcune regioni del mondo, male armi per farle vengono prodotte e vendute in altreregioni, le quali poi non vogliono farsi carico dei rifu-giati prodotti da tali conflitti» 20. È una contraddizioneprofondissima che ha una rilevanza in termini di so-

stenibilità (o sopravvivenza) dell’umanità; sollevandoun tema di coerenza rispetto ai principi e di coerenzatra politiche interne ed esterne. Ma di cui non si faalcun cenno in molti dei pur lodevolissimi rapporti dimonitoraggio sugli SDGs. Questo tema riguarda da vi-cino l’Italia, che produce armi utilizzate in uno dei tea-tri di guerra più sanguinosi e dimenticati; ma si affacciacontinuamente senza che la comunità internazionaleriesca a dare una risposta unitaria ed efficace 21. Il temadella ricaduta (spillover) interna-esterna delle politicheanche sui temi della disuguaglianza e della fame èestremamente significativo: pensiamo solo alle que-stioni (già citate in questo dossier) del commercio in-ternazionale. Ma anche la relazione tra conflitti, fame 22

e disuguaglianze rappresenta un campo di osserva-zione necessario, in cui si deve misurare la coerenzaper uno sviluppo veramente sostenibile, che si basi suun’economia di pace.

Un’ultima questione è quella relativa a “come” lacoerenza deve essere assicurata, attraverso quali mec-canismi, con quali istituzioni: è quello che chiamiamoil tema dell’incardinamento istituzionale della coe-renza delle politiche. Un controllo sul fatto che la manodestra non smonti quello che ha costruito la sinistra èpossibile solo ex post, quando ormai le eventuali ten-sioni ai vari livelli hanno prodotto i loro effetti? Oppuredeve essere oggetto di una verifica specifica a monte,prima che le politiche siano messe in opera? Il tema,già trattato in precedenti dossier di Caritas Italiana 23,solleva naturalmente diversi problemi: moltissime po-litiche pubbliche hanno un effetto diretto o indirettoin termini di disuguaglianza, e senza dubbio varrebbela pena dotarsi di strumenti di valutazione a questo ri-guardo. La disuguaglianza, come abbiamo visto, puòessere valutata solo osservando l’insieme, interro-gando i collegamenti tra i diversi ambiti delle politichepubbliche (economiche, educative, sanitarie…) tra cuidi ampia rilevanza sono le politiche e la governancedei sistemi alimentari e della produzione di cibo.

Il Forum per lo Sviluppo Sostenibile verrà lanciato con l’avvio dei suoi gruppi di lavoro all’inizio di dicembreprossimo. Rappresenta il tentativo di costruire un luogo di dialogo e confronto con la società civile e con altriattori non statali (come l’industria privata). L’iniziativa, prevista dalla normativa e realizzata dal Ministero dellaTutela del Territorio e del Mare, viene accolta con una certa attesa: sono più di 150 le organizzazioni che finorahanno chiesto di aderire al Forum.Alcuni nodi rimangono da sciogliere prima che il FSS possa diventare un luogo dove il tema della coerenzadelle politiche viene affrontato in tutte le sue dimensioni, e tra questi la “ponderazione” delle voci dei “portatoridi interesse” e dei “difensori dei diritti”; e la questione della relazione con le istituzioni. Nel quadro istituzionaleche si viene delineando, questa relazione sembra riservata alla neo-istituita Cabina di Regia Benessere Italia,presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, che però per adesso non prevede alcuna relazione formalizzatacon il Forum. Nel quadro delle attività del FSS si prevede di realizzare una volta l’anno una Conferenza Nazionaleper lo Sviluppo Sostenibile.

IL FORUM PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE

22 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Una disuguaglianza che minaccia le prospettive ditutti, ma soprattutto dei giovani

La situazione del nostro Paese è esaminata da al-cuni rapporti recenti1. La disuguaglianza in Italia nelsuo complesso è aumentata in modo considerevolenegli ultimi decenni: il 60% più povero della popola-zione possedeva il 28% della ricchezza nel 1991, e soloil 17% della ricchezza nel2014; mentre il 10% più riccone possedeva il 30,7% nel1991, e il 42,8% nel 20142. Letendenze alla crescita delledisuguaglianze dell’ultimodecennio rallentano nell’ul-timo decennio, pur con unlento ma costante aumentodella quota di reddito del10% più ricco, e una contem-poranea diminuzione dellaquota percepita dal 50% piùpovero (figura a destra).

Gli ultimi anni hannoperò visto un marcato au-mento della percentuale dipersone che vivono in condi-zioni di povertà estrema, cheè quasi raddoppiata, pas-sando al 6,9% delle famiglie.Perdurano inoltre, tra le altrecose in modo preoccupantele disuguaglianze tra uominie donne: le donne hannoprestazioni migliori in ter-mini scolastici, ma solo il38,7% delle giovani donnecon un diploma di istruzione superiore è occupato,contro il 50,8% degli uomini. Aumenta invece la disu-guaglianza intergenerazionale: per la prima volta dal-l'inizio del ventesimo secolo le persone di etàcompresa tra i 25 e i 40 anni si troveranno in condi-zioni peggiori rispetto ai propri genitori, nonostanterappresentino la generazione più istruita nella storiad'Italia. A questo si aggiungono fasce sociali partico-larmente svantaggiate, che subiscono in alcuni casiuna legislazione che non riesce a promuoverne l’inte-grazione oppure tende a promuovere ulteriore mar-ginalità: come nel caso dei Rom e dei migranti.

Una delle caratteristiche del panorama della disu-guaglianza in Italia è quella dello squilibrio territo-riale. Tutti gli indicatori sono peggiori nel Meridione

d’Italia, una situazione che si è venuta aggravandodopo la recente crisi. Ma in tutto il paese le personepiù colpite da fenomeni di crescente fragilità si tro-vano nelle periferie, nelle piccole città e nelle aree in-terne. Sono proprio queste ultime a rappresentareuna caratterizzazione particolare, fotografata anchenella Strategia nazionale aree interne. Si tratta dellezone del Paese dove si avverte un divario significativoin termini di fruizione di servizi essenziali, come la di-sponibilità di mezzi di soccorso in caso di necessità,di mobilità di docenti a scuola, la disponibilità di ser-vizi internet. Esiste anche un significativo fenomenodi disuguaglianza ‘ambientale’, in territori degradatiattorno a impianti industriali, da bonificare o ancorain attività 3.

4. L’Italia: un Paese sempre piùdisuguale

QUOTA DELLA RICCHEZZA NAZIONALE TRA IL 2000 EIL 2018

Fonte: OXFAM Italia

23DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

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Si è detto sopra che le disuguaglianze emergonocome il risultato di scelte precise, di politiche pubblichee di iniziative nei settori più diversi. Il rapporto GCAPsulle disuguaglianze in Italia 4 prova d esaminare l’im-patto di alcune delle politiche pubbliche promosse inItalia negli ultimi anni sulle disuguaglianze stesse: il co-siddetto Decreto Dignità; il Reddito di Inclusione, e poiil Reddito di Cittadinanza; la bozza del Piano nazionaleIntegrato Energia Clima; il Decreto Sicurezza. Subitoprima del recente cambio di governo era vivo il dibat-tito sulla cosiddetta flat tax, una proposta di riforma fi-scale che avrebbe introdotto un cambiamento in sensoulteriormente regressivo del sistema fiscale italiano.

Per quanto riguarda un confronto tra l’Italia e gli altriPaesi europei, in un’analisi limitata all’obiettivo 10, sievidenzia una particolare dispersione e disuguaglianzatra le le prestazioni dei diversi Paesi. L’analisi segnala laFinlandia come Paese che ha segnato la prestazione mi-gliore nel controllo e riduzione delle disuguaglianze ela Bulgaria come quella peggiore. L’Italia ha una perfor-mance peggiore di quella media europea e in peggio-ramento rispetto al 2010, come molti altri Paesi 5.

Un’agenda per il cambiamentoChe cosa può e deve essere fatto in Italia per con-

trastare l’aumento delle disuguaglianze e per porre lecondizioni per una società più giusta? Vi sono in Italianumerose organizzazioni e iniziative che hanno iden-tificato il tema delle disuguaglianze come un ele-mento centrale su cui lavorare. Due di queste inizia-tive, nelle quali Caritas Italiana è direttamente impe-gnata, meritano di essere segnalate perché toccano idue nodi centrali della questione, con riferimento aquello che può essere un impegno concreto da partedelle persone e delle comunità.

LA CAMPAGNA “CHIUDIAMO LA FORBICE”La disuguaglianza non è un destino ineluttabile, ab-

biamo detto. Ma le scelte alla base dei meccanismi di di-suguaglianza possono essere fatte anche secondo uncerto grado di inconsapevolezza: pensare cioè chele disuguaglianze non siano poitanto male o non siano così gra-vi, oppure che siano un fruttopiù o meno obbligato del si-stema che ci consente di vi-vere. Come abbiamo cercatodi mostrare nelle pagine prece-denti, nessuna di queste tre coseè vera. Ma per promuovere politichepiù giuste è necessario in primo luogo avviare un cam-biamento culturale: è necessario e urgente lottare con-tro le disuguaglianze e costruire una società più giusta.

Questa semplice considerazione è alla base dellacampagna Chiudiamo la forbice, promossa da un nu-

trito gruppo di enti e organismi legati al mondo eccle-siale, ma non soltanto 6. Il tema è appunto quello di sol-lecitare una maggiore consapevolezza sui meccanismiche causano le disuguaglianze, sulle articolazioni con-crete e sulle conseguenze di tale fenomeno, e sulle ini-ziative che cercano di promuovere la costruzione di unmondo più giusto. La campagna pone all’attenzione ditutti il tema della disuguaglianza, declinandolo in treambiti in particolare, presi come campi di interazionein cui i fenomeni della disuguaglianza stessa si manife-stano in maniera significativa e pervasiva 7: l’ambito della produzione e del consumo del cibo,

già oggetto della campagna Cibo per tutti 8, toccaelementi economici, ma anche politici, sociali e cul-turali. Ed è anche un ambito in cui vividamente si os-serva la tensione tra chi abita i territori e le grandiforze globali, una tensione che provoca vittime eche aggrava il divario che divide le donne e gli uo-mini che abitano il pianeta; divario tanto più assurdoquanto più il cibo dovrebbe rappresentare un ele-mento egualitario per eccellenza: il ricco non puòmangiare o nutrirsi più del povero. Il cibo e i sistemialimentari sono un punto di osservazione privile-giato, come visto nelle pagine di questo dossier.

Il secondo ambito è quello della pace e dei conflitti,in particolare i molti conflitti dimenticati diffusi sulpianeta: una situazione che Papa Francesco ha effi-cacemente identificato con l’espressione “terzaguerra mondiale a pezzi”. Che i conflitti violenti ag-gravino la disuguaglianza è una verità storica moltevolte dimostrata: c’è chi si arricchisce anche nelleguerre (pochi) e chi soffre sempre più (molti). Ope-rare per la pace significa difendere i più deboli e im-pedire che la loro situazione peggiori ulteriormente.Ma è vera anche la relazione opposta: società menodiseguali sono società meno vulnerabili al degene-rare del conflitto.

Il terzo ambito è quello che guarda ad uno dei feno-meni più caratteristici del nostro tempo, quello dellamobilità umana, oggetto di numerose campagne

tra cui Condividiamo il viaggio (Sharethe journey), proposta daPapa Francesco a tutte lecomunità per una culturadell’incontro e della condivi-sione. Se da una parte la mo-

bilità umana è un elementoche ha caratterizzato tutte le

epoche e tutte le società, il mondodi oggi ci restituisce una varietà di feno-

meni a volte davvero drammatici: la fuga massicciada guerre e povertà, la tratta, la migrazione forzata.E non meno drammatiche sono le risposte che ven-gono elaborate nel mondo ricco, per affrontare que-sti fenomeni: risposte spesso di chiusura, di rifiuto.

24 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

www.chiudiamolaforbice.it

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In molti casi dimenticando che quei Paesi che oggisi dimostrano più rigidi su queste tematiche sonoproprio quelli che in passato hanno generato flussiimportanti di persone che hanno popolato interearee del pianeta. Le evidenze fattuali parlano di unadisueguaglianza che viene aggravata da risposteunicamente securitarie, con le quali si cerca, per lopiù invano, di arginare questi fenomeni.

Parallelamente a questi tre ambiti, devono essere ri-conosciuti alcuni elementi di contesto che li attraver-sano trasversalmente, contribuendo da una parte acollocarli in una lettura di insieme, dall’altro a generaredei possibili focus più specifici. Il primo elemento trasversale di contesto è quello

relativo alla considerazione per la nostra casa co-mune, il pianeta che noi abitiamo e che rappresentala risorsa di tutto il genere umano, il cui clima è infase di profondo cambiamento proprio ad operadell’uomo stesso. Gli aspetti ambientali rappresen-tano un elemento fondamentale nella produzionee nel consumo di cibo, con politiche e comporta-menti (individuali e comunitari) spesso del tutto di-sattenti alla dimensione di “finitezza” del pianeta. Iconflitti ambientali rappresentano una manifesta-zione sempre più comune in ampie regioni del pia-neta dove le fasce più povere e vulnerabili dellepopolazioni si trovano spossessate dalle risorse ne-cessarie per vivere e marginalizzate nel loro stessoterritorio, spesso nel nome stesso dello sviluppo edella modernità. Sono gli stessi conflitti e tensioni, ei confronti violenti che ne derivano, che provocanomasse crescenti di rifugiati ambientali, in un feno-meno i cui impatti abbiamo probabilmente appenainiziato a sperimentare.

Il secondo elemento trasversale di contesto è quellolegato a uno dei fenomeni che hanno determinatonegli ultimi anni in misura più rilevante i destinidell’umanità intera: quello del debito e più in gene-rale quello della finanza. È noto infatti che la crisi fi-nanziaria verificatasi a partire dal 2007 ha avutoimportanti ripercussioni sui sistemi di produzionealimentare del pianeta, determi-nando direttamente sconvol-gimenti sociali e politici inmolti Paesi, e contribuendoin modo sostanziale all’allar-gamento del divario tra ric-chi e poveri. Come è statorecentemente riconosciutoda analisti ed esperti del-l’ONU su Diritti Umani e De-bito, esiste una importante relazione tra debito, crisifinanziarie, disuguaglianze e resilienza rispetto all’in-stabilità socio-politica e allo svilupparsi di conflitti

violenti. Sono gli stessi conflitti che causano lo spo-stamento di masse di persone; ma più in generale èl’impatto delle dimensioni finanziarie sull’economiareale a produrre un senso di impotenza e di inade-guatezza di chi si vede spossessato dei propri dirittidi autodeterminazione economica, e che trova nellamigrazione una strategia di risposta spesso adottatain modo consapevole, ma in altri casi frutto di scelterischiose financo per la propria stessa vita.

Nell’intersezione tra queste tematiche, consideratenella prospettiva di una necessaria riduzione delle di-suguaglianze, è necessario esplorare alternative possi-bili, progettualità concrete e costruire delle narrazionipositive tra le quali: la lotta per Il diritto alla terra, la co-struzione di comunità in grado di operare la trasforma-zione nonviolenta del conflitto, un’attenzione allemigrazioni viste come scelta consapevole e occasioneper accogliere in comunità solidali, la diversità culturalevista non come problema ma come risorsa, la promo-zione dei diritti come premessa per una vita dignitosaper tutti, il diritto al lavoro, una fiscalità equa e progres-siva, una reale promozione della uguale dignità e dellaparità tra uomini e donne, un’attenzione particolare altema della giustizia climatica e del degrado ambientale,l’iniziativa per una finanza più giusta e un approccioetico al debito, un rilancio della partecipazione e dellademocrazia, una comunicazione e una informazionecorretta e responsabile.

Il sito web della campagna ospita interventi dei di-versi enti e organismi che la animano, nei quali questie altri aspetti della questione vengono approfonditi eposti alla riflessione di tutti. Sono i diversi aderenti apromuovere poi numerose iniziative di sensibilizza-zione sul territorio, mentre una volta l’anno, general-mente nel mese di dicembre, viene organizzato unseminario di approfondimento a livello nazionale.

IL FORUM DISUGUAGLIANZE E DIVERSITÀLa riflessione del Forum Disuguaglianze e Diversità

è invece volta a identificare i meccanismi attraverso cuile disuguaglianze stanno producendo i loro effetti nel

nostro Paese, e a formulare delle proposte efficacie praticabili per l’italia. Si vuole inquesto modo porre finalmenteall’attenzione della politica lanecessità e la possibilità di favo-

rire lo sviluppo di unasocietà più giusta, di-segnando politichepubbliche e azioni col-lettive che riducano le

disuguaglianze, aumentino la giustizia sociale e favori-scano il pieno sviluppo di ogni persona (diversità).

La riflessione che ha dato origine alla campagna è

www.forumdisuguaglianzediversita.org

25DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

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spiegata da Fabrizio Barca, coordinatore e animatoredel forum, in una recente intervista 9. Nel descrivere iprocessi che hanno portato all’aumento delle disu-guaglianze nel nostro Paese, un primo passaggio sto-rico avviene tra anni Settanta e Ottanta, momento nelquale si attivano molti dei meccanismi che condu-cono poi all’aumento di queste. Analizzando questopassaggio, Barca riflette sui limiti di analisi e di azionedelle forze progressiste, che sottovalutano l’insuffi-cienza di un modello solamente redistribuivo. Se dauna parte infatti le politiche redistributive sono neces-sarie e importanti per ristabilire delle condizioni diequità a valle delle dinamiche di mercato, è necessarioprendere consapevolezza dei meccanismi che all’in-terno del mercato stesso causano e aggravano questedisuguaglianze. Tali meccanismi possono essere af-frontati con delle politiche pubbliche che gli econo-misti chiamano “pre-distributive” 10. La politica è stata,negli ultimi decenni, estremamente lenta a cogliere lanecessità di questo tipo di attenzioni, tentando dimantenere politiche redistributive, senza intervenireperò sulle cause che erano alla base dei processi diconcentrazione di reddito e ricchezza. Solo oggi, af-ferma Barca, di fronte alla «dinamica autoritaria» e auno «spostamento macroscopicodelle preferenze elettorali» si assistea un cenno di ripensamento.

Questa è la riflessione alla basedel lavoro del Forum, che si ispira allavoro dell’economista britannicoTony Atkinson, e che ha elaborato15 proposte concrete, articolate sutre ambiti. Esse mirano a modificarei principali meccanismi che determinano la forma-zione e la distribuzione della ricchezza: il cambia-mento tecnologico, la relazione fra lavoratori elavoratrici e chi controlla le imprese, il passaggio ge-nerazionale della ricchezza stessa 11: UN CAMBIAMENTO TECNOLOGICO CHE ACCRE-

SCA LA GIUSTIZIA SOCIALE. L’obiettivo generale èquello di indirizzare il cambiamento tecnologico allagiustizia sociale, in particolare migliorando il benes-sere dei più deboli, ultimi, penultimi e vulnerabili.Questo obiettivo è articolato su diversi sotto-obiet-tivi che riguardano: il lavoro (redistribuzione e rein-vestimento dei dividendi; la qualità dell’esperienzalavorativa; la riduzione delle disuguaglianze di ge-nere; migliore equilibrio tra tempi di lavoro e non la-voro; l’aumento della sicurezza sul lavoro); i servizipubblici essenziali (accrescere la “speranza di vita inbuona salute” delle persone più fragili; chiudere il di-vario negativo nell’istruzione e nella mobilità di chivive in famiglie disagiate; una gestione della transi-zione ecologica che privilegia le ricadute immediatesulle situazioni fragili); l’accesso alla conoscenza,

l’utilizzo dei dati personali e l’impiego degli algoritmidi apprendimento automatico (accumulazione diconoscenza come bene pubblico; impedire l’uso deidati personali nella produzione di nuove discrimina-zioni; restituire il controllo sull’uso e sulla gestionedei dati personali; favorire forme di opposizione al-l’uso non voluto dei dati personali; ridare centralitàall’intervento umano nella gestione di servizi pub-blici che si servono di algoritmi; limitare il microtar-geting per finalità di mercato o politiche; promuo-vere il confronto e la diversità di opinioni e aspira-zioni in questo confronto). A questo si aggiunge unulteriore obiettivo: accrescere il grado di concor-renza tra le imprese nell’applicazione delle innova-zioni alla produzione di beni e servizi, con unacompressione delle rendite che esse consentono.

UN LAVORO CON PIÙ FORZA PER CONTARE.Obiettivo generale: ridare potere negoziale e dipartecipazione al lavoro, nelle forme appropriate aquesta fase dello sviluppo. Obiettivi specifici: met-tere tutti i lavoratori e le lavoratrici, qualunque siail loro contratto o luogo di nascita – in condizionedi tutelare con efficacia la dignità del proprio la-voro, sia sul piano retributivo e dei tempi di lavoro,

sia in termini di loro ruolo e autonomia; contrastareil crescente aumento delle disuguaglianze retribu-tive tra imprese e all’interno delle stesse imprese;contrastare le disuguaglianze retributive di genere;promuovere la possibilità per i lavoratori e le lavo-ratrici subordinati/e di influenzare e divenire par-tecipi non solo delle decisioni organizzative maanche degli indirizzi strategici dell’impresa; darevoce nel governo d’impresa ai consumatori e alleconsumatrici, agli e alle utenti e alle comunità sucui ricadono le conseguenze dell’attività dell’im-presa; scoraggiare le imprese inefficienti dal com-petere sfruttando retribuzioni o condizioni dilavoro inaccettabili (dumping contrattuale).

UN PASSAGGIO GENERAZIONALE PIÙ GIUSTO.Obiettivo generale (e specifico): Fare in modo chenel passaggio all’età adulta di ragazzi e ragazze ladisuguaglianza nella distribuzione della ricchezzaaccumulata dalle precedenti generazioni non siadeterminante per le opportunità individuali, avvi-cinando così le opportunità di ultimi, penultimi evulnerabili a quelle di primi e resilienti.

Le 15 proposte del Forum mirano a modificare i principalimeccanismi che determinano la formazione e la distri-buzione della ricchezza: il cambiamento tecnologico, larelazione fra lavoratori e lavoratrici e chi controlla le im-prese, il passaggio generazionale della ricchezza stessa

26 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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1. La conoscenza come bene pubblico globale: modificare gli accordi internazionali e intanto farmaci più ac-cessibili

2. Il modello Ginevra per un’Europa più giusta

3. Missioni di medio-lungo termine per le imprese pubbliche italiane

4. Promuovere la giustizia sociale nelle missioni delle Università italiane

5. Promuovere la giustizia sociale nella ricerca privata

6. Collaborazione fra Università, centri di competenze e piccole e medie imprese per generare conoscenza

7. Costruire una sovranità collettiva su dati personali e algoritmi

8. Strategie di sviluppo rivolte ai luoghi

9. Gli appalti innovativi per servizi a misura delle persone

10. Orientare gli strumenti per la sostenibilità ambientale a favore dei ceti deboli

11. Reclutamento e cura del personale, discrezionalità e verificabilità

12. Minimi contrattuali, minimi legali e monitoraggio partecipato

13. I Consigli del lavoro e di cittadinanza nell’impresa

14. Quando il lavoro controlla le imprese: più forza ai Workers Buyout

15. L’imposta sui vantaggi ricevuti e la misura di eredità universale

LE 15 PROPOSTE DEL FORUM DISUGUAGLIANZE DIVERSITÀ: I TITOLI

27DISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA

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28 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

«La causa dell’accresciuta disuguaglianza è spesso rin-tracciabile nei cambiamenti nella bilancia del potere […] Possiamo ridurre la disuguaglianza solo attraverso unriequilibrio del potere» 1

Le disuguaglianze sono frutto di meccanismi prodottida scelte consapevoli. E con scelte consapevoli si puòlavorare a favore di una società più giusta e più acco-gliente per tutti. Quelle riportate nelle pagine prece-denti sono alcune delle proposte possibili per operarein questa direzione. La storia di questi anni dimostraperò che anche laddove esista una relativa chiarezzasull’identificazione del problema e su una possibile ri-sposta, essa può essere lasciata da parte perché con-siderata “poco praticabile”. Ma se si riconosce unamalattia grave, attraverso quali meccanismi possiamodire che l’unica cura disponibile è poco praticabile?

Il primo elemento su cui la nostra responsabilitàviene sollecitata è quello relativo alla costruzione diuna società più giusta. Una prospettiva in termini diequità e inclusione è necessaria per dare una rispostaalle persone più fragili e vulnerabili. La loro (perdu-rante) presenza è il primo segnaleche qualcosa non va, e che è neces-sario riflettere a fondo su un sistemache sembra accettare la povertà, lavulnerabilità, il conflitto come unasorta di necessità storica.

La vicinanza ai più poveri e ai piùfragili richiede una modalità effi-cace, orientata alla costruzione diuna società più equa, in cui le differenze vengono ri-conosciute e accompagnate, e dove c’è una respon-sabilità condivisa sul perseguimento del benecomune. Non si tratta semplicemente di “dare a tuttila stessa quota”: se gli elementi di fragilità non ven-gono accompagnati e sostenuti, non c’è vera giustizia:le persone diversamente abili, i disoccupati, i giovani,le famiglie, gli stranieri, i rifugiati, le donne... Come di-ceva don Lorenzo Milani: «Non c'è nulla che sia più in-giusto quanto far parti uguali fra disuguali». Unasocietà inclusiva è anche una società più sicura, dovele differenze non diventano divisioni, e dove ciascunooffre un contributo alla realizzazione del bene co-mune: in un certo senso questo potrebbe esserel’obiettivo di ogni azione sociale e politica. E il benecomune di cui parliamo è un bene comune che ri-guarda tutta l’umanità, per il quale non è possibilerappresentare le ingiustizie se non come globali, intutte le loro implicazioni sulle donne e gli uomini che

vivono sul pianeta: quelli che cercano una via di uscitada una situazione che considerano senza speranza;quelli che non vogliono o non possono spostarsi dalluogo in cui sono nati, o dove si sono trovati a vivere;e in quei luoghi continuano a vivere sulla propria pellele conseguenze dell’ingiustizia. Ovunque vi sia una di-gnità violata, anche se lontano dalla nostra indigna-zione, siamo consapevoli della comune appartenenzaalla famiglia umana, tanto più che spesso, diretta-mente o indirettamente, anche noi siamo parte deimeccanismi che quella dignità violano e negano.

La fame, la povertà l’esclusione hanno radici pro-fonde. Anche se è più immediato occuparsi dei sintomiinvece che delle cause, e la vicinanza ai poveri e agli af-

famati è una necessità e una responsabilità di tutti noi,questo non ci aiuta a combattere i meccanismi che sitrovano alla base delle ingiustizie. Un clima culturalecomplessivo ci induce a credere che le disuguaglianzenon rappresentino in realtà un problema, che nonsiano in realtà così gravi, e che il sistema economicomondiale abbia dimostrato comunque di saper dareuna risposta ai problemi dei più poveri. Come si è vistonelle pagine precedenti, nel mondo di oggi nessuna diqueste tre cose sembra vera. Il passaggio da compiereè dunque quello di favorire un clima culturale favore-vole alla rimozione delle cause delle ingiustizie.

Non è facile mettere insieme i diversi elementi chepure si presentano ai nostri occhi in modo incontesta-bile. Questo richiede uno sforzo ulteriore, senza ilquale è difficile andare veramente al cuore del pro-blema. L’ostacolo più grande a questa maturazione diconsapevolezza è la paura, la rabbia, il rancore chepervade la nostra società, e ci porta a cercare sorgenti

5. Costruire una società più giusta,più inclusiva, meno disuguale

La vicinanza ai più poveri e ai più fragili richiede una mo-dalità efficace, in primo luogo orientata alla costruzionedi una società più equa, in cui le differenze vengono ri-conosciute e accompagnate, e dove c’è una responsabi-lità condivisa sul perseguimento del bene comune

Uguaglianza e equitàFonte: https://secondlineblog.org/2016/11/the-elusive-pursuit-of-equity/

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di rassicurazione e protezione: le identità, le formedella nostra stabilità materiale ma anche sociale eculturale (che sentiamo franare magari lentamentema inesorabilmente). Tali reazioni hanno ben visibiliconseguenze anche sul piano politico. Questi feno-meni di rabbia, paura, rancore sono allo stesso tempouna conseguenza e una causa delle crescenti disu-guaglianze, poiché generano delle risposte che sol-lecitano il senso di autodifesa, di chiusura, di difesadei confini: sentimenti in molti casi comprensibili esenza dubbio da rispettare profondamente. Ma chenelle loro concretizzazioni pratiche, guidate dai so-vranismi e dai nazionalismi che molta fortuna hannonel mondo di oggi, ottengono l’effetto di approfon-dire quei solchi, aumentare le fragilità, e in qualchemodo ottenere un effetto confermativo sul sistemacomplessivo che produce le ingiustizie.

Come dunque superare questa paura, questa rab-bia, questo rancore, e offrire una prospettiva diversasu una convivenza possibile per la famiglia umana?In questo, le recenti mobilitazioni sul clima non pos-sono che essere accolte con speranza; e con qualcheaspettativa che tutto questo rappresenti il primopassaggio per un risveglio delle co-scienze, che porti a un’azione ur-gente da parte di tutti. Ma ancheall’interno di un movimento impor-tante come i recenti Fridays for Fu-ture, che hanno visto una importan-tissima e per molti aspetti ineditamobilitazione globale dei giovani,nessuno sembra aver fatto caso alfatto che il viaggio “sostenibile” diGreta Thunberg verso New York, dove è stata accoltatrionfalmente alle Nazioni Unite, è avvenuto a bordodi una (pur ecologica) barca extralusso, apparte-nente a uno dei rentiers più ricchi d’Europa.

Come tutti i dati dimostrano, la pressione sul pia-neta deriva largamente dal consumo di una picco-lissima fascia di super ricchi. Questo genera delleconseguenze piuttosto significative: nel 2017, il con-sumo mondiale di materiale ha raggiunto 92,1 mi-liardi di tonnellate, in aumento rispetto agli 87miliardi del 2015, con un tasso di estrazione che ac-celera ogni anno dal 2000. Questi sono i dati, non in-coraggianti, di monitoraggio per il già citato SDG 12dedicato al consumo sostenibile. Ma, come abbiamovisto, questo obiettivo è del tutto “emarginato” nelquadro dell’Agenda 2030, e anche Greta sembra farfatica a riconoscere il collegamento tra ricchezzaestrema e la pressione sulle risorse del pianeta: nonsi tratta di promuovere una retorica pauperistica ola contrapposizione sociale verso le fasce più ricchedelle società, tanto più che anche tra queste ultimesi sta affacciando una maggiore consapevolezza

circa l’insostenibilità dei meccanismi su cui essestesse basano la propria fortuna.

Si tratta invece di raccogliere semplici dati e, comesi è detto prima, di “unire i puntini” tra fenomeni evi-denti: fame, povertà, disuguaglianza, aumento delconsumo di beni materiali, aumento delle malattie dasovraconsumo, enorme spreco di beni alimentari…Non fenomeni bizzarri, contraddittori e scollegati; mamanifestazioni concrete del sistema economico glo-bale, i cui legami sono più forti di quanto sospettiamo,cementati dalla convergenza sempre più visibile delpotere politico, sociale, economico e finanziario.

I comportamenti virtuosi, personali e comunitari,come la diminuzione dell’uso della plastica e più ingenerale di tutti i consumi di beni materiali, il lavoroper la riduzione e la prevenzione dello spreco, la ri-duzione del consumo di carne rappresentano deipassaggi necessari. Così come lo sono la richiesta atutti i governi di politiche orientate a una “giusta tran-sizione ecologica”. Tutto questo però non basta, senon si è in grado di chiedere un cambiamento radi-cale nel sistema economico e finanziario del capita-lismo contemporaneo, la cui capacità di azione

travalica di gran lunga il potere dei singoli stati e tal-volta anche quello delle istituzioni sovranazionali. Èun passaggio necessario per riconnettere in una pro-spettiva realmente trasformativa la necessità di ri-durre le disuguaglianze con quella di fermare ifenomeni di cambiamento climatico e di devasta-zione del pianeta.

L’urgenza delle sfide sociali e ambientali ci chie-dono una trasformazione radicale, incluso un pro-fondo cambiamento nella struttura del potere: «Ogniaspirazione a curare e migliorare il mondo richiede dicambiare profondamente gli “stili di vita, i modelli diproduzione e di consumo, le strutture consolidate dipotere che oggi reggono le società”» (LS 5) «... ma il po-tere collegato con la finanza è quello che più resiste atale sforzo, e i disegni politici spesso non hanno am-piezza di vedute. Perché si vuole mantenere oggi unpotere che sarà ricordato per la sua incapacità di inter-venire quando era urgente e necessario farlo?» (LS 57).

Questa è l’unica interpretazione possibile del-l’idea di cittadinanza globale, quella per cui siamochiamati a impegnarci.

I comportamenti virtuosi, personali e comunitari, rappre-sentano dei passaggi necessari. Così come lo sono la ri-chiesta a tutti i governi di politiche orientate a unatransizione ecologica. Questo però non basta, se non si èin grado di chiedere un cambiamento radicale nel sistemaeconomico e finanziario del capitalismo contemporaneo

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1. Al cuore del problema: verso un cambio di para-digma

1 Per una discussione critica della metodologia impiegatanella rappresentazione della curva dell’“elefante globale”,vedi Boldrini, Dente, e Galotto, L’elefante della disugua-glianza globale.

2 Cobham, Palma vs Gini.3 Alvaredo et al., World Inequality Report 2018.4 Piketty, Capital et idéologie.5 Hickel, The divide.6 Per una breve discussione delle ragioni che suggeriscono

di mettere in discussione la soglia di povertà adottatadalla banca mondiale (e attualmente fissata a 1,90 USD ‘aparità di potere di acquisto’), e del perché le statistiche dialcuni Paesi potrebbero non rappresentare in modo deltutto fedele la realtà dei fatti, vedi Caritas Italiana, «Verticiinternazionali: servono veramente ai poveri? NazioniUnite, Agenda 203, Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile».

7 OECD, In It Together.8 Wilkinson e Pickett, La misura dell’anima.9 Milanovic, Ingiustizia globale.10 Mishra, L’età della rabbia.11 Esempio tratto da Prato, Editorial.

2. Un tema complesso: qualche idea per orientarsi1 De Muro, Not just slicing the pie: the need for a broader ap-

proach to economic inequality.2 Stewart, Horizontal inequalities and conflict.3 Milanovic, Ingiustizia Globale.4 In particolare per il caso relativo alla percezione della pre-

senza degli stranieri in Italia vedi la recente ricerca di Ca-ritaas Italiana Ceschi, Common Home. Migration andDevelopment in Italy.

5 Ha colpito molti quanto avvenuto nel corso della trasmis-sione Piazza Pulita l’11 aprile scorso, quando l’afferma-zione «i rom non sono uguali a noi», ha fatto scattarel’applauso del pubblico. A dirlo, Simone, ospite in trasmis-sione insieme alla fidanzata Noemi. I due vengono dalquartiere Casal Bruciato, dove alcuni residenti hanno pro-testato per la regolare assegnazione di una casa popolarea una famiglia rom e occupata proprio da Simone eNoemi. Da notare nell’episodio, che mette in evidenza duefamiglie in stato di grave disagio (la famiglia Rom, e la fa-miglia di Simone e Noemi), la presenza di una rivendicatagrave violazione del diritto (a fronte di una regolare asse-gnazione di un alloggio pubblico), ma soprattutto la na-turalizzazione della differenza tra “noi” e gli altri. Lanaturalizzazione della differenza diventa facile cavallo dibattaglia per quelle forze politiche (Casapound, diretta-mente intervenuta nelle proteste, ma anche esponenti dialtri partiti come Fratelli d’Italia) che su questa segmenta-zione sociale e il suo esplodere in una situazione di disagiocostruiscono le proprie fortune politiche.

Vedi: https://roma.repubblica.it/cronaca/2019/05/06/news/roma_casa_popolare_assegnata_a_famiglia_rom_resi-denti_in_strada_a_casal_bruciato-225604120/ consultatoil 2 ottobre 2019.

6 Vedi il recente rapporto ASVIS per un’accurata analisi dellasituazione delle diverse regioni italiane con riferimento al

7 http://www.oecd.org/social/OECD2014-Income-Inequa-lity-Update.pdf

8 https://www.overshootday.org/newsroom/press-release-july-2019-italian/

9 Le transazioni Over The Counter sono le transazioni direttetra due operatori della finanza cioè indipendenti da unaintermediazione. Dunque immediate ma anche opache emeno trasparenti (appunto perché l’informazione relativaad esse non è centralizzata in alcuna maniera).

10 I “sottostanti” sono i beni economici da cui si parte per lacostruzione di strumenti finanziari complessi. Si può adesempio speculare sui valori futuri delle derrate alimen-tari, acquistando e vendendo nel giro di pochi secondienormi quantità di derrate alimentari. Il prezzo di questederrate non viene dunque più influenzato dalla domandae dall’offerta reali, ma da queste velocissime e incontrol-labili operazioni finanziarie. Questo è ciò che è avvenutoin misura assai importante tra il 2007 e il 2008, quando ilprezzo delle derrate alimentari ebbe una fiammata a li-vello globale.

11 Per un’analisi degli effetti e delle dinamiche di finanziariz-zazione, vedi Sonkin e Prato, Spotlight on financial justice.Understanding global inequalities to overcome financial in-justice.

12 Su questo, vedi Pallottino, Debito e disuguaglianze.13 Il tema non è qui (o non solo) quello relativo alla pressione

fiscale media, quanto piuttosto quella relativa alla sua di-stribuzione. Per una interessante analisi sul caso italiano,che hanno spostato dai redditi alti a quelli medi (e da la-voro dipendente) una grande parte del peso fiscale, allostesso tempo indebolendo, vedi Artifoni, De Lellis, e Ge-sualdi, Fisco & Debito. Gli effetti delle controriforme fiscali sulnostro debito pubblico.

14 Fadda, Income inequality. What causes it and how to curb it.15 Guarascio e Pianta, Tecnologia e disuguaglianze di reddito.16 Vedi https://www.ambienteambienti.com/ski-dubai-

quale-turismo/ Consultato il 07/10/1917 Traduzione dell’autore, citata da Wade e Alacevich, Why

Has Income Inequality Been Neglected in Economics and Pu-blic Policy?

18 Tra le analisi più lucide in questa direzione, vedi il recenteHickel, The divide. Nella stessa direzione vedi anche Sassen,Espulsioni.

19 Il tema della necessità di un’alternativa in termini di si-stema economico è centrale nel dibattito di Papa France-sco, che ne ha fatto uno dei temi centrali della Laudato si’.Vedi anche Tornielli e Galeazzi, Papa Francesco.

NOTE

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20 L’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibilile contiene 17Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, su cui dovrebbe con-cretizzarsi l’impegno degli stati.

21 Fukuda‐Parr, Keeping Out Extreme Inequality from the SDGAgenda.

22 «…concentrandosi su genere, età, disabilità e collocazionegeografica, ma senza menzionare il livello di reddito livello,l’eetnia, l’indigeneità, la religione o la razza». Ibidem. (miatraduzione).

23 L’obiettivo 10 riguarda le disuguaglianze nei Paesi e tra iPaesi. Ma se si evoca (giustamente) il tema della voce deiPaesi del sud globale nelle istanze di negoziazione inter-nazionale, non appare in alcun modo il tema della “voce”rappresentativa nel gioco politico interno dei diversi Paesi.

24 Si richiama qui il recente Caritas Italiana, Vertici internazio-nali: servono veramente ai poveri? Nazioni Unite, Agenda203, Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. E in particolare ilparagrafo «Che cosa è sostenibile?».

3. Nutrire il pianeta? Disuguaglianze, fame, squili-bri

1 FAO et al., State of food security and nutrition in the wor-lod 2019.

2 Hickel, The divide, 53–54.3 FAO et al., State of food security and nutrition in the wor-

lod 2019. 79-.4 http://www.fao.org/save-food/resources/keyfindings/en/

consultato il 9 ottobre 2019.5 Per la carne bovina, in termini calorici. https://awellfed-

world.org/feed-ratios/ consultato il 9 ottobre 2019.6 Cioè la produzione di colture specificamente disegnate

geneticamente per dare risposte puntuali a problemi nu-trizionali. È il caso del “Golden Rice” arricchito con vitaminaA.

7 Caritas Italiana, Deforestazione: emergenza silenziosa. In di-fesa dell’Amazzonia e dei popoli indigeni.

8 Vedi Caritas Italiana, Terra bruciata. Il land grabbing formadi colonialismo. Vedi anche Stocchiero, I padroni della terra.

9 Seufert, Food and land. From food production to investmentopportunity: the financialization of land.

10 Marti, Ultra-Processed Foods Are Not “Real Food” but ReallyAffect Your Health; Monteiro et al., Household Availability ofUltra-Processed Foods and Obesity in Nineteen EuropeanCountries; Baker e Friel, Food Systems Transformations,Ultra-Processed Food Markets and the Nutrition Transition inAsia.

11 Emmi et al., Il diritto al cibo e alla salute: Interconnessioni,criticità e opportunità per superare le disuguaglianze.

12 Per una delle campagne che approfondisce il pericolo de-rivante da questa nuova generazione di accordi commer-ciali, vedi https://stop-ttip-italia.net/

13 Di Sisto e Zoratti, Commercio e agricoltura, priorità da rista-bilire.

14 Le contraddizioni e le opacità esistenti nell’obiettivo 2 di-ventano ancora più evidenti se si analizzano gli indicatoriattraverso i quali i target dovrebbero essere misurati. Unsolo esempio: il target 2.4 intende «entro il 2030, garantiresistemi di produzione alimentare sostenibili e implemen-tare pratiche agricole resilienti che aumentino la produt-tività e la produzione, che aiutino a proteggere gliecosistemi, che rafforzino la capacità di adattamento aicambiamenti climatici, a condizioni meteorologicheestreme, siccità, inondazioni e altri disastri e che migliorinoprogressivamente la qualità del suolo». Questo target do-vrebbe essere misurato attraverso la “proporzione dell’areaagricola utilizzata in attività agricola produttiva e sosteni-bile”. Ma cosa vuol dire questa definizione? La lettura deldettaglio della metodologia (i cosiddetti “metadata”) rivelal’intrinseca difficoltà di tenere insieme in modo traspa-rente e praticabile i due elementi (produttività e sosteni-bilità), e la complessità di un esercizio che fatica a darerappresentazione alla varietà dei sistemi di produzione esi-stenti sul pianeta. Il gruppo di esperti che stanno appro-fondendo la questione non ha però ancora raggiunto unconsenso definitivo su questo indicatore.

15 Questo approccio, e i suoi rischi, è stato discusso nel pre-cedente dossier Caritas Italiana, Vertici internazionali: ser-vono veramente ai poveri?

16 Come nel caso dell’iniziativa SUN Scaling Up Nutrition. VediMichèle et al., Human rights risks of multi-stakeholder par-tnerships: the Scaling Up Nutrition Initiative.

17 McKeon, Are Equity and Sustainability a Likely OutcomeWhen Foxes and Chickens Share the Same Coop?

18 https://undocs.org/E/2019/68 consultato il 10/10/2019.19 Per il quale vedi ICSU, A guide to SDG interactions: from

science to implementation.20 Papa Francesco, Messaggio per la 105a Giornata Mondiale

del Migrante e del Rifugiato 2019, 29 settembre 201921 Il caso della fabbrica di armi della RWM, che produce in

Sardegna le bombe destinate all’Arabia Saudita e utilizzatein Yemen, ripetutamente trattato in precedenti Dossier. Ilcaso dell’invasione della Siria del Nord da parte della Tur-chia è significativo e può essere letto alla luce dell’Agenda2030 e della necessità di riformare profondamente il modoin cui essa viene monitorata. Nella sua presentazione vo-lontaria nazionale della Turchia (VNR – Voluntary NationalReview), effettuata quest’anno a New York per rendere ra-gione della posizione del Paese rispetto all’agenda 2030(https://sustainabledevelopment.un.org/content/docu-ments/23862Turkey_VNR_110719.pdf ), si rivendica la«cultura di solidarietà e approccio umanitario ai gruppi piùvulnerabili» e la «politica delle porte aperte» con cui sonostati «indiscriminatamente accolti gli stranieri che si sonopresentati presso il confine turco a causa della crisi uma-nitaria iniziata nel 2011». La recentissima invasione del-l’esercito turco nella regione siriana del Rojava, amaggioranza curda, potrebbe aprire la possibilità di unaricollocazione di parte dei rifugiati siriani proprio in quel-l’area, raggiungendo in questo modo un obiettivo di ca-rattere geostrategico tramite un percorso di “sostituzioneetnica”. In che termini questa operazione militare (peraltrostigmatizzata, anche se soltanto a parole, dall’intera comu-

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nità internazionale) rientra in un quadro di sviluppo soste-nibile’? La VNR della Turchia esamina la situazione delPaese anche relativamente all’obiettivo 16 (dedicato allacostruzione di società pacifiche e allo stato di diritto)omettendo però di menzionare ogni misurazione possi-bile – e prevista nella struttura degli SDGs – relativa alledimensioni del conflitto, del commercio di armi, dellatratta, dei diritti umani di base. La VNR presenta e analizzaanche una “matrice di coerenza” tra i diversi obiettivi, chedefinisce interazioni, ma certamente non mette in rilievoparticolari tensioni. Limitandosi all’interazione tra SDGs eomettendo le tematiche più spinose non è difficile definireun livello soddisfacente di coerenza per lo sviluppo soste-nibile. Il caso in questione segnala dei motivi di riflessioneimportanti con riferimento al caso turco. Ma anche relati-vamente ai Paesi che hanno prodotto le armi ora utilizzatein una vera e propria guerra di invasione (ancorché giusti-ficata dal governo turco come guerra per difendere la pro-pria sicurezza): la Germania, gli Stati Uniti, ma anche l’Italia(che ha consegnato alla Turchia tra il 2015 e il 2018 armiper più di 460 milioni di euro – Fonte Archivio Disarmo).Nel caso dei Paesi europei, si tratta anche degli stessi Paesiche hanno sostenuto le politiche di scambio “profughicontro finanziamenti” con il governo turco. Ma anche leVNR di questi Paesi tendono a sorvolare su queste imba-razzanti questioni.

22 Su questo, vedi Beccegato e Pallottino, Fame e conflitto.Spazi e prospettive per percorsi di pace.

23 In particolare Caritas Italiana, Vertici internazionali: servonoveramente ai poveri?

4. L’Italia: un Paese sempre più disuguale1 «Disuguitalia. I dati sulla disuguaglianza economica in Ita-

lia». Inserto in Bene pubblico o ricchezza privata?. Vedianche Stocchiero e Pastorelli, Le disuguaglianze in Italia. Iltema delle disuguaglianze in Italia nel quadro della messain opera dell’Agenda 2030 è analizzato da ASVIS, L’Italia egli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Rapporto ASviS 2019.

2 Shorrocks, Davies, e Lluberas, «Global Wealth Databook».3 Non si può non fare riferimento al concetto di “terre morte”

come descritto da Sassen, Espulsioni.4 Da cui sono tratti gli esempi e i dati delle righe precedenti.

Stocchiero e Pastorelli, Le disuguaglianze in Italia.5 ASVIS, L’Italia e gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile. Rapporto

ASviS 2019.6 La campagna è promossa da Azione Cattolica Italiana, Ca-

ritas Italiana, Centro Turistico Giovanile, Coldiretti-Campa-gna Amica, Comunità Papa Giovanni XXIII, Earth Day Italia,FOCSIV-Volontari nel Mondo, Missio, Movimento CristianoLavoratori, Pax Christi, ACLI. Hanno aderito anche Salesianiper il Sociale, VIS, CVX, Fondazione Finanza Etica, SERMIG.I Media partners sono Avvenire, SIR, Radio inBlu, TV2000.

7 Dal documento base della campagna. https://www.chiu-diamolaforbice.it/wp-content/uploads/2018/06/Docu-mento-base-Chiudiamo-la-forbice-1.pdf

8 Promossa da Caritas Italiana negli anni passati insieme aun ampio ventaglio di organizzazioni, molte delle quali sisono adesso ritrovate nella campagna Chiudiamo la for-bice.

9 https://www.huffingtonpost.it/entry/esiste-unalternativa-a-una-societa- dominata- dal le - disuguagl ianze_it_5d9f0b9fe4b06ddfc51463e3

10 Franzini, Quali politiche, se il mercato rende diseguali (se-conda parte)?

11 Tutte le proposte possono essere trovate qui:https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/proposte-per-la-giustizia-sociale/

5. Costruire una società più giusta, più inclusiva,meno disuguale

1 Atkinson, Inequality, citato da Forum Disuguaglianze e Di-versità.

Page 36: DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZEDISUGUAGLIANZE: NEL CUORE DEL PROBLEMA Superare fame e squilibri alimentari per la dignità dei più poveri «L’“ingiustizia sociale naturalizzata”

Le disuguaglianze sono un fenomeno in crescita costante dagli anni ‘80 del secolo scorso. Au-menta anche il numero delle persone affamate: secondo la FAO erano 821 milioni nel 2018.Ma potrebbero essere molte di più.

Assieme alla fame crescono le patologie da sovranutrizione, come l’obesità, mentre rimane al-tissimo lo spreco alimentare. L’umanità consuma ogni anno sempre più risorse materiali. Unsistema profondamente ingiusto, che si basa sull’estrazione delle risorse, sulla marginalizza-zione delle comunità locali, sul profitto per pochi, sulla promozione di diete squilibrate. Ma lerisorse del pianeta sono limitate, e le disuguaglianze eccessive scavano solchi tra le persone.

Il primo passo è quello di costruire una cultura della giustizia e dell’inclusione: le disugua-glianze sono state spesso sottovalutate, ritenute un fenomeno non troppo grave, oppure ine-vitabile a fronte di un sistema che comunque è in grado di dare una risposta ai bisogni deipoveri, sempre più messi alla prova in un contesto di cambiamento climatico. Ma secondo idati di questo dossier, non è vero.

È necessaria una società capace di trasformare il sistema economico che ora domina il pianeta.Le disuguaglianze non sono la conseguenza ineluttabile del destino, ma il risultato di scelteben precise, che è possibile contrastare.

www.caritas.it

Tutti i dossier sono disponibili su www.caritas.it; shortlink alla sezione: http://bit.ly/1LhsU5G):

1. GRECIA: Gioventù ferita – Gen 20152. SIRIA: Strage di innocenti – Mar 20153. HAITI: Se questo è un detenuto – Apr 20154. BANGLADESH, INDIA, SRI LANKA, THAILANDIA: Lavoro

dignitoso per tutti – Mag 20155. BOSNIA ED ERZEGOVINA: Una generazione alla ricerca di pace

vera – Giu 20156. GIBUTI: Mari e muri – Giu 20157. IRAQ: Perseguitati – Lug 20158. REPUBBLICA DEL CONGO: «Ecologia integrale» – Sett 20159. SERBIA E MONTENEGRO: Liberi tutti! – Ott 201510. AFRICA, AMERICA LATINA, ASIA: Un’alleanza tra il pianeta e

l'umanità – Dic 201511. HAITI: Concentrato di povertà – Gen 201612. AFRICA SUB-SAHARIANA: Salute negata – Feb 201613. SIRIA: Cacciati e rifiutati – Mar 201614. NEPAL: Tratta di esseri umani. Disumana e globale – Apr 201615. GRECIA: Paradosso europeo – Mag 201616. HAITI: Rimpatri forzati – Giu 201617. ASIA: Per un’ecologia umana integrale – Sett 201618. ARGENTINA: Il narcotraffico come una metastasi – Sett 201619. ASIA: Diversa da chi? – Ott 201620. EUROPA: Generatori di risorse – Nov 201621. AFRICA OCCIDENTALE: Divieto di accesso – Dic 201622. HAITI: Ripartire dalla terra – Gen 201723. ALGERIA: Purgatorio dimenticato – Feb 201724. SIRIA: Come fiori tra le macerie – Mar 201725. NEPAL: Il terremoto dentro – Apr 2017

26. Un mondo in bilico – Mag 201727. VENEZUELA: Inascoltati – Lug 201728. FILIPPINE: Il futuro è adesso – Sett 201729. TERRA SANTA: All’ombra del muro – Sett 201730. ASIA: Per un lavoro dignitoso – Ott 201731. KOSOVO: Minoranze da includere – Nov 201732. AFRICA: Fame di pace – Gen 201833. BALCANI: Futuro minato – Feb 201834. SIRIA: Sulla loro pelle – Mar 201835. HAITI: Una scuola per tutti – Mar 201836. NEPAL: In cerca di dignità – Apr 201837. La rivoluzione dei piccoli passi – Mag 201838. GIORDANIA: Rifugiati: la sfida dell'accoglienza – Giu 201839. MAROCCO: «Partire era l'unica scelta» – Lug 201840. FILIPPINE: Indigeni, diritti, cura del creato – Ago 201841. KENYA: Democrazia in cammino – Ott 201842. BALCANI: Minori migranti, maggiori rischi – Dic 201843. HAITI: Paradisi perduti? – Gen 201944. AMERICA LATINA: Terra bruciata – Mar 201945. SIRIA: Beati i costruttori di Pace – Mar 201946. NEPAL: Acqua: bene universale da proteggere – Apr 201947. GUINEA: Corruzione: ecologia umana lacerata – Mag 201948. LIBANO: Trattati da schiavi – Giu 201949. Vertici internazionali: servono veramente ai poveri? – Lug 201950. REGIONE PANAMAZZONICA: Deforestazione: emergenza

silenziosa – Set 2019