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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Numero 5 – Giugno 2015 Una generazione alla ricerca di pace vera I giovani e le sfide per il futuro: riconciliazione, dialogo interreligioso, lavoro Bosnia ed Erzegovina

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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 5 – Giugno 2015

Una generazione alla ricerca di pace vera

I giovani e le sfide per il futuro:riconciliazione, dialogo interreligioso, lavoro

Bosnia ed Erzegovina

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INDICE

Introduzione 3

1. Il problema a livello internazionale 5

2. Il problema a livello nazionale 7

3. Le cause e le connessioni con l’Italia e con l’Europa 9

4. I dati Caritas 11

5. Testimonianze 17

6. La questione 21

7. Le proposte 23

8. L’impegno di Caritas Italiana 27

Bibliografia e fonti di informazioni 29

Note 30

A cura di: Francesco Soddu | Daniele Bombardi | Rodolfo Toè | Laura Stopponi | Paolo Beccegato

Testi: Daniele Bombardi | Rodolfo Toè

Hanno collaborato: Alessandro Alacevich | Danilo Angelelli | Renato Marinaro | Roberta Dragonetti

Foto: Daniele Bombardi

Grafica e impaginazione: Danilo Angelelli

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 5 | Giugno 2015

BOSNIA ED ERZEGOVINAUNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERAI giovani e le sfide per il futuro:riconciliazione, dialogo interreligioso, lavoro

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Il 2015 rappresenta per la Bosnia ed Erzegovina il ven-tesimo anniversario degli accordi di pace di Dayton,che misero fine alla più cruenta guerra dell’Europamoderna dopo la Seconda Guerra Mondiale. Un con-flitto durato ben 4 anni (1992-1995), che provocò piùdi 100 mila vittime e 2 milioni di sfollati 1. A 20 anni didistanza, nel Paese si contano ancora 84.500 sfollati e6.853 profughi 2; inoltre, sono 7.282 le persone scom-parse durante il conflitto di cui non si ha ancora alcunanotizia 3.

La guerra mise a dura prova la coesistenza tra le treetnie e le tre religioni presenti da secoli nel Paese: icroati cattolici, i serbi ortodossi e i bosgnacchi musul-mani. Oltre ai danni umani e materiali sofferti da que-ste comunità, gli anni del conflitto hanno laceratoprofondamente i legami di fiducia, rispetto reciprocoe tolleranza tra questi gruppi. Papa Giovanni Paolo II,entrando a Sarajevo per la sua visita pastorale nel1997, ebbe a dire 4: «Non di sola ricostruzione mate-riale c’è bisogno; è necessario provvedere innanzituttoalla riedificazione spirituale degli animi, nei quali lafuria devastatrice della guerra ha spesso incrinato eforse compromesso i valori su cui sifonda ogni civile convivenza. Propriodi qui, dai fondamenti spirituali del-l’umano convivere, occorre ricomin-ciare».

Purtroppo però gli accordi di pacedi Dayton, se da una parte ebbero ilmerito di porre fine al conflitto, dall’al-tra parte suggellarono le divisioni esi-stenti sul terreno nel 1995, sancendoper legge la spartizione delle istitu-zioni e del territorio su base etnica eponendo le basi dell’attuale crisi isti-tuzionale, dal momento che posero inessere uno Stato estremamente com-plicato e disfunzionale.

Dayton è servito a fermare la guerra, ma non a co-struire la pace: questa è divenuta per gli abitanti unafrase quasi proverbiale, per spiegare come il Paese havissuto l’ultimo ventennio 5. Dal 1995, infatti, nessuncambiamento significativo è stato apportato al disfun-zionale quadro creato dagli accordi di pace, così la si-tuazione economica e sociale del Paese è andata manmano aggravandosi. L’Unione Europea ha denunciatoa più riprese quanto il sistema di Dayton stia ostaco-lando l’avvicinamento della Bosnia ed Erzegovina aglistandard richiesti per accedere all’Unione stessa 6: «Ilcomplesso sistema decisionale, la mancanza di una vi-sione condivisa, la scarsa collaborazione tra i vari livelli

di governo, tutto questo ha rallentato le riforme strut-turali e ha impedito il progresso del Paese versol’Unione Europea».

La Bosnia ed Erzegovina è oggi un Paese che nonriesce a garantire il rispetto dei più elementari dirittiumani dei propri cittadini e che costringe molte per-sone a emigrare all’estero in cerca di migliore fortuna.Rivolgendosi recentemente ai Vescovi della Bosnia edErzegovina 7, Papa Francesco ha sottolineato: «Quelladell’emigrazione è giustamente una delle realtà socialiche vi stanno molto a cuore. Essa evoca la difficoltàdel ritorno di tanti vostri concittadini, la scarsità difonti di lavoro, l’instabilità delle famiglie, la lacerazione

affettiva e sociale di intere comunità,la precarietà operativa di diverse par-rocchie, le memorie ancora vive delconflitto, sia a livello personale che co-munitario, con le ferite degli animi an-cora doloranti».

La guerra prima e la fuga dal Paesepoi, hanno creato una vera e propriacatastrofe demografica negli ultimi 20anni: dal censimento del 1991 (ultimoanno prima della guerra) a quello del2013, la popolazione bosniaco-erze-govese è diminuita di ben 585 milapersone, passando da 4,4 milioni agliattuali 3,7 milioni di abitanti.

Come ha sottolineato con forza piùvolte la Conferenza Episcopale della Bosnia ed Erze-govina 8, «l’attuale situazione dimostra chiaramentecome la soluzione ingiusta e insostenibile di Daytonspinge questo Paese in una crisi sempre più profondae che dunque, come anche molti altri affermano, è in-dispensabile un suo cambiamento. I Vescovi riten-gono che questo cambiamento, se vuole portare a unmiglioramento, deve assicurare lo stesso status terri-toriale e politico ai tre popoli costituenti e deve garan-tire il rispetto dei diritti umani e civili di tutti i cittadinidi questa terra in ogni sua componente. Solo in que-sto modo potranno essere corrette le ingiustizie lega-lizzate e si potranno aprire le possibilità per una

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Quella dei ventenniè una generazionesenza pace: ragazzi natidurante un conflitto,cresciuti in un contestonon pacificato,che stanno vivendoancora oggi tensionietniche, crisi politiche,disagio sociale,difficoltà economiche.

Introduzione Bosnia ed ErzegovinaCapitale: Sarajevo

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4 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

normalizzazione […]. I Vescovi incoraggiano e suppor-tano tutti i cattolici e gli altri abitanti della Bosnia edErzegovina affinché, nonostante le difficoltà, riman-gano in questa terra».

A fare le spese di questo desolante quadro sono intanti: le minoranze etniche e religiose, largamente di-scriminate; gli anziani, spesso abbandonati; le fascepiù vulnerabili, a cui non è garantito nemmeno un li-vello minimo di assistenza sociale e sanitaria ade-guata. Ma forse più di tutti a pagare questa situazionesono i giovani, in particolare coloro i quali sono nati ecresciuti durante la guerra o subito dopo essa. Questagenerazione di ventenni è infatti una generazionesenza pace: sono ragazze e ragazzi nati durante unconflitto, cresciuti in un contesto non pacificato, e chestanno vivendo in una realtà ancora oggi segnata datensioni etniche, crisi politiche, disagio sociale, diffi-coltà economiche.

Molti di questi giovani hanno compreso che i lorosogni non si potranno mai realizzare nella Bosnia edErzegovina di oggi, e hanno così deciso di emigrare,affrontando tutte le difficoltà di chi decide di lasciarefamiglia e amici per provare a costruirsi una vita mi-gliore altrove. Chi invece è rimasto nel Paese, per forzao per scelta, si sta trovando davanti a sfide forse an-cora più dure: la necessità di riconciliazione con la me-moria del passato; la costruzione di una convivenzapossibile con i giovani di gruppi etnici diversi dal pro-

prio; il superamento delle spinte nazionaliste ancoramolto presenti; il bisogno di trovare un lavoro e di co-struire una famiglia in un contesto che offre poche op-portunità.

Nonostante le enormi difficoltà, però, i giovani so-no considerati dalla popolazione della Bosnia ed Er-zegovina l’unica, reale possibilità di cambiamentofuturo: su di loro, cioè, si poggia la speranza di unPaese più giusto e pacificato, come dimostrano i datidi un sondaggio condotto dalle Nazioni Unite nelmaggio 2013, quando il 63% dei cittadini bosniaco-erzegovesi indicarono i giovani come «i principaliagenti del cambiamento nella società».

Il lavoro che le giovani generazioni bosniaco-erze-govesi hanno davanti a sé è dunque duro. «Riaprire leferite è un’operazione dolorosa, ma necessaria: biso-gna pulirle, disinfettarle, perché è solo da qui cheinizia la guarigione. Si tratta ovviamente di una guari-gione che non può essere solo materiale: non bastacioè una mera, seppur necessaria, ricostruzione deidanni dopo un conflitto» 9.

Per questi motivi la “generazione senza pace” è permolti versi lo specchio della Bosnia ed Erzegovinastessa: una generazione che, come il Paese, è nata conla guerra, è cresciuta in una dura transizione e sta an-cora cercando di vincere le tante sfide su cui si giocheràil proprio futuro. È dunque alla Bosnia ed Erzegovina eai suoi giovani che questo Dossier è dedicato.

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Parlare di Bosnia ed Erzegovina oggi non può ridursialla semplice commemorazione di quanto è avvenutoin passato. Il presente Dossier ha scelto di parlare so-prattutto dei giovani di questo Paese perché nella so-cietà e nella politica bosniache si ritrovano, oggi, tuttii principali temi e le priorità che l’Italia, e con essal’Unione Europea, devono fronteggiare, soprattuttoquando si parla delle nuove generazioni e del loroposto nella società.

Un quadro già critico aggravato dalla crisieconomica e dalle politiche di austerityLa Bosnia ed Erzegovina nata a Dayton non ha maifunzionato veramente come uno Stato efficiente eproduttivo. A differenza di molti altri contesti post-bel-lici non si è mai verificata quella spinta economica equel rilancio sociale che ci si poteva aspettare con iprocessi di ricostruzione materiale e civile. Infatti, glieffetti della guerra e soprattutto le condizioni poste aDayton non hanno mai consentito all’economia dellaBosnia ed Erzegovina di ripartire veramente: l’indiceEase of Doing Business 10, che calcola il livello di pro-pensione del sistema-Paese nel favorire od ostacolarela crescita economica, collocava la Bosnia ed Erzego-vina al 96° posto (tra i 188 Paesi al mondo) nel 2006.Oggi, la Bosnia ed Erzegovina è così peggiorata da oc-cupare il 131° posto (2014).

Il quadro già grave dell’economia bosniaco-erzego-vese si è trovato inoltre negli ultimi anni a doversi con-frontare con una delle crisi economiche e finanziariemaggiori della storia d’Europa. Le difficoltà che il nostrocontinente sta affrontando mettono in discussione lepolitiche sociali ed economiche dei nostri Stati e lastessa solidità del progetto europeo. «L’UE e i suoi Statimembri continuano a pensare di risolvere la crisi attualeconcentrandosi principalmente sulle politiche econo-miche e di stabilità finanziaria, alle spese di quelle so-ciali. Questo ha un impatto devastante in tutti i popolid’Europa» ricorda il report recentemente pubblicato daCaritas Europa 11 sull’impatto della crisi economica, no-tando la necessità di proteggere «i servizi pubblici es-senziali» e di «creare nuovi posti di lavoro».

Da questo punto di vista, Bosnia ed Erzegovina e iPaesi europei colpiti dalla crisi, come l’Italia, non sonocosì distanti: le fabbriche chiudono, un numero sempremaggiore di famiglie è a rischio di esclusione sociale eaumenta anche la sfiducia nei confronti della comunitàinternazionale e di un’Europa ”dei burocrati e alle ban-che”12. Il PIL pro-capite bosniaco è da anni tra i più bassiin Europa e occupa oggi il 132º posto nel mondo 13 (ad-dirittura dietro Paesi come l’Iraq e la Namibia).

Le istituzioni nazionali e le organizzazioni sovrana-zionali e internazionali sono sempre più lontane dallenecessità della gente comune e insistono nelle falli-mentari politiche di austerity e di riduzione delle tu-tele sociali: ne è una dimostrazione, per esempio, lanuova riforma del lavoro in discussione in Bosnia edErzegovina, con la quale – in un Paese già messo in gi-nocchio dalla crisi – si ridurranno ulteriormente le pro-tezioni e i diritti dei lavoratori, seguendo le indicazionidel Fondo Monetario Internazionale 14.

In tutta l’Europa, Bosnia ed Erzegovina inclusa,sono spesso i giovani ad essere tra le principali vittimedi questa situazione. Diventa sempre più difficile perloro la ricerca di un lavoro e di una propria indipen-denza economica: la disoccupazione bosniaca è tra lepiù alte della regione (il tasso registrato 15 è del 27,6%,secondo solo alla Macedonia) e quella giovanile inparticolare si attesta attorno al 60% ed è citata so-vente 16 come “la più elevata del mondo”.

Le sfide del dialogo ecumenicoe del dialogo interreligiosoNonostante sia alle prese con la difficile eredità di unconflitto come quello degli anni Novanta, oggi la Bo-snia ed Erzegovina rimane comunque un eccellente

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1. Il problema a livellointernazionale

«Sono convinto che un’Europa che sia in grado di fare tesoro delle proprie radici religiose,sapendone cogliere la ricchezza e le potenzialità, possa essere anche più facilmente im-mune dai tanti estremismi che dilagano nel mondo odierno, anche per il grande vuotoideale a cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché è proprio l’oblio di Dio, e non lasua glorificazione, a generare la violenza». Papa Francesco

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laboratorio di dialogo e incontro tra le principali reli-gioni monoteiste presenti in Europa. Da molti secoli,infatti, il Paese è abitato da numerose comunità reli-giose e, secondo stime recenti 17, oggi i bosniaco-er-zegovesi sono per il 48% musulmani, per il 37%ortodossi e per il 14% cattolici, con piccole minoranzeanche di altre religioni (ebrei, protestanti).

Dunque, qui si sperimentano già da secoli le dina-miche di relazione tra il cattolicesimo e l’ortodossia esoprattutto la coesistenza del cristianesimo con l’Islam.Questa ricchezza spirituale e culturale della Bosnia edErzegovina è riuscita a sopravvivere, per quanto condifficoltà, a uno dei peggiori conflitti del Novecento. Latradizione del dialogo e della coesistenza è stata infattipiù forte del suono delle armi e questa è una risorsaalla quale oggi è possibile guardare con la speranza chepossa servire da punto di partenza per un futuro piùfelice per il Paese, a patto che essa venga favorita e in-coraggiata soprattutto nelle nuove generazioni.

In un periodo in cui i media di tutto il mondo ri-portano spesso le tragiche azioni e i violenti mes-saggi propagati da gruppi radicali e organizzazioniterroristiche (che affermano di fare tutto questo innome di Dio), la Bosnia ed Erzegovina trasmette unesempio di dialogo che può fungere da modello peril mondo interno e farci capire come la multicultura-lità sia una risorsa per la crescita delle nostre società,e non una minaccia. È la “ricetta” che anche PapaFrancesco ha recentemente ricordato 18: «Sono con-vinto che un’Europa che sia in grado di fare tesorodelle proprie radici religiose, sapendone cogliere laricchezza e le potenzialità, possa essere anche più fa-cilmente immune dai tanti estremismi che dilaganonel mondo odierno, anche per il grande vuoto idealea cui assistiamo nel cosiddetto Occidente, perché è

proprio l’oblio di Dio, e non la sua glorificazione, a ge-nerare la violenza».

La difficile riconciliazione e i rischi di conflittoInfine, parlare della Bosnia ed Erzegovina serve anchea ricordare come, purtroppo, la possibilità di nuoveguerre e di nuove violenze sia ancora presente ovun-que nel mondo, anche nel nostro continente.

La Bosnia ed Erzegovina è un Paese oggi pacificato,ma nel quale non sembrano ancora superate molte que-stioni che hanno portato alle crisi degli anni Novanta. Ilcontesto regionale balcanico, inoltre, continua a faremergere focolai di tensione: basti pensare alle continuediatribe tra serbi e albanesi rispetto alla questione delKosovo o alle recenti violenze esplose in Macedonia.

Proprio nell’anno in cui si commemora il 70° anni-versario della conclusione della Seconda Guerra Mon-diale, dunque, le possibilità di nuove crisi nei Balcaninon sono ancora completamente alle spalle 19, cosìcome sono ancora molto attuali gli echi delle armi inaltre zone d’Europa o alle porte dell’Europa stessa:solo negli ultimi anni, sono stati molto vicini a noi gliscontri e i morti in Ucraina dal 2014, le recenti crisi mi-litari in Georgia e Ossezia (2008), i drammatici conflittiin Siria e in Libia (iniziati entrambi nel 2011).

Se lo sguardo poi si allarga dall’Europa al mondointero, le decine di guerre ancora in corso e le immanidimensioni delle tragedie umane che comportano cifanno capire quanto sia ancora attuale il tema dei con-flitti e dei percorsi di riconciliazione. Riportare l’atten-zione sulla Bosnia ed Erzegovina significa dunquedare sostanza alla speranza e alle parole che PapaFrancesco ha rivolto pochi giorni fa ai bambini 20: «C’ètanto bisogno di fabbriche della pace, perché pur-troppo le fabbriche di guerra non mancano».

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Avete mai partecipato attivamente a episodi di violenza?

Sì, a scuola o all’università 11,6%

Sì, contro altri giovani del quartiere 11,3%

Si, allo stadio o ad altre manifestazioni sportive 9,3%

Si, contro altri giovani nei bar o nelle discoteche 7,5%

Giovani, bosniaci e disoccupatiPer parlare dei giovani in Bosnia ed Erzegovina oc-corre partire da un dato numerico brutale e dram-matico: 60,4%. Questo è, secondo la Banca Mon-diale 21, il tasso di disoccupazione giovanile nel Paesenel 2014.

Una ricerca, realizzata tra il 2011 e il 2012 dalle Na-zioni Unite in Bosnia ed Erzegovina, ci permette ditracciare un quadro (piuttosto sconsolante) della si-tuazione dei giovani nel Paese (ovvero delle personecomprese nella fascia d’età tra i 15 e i 30 anni). Si trattain generale di un segmento di popolazione in cui pre-vale il pessimismo, dove il 75% degli intervistati ritiene«povera o mediocre» la propria condizione di vita(l’85% ritiene che questa condizione sia peggioratanel corso degli ultimi due anni) e dove tra i proble-mi considerati prioritari insieme alla disoccupazionecompaiono l’alcolismo (per il 23% dei giovani è unotra i problemi principali per la propria generazione) ela difficoltà nel trovare un alloggio (8%). La maggiorparte dei giovani bosniaci trova lavoro nei settori dellacomunicazione e del turismo ma, circostanza da sot-tolineare, la metà di loro è impiegata in “attività in pro-prio”. Tradotto, per un giovane bosniaco “attivo” sudue, avere un impiego significa, soprattutto, arran-giarsi 22.

Purtroppo, troppo spesso i giovani bosniaci sonolasciati a loro stessi. Un quarto degli studenti abban-dona l’istruzione prima del tempo, per demotivazioneo difficoltà economiche familiari. Rendersi indipen-denti è un’impresa sempre più ardua, mentre spessoper trovare un lavoro di qualsiasi tiposi rivelano necessari una “sponsorizza-zione” politica o l’aiuto di un parenteo un amico: il 96% dei rispondenti allaricerca sopra citata ha riportato diavere assistito a «casi di corruzioneper ottenere dei lavori nella PubblicaAmministrazione», percentuale che ri-mane pur sempre al 93% quando siparla del settore privato.

Il lato forse più preoccupante diquesta situazione è il riemergere dinuove forme di marginalizzazione tra igiovani, nelle quali si sviluppano feno-meni di violenza e di dipendenze, edove trova terreno fertile la retorica na-zionalista e di chiusura nei confrontidelle altre comunità. Il recente studiodella Friedrich Ebert Stiftung 23 con-

ferma in particolare la dimensione preoccupante degliepisodi di violenza di cui sono protagonisti i giovani:

«La guerra e la transizione dal socialismo al liberomercato, lo sviluppo disuniforme del settore privato edella società civile bosniaci hanno prodotto come ri-sultato una società in cui è impossibile prendersi curain modo adeguato dei nostri figli e dei giovani», è ladenuncia contenuta in un documento prodotto re-centemente dal Governo bosniaco-erzegovese perstudiare una strategia contro la delinquenza giovanilein Bosnia ed Erzegovina. I giovani bosniaci oggi sonocostretti a scontare l’eredità della guerra e le difficoltà

della transizione. Invece di essere va-lorizzati in quanto persone chiave perlo sviluppo del Paese, vengono sacri-ficati da un’élite che non è disposta acambiare.

La rappresentazione forse più im-mediata di questo stato di cose è ilsistema educativo in Bosnia ed Erze-govina, retto tuttora dal principio deicurricula nazionali e, in molti casi,delle “scuole separate”. In Bosnia edErzegovina, in effetti, non esistono unMinistero dell’Istruzione e dei pro-grammi unici. L’educazione è il risul-tato di un accordo interpartitico, cheprevede insegnamenti differenziati(tra cui la lingua e la storia) in aree giu-dicate “sensibili” a seconda dell’appar-tenenza dei bambini ai tre “popoli

2. Il problema a livellonazionale

7BOSNIA ED ERZEGOVINA | UNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERA

Inchiesta condotta su 1.004 giovani di tutta la Bosnia ed Erzegovina, ditutte le etnie e minoranze, di entrambi i sessi, in età tra i 15 e i 27 anni

Fonte: Friedrich Ebert Stiftung, 2013

Stremati da un Paeseche non vuole cambiare,tenuti in ostaggio da un sistema che ancorali vorrebbe divisisecondo il nazionalismodegli anni Novanta,molti giovani scelgonodi emigrare, in Europao altrove. Quelli cherimangono non hanno,per ora, la forzanecessaria a portareun cambiamento.

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costitutivi”. Gli studenti serbi, bosgnacchi e croati im-parano ciascuno “la propria versione” della realtà, inun sistema di ghettizzazione legalizzata. In alcuni casisi assiste persino alla degenerazione delle “due scuolesotto lo stesso tetto”: in un medesimo istituto sco-lastico, i bambini di differenti etnie sono costretti afrequentare le lezioni a orari diversi, per evitare di me-scolarsi gli uni con gli altri. Forse è questa l’immaginepiù drammatica della gioventù di Bosnia ed Erzego-vina: la guerra degli anni Novanta ha prodotto margi-nalizzazione economica e umana, e ha lasciato ineredità un sistema che non fa nulla per combatterlama che, al contrario, ne assicura la perpetuazione 24.

Divisioni e discriminazioniLa Bosnia ed Erzegovina, inoltre, è oggi un Paese ter-ritorialmente diviso in due entità, che detengono lamaggior parte delle prerogative statali. Una – la Re-publika Srpska – i cui confini sono tracciati seguendola vecchia linea del fronte tra armata bosniaca etruppe serbe, è popolata in maggioranza da serbi; l’al-tra – la Federazione BiH – abitata principalmente dabosgnacchi e da croati, divisa ulteriormente in Can-toni anch’essi tracciati secondo linee etniche.

Ma la Bosnia ed Erzegovina è oggi anche un Paeseistituzionalmente diviso, giacché le regole di funzio-namento delle istituzioni sono fatte per tutelare l’equi-librio tra i tre popoli costitutivi, ma in maniera taleda bloccare ogni possibile sforzo di cambiamento. IlPaese è oggi rappresentato a livello nazionale da trepresidenti a rotazione (uno per etnia) e da un Governodove ogni Ministero è rappresentato su base etnica (ilministro e i due viceministri devono appartenere aetnie diverse). C’è poi un livello locale composto dadue entità (la Repubblica Srpska a maggioranza serba,e la Federazione BiH a maggioranza bosgnacca ecroata) più il Distretto Autonomo di Brcko, ciascunocon un proprio Governo e un proprio Parlamento. Einfine, in una delle due entità (la Federazione) il terri-torio è suddiviso a sua volta in 10 Cantoni, anch’essiprevalentemente su base etnica, ognuno con un pro-prio Governo e un proprio Parlamento. Sommandotutti i vari livelli di Governo, un Paese di nemmeno 4milioni di abitanti conta oltre 100 ministri.

L’impasse non si è ancora sbloccata nonostanteun’importante sentenza della Corte europea di Stra-sburgo (2009), nel cosiddetto caso “Sejdić e Finci con-tro il governo di Bosnia ed Erzegovina”, secondo laquale gli accordi di Dayton violano la Convenzione Eu-ropea sui Diritti Umani 25. Il motivo è che per ricoprirealmeno due cariche elettive (quella di senatore equella di membro della presidenza) è necessario di-chiararsi bosgnacco, serbo o croato. Chi non appar-tiene a uno dei tre popoli costitutivi (le minoranzecome i rom o gli ebrei, ma anche chi si dichiara sem-

plicemente cittadino bosniaco-erzegovese, rifiutandodi schierarsi con un gruppo etnico particolare) non hail diritto di ricoprire una tale carica.

Stremati dunque da un Paese che non vuole cam-biare, tenuti in ostaggio da un sistema che ancora livorrebbe divisi secondo il nazionalismo degli anni No-vanta, molti giovani scelgono pertanto di emigrare, inEuropa o altrove. Quelli che rimangono non hanno,per ora, la forza necessaria a portare un cambiamento:negli ultimi anni la Bosnia ed Erzegovina è stata scossada varie ondate di proteste popolari (la maggiore èstata nel febbraio 2014 e ha causato l’incendio di nu-merosi palazzi governativi) ma nessuna, però, è riu-scita a superare le tradizionali divisioni del Paese. Allescorse elezioni politiche, tenute nell’ottobre 2014, perla prima volta sono andati alle urne i giovani nati dopola fine della guerra, ma i risultati hanno premiato lastessa “triade” di partiti identitari che, vent’anni fa,condussero al disastro il Paese 26.

Prima della guerra – 1991

Dopo la guerra – 1998

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Futuro: qui o altrove?La Bosnia ed Erzegovina si spopolaGuardare alla situazione dei giovani bosniaco-erzego-vesi con occhi italiani permette di comprendere qualidinamiche accomunino i due Paesi. In Italia il tasso didisoccupazione giovanile, per quanto elevato, non èallarmante come quello della Bosnia ed Erzegovina(era del 39,4% nel 2014 a fronte del 60,4% di quellobosniaco). Eppure, le ragioni alla base di questo disa-gio sono senza dubbio simili: c’è, anzitutto, la più ge-nerale crisi economica europea, alla quale Sarajevocosì come Roma si trovano a far fronte.

Le cause, inoltre, vanno ricercate anche nell’immo-bilismo politico e nell’incapacità di attuare riforme capaci di fare ripartire l’economia nazionale. Recente-mente, l’Unione Europea ha cercato di dare un nuovoimpulso al progresso politico della Bosnia ed Erzego-vina, decidendo l’entrata in vigore del cosiddetto “Ac-cordo di Stabilizzazione e di Associazione” e dunquelegando i progressi dell’integrazione verso l’UE a unpacchetto di riforme che dovreb-bero migliorare la vita delle fami-glie bosniache. Al momento, co-munque, tale intesa riguarda an-cora un accordo di massima, e nonè detto che basterà a smuovere laclasse politica bosniaca dalla pro-pria apatia 27.

L’Italia e la Bosnia ed Erzegovinasono vicine anche per quanto ri-guarda un altro problema, ovverol’emigrazione giovanile. Vista la si-tuazione, non stupisce infatti chemolti giovani bosniaci vedanol’emigrazione come il solo modo disopravvivere, lasciando un am-biente che non offre loro moltepossibilità. Secondo uno studiorealizzato dalla Youth InformativeAgency nel 2013 28, «l’81% degli in-tervistati sarebbe disposto a la-sciare il Paese ”domani”, qualora sene presentasse la possibilità». Undato che è peggiorato nel corso del tempo (nel 2004la percentuale era del 62%).

La tendenza è confermata ampiamente dalle stati-stiche: dalla fine della guerra, 150 mila giovani hannolasciato la Bosnia ed Erzegovina, per lo più per emi-grare in Paesi europei (come la Germania, l’Austria ola Svezia), negli Stati Uniti d’America o in Australia 29.

Si tratta di una tendenza che accomuna l’Italia alla Bo-snia ed Erzegovina e, più in generale, a tutta la regionebalcanica: dall’Italia negli ultimi due decenni se nesono infatti andati circa 600 mila giovani secondo lestime dell’AIRE per il 2013 30; solo nel 2014 gli under 40italiani emigrati sono stati 45.516, il 48,3% sul totale,con un incremento rispetto al 2013 del 28,4%; 300mila sono i giovani con una formazione superiore adavere lasciato la Serbia negli ultimi 25 anni; in 150 milase ne sono andati nello stesso periodo dalla Macedo-nia; 70 mila giovani hanno lasciato la Croazia solonegli ultimi tre anni 31.

La crisi obbliga a partire, e que-sti Paesi sono tutti vittime, senzaeccezioni, di un drenaggio dalleconseguenze catastrofiche per ilfuturo dell’intera regione, sempremeno produttiva e sempre piùvecchia. Non è esagerato dire chein Bosnia ed Erzegovina le conse-guenze di questa emigrazionestanno mettendo a repentagliol’esistenza stessa della nazione. Afine 2011, un rapporto dell’ONU 32

metteva in luce il dramma demo-grafico bosniaco in tutta la suaampiezza. Entro cinquant’anni, laBosnia ed Erzegovina rischia di di-ventare il Paese più vecchio delmondo. A causa della bassa nata-lità e del tasso di emigrazione ele-vatissimo, soprattutto di famigliegiovani, la popolazione (che oggiè di circa 3,7 milioni di persone) ametà di questo secolo potrebbe

vedersi ridotta a due milioni oppure, secondo lo sce-nario più negativo, a sole 900 mila persone.

Quasi tutte le aree del Paese hanno conosciuto unabrusca diminuzione nel numero dei propri residentidalla fine della guerra. Fanno eccezione, singolar-mente, due aree: quella della città di Bijeljina e il di-stretto di Goražde. Bijeljina dopo la guerra si è trovata,

Dalla fine della guerra,150 mila giovani hanno lasciato la Bosniaed Erzegovina, per lo piùper emigrare in Paesieuropei (come la Germania,l’Austria o la Svezia),negli Stati Uniti d’Americao in Australia. Si trattadi una tendenza cheaccomuna l’Italia alla Bosniaed Erzegovina e a tutta laregione balcanica: dall’Italianegli ultimi due decennise ne sono infatti andaticirca 600 mila giovani.

3. Le cause e le connessionicon l’Italia e con l’Europa

9BOSNIA ED ERZEGOVINA | UNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERA

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Dove emigrereste più volentieri? 35

Germania 41,0%

Austria 11,1%

Paesi scandinavi 9,2%

Australia 5,9%

Stati Uniti 4,8%

per la prima volta nella sua storia, in una posizione ot-timale per diventare un importante snodo nelle trattetra Serbia e Bosnia ed Erzegovina. Il distretto di Go-ražde è riuscito negli ultimi anni a portare avanti unapolitica economica molto coraggiosa, fatta di incentivialle imprese e di snellimento della burocrazia, con ilrisultato che la situazione dell’impiego nel Cantone èdecisamente migliore rispetto al resto del Paese, ed èmolto più semplice trovarvi lavoro 33.

Ma nel resto del territorio bosniaco la diaspora è,purtroppo, una realtà che si trasforma in emorragia.Intere aree hanno oggi perduto gran parte dei propriabitanti, soprattutto nell’Est del Paese (valle dellaDrina) e nell’Erzegovina, laddove soprattutto i croatibosniaci da anni lasciano il proprio Paese natale sfrut-tando il passaporto croato, di cui dispongono dallafine della guerra. Con un documento di identità di unPaese che è entrato a fare parte dell’UE, rimanere inpatria sembra una prospettiva poco allettante.

Chi può, fa i bagagli: sono soprattutto lavoratoriqualificati (medici, ingegneri, infermieri, tecnici spe-cializzati) che in Paesi come la Germania, l’Austria o iPaesi scandinavi guadagnano anche cinque volte piùche in patria34.

Oltre ad avere un impatto negativo sui trend de-mografici del Paese, questa emigrazione dei quadripiù preparati danneggia gravemente lo stesso futurodella Bosnia ed Erzegovina, che rischia ben presto ditrovarsi senza specialisti. “Odljev mozgova”, in lingualocale, è la “fuga di cervelli”, che è diventata ormai unapresenza fissa anche nelle cronache italiane. Le sirened’allarme risuonano molto frequentemente nell’opi-nione pubblica bosniaca, che si chiede sempre piùspesso «quando ci toccherà rimanere senza dottori» esi lamenta di uno standard di vita che a causa del-l’odljev mozgova peggiora di anno in anno 36.

Inchiesta condotta su 1.004 giovani di tutta la Bosnia ed Erzegovina, ditutte le etnie e minoranze, di entrambi i sessi, in età tra i 15 e i 27 anni

Fonte: Friedrich Ebert Stiftung, 2013

10 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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La Bosnia ed Erzegovina e i giovani:un contesto duro in cui crescereIl contesto economico, sociale e politico della Bosniaed Erzegovina è molto problematico e in tanti aspetticondiziona la vita dei giovani e influenza le scelte ri-guardo al loro futuro.

L’Osservatorio delle Povertà e delle Risorse di CaritasBosnia ed Erzegovina ha condotto nel 2014 una seriedi interviste e focus group sul tema della povertà mi-norile, ovvero la povertà che colpisce le fasce di età finoai 18 anni. Anzitutto risulta evidente come la povertàdi questa generazione sia conseguenza diretta delladiffusa povertà nella società bosniaco-erzegovese:«Finché le nostre comunità continuano ad essere cosìpovere, sono minori le possibilità di uno sviluppo ade-guato che si possono offrire ai bambini e ai giovani» 37.

Inoltre, le scelte politiche che il Paese ha messo inatto in questi anni stanno limitando le opportunitàper i giovani: «La Bosnia ed Erzegovina ha attraversatoun periodo bellico ed è ancora in piena transizione. LoStato e le Entità allocano una parte significativa delbudget per la protezione sociale, ma la gran parte diquelle somme va a beneficiari che hanno uno statusdi esclusione sociale collegato ai fatti di guerra (ad es.gli invalidi di guerra). Questo provoca la mancanza dirisorse adeguate per le altre persone che sono colpiteda bisogni simili o addirittura maggiori, inclusi i minorie le loro famiglie, ma che non sono in questa situa-zione di bisogno perchè colpiti dalla guerra» 38.

La Bosnia ed Erzegovina, inoltre, appare agli stessigiovani come un Paese in perenne transizione, nonancora completamente riappacificato 39.

La mancata riappacificazione si manifesta soprat-tutto con fenomeni di discriminazione su base etnicao religiosa. Sebbene i principi e le garanzie legali sullalibertà di pensiero, di coscienza e religiosa siano ge-neralmente rispettati, l’Unione Europea denuncia chein Bosnia ed Erzegovina «continuano a essere regi-strati casi di discriminazione su base religiosa. Sonostati registrati incidenti nei confronti di edifici religiosi,di ministranti, di fedeli» 40.

È soprattutto il sistema scolastico a creare preoc-cupazioni per le dinamiche di separazione etnica cheproduce tra i giovani nel Paese. Nel settore dell’edu-cazione, sono particolarmente gravi due fenomeni:quello delle “due scuole sotto uno stesso tetto”(quando cioè nello stesso edificio scolastico vengo-no create classi separate su base etnica e propostiprogrammi diversi ai ragazzi appartenenti a gruppi et-nici differenti) e quello delle “scuole monoetniche”(quando cioè si promuove solo il programma scola-stico del gruppo etnico di maggioranza senza tenereconto in alcun modo delle esigenze dei ragazzi appar-tenenti ai gruppi etnici di minoranza). «Il fenomenodelle ‘“due scuole sotto uno stesso tetto” esiste in 34scuole della Federazione e c’è inoltre un grande nu-mero di scuole monoetniche in tutto il Paese. […]Tutto questo non promuove lo sviluppo di una societàinclusiva e multiculturale. La separazione su base et-nica e la discriminazione in alcune scuole pubblicherimane un argomento di preoccupazione» 41.

A causa della grave situazione sociale ed econo-mica, sono moltissime le persone (soprattutto giovani)costrette a emigrare, durante la guerra o durante la dif-ficile successiva fase di transizione, e che non hannopiù fatto ritorno in patria. Ad oggi, il numero totale dibosniaci residenti all’estero è di circa 1.460.000 per-sone (di cui 35.600 in Italia) 42.

4. I dati Caritas

Secondo voi in Bosnia ed Erzegovina è stata raggiuntauna pace stabile e positiva?

È un processo ancora in corso di cuinon sappiamo gli esiti 90%

Sì 6%

No 4%

Inchiesta condotta su 315 giovani di tutta la Bosnia ed Erzegovina, ditutte le etnie e minoranze, di entrambi i sessi, in età tra i 15 e i 20 anni

Fonte: Friedrich Ebert Stiftung, 2013

11BOSNIA ED ERZEGOVINA | UNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERA

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Chi se ne va, difficilmente ritorna nel Paese. Nono-stante esistano programmi di ritorno assistito affinchéquesto sia sostenibile, sono ancora pochi i bosniaco-erzegovesi che decidono di fare rientro. La Bosnia edErzegovina, infatti, spesso non offre alcuna attrattivaper il rientro proprio per la sua complessa situazioneeconomica, sociale e politica. Anche chi perde il la-voro nel Paese in cui è emigrato, preferisce restare al-l’estero a trovare una nuova soluzione piuttosto cherientrare.

A parziale consolazione, il fenomeno incoraggianteè che a decidere di rientrare in Bosnia ed Erzegovinasono spesso persone al di sotto dei 35 anni, e che sinota un trend positivo a partire dal 2008 43.

Le famiglie e i giovani: la povertà di padre in figlioI giovani bosniaco-erzegovesi identificano 44 in parti-colar modo due gruppi di problematiche principaliche li circondano: da un lato i problemi che colpi-scono gli individui e le loro prospettive di vita (disoc-cupazione, povertà, precarietà), dall’altro lato iproblemi del sistema-Paese (corruzione, criminalità,inquinamento).

Oltre al sistema disfunzionale, la principale causadelle povertà dei giovani sembrano essere le condizionisociali ed economiche in cui si trovano le famiglie diprovenienza: «Le cause della povertà tra i minori sonola disoccupazione dei genitori e la loro impossibilità disoddisfare i bisogni materiali dei figli. Inoltre contamolto anche la scarsa scolarizzazione dei genitori, percui i figli entrano in un pericoloso “circolo vizioso dellapovertà”: i genitori non trovano occupazione o fannolavori sottopagati, così non possono pagare gli studi aipropri figli, i quali proprio perché scarsamente scolariz-zati rischiano a loro volta di non trovare lavoro o di farelavori sottopagati, alimentando il circolo vizioso» 45.

Il Rapporto sulle Povertà pubblicato da Caritas Bo-snia ed Erzegovina nel 2012 46 descrive nel dettaglio lecondizioni di precarietà delle famiglie di provenienzadei giovani. Esse hanno grossi problemi economici,collegati per lo più alla mancanza di lavoro:

12 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

350

300

250

200

150

100

50

0

Persone che hanno partecipato a un programmadi rientro assistito in Bosnia ed Erzegovina

dal 2004 al 2013 (valori assoluti)

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

295

101

5428 16

7387

7188

209

Fonte: International Organization for Migration, 2013

Quali sono secondo te i problemi più gravi nellasocietà di Bosnia ed Erzegovina? (ammesse più risposte)Disoccupazione 73,0%

Aumento della povertà 63,7%

Insicurezza del posto di lavoro 56,0%

Corruzione 52,6%

Criminalità 48,4%

Inquinamento 46,8%

Inchiesta condotta su 1.004 giovani di tutta la Bosnia ed Erzegovina, ditutte le etnie e minoranze, di entrambi i sessi, in età tra i 15 e i 27 anni

Fonte: Friedrich Ebert Stiftung, 2013

600.000

500.000

400.000

300.000

200.000

100.000

0

La diaspora bosniaca per Paese di destinazione (valori assoluti)

Croazia Germania Austria Stati Uniti Slovenia Svezia Svizzera Australia Italia Canada Altri Paesi

532.500

252.300

162.400121.500 82.700 59.300 52.100

39.700 35.600 33.400 5.100

Fonte: Banca Mondiale

Famiglie con giovani in situazione di disagio socialeDi quale aiuto avreste più bisogno? (ammesse più risposte)Trovare un’occupazione stabile 60,0%Ricevere qualche aiuto economico 38,4%Supporto nella ricostruzione della casa 27,6%Ricevere assistenza in casa 3,7%Altro 2,6%

Fonte: Caritas Bosnia ed Erzegovina, 2012

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Ancora molto alto è il gap tra i bisogni delle fami-glie (costo della vita) e le possibilità economiche dellefamiglie stesse (il salario medio).

Anche le condizioni abitative in cui crescono i gio-vani sono spesso precarie. Seppure una gran parte difamiglie viva in case di sua proprietà (si tratta del90,2% dei casi), ben il 40,2% delle famiglie di prove-nienza dei giovani afferma però di vivere in condizioniabitative inadeguate. Nel dettaglio:

I giovani parlano di loro stessi:i problemi della generazione senza paceIn un contesto così complesso e in situazioni familiaricosì complicate, sta crescendo una generazione che ècaratterizzata da problemi di varia natura: povertà ma-teriali, difficoltà relazionali, mancanze spirituali. I con-sultori familiari gestiti da Caritas in Bosnia ed Erze-govina raccontano 47 come «le povertà delle nuovegenerazioni siano: esclusione dal settore della scola-rizzazione; scarso accesso a cure sanitarie; impossibi-lità di soddisfare anche i bisogni esistenziali di base(alimentazione insufficiente, condizioni igieniche ina-deguate); condizioni abitative precarie; contesto so-ciale pericoloso (violenza, dipendenze)».

Se consideriamo tutte le dimensioni della povertàallora «si può concludere tranquillamente che oltre la

metà dei minori in Bosnia ed Erzegovina soffre unaqualche forma di povertà, e quando parliamo dei romquesta percentuale arriva anche al 90%. […] Nel bien-nio 2013-2014 si è registrato un preoccupante au-mento di famiglie con figli che hanno bisogno dialimenti, vestiti e calzature» 48.

In una recente ricerca 49 condotta dal Centro per lapastorale giovanile “Giovanni Paolo II” dell’arcidiocesidi Sarajevo, sono stati gli stessi giovani bosniaco-er-zegovesi a identificare i principali problemi della pro-pria generazione: in particolare, destano maggiorepreoccupazione la disoccupazione e le dipendenze daInternet e da alcol.

Riguardo al tema della disoccupazione giovanile, iltrend degli ultimi anni in Bosnia ed Erzegovina è parti-colarmente preoccupante. Il tasso di disoccupazione èad oggi sopra il 60%, ovvero al livello più alto degli ul-timi 10 anni, ed è di oltre 20 punti più alto del già dram-matico tasso di disoccupazione giovanile in Italia.

13BOSNIA ED ERZEGOVINA | UNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERA

1.8001.600

1.4001.200

1.000

800600

400

2000

Differenza tra costo della vita e salario medioin Bosnia ed Erzegovina

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

Fonte: Agenzia per la Statistica della Bosnia ed Erzegovina

Costo della vita (BAM)

Salario medio (BAM)

Fonte: Caritas Bosnia ed Erzegovina, 2012

Principali problemi abitativi delle famiglie con giovaniCosa intendete quando parlate di condizioniabitative inadeguate? (ammesse più risposte)

Abitazione ancora in costruzione 59,8%

Abitazione troppo piccola 27,9%

Abitazione inadatta alle esigenze della famiglia 11,7%

Abitazione devastata 9,0%

Quali sono secondo te i problemi di cui soffronoi giovani in Bosnia ed Erzegovina e in che misurane sono colpiti?

Problemi dei giovani MoltoMoltissimo

PocoPer nulla

Dipendenza da internet 90,4% 9,6%

Disoccupazione 86,7% 13,3%

Alcol 83,5% 16,5%

Droga 44,7% 55,3%

Violenza 41,9% 58,1%

Questioni morali 40,9% 59,1%

Inchiesta condotta su 3.638 giovani tra i 15 e i 20 anniresidenti in tutto il territorio dell’arcidiocesi di Sarajevo

Fonte: Centro per la pastorale giovanile “Giovanni Paolo II” dell’arcidiocesi di Sarajevo, 2013

70

60

50

40

30

20

10

0

Tasso di disoccupazione giovanile negli ultimi 10 anniin Bosnia ed Erzegovina e in Italia

2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 2013

BIH (World Bank)

ITA (Istat)

Fonte: Istat e Banca Mondiale

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14 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

I giovani parlano di loro stessi:i percorsi di riconciliazioneAi giovani bosniaco-erzegovesi delle nuove genera-zioni spetta dunque il compito di affrontare le sfidedella riconciliazione nazionale, al fine di poter porre lebasi per una nuova convivenza civile nel Paese. Ci sonoperò ancora varie contraddizioni tra i giovani quandosi affrontano i temi collegati alla memoria del passato,ai percorsi di riconciliazione, al loro impegno per lapace: da un lato essi si portano dentro inevitabilmentetutte le “tossine” del passato, ereditate dalle proprie fa-miglie e da un contesto che ancora le riproduce; dal-l’altro lato, però, emerge anche la voglia di superarequesta situazione, di costruire comunità nuove, anchese magari non sono molto chiare le modalità con cui sipotrebbe farlo. La ricerca dell’Istituto Friedrich EbertStiftung 50 dà numerose indicazioni in proposito.

I giovani affermano anzitutto di essere ancora moltoinfluenzati dai racconti delle vicende degli anni Novantache vengono loro trasmessi dalle generazioni chehanno vissuto la guerra. È indicativo il dato per cui solol’1% dichiara di non essere ossessionato dal passato:

Emerge inoltre una certa confusione tra i giovaninel valutare a quale “fonte” di informazione crederemaggiormente quando si trattano i temi della guerradegli anni Novanta. Se a tutti appare evidente comepolitici e media siano fonti poco attendibili (solo il 5%crede ai loro messaggi), non è invece per nulla chiarose le vere fonti attendibili siano le sentenze dei tribu-nali, le pagine di storia imparate a scuola o i raccontisentiti in famiglia:

Va evidenziato però un elemento interessante: il si-stema scolastico bosniaco-erzegovese tratta comun-que i temi della pace e della riconciliazione, almenodal punto di vista nozionistico. Solo l’1% dei giovanidichiara infatti di non essere mai venuto a conoscenzadi queste tematiche durante gli anni degli studi:

A fronte di questa buona diffusione nozionisticadei temi della pace e della riconciliazione, non corri-sponde però un equivalente impegno diretto nel set-tore da parte dei giovani: solo il 4% di loro, infatti, èmembro di una qualche organizzazione che si occupadi attività di costruzione della pace:

Va evidenziato comunque il fenomeno di scarso at-tivismo dei giovani bosniaco-erzegovesi in generale 51,e non solo nei settori collegati alla pace e alla riconci-liazione.

Ritenete che voi giovani, generazione post-guerra,abbiate un punto di vista diverso sul recente passatorispetto alle generazioni precedenti che hanno invecevissuto direttamente i traumi della guerra?

Siamo in un continuo dilemma tra il nostro sguardosul passato e l’interpretazione del passato che ci portanole generazioni che hanno vissuto la guerra 68%

Accettiamo le interpretazionidel passato così come civengono trasmesse dallegenerazioni precedenti 31%

Sì, noi giovani siamo menoossessionati dal passatoe guardiamo con più realismoagli eventi passati 1%

Inchiesta condotta su 315 giovani di tutta la Bosnia ed Erzegovina,di tutte le etnie e minoranze, di entrambi i sessi, in età tra i 15 e i 20anni

Fonte: Friedrich Ebert Stiftung, 2013

Ai tribunali 34%

Ai membri della famiglia31%

Agli insegnantie ai professori 30%

Ai politici e ai media 5%

A chi credete maggiormente quando si parla dellaguerra recente in Bosnia ed Erzegovina?

Vedi il primo grafico di questa pagina

Avete avuto la possibilità durante gli studi alle scuoleo all’università di venire a conoscenza delle definizionidi pace con i documenti internazionali che trattanoquesta tematica?

Sì, fin dalla scuola elementare,media o superiore 86%

Sì, all’Università 13%

No 1%

Vedi primo grafico di questa pagina

Siete membri di una organizzazioneche si occupa di attività per la pace?

No 96%

Sì 4%

Vedi il primo grafico di questa pagina

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Le motivazioni di questo scarso impegno possono es-sere molte, ma in generale sembra prevalere tra i giovaniuna certa rassegnazione rispetto ai temi della riconcilia-zione. Sembra quasi che impegnarsi per la costruzionedella pace non porti a risultati soddisfacenti, e questo inqualche modo aumenta la frustrazione e il senso di im-potenza dei giovani che vorrebbero cambiare il sistema:

Le priorità che i giovani bosniaco-erzegovesi ve-dono per il loro futuro, dunque, non sono collegatepiù di tanto all’impegno per la pace e la riconciliazione(ad es. solo l’8,7% dichiara importante «lottare percombattere le ingiustizie»). Dunque, più che farsi coin-volgere nell’attivismo civile, la “ricetta” che i giovani inBosnia ed Erzegovina suggeriscono per il Paese sem-bra piuttosto una grande voglia di “normalità”. In uncontesto, cioè, dove tutto sembra essere complicatoe disfunzionale, prevalgono tra i giovani desideri qualiavere una famiglia felice, godere di buona salute,poter praticare liberamente la propria fede.

A tal proposito, sono interessanti i dati raccolti dallaricerca52 del Centro per la pastorale giovanile di Sarajevo:

Quali sono i tre valori che apprezzi di più nella vita?(massimo tre risposte)

Avere una famiglia felice 83,1%

Credere in Dio 66,6%

Godere di buona salute 53,0%

Provare gioia e amore 21,7%

Divertirsi 14,3%

Essere in pace con la propria coscienza 13,4%

Costruirsi liberamente la propria personalità 9,1%

Lottare per combattere le ingiustizie 8,7%

Guadagnare bene 8,6%

Avere successo nel proprio settore 7,9%

Donare il proprio tempo agli altri 5,7%

Dedicarsi agli altri 4,0%

15BOSNIA ED ERZEGOVINA | UNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERA

Inchiesta condotta su 3.638 giovani tra i 15 e i 20 anni residenti in tutto il territorio dell’arcidiocesi di Sarajevo

Fonte: Centro per la pastorale giovanile “Giovanni Paolo II”dell’arcidiocesi di Sarajevo, 2013

Avete fatto volontariato nel corso dell’ultimo anno?

No 77,9%

Sì 19,0%

Non risponde 3,1%

Inchiesta condotta su 1004 giovani di tutta la Bosnia Erzegovina,di tutte le etnie e minoranze, di entrambi i sessi, in età tra i 15 e i 27anni

Fonte: Friedrich Ebert Stiftung, 2015

Non conosco a sufficienza il lavoro di questi gruppie non mi interessa particolarmente 55%

Lo supporto ma il lorolavoro deve adeguarsi alleaspettative dei giovanie alle loro visioni 34%

Supporto e partecipoal lavoro di questeorganizzazioni 4%

Ogni tanto 4%

Non ho mai avuto l’occasione 2%

È una perdita di tempo 1%

Qualche volta avete supportato almeno a parolele attività proposte dalle attuali iniziative per la paceche vengono dal settore non governativo e credetenel loro impatto?

Inchiesta condotta su 315 giovani di tutta la Bosnia Erzegovina, di tuttele etnie e minoranze, di entrambi i sessi, in età tra i 15 e i 20 anni

Fonte: Friedrich Ebert Stiftung, 2013

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Il ponte della città di Mostar,distrutto durante la guerra nel 1993,e finito di ricostruire nel 2004

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17BOSNIA ED ERZEGOVINA | UNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERA

MONSIGNOR PERO SUDAR, vescovo ausiliaredell’arcidiocesi di Sarajevo

Monsignor Pero Sudar ha 61 anni. Il suo nome, in Bo-snia ed Erzegovina, è noto soprattutto per esserestato l’iniziatore delle Scuole d’Europa, un sistema diistituti scolastici funzionanti senza distinzioni di etniae che si oppongono alla logica della divisione tra po-poli costituenti e nazionalità distinte. Oggi in Bosniaed Erzegovina non esiste un Ministero dell’Educa-zione a livello centrale e sono più di trenta gli istitu-ti che funzionano secondo il modello, tristementenoto, delle “due scuole sotto uno stesso tetto”, dovebambini di etnie diverse sono costretti a frequentarele lezioni in orari diversi, per non mescolarsi tra di loroe mantenere al contempo il proprio “curriculum na-zionale”.

«L’educazione è un problema, certo. Ma non dob-biamo dimenticarci – esordisce monsignor Sudar –che questo stato di cose è un riflesso naturale dell’or-ganizzazione stabilita attraverso la nostra Costitu-zione, se così si può chiamare: la legge fondamentaledella Bosnia ed Erzegovina, infatti, è stata impostadalla Comunità internazionale con gli accordi di pacedi Dayton. A tutt’oggi non esiste nemmeno una ver-sione di questa costituzione nella nostra lingua. L’ori-ginale è in inglese».

«Questo Stato non è organizzato secondo un prin-cipio uniforme – continua monsignor Sudar –. È divisoin due entità, la Republika Srpska e la Federazione, e laFederazione è stata a sua volta divisa in dieci Cantoni.L’amministrazione è disfunzionale, anzi, in molti casiessa funziona secondo principi confliggenti. In questosenso, non c’è da stupirsi che non esista un Ministerodell’Educazione, o un programma unificato per tutti.Anzi, è tristemente normale, sotto il profilo organizza-tivo. Non si può fare altrimenti, con lo stato attualedelle cose. E questo non aiuta la guarigione dell’animadel popolo, nemmeno vent’anni dopo la guerra».

Dagli accordi di Dayton, secondo Sudar, dipen-dono i principali problemi del Paese: «È un compro-

messo che perpetua la disintegrazione e questo si ri-flette, naturalmente, nelle nuove generazioni. Forseha ragione chi sostiene che le tensioni interetnichesono più gravi oggi che vent’anni fa. Durante laguerra, la gente si ricordava come aveva vissuto inpassato, e ci si diceva: “quando finiranno i combatti-menti, torneremo a vivere come prima”. Purtroppoquesto non si è avverato, anzi».

Un’impasse che si riflette anche nei giovani. Mon-signor Sudar, che per anni ha dedicato il proprio im-pegno alle nuove generazioni, non può nascondereun certo disincanto: «Mi sembrano stufi. Stufi di tutto.In molti scelgono di andare all’estero e non si può dareloro torto. Io a volte provo a parlare con loro, a dire chepotrebbero scegliere di rimanere qui, che questoPaese ha bisogno di loro per crescere. Di solito rispon-dono che hanno una sola vita, e che vogliono viverlasenza rimandarla a un domani che per loro è piuttostolontano. E se provo a spiegargli che non c’è nessunoad attenderli a braccia aperte, che in fondo non è fa-cile trovare lavoro nemmeno all’estero, che non sonotutte rose e fiori, la loro risposta è sempre la stessa, in-genua ma comprensibile: “Di quelli che sono partitinemmeno uno è tornato indietro, qualcosa vorrà purdire”. Onestamente è difficile controbattere».

Sudar racconta un aneddoto. «Ogni anno, tra chisi diploma viene scelto l’alunno migliore. Per il quin-dicesimo anniversario della Scuola d’Europa di Ze-nica, abbiamo fatto un’inchiesta per vedere doveerano andati a finire i quindici migliori alunni di ognianno. Di loro, uno soltanto è rimasto qui. Non è un se-gnale molto incoraggiante, perché a rimetterci sonotutti».

La situazione appare ancora più tragica a chi ha in-vestito molto sull’educazione e la crescita dei giovaniin Bosnia ed Erzegovina. Al cuore di tutto c’è il pro-getto, ambizioso e riuscito, delle Scuole d’Europa:«Abbiamo aperto la prima a Sarajevo, durante laguerra. Volevamo dare alle famiglie la speranza dipoter crescere i propri figli in uno spazio multicultu-rale e aperto, anche se intorno a noi c’era l’odio». L’ini-ziativa ha avuto un successo immediato, non solo tra

5. Testimonianze

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i cattolici. Oggi vi sono più di 1.500 alunni solo a Sara-jevo; altri centri sono stati aperti a Tuzla, Zenica, Trav-nik, Žepće, Banja Luka e Bihać: in tutto gli alunni sonopiù di 4.000. «Le scuole sono aperte a tutti, senza diffe-renze. Il nostro scopo è quello di educare al rispetto ealla pace nel futuro. Ormai tutte le società sono mul-ticulturali: e l’unico modo per non considerare l’altrouna minaccia è imparare a conoscerlo».

MATEA, ebrea, 26 anni, emigrata in Israele

«Me ne sono andata perché non vedo che tipo di la-voro avrei potuto fare in Bosnia ed Erzegovina»,spiega Matea, che ha studiato presso la Facoltà di Teo-logia di Sarajevo. «Appena ho finito l’università qui –racconta – ho scelto di emigrare in Israele». Una sceltaresa più semplice dal fatto di appartenere alla Comu-nità ebraica di Sarajevo, storicamente molto nume-rosa. E da motivazioni personali. «Il mio ragazzo è diqui. Questo, oltre al supporto che mi ha dato la miafamiglia, ha reso più semplice trasferirmi e mi aiuta atenere duro».

Sono ormai passati otto mesi dal suo arrivo. InIsraele Matea ha scelto di continuare a studiare: «Stofrequentando un dottorato in teologia biblica, anchese per il momento la prima sfida è quella di impararela lingua». Ambientarsi è difficile: «Cambiano le per-sone, i costumi, le abitudini. C’è una comunità di ebreiche dalla Bosnia ed Erzegovina si sono trasferiti quidurante la guerra degli anni Novanta, ma non ne co-nosco che un paio».

Alla domanda se le manca la sua vita a Sarajevo,Matea risponde di sì: «Ho lasciato molti amici lì, e soche anche per loro la situazione è tutt’altro che sem-plice, ma con un percorso come il mio non immaginoproprio che tipo di futuro avrei avuto rimanendo acasa. Paradossalmente è più facile per me trovare la-voro qui senza sapere ancora bene la lingua, piuttostoche nel mio Paese d’origine». Nel lungo periodo c’èIsraele, un futuro come ricercatrice di materie teologi-che e bibliche, probabilmente l’insegnamento. E la Bo-snia ed Erzegovina? «Ci tornerò, senz’altro, ma solo perqualche mese d’estate», conclude rassegnata.

NADEŽDA, ortodossa, 28 anni, volontaria a Sarajevo

Laureata in psicologia all’Università di Pale, Nadeždaha deciso di rimanere in Bosnia ed Erzegovina. Dove,al momento, si occupa di volontariato nella Chiesa or-todossa di Lukavica e nel Centro per la pastorale gio-vanile “Giovanni Paolo II” di Sarajevo. «Ho finitol’Università nel 2010 – racconta –, ma quello che faccioora, in effetti, non è molto collegato con i miei studi.Ho cominciato a interessarmi di volontariato durantela mia esperienza con il gruppo giovanile del ConsiglioInterreligioso di Bosnia ed Ezegovina». L’organizza-zione, fondata all’indomani della guerra degli anni No-vanta, raggruppa i leader spirituali delle principalireligioni monoteiste del Paese (Islam, Cattolicesimo,Ortodossia ed Ebraismo) e si occupa di favorire il dia-logo reciproco tra le differenti fedi.

«Sono nata a Sarajevo Est, dove fondamental-mente la comunità è serbo-ortodossa. Per me, lavo-rare con il gruppo giovanile del Consiglio è stataun’esperienza estremamente preziosa. In questo mo-mento, mi occupo principalmente di volontariato. Dadue anni lavoro al Centro giovanile “Giovanni Paolo II”,in un progetto che si occupa di sostegno alla gioventùe alla riconciliazione tra le comunità cattolica e orto-dossa a Sarajevo. Purtroppo non molto è stato fatto aquesto proposito e la situazione è ancora piuttostotesa, e c’è un gran bisogno di continuare a lavorare suquesto tema. Sono anche molto attiva all’interno dellamia Chiesa di appartenenza, che vorrebbe anch’essacominciare il progetto di un Centro rivolto ai bisognidei più giovani».

Nadežda ha avuto una lunga esperienza di lavorocoi giovani di Bosnia ed Erzegovina. «Sì, è vero, la mag-gior parte di loro è molto pessimista riguardo al fu-turo. Ma non tutto è bianco e nero». Soprattutto,secondo Nadežda, «a volte la mancanza di prospettiveè purtroppo legata alla loro scarsa capacità di mettersiin gioco. Oggi molti giovani pensano di trovare lavoroappena finita l’università. Forse era così in passato, mai nostri sono tempi diversi. Dobbiamo combattere pertrovare il nostro posto nella società. Io ho sempre cer-cato di essere molto attiva. Certo, ci sono molti casi, enon posso parlare a nome di tutti. Ma occorre partire

18 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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da qualche parte, anche solo da un posto come came-riere o volontario. Non dobbiamo rimanere seduti incasa o al caffè, senza fare niente».

ANDJA, cattolica, 33 anni, emigrata in Germania

«Scusa, mi ha preso un po’ di malinconia mentre par-lavo della Bosnia ed Erzegovina», si scusa Andja, emi-grata in Germania. «Ormai sono qui da due anni e aSarajevo ho vissuto per un decennio. Nella capitalebosniaca ho studiato, ho fatto le mie prime esperienzedi lavoro come pedagoga. Lì avevo tutta la mia raja, lamia gente, la mia compagnia. Ma anche se lavoravo efacevo del volontariato, non sono riuscita a trovare unlavoro che mi soddisfacesse del tutto, soprattutto perquanto riguardava la stabilità e la sicurezza econo-mica. E poi mi davano fastidio le divisioni della nostrasocietà, il sentirsi rinchiusi in un gruppo etnico bendefinito già soltanto a seconda del proprio nome...».

Andja ora vive e lavora in Germania con tutta lasua famiglia. «Loro erano qui da prima. Per lungotempo mi sono sentita come divisa in due, ma allafine, dopo due anni passati a cercare lavoro senza suc-cesso, ho dovuto scegliere. La ragione ha prevalso. Mail mio cuore, comunque, ha sempre desiderato rima-nere in Bosnia ed Erzegovina. Purtroppo, non ci sonoriuscita».

«Per me il fatto di avere la mia famiglia già qui inGermania è stato di enorme sostegno. Al momentodel mio arrivo avevo preparato un curriculum vitae giàtradotto e tutti i documenti necessari. Ho trovato la-voro dopo tre giorni e ho cominciato a lavorare comeeducatrice. In un anno, ho raggiunto tutti i traguardiche avevo provato a realizzare senza successo a Sara-jevo. Un lavoro sicuro, la sicurezza finanziaria, il miodatore di lavoro ha anche pagato per dei corsi di per-fezionamento, ho potuto viaggiare, conoscere dellagente straordinaria. Sembra proprio un sogno che siavvera, giusto? Eppure, mi manca la mia gente, la no-stra spontaneità, la cultura del caffè, che per noi èconversazione, incontro, dialogo... Molti miei amici sene sono andati da Sarajevo, e quelli che sono rimastisostengono che alla prima occasione buona faranno

lo stesso. Al momento non penso di tornare in Bosniaed Erzegovina. Se lo farò in futuro, questo lo sa soloDio».

TARIK, musulmano, 31 anni, in cercadi una occasione per emigrare

«Qui per me non c’è futuro. Sto cercando di andar-mene, in Germania, a Francoforte». Tarik, un’espe-rienza di tutto rispetto come odontotecnico, mapurtroppo attualmente nessun lavoro a Sarajevo. Tarikdà l’impressione di avere le valigie pronte: in effetti hagià i contatti, un accordo con il titolare di uno studio– anche egli bosniaco, emigrato a Francoforte da oltrevent’anni – che sarebbe disposto a dargli lavoro im-mediatamente in Germania. «Mi ha già avuto in provaed è stato molto soddisfatto di come lavoro. Peradesso qui a Sarajevo non lavoro, mi sto anzi occu-pando di raccogliere tutti i documenti necessari perottenere un permesso di soggiorno, mi sono iscrittoal Goethe Institut, imparo la lingua».

Il lavoro come odontotecnico, Tarik, ha dovuto co-struirselo da solo. Prima a Banja Luka, poi in Croazia.Ora, per l’appunto, sarà obbligato a cercarlo in Germa-nia, perché «qui trovare lavoro è impossibile». Troppala frustrazione di fronte a un sistema in cui «la gentenon viene premiata per il proprio impegno o per leproprie competenze, ma riesce a trovare un impiegosolamente grazie alle connessioni o alle conoscenzepersonali. È un sistema in cui prevale la štela», termineche in bosniaco si usa familiarmente per indicare lacorruzione e il nepotismo.

C’è, naturalmente, anche il tema del salario. In Bo-snia ed Erzegovina, spiega il ragazzo, «difficilmenteprenderei più di mille marchi (equivalenti grossomodo a cinquecento euro), mentre in Germania il sa-lario minimo per un mestiere come il mio si aggira sui1.600 euro. Purtroppo, non vedo alternative all’emi-grazione. Sopravvivere in Bosnia ed Erzegovina è di-ventato impossibile… L’unico lato positivo dellasituazione attuale è che le cose, almeno per come levedo io, non potrebbero proprio andare peggio. Primao poi, dovranno per forza migliorare».

19BOSNIA ED ERZEGOVINA | UNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERA

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20 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

DON ŠIMO MARŠIĆ, direttore del Centroper la pastorale giovanile “Giovanni Paolo II”

«So che non è semplice essere un giovane in Bosniaed Erzegovina», esordisce don Šimo Maršić, il diret-tore del Centro arcidiocesano per la pastorale giova-nile “Giovanni Paolo II”, che si trova nel quartiere diOtoka, a Sarajevo. «Certo, so anche che questa è unasituazione che non riguarda soltanto il nostro Paese.Anche in Italia non è semplice. Mancano le prospet-tive e, soprattutto, manca la possibilità di trovare unlavoro. Per questa ragione, molto spesso, i nostri gio-vani sono costretti ad andarsene perché non hannoaltre possibilità».

Don Šimo racconta l’esperienza del proprio Centro,creato ufficialmente nel 2007 e chiamato a confron-tarsi prima di tutto proprio con le tematiche dei gio-vani nell’arcidiocesi di Sarajevo e in tutto il Paese:«Ogni anno, contando tutti i nostri progetti e le nostreattività, abbiamo un numero totale di beneficiari dipiù di seimila giovani. In questo modo, desideriamocomunicare la nostra vicinanza ai giovani e ai loro pro-blemi. La Chiesa vuole stare al loro fianco e aiutarli arealizzare i loro talenti affinché possano utilizzarlianche per il bene del Paese. Abbiamo anche dei pro-getti, come quelli di scambio con altri Paesi come l’Ita-lia o la Germania, attraverso i quali i nostri ragazzi

possono andare all’estero, fare un’esperienza che li ar-ricchirà umanamente e professionalmente, imparareuna lingua e poi ritornare qui in Bosnia ed Erzegovina.Tutto ciò è molto importante per formare la futura co-munità, soprattutto nei valori del dialogo e della tol-leranza».

«Il nostro Centro ha infatti anche delle attività coni ragazzi di altre fedi. Nonostante la guerra degli anniNovanta la Bosnia ed Erzegovina è ancora un Paesemulticulturale e vogliamo preservarlo, facendo inmodo che i nostri ragazzi siano i primi ad apprenderequesto valore e rompendo i muri che sono stati erettitra le diverse comunità all’indomani del conflitto. Oggiil nostro Centro è partner di molte ONG e organizza-zioni che si occupano di dialogo e di promozione deigiovani in Bosnia ed Erzegovina, segno che il nostrocontributo è apprezzato e riconosciuto dalle istitu-zioni e dal resto della società civile». Papa Francescoha espresso il desiderio di recarsi al Centro durante lasua visita: «Sicuramente è una grande felicità per tuttinoi», afferma Don Šimo.

«Quello che manca maggiormente in Bosnia ed Er-zegovina, secondo noi, è l'impegno delle istituzioni adare una possibilità ai giovani di attivarsi. Le nostre ri-cerche, e soprattutto la nostra esperienza, dimostranoche la Bosnia ed Erzegovina ha moltissimi giovani chehanno voglia di mettersi in gioco, di assumersi le pro-prie responsabilità e dare un segno concreto del pro-prio impegno nei confronti degli altri. Abbiamo anchecominciato da parecchi anni una grande azione di vo-lontariato, che si chiama ”2 ore senza compromessi”,un fine settimana all’anno durante il quale migliaia diragazzi si mettono al servizio della comunità. I risultatie le risposte a questo tipo di iniziative sono semprestati straordinari. Ve lo assicuro: se si dà loro anche laminima possibilità di rendersi utili, i giovani possonofare miracoli».

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Una valutazione politica delle informazioni ricordatefinora impone di concentrarsi su tre temi prioritari: gliaccordi di Dayton e la necessità di una loro revisione;la maggiore attenzione che deve essere rivolta allepolitiche sociali; la necessità di elaborare, da partedella classe politica, dei programmi rivolti specifica-mente ai giovani e ai loro problemi.

L’accordo di pace di Dayton, approvato nel 1995,ha quasi immediatamente esaurito la sua funzioneprincipale (mettere fine allo spargimento di sangue),ma non è servito a far progredire il Paese. Al contrario,esso ha cristallizzato i rapporti di forza esistenti tra leparti in lotta ed è oggi utilizzato come alibi per un’in-tera classe politica che si è dimostrata ostile al cambia-mento. «L’accordo di Dayton ha fermato la guerra, manon ha permesso una pace stabile», è la denuncia delcardinale Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo. «Nonpuò esserci una pace senza giustizia, e questo accordoha legalizzato la pulizia etnica degli anni Novanta. Solopochissimi profughi, costretti a fuggire vent’anni fa,hanno potuto fare ritorno nelle proprie case».

«Senza giustizia non c’è speranza e non può es-serci futuro. Certo, è responsabilità della comunità in-ternazionale porre le condizioni per cambiare ilsistema. Da qualche anno si parla di riformare Day-ton, ma non è stato ancora pos-sibile e per ora non se nevedono i margini di riuscita».Come si ricordava nel primo ca-pitolo, l’Unione Europea avevaspinto per un superamento diDayton cercando di imporne lariforma, dopo che la Corte Euro-pea di Strasburgo aveva dichia-rato che le sue disposizioniviolavano i diritti umani. Ma inegoziati in questo senso sonopresto naufragati, dopo che Bru-xelles è stata costretta a mesi diestenuanti trattative con i leaderdei sei principali partiti del Paese.

Constatata l’impossibilità di cambiare la Costitu-zione bosniaca, l’UE ha deciso di “congelare” il temadella riforma di Dayton, per concentrarsi invece sullanecessità di riforme economiche. Pur di far procederel’integrazione europea di Sarajevo, si è pensato chesarebbe stato meglio mettere in primo piano la ne-cessità di migliorare le condizioni economiche dei cit-tadini. E così, dopo avere ottenuto un impegno dimassima da parte della politica bosniaca ad appro-vare un pacchetto di misure per la crescita econo-

mica, Bruxelles ha deciso di approvare l’accordo distabilizzazione e di associazione per la Bosnia ed Er-zegovina, unico Paese della regione che non l’avevaancora fatto.

Le riforme richieste dall’Unione Europea non sonoancora diventate un pacchetto di misure concrete,ma è lecito attendersi (sull’esempio di quanto avve-nuto negli altri Paesi della regione e tenendo pre-sente la già citata riforma del lavoro in discussione neiParlamenti delle due entità) che Bruxelles premeràsoprattutto sulla diminuzione della spesa pubblica,sulle privatizzazioni del patrimonio statale e sullamaggiore flessibilità del mercato del lavoro. Questosarà largamente insufficiente a risolvere i problemi dimilioni di bosniaci, che potrebbero rischiare anzi divedere ridursi i benefici delle politiche ridistributive

della ricchezza e della coesionesociale. La Conferenza episco-pale di Bosnia ed Erzegovina, inoccasione delle scorse elezioni,tenutesi nell’ottobre 2014 53, haribadito come «la protezione delbene comune deve essere loscopo ultimo della politica», laquale deve «difendere la giusti-zia sociale e lottare contro qual-siasi tipo di sfruttamento».

Questo diventa tanto più ur-gente soprattutto se si considerala grave situazione in cui versanole giovani generazioni. È chiaro

che se la Bosnia ed Erzegovina desidera migliorare ilproprio futuro deve investire su chi, di questo futuro,sarà il principale protagonista. Come ricordato damolti attori nel corso di questo Dossier, i giovani rap-presentano un potenziale e una risorsa: il loro deside-rio di cambiamento deve essere catalizzato dallasocietà per produrre un cambiamento dal quale tuttitrarranno beneficio. La prima sfida, per la classe poli-tica, è non dissipare questo potenziale.

«Il primo compito della comunità, delle istituzionie soprattutto della Chiesa, è animare e organizzare i

6. La questione

I giovani rappresentanoun potenziale e una risorsa:il loro desiderio di cambiamentodeve essere catalizzatodalla società per produrreun cambiamento dal qualetutti trarranno beneficio.La prima sfida, per la classepolitica, è non dissiparequesto potenziale.

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giovani, permettere loro di liberare le proprie energiepositive con progetti volti a migliorare la loro situa-zione, ma anche tutto il Paese», afferma il cardinalePuljić. «Questo deve andare di pari passo con la lorocrescita spirituale e con lo sviluppo della loro indipen-denza individuale». Il cardinale Puljić torna, infine,

sulle responsabilità delle istituzioni: «Più e più volte laChiesa in Bosnia ed Erzegovina si è indirizzata allo Statoper cercare di implementare delle politiche a favore deigiovani bosniaci, ma è difficile in un Paese come il no-stro, dove la politica guarda solo se stessa e non riescead avere delle prospettive di lungo periodo».

22 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

In fila per un visto

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In un contesto così difficile come quello bosniaco-erzegovese, e in una situazione così complicatacome quella della “generazione senza pace”, quali ini-ziative e quali proposte possono essere messe incampo per ridare speranza e fiducia nel futuro? Qualitra le tante iniziative attualmente in corso hanno ilpotenziale di creare il cambiamento per il futuro?Molte delle piste di lavoro possono essere identifi-cate a partire dalle parole e dalle considerazioni deigiovani stessi.

Giovani, riconciliazione, Dayton:il ruolo della comunità internazionaleDalle voci dei giovani, raccolte in questo Dossier,emerge anzitutto una continua tensione tra la vogliadi creare il cambiamento da un lato (impegnandosi inprima persona in attività di volontariato, animazione,servizio, …) e il sentimento di impotenza o rassegna-zione dall’altro lato, per il quale sembra che per quan-to impegno ci si metta, in realtà i risultati siano pococonfortanti. Il sentimento di impotenza sembra essereparticolarmente sentito quando si trattano proprio itemi della riconciliazione e del dialogo interreligioso,per i quali evidentemente gli sforzi da fare sono piùgravosi della media per poter raggiungere risultatisoddisfacenti.

Ritornando ai dati raccolti dall’Osservatorio dellePovertà e delle Risorse di Caritas Bosnia ed Erzego-vina 54, risulta comunque evidente la grande predispo-sizione dei giovani al servizio volontario, all’altruismo,all’impegno: ben 2 su 3, infatti, si dicono pronti a de-dicare il proprio tempo agli altri, se necessario, e inmolti altri casi anche a mettere a disposizione gratui-tamente altri tipi di risorse di cui sono in possesso (ri-sorse economiche, competenze personali).

In particolare, tra i giovani sembra essere moltoelevata anche la voglia di partecipare a movimentie associazioni giovanili. Alla domanda: «Che cosa bi-sognerebbe fare affinché voi giovani partecipiate at-tivamente alle iniziative per la pace?», ben il 64%degli intervistati 55 ha indicato che il migliore ambitoin cui si dovrebbe operare è quello dell’associazio-nismo e delle organizzazioni non governative, doveè possibile «organizzare le attività attuali e futureconsultando i giovani e facendoli partecipare neiprogetti».

I giovani sono ben consapevoli del grande poten-ziale per la loro crescita individuale che può veniredall’attivismo all’interno di gruppi o movimenti. La ri-cerca condotta dal Centro per la pastorale giovaniledi Sarajevo 56 conferma infatti questa tendenza:

23BOSNIA ED ERZEGOVINA | UNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERA

Inchiesta condotta su 3.638 giovani tra i 15 e i 20 anni residenti in tutto il territorio dell’arcidiocesi di Sarajevo

Fonte: Centro per la pastorale giovanile “Giovanni Paolo II” dell’arcidiocesi di Sarajevo 2013

Far parte di gruppi o movimenti, quanto e in che modo può dare risposteai bisogni dei giovani?

MoltissimoMolto Abbastanza Poco

Per nulla

Scambio interpersonale di esperienze, idee, sentimenti 62,1% 27,1% 10,7%

Sentimento di appartenenza e di essere accettati 60,9% 29,3% 9,9%

Rafforzare l’autostima 60,5% 26,0% 13,5%

Essere educati alla tolleranza 53,9% 32,3% 13,8%

Essere educati alla solidarietà 51,3% 33,9% 14,8%

Sviluppare le proprie capacità organizzative 48,5% 34,6% 16,5%

Essere affermati e apprezzati 47,0% 35,8% 17,3%

Essere educati al dialogo interreligioso 46,5% 32,7% 20,7%

Saresti disponibile ad aiutare gli altri in difficoltà?Se sì, in che modo? (ammesse più risposte)Fare volontariato 63,6%Aiutare economicamente 38,9%Mettere a disposizione le mie competenzepersonali / know-how 16,4%Aiuto in casa / Assistenza in casa 15,6%

Fonte: Caritas Bosnia ed Erzegovina, 2012

7. Le proposte

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24 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Continuare a offrire occasioni, progetti e iniziative chepromuovano la partecipazione civica, attiva e solidaledei giovani è dunque una delle principali piste di la-voro per il prossimo futuro.

È interessante notare in questo caso, però, che ladimensione della “educazione al dialogo interreli-gioso” sia quella che i giovani riconoscono di meno.Come evidenziato già nel capitolo 4, infatti, a voltesembra essere la rassegnazione a prevalere, in parti-colare sui temi collegati alla riconciliazione, come con-fermato anche dallo studio della Friedrich EbertStiftung 57:

Una domanda allora sorge spontanea: venti annidi progetti e iniziative per la riconciliazione in Bosniaed Erzegovina, promossi da centinaia di organizza-zioni (locali e internazionali, laiche e religiose), hannodunque fallito il loro obiettivo − visto che i giovani noncredono più di tanto nei risultati che possono portare?Leggendo tra le righe delle tante voci raccolte dalla“generazione senza pace”, si può trovare probabil-mente la risposta a questa domanda.

Si potrebbe dire infatti che i giovani bosniaco-erzegovesi credono che, piuttosto che costruire la ri-conciliazione attraverso progetti specifici e iniziativeesclusive che si occupino solo del tema della pace, sianecessario raggiungerla in maniera “indiretta”. Nelduro e ingiusto contesto attuale della Bosnia ed Erze-govina, i giovani vedono con favore i progetti e le ini-ziative per la riconciliazione, ma ritengono che questinon potranno mai essere sufficienti da soli.

La riconciliazione, più che una serie di progetti, èsecondo i giovani il frutto “naturale” di una società piùsana. Ai giovani dunque interessa ripristinare una di-mensione più ampia dell’attivismo, che non si limiti alsolo “attivismo per la pace” ma che si sappia esprimerein molte direzioni (servendo il prossimo, animando lecomunità, organizzando eventi sportivi, promuo-vendo varie forme di volontariato…). A loro interessa

ritrovare le opportunità di lavoro, per non essere co-stretti a emigrare. A loro interessa riallacciare i legamifamiliari, comunitari e interreligiosi che si sono dan-neggiati in questi anni.

Diventa dunque prioritario rimettere in piedi untessuto “sano” in Bosnia ed Erzegovina, nel quale sianopossibili l’attivismo, la partecipazione giovanile, le op-portunità lavorative per i giovani, la valorizzazione deiloro talenti, l’incontro con il diverso. Solo quando que-sto tessuto sano sarà di nuovo ricostruito, le dinami-che di riconciliazione tra i giovani e nel Paese sarannouna naturale, piacevole e inevitabile conseguenza.

Diventa allora prioritario rivedere gli accordi diDayton, da più parti oramai considerati inadeguati allenecessità della Bosnia ed Erzegovina di oggi, per poterdare gli strumenti necessari a edificare il “tessuto sano”di cui il Paese ha bisogno. Si deve quanto prima rilan-ciare il dibattito sul “come” superare Dayton: una Con-ferenza Internazionale che proponga nuovi percorsicondivisi è quanto mai necessaria; ad essa bisogna farseguire adeguati impegni da parte di tutta la comu-nità internazionale e da parte delle istituzioni gover-native bosniaco-erzegovesi.

Giovani, volontariato, dialogo interreligioso:il ruolo della ChiesaQuale ruolo, dunque, possono giocare la Chiesa e laCaritas in questo contesto? Come veicolare le grandirisorse che i giovani vogliono mettere in campo (vo-lontariato, altruismo, impegno civile)? Quali risposteoffrire invece rispetto alle questioni più difficili, comela pace, la riconciliazione e il dialogo interreligioso,nelle quali sembra prevalere più la rassegnazione chel’entusiasmo?

I giovani appartenenti alle comunità cattoliche evi-denziano in maniera forte 58 il proprio legame con ladimensione di fede quando questa viene vissuta so-prattutto in azioni concrete, di servizio agli altri, di te-stimonianza attiva della carità.

Si tratta di una dato davvero importante. Non vadimenticato, infatti, come il rapporto dei fedeli con lapropria religione in Bosnia ed Erzegovina sia stato inquesti ultimi decenni particolarmente complesso. LaBosnia ed Erzegovina è un Paese ex-comunista dovela libertà di fede è una conquista recente; è una realtàdove si possono incontrare spesso delle comunitàreligiose ancora tradizionali, molto liturgiche, nontroppo attive nel sociale (proprio perché nei 50 annidi regime comunista alle comunità religiose era con-sentita solo la liturgia ma non l’attività sociale); ed èinoltre un Paese nel quale la dimensione religiosa equella etnica si sono mescolate e si mescolano ancorain maniera complessa.

Ebbene, nonostante questo passato così com-plesso, le nuove generazioni vogliono invece costruire

È necessario che i giovani partecipino maggiormentealle attività per la pace?

No, non possiamo cambiare niente di speciale 54%

Sì, senza pace e confronto con il passatonon può esserci un buon futuroper le generazione giovanidi tutte le nazionalità 31%

Sì, ma solo all’interno delleattività che organizzanoi membri del mio grupponazionale 15%

Inchiesta condotta su 315 giovani di tutta la Bosnia ed Erzegovina,di tutte le etnie e minoranze, di entrambi i sessi, in età tra i 15 e i 20anni

Fonte: Friedrich Ebert Stiftung, 2013

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una Chiesa diversa, più giovane e intraprendente. UnaChiesa nella quale viene messo al centro l’amore peril prossimo e la testimonianza tramite azioni concretedi solidarietà.

I giovani in Bosnia ed Erzegovina, dunque, chie-dono soprattutto una cosa alla propria Chiesa: di es-sere sempre più una “Chiesa in uscita”, utilizzando leparole di Papa Francesco. Davanti ai tanti problemiche caratterizzano la loro situazione, in particolare nelcontesto di un Paese che offre davvero poche oppor-tunità, i giovani non si accontentano infatti di unaChiesa che rimanga confinata alla sola dimensionespirituale e liturgica. Chiedono a gran voce alla Chiesain Bosnia ed Erzegovina di continuare nella sua mis-sione sociale ed educativa: vorrebbero cioè essere aiu-tati a creare le occasioni e le situazioni in cui possanosperimentare il loro desiderio di socialità, la loro vogliadi servire il prossimo, il loro bisogno di entrare a farparte di gruppi e movimenti.

Si tratta, in sostanza, dello stesso percorso cheanche Papa Francesco tracciò recentemente incon-trando i Vescovi della Bosnia ed Erzegovina 59: «La so-

cietà in cui vivete ha una dimensione multiculturale emultietnica. E a voi è consegnato il compito di esserepadri di tutti, pur nelle ristrettezze materiali e nellacrisi in cui vi trovate ad agire. Ogni comunità cristianasa di essere chiamata ad aprirsi, a riflettere nel mondola luce del Vangelo. […] Essa esce dal proprio recintoper vivere e annunciare la vita nuova di cui è deposi-taria, quella di Cristo, Salvatore del genere umano. Intale prospettiva incoraggio le iniziative che possonoallargare la presenza della Chiesa al di là del perimetroliturgico, assumendo ogni altra azione che possa inci-dere nella società apportandovi il fresco spirito delVangelo. Il vostro ministero assume diverse dimen-sioni: pastorale, ecumenica, interreligiosa».

La Chiesa in Bosnia ed Erzegovina è dunque chia-mata ad essere un grande attore nella costruzione diquel “tessuto sano” nel Paese di cui parlavamo pocosopra, diffondendo messaggi di dialogo interreligiosoe di speranza nel futuro, e continuando ad offrire op-portunità di impegno civile ai giovani. È in questomodo che potrà muovere processi di riconciliazioneche siano efficaci, sostenibili e duraturi nel tempo.

Amare Dio e il prossimo 41,8%

Testimoniare la propria fedecon azioni concrete 20,3%

Pregare regolarmente13,4%

Rispettare i comandamentidi Dio 12,5%

Credere nell’insegnamento della Chiesa 10,9%

Rispettare i momenti di digiuno 1,1%

Per te, che cosa è più importante nella fede cristiana?

Inchiesta condotta su 3.638 giovani tra i 15 e i 20 anni residentiin tutto il territorio dell’arcidiocesi di Sarajevo

Fonte: Centro per la pastorale giovanile “Giovanni Paolo II”dell’arcidiocesi di Sarajevo, 2013

Inchiesta condotta su 3.638 giovani tra i 15 e i 20 anni residentiin tutto il territorio dell’arcidiocesi di Sarajevo

Fonte: Centro per la pastorale giovanile “Giovanni Paolo II”dell’arcidiocesi di Sarajevo, 2013

Quale può essere il ruolo della Chiesa per risolverei problemi dei giovani? (ammesse più risposte)

Organizzare la vita sportiva dei giovani 45,3%

Organizzare progetti e laboratori adeguati 38,2%

Fondare associazioni e movimenti giovanili 28,7%

Offrire opportunità di socializzazione ai giovani 26,3%

Organizzare esercizi spirituali e pellegrinaggi 23,7%

Altro 2,1%

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PACE E RICONCILIAZIONEI progetti promossi insieme a Caritas Bosnia ed Erzegovina hanno previsto numerose azionidi supporto alle associazioni degli ex detenuti nei campi di concentramento e dei fami-liari delle vittime, che tramite attività di formazione e di consulenza (sociale, legale, psicolo-gica), hanno valorizzato le loro potenzialità personali, lavorando sul proprio trauma eaccrescendo la loro capacità di sostenere i propri membri, favorendo nel contempo il lavorodi rete tra associazioni di diverse nazionalità (croate, serbe, bosniache e albanesi) e di religionediversa (mussulmane, cattoliche e ortodosse).

L’idea fondante è che un’elaborazione corretta del conflitto può facilitare una più rapida cre-scita dei processi di riconciliazione e pacificazione tra i gruppi presenti in Bosnia ed Erzegovina.

Totale progetto: € 250.000

L’attività della Caritas in questo Paese ha abbracciatoun intero ventennio risalendo agli inizi del conflittopiù sanguinoso tra quelli che hanno lacerato la ex-Jugoslavia. I primi interventi si concentrarono sulleemergenze prodotte dal conflitto. Poi è cominciataun’assidua opera di affiancamento alla Caritas di Bo-snia ed Erzegovina, con interventi assistenziali, edu-cativi e di promozione dei diritti umani. Di seguito, iprincipali PROGETTI realizzati e in corso.

8. L’impegno di Caritas Italiana

FORMAZIONE DI ANIMATORI SOCIALI E PROMOZIONE DEL VOLONTARIATOCaritas Italiana è stata particolarmente attiva fin dai primi anni 2000 nella promozione delvolontariato per rafforzare l’azione di promozione umana delle comunità locali. Molte-plici attività quali Campi estivi, Scuole di volontariato, Scuole di pace, Campi scout, sono staterealizzate con le Caritas della Bosnia ed Erzegovina, diverse Caritas diocesane (Vittorio Veneto,Roma, Volterra, Pescia, Reggio Emilia – Guastalla, Mantova) e associazioni italiane.

Questo impegno continua ancora oggi in collaborazione con alcune realtà significative: ilCentro per la pastorale giovanile “Giovanni Paolo II” di Sarajevo; il gruppo giovani del Consigliointerreligioso della BiH; le Caritas diocesane della Bosnia ed Erzegovina.

L’impegno verso il volontariato è testimoniato anche dalla presenza in questi anni di circa20 Caschi bianchi, giovani servizio-civilisti italiani.

Totale progetto: € 390.000

OSSERVATORIO DELLE POVERTÀ E DELLE RISORSEIn Bosnia ed Erzegovina l’assenza di strumenti per una lettura delle povertà sia a livello pub-blico che non governativo ha incrementato la difficoltà, per chi opera nel sociale, di decifrarecorrettamente le problematicità e le risorse del proprio territorio, pur avendo la consa-pevolezza di una crescita continua del fenomeno dell’esclusione sociale per ampie fasce dellapopolazione (anziani, disabili, giovani, donne, disoccupati, profughi, minoranze).

È nato così nel 2009 un Osservatorio Permanente delle Povertà e delle Risorse presso la Ca-ritas Bosnia ed Erzegovina. Attraverso la distribuzione di questionari quantitativi nelle parroc-chie e tra gli utenti, ricerche qualitative ad hoc e raccolta e analisi dei dati, il network Caritas inBosnia ed Erzegovina ha raggiunto una migliore conoscenza delle dinamiche legate alle po-vertà nel Paese: cause, dimensioni, conseguenze, risorse e buone prassi presenti.

Totale progetto: € 150.000

27BOSNIA ED ERZEGOVINA | UNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERA

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PROMOZIONE E INCLUSIONE SOCIALE DELLE FASCE VULNERABILICaritas Italiana supporta alcuni progetti rivolti a minori in situazione di grave marginalità.Un progetto promosso dalla Caritas Bosnia ed Erzegovina (in collaborazione con l’associazionedei genitori di ragazzi disabili “Vedri Osmjeh” di Mostar) mira a migliorare la qualità della vitadei giovani con disabilità attraverso la creazione della prima cooperativa sociale per disabili.

Un altro progetto (in collaborazione con la Caritas diocesana di Volterra) si occupa dellatutela dei minori nell’area di Sarajevo, in particolare quelli che si trovano negli orfanotrofibosniaci e quelli provenienti da famiglie povere o disfunzionali.

Totale progetto: € 73.000

PROMOZIONE SOCIO-ECONOMICADiverse progettualità si sono susseguite dal 2000 ad oggi nell’ambito del programma di in-tervento a favore delle aree rurali del Nord della Bosnia ed Erzegovina. L’obiettivo inizialedi questo programma era quello di favorire il rientro dei profughi nelle loro località d’origine,in particolare delle famiglie giovani con figli.

I programmi e i microprogetti di sviluppo si sono rivolti, nel tempo, anche a famiglie colpitedalle “nuove” povertà (disoccupati, discriminati, isolati). Dal recupero formativo tecnico-pro-fessionale dei giovani in aree a vocazione rurale al sostegno alle famiglie con donazioni dianimali, strumenti agricoli, sementi, stalle, e successivamente alla promozione dell’associa-zionismo locale tra le varie figure che operano nel settore agricolo.

Sono nate cosi la cooperativa sociale “Livac” di Caritas Banja Luka e l’associazione ERRDO(Organizzazione per l’Ambiente, la Ricerca e lo Sviluppo Rurale), con le quali sono state svi-luppate nuove metodologie e strumenti nella gestione delle attività rurali.

Totale progetto: € 1.870.000

E.L.BA. – EMERGENZA LAVORO NEI BALCANIÈ appena stata avviata una sperimentazione nell’ambito dell’economia sociale nel Sud-EstEuropa, che vede coinvolti sette Paesi, tra cui la Bosnia ed Erzegovina, per promuovere e ga-rantire l’integrazione sociale e lavorativa dei più poveri, in una situazione socio-economicasegnata drammaticamente dalla crisi finanziaria, proponendo soluzioni sostenibili e social-mente eque.

Oltre ad attività formative di alcuni operatori locali, verrà messo a disposizione un Fondoper l’avviamento e il rafforzamento di imprese sociali, proposte dalle comunità locali.

Totale progetto: € 480.000

EMERGENZA ALLUVIONINel maggio 2014, Bosnia ed Erzegovina e Serbia sono state investite dalle maggiori alluvionidella loro storia recente. Quattro le aree d’intervento prioritarie: a) ristrutturazione delleunità abitative e loro preparazione per l’inverno; b) sostegno all’economia sociale e riavviodelle attività produttive; c) risanamento igienico e ambientale delle aree alluvionate; d) pro-mozione del volontariato e delle azioni di solidarietà.

L’intervento è stato reso possibile con il supporto dei fondi messi a disposizione dalla Con-ferenza Episcopale Italiana, dalla rete delle Caritas diocesane italiane e da diversi donatori(scuole, associazioni, privati).

Totale progetto: € 563.200

28 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Per maggiori informazioni e per contribuire ai progetti di Caritas Italiana:Ufficio Europa, tel. 06 66177 259 / 245 – [email protected] – www.caritas.it

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29BOSNIA ED ERZEGOVINA | UNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERA

BIBLIOGRAFIA E FONTI DI INFORMAZIONE

BibliografiaOsservatorio delle povertà e delle risorse di Caritas Bosnia ed Erzegovina, Rapporto sulle povertà, 2012

Osservatorio delle povertà e delle risorse di Caritas Bosnia ed Erzegovina, Interviste per la ricerca qualitativasulla situazione dei minori, 2014

Caritas Italiana, Dal conflitto alla riconciliazione. Dieci parole per costruire la pace, Edizioni EDB 2005

I. Sejfija – A. Delic – E. Cipurkovic, I giovani e l’impegno per la pace in Bosnia ed Erzegovina,Friedrich Ebert Stiftung 2013

J. Ziga – L. Turcilo – A. Osmic – S. Basic – N. Dzananovic Mirascija – D. Kapidzic – J. Brkic Smigoc,Studio sui giovani in Bosnia ed Erzegovina, Friedrich Ebert Stiftung 2015

Simo Marsic, I giovani dell’arcidiocesi di Sarajevo nell’anno della fede. Movimenti laici a servizio della nuovaevangelizzazione, Sarajevo 2013

Commissione Europea, Progress Report on Bosnia Herzegovina, 2014

Portali di notizie sulla Bosnia ed Erzegovina e i BalcaniOsservatorio Balcani e Caucaso: www.balcanicaucaso.org (in italiano)

East Journal: www.eastjournal.net (in italiano)

Balkan Insight: www.balkaninsight.com/en/page/all-balkans-home (in inglese)

Sarajevo Times: www.sarajevotimes.com (in inglese)

Le Courrier des Balkans: www.courrierdesbalkans.fr (in francese)

Siti per dati e ricerche statisticheBanca Mondiale: www.worldbank.org/en/country/bosniaandherzegovina (in inglese)

Ufficio Statistico di Bosnia ed Erzegovina: www.bhas.ba/?lang=en (in inglese)

Siti utiliCaritas Italiana: www.caritas.it

Caritas Europa: www.caritas.eu

Caritas Bosnia ed Erzegovina: www.caritas.ba

Conferenza episcopale di Bosnia ed Erzegovina: www.bkbih.ba

Visita di Papa Francesco in Bosnia ed Erzegovina: www.papa.ba

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NOTE

Introduzione1 Dati calcolati dalle Nazioni Unite.2 European Commission, Bosnia Herzegovina Progress

Report, ottobre 2014.3 Dati della Croce Rossa Internazionale, agosto 2014.4 Papa Giovanni Paolo II, Discorsi durante il Viaggio apo-

stolico a Sarajevo, aprile 1997.5 Dayton ha fermato la guerra ma anche il progresso,

Euronews, http://it.euronews.com/2010/07/09/dayton-ha-fermato-la-guerra-ma-anche-il-progresso/

6 European Commission, Bosnia Herzegovina ProgressReport, ottobre 2014.

7 Papa Francesco, Lettera ai Vescovi della Bosniaed Erzegovina, marzo 2015.

8 Dichiarazioni finali della 60a riunione della ConferenzaEpiscopale di Bosnia ed Erzegovina, marzo 2014.

9 Caritas Italiana, Dal conflitto alla riconciliazione. Dieci parole per costruire la pace, Edizioni EDB 2005.

Capitolo 110 http://www.doingbusiness.org/rankings11 Caritas Europa, Crisis monitoring report 2015 – Poverty

and inequalities on the rise. Il report si può leggere, perintero, nella sua versione in inglese a questo indirizzo:http://www.caritas.eu/sites/default/files/caritascrisisre-port_2015_en_final.pdf

12 Si legga, ad esempio, questa analisi pubblicata dall’Euro-pean Council for Foreign Relations, In Europe we mistrust, inoccasione delle ultime elezioni politiche europee del 2014:http://www.ecfr.eu/blog/entry/in_europe_we_mistrust

13 CIA World Factbook, stime 2013, https://www.cia.gov/li-brary/publications/the-world-factbook/geos/bk.html

14 http://www.slobodnaevropa.org/content/poslodavci-praksu-mijenjati-ali-ne-novim-zakonom-o-radu/26988944.html

15 Fonte: Banca Mondiale, http://www-wds.worldbank.org/external/default/WDSContentServer/WDSP/IB/2013/06/17/000356161_20130617141957/Rendered/PDF/785050NWP0Box30ith0Albania0update0.pdf

16 Come in questo articolo del Global Post: http://www.glo-balpost.com/dispatch/news/regions/europe/141008/bo-snia-youth-unemployment-rate

17 CIA World Factbook, stime 2013, https://www.cia.gov/li-brary/publications/the-world-factbook/geos/bk.html

18 Papa Francesco, Discorso al Parlamento Europeo,Strasburgo, 25 novembre 2014.

19 Vedere ad esempio la recente analisi del Foreign AffairsJournal riportata anche nell’articolo Attenti ai Balcani,disponibile su http://www.globalist.it/Detail_News_Di-splay?ID=73789&typeb=0

20 Papa Francesco durante l’incontro con i bambininell’Aula Paolo VI, 11 maggio 2015.

Capitolo 221 Calcolato come tasso di disoccupazione nella fascia di

popolazione che va dai 15 ai 25 anni, http://data.wor-ldbank.org/indicator/SL.UEM.1524.ZS

22 UNDP, Voices Of Youth, 2012. Il rapporto può essere lettoper intero a questo indirizzo: http://issuu.com/unicef-bih/docs/voy_eng_web?e=4149600/3255643

23 J. Ziga – L. Turcilo – A. Osmic – S. Basic – N. DzananovicMirascija – D. Kapidzic – J. Brkic Smigoc, Studio sui giovaniin Bosnia ed Erzegovina, Friedrich Ebert Stiftung 2015.

24 Cfr. Bosnia, la protesta di Konjevic Polje, http://www.balca-nicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Bosnia-la-prote-sta-di-Konjevic-Polje-143741

25 Sejdic – Finci, Una sentenza ignorata, http://www.balca-nicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Sejdic-Finci-una-sentenza-ignorata-138171

26 Vedi ad esempio La Bosnia di ieri, commento apparsosul portale Osservatorio Balcani e Caucaso,http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/La-Bosnia-di-ieri-156382

Capitolo 327 Sarajevo e Bruxelles, parole e fatti, http://rassegnaest.

com/2015/02/25/bosnia-unione-europea/28 Most Young Bosnians would emigrate “tomorrow”, survey

says, Balkan Insight, http://www.balkaninsight.com/en/article/some-80-young-bosnians-would-leave-survey

29 Youth emigration causing Balkans “Brain drain”, BalkanInsight, http://www.balkaninsight.com/en/article/young-people-leave-serbia-bosnia-the-most

30 Il Sole 24 Ore, http://24o.it/XFPyd31 http://www.croatiaweek.com/action-needed-to-stop-

brain-drain/32 Démographie: la Bosnie-Herzégovine menacée de dispari-

tion?, Le Courrier des Balkans, http://www.courrierdesbal-kans.fr/le-fil-de-l-info/demographie-la-bosnie-herzegovine-menacee-de-disparition.html

33 http://www.tv1.ba/vijesti/ekonomija/12210-gorazde-pri-vredna-ekspanzija-nekada-otpisanog-grada.html

34 Il grande esodo: la Bosnia ed Erzegovina si svuota, suOsservatorio Balcani e Caucaso, http://www.balcanicau-caso.org/aree/Bosnia-Erzegovina/Il-grande-esodo-la-Bo-snia-Erzegovina-si-svuota-160086

35 J. Ziga – L. Turcilo – A. Osmic – S. Basic – N. DzananovicMirascija – D. Kapidzic – J. Brkic Smigoc, Studio sui giovaniin Bosnia ed Erzegovina, Friedrich Ebert Stiftung 2015.

36 http://www.oslobodjenje.ba/vijesti/bih/ljekari-i-specijali-sti-sa-balkana-masovno-traze-posao-u-inostranstvu

30 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Capitolo 437 Osservatorio delle Povertà e delle Risorse di Caritas

Bosnia ed Erzegovina, intervista al Centro degli AffariSociali del Cantone di Sarajevo, novembre 2014.

38 Osservatorio delle Povertà e delle Risorse di Caritas Bosniaed Erzegovina, intervista al Ministero dei Diritti umani edei Rifugiati della Bosnia ed Erzegovina, novembre 2014.

39 I. Sejfija – A. Delic – E. Cipurkovic, I giovani e l’impegno perla pace in Bosnia ed Erzegovina, 2013.

40 Commissione Europea, Progress Report on BosniaHerzegovina, 2014.

41 Ibidem.42 http://siteresources.worldbank.org/INTECA/Resources/

BH.pdf43 Migration Profile for Bosnia Herzegovina, 2013,

http://www.msb.gov.ba/PDF/Migration_Profile_2012_ENGa.pdf

44 J. Ziga – L. Turcilo – A. Osmic – S. Basic – N. DzananovicMirascija – D. Kapidzic – J. Brkic Smigoc, Studio sui gio-vani in Bosnia ed Erzegovina, Friedrich Ebert Stiftung2015.

45 Osservatorio delle Povertà e delle Risorse di CaritasBosnia ed Erzegovina, intervista all’associazione SOSSelo Sarajevo, novembre 2014.

46 Osservatorio delle Povertà e delle Risorse di Caritas Bosnia ed Erzegovina, Rapporto sulle povertà, 2012.

47 Osservatorio delle Povertà e delle Risorse di CaritasBosnia ed Erzegovina, intervista al Consultorio Familiaredella Caritas diocesana di Mostar, 2014.

48 Osservatorio delle Povertà e delle Risorse di CaritasBosnia ed Erzegovina, intervista all’associazione Hopeand Homes for Children Bosnia and Herzegovina, 2014.

49 Simo Marsic, I giovani dell’Arcidiocesi di Sarajevo nell’annodella fede – Movimenti laici a servizio della nuova evange-lizzazione, Sarajevo, 2013.

50 I. Sejfija – A. Delic – E. Cipurkovic, I giovani e l’impegno perla pace in Bosnia ed Erzegovina, 2013.

51 J.Ziga – L. Turcilo – A. Osmic – S.Basic – N. DzananovicMirascija – D.Kapidzic – J. Brkic Smigoc, Studio sui giovaniin Bosnia ed Erzegovina, Friedrich Ebert Stiftung 2015.

52 Simo Marsic, I giovani dell’Arcidiocesi di Sarajevo nell’annodella fede. Movimenti laici a servizio della nuova evangeliz-zazione, Sarajevo, 2013.

Capitolo 653 http://www.bkbih.ba/info.php?id=790

Capitolo 754 Osservatorio delle Povertà e delle Risorse di Caritas Bosnia

ed Erzegovina, Rapporto sulle povertà, 2012.55 I. Sejfija – A. Delic – E. Cipurkovic, I giovani e l’impegno per

la pace in Bosnia ed Erzegovina, 2013.56 Simo Marsic, I giovani dell’Arcidiocesi di Sarajevo nell’anno

della fede – Movimenti laici a servizio della nuova evangeliz-zazione, Sarajevo, 2013.

57 I. Sejfija – A. Delic – E. Cipurkovic, I giovani e l’impegno perla pace in Bosnia ed Erzegovina, 2013.

58 Simo Marsic, I giovani dell’arcidiocesi di Sarajevo nell’annodella fede – Movimenti laici a servizio della nuova evangeliz-zazione, Sarajevo, 2013.

59 Papa Francesco all’incontro con i Vescovi della Bosnia edErzegovina, 16 marzo 2015.

31BOSNIA ED ERZEGOVINA | UNA GENERAZIONE ALLA RICERCA DI PACE VERA

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Ricorre il 20° anniversario degli Accordi di Pace di Dayton, che misero fineal conflitto più cruento in Europa dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Una soluzione, quella di Dayton, ingiusta e insostenibile, che ha spinto il Paesein una crisi sempre più profonda, aggravata da una crisi economica senzaprecedenti.

Con un tasso di disoccupazione giovanile del 60%, tra i più elevati al mondo.

Giovani nati durante un conflitto, cresciuti in un contesto non pacificato,che vivono tensioni etniche, politiche, disagio sociale e difficoltà economiche.

Stremati da un Paese che non cambia e in ostaggio dei nazionalismi ancorapresenti, scelgono di emigrare: un’emorragia senza fine, un drammademografico.

Occorre rinforzare il tessuto “sano” della Bosnia ed Erzegovina, quell’eccellentelaboratorio di dialogo e spiritualità interreligiosa, risorsa per il futuro.

Occorre valorizzare la partecipazione dei giovani. Su di loro poggia la speranzadi un Paese più giusto e pacificato.

Grecia

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 1 – Gennaio 2015

Gioventù feritaLa crisi come una guerra, il Paese a un bivio

I precedenti dossier (download dagli shortlink):1. GRECIA: Gioventù ferita – Gennaio 2015 – http://bit.ly/1KOT4KB2. SIRIA: Strage di innocenti – Marzo 2015 – http://bit.ly/1x0H4VI3. HAITI: Se questo è un detenuto – Aprile 2015 – http://bit.ly/1H0LwGe4. BANGLADESH, INDIA, SRI LANKA, THAILANDIA: Lavoro dignitoso per tutti – Maggio 2015 – http://bit.ly/1JaZEvv

Bangladesh | India | Sri Lanka | Thailandia

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 4 – Maggio 2015

Lavoro dignitoso per tuttiDisoccupazione, sfruttamento, riduzione in schiavitù

ledono i diritti umani fondamentali