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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Numero 35 – Marzo 2018 Haiti Una scuola per tutti Il diritto all’educazione per i bambini con disabilità

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DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 35 – Marzo 2018

Haiti

Una scuola per tuttiIl diritto all’educazione per i bambini con disabilità

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INDICE

Introduzione 3

1. Il problema a livello internazionale 4

2. Il problema a livello nazionale 8

3. Cause e connessioni con l’Italia e l’Europa 11

4. Dati 15

5. Interviste 26

6. La questione 30

7. Proposte ed esperienze 36Gli interventi di Caritas Italiana

Note 37

A cura di: Francesco Soddu | Alessandro Cadorin | Maurizio Verdi | Paolo Beccegato

Testi: Alessandro Cadorin | Maurizio Verdi | Chiara Catenazzi (interviste)

Foto: Andrea Ruffini | Alessandro Cadorin (pagine 26, 27, 28, 29, 36)

Editing, grafica e impaginazione: Danilo Angelelli

DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZENumero 35 | Marzo 2018

HAITI | UNA SCUOLA PER TUTTIIl diritto all’educazione per i bambinicon disabilità

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Caritas Italiana è da sempre attenta alla questionedella disabilità, una delle realtà più difficili da affron-tare e su cui intervenire sia dal punto di vista sociale(inclusione scolastica, assistenza sanitaria, …) sia daquello culturale (inclusione sociale, pregiudizi ance-strali, specialmente in alcune zone del mondo).

«Quale illusione vive l’uomo di oggi quando chiude gliocchi davanti alla malattia e alla disabilità! Egli noncomprende il vero senso della vita, che comporta anchel’accettazione della sofferenza e del limite. Il mondo nondiventa migliore perché composto soltanto da personeapparentemente “perfette”, per non dire “truccate”, maquando crescono la solidarietà tra gli esseri umani, l’ac-cettazione reciproca e il rispetto» (Messa giubilare inpiazza San Pietro 12 giugno 2016).

Per l’universo infantile e adolescenziale la scuola è lapiù estesa organizzazione sociale alle prese con tutti isoggetti che presentano disagio, sofferenza mentale,handicap psico-fisico, disabilità, disturbo psichiatrico,malattia mentale, ... L’Organizzazione Mondiale dellaSanità da anni insiste sulla fondamentale importanzache la scuola riveste nella tutela della salute mentale,dando ormai per scontato che ogni Paese debba do-tarsi di una legislazione per la promozione della salutementale nella scuola e ogni scuola debba avere atti-vità di promozione nei suoi piani educativi.

«La qualità della vita all’interno di una società si misura,in buona parte, dalla capacità di includere coloro chesono più deboli e bisognosi, nel rispetto effettivo della lorodignità di uomini e di donne. E la maturità si raggiungequando tale inclusione non è percepita come qualcosa di

straordinario, ma di normale. Anche la persona con disa-bilità e fragilità fisiche, psichiche o morali, deve poter par-tecipare alla vita della società ed essere aiutata adattuare le sue potenzialità nella varie dimensioni. Sol-tanto se vengono riconosciuti i diritti dei più deboli, unasocietà può dire di essere fondata sul diritto e sulla giusti-zia» (Papa Francesco alla Comunità di Capodarco, rice-vuta in udienza nell’Aula Paolo VI il 25 febbraio 2017).

Il tema dell’inclusione resta quasi sempre al margine,spesso in secondo piano rispetto a quello, ugual-mente importante, dell’assistenza (o, per meglio dire,delle carenze nell’assistenza).

I disabili hanno il diritto di partecipare alla vita dellecomunità facendo sentire a se stessi e a tutti che rap-presentano un dono e non un peso: non vanno vistiné come angeli né come “eterni bambini innocenti”.

E le loro famiglie, allo stesso modo, hanno bisognodi serenità, di coraggio e di un sostegno speciale, chesignifica anche accompagnamento, formazione, orien-tamento rispetto ai servizi esistenti, ai diritti e alle op-portunità del sistema di cura e alle altre occasioni chepossono contribuire a migliorare la qualità della vitadel bambino e di tutta la famiglia.

In ogni parte del mondo!

3HAITI | UNA SCUOLA PER TUTTI

Introduzione

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Si stima che nel mondo oltre un miliardo di persone,circa il 15% della popolazione, soffra di una qualcheforma di disabilità (Organizzazione Mondiale della Sa-nità). Ma cosa comporti la disabilità in termini di vul-nerabilità, lo si comprende solo considerando tuttiquei fattori fisici, ambientali e sociali che determinanola disabilità e che, se non riconosciuti e se lasciatisenza risposte adeguate, marginalizzano la persona inuna condizione di perenne esclusione.

Per un disabile, ad esempio, l’accesso all’assistenzasanitaria, all’istruzione e al mercato del lavoro, nellamaggior parte dei casi è precluso rispetto a tutte lealtre persone. Le opportunità sono considerevolmen-te inferiori. Le persone con disabilità sperimentanoquotidianamente le più varie forme di pregiudizio, chenon si limitano alla discriminazione, ma si allargano auna più complessiva insofferenza rispetto ai bisogni eai diritti di pari opportunità.

A livello internazionale, non cisono definizioni unanimi e informa-zioni comparabili sia sull’incidenza,la distribuzione e politiche messe inatto per rispondere alle esigenzedelle persone con disabilità. Tutta-via, per affrontare in maniera cor-retta il tema, è opportuno partire dauna considerazione universale: la di-sabilità è parte della condizioneumana. Tutti noi durante la nostraesistenza possiamo incorrere in si-tuazioni di disabilità; basti solo pen-sare che la vecchiaia renderà la no-stra vita meno autosufficiente.

A causa dell’invecchiamento del-la popolazione le percentuali di di-sabilità stanno aumentando 1. Ognifamiglia allargata conta almeno un membro disabile.Ciò significa che parenti e amici si prendono la respon-sabilità di prestare cure e supporto. Ma se nella storiae in diverse culture sono stati altrettanto vari i modi dioccuparsi delle persone con disabilità, nelle nostre so-cietà si è optato per soluzioni che tendevano a segre-garle in istituti residenziali e scuole speciali 2. Tuttavia,i nuovi approcci sviluppati negli ultimi decenni hannomostrato chiaramente il limite di tali metodi che ten-devano a escludere piuttosto che a integrare. Ap-procci più interattivi si sono fatti strada riconoscendoche non solo fattori fisici, ma anche ambientali, deter-minano la disabilità. In questo modo, si è passati daun modello esclusivamente “medico” a un modello

“sociale” in cui le persone sono considerate disabilidalla società anziché dai loro corpi 3.

Parlando di disabilità, dobbiamo quindi tenerepresente i processi psicosociali che guidano la cate-gorizzazione. Le percezioni e gli atteggiamenti sonospesso guidati da pregiudizi che tendono a semplifi-care erroneamente, quando invece inevitabilmenteampi e permeabili dovrebbero essere i confini, poichéla disabilità è complessa, dinamica e multidimensio-nale.

Proprio in ragione di tale complessità l’Organizza-zione Mondiale della Sanità propone di usare comestrumento di valutazione e intervento la Classifica-zione Internazionale del Funzionamento, della Disa-bilità e della Salute (ICF). L’ICF è stato quindi adottatocome quadro concettuale per analizzare l’interazionedinamica tra condizioni di salute e fattori contestuali,sia personali che ambientali. Promosso come un “mo-dello bio-psico-sociale”, l’ICF rappresenta una interes-sante sintesi tra medicina e modelli sociali.

La definizione di disabilità è in evoluzione, poichémultidimensionale; come sottolinea la convenzionedelle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabi-lità, «deriva dall'interazione tra la persona e le barriere

1. Il problema a livellointernazionale

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Nel mondo oltre 1 miliardo di persone, circa il15% della popolazione, soffre di una qualcheforma di disabilità

Ma cosa comporti la disabilità in termini di vulnerabilità,lo si comprende solo considerando tutti quei fattori fisici,ambientali e sociali che la determinano e che, se non rico-nosciuti e se non trovano risposte adeguate, marginaliz-zano la persona in una condizione di perenne esclusione

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attitudinali e ambientali che ostacolano la piena, effet-tiva e uguale partecipazione alla società». Gli ambientinon accessibili creano disabilità, sono ostacoli alla par-tecipazione e all’inclusione; al contrario, ambienti ac-cessibili possono rimuovere le barriere che causano lastessa disabilità. Un interprete che parla il linguaggiodei segni permette la comunicazione per una personasordomuta; un luogo pubblico con ascensori e bagniattrezzati è un luogo accessibile: la salute stessa è in-fluenzata dall’ambiente, da fattori come la nutrizione,la povertà, le condizioni di lavoro, il clima, o l’accessoall’assistenza sanitaria. Tali elementi se non trascuratima, al contrario, se assicurati rappresentano dei fattoridi prevenzione e protezione cruciali 4.

Un ambiente dove prevale la disuguaglianza saràcaratterizzato da una salute carente e di conseguenzada maggiore disabilità 5. Ma se da un lato le barriereambientali possono essere rimosse e modificate, i pre-giudizi legati agli stereotipi negativi verso i disabili rap-presentano un ostacolo più difficile da superare. Lepersone che soffrono di disturbi mentali sono partico-larmente stigmatizzate, anche a livello di assistenza sa-nitaria, mentre gli atteggiamenti negativi verso i disa-bili si riverberano anche nel mondo della scuola (sisono riscontrati numerosi casi di bambini che minac-ciano altri bambini con disabilità) e nel mondo del la-voro portando a conseguenze negative come bassaautostima e ridotta partecipazione 6.

Anche per la sua natura, la disabi-lità è eterogenea. Un figlio nato conun deficit cerebrale ha caratteristichedifferenti rispetto al giovane soldatoche perde la gamba a causa di unamina antiuomo; così come la donnadi mezza età con una grave artritesarà diversa da una più anziana chesoffre di demenza. Generalizzazioni sulla “disabilità” osulle “persone con disabilità” possono indurre in errore.Le persone si distinguono per diversi fattori personali,differenze di genere, età, status socioeconomico, ses-sualità, etnia o cultura. A questi fattori caratterizzanti sipossono aggiungere molteplici forme di disabilità. Unapersona con disabilità proveniente da una famigliaricca e con uno status elevato supera più facilmente lelimitazioni ambientali e sociali7. Una persona che soffredi disabilità intellettive o disturbo mentale, sperimentalivelli di discriminazione maggiori rispetto a chi soffredi una disabilità fisica o sensoriale 8.

Quando alle persone viene negato l’uguale ac-cesso all’assistenza sanitaria, all’occupazione, all’edu-cazione o alla partecipazione politica a causa dellaloro disabilità, si assiste ad una violazione dei loro di-ritti fondamentali. In questo senso le persone con di-sabilità sono vulnerabili e hanno bisogno di prote-zione: sono soggette a violazioni della loro dignità,

spesso sottoposte a violenza e abusi. Talvolta ven-gono sottoposte a sterilizzazione involontaria, rin-chiuse in istituzioni o considerate legalmente inca-paci. Sovente, le persone con disabilità non vengonoconsiderate “soggetti” portatori di diritti e meritevolidi pari rispetto, ma “oggetti” da gestire, se non confi-nare. E l’esclusione delle persone con disabilità dal si-stema sociale ed economico comporta elevati costiper il welfare incidendo direttamente sulla correla-zione tra povertà e disabilità.

È chiaro che le condizioni ambientali e di rispettodei diritti umani delle persone con disabilità varianoenormemente da Paese a Paese, e sono proprio i Paesiin via di sviluppo i più fragili e dove le barriere sonopiù numerose. C’è infatti un legame bidirezionale trapovertà e disabilità: la disabilità può aumentare il ri-schio di povertà e la povertà può aumentare il rischiodi disabilità 9. L'inizio della disabilità può portare al peg-gioramento del benessere sociale ed economico conun impatto negativo sull’istruzione, l’occupazione e iguadagni, comportando un aumento delle spese perla propria autosufficienza. A causa dei maggiori costi,le persone con disabilità e le loro famiglie sono più po-vere di quelle non disabili a parità di reddito. I bambinicon disabilità hanno meno probabilità di frequentarela scuola, sperimentando così opportunità limitate 10.

Le persone con disabilità hanno maggiori probabi-

lità di essere disoccupate e generalmente guadagnanomeno quando impiegate 11. Inoltre, sia l’occupazioneche il reddito peggiorano con l’aumetare della gravitàdella disabilità. Ma è anche la povertà stessa che puòaumentare il rischio di disabilità. Uno studio condottosu 56 Paesi in via di sviluppo ha rilevato come povertàe salute siano intrinsecamente correlati. Le condizionisanitarie precarie, la malnutrizione, la mancanza diacqua pulita o igiene adeguata, il lavoro e condizionidi vita non sicure sono fattori che possono aumentarela probabilità di diventare disabile.

Tra tutti i problemi che si legano alla disabilità,l’istruzione scolastica rimane uno dei più rilevanti, inquanto è proprio l’educazione che contribuisce a for-mare il capitale umano, che permette di inserirsi nellasocietà, di elaborare la propria coscienza civile, di svi-luppare competenze e abilità, trovare un lavoro ade-guato e soddisfacente e raggiungere la propria auto-nomia, di costruire relazioni tra pari e comprendere il

Le condizioni ambientali e di rispetto dei diritti umanidelle persone con disabilità variano enormemente daPaese a Paese, e sono proprio quelli in via di sviluppo iPaesi più fragili e dove le barriere sono più numerose. Ladisabilità può aumentare il rischio di povertà e la po-vertà può aumentare il rischio di disabilità

5HAITI | UNA SCUOLA PER TUTTI

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rispetto dei ruoli e degli adulti. È dimostrato che unamancanza di istruzione in età precoce ha un notevoleimpatto negativo sulla povertà in età adulta.

Ma l’accesso all’educazione per le persone con disa-bilità è spesso difficile e storicamente escludente. Nellamaggior parte dei Paesi, i primi sforzi per fornire istru-zione o formazione si sono concentrati sulla costitu-zione di scuole speciali separate come quelle per i sordie per i non vedenti. Queste istituzioni risultavano co-stose rispetto anche al numero di studenti che riusci-vano a formare e tendevano a isolare gli individui dalleloro famiglie e comunità 12. La situazione ha cominciatoa cambiare quando la legislazione si è adeguata per in-serire i bambini con disabilità nei sistemi educativi 13.

Come per tutti, anche per i bambini con disabilitàl’educazione è un diritto fondamentale, non solo comeveicolo occupazionale e di mobilità sociale, ma ancheperché forma il cittadino e favorisce la coesione so-ciale. In questo senso, l’educazione inclusiva di qualitàper tutti permette, attraverso il contatto e la relazionereciproca tra bambini con e senza disabilità, di oltre-passare stereotipi e pregiudizi, con-tribuendo a creare una società piùequa. Inoltre dal momento in cui lebarriere della disabilità vengono su-perate si rompe il rapporto di dipen-denza e passività nei confronti delwelfare. Viene facilitato e valorizzatol’apporto di tutti, e si crea una so-cietà più ricca. Tuttavia, a livello glo-bale le percentuali di bambini condisabilità che iniziano un percorsoscolastico sono scoraggianti. I tassi di abbandono sco-lastico sono altrettanto negativi. Queste percentualisono ancora più alte nelle zone rurali e nelle famiglievulnerabili, e sono significativamente più elevati neiPaesi poveri, come dimostrato da una ricerca effettuatada UNICEF. Ad esempio, confrontando i dati della Mol-davia, dove il tasso di iscrizione dei bambini disabili trai 7 e i 15 anni era il 58% e quella dei non disabili il 97%(percentuale decisamente più bassa di quella riscon-trabile in altri Paesi dell’Unione Europea), con quelli deiPaesi in via di sviluppo, emerge chiaramente comequesti ultimi siano decisamente peggiori.

La complessità e la mancanza di un approccio con-diviso nella classificazione e categorizzazione delle di-sabilità tra i diversi Paesi rende da un lato difficile racco-gliere dei dati precisi sul numero di studenti con biso-gni speciali, dall’altro, proprio per questa ragione, i con-cetti di educazione inclusiva e istruzione speciale nontrovano una definizione universalmente condivisa. Iconcetti stessi di disabilità e bisogno speciale sono usaticome sinonimi anche se nella realtà non coincidono:non tutte le persone con disabilità necessariamentehanno un bisogno educativo speciale e viceversa.

Ma molti Paesi restano ancorati a modelli medici,altri invece si sono spostati verso approcci interattivicoerenti con l’ICF (International Classification of Fun-ctions) e volti a promuovere l’educazione inclusiva.L’integrazione scolastica prevede infatti che tutti ibambini con disabilità siano inseriti in aule regolaricon gli altri coetanei. Questo approccio naturalmenteprevede la partecipazione e la formazione dell’interosistema scolastico.

In tutto il mondo si sono sviluppati diversi modellidi istruzione che comprendono istituti speciali, classispeciali dentro le scuole regolari, e scuole inclusive. Seda un lato, ad esempio, Belgio e Germania si basanomaggiormente sulle scuole speciali, nella maggiorparte dei Paesi OCSE si riscontra la tendenza opposta,e cioè di includere gli studenti con bisogni speciali contutti gli altri coetanei dentro le classi regolari. Infatti,il modello delle scuole inclusive è stato valutato comeil più vantaggioso per l’apprendimento e, secondol’UNESCO, anche il più economico, in quanto costituiree mantenere sistemi differenti per ogni forma di disa-

bilità ha dei costi di gestione decisamente superioriche supportare programmi di educazione inclusivadentro le scuole regolari.

Tuttavia, è proprio nei Paesi in via di sviluppo comeHaiti che la situazione risulta inevitabilmente più com-plessa: in queste aree il percorso verso un’educazioneinclusiva è solo all’inizio. Nella pratica, poi, oltre a limi-tazioni strutturali e carenze dei sistemi educativi, è diffi-cile garantire la piena inclusione di tutti i bambini conbisogni speciali, considerando anche la variabilità, l’ete-rogeneità e i differenti livelli e gravità delle disabilità. Unapproccio flessibile che prevede il coesistere coerentedi più modelli diviene quindi necessario proprio al finedi fornire un supporto specifico e mirato lì dove neces-sario. Per talune disabilità, come per i ritardi intellettualio la sordità, si è riscontrato che non sempre i tentatividi inclusione dentro classi miste portano a esperienzepositive poiché un’interazione superficiale che non siaqualitativamente significativa, non produce risultati.Nelle scuole speciali per sordi, al contrario, l’utilizzo dellalingua dei segni da parte di studenti e insegnanti è unfattore fondamentale per comunicare e quindi per ap-prendere. Le ricerche effettuate nel mettere a confronto

Nella maggior parte dei Paesi, i primi sforzi per fornire istru-zione alle persone con disabilità si sono concentrati nellacostituzione di scuole speciali separate come quelle persordi e nonvedenti. Queste istituzioni erano costose e ten-devano a isolare gli individui da famiglie e comunità. La si-tuazione è cambiata quando la legislazione si è adeguataper inserire i bambini con disabilità nei sistemi educativi

6 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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i diversi sistemi educativi, sono spesso farraginose e conmolta difficoltà riescono a valutare l’efficacia dei diversimodelli. Tuttavia, nel momento in cui i supporti indivi-duali sono forniti14, ci sono chiare indicazioni che dimo-strano come l’acquisizione delle competenze comuni-cative, sociali e comportamentali siano superiori nelleclassi e nelle scuole inclusive 15.

Allo stesso modo si otterranno scarsi risultati per ibambini con disabilità in una classe regolare se l’aula el’insegnante non sono in grado di fornire il sostegno ne-cessario per il loro apprendimento, sviluppo e parteci-pazione. Ad esempio in Uganda, dopo che l’istruzioneprimaria è stata resa universale, si è avuto un grande af-flusso di bambini precedentemente esclusi tra cui quellicon disabilità. Con pochi insegnanti supplementari,classi affollate e poche risorse, si sono riscontrati pro-blemi di disciplina, prestazioni più basse e maggioritassi di abbandono 16.

Infatti la mancanza di risorse adeguate è uno dei fat-tori che maggiormente ostacola una corretta integra-zione scolastica. Negli Stati Uniti, ad esempio, uno stu-dio ha dimostrato che l’educazionedi un bambino disabile costa in me-dia circa il doppio rispetto a quella diun suo coetaneo senza disabilità. Èinfatti impensabile che l’educazionedi un bambino con bisogni specia-li possa costare come quella di unbambino senza bisogni speciali. Nel-la maggior parte dei Paesi in via di sviluppo, anchequando i sistemi educativi sono ben pianificati e sup-portano l’inclusione, i bilanci nazionali per l’istruzionesono spesso carenti e le famiglie non sono in grado dipermettersi i costi dell’istruzione privata.

Per un’inclusione scolastica efficace, inoltre, sononecessari i giusti ausili, sia in termini di materiali didat-tici, come ad esempio i libri in Braille, sia in termini dirisorse umane qualificate, come ad esempio professoriformati con curriculum specialistici basati su approcciflessibili all’educazione. Ma, oltre alla formazione deidocenti, fondamentale è il rapporto adeguato tra nu-mero di insegnanti e allievi, oppure prevedere l’ac-compagnamento di insegnanti di sostegno. Nei Paesiin via di sviluppo è alto il rischio di aule sovraffollatedove gli insegnanti potrebbero non avere il tempo ele risorse per sostenere gli studenti disabili. A tuttiquesti fattori, si aggiungono anche le numerose bar-riere architettoniche e di trasporto che aumentano ledifficoltà di movimento del bambino disabile sia nelpercorso per arrivare a scuola che all’interno dellascuola stessa (pensiamo solo all’assenza di rampe e dibagni, e alle ore di cammino che deve fare ad esempioun bambino haitiano per arrivare a scuola).

Ma anche a scuola, oltre alle barriere fisiche, si ag-giungono quelle sociali e culturali. In alcune culture le

persone con disabilità sono considerate come “vittimedi una punizione divina” o come “portatori di sfor-tuna” 17. Il pregiudizio e l’etichetta negativa della disa-bilità possono avere conseguenze gravi, come il rifiutodel bambino disabile da parte dei coetanei, l’autostimainferiore, le aspettative più basse che possono influen-zare gli stessi atteggiamenti degli insegnanti. In unostudio in Ruanda si è riscontrato che alcuni insegnantiscolastici, compresi i dirigenti, non ritenevano un ob-bligo l’insegnamento ai bambini con disabilità 18.

In un altro studio, che confrontava Haiti con gli StatiUniti, si scoprì che gli insegnanti di entrambi i Paesipreferivano generalmente i tipi di disabilità che veni-vano percepiti come più semplici. Ma in generale si èriscontrato, anche dove il sistema è inclusivo, che lebasse aspettative degli insegnanti, dei genitori e deglialtri studenti possono inficiare a loro volta gli sforzi permigliorare l’apprendimento e l’inclusione dei bambinicon bisogni speciali dentro le scuole regolari 19. E lebasse aspettative, così come gli atti di bullismo perpe-trati verso gli studenti con disabilità che spesso diven-

tano gli obiettivi di atti violenti, minacce fisiche, abusie isolamento sociale, possono condurre gli stessi bam-bini con disabilità a preferire scuole speciali 20.

Tuttavia pare evidente che il modello di scuola in-clusiva sia quello più efficace se sono rispettate le con-dizioni sopracitate; ma perché ciò avvenga ci vuole ungrande interessamento e investimento dello Stato. Inquesto senso le politiche nazionali sull’educazione deibambini con disabilità sono essenziali per lo sviluppodi sistemi educativi più equi.

Nei Paesi in via di sviluppo il percorso verso un’educa-zione inclusiva è solo all’inizio. Nella pratica, poi, oltre alimitazioni strutturali e carenze dei sistemi educativi, èdifficile garantire la piena inclusione di tutti i bambinicon bisogni speciali

7HAITI | UNA SCUOLA PER TUTTI

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Haiti è un Paese dei Caraibi con una popolazione dicirca 10.413.211 abitanti, dei quali il 41,44% ha menodi 18 anni (UNICEF 2015). Ma il Paese, tra più poveri delmondo, è carente nell’occuparsi di questa enorme ri-sorsa per il futuro, in perenne affanno nell’affrontareproblematiche molto serie: mortalità infantile moltoalta, pari al 25% (il 7% dei bambini non raggiungel’anno di vita – UNICEF 2015; il 7,3% non raggiunge i 5anni – WHO 2013); malnutrizione che aumenta ogniqual volta viene colpito da una catastrofe naturale; di-soccupazione al 40% e ancora più acuta per i giovani;sistema educativo farraginoso e tra i peggiori al mon-do (Haiti occupa il 168° posto su 187 Paesi – UNDP Edu-cation Index 2013); scandalosa ineguaglianza edesclusione sociale; povertà endemica; eterna instabilitàpolitica. Ad Haiti il 61,7 % della popolazione vive conmeno di 1,25 USD al giorno e il 38% si trova in situa-zione di insicurezza alimentare (WFP 2011), con il 23%dei bambini che nascono sottopeso (UNICEF 2015).L’analfabetismo, secondo le stime del 2015, riguarda il60,7% dell’intera popolazione.

Il 12 gennaio 2010, un terremoto ha devastato ilPaese, causando circa 222 mila morti, 300 mila feriti eun significativo aumento del numero di persone condisabilità, inclusi circa 4.000 amputati. Questo terre-moto ha lasciato circa 2,3 milioni di senzatetto. Dopoquesta tragedia, il Paese è stato martoriato da nume-rosi uragani, l’ultimo e più devastante nel febbraio2016: l’uragano Matthew. Di categoria 5, Matthewcolpì il Paese causando 546 morti diretti, 128 scom-parsi e 439 feriti. Almeno 210 mila case sono state di-strutte o gravemente danneggiate. Intere piantagionidi caffè e cacao sono state devastate, più di 350 milaanimali sono morti. E dopo l’uragano i casi di malnu-trizione acuta sono aumentati al 10,6% della popola-zione (UNICEF 2016).

Nonostante una straordinaria re-silienza e una sorta di abitudine allaprecarietà e alle catastrofi, la mag-gior parte degli abitanti del Paesesono altamente vulnerabili e vivonotuttora in un ambiente gravementedegradato. Permangono notevoliostacoli alla protezione contro losfruttamento, alla non discrimina-zione, al diritto a un giusto processo,all’uguaglianza tra donne e uomini,all’accesso all’istruzione, ai servizi sa-nitari e alle opportunità economi-che. Questa situazione è ancora più

accentuata al di fuori della capitale, Port-au-Prince, enelle zone rurali, dove l’accesso ai servizi sociali èestremamente limitato. Il settore della protezione so-ciale, particolarmente fragile, è stato caratterizzato dainterventi segmentati e inefficaci e dall’assenza di unpiano nazionale 1.

Tra tutte le fasce della popolazione la più esclusa èquella delle persone che soffrono di una qualcheforma di disabilità. Dati certi sul numero di disabili adHaiti non ce ne sono. Solo di recente è stato propostoall’Istituto di Statistica nazionale di inserire la disabilitàtra i suoi indicatori demografici per il prossimo censi-mento. Secondo le stime dell’Organizzazione mon-diale della Sanità (OMS), Haiti conta circa 1.041.321disabili, il 10% della sua popolazione. Ma se la personadisabile è comunemente la più vulnerabile, cosa suc-cede lì dove tutto il Paese è già di per sé fragile?

Paradossalmente, non tutti i mali vengono pernuocere. La situazione dei disabili ad Haiti era e ri-mane estremamente difficile, ma dopo il terremoto,una presenza internazionale, unita all’aumento deicasi di persone rimaste disabili a seguito delle feriteriportate dalla catastrofe, hanno portato all’attenzioneil problema, e per la prima volta la disabilità è entratatra le priorità in agenda, obbligando, in qualchemodo, il governo e le autorità a occuparsene. Sonoemerse dall’oscurità situazioni diffuse di emargina-

2. Il problema a livellonazionale

La situazione dei disabili ad Haiti è estremamente diffi-cile, ma dopo il terremoto del 2010 una presenza inter-nazionale, unita all’aumento dei casi di persone rimastedisabili a seguito delle ferite riportate dalla catastrofe,hanno portato all’attenzione il problema

Sono emerse dall’oscurità situazioni diffuse di emargi-nazione e abbandono, discriminazione e superstizione,alle quali le persone con disabilità venivano sottopostevivendo spesso in forme intollerabili di segregazione, na-scoste dai familiari tra le mura domestiche

8 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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zione e abbandono, discriminazione e superstizione,a cui le persone con disabilità venivano sottoposte vi-vendo spesso forme intollerabili di segregazione, te-nute nascoste dai familiari tra le mura domestiche.

La legislazione haitiana si è quindi dovuta rafforzarenel campo della promozione e della protezione dei di-ritti delle persone con disabilità, nonostante riman-gano molte perplessità rispetto all’effettiva efficaciadella sua applicazione. Già la Costituzione haitiana del1987 riconosceva alle persone con disabilità il dirittoall’autonomia, all’istruzione e all’indipendenza ma ècon l’adesione nel giugno 2009 alla Convenzione suidiritti delle persone con disabilità che Haiti si è impe-gnata a procedere in una serie di misure legislative,amministrative e sociali e a sviluppare programmi voltiad allineare la sua legislazione e a stabilire meccanismie programmi per facilitare l'integrazione delle personecon disabilità a livello nazionale e locale 2. In questocontesto, la legge haitiana sull’integrazione delle per-sone con disabilità è entrata in vigore il 21 maggio2012. Ma sebbene si sia rafforzato un quadro legisla-tivo nei suoi principi di fondo, la situazione generale el’accessibilità per le persone disabilial lavoro, ai servizi sociali, sanitari ededucativi rimane difficilissima.

L’esclusione dal mondo del lavoroè catastrofica. Ad esempio, nel servi-zio pubblico, nel 2007, c’erano solo10 disabili su un totale di 50 mila im-piegati, mentre nel 2011 questo numero è passato da10 a 50: un progresso, ma non ancora soddisfacente.Ad Haiti, è consuetudine sentire pronunciare la do-manda retorica: “Dove hai mai visto persone disabili ingrado di lavorare?”. Ciò deriva dalla mentalità che con-sidera le persone con disabilità solo come kokobe (dalcreolo), vale a dire, invalidi, assolutamente incapaci, aiquali non si può dare che elemosina, per pietà o per ca-rità cristiana. In generale le persone vivono prigionierein un circolo vizioso, in una sorta di profezia che si au-toconferma e autoalimenta. Da un lato le persone condisabilità presentano livelli di disoccupazione e di istru-zione enormemente più bassi, dall’altro non hanno difatto l’opportunità per sfatare tale pregiudizio.

La scolarizzazione dei bambini con bisogni specialiè essenziale per la piena partecipazione delle personecon disabilità in tutti i settori della vita sociale, politicaed economica. Le credenze e i pregiudizi portano lapopolazione ad avere un atteggiamento di reticenzae insensibilità verso le persone con disabilità. Talecomportamento di solito porta all'isolamento dellapersona dal resto della popolazione 3.

Negli ultimi sette anni, dal terremoto in poi, a se-guito di intense attività di difesa da parte dell’Ufficiodel Segretario di Stato per l’integrazione delle personecon disabilità (BSEIPH), il coinvolgimento delle ONG

locali e internazionali e delle reti di associazioni il pro-blema della disabilità sta iniziando a essere gradual-mente affrontato e il muro dello stigma riconosciuto,e piano piano sgretolato.

Tra tutti i settori di applicazione, in materia di inte-grazione, l’educazione è tuttavia uno dei campi piùproblematici. La legge haitiana, come la Convenzione,garantisce l’accesso a una formazione educativa pertutte le persone con disabilità, alle stesse condizionidelle persone non disabili. L’articolo 32 della legge del13 marzo 2012 recita: «L’accesso all’istruzione è garan-tito a tutte le persone con disabilità. L’esclusione dalsistema educativo, basato sulla disabilità, è severa-mente vietata». Tuttavia, il problema di fornire servizieducativi a bambini e giovani con disabilità (fisiche eintellettive, tra le altre) è una delle maggiori sfide chelo Stato haitiano deve affrontare 4. Nonostante unpiano operativo implementato tra il 2010-2015 peristituire un’“educazione speciale” basata sui bisognispeciali di apprendimento, l’accessibilità fisica dellascuola e le condizioni per lo sviluppo fisico e intellet-tuale dei bambini e giovani disabili sono lungi dall’es-

sere sufficientemente ottemperate.L’educazione inclusiva comporta uno sforzo collet-

tivo e complessivo dell’intero sistema educativo al finedi rispondere alle particolari esigenze di insegnamentoe di apprendimento per tutti i bambini e giovani in si-tuazioni di vulnerabilità. È un approccio educativo fon-dato sulla valorizzazione della diversità come elementoarricchente del processo di insegnamento e apprendi-mento 5. Ma sebbene l’istruzione venga riconosciutacome un diritto umano universale, ad Haiti centinaia dimigliaia di bambini e giovani non ne possono benefi-ciare. Molte sono le ragioni che rendono complessa l’in-tegrazione scolastica dei bambini disabili, dall’insicu-rezza economica delle famiglie alla discriminazione. Tut-tavia una panoramica della situazione complessiva delsistema d’istruzione haitiano può rivelare chiaramentequanto esso sia fragile fin dalle sue stesse fondamenta.L’educazione, infatti, è una grossa sfida ad Haiti, in par-ticolare nelle zone rurali, dove lo Stato latita.

Il tasso di alfabetizzazione della popolazione al disopra dei 15 anni risulta pari al 48,7% (UNDP), mentreper la fascia dai 15 ai 24 anni è del 74% per i maschi edel 70% per le femmine, con un accesso all’istruzioneprimaria del 48% per i maschi e del 52% per le fem-mine, e un accesso all’istruzione secondaria del 18%per i maschi e del 21% per le femmine (UNICEF 2011).

La legge haitiana garantisce l’accesso a una formazioneeducativa per tutte le persone con disabilità, alle stessecondizioni delle persone non disabili. Tuttavia questa è unadelle maggiori sfide che lo Stato haitiano deve affrontare

9HAITI | UNA SCUOLA PER TUTTI

Page 10: DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE · 2018. 4. 3. · 4 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Nel mondo oltre 1 miliardo di persone, circa il 15% della popolazione, soffre

Stando alle ultime indagini scolastiche, solo il 20% del-l’offerta educativa è pubblica. L’80% rimane nelle manidei privati con scuole spesse volte improvvisate chenon garantiscono alcuno standard qualitativo. L’iscri-zione ad attività prescolari per i bambini da 0 a 5 anniè molto ridotta; l’accesso rimane limitato e subordi-nato alla situazione economica e geografica della fa-miglia. Per i nuclei a basso reddito le spese annualiscolastiche rappresentano circa il 40% del reddito pa-rentale e possono rappresentare un notevole onere fi-nanziario 6. Benché sia obbligatorio iniziare la scuola a6 anni, la maggior parte dei bambini comincia piùtardi (circa il 65% degli alunni è fuori età), con moltis-simi casi di abbandono (circa il 13%) e bocciatura (il15%); solo il 25% arriva in quinta, mentre l’universitàtocca l’1% della popolazione. Numeri ancora più bassiper i minori in condizioni di vulnerabilità.

Forti problemi desta la qualità dell’insegnamento:soltanto il 20% degli studenti impara a leggere entrola seconda elementare e solo il 25% continua gli studidopo tale grado di istruzione 7. Fra la cause ci sonol’alta percentuale di insegnanti nonqualificati (oltre il 65% ha ricevuto asua volta un’istruzione di basso li-vello) e condizioni di apprendimen-to e insegnamento spesso inadatte 8.Le aule, quando esistono, sono so-vraffollate, e gli insegnanti sono in numero non suffi-ciente per seguire tutti gli alunni, figurarsi per seguirequelli con bisogni speciali.

Questa situazione negativa è particolarmente in-sopportabile e preoccupante per le persone con disa-bilità, alle cui carenze del sistema si aggiunge unasituazione economica delle famiglie più difficile e unadiscriminazione ancora diffusa. Ad oggi sulla popola-zione totale dei bambini disabili, solo il 7% partecipa aun qualsiasi percorso scolastico contro il tasso mediodi scolarizzazione dei bambini senza disabilità che è del90%. Questa percentuale per quanto bassa è in linea,secondo l’UNESCO, con quella del 10% dei Paesi in viadi sviluppo, e di molto migliorata rispetto ai 2.019 stu-denti con bisogni speciali iscritti nel 1998 (1,7%).

Ad Haiti sono attive circa 23 scuole speciali perbambini con disabilità, di cui tre pubbliche, mentre gliesempi di scuole regolari che praticano l’educazioneinclusiva, dalla ricerca efettuata da Caritas Italiana perquesto rapporto, se ne calcolano meno di cinque, duedelle quali oggetto dell’indagine. Nel caso specifico sitratta della scuole primarie e secondarie di “SaintCharles Borromée” di Corail e di Croix-des-Bouquets,gestite dalle missionarie scalabriniane dove gli stu-denti con bisogni educativi speciali sono inseriti, i piùgravi in una classe speciale, mentre gli altri in quelleregolari; e la scuola parrocchiale “Don Bosco” di Mare

Rouge, nel dipartimento del Nord-Ovest, dove i bam-bini disabili frequentano una classe speciale. Tuttavia,salvo i rari esempi, la maggior parte degli istituti sonosituati principalmente nella capitale, Port-au-Prince.

Il numero di insegnanti formati per fornire un’edu-cazione speciale nei primi due cicli fondamentali diistruzione erano alla fine degli anni novanta meno del2% del totale del corpo insegnanti. Attualmente nonci sono stime ufficiali, ma la situazione non è di moltomigliorata. Questo esiguo numero di insegnanti for-mati non consente l’individuazione dei casi con diffi-coltà di apprendimento e si correla all’alto numero diabbandoni scolastici. Solo oggi, tuttavia, è stato pre-parato e previsto un modulo specifico obbligatorio,da inserire nei percorsi formativi degli insegnanti, cheprevede 11 unità didattiche ad hoc per l’educazionespeciale e inclusiva. Il modulo formativo è uno stru-mento per tutti gli insegnanti e presidi, dall’asilo finoall’istruzione secondaria e professionale. I tre assi at-torno ai quali è organizzato questo documento sonodedicati agli orientamenti inclusivi. Il modulo aiuterà

gli educatori a ottenere le conoscenze di base sucome identificare un bambino con disabilità in un’aulae a occuparsi dei suoi bisogni educativi speciali.

Ma, attualmente, nelle scuole pubbliche e privatee nei centri accademici, nessun dispositivo è presenteper la ricezione di persone con bisogni educativi spe-ciali. Nel trasporto pubblico, di per sé caotico, nessunafacilitazione è prevista per le persone con disabilità.Tutti questi elementi dimostrano che ad Haiti l’educa-zione è una prerogativa di pochi privilegiati. La man-canza di un’educazione adeguata ha naturalmentedelle conseguenze dirette sulle opportunità lavorativedelle persone con disabilità e sul livello di povertà. È,tuttavia, un compito difficile rendere la popolazionescolastica consapevole che è necessaria l’integrazionedei propri compagni con disabilità.

In questo contesto, il Ministero dell’Istruzione na-zionale e della formazione professionale (MENFP) haavviato una serie di azioni attraverso il Comitato perl’adattamento e il sostegno sociale (CASAS) e l’Ufficiodel Segretario di Stato per l’integrazione delle personecon disabilità (BSEIPH) per promuovere orientamentiinclusivi nel sistema educativo haitiano. Per quantoquesto sforzo venga definito dagli stessi promotori ti-tanico, una maggiore sensibilità e consapevolezza sistanno lentamente facendo largo, anche se le azionida intraprendere sono ancora moltissime.

Ad Haiti solo il 7% dei bambini disabili partecipa a unqualsiasi percorso scolastico. Il tasso medio di scolariz-zazione dei bambini senza disabilità è del 90%

10 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Page 11: DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE · 2018. 4. 3. · 4 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Nel mondo oltre 1 miliardo di persone, circa il 15% della popolazione, soffre

Se in tutto il mondo sono circa 650 milioni le personedisabili, circa l’80% di queste vive nei Paesi in via di svi-luppo, dove un terzo dei bambini in età scolare è af-fetto da disabilità. Nell’Unione Europea la percentualedelle persone disabili è valutata dal Forum europeo inalmeno 50 milioni di persone. Come abbiamo visto ilpercorso verso l’integrazione nella società per le per-sone con disabilità è particolarmente complesso e dis-seminato di ostacoli ed è proprio la scuola uno deiprimi momenti di prova.

Sebbene al momento non vi sia una definizioneconcordata a livello internazionale su cos’è l’educa-zione inclusiva, il fine è combattere la discriminazioneo la segregazione degli studenti con bisogni specialiper favorire il loro pieno accesso e partecipazione alsistema educativo. L’educazione inclusiva presupponeun vero cambiamento sia a livello di politiche che diprassi. Gli studenti sono posti al centro di un sistemache deve essere in grado di riconoscere, accettare e ri-spondere alle caratteristiche e ai bisogni degli studentiin termini di efficienza, uguaglianza ed equità. La di-versità deve essere percepita come un bene. Anche glistudenti devono essere preparati a impegnarsi nellasocietà, per accedere a una cittadi-nanza attiva e riconoscere come uni-versali i valori dei diritti umani, dellalibertà, della tolleranza e della nondiscriminazione 1.

Per i Paesi in via di sviluppo comeHaiti, il contesto eruopeo è fertile dipratiche e di esempi che possonoessere di ispirazione, anche se allabase dimostra che ogni Paese e cul-tura deve sviluppare la sua stradaper costruire il proprio modello, partendo però da va-lori e principi ineludibili. Tuttavia è anche grazie al-l’esperienza decennale come quella dei Paesi europeiche da più tempo hanno adattato il proprio sistemaeducativo per facilitare l’integrazione scolastica, cheHaiti potrebbe approfittarne per accelerare il proprioprocesso di cambiamento potendo contare sulle le-zioni apprese proprio in Europa.

Nella maggioranza dei Paesi dell’Unione Europeasono sviluppati approcci di educazione inclusiva nellescuole regolari, anche se con differenze significative:ad esempio in Germania, Belgio, Paesi Bassi, Ungheria,Lussemburgo e Spagna ci sono classi speciali nellescuole regolari. Gli assistenti didattici o insegnanti disostegno sono sempre più utilizzati nelle scuole rego-lari con il ruolo di accompagnare i bambini con disa-

bilità collaborando a stretto contatto con le altre inse-gnanti. Il successo di questo metodo richiede infattiuna comunicazione efficace e una pianificazione co-mune con l’insegnante di classe, condivisione dei di-versi ruoli e responsabilità, e monitoraggio continuodel percorso educativo.

Ma per sostenere un corretto apprendimento, auna forma di educazione “speciale”, fornita dai profes-sionisti dell’istruzione, vengono affiancati anche tera-pisti, fisioterapisti, logopedisti e psicologi educativi.Infatti gli interventi in Europa hanno messo in luce lanecessità di un adeguato coordinamento tra la salute,l’istruzione e i servizi sociali. L’analisi dell’accesso aiservizi di assistenza sanitaria in Europa ha trovato di-versi ostacoli organizzativi, come la presenza di liste

di attesa non facilitante e la mancanza di un sistemadi prenotazione degli appuntamenti che obbliga lepersone con disabilità a lunghe e faticose code. Il si-stema esclude indirettamente le persone con disabi-lità non tenendo conto delle loro esigenze speciali. Leistituzioni e le organizzazioni devono cambiare ulte-riormente per non escludere le persone con disabilità.

In Gran Bretagna e Irlanda del Nord il Disability Di-scrimination Act ha guidato le organizzazioni del set-tore pubblico nella promozione dell’uguaglianza perle persone con disabilità istituendo una strategia e va-lutando il potenziale impatto delle politiche. Infattiuno studio sulla medicina riabilitativa per la disabilitàin cinque Paesi dell’Europa centrale e orientale ha sug-gerito che la mancanza di pianificazione strategica peri servizi assistenziali ai disabili comporta un’ineffi-

3. Cause e connessionicon l’Italia e l’Europa

Sebbene al momento non vi sia una definizione concor-data a livello internazionale su cos’è l’educazione inclu-siva, il fine è combattere la discriminazione o la segre-gazione degli studenti con bisogni speciali per favorire illoro pieno accesso e partecipazione al sistema educa-tivo. L’educazione inclusiva presuppone un vero cambia-mento sia a livello di politiche che di prassi

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cienza e una carenza degli stessi. Ma certamente perquanto riguarda la salute il paragone tra la situazioneeuropea e, ad esempio, quella africana, è molto diffi-cile. Secondo un'ampia indagine condotta nell'Africasub-sahariana, sono solo sei i medici riabilitativi (tuttiin Sudafrica), per oltre 780 milioni di persone, mentrein Europa se ne contano più di 10.000.

Per quanto riguarda l’Europa orientale, storica-mente più fragile rispetto al resto dell’Unione Euro-pea, sono in atto importanti trasformazioni nono-stante si affidino ancora prevalentemente alle grandiistituzioni. Tuttavia, sono stati progressivamente svi-luppati servizi di assistenza alternativi come centridiurni e assistenza domiciliare alle persone con disa-bilità. In Romania, ad esempio, nel processo di deisti-tuzionalizzazione, tra il 2001 e il 2007 sono stati chiusiil 70% delle sue istituzioni per bambini con bisognispeciali, anche se per gli adulti il processo è stato piùlento. Nel contempo, vi è stato anche il decentra-mento dei servizi dal governo centrale a quello localee comunitario e l’espansione e la diversificazione deiservizi sociali e dei fornitori di servizi. Uno studio su 28Paesi europei ha rilevato costi leggermente più elevatiper i servizi basati sulla comunità in confronto agli isti-tuti; in compenso la qualità della vita era significativa-mente migliore. Sostanzialmente, è stata riscontratauna relazione positiva tra costi equalità laddove i sistemi istituzionalihanno costi più bassi e assistenza in-feriore in termini di qualità 2.

Per quanto riguarda l’educazione,in tutti i Paesi europei, solo il 2,3%degli alunni della scuola dell’obbligoufficialmente identificati come disa-bili viene educato in una scuola spe-ciale o una classe separata dentrouna scuola ordinaria, ma sono in-clusi nelle scuole regolari 3.

Nel 2007 il Ministero dell’Educa-zione portoghese ha organizzato una consultazionea livello europeo intervistando giovani con bisognispeciali. I partecipanti consultati hanno evidenziatol’importanza dell’educazione inclusiva, ma hannoanche insistito sul fatto che ogni persona dovrebbescegliere dove essere educata. Riconoscendo di averacquisito abilità sociali ed esperienza del mondo realenelle scuole inclusive, hanno anche affermato che ilsostegno specialistico individualizzato li ha aiutati aprepararsi all’istruzione superiore.

L’educazione inclusiva risponde a due principi fon-damentali del diritto allo studio e all’educazione: sideve collocare dentro percorsi educativi ordinari dovel’istruzione per tutti gli studenti richiede un ambientedi apprendimento accessibile e adattato alle esigenzedi ogni studente; dovrebbe essere collegato all’inclu-

sione sociale e alla cittadinanza. L’educazione inclusivasi pone come una combinazione tra rendimento edequità al fine di rispondere a società sempre più com-plesse dove, attraverso dei percorsi vieppiù individua-lizzati, si possa offrire e assicurare a tutti gli studentiun insegnamento di qualità.

L’educazione inclusiva deve quindi essere vistacome un processo che prende in considerazione le di-versità sociali, culturali e di apprendimento basato suapprocci che permettano l’accesso e aiutino a identi-ficare e rimuovere gli ostacoli all’apprendimento. Se-condo gli approcci contemporanei, tali ostacoli pos-sono essere collegati alla capacità delle scuole di sti-molare la creatività e la risoluzione dei problemi, sup-portando contemporaneamente l’impegno civico esociale 4.

Ma le barriere possono anche fare riferimento alleforme di insegnamento fornite: l’ansia diminuisce del5% quando gli insegnanti adattano la lezione ai biso-gni della classe e del 4% quando gli insegnanti forni-scono un aiuto individuale agli studenti che hannodifficoltà nella comprensione di un argomento 5. Lebarriere coinvolgono anche la relazione insegnante-studente. Ad esempio, le relazioni positive tra inse-gnanti e studenti aumentano il benessere sociale edemotivo degli studenti svantaggiati 6.

Naturalmente, nel modello sviluppato in Europa,l’obiettivo è quello di fornire un’istruzione di alta qua-lità per tutti. Questo comporta anche pari opportunitàdi successo, fermo restando che i dati esistenti sugge-riscono che gli studenti con bisogni educativi speciali,proprio per le loro caratteristiche e nonostante il so-stegno, difficilmente raggiungono gli stessi livelli intermini di risultati scolastici. Ad ogni modo, il percorsoeducativo inclusivo riduce enormemente l’esposi-zione al rischio di povertà 7. In Europa, i documenti uf-ficiali riflettono l’evoluzione e il cambiamento nelmodo di pensare che ha avuto luogo nei diversi si-stemi educativi negli ultimi 30 anni. Tuttavia, nono-stante intenti comuni e percorsi assimilabili, non cisono documenti vincolanti a livello di Unione Euro-pea. Le azioni dell’UE integrano e sostengono gli sforzi

Nel modello europeo, l’obiettivo è fornire istruzione di altaqualità per tutti. Questo comporta anche pari opportu-nità di successo, anche se i dati esistenti suggeriscono chegli studenti con bisogni educativi speciali, proprio per leloro caratteristiche e nonostante il sostegno, difficilmenteraggiungono gli stessi risultati scolastici. Ad ogni modo,il percorso educativo inclusivo riduce enormementel’esposizione al rischio di povertà

12 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Page 13: DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE · 2018. 4. 3. · 4 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Nel mondo oltre 1 miliardo di persone, circa il 15% della popolazione, soffre

nazionali attraverso specifici meccanismi di coopera-zione a livello dell’UE 8.

In termini di finanziamenti pubblici per l’educa-zione inclusiva, la crisi finanziaria non sempre ha por-tato a una riduzione delle spese per l’integrazionescolastica. Al contrario, molti Paesi hanno visto un au-mento dei fondi destinati a questo fine. Tuttavia lemodalità di finanziamento nei Paesi incentivano l’ “eti-chettatura” degli studenti poiché le stesse scuole, perfornire il supporto, hanno bisogno di una decisioneufficiale legata inevitabilmente a un’etichetta.

Il crescente numero di studenti identificati comeportatori di bisogni speciali ha comportato la neces-sità di sviluppare un quadro multilivello e multi-sta-keholder considerando tutte le varie dimensioni cheinfluenzano l’accesso degli studenti all’integrazionescolastica. Lo stesso finanziamento deve essere flessi-bile e riflettere un approccio inclusivo combinandoprogrammi standardizzati con il supporto specialequando necessario 9.

Per quanto riguarda l’educazione della prima infan-zia, sono stati creati nuovi modelli. Essi si basano sullacostruzione di un’ecosistema adeguato e favorevole.Dal punto di vista dell’inclusione, ogni bambino do-vrebbe sperimentare l’appartenenza al gruppo deipari ed essere attivamente coinvoltonell’apprendimento e nelle attivitàsociali, attraverso uno sviluppo oli-stico piuttosto che il raggiungimen-to di obiettivi curriculari. L’approcciopersonalizzato dovrebbe essere in-centrato sul bambino valutandotutti gli sforzi per l’apprendimento.Infine, ci sono importanti fattoristrutturali da tenere presente: pro-muovere un contesto inclusivo e ac-cogliente, sviluppare una forte colla-borazione con i genitori, costruire un ambiente oli-stico, accessibile e flessibile, impiegare personale qua-lificato, facilitare la collaborazione e la responsabilitàcondivisa tra tutte le parti interessate 10.

In Italia vi è stato un avvio dell’educazione inclusivanegli anni ‘60 e ‘70, dovuta a una volontà di integra-zione in tutta la vita del Paese e in tutti i settori dellavita sociale. Questa situazione, caratterizzata da un in-sieme di intenti comuni ma estremamente polveriz-zata, ha trovato una sintesi e un quadro comune solocon il tempo. Attualmente, in Italia il modello dell’in-clusione scolastica nelle classi regolari viene praticatocome la norma. La scuola è attenta ai bisogni educa-tivi speciali, che non riguardano solamente gli stu-denti disabili, ma tutti quelli che presentano necessitàparticolari. Tuttavia, si cercano parametri per valutarela qualità delle istituzioni scolastiche che non sianosoltanto i livelli di rendimento degli alunni che, come

abbiamo visto per i bambini con bisogni educativispeciali, non possono essere gli stessi che per i non di-sabili. Infatti, uno dei limiti proprio del sistema è la ca-pacità di valutarne efficacia ed efficienza 11.

Molti stati nazionali, europei ed extraeuropei, uti-lizzano una serie di indicatori per monitorare l’integra-zione scolastica e il rapporto disabilità/istruzione dilivelli diversi, ponendo sotto esame soprattutto l’isti-tuto scolastico e il gruppo-classe. Tuttavia, raramentevengono monitorate e valutate anche le condizionipolitiche dell’integrazione scolastica sul piano nazio-nale. Booth e Ainsow (2002) hanno individuato unaserie di indicatori basati sulle opinioni dello staff sco-lastico, degli alunni e degli studenti, dei genitori edegli altri membri della comunità circostante. L’Indicesi basa su tre dimensioni (la creazione di culture inclu-sive, la produzione di politiche inclusive, il migliora-mento della prassi inclusiva) e analizza i modi perrimuovere o ridurre le barriere all’apprendimento e fa-vorire la partecipazione alla vita scolastica.

Un altro indice è stato elabrato da Hollenweger eHaskell (2002) al fine di misurare la qualità nel rap-porto disabilità-istruzione. Sono stati presi in consi-drazione indicatori e risorse scolastiche (politiche,caratteristiche della comunità, risorse, caratteristiche

personali dello studente, caratteristiche del nucleo fa-miliare), processi scolastici (pratiche stato/distrettoscolastico, edilizia scolastica, prassi scolastica, prassididattica frontale, didattica orientata allo studente);ed esiti scolastici per sistemi e soggetti (alfabetizza-zione culturale e saper fare, salute fisica, responsabi-lità, autonomia, cittadinanza, benessere sociale epersonale, soddisfazione).

Peters, Johnstone e Ferguson (2005) hanno appli-cato i Diritti delle Persone Disabili al Modello Educa-tivo (DREM), partendo dai principi generali dellascuola inclusiva, per offrire una struttura di lavoromultilivello che serve a valutare l’integrazione scola-stica degli studenti disabili sul piano internazionale,nazionale e locale e anche nello specifico di una sin-gola istituzione scolastica 12. In Italia a livello di sin-gola istituzione scolastica è il MIUR, il Ministerodell’Istruzione, dell'Università e della Ricerca che de-

In Italia vi è stato un avvio dell’educazione inclusiva neglianni ‘60 e ‘70, dovuta a una volontà di integrazione intutti i settori della vita sociale del Paese. Attualmente ilmodello dell’inclusione scolastica nelle classi regolari èla norma. La scuola in Italia è attenta ai bisogni educativispeciali, che non riguardano solamente gli studenti disa-bili, ma tutti coloro che presentano necessità particolari

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finisce gli obiettivi (vedi, ad esempio, la Circolare Mi-nisteriale n.8, 6/3/2013): la rilevazione, il monitorag-gio e la valutazione del grado di inclusività dellascuola sono finalizzate ad accrescere la consapevo-lezza dell’intera comunità educante sulla centralitàe la trasversalità dei processi inclusivi in relazione allaqualità dei “risultati” educativi. Da tali azioni si po-tranno inoltre desumere indicatori realistici sui qualifondare piani di miglioramento organizzativo e cul-turale. Gli strumenti a disposizione sono l’“Index perl’inclusione” o il progetto “Quadis”.

In generale, possiamo dire che la riflessione sull’in-tegrazione scolastica degli studenti con bisogni edu-cativi speciali, in Europa, conosce oggi un nuovo slan-cio e una continua evoluzione. Questa riflessione nonpuò e non deve rimanere rinchiusa dentro i confinidegli “addetti ai lavori” dei Paesi occidentali, ma deve

coinvolgere anche i Paesi in via di sviluppo, troppospesso considerati periferici. In questo senso, la coo-perazione internazionale ha il dovere e il compito distimolare e incoraggiare tutti gli attori, i tecnici, glieducatori e in generale la politica locale ad occuparsidell’inclusione scolastica dei bambini e giovani disa-bili. Le metodologie applicate e in qualche misura giàtestate, di certo vanno adattate al contesto culturale,sociale ed economico specifico, ma alla base si pos-sono rintracciare dei paradigmi che fondano e gui-dano gli approcci. Questi devono trovare applicazioneanche in Paesi vulnerabili come Haiti, partendo ma-gari proprio da quegli esempi che si sono faticosa-mente sviluppati già in loco, che hanno risentito dellacontaminazione positiva proveniente dall’esterno eche necessitano di essere trasformati in pratiche e dif-fusi.

In Europa, la riflessione sull’integrazione scolastica degli studenti con bisogni educativispeciali conosce oggi un nuovo slancio e una continua evoluzione. Questa riflessionenon deve rimanere rinchiusa dentro i confini degli “addetti ai lavori” dei Paesi occiden-tali, ma coinvolgere anche i Paesi in via di sviluppo. In questo senso, la cooperazione in-ternazionale ha il compito di stimolare tutti gli attori, i tecnici, gli educatori e la politicalocale a occuparsi dell’inclusione scolastica dei bambini e giovani disabili

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Uno studio sugli atteggiamenti e le percezioni neiconfronti degli studenti disabili è stato svolto ad Haititra novembre e dicembre 2017. L’inchiesta, progettatacome un primo intervento in un’ottica di ricerca-azione, è la riproposizione di uno studio precedentesul pregiudizio effettuato in Kosovo nel 2010 e il risul-tato di una collaborazione spontanea tra la Caritas Ita-liana, alcune ONG locali e internazionali, scuole eistituzioni haitiane, che hanno messo a disposizionela propria conoscenza del territorio e del contesto, for-nendo raccomandazioni e supporto logistico. Lo sco-po principale di questo studio era di indagare gliatteggiamenti degli studenti non disabili nei confrontidelle persone con disabilità considerando due cam-pioni, uno formato da adolescenti e uno da docentiprovenienti da sette scuole private di due Diparti-menti di Haiti, l’Ovest e il Nord-Ovest.

Al fine di migliorare gli atteggiamenti e l’intera-zione tra le persone, la ricerca ha indagato il diversolivello di percezione nei confronti della disabilità inscuole dove sono presenti delle forme di educazioneinclusiva e dove la comunità è soggetta a campagnedi sensibilizzazione.

Inoltre lo studio mirava a identificare se gli effettidel contatto tra gli studenti non disabili e disabili po-teva influenzare le relazioni e diminuire il pregiudiziopartendo da una considerazione ispirata alla “teoriadel contatto intergruppo” sviluppata dallo psicologosociale Gordon Allport 1. La teoria so-stiene, infatti, che quando c’è uncontatto tra gruppi diversi, uno deiquali discriminato, se esso è quanti-tativamente e qualitativamente si-gnificativo, il preguidizio negativo siriduce. Naturalmente quando siparla di “pregiudizio”, ci si riferisce al«mantenimento di atteggiamentisociali o credenze cognitive squalifi-cate, all’espressione di emozioni ne-gative o all’attuazione di comporta-menti ostili o discriminatori nei confronti di membri diun gruppo a causa della loro appartenenza» 2.

Secondo la psicologia sociale cognitiva gli stereotipialla base del pregiudizio sono solo l’effetto della sem-plificazione del mondo in categorie omogenee: valu-tare qualcuno attraverso uno stereotipo significaattribuirgli determinate caratteristiche, che sono con-siderate tipiche di tutti i membri del gruppo a cui ap-partiene. Gli stereotipi sono radicati nella cultura in cuisiamo nati e cresciuti e si sono diffusi attraverso le“agenzie di socializzazione”: famiglia, scuola, libri, tele-

visione, ecc. Sebbene alcune di queste caratteristichestereotipiche possano derivare da dati reali, esse sonoamplificate e distorte e, soprattutto, in molti casi legit-timano ed enfatizzano le differenze esistenti tra i diversigruppi sociali. In particolare, possono giustificare disu-guaglianze e disparità. Inoltre, stereotipi negativi por-tano quasi inevitabilmente al pregiudizio, un feno-meno caratterizzato da componenti cognitive, maanche da dimensioni emotive e comportamentali, chericadono su gruppi svantaggiati di persone e, pertanto,può portare all’adozione di comportamenti discrimina-tori reali nei confronti di un gruppo e dei suoi membri.

Il pregiudizio, come lo stereotipo, è una costru-zione sociale che varia in modo considerevole neltempo e secondo la cultura a cui appartiene una per-sona. A questo riguardo, le regole sociali e istituzionaliforniscono certamente una fonte di riferimento nellacostruzione di pregiudizi. Le norme sociali e istituzio-nali, ad esempio, possono promuovere l’adozione di

una legislazione che protegga le categorie vulnerabilidi persone, come le persone disabili, garantendo il ri-spetto dei loro diritti e facilitando anche la loro inclu-sione sociale.

Abbattere il pregiudizio attraverso il contattoMolte attività sociali e educative che si pongono lo

scopo di superare e abbattere il pregiudizio si basanoproprio sulla teoria psico-sociale del “contatto” di Al-lport. Tuttavia per ottenere un intervento efficace nonè sufficiente una qualsiasi forma di contatto ma occor-rerebbe che venissero soddisfatti quattro requisiti: un

4. Dati

Uno studio sugli atteggiamenti e le percezioni nei con-fronti degli studenti disabili è stato svolto ad Haiti tra no-vembre e dicembre 2017. L’inchiesta è il risultato di unacollaborazione spontanea tra la Caritas Italiana, alcuneONG locali e internazionali, scuole e istituzioni haitiane,che hanno messo a disposizione la propria conoscenzadel territorio e del contesto

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supporto sociale e istituzionale forte e continuo, lapossibilità di conoscenza reciproca, l’appartenenza auno stesso status e una forte cooperazione.

La prima condizione (supporto sociale e istituzio-nale) si riferisce all’esistenza di un quadro sociale e isti-tuzionale, che promuova e sostenga il gruppo di per-sone disabili. A questo proposito, è fondamentale chele istituzioni pubbliche abbiano chiare politiche di in-tegrazione. Le istituzioni possono agire in questomodo per smascherare gli stereotipi, per ridurre l’im-barazzo delle persone quando hanno un parente chesoffre di qualche tipo di disabilità, per creare un climadi rispetto e, soprattutto, per promuovere la visioneche le persone disabili sono una risorsa e non un pesoper la società. Come le istituzioni classiche, anche lafamiglia ha un ruolo importante in questo processo,perché le aspettative dei genitori possono influenzarel’atteggiamento dei loro figli e possono quindi deter-minare il comportamento di questi ultimi.

Il secondo requisito che determina il successo delcontatto intergruppo implica che quest’ultimo abbiafrequenza, durata e profondità sufficienti per consen-tire lo sviluppo di relazioni significative tra i membri.Sulla base di questa condizione, suggerita anche dalbuon senso, sta il principio che le relazioni interperso-nali strette, come l’amicizia, siano intrinsecamentepiacevoli. Inoltre, la conoscenza diretta delle personedisabili permette di scoprire tutti gli elementi chesono in comune, a partire dall’assunto dello psicologosociale Byrne 3, secondo cui la somiglianza costituisceelemento di attrazione tra persone.

Tuttavia, per ottenere una riduzione del pregiudi-zio, non è sufficiente stabilire rapporti di amicizia conalcuni membri del gruppo, ma è necessario che l’im-pressione positiva si espanda a tutti i membri delgruppo svantaggiato in questione. In questo modo,non solo è possibile superare la disabilità, ma anche

arricchirsi dell’esperienza della persona in quanto talee quindi giudicarla ”per quello che è”, alterando cosìgli stereotipi negativi. In realtà queste condizioni sonosporadiche e, come accennato in precedenza, la quan-tità senza qualità potrebbe addirittura peggiorare lasituazione. Ancora una volta la scuola rappresentaun’importante area di intervento. Le classi inclusive,come quelle pionieristiche per Haiti della scuola “SaintCharles Borromée” di Liliavois a Croix-des-Bouquets(vedi progetto a pagina 36) rappresentano certamenteun’interessante e fondamentale sperimentazione e unbuon primo passo verso una migliore integrazione deibambini disabili.

La terza condizione fondamentale, che porta al suc-cesso del contatto, riguarda il fatto che le due parti do-vrebbero percepire se stessi come aventi lo stessostatus. Nel caso della disabilità, questa condizione èparticolarmente complessa da ottenere a causa delledifficoltà fisiche e cognitive che portano il disabile aessere considerato un individuo di status inferiore. Sei gruppi si incontrano allo stesso livello, come compa-gni di classe o colleghi di lavoro e, soprattutto, si incon-trano quando le competenze possono essere uguali,in effetti i risultati potrebbero essere quelli attesi. Biso-gna a questo punto operare un distinguo tra disabilifisici e mentali; una persona in sedia a rotelle può eser-citare attività intellettuali alla stregua di un individuosenza disabilità confrontandosi quindi sullo stessopiano. Ciò non si applica nel caso di disabilità mentale,dove queste condizioni sono più complesse da trovare.

L’ultimo elemento riguarda l’aspetto della coope-razione. Il contatto, non solo deve avvenire con per-sone di pari status, ma dovrebbe anche sviluppareuna relazione interdipendente in cui le persone si col-legano allo scopo di raggiungere un obiettivo co-mune, concreto e limitato, e derivante da un compor-tamento coordinato.

16 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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“SOUS RENMEN” NEL FAR WEST

Aksyon Gasmy è un’associazione comunitaria nata nella zona di Mare Rouge, nel dipartimento del Nord-Ovestdi Haiti, e in particolare nel Bas Nord-Ouest, una delle zone più povere e complesse del Paese, chiamata anche“Selvaggio West” per il suo clima arido, l’isolamento e le condizioni particolarmente difficili. L’associazioneprende il nome di un piccolo bambino, appunto Gasmy, trovato da un sacerdote missionario segregato e na-scosto in casa dalla sua famiglia. Da questa indignazione sono state avviate anche grazie al grande impegnodi Suor Maddalena Boschetti una serie di iniziative pastorali volte a sensibilizzare la comunità e a sostenere lepersone con disabilità dell’area.

Fondata sul volontariato e cresciuta negli anni, oggi Aksyon Gasmy è una delle realtà pionieristiche più vivedel Paese. Per questa ragione, proprio la zona di Mare Rouge, dove l’associazione ha mosso i primi passi, è stataoggetto dell’indagine di Caritas Italiana. In particolare sono state prese a campione due scuole, quella dedicataa Don Bosco di Supran, dove c’è una classe speciale per bambini con disabilità, e quella di Duprè, dove nonsono presenti bambini con disabilità. Inoltre sono state considerate anche le attività di sensibilizzazione svoltenella comunità e a scuola. In questo senso, a Duprè non sono mai state svolte attività di sensibilizzazione sultema della disabilità, né nella scuola né in quello che può essere considerato il bacino di provenienza degli stu-denti. Invece a Supran va fatto un distinguo tra la scuola e la comunità, e all’interno della scuola, tra professorie studenti: nella scuola dove c’è la classe speciale, gli studenti non disabili non hanno mai ricevuto formazionispecifiche né partecipato a laboratori o qualsivoglia attività di carattere frontale sul tema disabilità.

Un discorso diverso va fatto invece per i professori. Quelli della classe speciale (che sono tre, di cui una personache a sua volta soffre di disabilità) sono costantemente seguiti e accompagnati da Aksyon Gasmy in un pro-cesso formativo. In merito agli altri docenti, questi sono stati per un periodo di tempo accompagnati da un’edu-catrice che ha elaborato una serie di linee guida per potenziarne la didattica e l’interazione con gli alunni,toccando trasversalmente anche il tema disabilità. La presenza della classe speciale è stata una decisione fruttodi un dialogo e di un cammino condiviso con il direttore della scuola. Venendo alla comunità di riferimentodella scuola di Supran, ogni anno Aksyon Gasmy organizza almeno due appuntamenti in occasione della Gior-nata del Disabile e della Giornata dei Diritti dell’Uomo in cui si trattano tematiche sia legate alla disabilità chetrasversali, e che sono un’occasione di inclusione per persone con disabilità. Interessante e sperimentale è poianche il contributo dell’associazione per cambiare la percezione della comunità attraverso l’uso di un voca-bolario nel linguaggio corrente che valorizzi la persona disabile: i disabili allora sono chiamati “sous renmen”,vale a dire “fonte di amore”.

La ricercaLo studio si è ispirato all’ipotesi secondo cui una

buona strategia per ridurre il pregiudizio verso le per-sone con disabilità si basa sul facilitare il contatto trastudenti disabili e non, un contatto che però come ab-biamo visto dovrebbe soddisfare determinate carat-teristiche: stato di parità, perseguimento cooperativodi obiettivi comuni e supporto istituzionale attra-verso decisioni politiche.

Premesso che ad Haiti non esistono politiche na-zionali centrate sull’educazione inclusiva e che raris-sime sono le scuole che applicano dei programmi diintegrazione scolastica, si è deciso di concentrare l’in-dagine su quelle poche realtà esistenti, tutte diversetra di loro in termini di modalità di inclusione dei bam-bini con disabilità, in modo da misurare le eventualidifferenze negli atteggiamenti verso i disabili deglistudenti e dei professori. A tal fine, è stato sviluppatoun questionario ad hoc redatto integrando la lettera-tura sul tema della disabilità con uno strumento uti-

lizzato in uno studio precedente effettuato in Kosovonel 2010, debitamente rielaborato e adattato al con-testo.

Le sette scuole medie e secondarie prese a cam-pione sono state così raggruppate in cinque categoriedi modelli didattici sulla base di tre elementi: la pre-senza o meno di un programma inclusivo, il tipo diprogramma adottato e la presenza di attività di sensi-bilizzazione comunitaria.

In totale sono stati intervistati 363 studenti non di-sabili, il 54% di età compresa tra i 10 e 17 anni e il re-stante tra 18 e i 21 anni (va tenuto in considerazioneche alcuni studenti frequentano la scuola secondariaanche in età più avanzata) e 87 docenti, provenientiper più dei tre quarti da zone rurali e periferiche. Il primo campione e modello didattico è stato de-

finito “inclusivo” ed era composto da 42 studentie 47 insegnanti provenienti dalla scuola superiore“Saint Charles Borromée” di Liliavois a Croix-des-Bouquets dove, attraverso attività di tutoraggio,

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ogni studente affianca un bambino con disabilitàdurante il percorso scolastico.

Il secondo modello didattico è definito “speciale”in quanto composto da 72 studenti e 14 insegnantidi una scuola di Surpran a Mare Rouge, nel Nord-Ovest di Haiti, dove si trova una classe speciale perbambini con disabilità e dove opera l’associazioneAksyon Gasmy.

Nel terzo campione, “occasionale”, i 62 studenti e6 insegnanti della scuola superiore di River Froid,gestita dalla congregazione delle Piccole Sorelle diSanta Teresa, hanno anch’essi delle possibilità di in-contrare dei bambini disabili che studiano in unaclasse speciale che però è locata fuori dalla scuolae, seppur l’istituto non possieda programmi speci-fici di educazione inclusiva, di volta in volta ven-gono inseriti dei ragazzi disabili anche nelle classiregolari sebbene non in numero elevato.

Il quarto campione (98 studenti e 14 docenti), defi-nito “sensibilizzato”, è formato da due scuole diCroix des Missions, che non accolgono al loro in-terno studenti con disabilità, ma vengono a contattocon l’organizzazione di base locale Sant Kore Lavi,che si batte per i diritti delle persone con disabilità eper l’inclusione sociale: molto attiva, ha condotto di-verse attività di sensibilizzazione comunitaria.

L’ultimo campione composto da 89 studenti adole-scenti e 6 docenti provenienti dalla scuola parroc-chiale di Duprè, è stato definito “della distanza”,poiché non sono presenti studenti disabili e le atti-vità di sensibilizzazione sono state rarissime. I cam-pioni di studenti e docenti, differenziati nelle cinquecategorie, sono stati analizzati separatamente.

Il questionario realizzato per raccogliere i dati ne-cessari allo studio è stato sviluppato in due versioni dif-ferenti, uno per gli studenti e uno per i docenti.

È stata dunque misurata la percezione degli stu-denti adolescenti e dei professori nei confronti dellepersone con disabilità, analizzando anche i diversi fat-tori che possono influenzare l’atteggiamento e il com-portamento. Infine, la ricerca si proponeva di valutareil diverso livello di percezione nei confronti della disa-bilità fisica e di quella mentale. Tuttavia, dopo aver ef-fettuato un pre-test con un gruppo di 10 adolescenti,ci si è resi conto che la maggior parte non era in gradodi distinguere tra le due e analizzarle separatamente.Si è quindi deciso di mantenere questa distinzione so-lamente nei questionari sottoposti ai professori.

Inoltre, considerando che ad Haiti la popolazionenon è per niente abituata ai questionari e che le stessescale di risposta per misurare l’intensità di un’emozioneo l’accordo con una determinata affermazione (comele scale Likert 1) non sono comuni e utilizzate, si è de-ciso di sperimentare per determinati item una scalacomposta da cinque visi stilizzati con altrettante di-verse espressioni.

Nel questionario, quindi, oltre alle informazioni de-scrittive, si sono utilizzate differenti scale mutuate dallaletteratura e dalla ricerca in psicologia sociale. Prima sisono inserite delle domande volte a indagare il con-tatto con persone e studenti con disabilità: quantità dicontatti, qualità del contatto inteso come “piacevole”o “spiacevole”, tipo di contatto e di relazione, e oppor-tunità di contatto in base a quante persone con disa-bilità sono presenti nella scuola.

Per la misurazione della percezione verso le per-sone disabili è stata utilizzata, in una versione sempli-ficata, ridotta ma con qualche quesito specifico per ilcontesto, la scala Attitudes To Disabled People Scale 4.Questa scala è stata sviluppata negli Stati Uniti ed èstata adattata al contesto haitiano. È una scala multi-dimensionale, che misura principalmente le attitudinidelle persone verso l’integrazione delle persone condisabilità nella società e le errate percezioni su di loro.Da questa è stato estrapolato un indice che abbiamochiamato “indicatore di pregiudizio”, composto da 11affermazioni. Esempi di item erano: una persona disa-bile non è in grado di prendere una decisione morale,ai disabili dovrebbe essere impedito di avere figli, lepersone con disabilità sono vittime di una maledizionevudù, … I rispondenti dovevano indicare il loro gradodi accordo con queste asserzioni.

Per indagare l’interazione con persone disabili sonostati presi cinque quesiti da una scala sviluppata in Au-stralia da Gething nel 1994 e adattata al contesto hai-tiano. Gli item analizzati separatamente erano volti acomprendere la percezione del disagio e delle emo-zioni negative durante l’interazione con le persone di-

1. Campione di studenti

24%

12%

20%

27%17%

Inclusivo

Speciale

Sensibilizzato

Occasionale

Della distanza

16%

7%

16%

7%Inclusivo

Speciale

Sensibilizzato

Occasionale

Della distanza

2. Campione di docenti

Fonte: Caritas Italiana

54%

18 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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sabili. Queste emozioni e percezioni di disagio sono ti-piche di forme di pregiudizio latenti e non manifeste.Un esempio di domanda era: “Quando interagisco conle persone disabili, mi sento insicuro perché non socome comportarmi?”.

Il questionario sottoposto ai professori presentavagli stessi elementi, salvo per la sostituzione della scalaLikert classica con la scala a visi stilizzati. Inoltre, comeprecedentemente accennato, i professori erano chia-mati a distinguere tra persone con disabilità fisiche ementali, considerando distintamente i due gruppi dihandicap. La presenza di due domande aperte ha per-messo di raccogliere anche le testimonianze dirette deidocenti rispetto all’esperienza di insegnamento.

Nello specifico le domande aperte si proponevanodi misurare qualitativamente, e quindi descrivere, gliatteggiamenti dei professori verso gli studenti con di-sabilità.

I risultati: gli atteggiamenti degli studenti non di-sabili verso i disabili

In generale, sebbene l’insieme degli studenti par-tecipanti (363 intervistati) mostri nella maggioranzadei casi un basso grado di pregiudizio verso i disabili(27% basso, 43% medio-basso), il 30% mostra degli at-teggiamenti discriminatori (grafico 3). Questo trend èin linea con quanto emerge dai dati relativi alla qualitàdel contatto con gli studenti e persone disabili (grafico4): 50% dei rispondenti trova il contatto piacevole, il28% non esprime particolari sensazioni, mentre il 22%considera la relazione spiacevole. Coerentemente conla teoria espressa da Alport, la quantità, cioè il numerodi incontri tra disabili e non disabili, non sembra avereun’influenza particolare per ridurre il pregiudizio. In-fatti, anche se solo in misura leggermente minore, èproprio il 40% dei partecipanti con contatti più fre-quenti ad avere un pregiudizio medio-alto, contro il30-25% degli studenti che incontrano più raramentepersone con disabilità.

Tuttavia, è analizzando il livello di pregiudizio cor-relato alla qualità del contatto (grafico 5) che emergeuna differenziazione interessante; infatti se natural-mente la tendenza generale di chi trova il contattopiacevole e molto piacevole è quella di mostrare unpregiudizio minore (intorno al 70% dei rispondenti) ri-spetto agli altri rispondenti, sono però i rispondenti

3. Indice del pregiudizio

27%

43%

26%

Basso

Medio-basso

Medio-alto

Alto

28%

9%

13%19%

Molto spiacevole

Spiacevole

Né spiacevolené piacevole

Piacevole

Molto piacevole

4. Qualità del contatto

31%

4%

5. Indice di pregiudizio per qualità del contatto

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%Molto

spiacevoleSpiacevole Né

spiacevole né piacevole

Piacevole Moltopiacevole

Basso Medio-basso Medio-alto Alto

Fonte: Caritas Italiana

Fonte: Caritas Italiana

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che esprimono delle sensazioni più neutre (né piace-vole, né spiacevole) a mostrarsi meno discriminatori(quasi l’80% risulta con un indice dal basso, al medio-basso). Ciò fa pensare che ci sia una componente divalutazione razionale rispetto all’espressione di unasensazione nei confronti di uno stereotipo (la personadisabile) e di conseguenza anche rispetto ad un giu-dizio negativo su di esso. Di fatto, non è necessario perforza trovare piacevole un contatto o esprimere unopinione sulla piacevolezza di esso, per avere degli at-teggiamenti non discriminatori.

Tuttavia, i dati risultano più complessi e articolatida interpretare se il campione viene suddiviso nei cin-que modelli didattici distinti in base appunto alla pre-senza o meno e al tipo di modalità inclusiva dei disa-bili esistente nella scuola e in base alla presenza di at-tività di sensibilizzazione a livello comunitario nel con-testo in cui la stessa scuola si inserisce. Nel gruppo“inclusivo“ gli studenti intervistati provengono da unascuola che pratica una forma sperimentale di inclu-sione educativa e attività di sensibilizzazione a livellocomunitario. Nel gruppo “speciale” gli studenti parte-cipanti provengono da una scuola con una classe pri-maria speciale e sono presenti anche delle attività disensibilizzazione nella comunità. Nel campione “occa-sionale” è presente una classe speciale ma esterna allascuola e qualche studente disabile viene integratonelle classi regolari mentre non si svolgono attività disensibilizzazione. Nel contesto “sensibilizzato”, invece,non ci sono studenti disabili a scuola ma le attività disensibilizzazione a livello comunitario sono molto fortie continue. Nelle scuole che compongono il cam-pione “della distanza“ non ci sono studenti disabili ele attività di sensibilizzazione sono saltuarie se non as-senti.

Esaminando la correlazione tra i differenti cinquecampioni di studenti e la qualità del contatto (grafico6), il 62% dei rispondenti del campione “inclusivo”trova il contatto piacevole con un numero considere-vole di rispondenti che ritiene il contatto né piacevolené spiacevole. Conformemente all’ipotesi, anche il68% del gruppo “speciale” trova il contatto piacevolecontro il 40% dei gruppi “occasionale” e “sensibiliz-zato“. Come previsto è proprio il gruppo “della di-stanza” che per il 40% trova il contatto spiacevole.

I risultati decisamente più incoraggianti dei cam-pioni “inclusivo” e “speciale”, paragonati agli altri cam-pioni, indicano come siano fondamentali attività co-munitarie di inclusione e sensibilizzazione associatedirettamente alle opportunità di contatto a scuola. Lacombinazione dei due elementi sembra quindi signi-ficativa, e si riscontra evidentemente nel paragonecon i campioni “occasionale”, dove ci sono opportunitàdi contatto ma non di sensibilizzazione, “sensibiliz-zato”, dove ci sono attività di promozione ma non op-portunità di contatto, e “della distanza”, dove entrambii fattori sono assenti. Tuttavia, per supportare questeipotesi bisogna concentrarsi sui dati relativi ai quesitiche valutano l’interazione con persone disabili e l’in-dice di pregiudizio.

6. Qualità del contatto per modello didattico

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%Inclusivo Speciale Occasionale Sensibi-

lizzatoDella

distanza

Fonte: Caritas Italiana

Molto spiacevole Spiacevole

Né spiacevole né piacevole

Piacevole Molto piacevole

7. Come ti sentiresti ad avere un figlio disabile?

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%Inclusivo Speciale Occasionale Sensibi-

lizzatoDella

distanza

Fonte: Caritas Italiana

Molto contento Contento

Né contento né umiliato

Umiliato Molto umiliato

I risultati decisamente più incoraggiantidei campioni “inclusivo” e “speciale” indi-cano come siano fondamentali attivitàcomunitarie di inclusione e sensibilizza-zione associate direttamente alle oppor-tunità di contatto a scuola

20 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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8. Come vi sentireste, tu e la tua famiglia,ad avere un figlio disabile?

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%Inclusivo Speciale Occasionale Sensibi-

lizzatoDella

distanzaMolto fiero Fiero

Né disonorato né fiero

Disonorato Molto disonorato

9. Pensi che avere un figlio disabile sia...

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%Inclusivo Speciale Occasionale Sensibi-

lizzatoDella

distanza

Un’ottima cosa Una buona cosa

Né una buona cosa né un disonore

Un disonore Un grande disonore

10. Indice di pregiudizio per didattica

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%

Basso Medio-basso Medio-alto Alto

Fonte: Caritas Italiana

Inclusivo Speciale Occasionale Sensibi-lizzato

Delladistanza

Gli item relativi alle emozioni che si provano nellaprospettiva di avere un figlio disabile (grafici 7, 8, 9) e iquesiti che fanno riferimento al pregiudizio latente, con-fermano la tendenza sopratutto ad avere delle risposteneutrali e decisamente più positive per i campioni “in-clusivo” e “della distanza”, mentre sono più negative peril gruppo “della distanza” e “occasionale”. In particolare,i risultati riguardanti gli item che misurano il pregiudiziolatente a livello di relazione con la persona disabile.

Alla domanda “Quando incontri una persona disa-bile, trovi difficile aiutarla senza fissarla?” l’80% deglistudenti della scuola inclusiva non fissa la persona condisabilità, mentre questa percentuale scende drastica-mente al 55% nella scuola di Duprè dove non ci sonoattività di sensibilizzazione né di contatto. L’88% deglistudenti intervistati nella scuola inclusiva non provaindecisioni nelle modalità di comportamento quandoincontra una persona con disabilità, mentre ancorauna volta sono gli studenti della scuola di Duprè, masoprattutto del campione “occasionale”, ad avere lemaggiori incertezze di comportamento (il 44% di que-st’ultimo gruppo non sa come comportarsi).

Alla domanda ”Quando incontro una persona condisabilità, non mi sento a mio agio a guardarla diret-tamente negli occhi” la tendenza viene confermata,con più dell’80% del gruppo di rispondenti “speciale”e del campione “inclusivo” che non provano disagio,mentre all’item “Quando incontro una persona con di-sabilità, cerco che il contatto sia il più breve possibile”è soprattutto il campione “inclusivo” a non “tagliarecorto” il contatto (il 93% dei rispondenti dichiara diavere un tempo di contatto da “né breve e né moltolungo” a “molto lungo”).

Analizzando l’indice di pregiudizio correlato con ilmodello di didattica (grafico 10), ancora una volta ilgruppo inclusivo è quello con il pregiudizio decisa-mente più basso, con il 92% dei rispondenti che si col-lacano tra “basso” e “medio-basso”, mentre solo il 39%degli studenti della scuola con classe speciale confer-mano la tendenza ad avere un pregiudizio “medio-basso” e “basso”, un dato incorente e in contrasto coni risultati precedenti se pensiamo che il 62% dei ri-spondenti ha manifestato un pregiudizio soprattutto“medio-alto”.

Difficile spiegare una simile contraddizione, se nonconsiderando il particolare tipo di scala utilizzata (moltopiù complessa rispetto a quelle del contatto e delleemozioni, senza inoltre la facilitazione dei visi stilizzati),e il tipo di item che comportano una certa maturità ecapacità di comprensione che la giovane età dei rispon-denti appartenenti al gruppo “speciale” non semprepermette. Infatti, l’indice di pregiudizio correlato alleclassi di età mostra come sia più negativo per il gruppoche va dai 10 ai 13 anni, dove il 50% dei rispondenti ma-nifesta un pregiudizio “medio-alto” e “alto”.

21HAITI | UNA SCUOLA PER TUTTI

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I risultati: gli atteggiamenti dei docenti verso i di-sabili

In generale analizzando la qualità del contatto deidocenti con studenti disabili e persone con disabilitàfisica (grafico 11) non si riscontrano grosse differenzetra i cinque modelli di didattica seppure il campione“inclusivo” è quello che dimostra maggiore piacevo-lezza. Va detto inoltre che le risposte negative per imodelli “inclusivo” e “speciale” – per quanto minime –possono essere spiegate con la difficoltà dell’insegna-mento a studenti con bisogni speciali senza contaresu insegnanti di sostegno. Tuttavia è comparando idati relativi alla disabilità fisica con quella mentale cheappare evidente come la qualità del contatto per que-st’ultima risulti più negativa (grafico 12), e ciò in ma-

niera più significativa per la scuola del modello “delladistanza”.

Gli item relativi alle emozioni che si provano nellaprospettiva di avere un figlio disabile, riscontrano li-velli di pregiudizio molto bassi senza particolari diffe-renze entro la distinzione fisica e mentale tra i cinquemodelli educativi con una tendenza generale ad averedelle risposte, per così dire, neutrali anche se come vi-sibile nel grafico 13 tendenzialmente più positive peri modelli “inclusivo” e “speciale”, e, come per gli stu-denti, meno positive per il campione “occasionale”. Vasottolineato che nel modello “inclusivo” gli insegnantiintervistati sono i soli ad avere degli studenti disabilicon bisogni speciali nella propria classe poiché nelmodello “speciale” sono solo gli educatori speciali enon i docenti ad occuparsene nella classe speciale.

Comparando il livello di pregiudizio (questa voltaa differenza degli studenti, su tre categorie, “basso”,“medio-basso” e “medio-alto”) correlato alla qualitàdella relazione con la persona con disabilità, emergecome significativo che chi ha un contatto percepitocome più positivo discrimina meno. Tuttavia, sopren-dentemente rispetto a quanto ipotizzato, i docentimanifestano più pregiudizio verso i disabili fisici chementali, con una media del 50% di rispondenti che ri-sulta avere un indice “medio-alto”.

11. Qualità del contatto per disabilità fisica

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%Inclusivo Speciale Occasionale Sensibi-

lizzatoDella

distanza

Molto piacevole Piacevole

Né spiacevole né piacevole

Spiacevole Molto spiacevole

12. Qualità del contatto per disabilità mentale

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%Inclusivo Speciale Occasionale Sensibi-

lizzatoDella

distanza

Molto piacevole Piacevole

Né spiacevole né piacevole

Spiacevole Molto spiacevole

Fonte: Caritas Italiana

13. Pensi che avere un figlio disabile sia...

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%Inclusivo Speciale Occasionale Sensibi-

lizzato

Un’ottima cosa Una buona cosa

Né una buona cosa né un disonore

Un disonore Un grande disonore

Fonte: Caritas Italiana

Chi ha un contatto percepito come piùpositivo discrimina meno

I docenti manifestano più pregiudizioverso i disabili fisici che mentali

22 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Page 23: DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE · 2018. 4. 3. · 4 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE Nel mondo oltre 1 miliardo di persone, circa il 15% della popolazione, soffre

14. Indice di pregiudizio verso i disabili fisiciper qualità del contatto

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%Basso Medio-alto

Molto piacevole Piacevole

Né spiacevole né piacevole

Spiacevole Molto spiacevole

Medio-basso

15. Indice di pregiudizio verso i disabili mentaliper qualità del contatto

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%Basso Medio-alto

Molto piacevole Piacevole

Né spiacevole né piacevole

Spiacevole Molto spiacevole

Medio-basso

Fonte: Caritas Italiana

Come si può vedere dai grafici 14 e 15, chi ha un in-dice “medio-alto“ di pregiudizio nel caso della disabi-lità fisica trova il contatto “spiacevole” per il 32%, men-tre la tendenza per quanto riguarda la disabilità men-tale è definire il contatto non come “piacevole” e noncome “spiacevole”, manifestando sostanzialmente unamaggiore “indifferenza” verso la disabilità mentale.Analizzando i dati relativi all’indice di pregiudizio cor-relati ai cinque tipi di modelli di didattica, emerge in-vece chiaramente la maggiore differenza tra il pregiu-dizio verso la disabilità fisica e il pregiudizio verso ladisabilità mentale (il secondo più alto), con un 10% diprofessori del modello “inclusivo” che manifesta altopregiudizio, mentre negli altri campioni le rispostesono più positive. Questo dato può essere probabil-

mente dovuto allo stress dell’insegnamento agli stu-denti con bisogni speciali e quindi alle difficoltà incon-trate (grafici 16 e 17). Leggendo i dati qualitativi pro-venienti dalle domande aperte indirizzate ai docenti,probabilmente si può trarre qualche spunto di rifles-sione maggiore.

La maggior parte dei docenti ha sottolineato piùvolte le difficoltà di apprendimento degli studenti conbisogni speciali, e gli sforzi e la pazienza necessariaper ottenere dei progressi. Nel campione “speciale”,così come nel campione “occasionale”, i professorihanno evidenziato le differenti capacità di adatta-mento e cognitive tra gli studenti non disabili e quellidisabili, e la difficoltà, a volte impossibilità, di otteneredei miglioramenti. Questo tipo ti precisazione è moltoimportante poiché in linea con i due modelli didattici:in entrambi i casi le scuole sono caratterizzate da classi

16. Indice di pregiudizio dei docenti verso i disabili fisici per modello di didattica

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%

Basso Medio-basso Medio-alto

Inclusivo Speciale Occasionale Sensibi-lizzato

Delladistanza

17. Indice di pregiudizio dei docenti verso i disabili mentali per modello di didattica

100%90%80%70%60%50%40%30%20%10%

0%

Basso Medio-basso Medio-alto

Fonte: Caritas Italiana

Inclusivo Speciale Occasionale Sensibi-lizzato

Delladistanza

23HAITI | UNA SCUOLA PER TUTTI

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dove gli studenti ricevono un’istruzione ad hoc e “aparte” per i loro bisogni educativi speciali. Le rispostedi questi insegnanti potrebbero voler dire che queltipo di “isolamento” tipico delle classi speciali è neces-sario per il tipo speciale di educazione richiesta, diffe-rente rispetto agli studenti non disabili.

Ma questo tipo di atteggiamento è differente nelcampione del modello educativo “inclusivo” le cui ri-sposte sono più articolate. I docenti di questo gruppoutlizzano spesso il termine tempo come necessità,“necessità di tempo”; tempo per gli studenti per ap-prendere (es. “impiegano più tempo per padroneg-giare i concetti”, “sono più lenti a capire e adattarsi”, “avolte ci sono difficoltà, il tempo per colmare le lacuneper qualcuno può essere lungo e i progressi possonoessere raggiunti lentamente”, “un ragazzo disabile puòcapire tutto ciò che viene insegnato in classe, ma al-l’esame ha bisogno di tempo per rispondere a tutte ledomande”), ma soprattutto tempo per gli insegnantistessi per potere educare adeguatamente, prendersicarico e seguire efficacemente i propri studenti condisabilità (es. “l’insegnamento speciale mi porta via unsacco di tempo durante la giornata lavorativa”, “nondobbiamo andare troppo veloci con loro, dobbiamoaspettare un risultato in base alle loro capacità”, “civuole molta pazienza”, “la mia più grande difficoltà ènon poter dare loro più tempo”). La difficoltà deltempo sembra essere la maggior frustrazione per i do-centi, segnalata dalla maggioranza di loro.

Un altro punto emerso riguarda la necessità daparte dei professori di formazione e di conoscenza eutilizzo di metodologie specifiche (es. “se l’insegnantenon ha ricevuto una formazione adeguata non sarà ingrado di farlo”, “ai bambini disabili non si insegna allostesso modo degli altri bambini”, “dobbiamo crearemetodi appropriati per lavorare conlo studente disabile”). Un’altra gran-de difficoltà segnalata riguarda ilproblema comunicativo con i bam-bini sordi, non conoscendo i docentidella scuola regolare la lingua deisegni (es. “ho un muto nella miaclasse, mi parla con i segni ma ionon riesco a capirlo e lui non capisceme”). In questo senso, come dimostrato dalla lettera-tura, per i sordomuti le scuole speciali possono risul-tare più adeguate in quanto ci può essere comuni-cazione con gli insegnanti e il resto degli studenti.

Per quanto riguarda i successi, la maggior parte deidocenti ricavano soddisfazione nel riscontrare pro-gressi, a volte anche piccoli, nell’apprendimento deiloro allievi con disabilità (es. “se infondiamo loro al-cune nozioni, abbiamo la soddisfazione di un lavoroben fatto e fatto con amore”, “avevo una ragazza chenon sapeva differenziare i colori ma con il tempo ha

imparato e questo mi ha reso felice”, “sono soddisfattodel mio lavoro quando gli studenti vanno avanti”,“quando è ammesso alla classe superiore”, “ho uno stu-dente disabile che può disegnare piccoli oggetti”).

Considerato il contesto pioneristico dove la scuola“Saint Charles Borromée” a Croix-des-Bouquets si in-serisce essendo l’unica scuola ad Haiti a praticare si-stematicamente l’inclusione educativa, e conside-rando che ad Haiti non ci sono figure professionali for-mate per l’educazione inclusiva (le figure degli inse-gnanti di sostegno e degli educatori speciali nonesistono), i docenti sentono molto forte questo loroimpegno per l’integrazione scolastica degli studentidisabili, quasi come una missione. Interpretando le ri-sposte dei docenti, emerge come, attraverso il loro la-voro, che vivono come una sorta di sacrificio al-truistico, migliorano anche la percezione di loro stessi,ricevendo una forma di gratificazione del sé. Inoltre,attraverso il confronto quotidiano e la sfida educativaaffermano di imparare a loro volta dai loro studenti“speciali” (es. “mi insegna ad avere molta più pazienzae a scoprire molte cose buone”, “la gioia della condivi-sione e della pazienza”, “la felicità della temperanza”,“la pazienza e la filantropia”). Inoltre sembra essere difondamentale importanza la componente affettiva edemozionale (es. “i bambini con disabilità sono a voltemolto affettuosi”, “mi piacciono molto”, “impariamo adamarli e rispettarli”, “sono molto felici e divertenti”).

Conclusioni della ricercaHaiti è un Paese in cui l’inclusione educativa e l’in-

tegrazione scolastica dei bambini con disabilità è an-cora a uno stato embroniale. In generale, dentro lasocietà, le persone con disabilità sono discriminate edescluse. La scuola non fa eccezione. Attraverso questo

studio Caritas Italiana ha voluto indagare gli atteggia-menti verso i disabili degli studenti e docenti prove-nienti da scuole con modelli didattici molto differenti(solo una di esse pratica l’inclusione educativa siste-maticamente, mentre altre due hanno una classe spe-ciale). Inoltre i cinque campioni di partecipanti pre-scelti provengono da contesti sensibilizzati grazie allapresenza e all’impegno di ONG locali (vale la pena ri-cordare Aksion Gazmy a Mare Rouge, América Solida-ria per la comunità di Croix-des-Bouquets e Sant KoreLavi a Croix des Missions).

Haiti è un Paese in cui l’inclusione educativa e l’integra-zione scolastica dei bambini con disabilità è ancora auno stato embroniale. In generale, dentro la società, lepersone con disabilità sono discriminate ed escluse. Lascuola non fa eccezione

24 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Lo studio ha messo a confronto le cinque dimen-sioni educative indagando anche l’effetto della qualitàdel contatto sul pregiudizio sia manifesto che latente.La letteratura in psicologia sociale evidenzia come ilcontatto interpersonale è essenziale ma a volte non èsufficiente a ridurre il pregiudizio verso le persone condisabilità. Per questo motivo è importante considerareanche altri fattori che potrebbero influenzare gli at-teggiamenti nei confronti delle persone disabili. Ba-sandosi sulla teoria del “contatto”, lo studio si poneval’obiettivo di mettere in evidenza alcune criticità e ne-cessità, sottolineando l’importanza di sviluppare (erafforzare quando esistenti) dei modelli basati sullacooperazione tra pari, efficaci anche grazie a un soste-gno istituzionale forte e continuativo. Analizzando idati dei due macro gruppi di partecipanti, studenti eprofessori, emerge che l’indice di pregiudizio non èparticolarmente alto, soprattutto per i professori (sep-pure un 30% degli studenti ha manifestato un altopregiudizio), e si può pensare che tale dato sia deter-minato anche dall’influenza delle ONG locali.

Passando in rassegna le differenti variabili analiz-zate, gli output sono particolarmente positivi per glistudenti della scuola “inclusiva”, mentre per la scuolacon classe speciale, negativi per quanto riguarda l’in-dice del pregiudizio, dovuto probabilmente alla gio-vane età dei partecipanti e allacomplessità dei quesiti. Infatti perquesto campione sono molto posi-tive tutte le altre misure. Risultaticontradditori e spesso negativi si so-no riscontrati per i modelli didatticiche abbiamo definito “della distanza” e “occasionale”.Leggendo questi dati alla luce della teoria del “con-tatto”, infatti, solo il campione “inclusivo” soddisfa me-glio le condizioni necessarie. Il tutoraggio tra studentipermette di conoscersi reciprocamente e sviluppareuna cooperazione con obiettivi comuni. La chiara po-litica della scuola così come le attività di sensibilizza-zione della comunità permettono il giusto sostegnoistituzionale e sociale, anche se insufficiente è il sup-porto da parte dei decisori politici e delle istituzionigovernative.

Per quanto rigurada il modello “occasionale”, le pos-sibilità di un contatto e di una conoscenza reciprocasono limitate dall’isolamento della classe speciale.Inoltre, la mancanza di un impegno esplicito da partedella scuola, anche manifestato attraverso campagnepubbliche, non permette il giusto sostegno sociale eistituzionale. In maniera simile, la mancanza di attivitàdi sensibilizzazione a livello di comunità della scuolacon modello educativo “della distanza” non facilita ilsuperamento del pregiudizio, ma anzi, al contrario,l’assenza contemporanea di una componente di pro-mozione istituzionale e comunitaria declinata in cam-

pagne di sensibilizzazione, unita alla mancanza di con-tatto nella scuola, determina un atteggiamento versole persone con disabilità più negativo. Infatti, dati in-teressanti si sono riscontrati anche per le scuole condifferenti tipi di sensibilizzazione. Per quanto riguardai professori in particolare della scuola “inclusiva” èemersa nettamente la necessità di avere più sostegnoformativo e maggior tempo (quindi assistenza) per oc-cuparsi dei propri studenti con disabilità.

Per quanto riguarda la differenza tra disabilità men-tale e fisica, come rilevata dai questionari sottoposti aiprofessori, alcuni dati evidenziano un’incidenza mag-giore di pregiudizio nei confronti di chi soffre di disabi-lità mentale, anche se i risultati non sono stati coerentiin tutti gli item. Ciò può essere dovuto alla generale dif-ficoltà degli haitiani ad approcciarsi a strumenti quali ilquestionario, nonché al fatto che le stesse domande re-plicate per le due forme di disabilità possano aver crea-to confusione. Inoltre va detto che, a differenza deglistudenti, il campione dei docenti è significativamentepiù ridotto. Per il futuro potrebbe essere quindi utilesviluppare anche altri metodi di analisi, concentrandosialtresì sullo sviluppo di un indice di inclusione chepossa ulteriormente fornire elementi di comprensionee approfondimento per progettare nuovi interventivolti a promuovere l’educazione inclusiva.

La letteratura in psicologia sociale evidenzia come il con-tatto interpersonale è essenziale ma a volte non è suffi-ciente a ridurre il pregiudizio verso le persone con disabilità

25HAITI | UNA SCUOLA PER TUTTI

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MONSIEUR DIEUDONNÉ CHARLES, PROFESSOREPRESSO L’UNIVERSITÀ DI PORT-DE-PAIX

In quale scuola sei insegnante? Qual è il tuo ruolonella scuola e cosa insegni?

«Sono professore di “Concetto handicap” all’uni-versità Valparaiso e all’università Notre Dame d’Haiti(UNDH) di Port-de-Paix. I miei alunni studiano alla fa-coltà di Scienze infermieristiche, hanno dai 20 ai 24anni: insegno infatti al primo eal quarto anno. Sono coloro cheoperano con persone portatricidi handicap (fisico). L’approccioè per loro importante. Si trattadi un tipo di approccio bio-psico-sociale, un approccio checonsidera cioè il deficit fisico, lemotivazioni che lo hanno pro-vocato, ma anche gli aspetti psi-cologici e relazionali che ne di-pendono. Si cerca di rendereun’immagine positiva delle persone disabili, di moti-vare gli studenti. Questo può dipendere da una pre-disposizione personale, dall’empatia delle persone edall’ambiente nelle quali queste si sono formate. Seciò manca le persone che sono a contatto con i disa-bili avranno la tendenza a metterli da parte. Se la so-cietà è ben informata e acquisisce la cultura del vivereinsieme sarà possibile che le persone che hanno undeficit non debbano vivere la loro condizione comeun handicap».

È un corso che viene spesso offerto nelle università diHaiti?

«Sì, è un corso che la Segreteria di Stato all’Integra-zione delle Persone Disabili ha inserito nel curriculumdi studi delle persone “prestatrici di cure”, cioè tutte lepersone che lavorano in ambito sanitario, gli agenti disalute, i medici, gli infermieri. Questo è avvenuto a se-guito del terremoto del 2010, quando molti ne furonocolpiti».

Quanto è importante il tuo corso in questo partico-lare contesto educativo?

«Per me è importante perché qualsiasi personanella vita può avere una deficienza, ma questo non si-gnifica che la persona sia incapace. Anche le personeche hanno un handicap possono sviluppare le loro ca-pacità e riuscire nella vita, possono anche eccellere,essere utili a se stessi, alla propria famiglia e a tutta lasocietà. Il corso è utile perché nel passato, negli anni’50, lo sguardo rivolto alle persone portatrici di han-dicap era uno sguardo caritatevole; adesso invece, con

la battaglia che si è portata avanti, si cerca di raggiun-gere il risultato dell’integrazione nella società. Questoè necessario, vivere insieme è una cultura che soprat-tutto la scuola deve promuovere per incoraggiare lepersone con disabilità».

In quale scuola hai studiato? Com'è stata la tua rela-zione con gli altri studenti?

«Quando ero a scuola, alla primaria ero alla Mesa-epta (Port-de-Paix). È stata come una grande famiglia

per me, perché i miei amici lì mi hanno conside-rato come un fratello, non mi hanno mai messoda parte nonostante la mia disabilità, ma trat-tato come una persona al loro stesso livello. Allasecondaria, la scuola Notre Dame de Lourdes(Port-de-Paix), è stato lo stesso, mi hanno ap-prezzato e io mi sono sviluppato in quanto per-sona, senza lasciare che il mio handicap fisico micreasse un complesso. Sono cresciuto con glialtri facendo gli stessi progressi».

Quando e come è iniziata questa tua espe-rienza?

«Sono stato il coordinatore delle persone in situa-zione di handicap del Dipartimento, quindi ho consi-derato necessario avere una voce che parlasse a nomedei disabili, per difendere la loro causa, per fare cono-scere alla società che le persone disabili hanno ancheloro il diritto a un posto nella società. L’esperienza al-l’università è partita a seguito di una serie di percorsidi formazione alle quali ho partecipato e che ho resti-tuito sul territorio; questo ha dato l’inizio allo sviluppodi una certa cultura dalle mie parti. Ci sono dei mieiamici che sono stati all’estero che mi danno spesso in-formazioni soprattutto rispetto all’aspetto psicologicoper migliorare l’approccio. Poi la Segreteria di Statoall’Integrazione delle Persone Disabili ha permesso dialzare ulteriormente il livello della formazione. È unabella esperienza, perché vedo che l’approccio cambia,le persone disabili non sono più un problema. Per meè un onore essere docente e poter parlare della que-stione delle persone disabili. Sono orgoglioso del miopercorso».

Qual è la percezione che hanno gli studenti delle per-sone con disabilità quando iniziano la scuola? Comepensi che questa percezione sia influenzata dal tuocorso?

«All’inizio l’approccio è stato un po’ difficile, perchéla nostra società è stata abituata a constatare la pre-senza dei disabili, ma non ha mai tenuto conto deiloro bisogni. Però con l’avvicinamento, lo studio e laricerca, gli studenti sviluppano le competenze di co-municazione per poter entrare in contatto veramente

5. Interviste

26 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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con le persone disabili, e questo è necessario per tuttiper affrontare il lavoro, ma anche la vita».

Pensi che il tuo lavoro abbia un impatto sul territorio,fuori dalla scuola?

«Sì, certo, perché il corso ha un impatto positivodando informazioni su come una persona disabilevive, e spieghiamo il perché questa persona ha un suoposto all’interno della società. La scuola può influen-zare tutta la società ad avere uno sguardo più posi-tivo».

Pensi che in futuro le scuole haitiane diventerannopiù inclusive? Quali sono gli aspetti che ne ostacolanol’integrazione?

«Questo riguarda più attori: le autorità devono pen-sare e attuare politiche di inclusione, le università sonoun campanello di allarme per fare riflettere tutta la so-cietà, e le persone disabili sono anche loro attori, de-vono avere il coraggio di difendere la loro causa e lottareper entrare e stare all’interno, anche nella scuola».

ATELIER ST. JOSEPH: LABORATORIO CHE PREPARAPROTESI E ORTESI

Di cosa si occupa l’Atelier?Léide Philoclés (amministratrice del centro): «In-

sieme vogliamo fare camminare meglio le persone.Facciamo un lavoro di protesi eortesi per chi altrimenti non sa-rebbero in grado di procurar-sele, per esempio perché non hasoldi. Si tratta delle vittime delterremoto, mutilati per incidentie malattie come il diabete. Ab-biamo iniziato anche con la fisio-terapia in passato, anche con deivolontari, ma in questo momen-to non abbiamo le risorse pergarantire questo servizio».

Esna Nicolas (responsabiletecnico haitiano che si è formato in Salvador): «La-voriamo per assistere le persone che hanno un han-dicap, sia i bambini che gli adulti. Facciamo sia protesiper chi è mutilato, sia ortesi per correggere le malfor-mazioni di diverso genere. Al momento c’è molto bi-sogno soprattutto di questo. Quando una persona sireca al nostro centro inizia con il registrarsi in ammi-nistrazione, che apre un dossier per la sua situazione;poi io valuto con un esame fisico per realizzare unadiagnosi del suo problema e del suo tipo di vita. Dopoaver preso le misure, si procede con la preparazionedella protesi, l’installazione e l’educazione al nuovoarto o dispositivo».

Come è iniziata l’esperienza? Qual è la situazione at-tuale di Haiti rispetto a questo?

L: «L’esperienza è nata grazie a suor Isabel SolàMatas, della congregazione di Gesù Maria. Dopo il ter-remoto ha prestato aiuto nei posti dove mettevano lepersone ferite, e ha visto questa necessità perchémolti erano i mutilati. Si è unita a degli amici spagnolie alla comunità locale per fondare l’Atelier. Non ab-biamo condotto un’inchiesta, ma rispetto al tempo delterremoto i pazienti sono diminuiti, il bisogno però ri-mane sempre, anche se per motivi diversi. La loro situa-zione è difficile, lo Stato offre un piccolo supporto eco-nomico agli invalidi, ma non è sufficiente per coprireogni spesa e mantenersi, così all’inizio l’idea è stataquella di fare un lavoro completamente gratuito per lagente. Adesso invece le persone danno un piccolo con-tributo, per dare il giusto valore al servizio».

Qual è il bacino di utenza dell’Atelier?L: «Le persone arrivano da tutte le zone del Paese,

ci sono poche strutture che si occupano di protesi ecomunque le persone preferiscono venire a Port-au-Prince. Abbiamo persone di tutte le età, dai bambinidai due anni in su, agli anziani.

Come si situa il vostro lavoro rispetto ad altre realtàsimili presenti nel Paese?

L: «Ci sono altre due strutture che conosciamo,ognuno lavora individualmente. Anche se suor Isabelavrebbe voluto che si lavorasse insieme manca unvero coordinamento; per adesso il nostro rapporto

consiste nel reindirizzare i pazienti agli altri cen-tri nel caso non si riesca a fornire un servizio, onell’acquistare cosa ci manca dagli altri».

Qual è il vostro rapporto con le istituzioni na-zionali della sanità? Quale quello con le organiz-zazioni non governative nazionali e internazio-nali?

L: «Per quanto riguarda la sfera della sanitàpubblica, a parte avere il permesso per regola-rizzare la nostra posizione, per il quale abbiamofatto domanda da tempo rispondendo con in-formazioni molto complesse da trovare, non ab-biamo altri rapporti. Una risposta non è ancora

arrivata a causa dell’instabilità politica; con il cambiodi governo abbiamo dovuto ricominciare da capo laprocedura burocratica. Il sistema è molto complessoed è molto difficile per le persone accedere ai servizisanitari. La Chiesa conosce il nostro operato, anche aRoma, perché il nostro parroco ha presentato lì il pro-getto. Per quanto riguarda le organizzazioni, in Spa-gna c’è una fondazione che ci sostiene che si chiamaFundación Juntos Mejor e poi un altro gruppo, un’as-sociazione nata grazie a suor Isabel che si chiama Pro-jecté Haití. Non abbiamo però relazioni con altre ONG.Ci piacerebbe che questo fosse possibile per aiutarcia continuare la nostra missione».

Quali sono gli aspetti più soddisfacenti del vostro la-voro? Quali invece i più duri?

27HAITI | UNA SCUOLA PER TUTTI

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L: «È bello aiutare le persone, ma è molto difficilein alcuni casi fare loro accettare le protesi. Per esem-pio, si può immaginare un contadino che è abituato alavorare nei campi che perde un piede: con la protesinon può tornare a fare lo stesso e si sente morto. Il no-stro lavoro è parlare con lui e aiutarlo ad accettare lasua condizione al meglio».

E: «Se faccio qualcosa che fa stare meglio una per-sona sono contento. Spesso il lavoro è difficile perchémanca la corrente o il minimo necessario per farlo almeglio, oppure quando il paziente non accetta la pro-tesi, ma con il dialogo e la pazienza riusciamo a risol-vere molti problemi».

Dieuseul Jeanbaptiste (tecnico): «Mi piace aiu-tare Esna, io mi occupo della parte di cosmetica delleprotesi, è importante per aiutare i pazienti a sentirsipiù a loro agio. A volte è difficile, si è sempre al serviziodel paziente, e quindi spesso il lavoro dev’essere ri-fatto per realizzare ciò che lui e non noi vogliamo.L’aspetto psicologico è molto importante».

Qual è il vostro sogno per il futuro?L: «Vorrei che l’Atelier possa continuare con la sua

missione per rispondere ai bisogni della gente, checontinuano a esserci al di là dell’emergenza nata conil terremoto».

SUOR TIPHAWAN TAOLIM, FOYER BETHLÉEM,CENTRO PER BAMBINI DISABILI SAN CAMILLO

Cos’è il Foyer Bethléem? Quando è nato?«È un luogo di accoglienza di bimbi con handicap

più o meno gravi, perché possano trovare una fami-glia, un’accoglienza di lunga du-rata. È nato nel marzo del 2004per dare un segno di pace eamore in un anno di guerra perHaiti. Nell’opera dei Camilliani,che è un ospedale, venivano ab-bandonati i bambini rifiutati dal-le famiglie, soprattutto perchédisabili. Ai tempi ne erano statiaccolti 52, spostati dall’ospedalealla struttura a fianco, alla qualesi è voluto dare una forma dicasa famiglia, decisamente piùadatta a loro. Si è riusciti pian piano a rispondere alleesigenze, anche cercando di ritrovare alcune famiglie,ristabilendo il contatto almeno con una parte di que-ste».

Quanti bambini sono ospitati nella struttura? Chisono?

«Al momento ci sono 79 bambini che vengono dadiverse aree del Paese, ma circa la metà sono della

zona. Si tratta di casi di abbandono, anche se stiamocercando di lasciare questo modello per manteneresempre dei legami con le famiglie. Sono divisi in duefoyer, una parte nuova per i più piccoli e una per chi èpiù grande; infatti c’è anche chi ha 25 anni».

Quali tipi di attività si svolgono nel centro? Con qualescopo? In particolare come si sta sviluppando il supportoeducativo?

«L’attività principale è dare affetto ai bambini ricre-ando l’ambiente della famiglia. Il personale lavora arotazione 24 ore su 24 dando assistenza costante aibambini. Molti sono anche malati, quindi ci sono delleinfermiere. Inoltre anche dei medici italiani e dei fisio-terapisti canadesi che sono venuti ad aiutarci volon-tariamente, e poi c’è una collaborazione fin dall’iniziocon Aksyon Gasmy, sia per la formazione che per l’im-pegno pratico. I bambini che sono ospitati hannospesso situazioni molto gravi; è quindi difficile chepossano svolgere un percorso scolastico normalenella situazione in cui si trova Haiti, ma anche perchéil foyer non ha le risorse economiche per pagare lorola scuola. Negli ultimi mesi abbiamo messo in fun-zione una piccola classe perché possano fare attivitàdi gruppo, socializzare e sviluppare le capacità chehanno. Ci sono delle giovani della nostra comunitàche hanno cominciato l’esperienza; ci piacerebbe dav-vero costruire un percorso educativo che possa aiu-tare i bambini. La promessa c’è».

Esistono dei percorsi di integrazione?«Ci piacerebbe ma dobbiamo andare passo per

passo, perché è un’esperienza nuova e dobbiamo ri-spettare i delicati equilibri della realtà».

Fino a che età i bambini sono ospitati? Cosa fannouna volta arrivato il momento di lasciare il foyer?Come vengono accolti dalla comunità? Con qualisperanze?

«I bambini più piccoli che sono qui hanno 11mesi, se no di solito iniziamo dai due anni. Nonc’è un limite di età, alcuni restano qui per sem-pre. Si tratta di situazioni gravi, non saprebberodove andare, non ci sono altre strutture che ab-biano disponibilità, ed è difficile chiedere a que-sti altri pochi altri centri che esistono. Nel casoin cui le famiglie non siano disposte a riaccettarlial loro interno, come di solito accade anche permancanza totale dei mezzi per farlo, è impossi-

bile che tornino a vivere nella comunità».Qual è il vostro sogno per il futuro?«Ci piacerebbe rafforzare la professionalità del per-

sonale: pensiamo a una vera e propria équipe compe-tente che lavori con il cuore in mano, come dice SanCamillo. Vorremmo sviluppare le capacità dei bambinicon l’educazione e il potenziamento di quello chehanno».

28 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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OSCAR E BERRY CON AKG: ASSOCIAZIONE DI CO-MUNITÀ

Chi nella vostra famiglia è coinvolto dalle azioni diAKG? In che modo? In che misura e come gli altri membridella famiglia sono coinvolti?

I signori Gèrald e il piccolo Oscar di 4 anni (O):«Il primo a essere coinvolto è stato il piccolo Oscar,che ha poi portato tutta la famiglia a fare parte delprogramma di AKG. Oltre alla fisioterapia, parteci-piamo sempre alle riunioni organizzate una volta almese, dove impariamo come meglio gestire le ne-cessità del bambino, riceviamo formazione sulla sa-lute, ma soprattutto impariamo a dare il giustovalore a questi piccoli: lo stesso che meritano tutti glialtri bambini. Inoltre i padri dei bambini che parte-cipano alle attività di AKG sono stati invitati a lavo-rare per l’associazione come muratori, costruendodelle case per alcune famiglie in difficoltà dopo il ci-clone dell’anno passato. Questo è molto importanteperché permette ai genitori di curare il proprio bam-bino quando sta male e an-che di dargli da mangiare, unproblema davvero grande quiad Haiti».

I signori Garry e il piccoloBerry di 14 anni (B): «Berry ciha portati a conoscere AKG.Partecipiamo sempre alle riu-nioni e alla formazione, cheservono per aiutare i bambinia vivere meglio all’interno del-la famiglia e della comunità,come tutti gli altri bambini».

Cosa rappresenta per voi AKG?O: «AKG per noi è una forza, significa meno bam-

bini che sono dimenticati e che soffrono a causa dellaloro malattia, significa aiutare la società a dare il giustovalore a tutti i piccoli».

B: «AKG è come una mamma, per quello che fa pernoi, perché si occupa di tutti gli aspetti della nostraesistenza, sia della salute che di tutto il resto che serveper vivere. Il papà di Berry è muratore e lavora all’in-terno del progetto, così abbiamo i mezzi per pagareautonomamente cibo, scuola e medicine».

Come siete entrati in contatto con questa associa-zione?

O: «L’esperienza è iniziata quando Oscar è nato. Eramolto piccolo e aveva dei problemi a stare seduto e amuovere il collo. Un responsabile di AKG è passato dacasa nostra e l’ha visto e ci ha incoraggiati ad andarea incontrare l’associazione. Madda e il resto del-l’équipe ci hanno accolti a braccia aperte, così ab-

biamo iniziato a frequentare le sessioni di fisioterapiadi AKG ogni venerdì per aiutare Oscar».

B: «Quando Berry aveva 2 anni ha iniziato ad avereuna malattia che lo faceva cadere all’improvviso.Quando aveva 4 anni, un fratello ci ha consigliato diandare a uno degli incontri organizzati da AKG con lacomunità. Madda ci ha ben accolti e aiutati con le me-dicine, con le opportunità di cura e con i viaggi versol’ospedale».

Come pensate sarebbe la realtà in cui vivete senza lapresenza di AKG?

O: «Se non ci fosse AKG non potremmo dire di es-sere senza soccorso, perché c’è sempre Bondye incielo che ci guarda. Ma proprio perché lui ci guarda hamandato AKG ad aiutarci. Se non ci fosse, saremmosterili».

B: «Se non ci fosse AKG non sapremmo come farea gestire la malattia di Berry, a trovare le medicine pertenerla sotto controllo: soffrirebbe moltissimo».

Quali aspetti relativi all’integrazione della persona di-sabile si stanno sviluppando nella comunità di cui fate

parte?O: «I bambini sono sempre seguiti nelle loro

necessità: per esempio c’è una classe per loroalla scuola di Mare Rouge, oppure i bambini chenon parlano vengono portati da AKG a Lavaud,alla scuola delle suore per i bambini sordomuti.Per chi ha dei problemi gravi, che impedisconodi imparare a scuola, c’è la possibilità di appren-dere a fare artigianato e altre cose più pratiche».

B: «Se non ci fosse AKG i bambini con handi-cap non andrebbero neanche a scuola, come av-veniva in passato, quando le persone credevano

che questi bambini non avessero alcun valore. Ab-biamo capito che anche i bambini disabili sono comegli altri, possono imparare, e mandandoli a scuola po-tranno realizzarsi nella vita: un giorno potrebberoanche diventare senatori o politici!».

Come si pone la scuola nei confronti di vostro figlioper quello che riguarda l’integrazione? Com’è una gior-nata tipica a scuola del bambino?

O: «Oscar non va ancora a scuola».B: «Berry frequenta la scuola pubblica di Mare

Rouge, è in ottava (prima media?). Anche se va piùlento degli altri frequenta la scuola per imparare e perstare con gli altri bambini. Non ci sono particolari sup-porti per aiutarlo ad apprendere, ma se ha bisogno ilprofessore ripete».

Qual è il vostro sogno per il futuro? O: «Vorremmo che tutti i nostri figli possano sor-

passarci, possano godere di una vita migliore della no-stra».

B: «Forza, coraggio e conoscenza per Berry».

29HAITI | UNA SCUOLA PER TUTTI

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Quando si parla di disabilità ci si trova ad affrontaretutta una serie di problematiche che vanno a incideresui diversi aspetti della vita della persona.

Discriminazione, situazioni di disagio, maltratta-menti degradanti e abusi, disuguaglianza, scarsità diservizi di riabilitazione e cura, difficoltà nell’accesso allagiustizia, alla libertà di movimento e mobilità perso-nale, e più in generale la tendenza all’ermarginazionee all’esclusione sociale sono alcune delle problemati-che che affliggono le persone con disabilità in tutto ilmondo. Tuttavia, i diritti fondamentali dell’uomo, cheogni Paese dovrebbe sforzarsi con tutti i mezzi di assi-curare per raggiungere l’obiettivo più grande del be-nessere collettivo, ad Haiti sembrano lontanissimi:chimere perse tra i fumi degli scarichi del traffico diPort-au-Prince, dei copertoni che bruciano durante lemille proteste, seppelliti tra i mucchi di rifiuti dove pa-scolano capre e maiali, avviliti dal cinismo e dalla disil-lusione verso un sistema incancrenito dalla corruzione,dalla diseguaglianza e dall’egoismo.

Educazione, salute, lavoro, parte-cipazione e protezione sociale, perla maggior parte degli haitiani nonsono accessibili, e quando lo sono,sono o a caro prezzo, o di una qua-lità inaccettabile, al di sotto di ognistandard minimo. In questo sistemae ambiente, la vita quotidiana dellepersone con disabilità, che ad Haitisono più di un milione, se lasciatesole dalle proprie comunità, diventauna sfida per la sopravvivenza: eroica, straziante e di-sperata. Fin dall’infanzia, i diritti dei bambini e dei gio-vani sono disattesi, primo fra tutti quello allo studio.Considerando che i bambini e giovani con disabilitàsotto i 18 anni si stima siano attorno ai 540.000, la loroinclusione educativa dovrebbe essere considerata unavera e propria priorità per il Paese. Tuttavia, nono-stante esista un quadro legislativo aggiornato negliultimi dieci anni secondo i principi e le linee guida in-ternazionali, l’applicazione delle leggi rimane per lopiù disattesa. Da questo quadro emerge che nono-stante i valori di fondo si rispecchino in una generalevolontà politica molto ideale e astratta, in realtà nonvengono tradotti in applicazioni concrete e politicherealmente incisive ed efficaci, lasciando di fatto il pa-norama e l’ecosistema se non intatto di poco variato.

I progressi che si possono registrare sono quindipienamente insoddisfacenti. Le barriere sono statesemplicemente individuate ma non scalfite e l’acces-sibilità per le persone disabili al lavoro, ai servizi sociali,

sanitari ed educativi è catastrofica. La legge haitiana sibasa sulla Convenzione ONU sul diritto alle Personecon disabilità e stabilisce che debba essere loro garan-tito lo stesso accesso all’educazione e alla formazionealle stesse condizioni delle persone non disabili. Conla presenza di soltanto 23 scuole speciali, e qualcheesempio sporadico di scuole che praticano l’educa-zione inclusiva, si può affermare, senza correre il rischiodi smentite, che siamo anni luce distanti dalla realizza-zione dei punti essenziali che costituiscono l’ossaturavaloriale ed etica della legislatura.

Sicuramente il maggiore cambiamento e successorimane l’istituzione dell’Ufficio del Segretario di Statoper l’integrazione delle persone con disabilità (BSEIPH),che svolge un ruolo molto attivo, collaborando conorganizzazioni internazionali. Questo ufficio rimanecomunque troppo fragile poiché i mezzi e le risorsemesse a disposizione sono insufficienti. I ministericompetenti, come quello dell’Educazione, e in gene-rale tutti i decisori politici, dovrebbero operare scelteimportanti e coraggiose. Infatti, la capacità di stimo-lare il cambiamento da parte dell’agenzia competenteper l’inclusione educativa, che è la Commissione perl’Adattamento Scolastico e l’Aiuto Sociale (CASAS), èdel tutto irrisoria. Senza una volontà politica questeagenzie poco possono fare se non assegnare qualcheborsa di studio e provare a sensibilizzare l’opinionepubblica. Un piano operativo è stato implementatoper istituire un’“educazione speciale” ma di fatto, seb-bene l’istruzione venga riconosciuta come un dirittoumano universale, i bambini e giovani con disabilità

6. La questione

Educazione, salute, lavoro, partecipazione e protezionesociale, per la maggior parte degli haitiani non sono ac-cessibili, e quando lo sono, sono o a caro prezzo, o di unaqualità inaccettabile. Così la vita quotidiana delle per-sone con disabilità – ad Haiti più di un milione – se la-sciate sole dalle proprie comunità, diventa una sfida perla sopravvivenza: eroica, straziante e disperata

30 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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che frequentano la scuola sono solo il 7%. Certo, in ge-nerale, rispetto ai dati relativi agli anni novanta, si os-serva un grande miglioramento, ma comunque sottoal 10% dei Paesi in via di sviluppo, e incomparabile ri-spetto all’Italia dove, solo per fare un esempio, l’inclu-sione scolastica dei soli bambini down tra i 7 e i 14anni raggiunge il 97,4% (dato CENSIS).

Il fenomeno dell’inclusione educativa ad Haiti, perquanto complesso, è caratterizzato da tre problemiprincipali:

1. UN APPROCCIO ISTITUZIONALE E GOVERNA-TIVO ALL’EDUCAZIONE INSUFFICIENTE, DEBOLEE POCO INCISIVO

Come si è visto, la volontà politica nel caso di riformeprofonde è fondamentale, specie quando si tratta diinvestimenti strutturali sul lungo periodo. Tale volontàdeve perdurare per un lasso di tempo sufficiente-mente lungo, ed essere di volta in volta confermata,al di là dei cambiamenti politici e di governo. Tuttavia,Haiti è stata caratterizzata negli ultimi anni da un’in-stabilità politica permanente che certo non ha favo-tito la creazione di un percorso duraturo e coerente.Come detto poc’anzi, le leggi non hanno ancora tro-vato applicazione in decreti concreti, che non solo sifocalizzino sull’inclusione, ma che a monte rafforzinoun sistema educativo debolissimo, basato su un’istru-zione privata (80% delle scuole sono private) costosis-sima ed esclusiva per l’élite, e di bassa qualità e ca-rente per la stragrande maggioranza della popola-zione che, con dei redditi medio-bassi, è costretta aspendere il 40% delle proprie entrate solo per le spesescolastiche annuali.

Naturalmente il costo per mandare a scuola unbambino che soffre di disabilità è ancora più alto. Tut-tavia è ormai evidente che la mancanza di un’educa-zione adeguata per le persone con disabilità non hasolo delle conseguenze dirette sul livello di povertàma dei costi aggiuntivi anche per l’intero welfare, inquanto senza la possibilità di sviluppare la propria au-tonomia queste persone rimangono dipendenti daiservizi assistenziali, oltre che dalla propria famiglia. Mase da un lato il sistema educativo di tipo inclusivo hadei costi relativamente maggiori rispetto a un sistemaeducativo come quello haitiano che non prevedeazioni specifiche per l’integrazione dei disabili, è al-trettanto vero che, al contrario, risulta più convenienterispetto ad un sistema basato sulle scuole speciali. Inquesto senso le scelte dei decisori politici latitano, eanche lì dove ci possono essere dei casi pilota e dellebuone pratiche, esse non solo non vengono messe asistema, ma nemmeno riconosciute, valorizzate e so-stenute.

È indubbio, quindi, che in un Paese povero comeHaiti sia necessario porre delle priorità. Tuttavia, comedimostrato da altri esempi africani, per migliorare laqualità dell’educazione e aprire le scuole all’inclusionedi tutti bisogna incominciare a erogare risorse ade-guate, sia per la formazione dei docenti e l’assunzionedi insegnanti di sostegno, che per l’adeguamentodelle scuole. Un segnale positivo si è riscontrato nel-l’ultima finanziaria, in cui il budget per l’educazioneha beneficiato di un incremento, anche se il governonon ha ancora specificato come intende utilizzare talifondi aggiuntivi.

2. SUPPORTO E FORMAZIONE INADEGUATI PERGLI INSEGNANTI E PER LE SCUOLE

Come visto, le disabilità possono essere molteplici el’approccio non può che essere individualizzato. Èdunque inevitabile che un bambino o giovane disa-bile con bisogni educativi speciali necessiti di inse-gnanti con competenze educative altrettanto speci-fiche. Ad Haiti, solo di recente, si è sviluppato un cur-riculum obbligatorio per i percorsi formativi degli in-segnanti, in modo che possano acquisire le cono-scenze di base necessarie a prendersi carico anchedegli studenti disabili. Sulla carta, si prevede quindiche, se approvato, tale curriculum porterà dei miglio-ramenti significativi nei prossimi anni.

Va però detto che la maggior parte del corpo do-cente delle scuole elementari e secondarie, specienelle periferie e nelle province, è composto da inse-gnanti che si improvvisano tali e di fatto non hannoquasi mai i titoli e una formazione coerente. I metodidi insegnamento proposti sono particolarmente rigidi,frontali e passivi, basati sulla memorizzazione e sullaripetizione di nozioni, piuttosto che su un percorsopedagogico dinamico e partecipativo volto a svilup-pare il pensiero logico e critico. Se da un lato, quindi,per l’educazione inclusiva sono necessari approcciflessibili, laddove la formazione degli insegnanti è dif-fusamente inadeguata e arbitraria il cambiamento ne-cessario ha bisogno di essere ancora più profondo.

Inoltre, il sistema scolastico haitiano è particolar-mente fragile nelle strutture e autoritario nei modi, in-centrato sulle prestazioni accademiche piuttosto chesui progressi individuali e pertanto restrittivo per ibambini disabili con bisogni educativi speciali. Es-sendo un sistema sostanzialmente tradizionale e perniente inclusivo, ai genitori resta la soluzione di segre-gare i propri figli con disabilità in casa o, quando se lopossono permettere (e solo nella capitale), mandarliin scuole speciali.

Le scuole poi mancano di materiali didattici appro-priati e spesso sono caotiche e fatiscenti. Le aule sono

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spesso sovraffollate e, come visto nella ricerca Caritaspresentata in questo dossier, anche quando c’è la vo-lontà da parte della scuola di includere gli allievi disa-bili, senza aggiunta di personale gli insegnanti regolarinon hanno tempo e risorse tecniche adeguate per so-stenere gli studenti disabili. Ad Haiti, infatti, mancanosupporti come gli assistenti in classe o gli insegnantidi sostegno, mentre il tutoraggio proposto dalla scuola“Saint Charles Borromée” di Liliavois è un ausilio im-portante ma insufficiente, in quanto durante le nor-mali ore di lezione non può essere praticato.

3. BARRIERE FISICHE E BARRIERE MENTALI

Ad Haiti l’accesso fisico agli edifici scolastici è un pro-blema enorme per i bambini con disabilità. Nelle scuo-le non ci sono rampe di ingresso checonsentano l’accesso alle sedie a ro-telle, gli edifici di più piani non hannoascensori, le porte sono strette, i postia sedere inadeguati, per non parlarepoi dei servizi igienici inaccessibili. Lestrade nel Paese non sono asfaltate,escluse, parzialmente, quelle dei gran-di centri urbani e alcune delle stradenazionali. La mobilità nelle città è unasfida: i mezzi pubblici sono presso-ché inesistenti, esclusa la rete capil-lare di pick up privati, detti tap tap, equipaggiati conpanche per portare la gente: misteriosamente efficaciper le persone non disabili, mezzi assolutamente ina-deguati per trasportare dei disabili. Nelle zone rurali ilmezzo di trasporto più diffuso è il mototaxi, che nontutti possono permettersi. Nelle zone più impervie,dove nemmeno le moto arrivano, c’è solo l’asino e il ca-vallo. Tuttavia la maggior parte dei bambini e giovaniraggiungono le proprie scuole a piedi, anche cammi-nando per tre ore ad andare e tre ore a tornare. Si capi-sce bene che le barriere fisiche sono enormi.

Oltre a quelle visibili, però, ci sono anche quelle piùsubdole, travestite, e insopportabili nelle conseguen-ze, dello stigma. Atteggiamenti e pregiudizi verso lepersone con disabilità sono molto diffusi. Le personecon disabilità sono considerate come invalidi, “assolu-tamente incapaci”, dei pesi da nascondere e rinchiu-dere, figuriamoci quindi se vale la pena educarli! Glistessi genitori non sanno bene come comportarsi difronte a una disabilità e, al di là delle organizzazionireligiose e non governative, il vuoto delle istituzioni èprofondo. Come evidenziato nei capitoli precedenti,il supporto istituzionale è fondamentale per ridurre ilprogiudizio. Ma anche nelle campagne di sensibilizza-zione le autorità locali sono spesso latitanti o nonsono trainanti come sarebbe necessario.

Infatti lavorare sui territori e nelle comunità è fon-damentale. Come dalla ricerca effettuata, le attività dicomunità hanno anche delle ripercussioni sull’atteg-giamento degli studenti: non va dimenticato che nelcampione da noi analizzato, ben il 30% ha mostratoun alto pregiudizio verso gli studenti con disabilità.Questo tipo di atteggiamento spesso ha conseguenzedirette sul comportamento a scuola e può portare abullismo e maltrattamenti da parte di altri studenti,nonché, quando riguarda gli insegnanti, demotivarlinelle sfide professionali e umane che l’educazione in-clusiva richiede. A volte il pregiudizio è così diffuso eil clima così poco incoraggiante da avere un effettosugli stessi studenti disabili, sulla loro autostima e ca-pacità di empowerment, finendo per assecondareun’aspettativa comune viziata e negativa, che porta afar sì che la profezia si avveri.

32 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

Lavorare sui territori e nelle comunità è fondamentale.Le attività di comunità hanno anche delle ripercussionisull’atteggiamento degli studenti. Il 30% del campioneha mostrato un pregiudizio alto verso gli studenti con di-sabilità. Questo atteggiamento spesso ha conseguenzedirette sul comportamento a scuola e può portare a bul-lismo da parte di altri studenti, nonché demotivare gliinsegnanti nelle sfide che l’educazione inclusiva richiede

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La scuola è una delle più importanti agenzie di socia-lizzazione, non solo perché le viene assegnato il com-pito pedagogico di educare le future generazioni, maanche perché è il luogo in cui gli studenti possonopotenzialmente relazionarsi tra loro come uguali, in-dipendentemente dal loro status economico e so-ciale. Pertanto, costituisce un’area di intervento in cuiè possibile pianificare e sperimentare attività ad hoce creative e dove le istituzioni possono dare concre-tamente supporto a questo processo. In tal senso, iprogrammi educativi e l’ambiente scolastico stessodovrebbero essere progettati per favorire la coope-razione e lo scambio, particolarmente importanti perl’inclusione dei bambini e ragazzi con bisogni specialie disabilità.

Ad Haiti (e in molti altri Paesi) sono tante le sfideche il sistema scolastico deve affrontare, a cominciaredalle diseguaglianze che sembra riprodurre come unospecchio della società stessa, fino all’arretratezza dellesue strutture e dei suoi programmi educativi. Comeabbiamo visto nei capitoli precedenti, nel Paese lamaggior parte delle scuole sono private e il livellodell’insegnamento è proporzionale alla retta annuale.Le famiglie più povere sono costrette a grandi sacrificiper mandare i propri figli a scuola: spesso frequentanoclassi sovraffollate dopo marce di ore. I docenti stessiutilizzano, a volte per necessità, metodi educativi ba-sati sulla memorizzazione. La qualità dell’educazioneè mediamente molto bassa e i metodi educativi rigidinon fanno della scuola un ascensore e motore di eman-cipazione non favorendo sufficientemente la mobilitàsociale.

Le scuole haitiane, quindi, povere di mezzi e risorseumane ed economiche, difficilmente affrontano l’inte-grazione scolastica dei bambini disabili, ancora vistidalla società come un peso, spesso nascosti dalle fa-miglie ed emarginati nelle comunità. Se quasi un terzodei partecipanti alla ricerca manifestava un pregiudiziomedio-alto, questa percentuale saliva sensibilmente al50% proprio in quei studenti provenienti da scuole incui non ci sono contatti con altri studenti disabili enelle comunità non ci sono attività di sensibilizzazionee inclusione.

Nel tempo, la Chiesa haitiana si è assunta ungrande impegno, non solo attraveso le molte congre-gazioni che si occupano di educazione e formazione,ma soprattutto attraverso le scuole parrocchiali, cheassicurano un livello minimo di istruzione anche nelleprovince più remote. Sicuramente questo sforzo hacontribuito a diminuire il tasso di anafabetismo glo-bale e in particolare nelle zone rurali. Più complessa

però è la situazione dei bambini con disabilità; infattianche qualche istituto religioso se ne occupa, ma gliesempi di integrazione scolastica sono rarissimi.

Tuttavia, se nei contesti pubblici e nelle altre nu-merose scuole private poco o niente si fa in questosenso, qualche buona pratica ed esperimento positivopossiamo evidenziarlo proprio all’interno della Chiesa.Oltre alle scuole speciali (come ad esempio l’istitu-to per sordomuti gestito dalle Suore Monfortane diCroix-des-Bouquets), in tutto il Paese i casi più interes-santi di integrazione scolastica che abbiamo rilevatosono i tre istituti scolastici oggetto del nostro studio:ognuno di essi un caso coraggioso, pionieristico e spe-rimentale, unico nel proprio contesto, espressione diuna differente proposta di inclusione educativa (vedicapitolo 4: ci riferiamo ai modelli che abbiamo definiti“inclusivo”, “speciale” e “occasionale”).

Se da un lato, quindi, l’ecosistema generale hai-tiano non è per niente facilitante per un bambino di-sabile, a livello scolastico qualche stimolo interes-sante è stato rilevato. Certo sono punti di partenza,frammentati e separati dall’intero sistema, che peròpossono rappresentare il primo tassello da mettere insinergia e un importante grimaldello per dare impulsoe incentivo a un cambiamento significativo dell’edu-cazione in senso inclusivo.

Ma ci sono delle condizioni perché questo cambia-mento possa avvenire. Secondo l’UNICEF l’educazioneinclusiva, per essere realizzata, ha bisogno di tre con-dizioni chiave: La forte volontà politica. I decisori politici hanno

il compito di adattare la legislazione e prenderetutte le misure politiche necessarie per garantirel’effettiva attuazione di sistemi educativi inclusivisia a livello nazionale che a livello locale. Infatti,compito della politica è quello di riflettere su comegarantire che nessuno studente sia dimenticato olasciato indietro.

Un cambiamento complessivo del sistema edu-cativo. L’educazione inclusiva mira a fornire un’i-struzione di alta qualità a tutti gli studenti conun’attenzione speciale per quelli a rischio di emar-

7. Proposte ed esperienze

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ginazione, esclusione e scarso rendimento scola-stico, come i bambini disabili. La risposta deve es-sere flessibile in base alle circostanze ed esigenze,nonché ai bisogni speciali dei singoli; ciò comportaun cambiamento globale del sistema scolastico.

Un’adeguata allocazione di risorse finanziarieed umane. L’educazione inclusiva coinvolge tuttele componenti del sistema scolastico e in quantotale deve essere parte del finanziamento generalee stabile assegnato alle scuole per l’educazione ditutti gli studenti. Può includere naturalmente an-che finanziamenti aggiuntivi, se necessario, per for-nire un supporto più intenso per gli studenti conbisogni speciali.

Tuttavia il processo per arrivare a un cambiamentoradicale ha bisogno di essere accompagnato e facili-tato da delle attività di persuasione, sensibilizzazionee coinvolgimento di tutti i principali attori. Per questaragione le progettualità che proponiamo si dovreb-bero articolare attorno a due obiettivi specifici priori-tari:

SENSIBILIZZARE ALL’INTERNO E ALL’ESTERNODELLA CHIESA E DELLA SOCIETÀ CIVILE

Come dicevamo, ad Haiti nel campo educativo laChiesa svolge un ruolo fondamentale. Da un lato lescuole esclusive cattoliche sono l’eccellenza che formal’élite del Paese; dall’altro lato le scuole parrocchialinelle province si sforzano di garantire l’accesso al-l’istruzione ai più vulnerabili. Tuttavia, in entrambi icasi, l’integrazione scolastica dei disabili si fa ancoratroppo poco. Necessario diventa quindi operare unacoscientizzazione pianificata all’interno dello stessomondo della Chiesa, delle Caritas locali e dei fedeli.Nel contempo diventano necessarie delle attivitàvolte a comunicare anche con l’esterno, le comunitàlocali, i direttori delle scuole, gli studenti, le istituzioni,il governo e la società civile.

Lo studio pubblicato in questo dossier dimostra inmaniera inequivocabile come tali attività di sensibiliz-zazione e inclusione sociale operate sul territorio coin-volgendo più soggetti, hanno la capacità di ridurresensibilmente il pregiudizio. Immagini e linguaggi ne-gativi, stereotipi e stigma permangono a più livellidentro la società haitiana; tuttavia possono esserecombattuti, come abbiamo visto, promuovendo ilcontatto e la conoscenza diretta, la cooperazione, eattraverso delle campagne mirate.

La conoscenza in materia di disabilità e disturbomentale può portare non solo a ridurre il pregiudizioma anche a favorire la guarigione, come dimostrato inuno studio sull’effetto delle campagne di informazione

sulla psicosi in Norvegia. Programmi di riabilitazionebasati sulla comunità possono sfidare atteggiamentinegativi soprattutto tra le comunità rurali, portando auna maggiore visibilità e alla partecipazione delle per-sone con disabilità. È questo il caso dei contesti sensi-bilizzati in cui le scuole oggetto della ricerca si inse-rivano. In particolare a Mare Rouge e Croix-des-Bou-quets, oltre a occuparsi di educazione, le ONG localiavevano creato dei centri locali di riabilitazione. Di-venta quindi fondamentale proporre delle azioni voltea creare alleanze per fare advocacy, offrire possibilitàdi contatto e socializzazione tra persone con disabilitàe non, preparare campagne di informazione e sensi-bilizzazione, sostenere centri di riabilitazione comuni-tari.

PROMUOVERE UN MODELLO OLISTICODI INCLUSIONE EDUCATIVAE L’APPRENDIMENTO COOPERATIVODi pari passo alle attività di sensibilizzazione, i modellidi inclusione educativa basati sull’apprendimento coo-perativo devono essere diffusi e promossi non solo at-traverso un coinvolgimento dal basso delle scuole, deigenitori e degli studenti, ma anche operando a strettocontatto con il Ministero dell’Istruzione nazionale edella formazione professionale (MENFP) e le sue agen-zie. Da questo punto di vista il BSEIPH e il CASAS rap-presentano delle sponde molto importanti, così cometutte quelle ONG locali e internazionali che stanno pro-muovendo la formazione degli insegnanti. Attraversola strutturazione di una rete che rafforzi le alleanze tratutti i soggetti, pubblici e privati, si può inizare a co-struire un modello haitiano di inclusione educativa cheparta dalle buone pratiche già sviluppate sul territorioe dalle risorse che già esso può fornire. I limiti struttu-rali e finanziari del sistema scolastico possono esseresuperati non solo investendo maggiormente sul set-tore, ma anche trovando delle modalità che integrinodiverse forme di sostegno allo studente disabile.

Le esperienze a livello internazionale sono altresìimportanti. L’UNESCO, ad esempio, ha prodotto dellelinee guida per aiutare i decisori politici e manager acreare politiche e pratiche che sostengono l’inclu-sione. Un mix di incentivi e aiuti anche immateriali aidisabili possono essere promossi e implementati va-lorizzando le risorse delle comunità e i contributi diogni attore. Anche nel caso della scuola “Saint CharlesBorromée”, in cui è previsto un sistema di tutoringdegli studenti più grandi con i loro compagni disabilidelle primarie, senza insegnanti di sostegno in classimolto affollate lo studente disabile non può esseresufficientemente seguito.

Per questa ragione, un mix di fattori dovrebbe per-mettere di costruire un modello sostenibile sia dal

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punto di vista educativo che finanziario. Una partedelle spese dovrebbero essere sostenute da contributipubblici a disposizione delle scuole inclusive, mentreil rimanente dai privati stessi e dalla comunità e, informe differenti, dai genitori e dai bambini stessi in unprocesso di responsabilizzazione e presa in carico. Gli

sforzi comuni dovrebbero essere indirizzati a costruireun modello olistico che valorizzi e sostenga tutte leparti e le relazioni tra esse. In questo quadro rafforzarela formazione dei docenti diventa comunque fonda-mentale, promuovendo anche percorsi di apprendi-mento cooperativo fra i metodi di integrazione.

L’APPRENDIMENTO COOPERATIVO

Tra i vari metodi per facilitare l’inclusione tra studenti disabili e non, dentro la cornice della scuola, uno dei piùinnovativi ed efficaci è l’apprendimento cooperativo. Seguendo le indicazioni derivate dall’ipotesi del contatto,questo metodo propone un apprendimento basato sull’interdipendenza cooperativa all’interno di piccoligruppi misti di studenti.

Le attività di apprendimento per raggiungere questo fine devono essere strutturate in modo che il lavoro tra imembri del gruppo sia tale che ciascuno di essi abbia bisogno dell’altro per raggiungere un obiettivo comune.

Il senso ultimo da trasmettere è che per ottenere un buon risultato finale è essenziale che ogni persona forniscail suo specifico contributo, così da ottenere il risultato comune. In questo modo, si può sviluppare una reciprocainterdipendenza. Il ruolo dei singoli membri del gruppo deve essere chiaro e differenziato, ma allo stessotempo della stessa importanza.

Inoltre, a differenza dei metodi classici di educazione, la cooperazione richiede una frequente interazione trastudenti con disabilità e coloro che non sono disabili, che dura per un lungo periodo e che comporta l’inevi-tabile approfondimento della conoscenza reciproca. Il contributo di ogni persona diventa pertanto cruciale.Quindi, è anche importante che tutti partecipino alle azioni in base ai propri talenti e che ci sia una distribu-zione equa tra il numero di studenti con disabilità e quelli non disabili 1.

Inoltre, è opportuno evitare di inserire all’interno dei gruppi di apprendimento cooperativo elementi di com-petizione che potrebbero peggiorare i risultati. Se infatti il gruppo misto (composto da persone disabili e nondisabili) fallisce il proprio compito, ciò potrebbe significare un’escalation di stereotipi negativi e quindi un au-mento della discriminazione (gli studenti con disabilità potrebbero facilmente diventare dei capri espiatori).

Le ricerche hanno già evidenziato come gli effetti dell’apprendimento collaborativo possono portare a cam-biamenti significativi dell’atteggiamento nei confronti degli studenti con disabilità 2. Infatti l’atteggiamentodegli studenti che hanno partecipato a gruppi di apprendimento cooperativo con altri studenti disabili è statopiù positivo rispetto ai loro coetanei che hanno lavorato individualmente. Inoltre, l’impegno nello svolgere ilcompito era più alto nei gruppi cooperativi, sia tra i bambini disabili che non disabili 3.

Questi risultati molto positivi sono stati riportati anche in altri studi condotti in una scuola speciale per bambinicon gravi disturbi dell’apprendimento 4.

Nella scuola è stato condotto un programma di scambio con la vicina scuola elementare. I bambini coinvoltiin questa iniziativa hanno mostrato un atteggiamento migliore nei confronti dei bambini con disabilità e ledifferenze sono state percepite come meno importanti. Al contrario, i bambini che non hanno beneficiato delprogramma di scambio hanno mantenuto un atteggiamento costante. Il risultato di questo studio è ancorapiù incoraggiante se si considera che i bambini coinvolti hanno successivamente scelto in misura sempre mag-giore di giocare assieme e stabilire nuove interazioni con bambini disabili anche se non li conoscevano.

Questi risultati interessanti, che rappresentano interventi concreti, sono certamente stimolanti. Tuttavia nonva dimenticato che i programmi di apprendimento cooperativo sono ancora sperimentali ed eccezionali ri-spetto all’esperienza scolastica quotidiana. Inoltre, la durata spesso breve di questa modalità educativa po-trebbe non essere sufficiente per cambiare atteggiamenti più radicati.

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Riepilogo interventi finanziati ad Haiti (2010-2017)

AMBITO IMPORTO (€) N. PROGETTI % SUL TOTALE

Assistenza sfollati 2.820.192,85 5 11,7

Formazione einclusione sociale 8.579.097,18 52 35,6

Sanitario 3.021.817,29 42 12,5

Socio-economico 8.300.348,68 113 34,4

Totale progetti 22.721.456,00 212 94,3

Gestione 1.373.437,68 5,7

Totale 24.094.893,68 212 100,0

GLI INTERVENTI DI CARITAS ITALIANA AD HAITI

L’attenzione ai disabili e, in generale, alle fasce deboli della popolazione è una costante trasversale del-l’azione di Caritas Italiana sia nei progetti di risposta all’emergenza sia nei progetti sanitari e di formazione(sostegno alle scuole primarie, accoglienza bambini di strada, cura dell’infanzia, aggregazione sociale).

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Tuttavia, prima di trarre facili conclusioni, è necessario tenere in considerazione un elemento apparentementescontato ma importante che caratterizza la complessità di questi interventi pedagogici: non è possibile eluderela disabilità, annullarla o neutralizzarla o assimilarla a norme e valori.

Le diverse disabilità e le barriere che essa comporta sono infatti di per sé un ostacolo molto difficile da superarein un rapporto che deve essere contemporaneamene paritario, basato sulle differenze, e volto a un risultato co-mune. Il fallimento della cooperazione potrebbe avere effetti contrari. La soluzione ideale è quella di garantireil pluralismo, di assegnare compiti che, proprio grazie alla diversità, possono valorizzare i diversi contributi.

A livello di cooperazione internazionale ad Haiti pur-troppo sono pochi gli interventi che vengono fatti esembra che ancora di più le persone con disabilitàsiano le più emarginante quando invece possono be-neficiare di progetti e devono essere incluse neglisforzi di sviluppo, sia come beneficiari che nella pro-gettazione, realizzazione e monitoraggio degli inter-

venti. Anche per questa ragione gli sforzi della coope-razione internazionale nei prossimi anni dovrebberoconcentrarsi maggiormente e indirizzarsi a suppor-tare l’empowerment delle persone con disabilità par-tendo anche dalle considerazioni emerse nei prece-denti dossier: ripartire dalla terra per costruire lo svi-luppo e investire nella scuola per liberare il Paese.

Tra i progetti... Le Suore Missionarie Scalabriniane della ScuolaMista “Saint Charles Borromée” a Croix-des-Bouquets hanno pro-mosso e realizzato un progetto di integrazione scolastica sostenutoda Caritas Italiana dove i bambini disabili, fratelli di altri alunni dellascuola, vengono seguiti da personale docente, in collaborazione conle famiglie e con l’ausilio di volontari e studenti. Le attività: bricolage,pittura, musica, gite, sport, agro-ecologia, attenzione all’ambiente ealle risorse naturali.

Info sui progetti:Ufficio America Latina e [email protected]

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NOTE

1. Il problema a livello internazionale1 Lee R., The demographic transition: three centuries of funda-

mental change. The Journal of Economic Perspectives, 2003.2 Parmenter TR., The present, past and future of the study of

intellectual disability: challenges in developing countries.Salud Pública de México, 2008.

3 Oliver M., The politics of disablement, Basingstoke, Macmil-lan and St Martin’s Press, 1990.

4 Caulfield LE et al., Stunting, wasting and micronutrient defi-ciency disorders, in: Jamison DT et al., eds. Disease controlpriorities in developing countries, Washington, Oxford Uni-versity Press and World Bank, 2006.

5 Miller P, Parker S, Gillinson S., Disablism: how to tackle thelast prejudice, London, Demos, 2004.

6 Thornicroft G., Rose D., Kassam A., Discrimination in healthcare against people with mental illness, International Reviewof Psychiatry (Abingdon, England), 2007.

7 Grammenos S., Illness, disability and social inclusion, Dublin,European Foundation for the Improvement of Living andWorking Conditions, 2003.http://www.eurofound.europa.eu/pubdocs/2003/35/en/1/ef0335en.pdf.

8 Roulstone A, Barnes C, eds. Working futures? Disabled peo-ple, policy and social inclusion, Bristol, Policy Press, 2005.

9 Sen A., The idea of justice, Cambridge, The Belknap Press ofHarvard University Press, 2009.

10 Filmer D., Disability, poverty and schooling in developingcountries: results from 14 household surveys, The World BankEconomic Review, 2008.

11 Burchardt T., The education and employment of disabledyoung people: frustrated ambition, Bristol, Policy Press,2005.

12 The present situation of special education, Paris, United Na-tions Educational, Scientific and Cultural Organization,1988.

13 Education for All, Salamanca framework for action, Washin-gton, United Nations Educational, Scientific and CulturalOrganization, 1994.

14 Zigmond N, Baker JM., An exploration of the meaning andpractice of special education in the context of full inclusionof students with learning disabilities, The Journal of SpecialEducation.

15 Fisher M., Meyer LH., Development and social competenceafter two years for students who enrolled in inclusive and self-contained educational programs. Research and Practice forPersons with Severe Disabilities, 2002.Donaldson J., Pezzoli M., Some benefits nonhandicappedadolescents perceive for themselves from their social relation-ships with peers who have severe handicaps, The Journal ofthe Association for Persons with Severe Handicaps, 1990.Baker ET., Wang MC., Walberg HJ., The effects of inclusionon learning. Educational Leadership, 1994.

16 Afako R. et al., Implementation of inclusive education poli-cies in Uganda. Collaborative research between the Centre of

International Child Health and the Uganda National Instituteof Special Education, Paris, United Nations Educational,Scientific and Cultural Organization, 2002.

17 Ingstad B., Whyte SR., eds. Disability and culture, Berkley,University of California Press, 2005.

18 Kvam MH., Braathen SH., Violence and abuse againstwomen with disabilities in Malawi, Oslo, SINTEF, 2006.

19 McGrew KS., Evans J., Expectations for students with cogni-tive disabilities: Is the cup half empty or half full? Can the cupflow over?, Minneapolis, National Center on EducationalOutcomes, University of Minnesota, 2003.http://education.umn.edu/NCEO/OnlinePubs/Synthesis55.html

20 Watson N. et al., Life as a disabled child: research report,Edinburgh, University of Edinburgh, 1998.

2. Il problema a livello nazionale1 Bureau du Secrétaire d’Etat à l’Intégration des Personnes

Handicapées BSEIPH, Rapport de la République d’Haïti auComité des droits des personnes handicapées, 2013.

2 Rapport de la République d’Haïti au Comité des droits despersonnes handicapées, BSEIPH, 2013.

3 Rapport initial de la République d’Haïti au Comité desdroits des personnes handicapées, BSEIPH, 2013.

4 Rapport de la République d’Haïti au Comité des droits despersonnes handicapées, BSEIPH, 2013.

5 Advocacy Note on Inclusive Education, Handicap Interna-tional.

6 USAID: http://www.usaid.gov/haiti/education7 Save the Children: http://www.savethechildren.it8 Caritas Italiana, Dossier con dati e testimonianze, Concen-

trato di povertà. Investire nella scuola per liberare un Paese,2016.

3. Cause e connessioni con l’Italia e l’Europa1 European Agency for Special Needs and Inclusive Educa-

tion, PETITIONS, Inclusive education for learners with di-sabilities, 2017.

2 OMS, World report on disability 2011.3 L’European Agency for Development in Special Needs

Education ha definito la segregazione quando l’alunnocon bisogni speciali passa più dell’80% della giornata sco-lastica all’interno di classi speciali separate o scuole spe-ciali.

4 Schulz et al., 2010.5 OCSE, 2016.6 OCSE, 2016.7 Agenzia europea, 2016.8 European Agency for Special Needs and Inclusive Educa-

tion, PETITIONS, Inclusive education for learners with di-sabilities, 2017.

9 European Agency for Development in Special Needs Edu-cation, Financing of Inclusive Education: Mapping CountrySystems for Inclusive Education, 2017.

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10 European Agency for Development in Special Needs Edu-cation, Inclusive Early Childhood Education. An analysis of32 European examples, 2017.

11 Rapporto Trellle – Caritas Italiana – Fondazione Agnelli, Glialunni con disabilità nella scuola italiana, bilancio e prospet-tive, 2011.

12 Indicatori di misurazione dell’integrazione scolastica peruna scuola inclusiva in Europa. Agenzia Europea per lo Svi-luppo dell’Istruzione degli Alunni Disabili, 2009.

4. Dati1 La scala Likert viene utilizzata nella ricerca sociale per mi-

surare l'atteggiamento verso un determinato soggetto ogruppo sociale. A una serie di affermazioni (item) cheesprimono un atteggiamento positivo e negativo verso ilsoggetto stesso, il partecipante deve esprimere su unascala divisa solitamente in 5 o 7 gradi il suo livello di ac-cordo/disaccordo. Più ci si muoverà verso gli estremi dellascala (1 e 5), più forte sarà l’accordo o il disaccordo del ri-spondente, di conseguenza l’atteggiamento manifestato.

7. Proposte ed esperienze1 Vedi Miller N. e Davidson-Podgorny G., 1987, Modelli teorici

delle relazioni intergruppo e l'uso di gruppi cooperativi comeintervento per contesti desegregati, in C. Hendrick (a curadi), Review of Personality and Social Psychology, Vol. 9:Group Perspectives in Psychology, pp . 205-220, Wiley,New York.

2 Vedi Armstrong B., Johnson DW., & Balow B., 1981, Effettidi esperienze di apprendimento cooperativo vs. individua-listico sull’attrazione interpersonale tra studenti dellescuole elementari con disabilità e apprendimento nor-male, Psicologia dell’educazione contemporanea, 6, 102-109.

3 Vedi Johnson R., Rynders J., Johnson DW., Schmidt B., &Haider S., 1979, Interazione tra adolescenti handicappatie non handicappati in funzione della strutturazione diobiettivi situazionali: implicazioni per il mainstreaming:American Educational Research Journal.

4 Vedi Maras P., & Brown R., 2004, Effetti del contatto sull’at-teggiamento dei bambini verso la disabilità: una longitu-dinale Studio: Journal of Applied Social Psychology.

38 CARITAS ITALIANA | DOSSIER CON DATI E TESTIMONIANZE

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Nel mondo oltre 1 miliardo di persone, circa il 15% della popolazione, soffre diuna qualche forma di disabilità, che rende vulnerabili. In che misura?

Lo si comprende solo considerando tutti quei fattori fisici, ambientali e sociali chela determinano e che, se non riconosciuti e se non trovano risposte adeguate,marginalizzano la persona in una condizione di perenne esclusione.

In generale le persone con disabilità sono discriminate. La scuola non fa ecce-zione. I nuovi dati e le testimonianze contenute in questo dossier indicano cheHaiti è un Paese in cui l’inclusione educativa e l’integrazione scolastica dei bambinicon disabilità sono ancora a uno stato embrionale.

Occorre un passaggio. Di mentalità. Una Pasqua.

Occorre lavorare sui territori e nelle comunità; sensibilizzare ad ogni livello; pro-muovere un’inclusione educativa e un apprendimento cooperativo finalizzati auno “sviluppo umano integrale” per tutti. Nessuno escluso.

www.caritas.it

I precedenti dossier (disponibili su www.caritas.it; shortlink alla sezione: http://bit.ly/1LhsU5G):1. GRECIA: Gioventù ferita – Gennaio 20152. SIRIA: Strage di innocenti – Marzo 20153. HAITI: Se questo è un detenuto – Aprile 20154. BANGLADESH, INDIA, SRI LANKA, THAILANDIA: Lavoro dignitoso per tutti – Maggio 20155. BOSNIA ED ERZEGOVINA: Una generazione alla ricerca di pace vera – Giugno 20156. GIBUTI: Mari e muri – Giugno 20157. IRAQ: Perseguitati – Luglio 20158. REPUBBLICA DEL CONGO: «Ecologia integrale» – Settembre 20159. SERBIA E MONTENEGRO: Liberi tutti! – Ottobre 201510. AFRICA, AMERICA LATINA, ASIA: Un’alleanza tra il pianeta e l'umanità – Dicembre 201511. HAITI: Concentrato di povertà – Gennaio 201612. AFRICA SUB-SAHARIANA: Salute negata – Febbraio 201613. SIRIA: Cacciati e rifiutati – Marzo 201614. NEPAL: Tratta di esseri umani. Disumana e globale – Aprile 201615. GRECIA: Paradosso europeo – Maggio 201616. HAITI: Rimpatri forzati – Giugno 201617. ASIA: Per un’ecologia umana integrale – Settembre 201618. ARGENTINA: Il narcotraffico come una metastasi – Settembre 201619. ASIA: Diversa da chi? – Ottobre 201620. EUROPA: Generatori di risorse – Novembre 201621. AFRICA OCCIDENTALE: Divieto di accesso – Dicembre 201622. HAITI: Ripartire dalla terra – Gennaio 201723. ALGERIA: Purgatorio dimenticato – Febbraio 201724. SIRIA: Come fiori tra le macerie – Marzo 201725. NEPAL: Il terremoto dentro – Aprile 201726. Un mondo in bilico – Maggio 201727. VENEZUELA: Inascoltati – Luglio 201728. FILIPPINE: Il futuro è adesso – Settembre 201729. TERRA SANTA: All’ombra del muro – Settembre 201730. ASIA: Per un lavoro dignitoso – Ottobre 201731. KOSOVO: Minoranze da includere – Novembre 201732. AFRICA: Fame di pace – Gennaio 201833. BALCANI: Futuro minato – Febbraio 201834. SIRIA: Sulla loro pelle – Marzo 2018