Dossier Arte 2013

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V ittorio Veneto: città in provincia di Treviso. Film: pellicola, membrana, prodotto tipico dell’industria cinematografi- ca. Festival: evento festivo, manifestazione che comprende una pluralità di spettacoli nell’ambito di un coerente progetto cultura- le. Ebbene, unendo tutte queste definizioni troviamo il vero significato del Vittorio Ve- neto Film Festival, ovvero, un Festival Inter- nazionale di Cinema per ragazzi dai 6 ai 25 anni.Vi chiederete, cos’ha questo Festival in più rispetto a tutti gli altri? Ed ecco che per rispondere a tutti i vostri dubbi e a tutte le vostre domande entro in scena io. Mi chiamo Martina, ho diciannove anni e faccio parte dello staff organizzativo del Vittorio Vene- to Film Festival da circa due anni. La mia esperienza ebbe inizio durante la II° edizione dell’evento dove fui selezionata per parteci- pare, durante le tre giornate previste, ad un workshop di recitazione cinematografica te- nuto dall’attrice Barbara Enrichi, esperienza che implicava automaticamente la mia par- tecipazione alla 68° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica del Cinema di Ve- nezia; dove ho potuto, a piccoli passi, farmi conoscere all’interno del gruppo e capire le dinamiche per poter organizzare un evento così grande. Non sono mai stata una persona piena di spirito d’ iniziativa, e, proprio per questo motivo non mi sono maiinteressata a nessuna attività alternativa alla scuola, fino al momento in cui sono entrata in contatto con questo ambiente che mi ha subito entu- siasmata. Ho capito così di poter dare il mio contributo per l’organizzazione del Vittorio Veneto Film Festival grazie all’aiuto e al supporto datomi dal direttore generale Eli- sa Marchesini. Il nostro gruppo di lavoro è formato da circa venti ragazzi che si scam- biano in continuazione idee sulla struttura che dovrà prendere ogni edizione anche se è molto complesso trovare sempre il riscontro positivo di tutti e spesso lo è ancor di più discutere senza litigare e andare d’accordo malgrado la diversità ed il carattere di ognu- no di noi. Ciò che rende meraviglioso questo Festival è proprio l’impegno che si impo- ne verso noi giovani, mettendoci sempre al primo posto dandoci la possibilità di essere noi stessi gli organizzatori e permettendo ai mille ragazzi della giuria provenienti da varie scuola d’Italia ed Europa di esprime- re una loro preferenza sui film in concorso (doppiati direttamente in sala). Un anno per organizzare il Festival fatto dai giovani per i giovani, che si rivela, ogni anno di più una spirale di soddisfazioni ed emozioni che ci spinge, ci sprona a fare sempre qualcosa di più e a dare il meglio di noi stessi. Chiedete alle vostre scuole di partecipare alla IV° edi- zione del Vittorio Veneto Film Festival che avrà luogo dal 17 al 20 aprile 2013 a Vittorio Veneto (Treviso). Vi aspettiamo numerosi !!!! THIS IS VITTORIO VENETO FILM FESTIVAL Martina De Bortoli

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Pubblicazione d'Arte abbinata a LA VIRGOLA numero unico 2013, giornale del Liceo Artistico BRUNO MUNARI di Vittorio Veneto

Transcript of Dossier Arte 2013

Vittorio Veneto: città in provincia di Treviso. Film: pellicola, membrana,

prodotto tipico dell’industria cinematografi-ca. Festival: evento festivo, manifestazione

che comprende una pluralità di spettacoli nell’ambito di un coerente progetto cultura-le. Ebbene, unendo tutte queste definizioni troviamo il vero significato del Vittorio Ve-neto Film Festival, ovvero, un Festival Inter-nazionale di Cinema per ragazzi dai 6 ai 25 anni.Vi chiederete, cos’ha questo Festival in più rispetto a tutti gli altri? Ed ecco che per rispondere a tutti i vostri dubbi e a tutte le vostre domande entro in scena io. Mi chiamo Martina, ho diciannove anni e faccio parte dello staff organizzativo del Vittorio Vene-to Film Festival da circa due anni. La mia esperienza ebbe inizio durante la II° edizione dell’evento dove fui selezionata per parteci-pare, durante le tre giornate previste, ad un workshop di recitazione cinematografica te-nuto dall’attrice Barbara Enrichi, esperienza che implicava automaticamente la mia par-tecipazione alla 68° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica del Cinema di Ve-nezia; dove ho potuto, a piccoli passi, farmi conoscere all’interno del gruppo e capire le dinamiche per poter organizzare un evento così grande. Non sono mai stata una persona piena di spirito d’ iniziativa, e, proprio per questo motivo non mi sono maiinteressata a

nessuna attività alternativa alla scuola, fino al momento in cui sono entrata in contatto con questo ambiente che mi ha subito entu-siasmata. Ho capito così di poter dare il mio contributo per l’organizzazione del Vittorio Veneto Film Festival grazie all’aiuto e al supporto datomi dal direttore generale Eli-sa Marchesini. Il nostro gruppo di lavoro è formato da circa venti ragazzi che si scam-biano in continuazione idee sulla struttura che dovrà prendere ogni edizione anche se è molto complesso trovare sempre il riscontro positivo di tutti e spesso lo è ancor di più discutere senza litigare e andare d’accordo malgrado la diversità ed il carattere di ognu-no di noi. Ciò che rende meraviglioso questo Festival è proprio l’impegno che si impo-ne verso noi giovani, mettendoci sempre al primo posto dandoci la possibilità di essere noi stessi gli organizzatori e permettendo ai mille ragazzi della giuria provenienti da varie scuola d’Italia ed Europa di esprime-re una loro preferenza sui film in concorso (doppiati direttamente in sala). Un anno per organizzare il Festival fatto dai giovani per i giovani, che si rivela, ogni anno di più una spirale di soddisfazioni ed emozioni che ci spinge, ci sprona a fare sempre qualcosa di più e a dare il meglio di noi stessi. Chiedete alle vostre scuole di partecipare alla IV° edi-zione del Vittorio Veneto Film Festival che avrà luogo dal 17 al 20 aprile 2013 a Vittorio Veneto (Treviso). Vi aspettiamo numerosi !!!!

THIS IS VITTORIO

VENETO FILM FESTIVAL

Martina De Bortoli

GIORNATA DELL’ARTE

Alexandra Barel

Come si svolgerà la giornata dell’arte

quest’anno? O forse dovrei dire: all’Istituto d’arte/Liceo artistico Bru-no Munari sarà concessa questa attività? Come mai i neo - artisti di questa cit-tà e dintorni non vi hanno potuto prendere parte per molto tempo? A chi ad-dossare la colpa? Sono questi gli interrogativi che si pongono gli studenti della scuola che più di qualsiasi altra ha diritto a partecipare ad attività di rilevanza artistico-creati-va qual è appunto la gior-nata dell’arte, progetto che per gli allievi dell’istituto

suddetto non va in porto da 4 anni oramai. I quesiti sono molti, ma le risposte scarseggia-no. Stando alla programmazione provvisoria la giornata dell’arte si svolgerà la mattina del 25 maggio dalle ore 8.30 alle 11.30; il tema di quest’anno verterà sugli anni ‘70: nascita della creatività, progresso, emergenza degli Hippy, cambiamento, trasgressione e ancora, droga, alcol, sconvolgimento della musica e degli ideali, vestiti stravaganti e coloratis-simi. I laboratori che i nostri rappresentanti di istituto hanno pensato per noi sono:MUSICA: verranno suonate canzoni degli anni ‘70 da gruppi e band che desiderano esibire il loro talento;PITTURA: con il prezioso aiuto di Alberto Burri sarà dipinta una tela inerente al tema;COMPOSIZIONE: si tratta di creare degli oggetti mediante rifiuti o scarti con il fine ul-timo di riciclare e contrastare il consumismo nato proprio negli anni ‘70;MODA: dar vita ad accessori e gioielli, sem-pre riutilizzando pezzi di scarto;CINEMA: visione di un film girato in quegli

anni con relativa discussione al termine della proiezione;FUMETTO: si progetta una tavola di fu-metto, ispirandosi agli artisti degli anni ‘70, rielaborando a modo proprio le loro opere, con l’intervento di un esperto esterno;LETTERATURA: si svolgerà una discus-sione generale su tematiche fondamentali di quel periodo;SPORT: si terrà un torneo di pallavolo e di calcetto.E’ probabile, ma non certo, che prenderà vita anche un laboratorio di fotografia.NOTA BENE: potrai scegliere soltanto uno di questi laboratori e … guai a chi butta le cartacce a terra ... servono a quelli di moda e composizione!

LA STREET ART

Jessica Zaetta, Lisa Tiberi

La strada, quella che corre dietro ai pas-si, quella che è fatta di attimi immensi

e sfuggenti, quella che ti sorride dietro all’angolo e non capisci se la luce che vedi negli occhi dei passanti appartiene a loro o se sono stelle filan-ti.” (Anonimo) La street art offre la possibilità di avere un vasto pubblico, quasi sempre facil-mente superiore a quello di una tra-dizionale galleria d’arte. È questo l’unico motivo per cui gli artisti di strada lavorano in luoghi pubblici? Alcuni la praticano come forma di sov-versione, di critica o come tentativo di abolire la proprietà privata, rivendican-do e conquistando le strade e le piazze;

Il mondo: una galleria infinita per la street art

altri più semplicemente vedono la città come una mostra infinita in cui poter esporre le proprie creazioni e in cui esprimere la pro-pria arte. In molti non vedono la sostanziale differenza tra Street Art e graffiti, differenza che in realtà si riscontra nella tecnica e nel soggetto. La Street Art inoltre, rispetto ai graffiti, non è per forza vincolata dall’uso della vernice spray ed è più figurativa. Nell’esagerato numero di artisti di strada ne abbiamo scelto qualcuno di più importante e impressionante.

Gli artisti di strada

Blu è un artista italiano. Con questo pseudonimo, Blu ha deliberatamente deciso di nascondere la propria identità. Nel 2011 “The Observer” l’ha segnalato come uno dei dieci migliori street artist in circolazione. Le sue opere non sono mai svincolate dal con-testo in cui si inseriscono poiché la pittura di Blu è pittura nel paesaggio, urbano o in-dustriale che sia e cerca sempre di dialogare con la società che vi abita alla ricerca della specificità di ogni luogo. Il grande merito della prassi artistica di Blu è stato quello di aver contribuito ad un radicale, anche se si-lenzioso, mutamento del mercato dell’arte contemporanea.

Bansky (Bristol 1974 o 1975) è un artista e writer inglese. È uno dei maggiori esponenti della Street Art. Le sue opere sono spesso a sfondo satirico e riguardano argomenti come la politica, la cultura e l’etica. La tecnica che preferisce per i suoi lavori di guerrilla art è da sempre lo stencil, che proprio con Bansky

è arrivato a riscuotere un successo sem-pre maggiore presso street artists di tutto il mondo.

Smug è un artista di Glasgow che si sta spe-c ia l i zzando

in graffiti di soggetti foto-realistici. Dalla scoperta dei graffiti 15 anni fa il lavoro di Smug diventa velocemente un’ossessione da perfezionista con linee spesse, lettere e

soggetti che ha sviluppato in uno stile più foto-realistico, che è stato ampiamente es-ibito. I disegni di Smug sono lavori molto meticolosi, per quanto riguarda la resa finale, che prendono spunto da un eclettico bagaglio di influenze, spesso trasformando soggetti scomodi (non socialmente accettati o tabù) in incredibili pezzi d’arte su tela e in contesti industriali o abbandonati.

Julian Beever (1959) è un artista britannico. Beveer crea disegni con il gesso su pavimenti e marciapiedi dalla metà degli anni Novanta. Le sue opere vengono create utilizzando una proiezione chiamata anamorfosi per creare l’illusione tridimen-sionale quando viene visto da una deter-minata angolazione. È soprannominato Pave-ment Picasso. Oltre a queste opere, Beever, esegue pitture murali con vernici acriliche e riproduzioni di opere famose. Lavora come free-lance e crea mura-les a richiesta. Ha lavorato in parecchi Paesi.

Ozmo si forma all’Accademia delle Belle Arti di Firenze e dai primi anni Novanta, dopo un esordio nel mondo del fumetto, si concentra sulla pittura e sul writing: uno speciale sul suo lavoro pubblicato da Aelle, periodico di cultura hip-hop di quegli anni ne farà uno dei riferimenti del graffiti writing made in Italy. Ozmo, insieme a un piccolo gruppo di amici, gettò le basi per quella che è diventata l’arte di strada o Street Art di cui è uno degli indiscussi pionieri.

Christian Guèmi in arte C215. Parliamo di stencil art: a qualcuno verrà in mente una cosa tipo di quelle letterone metalliche che si usavano alle scuole elementari. Si col-orava l’interno vuoto e comparivano lettere, animali, palloncini. In qualche maniera il succo è lo stesso, ovviamente la “maschera” è prodotta dall’artista che poi la sfrutta nella sua formidabile opzione di impressione su-per-rapida sul luogo che ha scelto.

Mirò: poesia e luce da Maiorca a Genova.

MIRÒ

Roberta De Min

Macchie, grafismi, schizzi, impronte, abrasioni e chiodi. Strumenti attra-

verso i quali è espresso lo sperimentalismo di Joan Mirò, grande artista catalano che lasciò un segno unico ed originale nell’am-bito delle nuove forme espressive europee. I suoi capolavori sono esposti nella mostra al Palazzo Ducale intitolata “Mirò! Poesia e luce”, la quale presenta vari oli, terrecotte, bronzi ed acquerelli che illustrano gli ultimi trent’anni di vita dell’artista (quando si ispi-

rò al linguaggio gestuale ed alla calligrafia dell’arte orientale). Tra i vari dipinti espo-sti vi sono: gli oli Donna nella via, il bronzo Donna e vari schizzi provenienti da Palma di Maiorca. L’esposizione lascia intravedere il legame di Mirò con Maiorca, che rappre-sentava per l’artista la poesia e la luce (da questo il titolo della mostra). Dal momento in cui Miró si trasferisce a Palma, comincia un intenso periodo di lavoro, durante il qua-le ha inizio il mutamento della sua arte, che si allontana dallo stile figurativo. Negli anni Sessanta e Settanta, immagini e titoli dei la-vori rimandano ai suoi temi prediletti come donne, paesaggi e uccelli; in questi anni di-pinge anche a terra, si stende sopra le proprie tele producendo spruzzi e gocciolamenti. In

mostra sono presenti anche dipinti risalenti agli ultimi anni di vita dell’artista, quando dipingeva con le dita stendendo il colore con i pugni e si cimentava nella pittura materi-ca; sono esposte anche alcune sculture, ri-sultato delle sperimentazioni che Mirò fece nell’arco della sua vita con diversi materiali e tecniche, come il collage. È fondamentale, infine, l’importanza del luogo di lavoro per l’artista; per questo motivo sono stati rico-struiti nell’ambiente espositivo della mostra, gli interni dello studio nel quale creò i suoi capolavori e sono esposti anche tutti gli stru-menti che egli usava nella sua attività artisti-ca. Quella di Mirò è una produzione molto intensa ed originale, che si può realmente apprezzare attraverso un’osservazione pro-fonda. A tal riguardo la mostra risulta ben organizzata, in quanto attraverso l’ausilio di apparecchi audiovisivi, la lettura dell’opera e del suo messaggio è facilitata, permettendo così allo spettatore di sentirsi coinvolto da un’arte particolare, apparentemente banale ma in realtà molto complessa e significativa.

Gozaimasu mina-san! (Per gli ignoran-ti: Buongiorno a tutti!) Chi di voi ha

mai visto un cartone animato giapponese o letto un fumetto, disegnato sempre con lo stile giapponese? Ebbene, penso che o-gnuno di noi abbia, almeno una volta, avuto l’occasione di prendere in mano, oppure ve-dere, una di queste opere d’arte. Si, arte... Negli altri stati è cosi, mentre in Italia il Man-ga/Anime non è considerato arte. Il Manga (“immagini libere”) non è altro che la ver-sione giapponese del fumetto; la differenza è palese se mettiamo a confronto un fumetto italiano, tanto che si nota subito... la nostra versione è più “realistica e proporzionata”, come del resto gli artisti italiani del passato sono sempre stati abituati a fare, mentre la controparte nipponica possiede delle carat-teristiche speciali, quali: occhi enormi, volti ingranditi rispetto alle proporzioni reali...

Solo “Putinot” o qualcosa di più?

L’ARTE DEL MANGA

Federica Donadel, Mattia Pizzaia

Tutto ciò per fare in modo che il personaggio riesca a trasmettere più emozioni. L’Anime (abbreviazione di Animation) invece, è la versione cinematografica del manga, prati-camente è come vedere un manga alla tele-visione, con personaggi dinamici anziché statici. Dopo questa introduzione, che spero basti a spiegare di cosa stiamo trattando, tor-niamo all’argomento principale. Manga/An-ime Arte. Perché negli altri stati sì, mentre in Italia no? “Manga? Cosa? Noi italiani ab-biamo già il rinascimento, il manierismo, ed è un arte molto più realistica, proporzionata, elaborata, complessa, è patrimonio culturale, ecc.” Verissimo. Inutile negarlo; ora però, vorrei fermarmi e fare una riflessione. Sin dal giorno in cui son nato, non ho MAI avuto l’occasione di vedere un mio coetaneo, o un compaesano, che dipingesse un quadro in stile rinascimentale/manierista o addirittura in stile bizantino (Ricordatevi i mosaici e le facce ieratiche piatte, mi raccomando.), piut-tosto, vedo gente che disegna storie a fumet-to... Essere legati alle tradizioni è una cosa più che giusta, ma se si vanno ad insultare e ad offendere le tradizioni altrui no (infatti, ho sentito attribuire il termine “Putinot”, e, dato

che in Giappone il Manga è parte del pat-rimonio artistico del loro paese, sarebbe paragonabile come dire “Giotto è un tizio che fa due strisce col pennello”. E’ una bestemmia all’arte in ambo i casi!). La scuola Comics di Padova inoltre, in una campagna per il sostegno a favore dei fu-mettisti e i Mangaka italiani, ha scritto: E’ molto corretto l’utilizzo dell’espressione “svalutazione culturale”. In Italia all’arte sequenziale non viene infatti riconosciuto un adeguato valore artistico, come invece avviene in altri Paesi, nonostante lo stu-dio, la passione e la dedizione che stanno dietro alle opere a fumetto. Esiste addirit-tura un disegno di legge per la tutela di queste persone, ma purtroppo non è mai stato trattato in sede parlamentare. Non penso che ora sia più possibile affermare che l’arte del Manga, ma anche l’arte del fumetto in generale, non debba essere considerato tale, specie quando c’è ad-dirittura un disegno di legge. Com’è pos-sibile poi, che quest’arte coinvolga a tal punto, da spingere dei paesi italiani (vedi Luccacomics, Romics,ecc.) a tenere delle vere e proprie gallerie d’arte del Manga e Fumetto? Addirittura, il coinvolgimento

è tale da indurre la gente a travestirsi da per-sonaggi dei Manga/Anime stessi! (in gergo Cosplay) Avete mai visto qualcuno travestito da San Giorgio, o un qualsiasi altro person-

aggio di un quadro rinascimentale da qualche parte? Io no. Forse, solo forse, a carnevale. Secondo me quest’arte è una forma di espres-sione, che permette di raccontare le proprie storie, alterando la realtà, e presentando un mondo più o meno diverso... Insomma, è un modo di raccontare storie, desideri, sogni, il tutto attraverso le proprie mani e fantasia. Sicuramente siamo più legati all’arte rinas-cimentale che in questa nuova forma d’arte chiamata “Manga / Anime”, d’altronde è estranea alla nostra cultura e viene dal paese del Sol Levante.. Però non offendiamoci se una persona proveniente dall’oriente parla dei quadri rinascimentali come fossero delle cose da nulla, quando noi abbiamo considera-to “Putinot” la loro arte. Pensiamoci, magari provate a informarvi sull’argomento, vedete quanto tempo, passione e dedizione ci vuole per poter creare un Manga prima di creare ul-teriore “Svalutazione culturale”. Sayonara!

“Ho combattuto in trincea nella seconda guerra mondiale... Perché dovrei aver paura a dormire in un campo di mais?” Così dice Alvin, un 73 enne testardo, a una ragazza in-

cinta in mezzo a un campo di mais. Siamo a metà del film prodotto nel 1999, dal regista David Lynch. È la vera storia di un 73enne deciso a far visita al fratello, con il quale non ha mai avuto un grande rapporto e con cui non parla da dieci anni in seguito ad una lite. Alvin Straight, che cammina con due bastoni e non ha la patente, decide di affrontare un viaggio, intenzione questa che crea giuste angosce alla figlia Rose. Ma il vecchio è ir-removibile. Il viaggio non è facile, il mezzo che ha scelto è un trattore piuttosto malcon-cio e la strada è lunga: da Laurens nell’Iowa a Mt.Zion nel Wisconsin. Molti gli incontri, compresa una coppia stralunata di fratelli meccanici (in perfetto stile Lynch). Il re-gista ha inteso dimostrare di saper costruire e dirigere una storia più realistica e lontana dai film visionari che lo hanno da sempre caratterizzato. Opus n. 8 di Lynch, prodotto dalla montatrice Mary Sweeney (che firma la sceneggiatura, ispirata a una storia vera, con John Roach) anche con finanziamenti francesi, è il film più controcorrente e meno hollywoodiano degli anni ‘90. È un road

movie che ha tutto per essere fuori moda: lentezza, malinconia della vecchiaia, scrit-tura di classica semplicità, personaggi posi-tivi, ritmo disteso senza eventi drammatici. Pur ribaltando la propria prospettiva, Lynch non altera il suo inconfondibile stile: lascia allo spettatore il tempo di pensare, commuo-versi, immergersi nei colori del paesaggio, guardare un temporale e il cielo stellato. “Straight” è il cognome del protagonista, ma sta anche per: diritto, semplice, onesto.

Opus n.8: un viaggio per ritrovare relazioni perdute.

per raccontare una vita intera

THE STRAIGHT STORY-DAVID

LYNCH

POCHE IMMAGINI

Diana Bernardi, Nicole Chiaradia

Sara Paludi

Steve Mc Curry, uno dei più grandi foto-grafi del nostro tempo, in una mostra a

Genova. Una successione continua di rac-conti, dall’innocenza di un bambino alla sag-gezza di un vecchio, dai pianti di una guerra ai sorrisi di una pace e soprattutto la povertà di un mondo, che noi non conosciamo. Affa-scinante, incredibile, spettacolare: non basta un aggettivo per descrivere questa bellissima mostra. Fotografie fantastiche, poche imma-gini perraccontare una vita intera, in un alle-stimento scenografico che non poteva essere migliore. Camminando in mezzo alle foto di Mc Curry capisci che nonostante viviamo nello stesso mondo e siamo fisicamente tutti uguali, siamo anche completamente diversi perché le realtà, le culture e gli ideali si di-stinguono mostrando nella loro diversità la vera essenza della bellezza, e raccontando i mille modi di vivere nel nostro mondo.

Mirella Edotti, Irene Da Ros

Giampietro Dal Cin

Il romanzo “Le avventure di Pinocchio, sto-ria di un burattino” , inizialmente, viene

pubblicato a puntate sul “Giornale per bam-bini” dal 1881; solo nel 1893 venne stampato in forma completa e definitiva con l’ aggiunta delle illustrazioni di Enrico Mazzanti. In quel periodo l’ Italia aveva conquistato da poco l’ indipendenza e aveva bisogno di trovare un’ identità nazionale con un sistema ideologico comune, infatti questo romanzo divenne il “Manuale del perfetto cittadino” per il suo

Steve McCurry: non solo uno dei più grandi fotografi del nostro secolo, ma

un punto di riferimento per grandi e piccoli. Nelle sue fotografie, infatti, ogni persona si può riconoscere. Questa mostra è un lungo

percorso den-tro ai molteplici aspetti dell’uni-verso; vita, cul-tura, orrore e amore : questi i diversi temi trattati dall’arti-sta. L’uomo ne è il protagonista assoluto, con i suoi drammi e le sue emozioni. McCurry non ci vuole far dimen-ticare gli orrori che accadono continuamente nel mondo, per-ché la fotografia è qualcosa di im-mutabile ed eter-no ma allo stesso tempo semplice

e chiara. McCurry ha raggiunto un grande obbiettivo, facendoci sorridere, stupire ma anche commuovere, con un singolo istante di una grande storia.

valore pedagogico. Pinocchio è un burat-tino impertinente, sfaticato, sprovveduto e alquanto bugiardo, si “butta” in tutto ciò che gli procura diverti-mento. Si trova in situazioni sempre più difficili e pericolose: viene impiccato, ma si salva; rischia di finire fritto in padella; è costretto a fare la guardia ad un pollaio. Il burattino passa da una disavventura all’ altra, fino al momento in cui si rende conto di avere dei “doveri”, primo fra tutti quello di occuparsi del padre ormai anziano. Si mette quindi alla ricerca di Geppetto, che riesce a rintracciare nel corpo di un pescecane. A questo punto Pi-nocchio, prende coscienza delle sue responsabilità: mette in salvo Gep-petto e decide di lavorare per aiutare la fata, da cui ha spesso ricevuto aiuto, che giace inferma all’ ospedale. L’ affetto verso i suoi cari a la consapevolezza del dovere, trasformano lentamente il bu- r a t -tino, che si umanizza e diventa un ragazzo responsabile. Oggi alcuni modi di dire ancora in uso quali : “Naso di Pinocchio” e “Lasci-arsi manovrare come un burattino” ci ri-cordano che la storia inventata da Collodi è sempre attuale!

IL ROMANZO DI COLLODI

Carlo Lorenzini, detto Collodi, a Firenze nel 1883 con l’aiuto dell’amico illus-

tratore Enrico Mazzanti pubblica Le Av-venture di Pinocchio. Collodi non vuole che il romanzo venga dedicato esclusivamente all’età infantile, infatti nella sua prima ver-sione il protagonista muore impiccato, solo in seguito, infatti, si giunge al classico finale che tutti noi conosciamo. Il momento in cui viene pubblicato il romanzo è particolare per l’Italia che da circa un ventennio si è costituita come una nazione unitaria senza però essere riuscita a superare i suoi secolari problemi, prima fra tutti un netto divario tra nord e sud e tra le diverse classi sociali. Si può pensare perciò che Collodi con questo romanzo volesse far riflettere sulle conseg-uenze dei comportamenti umani, in partico-lare dei politici e delle persone importanti dell’epoca, incapaci di trovare soluzioni adeguate ai problemi di quella particolare

fase storica, caratterizzata da una grande de-pressione economica accentuata dal rapido processo di meccanizzazione che alienava l’individuo. Il libro di Collodi mira, in-fatti, a promuovere l’autonomia creativa dell’individuo e l’acquisizione di una lenta ma progressiva consapevolezza nell’agire. Questo il motivo principale del grande suc-cesso del libro, ieri come oggi. Il romanzo, mettendo in evidenza il fatto che Pinocchio si ribella al padre, invita a riflettere anche sul classico conflitto generazionale, sulle conseguenze di certe scelte avventate, per le quali si può incappare in innumerevoli sfor-tune. Fiducia, rispetto e dialogo oggi come allora sono le strade da percorrere per una crescita individuale corretta e per una società più giusta. L’opera è stata proposta preva-lentemente ai bambini come fiaba, perché i protagonisti sono perlopiù irreali, ma con i loro comportamenti trasmettono insegna-menti fondamentali, ne è un esempio il grillo parlante che simboleggia la nostra coscienza.Oggi ha ancora senso leggere questo roman-zo perché, nonostante siano passati molti anni da quel 1883, tanti dei problemi di allo-ra non sono ancora stati risolti e per farlo c’è bisogno di riformare le coscienze e ritrovarsi in una vera identità nazionale.

PINOCCHIO:

Alessia Posocco, Giulia Poletto

La fiaba diventa romanzo di formazione

esperto conoscitore del burattino più famoso del mondo.

INTERVISTA AL PROF. BIAGGIONI

Irene Da Ros, Mirella Edotti

In occasione dei festeggiamenti per il cen-totrentesimo anno dall’uscita a puntate del

testo di Pinocchio realizzato da Carlo Loren-zini, in arte Collodi, abbiamo intervistato il professor Rodolfo Biagioni, esperto conosci-tore dell’opera, ritenuta un testo fondamen-tale per la cultura italiana ed in particolare per la formazione dei ragazzi.

Come nasce e come si sviluppa la storia di Pinocchio?

La storia realizzata da Collodi é stata fonte di ispirazione e di suggerimento per artisti e scrittori con l’uso di numerose illustrazioni e immagini. Nel 1882 uscirono le prime illust-razioni a puntate e poiché questa operazione ebbe molto successo l’anno successivo si re-alizzò anche il libro.

Come si decise di continuare l’opera e per-ché?

Nella versione a puntate si decise di termin-are il racconto con l’uccisione di Pinoc-chio, ma visto appun-to che la storia ebbe successo e i bambini volevano sentire altre

storie decisero di con-tinuarlo, intitolandolo

non più “Le storie di un bu-rattino”, ma “ Le avventure di Pinocchio”.

Ricorda alcune illustrazioni che l’hanno colpita?

Certamente, l’ultima illustrazione di Pin-occhio impiccato, fatta da Ugo Flores, un poeta, un storico dell’arte e un illustratore siciliano. Questa illustrazione fu pubblicata nell’ edizione a puntate.

Ebbero molto successo queste storie?

Si, in seguito alle avventure di Pinocchio ci furono i Pinocchiedi, dei seguiti di Pinoc-chio, delle continuazioni della storia origi-nale, scritte anche dal nipote di Collodi. Oggi Pinocchio è diventato parte delle fig-ure fiabesche, è stato riprodotto in teatro e al cinema, ebbe davvero molto successo, più di quello che si aspettava , infatti nel primi del ’ 900 fu pubblicato in Inghilterra e in Russia, con 250 traduzioni e scritto anche in diversi dialetti. Divenne appunto una cosa inter-nazionale, non più solamente Italiana, tanto che un cantante francese scrisse anche una canzone su Pinocchio.

Dunque possiamo dire che Pinocchio ha segnato la cultura italiana?

Certamente ha influenzato molto la cultura Italiana, per esempio il Campo dei miracoli a Pisa, venne chiamato così da D’Annunzio proprio in ricordo del campo dei miracoli di Pinocchio!

Ringraziamo il professor Biagioni per la sua disponibilità, ricordando che egli avrebbe il desiderio di fare un’esposizione con i vecchi Pinocchi e i professori di varie materie.

Chiunque abbia materiale riguardante questo tema, può portarlo al professor Biagioni. Vi ringraziamo per aver prestato attenzione al nostro articolo.

“Quando hai iniziato a fere graffiti?”

ARTE ILLEGALE?

Valentina Papanicolaou, Rita Spinazzè, Umberto De Bastiani

Il parere di un giovane writer, autore di al-cuni graffiti sparsi in paese, e di un nostro

coetaneo. Il graffitismo per molte persone è un fenomeno recente e nato tra i giovani di quartiere, ma in realtà è una delle prime forme d’arte che l’uomo ha utilizzato. E’ comin-ciata con l’arte rupestre infatti, l’abitudine di “scrivere sui muri” degli umani. In tutto il mondo ci sono tracce del passaggio dei “graffitari”: dalla preistoria alle piramidi, dall’antica Roma (Pompei) ai giorni nostri. Quello a cui pensano tutti quando si parla di graffitismo, è una manifestazione artistica nata negli anni ‘70 in un quartiere di New York e diffusa rapidamente in quasi tutte le città, compresa Vittorio Veneto.

Intervista a un Writer

(anonimo)

“Quando hai iniziato a fare graffiti?”

“Il mio primo graffito l’ho fatto a 12-13 anni ed è stato il mio nome. Essendo il mio primo tentativo devo dire che l’effetto finale non ha soddisfatto le mie aspettative. Col tempo per fortuna sono migliorato!”

“Dove lo hai fatto e che impressione ti ha dato?”

“L’ho fatto in un edificio abbandonato in-

sieme ad un amico. Ci sentivamo entrambi emozionati e nel contempo spaventati, pen-savamo che potesse entrare qualcuno da un momento all’altro nonostante fosse un luogo abbastanza appartato e per questo motivo abbiamo fatto molto di fretta senza pensare a dare il meglio di noi… Alla fine però era-vamo contenti, riusciti nel nostro intento ad abbellire un luogo grigio e dimenticato. Non tutti infatti fanno scarabocchi a caso sui muri, e mi dispiace che la maggior parte delle persone la pensi così.”

“Sei mai stato colto in flagrante mentre creavi una delle tue opere?”

“Non faccio graffiti così frequentemente da dire di essere a rischio, in genere li faccio di notte e in posti che ritengo sicuri e adatti a svolgere il lavoro con sufficiente calma. Per fortuna fino ad ora non sono mai stato scop-erto.”

“Come procedi per fare un graffito? Come ti sei immerso in questa passione?”

“I graffiti in genere li faccio prima su carta per vedere come sono le mie idee, capire come bilanciare il disegno e modificarlo se qualcosa non mi convince.

Mi è sempre piaciuto disegnare ma la prima volta che ho sentito parlare di graffiti è stato

in un videogioco e devo dire che mi ha at-tirato da subito.”

“Il tema principale dei tuoi graffiti?”

“Di solito disegno cartoni animati di vario genere, oppure il mio nome o una parola che per me ha qualche significato particolare in quel momento. Preferisco disegnare parole perché i disegni più complessi non mi ven-gono gran che bene sui muri…”

“Se ti chiedessero di fare un progetto per riempire un muro per esempio di una scuo-la, come procederesti?”

“Beh… farei sicuramente qualcosa di molto colorato e solare. La scuola è già un posto poco apprezzato, un luogo in cui i giovani vanno solo perché costretti, quindi cercherei di renderlo piacevole almeno ai loro occhi così raggiungerei due obbiettivi: avrei reso quel posto più apprezzabile e avrei fatto ca-pire alle persone che i graffiti non sono così malvagi.”

Intervista ad un osservatore

“Cosa pensi dei graffiti? Li consideri una forma d’arte? Da incoraggiare o deni-grare?”

“Li considero una forma d’espressione da incoraggiare, ma penso che ogni persona che esprime il suo essere o il suo pensiero in modo creativo stia facendo dell’arte. Qual-siasi cosa è arte, ovviamente entro i limiti dei diritti umani!”

“Cosa ne pensi dei writers?”

“Non ho un unico pensiero, ci sono molte varianti. Ovviamente penso che chi si metta lì con la volontà di abbellire, decorare o di esprimere un pensiero in modo creativo ab-bia una gran voglia di fare e vedere nella mia città dei graffiti mentre cammino per le

strade non mi dispiacerebbe affatto. Penso però che quei graffiti che si vedono in giro, dove si possono distinguere solamente paro-lacce o disegni volgari, siano solo delle ag-giunte a tutto il brutto che c’è nelle città. Tra spazzatura, palazzi grigi eccetera… manca-vano solo queste “porcherie”!”

“Se potessi scegliere un posto dove fare un graffito, dove e cosa disegneresti?”

“Aprirei un luogo in cui ognuno può fare il suo graffito, oppure nella stazione della mia città. Penso sia molto grigia e un bel graf-fito rallegrerebbe l’atmosfera, per esempio la foresta amazzonica disegnata su tutte le pa-reti dell’edificio.”

“Bell’idea! E per te i graffiti sono una for-ma d’arte solo giovanile?”

“E’ un’arte che definirei “nuova” ma non solo giovanile, chiunque può farne parte e secondo me i graffiti più belli e con signi-ficati profondi sono quelli fatti da persone più mature e con più esperienza. La consid-ererei quindi un’arte universale, come tutte d’altronde.”

Ringraziamo gli intervistati che ci hanno dato una mano ad entrare in un mondo dove, nonostante le idee contrastanti, ci si può im-mergere in una forma d’arte alternativa che colora le nostre città ormai da tempo.

Milano Architettura Design Edilizia è Made Expo, la fiera internazionale che Milano vuole portare all’attenzione mondiale, come risposta a precise esigenze emerse nel setto-re. Made Expo è la fiera di edilizia e archi-tettura più visitata in Italia perché affronta i diversi aspetti del settore con un approccio a 360°, che consente l’incontro tra tutti gli at-

Chiude con un grande risultato per il mondo delle costruzioni

MADE EXPO

Francesco Da Ros

tori coinvolti: chi progetta, chi realizza e chi utilizza il prodotto finale. Quest’anno anche alcune classi del nostro Istituto “Bruno Mu-nari” ha visitato l’Expo nell’uscita del 18 ot-tobre 2012 (prima del blocco!) organizzata dal Professore Preziosilli per visitare la fiera di Architettura e Design. All’arrivo le classi si sono divise e hanno fatto visita ai diversi padiglioni con una certa libertà: noi di 3^A ci siamo recati ai settori in cui esponevano le diverse tipologie di pavimentazioni, serra-menti, isolamenti e vari prodotti riguardanti l’edilizia. Molto interessante l’edificio in cui la mostra è stata allestita, una “vela” di vetro, larga oltre 30 metri e lunga un chilometro e mezzo sostenuta da strutture autoportanti in acciaio, taglia l’asse centrale del centro espositivo collegando la Porta Est e la Porta Ovest della Fiera per mezzo di una passerel-la coperta che si alza a sette metri da terra, è uno dei più importanti luoghi di incontro per avvenimenti di questo genere , progettato da Fuksas, uno dei più noti architetti e designer italiani, di fama internazionale. In conclu-sione la giornata, nonostante la stanchezza, è stata apprezzata da tutti gli studenti e ha riscosso un vivo interesse.

La vita

Sono ore, queste, date al nostro tempodi solitudine.Metafore dentro il vuoto dei giorni,ombre silenti che in fondo all’animasi posano.Muti confini il cuore degli uomini,specchio nel cui sguardo si compiace.Un magico gioco di bimbi, la vita,intima traccia che nell’attesa si frantuma.

Giovanni Filardo

Giovanni Filardo

LA VOCE DEL POETA