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DOSSIER RADICI/ROSARNOmonitoraggio autunno-inverno 2010/11

reteRADICI per contatti: [email protected] www.reteradici.blogspot.com su fb: ReteRadici Rosarno

Dossier RADICI/ROSARNO Prodotto da reteRADICI A cura di Associazione SUD Chiuso ad aprile 2011 e stampato nellagosto 2011 Il dossier non in vendita Attribuzione Non commerciale CC BY-NC Hanno collaborato: Alessio Magro, Francesca Chirico, Cristina Riso, Danilo Barreca. La foto in copertina di Giordano Pennisi, autore di molti scatti pubblicati nella presente opera. Un ringraziamento per il prezioso lavoro svolto va a Luciana Caloro e Daouda Sanogo, dello sportello migranti di Action diritti in movimento. Ha collaborato al progetto grafico Angelo Cannizzaro. La reteRADICI ringrazia gli autori dei testi, degli interventi e delle fotografie. Si ringraziano per i dati statistici la Direzione provinciale del Lavoro di Reggio Calabria e la Direzione regionale del Lavoro della Calabria, la Direzione provinciale Inps di Reggio Calabria, il Centro per limpiego di Gioia Tauro.

a Kadjaly che ci ha creduto, e se n andato da uomo libero

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INDICE

UN ANNO DOPO Introduzione .......................................................................................................................................................11 In memoria di Kadjaly Kante .................................................................................................................... 13 Il sogno di una citt variopinta/di Nuccio Barill ................................................................................... 15 La Provincia di Reggio Calabria al fianco dei migranti/di Attilio Tucci e Omar Minniti ................. 17

LANNO ZERO LA MOBILITAZIONE Il dopo-rivolta, il contesto generale, la nascita della rete ........................................................................... 21 CRONACA DI UNA VERTENZA Rabbia e reazione, lasse del Sud, le tutele conquistate ............................................................................... 27 Termini, capolinea dei deportati ............................................................................................................... 34 Storia di un migrante .............................................................................................................................. 35 PASSAGGIO A SUD I nuovi braccianti, il modello mediterraneo, un limbo giuridico ............................................................... 39 Lanalisi/Lagricoltura calabrese: modernit senza produttivit, perch? ................................................ 46

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IL MONITORAGGIO NELLE CAMPAGNE DEGLI INVISIBILI Presenze e insediamenti, nuovi ghetti e affitti, progetti di accoglienza .................................................... 55 Povero chi non ha nessuno ..................................................................................................................... 64 C chi sta peggio! .................................................................................................................................... 65 Facciamo di Rosarno il simbolo dellaccoglienza, di Elisabetta Tripodi .............................................. 66 IL MODELLO DROSI La prima assistenza, laccoglienza, la prima la mediazione abitativa ......................................................... 75 Prima il tetto, poi il cibo ........................................................................................................................ 78 Pane, piume e cioccolata ............................................................................................................................79 NUMERI E TENDENZE Provenienza e status, lavoro nero e caporalato, rapporti interetnici ......................................................... 81 Dai diamanti non nasce niente ................................................................................................................. 94 Siamo uomini, o caporali? ........................................................................................................................ 95 AGRICOLTURA, PER UN NUOVO CORSO Inchieste e controlli, stagionali dellest, un nuovo modello agricolo ........................................................ 97 Per una Calabria multietnica fondata sul lavoro, di Claudia Carlino .................................................. 107 CI SI AMMALA NEI CAMPI I medici in trincea, le criticit, la prevenzione ............................................................................................ 109 Quando un corteo salva la vita! ............................................................................................................... 115 Lultima stagione di Fakemo Kante ........................................................................................................ 116 LA FABBRICA DEI CLANDESTINI Le contraddizioni della Bossi-Fini, le direttive Ue, proposte normative ............................................... 117 Un pittore con la zappa ...........................................................................................................................130 Serigne il badante .................................................................................................................................... 131 UNA VERTENZA MERIDIONALE Accesso al riesame, mediazione abitativa, unagenzia dei diritti .............................................................. 133

APPENDICE Piattaforma della manifestazione del 7 gennaio 2011................................................................................ 143 Documento della vertenza meridionale ...................................................................................................... 144 Galleria fotografica ........................................................................................................................................ 149

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UN ANNO DOPO

DOSSIER RADICI/ROSARNO - Un anno dopo

INTRODUZIONE

CORTEI, assemblee, sit-in, dossier, tavoli istituzionali. un cammino di impegno e mobilitazione costante quello che, a un anno dalla rivolta dei braccianti africani del 7 gennaio 2010, ci ha portato ancora nella Piana per capire se e cosa fosse cambiato rispetto al drammatico scenario di diritti negati e sfruttamento denunciato dai fatti di Rosarno. Abbiamo scelto la strada della rete, provando a far camminare insieme competenze diverse e diversi linguaggi, intrecciando la battaglia vertenziale per la regolarizzazione dei lavoratori africani con quella della giustizia sociale e di una nuova identit del Sud, facendo dialogare Roma e la Calabria, convinti che la complessit dei problemi imponesse una risposta complessa. Con questo spirito alcune realt (tra le quali il movimento Action e lassociazione antindrangheta SUD, supportate da daSud e Libera Piana) hanno promosso nellautunno 2010 una campagna di monitoraggio delle condizioni di vita e lavoro degli stagionali africani impiegati nelle campagne della Piana, ponendosi lobiettivo di fornire strumenti di conoscenza ed analisi utili allattivazione di interventi mirati ed efficaci. Tra Rosarno, Rizziconi, Laureana di Borrello, Candidoni, Taurianova, San Ferdinando e Gioia Tauro abbiamo visitato casolari abbandonati e appartamenti in affitto, organizzato assemblee, censito duecento braccianti e dialogato con altrettanti migranti africani. Abbiamo incontrato istituzioni e associazioni, incrociato disponibilit a condividere pezzi del percorso e a costruirne, insieme, degli altri. Trovando apertura e sensibilit in organizzazioni come la Cgil ed enti di volontariato come la Caritas di Drosi. Ma anche la Legambiente, il Comune di Rosarno, la Provincia di Reggio Calabria. Il percorso proseguito con la storica manifestazione del 7 gennaio 2011: a Rosarno e a Reggio Calabria sono scesi in piazza 400 campesinos stranieri, quasi la met della forza lavoro africana presente sulla Piana. Uno sciopero perfettamente riuscito, un lungo corteo dietro uno striscione amaranto (che richiama non a caso i colori della citt capoluogo) con le rivendicazioni delle comunit migranti. Come nel gennaio 2010, gli africani sono scesi in piazza, ma a un anno di distanza lo hanno fatto seguendo un percorso democratico, e lo hanno fatto unendo le proprie rivendicazioni a quelle delle comunit locali: diritti e dignit, i documenti, lavoro, una riforma agraria che faccia convivere italiani e stranieri. Richieste portate con una processione di pullman fino alla prefettura di Reggio Calabria, e quindi finite sul tavolo del ministero dellInterno. Perch la questione Rosarno non si risolve nei confini della Piana, ma coinvolge lintero Sud, a cominciare dai territori limitrofi. Perch la questione Rosarno una questione nazionale, e come tale deve essere affrontata. Dopo la manifestazione, Rosarno allanno uno. proprio questo il titolo della mostra11

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fotografica che ha scandito il cartellone di iniziative messe in piedi dalla reteRADICI per attraversare la data del Primo Marzo e la settimana antirazzista nazionale, dall1 al 7 marzo 2011 a Reggio Calabria. Ancora una volta il territorio del capoluogo, per incrociare le esperienze della Piana con quelle dello Stretto. Iniziative culturali, sport, musica, mostre, rassegne, lezioni di lingue africane in piazza, con lobiettivo di allargare la rete. E la reteRADICI ha attratto a s diverse realt, diventando un riferimento per le associazioni, le forze organizzate, le istituzioni locali. Il 6 marzo 2011 si tenuta a Reggio Calabria una conferenza dei nodi del Sud, che ha visto insieme alcune realt che si occupano di immigrazione per riflettere su agricoltura e migranti. nata una vertenza meridionale per il riconoscimento del diritto di soggiorno dei braccianti africani sfruttati nelle campagne del Mezzogiorno, a partire dal nodo di Rosarno. La rete, i nodi, la vertenza: un percorso che vuole unire le comunit migranti, e le realt che le supportano, a partire dalle loro rivendicazioni. Che vuole sovrapporre alla mappa dei nodi agricoli quella delle mobilitazioni. Per mettere in discussione il modello mediterraneo dellagricoltura, fatto di sfruttamento e negazione dei diritti, e portarlo allattenzione generale del Paese. Il dossier RADICI/ROSARNO intende fotografare questo cammino, mescola necessariamente pi voci e punti di vista, e prova ad offire, insieme con i risultati del monitoraggio, proposte per voltare davvero pagina. Perch, se una cosa il monitoraggio ce lha detta chiaramente, che dopo i fatti di Rosarno tutto cambiato, ma nulla veramente cambiato. reteRADICI

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IL RICORDOIn memoria di Kadjaly Kante Questa la storia di una fuga come ultima possibilit di vita, di unidentit a lungo negata nelle campagne del Sud Italia, e di un dolorosissimo destino che ha chiesto il conto troppo presto. Questa la storia di Kadjaly Kante, morto a 28 anni senza riuscire a ritirare il permesso di soggiorno strappato a forza di manifestazioni e proteste. Nato in Senegal il 6 gennaio del 1983, costretto nel 2006 a lasciare una terra trafitta da guerre di potere, Kadjaly ha seguito le orme di migliaia di suoi connazionali, con le foto della sorellina Mata a fargli compagnia e la certezza che a restare in patria sarebbe finito male: Ho avuto paura per me, per la mia vita, non potevo pi rimanere l. E so che non ho avuto il coraggio di difendere la mia libert e la mia dignit. Il suo tragitto verso lEuropa passa da rotte obbligate. la Libia il purgatorio da attraversare, lavorando come manovale per 50 dinari (circa 28 euro) al giorno, conservando ogni centesimo per pagare la traversata della libert e vivendo con la paura dei guardiani del regime che spesso respingono i neri verso i Paesi di provenienza, scaricandoli al confine libico: dallultima oasi libica ai primi avamposti del Niger ci sono circa 80 kilometri di deserto. Si pu morire, e molti sono morti. Quando viene fermato, malmenato e insultato, Kadjaly pensa al peggio. Si salva grazie ai 300 dollari intascati dal poliziotto corrotto che lo fa evadere dopo 3 mesi di carcere trascorsi in condizioni igienicosanitarie tremende e senza processo. Alla fine Kadjaly si mette la Libia alle spalle il giorno di Natale del 2008. Sono in 66 sul barcone che prende il largo da Zouara, dopo aver sborsato a Mahmud e Zaray, i traghettatori libici, circa 1.500 dollari ciascuno. Due giorno dopo, infreddoliti ed affamati, sbarcano a Lampedusa, attesi dai lampeggianti della polizia. Kadjaly grida asilo, asilo. Gli hanno detto che quelle parole significano la sua salvezza. Laspetter per nove mesi chiuso nel campo di accoglienza di Castelnuovo di Porto, alla periferia di Roma: Eravamo tanti, dormivo in camera con altre 10 persone, lacqua per lavarmi era sempre fredda, e il cibo era davvero immangiabile molte volte. La sua domanda dasilo invece finisce come tante: un esame superficiale, un diniego e un decreto di immediato allontanamento dal territorio. Il 29 ottobre 2009, alla stazione dei treni, gli parlano di Rosarno: con il biglietto regalato dalla Caritas Kadjaly fa rotta verso la Calabria. Nellappartamento malmesso in via Umberto I gli chiedono 50 euro al mese per un posto letto. Non gli manca la compagnia: in casa ci sono altri 30 africani che come lui tentano di lavorare per mandare soldi a casa. Dovevo raccogliere almeno 30 cassette di mandarini al giorno altrimenti non mi pagavano: alla fine guadagnavo 25 euro e lavoravo quasi 9 ore al giorno. Per Kadjaly Rosarno un incubo: Venivo continuamente ingiuriato e malmenato da ragazzini sul motorino. Quando si scatena la rivolta per quei due ragazzi presi a fucilate, lui decide di urlare la sua rabbia, scendendo insieme agli altri in strada: Non ci possono trattare cos, non siamo animali. Ma la reazione dei cittadini dura. Viene picchiato ad un angolo di via Nazionale. Si nasconde in casa. Ha paura. Dopo due giorni la polizia lo obbliga a partire. Il 14 gennaio, quando arriva a Roma insieme con centinaia di altri africani, non sa dove andare. Dorme alla Termini per giorni, parla con decine di attivisti, denuncia quello che gli successo e decide di lottare perch quello che successo non giusto. Partecipa a decine di assemblee e altrettante manifestazioni. Chiede i documenti, vuole una identit. Il 7 gennaio 2011, ad un anno dalla rivolta, torna a Rosarno e sfila per le strade da cittadino libero: il Governo ha deciso di rilasciargli i documenti. Ma non far mai in tempo a ritirare quel sospirato pezzo di carta. Kadjaly muore sabato 2 aprile 2011 dopo due settimane di coma, ucciso da una meningite legata alle condizioni di vita disumane che stato costretto a subire.13

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Alcuni momenti delle assemblee delle comunit migranti che si sono svolte tra novembre 2010 e marzo 2011 alla Cgil di Gioia Tauro e alla Caritas di Drosi.

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LINTERVENTOIl sogno di una citt variopinta Noi di Legambiente Reggio amiamo chiamarlo il sogno di una citt variopinta. Un desiderio e un bisogno inappagati ma anche il richiamo ad un impegno concreto e immediato, verso una citt e una societ multietnica, pi solidale e accogliente. Il richiamo al variopinto come sottolineatura della bellezza che sta nella diversit delle tinte, delle etnie e delle culture, nella loro mescolanza ma anche nella luminosit, come risalto dellanima profonda dellaltra citt che dobbiamo costruire, di una nuova idea di cittadinanza che vogliamo realizzare. Di un altro mondo possibile e desiderabile. Ho ritrovato soprattutto questa forte suggestione e questa tensione ideale nelle manifestazioni, di cui siamo stati partecipi, che la reteRadici ha organizzato a Reggio Calabria, in occasione dellanniversario dei tristi fatti di Rosarno e poi il Primo Marzo: un mix sapiente tra spunti di riflessione, iniziative di arte, di cinema, di sport, momenti di piazza e di dialogo istituzionale. Migranti uguale cittadini, cittadini uguale diritti: dentro lo slogan, scelto come collante dei vari momenti, erano riassunte una vertenza, una speranza, nella sua rappresentazione reale, la metafora di una visione del mondo. Insomma la prosecuzione di un percorso e di una sfida alla cui base vi la convinzione che se non si garantir il diritto per gli immigrati a soggiornare nel territorio italiano, dove in molti casi le traversie della vita li hanno portati, la solidariet rester un valore monco. Astratto e condito dipocrisia. Da qui limpegno faticoso e ostinato della rete in direzione prima di tutto della regolarizzazione burocratica, con i lusinghieri risultati raggiunti, che, ovviamente, travalicano il valore della carta bollata. Proprio nei giorni in cui in Tunisia, in Egitto, nella controversa Libia, divampavano le fiammate delle inedite rivoluzioni mediterranee - da Reggio Calabria partito linvito ad aprire occhi nuovi sui mutamenti in corso negli scenari del Mondo, invitando a non rinchiudersi, a non respingere, piuttosto ad estendere le radici e le ali, a capire ed attrezzarsi. Un messaggio che trovava forza nel miracolo dellintegrazione riuscita. Dellaltra faccia della medaglia. Di Riace, di Caulonia, di spizzichi di nuova Rosarno, di altri pezzi di Calabria civile, dopo Badolato. Segni di una civilt che in Calabria c e deve sempre pi diffusamente venire in superficie. Delle giornate reggine mi ha convinto molto la scelta dei linguaggi, lapertura alle collaborazioni, la capacit di tenere insieme il locale e il globale ma anche lapproccio: leggero ma mai superficiale. Perch effettivamente la solidariet si pu esprimere e rappresentare in vari modi. Si pu discutere al tavolo della Prefettura o dellAmministrazione Provinciale delle problematiche difficili e ci si pu ritrovare subito dopo a far festa sullonda delle canzoni dei Mattanza; oppure andare al Granillo ad assistere alla partita della Reggina, colorando di nero di Rosarno uno spicchio di tribuna. A proposito di calcio, un momento assai gradevole stato per me assistere da un terrazzo allincontro, amichevole ma non troppo, tra immigrati di Rosarno e rappresentanti delle associazioni della rete. Neri da una parte e bianchi dallaltra. Per inciso, questultimi tecnicamente meno dotati ma in campo pi organizzati - alla fine, a sorpresa, hanno vinto. Ecco, guardando dallalto quel piacevole spettacolo, quasi per riflesso, mi tornata alla mente una delle sequenze pi belle del film Invictus. Mandela, protagonista, si sta recando ad insediarsi nel palazzo presidenziale, dopo le prime elezioni libere del Sud Africa. Passa in15

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automobile in un quartiere dove ci sono due campi da gioco, uno di fronte all'altro, divisi solo dalla strada. Da una parte ci sono ragazzi neri che giocano a calcio, in modo disorganizzato e allegro. Nellaltro campo giocatori di rugby, tutti bianchi (al tempo discriminati) che invece appaiono ordinati e concentrati. Mandela si convince ancora di pi che abbattere le barriere dellincomunicabilit ed organizzare la convivenza utilizzando come ricchezza le differenze dovr essere il compito primo del suo governare. Una lezione che anche chi dirige il nostro Paese, che spreca il tempo raccontando sgradevoli fandonie fino a Lampedusa, dovrebbe se non raccogliere quantomeno incassare. In realt la conferma che lo sport, oltre ad essere un veicolo di comunicazione pu diventare lologramma di un sogno possibile, lavevamo gi avuto il 25 aprile del 2010. Grazie alla collaborazione tra Action e Legambiente, parteciparono alla tradizionale corsa podistica Corrireggio anche decine di lavoratori stagionali neri di Rosarno, tra cui alcuni dei feriti negli scontri. Bellissima e fortemente simbolica resta, tra le tante immagini di quel giorno impresse nella memoria, quella del lavoratore stagionale nero che porta un fascio di fiori rossi, omaggio dei partecipanti, al monumento del partigiano alla Villa Comunale. Oppure quella dei reggini che ai bordi delle strade fanno ala allo scorrere del fiume colorato della corsa. La loro faccia stupita e incuriosita al passaggio di quei ragazzi dalla pelle nera, un po sorpresi ma felici. Laggiunta di quel colore aveva portato una ricchezza in pi alla nostra manifestazione e aveva disegnato per un attimo la citt variopinta del futuro. Andare avanti cos senza fermarsi, estendere la rete a tutto il Sud, il compito che ci sta ora davanti e ci vede gi impegnati. Sappiamo, come scandiva un vecchio slogan, che da soli non si pu. Vanno cercate altre sintonie e nuove inedite alleanze. A partire da quella con chi si batte per il rilancio dellagricoltura, nella Piana di Gioia Tauro e nel Sud. Per cancellare la vergogna del prezzo delle arance a pochi centesimi, per puntare sul rinnovamento aziendale, sulla qualit, eccellenza e tipicit delle produzioni, sulla filiera corta, sul rilancio del rapporto tra agricoltura, ambiente e paesaggio. Proprio di recente la Coldiretti ha avviato una campagna che dovremmo tutti condividere e sottoscrivere. contro il comportamento amorale delle industrie che imbottigliano le aranciate, che continuano ad avvalersi di una legge nazionale ormai datata, la 286/61, che prevede che le bevande al gusto di agrumi possono essere colorate a condizione che esse contengano almeno il 12% di succo originale. Cos in un litro di aranciata, che viene pagato mediamente ad 1,30 euro, ci sono solo 3 centesimi di euro di arance. Cambiare la legge, aumentando la quantit del succo contenuto nelle aranciate e fissando un etichetta chiara che ne rintracci lorigine, la provenienza, pu essere un modo per restituire diritti ai lavoratori e reddito alle imprese agricole e una bevanda di qualit per i consumatori. Anche su questo terreno va sviluppato il nostro impegno. Non posso che augurare che le radici sempre pi solide e sviluppate della rete si accompagnino ad un sempre maggiore numero e armonia dei rami (cittadini, associazioni, movimenti, istituzioni) per rendere pi solido lalbero variopinto della solidariet e dei diritti. Reggio Calabria, 6 aprile 2011 Nuccio Barill Consigliere comunale Reggio Calabria (2007-11) Direttivo nazionale Legambiente

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LINTERVENTOLa Provincia di Reggio Calabria al fianco dei migranti Una terra spopolata dallemigrazione, una terra interrogata dallimmigrazione. Ecco il doppio volto della provincia di Reggio Calabria, con i suoi paesi dellentroterra abbandonati sulle colline e le sue campagne popolate da migliaia di migranti in cerca di lavoro. Essere luogo daccoglienza, multiculturale e solidale , dunque, prima che un obiettivo politico, un destino che abbiamo cercato come Amministrazione provinciale di interpretare nel modo migliore e fino in fondo. A Rosarno, innanzitutto. Dopo i gravi fatti del gennaio 2010 non abbiamo mai avuto dubbi nello schierarci accanto a coloro che rivendicavano diritti e combattevano lo sfruttamento e il razzismo. Quella presa di posizione si sta ora concretizzando nella costituzione di parte civile della Provincia di Reggio Calabria nei processi per reati di istigazione allodio ed alla violenza razziali. Ma sappiamo che la presenza stagionale dei braccianti africani nella Piana di Gioia Tauro, in concomitanza con la stagione della raccolta delle arance, richiede ben altre risposte. Risposte non emergenziali e non circoscritte allordine pubblico. Una questione complessa come quella rappresentata dalla presenza sul territorio degli oltre 800 migranti monitorati da reteRADICI nel corso della sua campagna autunnale non pu che prevedere risposte complesse. Nellapposito ordine del giorno approvato dal Consiglio provinciale nel novembre 2010 abbiamo, per questo, sollecitato un intervento complessivo che tuteli i diritti di cittadinanza, favorendo la fuoriuscita dei migranti dallinvisibilit sociale, anche alla luce delle vigenti norme internazionali, e ci siamo impegnati ad intavolare un confronto con i sindaci della Piana al fine di individuare il patrimonio abitativo dismesso e/o confiscato da destinare allemergenza alloggiativa dei lavoratori stagionali, favorendo nel contempo infrastrutture sociali a garanzia dei diritti sociali e sindacali dei lavoratori agricoli della Piana. Siamo, infatti, convinti che la soluzione passi da unassunzione collettiva di responsabilit che deve vedere le istituzioni locali in prima fila e la valorizzazione delle buone prassi emerse nel corso degli anni nel nostro territorio. Siamo convinti che solo cos potremo garantire la fruizione di quei diritti di cittadinanza invocati dai migranti per non essere pi invisibili. Una legittima aspirazione, la loro, che abbiamo abbracciato con forza sostenendo la vertenza partita dopo i fatti di Rosarno e festeggiando il 1 marzo 2011, insieme con reteRADICI e con una delegazione di braccianti africani di Rosarno e Drosi, il riconoscimento della protezione umanitaria per 13 lavoratori stagionali. Non ci sfugge che il cammino ancora lungo ma abbiamo intenzione di fare la nostra parte fino in fondo. Reggio Calabria, 30 marzo 2011 Attilio Tucci Assessore Politiche sociali (2006/11) Provincia di Reggio Calabria Omar Minniti Consigliere (2006/11) Provincia di Reggio Calabria

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Accanto e in basso alcuni momenti delle assemblee delle comunit migranti che si sono svolte tra novembre 2010 e marzo 2011 alla Cgil di Gioia Tauro e alla Caritas di Drosi.

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DOSSIER RADICI/ROSARNO - Lanno zero

LANNO ZERO

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LA MOBILITAZIONE Il dopo-rivolta, il contesto generale, la nascita della rete

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LA RIVOLTA di Rosarno un punto di svolta: c un prima e un dopo. Con il dossier Arance insanguinate di daSud e Stopndrangheta.it si indagato sulla genesi di fatti che non hanno precedenti nella storia repubblicana, si ripercorso un ventennio di morti dimenticati e persecuzioni razziali, sfruttamento nei campi e miopi politiche emergenziali, clientelismo agrario e disinteresse delle istituzioni locali e centrali. Cause profonde ed episodi scatenanti. Messo un punto fermo sul prima, sul dopo che ci siamo interrogati. Con una sola certezza: le facili generalizzazioni che assegnano patenti di razzismo e mafiosit a intere comunit sono inutili e dannose, ma al tempo stesso parole come accoglienza, diritti e inclusione vanno riempite di fatti concreti. Ancora tuttaltro che dimostrati. Allindomani della rivolta del 7 gennaio 2010, una rete informale di associazioni, movimenti, organizzazioni sociali e politiche ha intrapreso una intensa mobilitazione tra Roma, Caserta e Reggio Calabria per la tutela dei migranti deportati dalla Calabria. Una lotta appassionata che ha dato vita a un percorso vertenziale per il riconoscimento del diritto di soggiorno degli africani provenienti da Rosarno (e di quelli che da Rosarno non si sono mai allontanati). A riflettori spenti, limpegno proseguito. E ha fluidificato il riconoscimento di circa 200 permessi di soggiorno per motivi umanitari. Ma lo sfruttamento dei migranti una delle caratteristiche del modello mediterraneo di agricoltura. Quello di Rosarno solo uno dei nodi della rete, una delle tappe obbligate dellesercito dei nuovi schiavi impiegati nelle nostre campagne. In Campania come in Sicilia, a Palazzo San Gervasio in Basilicata come a Foggia in Puglia, i migranti vivono la stessa condizione. Anzi di pi: sono proprio gli stessi volti, le stesse braccia, due-tremila campesinos dalla pelle nera, dalle braccia indistruttibili e dalla dignit sotto i tacchi. Non sono pi acute supposizioni: lo testimoniano le centinaia di schede compilate in questi mesi dagli sportelli del movimento antirazzista. Provenienti per la stragrande maggioranza dallAfrica subsahariana, in fuga da guerre e persecuzioni, hanno subito estorsioni e arresti illegali in Libia prima di sbarcare in Italia. Sono arrivati tra il 2007 e il 2009, prima che i controversi accordi col regime di Gheddafi chiudessero la via del deserto con la pratica illegale dei respingimenti di massa. Richiedono protezione internazionale, tutela e accoglienza sistematicamente eluse dal governo italiano e vivono in un limbo dal quale difficile uscire, fatto di clandestinit e discriminazione.

La mobilitazione antirazzista del 9 gennaio 2010 a Roma.

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In questa pagina e nella successiva alcuni momenti delliniziativa Le RADICI raccontano... del 23 novembre 2010 al Random musiclub di Reggio Calabria. E! la prima uscita pubblica di reteRADICI.

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Non sono migranti economici ma richiedenti asilo, soggetti vulnerabili che non potranno mai partecipare ai provvedimenti di emersione previsti per legge. A volte irregolari ma ugualmente inespellibili perch provenienti da paesi comunque considerati a rischio. Per questo lavorano nelle campagne, schiavi di un sistema che li rende invisibili e ricattabili. Prigionieri dei paradossi della legge Bossi-Fini, del Pacchetto sicurezza e pi in generale delle trasversali politiche repressive in tema di immigrazione. In autunno, le arance sono tornate sugli alberi e i migranti nei campi della Piana. Lesigenza di fare emergere le contraddizioni del sistema, per garantire diritti, cittadinanza e dignit, ha portato alla nascita di RADICI: una campagna di monitoraggio, partita nellautunno 2010 proprio dal nodo di Rosarno, che si trasformata in breve in una nuova vertenza a tutela dei migranti. Una mobilitazione che parte dalla Calabria, ma che si configura come una vertenza meridionale. RADICI perch da circa tre anni nelle campagne del Sud questi migranti lavorano in agricoltura - garantendo destate la raccolta dei pomodori e dinverno degli agrumi - in un contesto di grave sfruttamento, diritti negati e ricattabilit. Seguendo i ritmi della terra, si muovono rincorrendo la speranza di un ingaggio sottopagato: si insediano tra Foggia e il Vulture tra luglio e ottobre, prima di proseguire per la Piana di Rosarno dove sono impegnati fino a marzo per gli agrumi. Ovunque lo stesso scenario: caporalato, lavoro nero, grave emergenza abitativa, pessime condizioni igienico-sanitarie. RADICI perch il riscatto di questi lavoratori invisibili, in ideale collegamento con le battaglie di giustizia sociale che sono patrimonio culturale e politico del Sud Italia, non pu prescindere dalla conquista dei diritti di cittadinanza con priorit assoluta per il diritto a soggiornare sul territorio italiano. In assenza di questultimo, infatti, qualunque idea di accoglienza e assistenza, come indicato dagli stessi migranti, risulterebbe limitata e miope.

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CRONACA DI UNA VERTENZA La rabbia e la reazione, lasse del sud, le tutele conquistate

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SPARI SUGLI IMMIGRATI e scoppia la guerriglia, Rosarno a ferro e fuoco. Questa volta hanno reagito, devastando tutto quello che capitava loro a tiro. Hanno distrutto ogni cosa dopo aver subito lennesima provocazione. Gli extracomunitari della piana di Gioia Tauro si sono ribellati ed stato il panico per unintera serata. Rosarno, Reggio Calabria. Un paese che, nei giorni della rivolta dei migranti del gennaio 2010, diventa titolo da prima pagina sulle maggiori testate nazionali e internazionali. In quei giorni lItalia scopre il ricatto della ndrangheta al quale sono sottoposti i tanti migranti che lavorano la terra o raccolgono gli agrumi della Piana di Rosarno per 20 euro al giorno, dei quali cinque vanno alla stessa ndrangheta come sorta di tassa per il trasporto. Scoprono i capannoni senza luce e acqua, con condizioni igienico-sanitarie spaventose, dove i migranti vengono tenuti. E scoprono il razzismo misto a violenza e intimidazione che mantiene ferocemente in piedi lordine delle cose, che culmina nella caccia al migrante e nella rivolta e presa di coscienza di questi moderni schiavi. Segnali di questa rivolta ce ne erano stati diversi. Sempre inascoltati o sottovalutati e mediaticamente relegati in qualche trafiletto sulle cronache dei giornali locali, mentre le poche associazioni che si erano fino ad allora interessate alla situazione si erano limitate a intervenire con forme assistenzialiste. La rabbia e la mobilitazione. Le reazioni politiche non tardano ad arrivare. Il ministro dellInterno dichiara a caldo che: In questi anni stata tollerata limmigrazione clandestina che ha alimentato la criminalit e ha generato situazioni di forte degrado. Dichiarazioni che scatenano la rabbia e lindignazione di decine di attivisti e di altrettante associazioni, che ricordano bene quanto sia lintolleranza razzista del governo e delle sue leggi a produrre clandestinit e determinare degrado sociale e politico. Perch in realt quello che succede solo il risultato della tolleranza delle continue violazioni di diritti fondamentali e condizioni di sfruttamento e discriminazione, alle quali i migranti hanno deciso di reagire. Le reti antirazziste, in particolare a Roma, indicono subito una manifestazione nei pressi del ministero alla quale partecipano in tanti. Troppa (in)tolleranza e nessun diritto le parole dordine della protesta, parafrasando proprio le dichiarazioni del titolare del Viminale. Vengono promosse numerose assemblee pubbliche nelle quali la rivolta di Rosarno viene indicata come un punto di non ritorno delle politiche di governo, fallite clamorosamente, e la richiesta chiara: dimissioni! Durante il presidio avvengono dei tafferugli con le forze dellordine e tre manifestanti rimangono feriti. Molte intanto le associazioni, le realt e gli enti pubblici che offrono i primi soccorsi sul territorio a poche ore dai fatti di Rosarno. In particolare Medici senza frontiere e lospedale San Gallicano di Roma - attraverso team inviati sul posto - assistono decine di migranti agevolando il ricovero dei feriti presso gli ospedali della zona. E sono loro che raccolgono i primi racconti di una tragedia annunciata, perch i segnali negli ultimi tempi erano assai evidenti. Una rivolta annunciata. Decine di rapporti e di dossier segnalavano da tempo la condizione schiavistica dei migranti ingaggiati in agricoltura nel comprensorio della Piana. Le proteste di ieri hanno sconvolto tutti (...) ma ci rendiamo conto che era solo questione di tempo. Non si possono far vivere le persone come animali e pensare che non si ribellino. Qui in corso una vera emergenza sociale. Quello che accaduto a Rosarno frutto della mancanza di una pianificazione adeguata per i lavoratori stagionali e della totale assenza di una politica dellintegrazione. Cos Don Pino Demasi, referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro,29

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commenta la rivolta degli immigrati a Rosarno. Nella Piana - prosegue il sacerdote, che anche vicario generale della diocesi di Oppido-Palmi - ci sono circa 2.000 immigrati africani che si accalcano per dormire la notte tra unex-cartiera in disuso e un immobile dellex-Opera Sila. Se qualcuno del governo centrale o della regione vedesse in che condizioni vivono, senza nulla, senza servizi, luce, acqua, alimenti o riscaldamento non si stupirebbe di quanto accaduto. Immigrati che sono sotto minaccia continua dei caporali che li rendono di fatto invisibili, vulnerabili e soli (.) Il problema immigrati a Rosarno non esula dal problema delle mafie perch la ndrangheta che gestisce tutto. Ed sempre la criminalit organizzata che stabilisce i movimenti, le paghe ed il compenso dei caporali. Ed sempre la ndrangheta che, con gente come quella di ieri, vuole dire qui comandiamo noi. Quindi il problema molto pi serio di quanto pu apparire. Confido - conclude Demasi - negli abitanti della Piana che hanno un animo buono e conoscono la situazione di questa gente, ma necessario che le autorit si assumano la responsabilit di una situazione che necessita di giustizia prima ancora che di carit. La condizione dei migranti stagionali a Rosarno, la storia di violenze e soprusi, il contesto di grave sfruttamento che dura da ventanni, sono documentati dal dossier Arance insanguinate dellassociazione daSud e di Stopndrangheta.it pubblicato poco dopo i fatti. Un dossier che prova a ripercorrere le tracce di questa triste storia: Gli africani provano a salvarsi dalle spranghe, dai fucili ad aria compressa, dalle pistole vere. Ci provano da anni, tra un ricovero in ospedale, una denuncia degli estortori e una rivolta quando la misura colma. Il sangue sulle arance che abbiamo portato in piazza a Roma il 12 gennaio per indicare che Rosarno un caso nazionale, sangue rappreso. Sangue vecchio. Scorre da anni, senza sporcare le coscienze. Ma le condizioni di vita degli immigrati che lavorano nel Sud Italia sono bene descritte nelle centinaia di pagine dei numerosi rapporti che Medici senza frontiere pubblica regolarmente da anni, in seguito alle missioni svolte in zona. Anche alla vigilia della rivolta, una ventina di volontari di Msf supportati da volontari di altre associazioni locali, hanno distribuito kit igienico-sanitari a 2.000 persone per alleviare le sofferenze provocate dalle drammatiche condizioni di vita e di lavoro, rese ancora peggiori dal freddo della stagione. In una nota del 8 gennaio del 2010 a firma di Loris De Filippi - responsabile di Msf - si afferma: Abbiamo ripetutamente contattato le autorit nelle Regioni dove abbiamo lavorato in questi anni, inclusa la Regione Calabria, per sottolineare la grave situazione umanitaria e i bisogni dei lavoratori migranti che vivono in Italia e la necessit di prendere provvedimenti urgenti per migliorare la loro situazione. evidente insomma che la condizione degli immigrati di Rosarno era tristemente nota a chi di dovere, istituzioni di governo comprese. Conoscenza e responsabilit conseguente che attraverso la criminalizzazione dei migranti - si tentato maldestramente di occultare. Nei giorni successivi conosceremo infatti le contromisure adottate dal ministero degli Interni, con la deportazione forzata di tutti gli africani rastrellati nel territorio, dei quali una buona parte viene identificata e richiusa nelle strutture di identificazione e di espulsione di Crotone, Lamezia Terme e Bari. Chi decide di non salire sui bus della polizia va fatto sloggiare in ogni mezzo, purch se ne vada da Rosarno. Prosegue limpegno. La drammaticit dei fatti di Rosarno non deve essere dimenticata. Portiamo le arance insanguinate sotto il palazzo del Senato appena una settimana dopo la rivolta. Una iniziativa di denuncia: Quello che accaduto sulla Piana di Gioia Tauro soltanto l'ennesimo segnale del disagio profondo dei cittadini immigrati in Italia. A pochi mesi dall'approvazione del Pacchetto sicurezza, si determina sempre pi concretamente

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un contesto sociale dove i pi deboli, gli invisibili sono merce da sfruttare. Sono le politiche securitarie del governo a determinare la clandestinit di centinaia di migliaia di persone, alimentando il lavoro nero nei campi, nei cantieri nelle fabbriche, in tutto il Paese. Ma anche di proposta: Mobilitiamoci sui territori, per costruire un movimento capace di dare un segnale forte sul caso Rosarno, radicare il dissenso, progettare laccoglienza. Se di regole c bisogno, si tratta di leggi che tutelino i diritti dei migranti, contro il lavoro nero, e politiche di accoglienza degne di questo nome. Per questo motivo chiediamo che venga accordato il permesso di soggiorno a tutti i migranti di Rosarno. Lanciamo una vertenza per la regolarizzazione degli stranieri a partire da quelli che lavorano in agricoltura. E chiediamo una sanatoria generalizzata che salvaguardi la vita di migliaia di cittadini sfruttati e soggiogati dalle mafie che gestiscono la compravendita di forza lavoro. Un appello che non rimane inascoltato. In quei giorni raccoglie numerose adesioni. I racconti degli africani. Scopriamo che gli africani deportati da Rosarno sono finiti alla stazione Termini di Roma, e dormono sotto i portici, al gelo. Li raggiungiamo, cerchiamo un contatto. Decidiamo di capirci di pi, organizziamo assemblee coi migranti, li convinciamo a sottoporsi alle interviste, per comprendere nel profondo le necessit ma anche le possibili soluzioni. Ore e ore passate ad ascoltare i racconti dei giovani africani, che ci compongono un quadro inquietante ma dal quale emerge con chiarezza il legame tra lirregolarit amministrativa e il ricatto a cui ogni giorno sono sottoposti. Non avere i documenti ti mette in una condizione di dover accettare tutto, di essere una non persona, di provare a sopravvivere lavorando anche 12 ore al giorno per 25 euro. Perch questa la verit di Rosarno, la storia di centinaia di africani che ogni anno affollano le strade della piccola cittadina in cerca di un ingaggio alle condizioni che detta la malavita locale: Tante volte non mi hanno pagato ma non ho documenti e non posso andare alla polizia per denunciare. Lasse Roma-Caserta-Reggio. Nel frattempo la mobilitazione attraversa anche uno dei luoghi storici dellautorganizzazione migrante: Castel Volturno. S, perch la diaspora del 9 gennaio tocca non solo Roma ma anche la provincia di Caserta, dove uno dei luoghi di riferimento delle tutele e delle lotte migranti raccoglie la sfida della rete antirazzista romana. Il centro sociale Ex Canapificio accoglie e prende in carico migranti africani fuggiti da Rosarno, rilanciando subito la necessit di un percorso di emersione per i migranti coinvolti nelle violenze. E ci si mobilita anche a Reggio Calabria, che del territorio della Piana di Rosarno capoluogo. Il 19 gennaio prende forma la prima mobilitazione congiunta con i presidi presso le prefetture delle tre citt allinsegna dello slogan Troppa (in)tolleranza e nessun diritto, sanatoria per i migranti. A Roma circa 200 manifestanti danno vita al sit-in di fronte a Palazzo Valentini, sede della prefettura di Roma. Le associazioni antirazziste hanno attuato presidi in contemporanea anche a Treviso, Padova, Potenza, Bari per dire che quello di Rosarno un caso nazionale. In piazza. La rabbia dei protagonisti e di quelli come noi che si trovano a raccogliere queste storie tanta. I fatti di Rosarno non possono essere liquidati come un problema di ordine pubblico e Mai pi unaltra Rosarno, ribellarsi giusto, rivendicare diritti necessario diventa lo slogan della campagna che immediatamente costruiamo a Roma, insieme agli africani. Assieme a loro decidiamo di convocare una conferenza stampa con la quale denunciare la grave condizione in cui versano i lavoratori africani di Rosarno e lanciare la vertenza per esigere una immediata regolarizzazione dei migranti e una degna accoglienza. I mandarini e le olive non cadono dal cielo. Sono delle mani che li31

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raccolgono un brano del documento letto nel corso di questa conferenza stampa tenuta il 02 febbraio 2010 a piazza San Marco al centro di Roma, da Dauoda, uno dei migranti di Rosarno che dal 10 gennaio vive nella Capitale e che insieme ad altri hanno costituito lassemblea dei lavoratori africani di Rosarno. Si organizzano insieme alla rete antirazzista in nome dei diritti e della dignit, una rete che da questo momento diventer in luogo centrale delle prossime mobilitazioni racconta Yamadou. Dalla Calabria fino a Roma, con un biglietto di sola andata. Domandano che il permesso di soggiorno concesso per motivi umanitari agli undici africani feriti a Rosarno venga esteso anche a tutte le vittime dello sfruttamento e della condizione irregolare. Vogliono che questo governo si assuma le sue responsabilit. Rosarno-Roma andata, e ritorno. E guardando a Rosarno come nodo centrale delle grandi contraddizioni della Bossi-Fini, ci accorgiamo presto che il viaggio di sola andata non ha senso. Diventa necessario riportare Roma in Calabria e tornare in quelle strade e fra quelle case nella Rosarno di chi si ribellato. Lo facciamo presto, con laiuto di Salim, uno dei ragazzi africani, schiavo degli aranceti, anche lui cacciato da Rosarno il 7 gennaio, con la minaccia delle spranghe e delle fucilate. Lo abbiamo conosciuto a Roma insieme a tutti gli altri. Adesso , con Daouda, uno dei protagonisti delle lotte romane. Ci dicono subito che a Rosarno cerano molti ragazzi, rimasti l anche dopo la rivolta. strano: sapevamo che non cera rimasto quasi nessuno dei lavoratori africani, ci avevano detto erano andati tutti via! Appena arrivati ci precipitiamo alla stazione della citt dove ci aspettano tre ragazzi. Ci chiedono di seguirli e ci portano nelle loro case nel quartiere vecchio del paese: il quartiere Corea. C tensione, silenzio inquietante ma loro sono tranquilli. Una volta dentro le loro stanze dai tanti letti che costano cadauno 50 euro al mese, siamo costretti ad uscire perch lo spazio non sufficiente. Sono in venti, vogliono parlare con noi, tirano fuori i documenti, sul loro volto si legge finalmente una speranza: forse qualcuno li pu aiutare. Si forma un piccolo assembramento che invade la stradina, le nostre chiacchiere rompono il silenzio. Ma resta la tensione. A Rosarno ci si deve muovere come in una realt sotto occupazione. E non per scherzo. Intanto uno per volta ci raccontano cosa succede, ci dicono che sono tantissimi (almeno duecento, forse di pi), e una buona parte non si mai mossa da l. Che adesso vivono a 7 km da Rosarno dietro la collina... ce la indicano, tentando di mostrare la distanza e quindi la fatica che ogni mattina devono affrontare per arrivare in citt. Ci dicono che la situazione di gran lunga peggiorata, uno di loro che vive l da quattro anni ci racconta di sputi addosso e insulti e che come alla fine della stagione ogni anno tentino in tutti i modi di cacciarli! Non serviamo pi? Non siamo pi utili? E allora ci sparano. Ma il loro problema resta quello dei documenti, lessenziale per diventare persone con nomi e cognomi, ognuno con la propria storia conservata in una cartellina pronta ad essere mostrata in questura, alla commissione, da quando sbarcano a quando devono lavorare. Sono tutti richiedenti la protezione internazionale, tutti fuggono da situazioni intollerabili, con la speranza di veder riconosciuti i loro diritti. Ci chiedono di poter fotocopiare i loro documenti, dopo avergli spiegato la battaglia che in molte citt decine di associazioni stanno conducendo per i lavoratori africani di Rosarno. La voglia di riscatto quindi attraversa la zona rossa, quella decretata a Rosarno allindomani dei fatti di gennaio, che nessuno ha osato violare, neanche di fronte alla caccia al negro.

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Il movimento, i partiti, le organizzazioni, la societ civile, tutti sono stati a guardare, senza riuscire a organizzare nemmeno una manifestazione simbolica. E invece la lotta, finalmente, ritorna anche in Calabria. Il caso al ministero e allUe. Il caso Rosarno diventa rivendicazione sulle grigie scrivanie ministeriali. Circa duecento migranti decidono di continuare il percorso di lotta e si riappropriano della loro identit, strappata dal tempo e dal lavoro sommerso. Si raccontano in decine di assemblee e iniziative pubbliche dove al centro c il loro coraggio e la loro determinazione per ottenere giustizia. Sempre pi cittadini e associazioni sostengono la loro lotta, iniziata il 7 gennaio 2010. E una delegazione europea, promossa dal parlamento degli Stati membri organizza audizioni a Roma e a Lamezia Terme nelle quali ascolta le richieste dei migranti e delle realt associative informali, per stilare una raccomandazione al governo italiano. Diritti e dignit! A riflettori spenti, limpegno proseguito. E ha fluidificato il riconoscimento di circa 200 permessi di soggiorno per motivi umanitari. In primavera inoltrata le proposte della rete antirazzista sono state accolte dal governo e i duecento migranti che hanno abbracciato la lotta-vertenza tra Roma, Caserta e Rosarno hanno potuto finalmente sanare la loro posizione amministrativa, essere persone. Le Commissioni territoriali per i rifugiati di Roma, Caserta e Crotone hanno ritenuto, sulla scorta delle sollecitazioni innescate dalla vertenza e secondo le indicazioni del ministero dellInterno, di riesaminare le posizioni dei cittadini stranieri richiedenti la protezione internazionale. Riesami che si sono conclusi con esito positivo, nonostante i soggetti in questione avessero gi incassato uno o pi dinieghi. Le motivazioni dei decreti emessi dalle Commissioni fanno riferimento a vulnerabilit relative alle condizioni dei paesi di provenienza ed esplicitamente a vulnerabilit relative allo sfruttamento patito a Rosarno. Dunque, vulnerabilit non sufficienti al riconoscimento dello status di rifugiato ma pienamente sufficienti al riconoscimento di tutele per motivi umanitari. Una linea di condotta che apre scenari importanti sullefficacia e la funzione della legislazione in tema di asilo, anche alla luce dei recenti avvenimenti nel Mediterraneo. Lo sfruttamento sistema. Rosarno, Caserta, ma anche Palazzo San Gervasio e Foggia. Quello del Sud un modello agricolo basato sullo sfruttamento dei migranti. Lo abbiamo toccato con mano nel corso della campagna di monitoraggio lanciata in Basilicata tra agosto e settembre, che ha portato a intervistare centinaia di braccianti, anche nel territorio di Foggia. Stesse condizioni, stesso sistema fatto di lavoro nero, baracche indegne in cui vivere, leggi che creano clandestinit. Il censimento del progetto Cam(per) i diritti ha svelato ancora una volta lipocrisia delle istituzioni. Di fronte a uno scenario simile, anche la lotta diventata sistema, ripartendo proprio da Rosarno con la reteRADICI.

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Ter mini, capolinea dei de portati. Mentre le reti delle associazioni romane si mobilitano sullonda emotiva dei fatti di Rosarno, decine di africani si ritrovano a Roma dove i portici della stazione Termini diventano unico rifugio per passare la notte senza un tetto, senza un lavoro e senza aiuto, con temperature che nel mese di gennaio raggiungono lo zero. questa la meta della deportazione dei migranti, costretti a lasciare la Piana per motivi di ordine pubblico e mandati allo sbaraglio, senza nessuno che si occupasse di loro. una fredda sera di gennaio quando decidiamo di verificare la presenza dei ragazzi africani, dei quali da qualche giorno molti ci raccontano. impressionante. File di persone che dormono sui marciapiedi di via Marsala una accanto allaltra, spaventati e diffidenti come mai. La maggior parte proviene dallAfrica subsahariana, raccontano della fuga forzata dalla Piana di Rosarno, di essere stati costretti a scappare lasciando tutti gli effetti personali, tra cui documenti e anche soldi. Vivono in condizioni di estrema precariet, con il rischio di rimpatri ed espulsioni. Da braccianti schiavizzati senza piet, da vittime della violenza cieca, diventano criminali da punire: sono gli effetti perversi della Bossi-Fini e del Pacchetto sicurezza che fa dei lavoratori stranieri una merce da sfruttare e della clandestinit un comodo alibi. E cos in quei giorni a Roma si consuma una vera e propria emergenza umanitaria che chiama in causa tutti quanti operano nel campo dei diritti e del sociale, ma che chiama in causa in primo luogo le istituzioni locali, affinch diano una concreta risposta di accoglienza. Cos come hanno fatto alcune realt del movimento romano. Dopo i primi giorni, in cui la capacit di comunicare dei ragazzi stata difficile perch animata dal sospetto e dalla paura, sono cominciati i racconti su quello che successo a Rosarno. Violenza, sfruttamento, aggressioni, insomma una vita di inferno da invisibili schiavi. Razzismo, controllo e paura ma allo stesso tempo la necessit di sopravvivere con qualche giornata di lavoro che a Rosarno nonostante tutto si riusciva a racimolare. Raccontano anche di aver vissuto la deportazione come un trauma, una ferita che si riapre al pensiero di essere stati costretti a scappare cos come si scappati dal proprio paese. Una storia che si ripete con un carico emotivo di grande sofferenza e di rassegnazione. Rassegnazione che presto diventa rabbia e voglia di riscatto. Rivendicare la dignit e i diritti smarriti, nella maglie di una legge che ti costringe alla clandestinit, diventa volont di tutti. Inizia la vertenza.

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Storia di un migrante. Daouda, un ragazzo della Costa dAvorio di circa 28 anni, racconta della rivolta con grande lucidit ma anche con molta rabbia. Lui arriva in Italia nel 2009, su un barcone della speranza che attraversa il Mediterraneo fortunatamente senza incidenti. Una cosa davvero rara visto il numero impressionante di morti della traversata. Al momento dello sbarco decine di poliziotti sul molo, e tante domande a cui non sapeva davvero cosa rispondere, impronte digitali, foto e una richiesta dasilo come lasciapassare per entrare nella grande e bella Europa. E alle spalle un passato che pesa: Ho dovuto lasciare il mio paese per continuare a vivere, la guerra civile aveva gi portato via mio fratello ucciso brutalmente da un colpo di arma da fuoco . Dopo un periodo nel centro di accoglienza di Arcinazzo, a Frosinone, Daouda arriva a Rosarno. Gliene avevano parlato i suoi amici e lui aveva bisogno di lavorare. Quando sono arrivato in Calabria sono andato a vivere a Rizziconi, alla Collina. Dormivo in una tenda da campeggio che mi ero procurato. I fatti di gennaio fanno precipitare la situazione. Daouda non ci sta a subire, marcia coi suoi compagni alla manifestazione dell8 gennaio succeduta al ferimento degli africani e insieme a una delegazione di migranti incontra il commissario che governa il Comune dopo lo scioglimento per mafia. Chiedono tutele: Siamo esseri umani e vogliamo essere rispettati per vivere in pace. E invece sono tutti costretti a lasciare Rosarno. Daouda arriva a Roma il 10 gennaio, con un treno notturno. Al momento del trasferimento ordinato dal ministero dellInterno lui si rifiuta di salire sui bus della polizia, e come altri si dirige alla stazione di Reggio Calabria con lintenzione di arrivare nella Capitale. Un lungo viaggio che gli fa ritornare in mente la sua fuga dalla Costa dAvorio. Una ferita che si riapre e sanguina ancora. Daouda un ragazzo sveglio e intelligente, ma molto diffidente. Un vero leader per, guardato con molto rispetto dai suoi compagni, che si fidano davvero di lui. Il nostro problema non avere i documenti e dobbiamo lottare per questo, le sue parole vanno dritte al punto adesso che gli africani si sono ritrovati a Roma e si tratta di decidere cosa fare. Con orgoglio e tenacia organizza e dirige i migranti durante le assemblee, nelle quali si devono prendere decisioni importanti per la lotta. Ci crede e vuole che tutti siano convinti. Tutto il resto pu aspettare! Ci che dobbiamo ottenere adesso un permesso di soggiorno per essere persone vere e non pi fantasmi, e solo se tutti insieme lottiamo possiamo vincere.

A destra: Daouda Sanogo, uno dei leader della comunita migrante che si e ritrovata a Roma dopo i fatti di Rosarno. Nella pagina precedente: Modibo.

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In questa pagina: Rifiuti e oggetti abbandonati alla Collina di Rizziconi, testimonianza del passaggio di migliaia di migranti.

Nelle due pagine successive: Gli insediamenti della Collina di Rizziconi, uno dei ghetti abitati dai migranti fino alla rivolta del gennaio 2010. Lex Opera Sila, sgomberata dopo i fatti di gennaio. La spianata dellex fabbrica Rognetta, luogo storico della diaspora migrante, demolita dopo la rivolta.

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PASSAGGIO A SUD i nuovi braccianti, il modello mediterraneo, un limbo giuridico

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NEL 2008, QUANDO PER LA PRIMA VOLTA gli addetti allagricoltura in Italia sono scesi al di sotto della soglia del milione di lavoratori, circa 171.000 migranti risultavano regolarmente assunti nel comparto primario. questo lindicatore principale di una tendenza ventennale: la componente migrante indispensabile per la tenuta stessa del comparto agricolo. La presenza straniera. Lultima indagine Istat relativa alla popolazione straniera residente in Italia al 1 gennaio 2010 ha descritto una distribuzione dei 4,23 milioni di immigrati presenti sul territorio molto disomogenea. Secondo tale rilevazione, al Nord la presenza di stranieri supera il 60%, al Centro si attesta a poco pi del 25%, mentre al Sud appena al di sopra del 13%. Ugualmente frammentata anche lincidenza della presenza dei migranti sul totale dei residenti: se al Nord poco meno di un residente su dieci un immigrato, al Sud lincidenza si riduce a meno del 3%. La media totale del 6%, in linea con la media Ue27. La popolazione straniera residente in Calabria al 31 gennaio 2009 pari a 65.867 unit (Istat) con unincidenza percentuale sulla popolazione calabrese che si attesta all1,6%, con un incremento costante a partire dagli anni Novanta. Nella provincia di Reggio Calabria la popolazione straniera residente al 2009 ammonta complessivamente a 22.105 unit, prima tra le cinque province. Secondo lInea (Gli immigrati nellagricoltura italiana, 2009), gli extracomunitari impiegati in agricoltura nel 2007 sono stati 9.350, con un incremento consistente rispetto allanno precedente. Nel dossier Caritas-Migrantes 2010, che riprende i dati Inail relativi ai nati allestero, si indica la cifra di 13.107 lavoratori agricoli attivi nel 2009 in Calabria (29,9% degli occupati), mentre gli assunti nel 2009 sono stati 12.122, di cui 4.728 alla prima occupazione (perch non presenti in precedenza o perch irregolari). Ci detto, questi dati riflettono le lacune dei metodi tradizionali di rilevamento, che non sono in grado di registrare la non indifferente presenza irregolare e leconomia sommersa. Secondo alcune stime, mancano allappello 422mila stranieri che si trovano in uno status di irregolarit amministrativa. Nel dossier Caritas-Migrantes 2010 si calcola che gli stranieri presenti in Calabria ammontino a quasi 96mila, cio 30mila in pi rispetto a quelli effettivamente censiti dalle anagrafi comunali. lIstat a fornire indicazioni sullo stato dellagricoltura: nellaudizione alla Camera del 15 aprile 2010, si indica nel 24,5% il tasso di irregolarit nel settore nel 2009, in forte crescita rispetto al 20,9% del 2001 (spicca lintero Sud con Campania e Calabria in testa, poi il Lazio con un tasso di irregolarit del 32,8%). I dati del piano straordinario di vigilanza per lagricoltura e ledilizia al Sud, ordinato dal ministero del Lavoro allindomani dei fatti di Rosarno, confermano il quadro. La Calabria prima in quanto a irregolarit nei cantieri (75% delle aziende). Per quando riguarda il settore agricolo, sono 7mila i lavoratori irregolari, quasi la met dei quali (49%), occupati in nero. Le ispezioni tra marzo e dicembre 2010 hanno riguardato 7.816 aziende agricole di Calabria, Campania e Puglia, il 44% delle quali irregolare. Grazie alle ispezioni, inoltre, sono state scoperte numerose truffe ai danni degli istituti previdenziali mediante linstaurazione di rapporti agricoli fittizi: 35.659 posizioni. Su questo versante, la Calabria vede il 28% di aziende irregolari sul totale di quelle controllate e 1.173 posizioni previdenziali fittizie.41

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I nuovi braccianti. Dunque, in Calabria presente un esercito di braccia straniere, 100mila migranti in et lavorativa, che producono rimesse allestero per 6 milioni di euro (dati Commissione regionale emersione lavoro non regolare) e mandano avanti leconomia locale. In agricoltura, come si visto, limportanza della manodopera straniera addirittura strategica. Ed questo un dato di fatto che riguarda lintero Meridione. Lidentikit del nuovo bracciante ci aiuta a capire cosa avvenuto nelle nostre campagne negli ultimi venti anni. I campesinos del terzo millennio sono stagionali, sono estremamente mobili, girano nei nodi dellagricoltura meridionale per prendere parte alla raccolta di frutta e ortaggi e vivono in condizioni di grave sfruttamento sul lavoro e in condizioni abitative, sociali e sanitarie indegne, si trovano in uno status amministrativo estremamente precario. Dunque, abbiamo uno specifico contesto geografico (il Sud), un determinato comparto produttivo (lagricoltura intensiva), un preciso profilo professionale (il bracciantato agricolo), e un particolare profilo giuridico delle soggettivit coinvolte (status amministrativo estremamente precario). Il modello mediterraneo. Sono questi gli elementi strutturali del sistema dellagricoltura meridionale, ma non solo: caratteristiche simili si registrano nelle altre aree agricole del bacino europeo del Mediterraneo. E cio dove sono la regola il lavoro informale e lirregolarit amministrativa, la disoccupazione elevata e la massiccia immigrazione, la centralit dei migranti nel comparto primario e limportanza che il settore ha per linserimento lavorativo dei migranti nella fase iniziale del proprio progetto migratorio. Il modello mediterraneo dellagricoltura si basa quindi su una ristrutturazione del ciclo produttivo, avvenuta negli ultimi venti anni, che evita gli investimenti in tecnologia sfruttando la manodopera a basso costo, in una logica di rendita fondiaria. unagricoltura intensiva, cio orientata a specializzazioni produttive (pomodori, agrumi ecc.), che necessita di una presenza massiccia di forza-lavoro in un determinato periodo di tempo, seguendo i cicli della raccolta. La specializzazione rende estreme le caratteristiche della produzione post-fordista (flessibilit e mobilit), facendo s che ad essere impiegate nei nodi dellagricoltura siano le stesse braccia migranti, in relazione ai cicli stagionali. Ecco perch quello del Sud un sistema interconnesso. Inclusione differenziale. In questo senso, lagricoltura del Sud Italia sovrappone le tendenze del neoliberismo ai tratti semi-feudali che hanno contraddistinto da sempre il lavoro contadino meridionale. Con delle novit rilevanti che pesano sulla condizione dei migranti. Alla condizione lavorativa del bracciante giornaliero, che ricalca quella del bracciantato del Dopoguerra, si associa la condizione sociale del migrante e la condizione giuridica di irregolare. Ecco che viene fuori lelemento centrale dellanalisi: negli ultimi venti anni, in una fase di crisi acuta del sistema agricolo, si inserito il lavoro migrante. Si prodotto un epocale fenomeno di sostituzione etnica del bracciantato, accompagnato dalla clandestinizzazione della forza-lavoro. In altre parole, i limiti alla libert di movimento, dettati dalle norme sullimmigrazione, sono un vero e proprio fattore di stratificazione sociale. La costruzione dei confini, e dunque la costruzione di status differenti, ha una funzione regolatrice per lassegnazione dei diritti ed eversiva delle regole del mercato del lavoro, secondo un modello di inclusione differenziale. Ci sono soggetti di serie A, che godono di diritti, e soggetti di serie B che possono essere sfruttati a piacere.42

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Inclusione differenziale, clandestinizzazione, sfruttamento selvaggio ecc. sono caratteristiche strutturali del modello mediterraneo dellagricoltura. A ben vedere, sono funzionali al sistema. Le restrizioni legislative in tema di immigrazione hanno prodotto una gerarchia tra gli stranieri, spingendo sullultimo gradino i migranti dellAfrica subsahariana. Sono un vero e proprio esercito di riserva di lavoro clandestino e semiclandestino, da utilizzare solo in momenti particolari come possono essere ad esempio i giorni feriali, i picchi di produzione, le precipitazioni atmosferiche, il malfunzionamento di macchinari, le commesse just-in-time della grande distribuzione. Dunque un utilizzo a corto raggio, intensivo e a cottimo, al quale si affianca invece una tendenza alla stabilizzazione in grigio del lavoratore dellEst Europa che, per la sua condizione di cittadino neocomunitario, permette lelusione di eventuali controlli sulla base della possibilit di registrare le giornate lavorative successivamente al loro espletamento e di evitare le gravi conseguenze penali previste dalla recente introduzione del reato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. In pratica, tutto concorre a fare della manodopera straniera un soggetto estremamente ricattabile, un segmento di forza-lavoro non organizzabile e difficilmente difendibile tramite forme di tutela collettiva e sindacale, e a partire dalle gerarchie legate alla libert di movimento, dei veri e propri individui semischiavizzati legati alla terra del Sud. Lo sfruttamento selvaggio nelle campagne meridionali dei braccianti extracomunitari dunque un elemento centrale, e lo ancor di pi col sopravvento della crisi economica e con laggravarsi della crisi del comparto agroindustriale, schiantato dalla competizione internazionale. A fare esplodere le contraddizioni di un sistema che vede la compresenza di elementi di ultramodernit e di atavica premodernit stata la cosiddetta riforma Fichler della Pac europea: gli incentivi ai produttori sono stati sganciati dalla produzione e accoppiati allestensione dei fondi, ledendo uno dei pilastri fondamentali del modello, e cio le rendite garantite dai finanziamenti europei e dalle truffe a questi collegate. Le contraddizioni. Alla luce di tutto ci, occorre sfatare un mito: non la presenza dei migranti irregolari la causa delleconomia sommersa, ma al contrario il sistema della nostra agricoltura a produrre come effetto le migrazioni cicliche degli stranieri irregolari nelle campagne del Sud. Il presupposto che esistano dei cittadini che si trovano in uno status di irregolarit amministrativa. In tal senso, la legislazione italiana in tema di immigrazione ha sostenuto il modello della nostra agricoltura, generando clandestinit. Dunque dice bene chi dice che la legge Bossi-Fini e la legislazione securitaria degli ultimi anni riguardano non solo le politiche immigratorie ma anche e soprattutto regolano il mercato del lavoro secondo strategie di inclusione differenziale. A rilevare le contraddizioni e lipocrisia istituzionale riguardo le politiche sullimmigrazione ci ha pensato unorganizzazione indipendente come Medici senza frontiere, da anni sul campo per monitorare lo stato dei braccianti nel Sud Italia. Da una parte si registrano misure di contenimento del fenomeno migratorio con politiche del pugno di ferro tese a combattere la clandestinit in nome della legalit. Dallaltra le stesse istituzioni nazionali e locali tappano occhi, orecchie e bocche dinanzi al massiccio sfruttamento degli stranieri nelle produzioni agricole meridionali perch necessarie al sostentamento delle economie locali. Lutilizzo di forza lavoro a basso costo, il reclutamento in nero, la negazione di condizioni di vita decenti,43

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il mancato accesso alle cure mediche sono aspetti ben noti e tollerati. I sindaci, le forze dellordine, gli ispettorati del lavoro, le associazioni di categoria e di tutela, i ministeri: tutti sanno e tutti tacciono (Msf 2008). In realt, non tutti stanno a guardare, anzi tutti agiscono e traggono vantaggi dalla clandestinit dei migranti. Agiscono i proprietari di case, che traggono rendite esorbitanti affittando catapecchie indecorose ai migranti, agiscono i tanti provider che speculano sulla condizione giuridica dei migranti vendendo attestazioni, permessi, kit di regolarizzazione, idoneit alloggiative, domande varie ecc. Agiscono i tanti braccianti regolarmente registrati allInps che lasciano ai migranti il lavoro nei campi sostituendosi a loro sulla carta, assommando contributi e percependo assegni di disoccupazione. il meccanismo dei falsi braccianti che, diventato indispensabile allindomani dellintroduzione dei meccanismi di controllo basati sugli indici di congruit coltura-estensione-manodopera impiegata, di fatto genera un doppio sfruttamento del lavoro migrante (Francesco Caruso, 2010): oltre a paghe da fame, i braccianti stranieri sono privati dei contributi previdenziali e del sostegno al reddito. Ma agiscono anche gli attori istituzionali attraverso meccanismi di produzione istituzionale dellirregolarit, attraverso le strozzature dei canali di accesso alla cittadinanza, quali ad esempio il criterio di un lavoro stabile e garantito per la concessione del permesso di soggiorno, le quote flussi che non rispondono in alcun modo alla realt del Paese. Il limbo giuridico. La distinzione classica tra regolari e irregolari non regge. I monitoraggi svolti in questi anni per fotografare le condizioni del bracciantato migrante ci restituiscono un quadro eterogeneo. Se da un lato ci sono i migranti regolari, dallaltro ci sono categorie sfumate, figure grigie non riconducibili n alluna n allaltra categoria. Richiedenti asilo in attesa di audizione, diniegati in attesa di ricorso, casi di dublinanti il cui status di controversa interpretazione, irregolari a tutti gli effetti con tanto di espulsioni pendenti che restano sul territorio italiano perch indigenti e perch inespellibili di fatto, figure grigie che possono soggiornare o permangono in ogni caso nelle campagne del Sud ma che, per via del loro status ambiguo, non hanno titolarit a sottoscrivere un regolare contratto di lavoro o di affitto. Ulteriori anomalie che producono contraddizioni, lavoro nero, precariet, negazione di diritti elementari. Un limbo giuridico che dura per alcuni anni, dal quale i migranti non hanno possibilit di sfuggire. Sono costretti ai gradini pi bassi del mercato del lavoro, senza nessuna chance di pianificare un progetto migratorio coerente con il proprio profilo formativo e professionale. In queste condizioni facile capire che il lavoro nelle campagne del sud Italia, in condizioni misere e totalmente carenti di diritti, un destino segnato gi prima della partenza dai paesi dorigine perch lunica opportunit che viene loro offerta. Lasilo negato. Il monitoraggio effettuato questestate nellambito del progetto Cam-per i diriti, in Basilicata tra agosto e settembre 2010, ci d la misura del fenomeno. Sono stati censiti 400 braccianti africani ed stato sottoposto loro un questionario. Un buon campione che, con le cautele del caso circa le distorsioni possibili, del resto evidenziate in sede di analisi, ci restituisce la realt di uno dei nodi dellagricoltura meridionale, quello del Vulture-Alto Bradano. Il 70% dei migranti ha richiesto la protezione internazionale, e tra questi la quasi totalit ha fatto ingresso in Italia tra il 2007 e il 2009, e cio dopo lultima regolarizzazione e prima degli44

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accordi con la Libia di Gheddafi. Si tratta di cittadini stranieri che fuggono da situazioni conflittuali (guerre civili, conflitti tribali, crisi politiche, conflitti nei villaggi, carestie, ecc.), ma che non trovano tutele in Italia. Secondo lIstat, infatti, meno del 10% dei richiedenti asilo vede accolta la richiesta di tutela. Il restante 90% va a nutrire la schiera dei diniegati. Una spiegazione frettolosa trova nella pratica delle richieste strumentali di asilo la risposta a una simile tendenza. Analizzando i decreti delle Commissioni territoriali per il riconoscimento dei rifugiati emerge, al contrario, la tendenza a semplificare le procedure: i dinieghi sono accompagnati da motivazioni oltremodo generiche, tendenti a ricondurre la richiesta di protezione alla ricerca di migliori condizioni di vita. C invece una spiegazione tutta politica: una interpretazione rigida della normativa sulla tutela internazionale, tendente a negare le ragioni dei richiedenti asilo in tal senso rende lidea del contesto politico-culturale la definizione di asilo-shopping, spesso utilizzata dagli attori istituzionali ha il senso di legittimare la politica infausta delle frontiere. C anche unaltra motivazione pi strutturale: la Convenzione di Ginevra del 1951, che disciplina la materia, frutto della divisione in blocchi del mondo, del clima della guerra fredda, tale che si pone laccento su alcuni tipi di pratiche persecutorie, sottovalutandone altri, oggi di estrema attualit. Per questi motivi, una revisione in senso pi ampio delle norme internazionali sullasilo il presupposto per il rispetto dei diritti dei migranti, anche e soprattutto alla luce del nuovo scenario che si va profilando nel Mediterraneo. Un ultimo dato estremamente significativo: l80% dei migranti non economici ha sempre e solo lavorato nei campi del Sud. Ancora una volta nella governance attuale delle migrazioni forzate si rivela un regime giuridico e procedurale che non pu cancellare la categoria dei rifugiati dagli ordinamenti nazionali, ma ne traduce letnicit e le motivazioni della fuga, la vita e i sentimenti in sistemi di selezione e controllo funzionali ad inserirli allinterno dei segmenti pi svantaggiati della produzione, come manodopera iper-sfruttata e talvolta penalizzata rispetto a molte altre categorie di migranti. Condizione causata anche dalla permanente impossibilit di regolarizzare la propria posizione ma allo stesso tempo di essere soggetti inespellibili. Un limbo quindi sul quale si dovr intervenire per porvi fine. Le previsioni. Lo scenario del Mediterraneo in preda a rivoluzioni, rivolte, guerre civili e guerre umanitarie non fa che avvalorare le stime e le proiezioni sui flussi migratori. Per il 2050 la previsione di 700 milioni di nuovi profughi, di cui si prevede che 200 milioni migreranno per cause ambientali (OIM Organizzazione Internazionale per la Migrazione). Infatti, se ad oggi le cause dominanti per le migrazioni sono state date quasi sempre da fattori politici e socio-economici, da alcuni anni dobbiamo registrare che i conflitti ambientali e il cambiamento climatico stanno ormai giocando un ruolo rilevante in questo fenomeno e lo saranno sempre di pi.

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LANALISILagricoltura calabrese: modernit senza produttivit, perch?E alla moltitudine - lincarnazione postmoderna del popolo, cio gli individui che vivono nel mercato globale, ne subiscono le ineguaglianze, sono espropriati del loro lavoro, anzi della loro vita si aprono gli spazi per una rivoluzione dellordine mondiale M. Hardt, A. Negri IMPERO

Il sistema agricolo calabrese. evidente come il quadro delleconomia agricola calabrese sia caratterizzato da strutturali inefficienze produttive e organizzative. La nostra riflessione, pertanto, non pu che partire dallanalisi di come indistinti ma ben organizzati blocchi trasversali di potere economico politico si siano accaparrati unenorme quantit di flussi economici di denaro. Altro non hanno fatto che realizzare una notevole accumulazione monetaria, senza contribuire in alcun modo a determinare unadeguata espansione economica per le popolazioni e per i territori circostanti. Questa nuova modernizzazione senza produzione ha sconvolto equilibri territoriali gi fragili, saccheggiando le risorse territoriali, contribuendo al fenomeno dellemigrazione e generando un sistema improduttivo e falsamente competitivo. facile constatare come sia assolutamente fuorviante affermare che lagricoltura abbia un ruolo centrale allinterno delleconomia calabrese. Fino ai primi anni 50 il settore agricolo in Calabria produceva il 43,4% del reddito della regione e dava occupazione al 65% della forza lavoro regionale. Dati molto significativi se confrontati con i valori assoluti nazionali (reddito 23%, occupazione 43,5%)1. Ma cosa successo negli ultimi venti anni? La Calabria si trasformata da paese esportatore ad importatore di forza lavoro, ribaltando la propria posizione, con lingresso di schiere di immigrati di provenienza prevalentemente extracomunitaria. Tale fenomeno si riscontra anche in agricoltura. E soprattutto nelle campagne dellItalia meridionale. La presenza degli immigrati in Calabria non solo un fenomeno rilevante dal punto di vista sociale e culturale, ma rappresenta anche un fenomeno strutturale del mercato del lavoro. Il contributo che viene dato dagli immigrati come occupati nel settore infatti piuttosto consistente. A questo proposito, esaminando i dati dellindagine INEA2, emerge che mentre la stagionalit una caratteristica pi o meno comune della domanda di lavoro agricolo extracomunitario in quasi tutta Italia, nel Meridione si accompagna anche a condizioni contrattuali non regolari e livelli salariali inferiori a quelli sindacali.1 Maria 2

Brancato Agricoltura e sviluppo sostenibile: la crisi agrumicola nella Piana di Gioia Tauro. cfr.ParteIII, Capp. 9, 10 e paragrafi ss.

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necessario ricordare come limmigrazione in Calabria non sia stata n programmata n prevista n esplicitamente sollecitata dal sistema economico. Il modello dimmigrazione calabrese essenzialmente un modello dimmigrazione spontanea. La classe politica locale, nel corso degli anni non ha messo in piedi alcun intervento strutturale, totalmente assenti politiche sociali mirate di sostegno ai migranti, del tutto inesistente un piano di accoglienza o di integrazione. Tutto ovviamente in un quadro dove le uniche azioni da parte del governo in questi anni sono state solamente emergenziali o di propaganda. Nonostante il costante aumento degli immigrati residenti, la Calabria si conferma prevalentemente terra di transito. Il fenomeno migratorio non presenta pi solo caratteristiche emergenziali, ma richiede decisive politiche di accoglienza, di inserimento sociale, di integrazione. Allinizio degli anni Novanta lagricoltura in Calabria generava il 7,8% del reddito regionale, occupava 16,5% della forza lavoro calabrese. In Italia gli stessi valori raggiungevano il 4,5% e il 7,2%, nel Mezzogiorno invece si arrivava al 7,3% e al 12,9%. Quindi analizzando questi dati possiamo affermare con certezza che lagricoltura non riveste in alcun modo un ruolo centrale allinterno delleconomia regionale calabrese. Un altro dato interessante rappresentato dal fatto che il 13% della forza lavoro calabrese risulta essere formalmente un imprenditore agricolo. Possiamo cos comprendere perch questo settore, pur producendo il 7,8% del reddito calabrese, sia destinatario di enormi flussi monetari sia nazionali che europei, utili soltanto alla sopravvivenza fine a se stessa (appunto per riceve i contributi) delle aziende agricole (spesso di piccolissime dimensioni) che non hanno quindi alcuna necessit di essere produttive. Non vi infatti alcuna ragione di affrontare la fatica del lavoro dei campi, le calamit naturali, le incognite del mercato, se il reddito in ogni caso garantito (vedi fenomeno dei cosiddetti falsi braccianti). Altro dato significativo quello che ci dice che, mentre in Italia le dimensioni medie delle aziende agricole sono cresciute, in Calabria le aziende agricole si sono ulteriormente ridotte, attestandosi attorno ai 3 ettari, contro i 6 della media nazionale e contro i 21 relativi alle aziende riconvertite in biologico.3 La specificit della Piana di Rosarno. La Piana di Rosarno al suo interno racchiude 33 comuni, caratterizzata tra laltro dalla presenza di un porto di transhipment con un volume di traffico tra i pi alti al mondo e dal progetto di costruzione di un rigassificatore. anche porta dingresso di un mondo sommerso che quello dellimmigrazione per lo pi irregolare fatta di sfruttamento, diritti negati, indifferenza delle istituzioni a tutti i livelli, marginalit. Negli ultimi anni la Piana ha accolto il 24,2% degli stranieri soggiornanti nel reggino, nel 2007 la percentuale sale fino al 31%. Riguardo al tasso di aumento delle presenze, sempre considerando il periodo 2005/2007, in soli tre anni, la popolazione immigrata aumenta dell85%, passando in valori assoluti dalle 3.091 presenze nel 2005 alle 5.718 nel 2007. Infine, un aumento tendenziale si riscontra anche in merito al rapporto tra stranieri residenti e totale della popolazione residente nellarea. Lincidenza percentuale degli stranieri, sul totale dei residenti, tende a crescere, a riprova del fatto che lequilibrio demografico viene garantito proprio dalle presenze straniere senza le quali il saldo migratorio sarebbe negativo.3

Capano G. e Marini M., Le trasformazioni dellagricoltura nella Calabria contemporanea. 47

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La questione della crisi strutturale delleconomia agricola della Piana va letta allinterno dei nuovi scenari imposti dalla globalizzazione neoliberista. necessario innanzitutto aggiornare lanalisi e gli strumenti per comprendere a fondo una ricomposizione economica politica e sociale. Serve cio una nuova cassetta degli attrezzi se si vuol tenere dentro tutti gli attori della vicenda: piccoli produttori, forza lavoro migrante a basso costo, enti locali intermedi, che sono tutti anelli (deboli) della stessa catena. Negli ultimi decenni del secolo scorso, la globalizzazione dei mercati, il transito verso lEuropa di grandi quantit di prodotti agricoli, e limpossibilit per i piccoli agricoltori ad adattarsi alle colture non tradizionali, ha determinato una crisi dellagricoltura locale, portando a un esodo dei lavoratori rurali nativi, sostituiti gradualmente da immigrati. Contemporaneamente, e per anni abbiamo assistito ad un sistema, quello delle truffe legate al lavoro agricolo, organizzato con il silenzio complice delle istituzioni, lindifferenza dei sindacati e della politica locale e nazionale. Ci sono voluti i moti degli africani per porre fine ad un ventennio di omert ed opportunismo. Per anni, a fronte di un costo medio per bracciante agricolo pari a 100 euro (contributi e oneri compresi), si preferito il lavoro nero affidato ai migranti: lo stesso lavoro eseguito da un extracomunitario costa soltanto 20 euro. Ma c molto di pi, perch sulla carta sono gli italiani i titolari del rapporto di lavoro: i braccianti vengono tenuti in attivit per il minimo previsto dalla legge, 52 giornate nellarco di un anno, e cos dopo sole due mensilit di contributi versati, che in agricoltura sono molto bassi, i lavoratori maturano per i sei mesi successivi lindennit di disoccupazione agricola, 800 euro mensili. Duecento di questi 800 euro vengono dati al proprietario del fondo che si prestato alla falsa assunzione. E sempre questi 200 euro vengono, infine, girati al bracciante extracomunitario che ha lavorato davvero. Un sistema perfetto.

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Fino ad alcuni anni fa cerano quasi tremila iscritti come braccianti disoccupati. Spesso le assunzioni erano fittizie e servivano a riscuotere gli assegni statali: bastava unautocertificazione e ogni anno piovevano 8 milioni di euro divisi tra 2.500 persone, circa 3mila euro a testa. Anche in questo caso il sistema si reggeva su una truffa. I contributi previdenziali non venivano versati, i finti braccianti facevano un altro lavoro e in campagna ci andavano gli immigrati, che costano la met. Arance di carta e sussidi europei, lavoro di carta e assegni Inps, tremila pensionati e mille impiegati pubblici: cos si sosteneva leconomia della Piana di Rosarno. Negli ultimi anni, i pilastri del sistema hanno ceduto. La stretta dellInps ha ridotto i braccianti disoccupati a 1.200, e i relativi assegni da 8 a 2 milioni lanno. Oggi i sussidi per lagricoltura arrivano a forfait: 1500 euro a ettaro a prescindere dalla produzione. Oltre alle arance di carta, sono sparite cooperative, associazioni di produttori, magazzini e aziende di trasformazione. Ma contemporaneamente il prezzo di vendita degli agrumi ha subito un ulteriore tracollo: gli incassi non coprono pi le spese, dunque oggi i contadini lasciano le arance sugli alberi. Rosarno, che fino a due anni fa aveva bisogno nei campi di 1.800 immigrati, oggi ne richiede solo alcune centinaia. Allindomani della stagione delle lotte dei braccianti per la riforma agraria e sottoposta alla normalizzazione delleconomia del mercato globale e dalla clientela politica, lagricoltura della Piana di Rosarno ha attraversato ed attraversa tuttora una crisi che ne ha profondamente modificato i soggetti di riferimento costruendo un quadro desolante. Emerge dunque una nuova relazione tra agricoltura e societ. Non pi lagricoltura per la civilt, ma una civilt fondata sullagricoltura che non c. Terra di olio e agrumi. La Piana di Rosarno stata storicamente uno dei territori agricoli pi generosi in assoluto per quanto riguarda la produzione olivicola e agrumicola. Gli alberi di agrumi sono elementi dominanti del paesaggio agrario calabrese. Gli agrumeti sono particolarmente rigogliosi nella zona di Reggio Calabria e nei suoi dintorni. Allinizio del secolo la zona degli agrumeti si estendeva da Villa San Giovanni a Capo Pellaro: vi si alternavano il cedro, primo agrume introdotto in Europa, larancio dolce, il mandarino e il bergamotto4. In questa zona, definita anche zona degli agrumeti pregiati5, poich vi prevale la coltura del bergamotto, prerogativa del circondario di Reggio, la coltura intensiva: accanto agli agrumi vengono coltivati gelsi bianchi, alberi da frutto, ortaggi, leguminose. La zona particolarmente fiorente e presenta una buona percentuale di reddito. La propriet fortemente frazionata, suddivisa ettaro per ettaro e spartita tra pi coloni che conducono il podere a mezzadria o in affitto.6 Fino al XVIII secolo gli agrumi sono stati coltivati esclusivamente come piante ornamentali, i frutti considerati beni di lusso e gravati da un alto dazio di consumo erano molto richiesti dalle pi importanti citt della penisola7. La crescente domanda che proveniva dal Nord

D. Del Giorgio - Storia di Reggio Calabria: appendice: Reggio dal 1860 al 1908. Ivi. 6 Le condizioni economiche nella provincia di Reggio Calabria, 1887. 7 Ivi.4 5

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Europa e dai mercati doltre oceano ha stimolato, tra il XVIII e il XIX secolo, lintensificazione della coltura agrumaria, anche perch gli elevati guadagni garantiti dai frutti e dalle essenze consentivano di coprire ampiamente le spese della manutenzione e dellirrigazione8. Molti agricoltori reggini dunque riconvertirono i propri terreni da vigneti, gelsi, oliveti in agrumeti, di gran lunga maggiormente remunerativi. Alcuni dati possono evidenziare come le coltivazioni di agrumeti assunsero, in quel periodo, un ruolo molto rilevante nel panorama economico del comprensorio reggino: infatti, la superficie destinata ad agrumeti andata via via crescendo: nel 1880 ammontava a 2750 ettari e in poco meno di trentanni passer a 5850 ettari9. Negli anni Novanta la provincia di Reggio presenta oltre 70 variet di bergamotti, aranci, limoni, cedri, melangoni, pompelmi, melaranci, mandarini10. Tutto questo fece cos diventare la provincia di Reggio una delle zone pi ricche ed economicamente progredite, grazie alla fonte di ricchezza che gli agrumi rappresentavano alla fine dellOttocento. Le arance destinate allesportazione venivano pagate ad un prezzo che variava da 12 a 21 lire, la raccolta era affidata a speciali comitive di operai e donne dette ciurme dellincettatore11. Secondo la stima di Correnti e Maestri, autori di una celebre ricerca statistica che fu non solo la prima che si fece in Italia, ma anche lultima ispirata a onest intellettuale, nel Regno borbonico venivano prodotti circa 900mila quintali di olio, il 60% dell'intera produzione italiana. Lesportazione annuale toccava mediamente i 450mila q.li, cio la met del prodotto. In realt il Sud italiano, e la Piana di Rosarno in particolare, parecchio pi che la Spagna, ebbe per lintero secolo XIX un quasi-monopolio per la produzione di olio, che esportava in Francia, Inghilterra, Germania, Austria, Russia, America del Nord e del Sud, nonch nell'Italia restante12. Oltre che un alimento, lolio veniva impiegato nelle lucerne, per lilluminazione, come lubrificante industriale e nella lavorazione dei filati di cotone. Sotto la spinta della domanda internazionale e nazionale, nel 1909 la produzione olearia meridionale aveva superato i due milioni di quintali. Con ben 588mila q.li, la produzione calabrese aveva fatto un tal balzo in avanti da porsi al secondo posto, subito dietro la Puglia, regione madre della produzione olearia mondiale, che ne produceva 617mila q.li13. Al tempo dellinchiesta agraria Jacini, che si svolse a partire dal 1880, gli ettari destinati ad agrumeto erano nelle tre province calabresi non pi di 4mila. Nel 1970, il professor De Nardo rilevava ben 24.800 ettari. Tra il 1905 e il 1958, le superfici irrigue, in Calabria, passarono da 48mila ettari a 91.247 ettari. In cinquantatre anni sono stati riportati a coltura irrigua 43mila ettari, per una spesa che si pu calcolare intorno ai 4/5mila miliardi. Ad esempio, gli impianti calabresi che coprivano 84mila ettari, nel 1880, erano passati a 151mila ettari nel 195114: 67mila ettari in settant'anni, quasi 1.000 ettari di nuove piantagioni l'anno. Ma dove finita la ricchezza accumulata in tutti questi anni?8 Inchiesta parlamentare sulle condizioni dei contadini nelle provincie meridionali, Roma 1911, vol. V, tomo II. 9 D. Del Giorgio - Storia di Reggio Calabria: appendice: Reggio dal 1860 al 1908. 10 Ivi. 11 Le condizioni economiche nella provincia di Reggio Calabria, 1893. 12 Nicola Zitara Contro lo straniero. 13 Chino Valenti, L'agricoltura dal 1861 al 1911, in Cinquant'anni di storia italiana. 14 Dati Istat,