Doppiette e Rosari - libretto Viola Buzzi

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Agosto 1996 Percorso in musica tra i briganti di confine Viola Buzzi

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Contributi di Alfio Cavoli, Romualdo Luzi. Testi e disegni di Viola Buzzi, anno 1996

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Agosto 1996

Percorso in musica tra i briganti di confine

Viola Buzzi

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Ho sempre guardato con occhi comprensivi e clementi i miseri protagoni-sti della trasgressione sociale che Viola Buzzi rievoca in questo insolito e significativo lavoro “Doppiette e Rosari”, per additarli alla nostra rifles-sione e alla nostra coscienza. Al contrario di chi, viceversa, ha ritenuto studiatamente di chiuderli - gli occhi - per non guardare e non vedere a quali vergognosi eccessi d’indifferenza e di disprezzo l’uomo potente fu capace di giungere, contro ogni legge civile e morale, nei confronti del fratello derelitto, reietto, emarginato. Ma la storia - quella vera - non si può scrivere o narrare occultandone le più elementari verità. Né, d’altronde, facendo passare per verità le men-zogne con cui si è sempre cercato d’invertire i termini della questione, indicando cioè nel brigante la personificazione nativa della cattiveria, della malvagità, della spietatezza, e nei maggiorenti del momento le vitti-me innocenti della sua ingiustificata ribellione.Osserviamo in faccia la realtà, seriamente, se ne siamo capaci. E allora non potremo non accorgerci quanto - in questa cruda vicenda del nostro passato - le cause abbiano avuto un peso assai più rilevante dei rovinosi effetti che produssero nella vita del nostro territorio.Leggendo le sue pagine di “Doppiette e Rosari”, scritte evidentemente per il bisogno intellettuale e culturale di esprimere una personale valuta-zione sul rapporto che nel fenomeno del brigantaggio maremmano inter-corse fra ricchi e poveri, agiati e diseredati, oppressori e oppressi, io ho sentito l’animo di Viola Buzzi palpitare per le ragioni dei secondi, per la loro tragica condizione esistenziale, per i loro diritti calpestati, per le loro istanze inascoltate.E non ho difficoltà ad affermare che, grazie anche all’uso di dialettalismi, di motti e di efficaci espressioni popolari, ben compenetrati nel linguag-gio poeticamente singolare della giovane autrice, ho trovato nel testo una notevole, drammatica forza di rievocazione; tale da farmi provare - della Maremma amara e dei suoi antichi ribelli - un fascino particolare, dal sapore sconosciuto.

Alfio Cavoli

I

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C’è una leggenda - in Maremma - che vuole che nelle notti di luna piena, battute dal vento gelido di tramontana, a cavallo di un argenteo sauro maremmano, Tiburzi guadi ancora la Fiora in cerca di un rifugio, in cerca di pace, in quelle macchie sperdute che l’avevano visto dominatore incon-trastato nella sua vita di brigante, avventurosa ed errabonda, durata ben ventiquattro anni.É questa una leggenda, un racconto fra i tanti che hanno accompagnato, accanto al focolare, le veglie degli anziani. Così la storia di briganti e del brigantaggio - fenomeno così rilevante nel tessuto economico e sociale di un vasto territorio compreso fra l’Alto Lazio e la Bassa Toscana, al di qua e al di là del Fiora - è divenuta per molti una “storia” trasmessa da una generazione all’altra tra realtà, fantasie e leggende... Ad un racconto seguiva un improvviso ricordo, un altro momento vissuto, un altro nome fra quanti - briganti terribili e sanguinari - hanno solcato la leggenda e aggiunto nuove “storie” in queste terre di Maremma... perché ad essa comunque si ricollegano non solo i briganti ma anche la memoria del lavoro della nostra gente.Oggi “Doppiette e Rosari” vuol riscrivere ancora pagine e musiche di questa realtà o di queste leggende. Lo fa in chiave moderna, ma l’inven-zione, la favola, qui si sposano alla storia - quella vera - del fenomeno del brigantaggio e quindi diventa una rivisitazione che certamente occhieggia l’antico ma non lo ripropone con gli stessi termini. Inutile riscrivere le storie che tutti ormai ben conoscono e che possiamo ritrovare in centinaia di pubblicazioni: dai testi più antichi dell’Anonimo di Valentano e del Rossi del 1893, a quelli più noti dell’Ugolini e del Bargellini su Tiburzi (ormai praticamente introvabili e forse inutilizzabili stante l’alone leggen-dario su cui si basavano), a quelli più recenti di Alfio Cavoli che alla Maremma e al Brigantaggio ha veramente dedicato pagine indimenticabi-li, sino al Brigantaggio Sommerso di Antonio Mattei e al recentissimo Tiburzi senza leggenda di Angelo La Bella e Rosa Mecarolo.Gli ultimi studi hanno lasciato da parte la leggenda e si sono riferiti ai documenti, alle carte d’archivio, per ricostruire le vicende di tanti briganti e, soprattutto, per analizzare questo fenomeno, troppo spesso relegato a un momento aneddotico. É ancora vivo il ricordo delle tante storie che i can-tori popolari portavano per le piazze dei nostri paesi, nei giorni di fiera e di festa, con l’accompagnamento di una chitarra o di una fisarmonica, con i versi stampati in foglietti ormai introvabili.

II

Briganti in MareMMadi Romualdo Luzi

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III

Solo in tempi recenti il Brigantaggio in Maremma è stato riscoperto in tutta la sua più ampia valenza di fenomeno storico e sociale con la ricerca delle motivazioni di fondo che lo generarono e che ne furono la causa. Si è così inquadrato il fenomeno nell’epoca storica e nel territorio di perti-nenza, ne sono state tracciate le linee della sua nascita e della sua evolu-zione nei periodi pre e post unitari. Unico fattore comune era la Maremma, la sua natura aspra e selvaggia, i tomboleti sperduti alla marina, le mac-chie impenetrabili poste a cavallo del Fiora.É questo lo scenario su cui hanno tragicamente recitato la loro vita non solo i Briganti della nostra memoria ma anche uno sterminato ed anonimo esercito composto da compagnie di campagnoli, bifolchi, butteri, vergari. Intere generazioni che - come l’uccello della nota canzone - in Maremma hanno “perduto la penna”, cioè la loro stessa dignità di uomini e, spesso, anche la vita.I grandi latifondi, la proprietà in mano a pochi nobili, capaci di dettare le proprie leggi, hanno creato quel clima di ribellismo che non poteva non sfogare in casi di intolleranza, in assassini, in furti. Chi quindi veniva sco-perto, magari a pascolare le proprie greggi sulle terre dei padroni o racco-gliere la legna, non aveva altra soluzione che quella di “darsi alla mac-chia”. Agli altri campagnoli non restava che “mangiar male, dormire peg-gio e lavorare tanto”.Lavoravano da “buio a buio”, in un clima pesante di ingiustizia sociale, fino a “scordarsi il cielo” e anche tanti canti che la memoria ha conservato testimoniano questa vita triste e grama. “Doppiette e Rosari” ripropone, con musica, canti e balli questo mondo. Qualcuno vi ritroverà, forse, momenti di poesia e proverà sentimenti di nostalgia per un passato lonta-no e vicino al tempo stesso: un passato comunque tuttora vivo e presente nella nostra memoria con tutto il suo tragico carico di ingiustizie, di fame, di soprusi, di sofferenze e di morte.

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Quando nell’aprile 94, leggendo “I briganti italiani” di Alfio Cavoli, deci-si di fare di un interesse nascente un lavoro strutturato, non avrei mai immaginato che quella prima attrazione per i briganti di tutta Italia si sarebbe trasformata in una grande passione per il brigantaggio e per la storia della società Viterbese dell’Ottocento.Mi entusiasmava l’idea di occuparmi di un così importante aspetto della mia bella terra “non solo etrusca” perciò cominciai un lavoro di ricerca sui testi “del e sul” brigantaggio approfondendo il fenomeno Viterbese e Maremmano. Avevo da poco intrapreso quel duro cammino, in quanto veramente ai margini della cultura dominante, che è la musica popolare e mi parve immediatamente, all’epoca soprattutto a lume di naso, che le due passioni avrebbero potuto coesistere e insieme svilupparsi. Doppiette e Rosari, il percorso in musica tra i briganti di confine, era incredibilmente lontano; tuttavia la rivisitazione della storia è appassio-nante, indipendentemente dal risultato finale, e in casi come questo favo-risce il confronto tra infinite esperienze, professionali e umane.Potrebbe infatti non apparire ma Doppiette e Rosari è anche il risultato del rispetto e della tolleranza di un gruppo di persone che oltre ad avere le capacità hanno dovuto “assestarsi” l’una all’altra per lavorare con impe-gno e tenacia settimane, mesi ad un progetto del quale, di fatto, nessuno poteva prevedere gli sviluppi. Perché quand’anche fu terminato il più duro lavoro sui testi e sulle musiche, il secondo momento - di ricerca delle giu-ste persone per realizzare un progetto comunque ambizioso (che ogni volta doveva modificarsi in rapporto ai mezzi a disposizione) - è stato forse più lungo del primo e senza dubbi altrettanto difficile (trenta tra pro-fessionisti e dilettanti dalla sua ideazione alla sua prima versione).E se faticoso è arrivare a definire qualcosa da dentro, assolutamente arduo è poi sopravvivere tra l’incudine di chi alla fine decide di sostenere un’ini-ziativa originale alla ricerca di una opportunità di sbocco e il martello di chi, di vie di sbocco di fatti culturali, ne parla e basta.Una strada per niente facile quella che “Doppiette e Rosari” si trova a dover battere: la terra di nessuno che separa i “riconosciuti” dagli “scono-sciuti” sulla quale si incontrano e si scontrano alti valori e interessi beceri di centinaia di persone (rare volte si bada alla qualità di una produzione) e che, se avessi potuto, al mio primo “figlio” avrei risparmiato di percorrere.Non solo in quanto autore di un lavoro “scritto” quindi, ma anche da spet-tatore spesso inerme di eventi che determinano poi che il lavoro arrivi ad un pubblico, ho preferito introdurvi Doppiette e Rosari - grazie anche al supporto storico di due studiosi ed autori straordinari che ringrazio per avermi sostenuta ed accompagnata fino qui - aiutandovi ad avere anche solo una percezione della fatica e dello zelo necessari, prima nei confronti di una passione, poi di tutto ciò, persone e condizioni - affatto secondari - che concorre a far sì che tra l’illusione di poter far tutto e il rimpianto di non aver fatto niente, riescano a vivere e creare precedenti fatti come Doppiette e Rosari.

IV

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Chi mi salverà dal piccolo ciclo della luna errabonda?Chi mi restituirà al ciclo più grande dell’errabondo sole?1

primo recitativo

Ricordo bene le imprese che infestarono di affanni l’Ottocento e che resero codeste distese recinto indomito di rivolte e sgomento Sotto l’ombra di indecifrabili pianiprolificava la tradizione dei potentie l’Italia che esclude gli italianisollevava cause giuste solo per gli abbienti Perciò in una parte del Paese si ribellò la debolezza alla miseria ciò non avvenne nel circondario viterbese2da dove s’udì lieve il rimbombar dell’aria Dalla rottura si attese una risposta ma scampati i signori alle sommossei pitocchi rimanevano sempre fuori rotta Dalla rotta del potere che trucca il proprio aspetto prima coprendo, poi scoprendosi il sedere senza che nulla cambi, non un dato, non un fatto La speranza germogliava ad ogni sole la speranza anonima di croci3 tali fino alla morte e come possono le croci nell’essenzasapersi indirizzare o indignare all’indigenza?

Supponiamo di dar voce alla popolazionedi far fronte ad un’accusa e una difesa:prima la voce aspra della subordinazionedipoi la voce magra della parte lesaSi cominci allora dai regnanti coltiche decretino attraverso la censura ma rispondano all’appello quei bifolchiche lamentano una vita troppo duraChe si badi a dare poi giusto compensoa coloro che non hanno cause arditema capiscono unicamente, e a sensodi non aver alcun dominio delle proprie vite!

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VENTO DALL’ALTO gli Assolti dell’AltoVoi serpenti biforcutivermi senza più saluteporcospini duri e irsutiragni via! lontano andate4ragnatele di saluti non sprecate non tessetesolo spine senza rosepiene zeppe di pretesevoci forti a chieder casebraccia di infruttuose amebema finite son le chiesenon c’è posto per la plebequi le porte restan chiusenon c’è posto per la plebeSiamo noi in coscienza rettigovernanti e signorottia noi tocca far la sortea voi tocca bussar forte!

VENTO DAL BASSO i Coinvolti del Basso

Avanzano indecisi come fossero assassiniuna folla spaventosa con pochissimi bambinidonne e uomini due parti conterranee di un dolorehanno voce che sussurra eppure li senti gridarec’è chi dice “siamo in otto!” chi neppure sa parlareuno o cento hanno in comune una storia da salvare...

Né comunisti né niente di male5 siamoschiavi del favoreggiamento già graziato!né comunisti né niente di male siamoschiavi del favoreggiamento dello Stato!

e donne magre da amàe donne grasse pe’ ricominciàe donne brutte a sognàe donne belle da disonorà

e figli ladri perché di figli loro non ne ponno avée figli matti perché i figli morti non vonno vedé!

e donne curve a pregàe donne dritte pronte pe’ sparà

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Figlio deh torna Figlio6torna al tuo padre amanteahi quante volte quanteio sospirai per te

StOria Di tUtti i teMPi dedicata, alla nascita, a Antonella Pacifici

Parlo di donne che non erano di nessunoperché non c’era nessuno a capirle

Erano donne che restavano muteche restavano zitte a guardareil tragico il vuoto l’umana ambizione Parlo di donne che costituirono il solo esclusivo rimedio di altre donne7

Ieri ho trovato l’amore di un uomopremuroso, gentile, perbeneAbbiamo deciso grazie al nostro lavoroche potremo sposarci al più presto, farò l’amore per la prima volta!Oggi ho dovuto appena sposata concedermi al mio superioreOggi ho dovuto in veste di sposaconcedermi al mio superiore, il prezzo era mio marito!

Parlo di donne ingegnose e caparbieieri ignorate l’altroieri bruciate

Parlo di donne coraggiose eroinedell’amore fedele anche senza piacereche sovrasta deride non fa alcuno sforzo

Parlo di donne che non contano niente mapartoriscono il dio uomo dal proprio ventre Ieri ho dato alla luce un bambinola gioia più grande mai avutasta bene, è cresciuto, si è fatto uomoho patito ma sono orgogliosa, farà l’amore per la prima volta!Oggi il bambino è stato arrestatoperché aveva obbligato una donnaOggi il bambino non è stato arrestato pur avendo costretto una sposa a far l’amore per la prima volta...

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CANNE AL VENTO

Occhi di cane come occhi di cinghiale rumoredi vento che sbatte le canne e Dio promettente annate ricche di speranze tesea crescere un figlio e sentire tra l’odore delle euforbie...Occhi di cane su occhi di cinghiale pauradel tempo che scuote le cannee piega le foglie del figlio senza più poterloavvisare del pericolo di restare libero come un bandito

dal riso e il pianto di quel padre il riso e il pianto della madredal riso e il pianto di se stessiil riso e il pianto di quel mondo magnifico!

Occhi di cane sempre più cinghiale rumoredi vento che sbatte le cannee spezza le foglie del figlio ancora teso e drittonel sole senza più sentir bisbigliare d’esser l’unico assassino

del riso e il pianto di suo padreil riso e il pianto di sua madredel riso e il pianto di se stesso il riso e il pianto di quel mondo meschino...

secondo recitativo

Così i figli spenti al lume della via non hanno scelta in un perpetuo “dì di sì!”: o la scia di un’esistenza scialba e pia o il no secco che ottenebra ogni dì Stanno vigili come canne sul ciglione8nella brezza del pericolo in agguato che trasforma l’uomo retto all’occasione in reo brigante senza accusa né reato!

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DinDOlò De le catene 9 Dindolò de le cateneHanno levato l’albero pe’ mette’ giù ‘l paloHanno levato ‘l palo pe’ tirà su ‘l muroAdesso levano li muri perché nun se vede più ‘n alberoTutti se ricordeno de ‘st’alberi adesso che c’hanno li muri!10Uno montò la luna11Due montò ‘l mare e l’ondaTre le fije del ReQuattro montò ‘l sognoCinque montò ‘l SeiSette ‘l calcio ‘nculoOtto montò la morte!Uno montò la luna...

...uno montò la luna a cavallo del compare PietroChiedilo a Brando che vide morire il suo unico amicocolpito alle spalle come un capo da gregge

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Prima storia: Brando Camilli12

Chi sarà? Ma chi Sarà?Se Uno spara Due ha da cascà se Due è‘l cattivo Uno chi sarà?Chi sarà ma chi sarà?che alle spalle gli tiròchi ha sepolto ‘sto Pietro qua? chi alle spalle giustiziòchissà chi lo vendicherà?

Brando Brando c’ha provatoj’ha sparato da davantis’è convinto d’avé fattola vendetta del Mattaccino d’avé fatto la vendettala vendetta del beccaccinoche pensa sempre de sfuggì all’omola vendetta del briganteche non diventa mai più brigantedel civile vilipeso che colpisce un indifeso!

Quando il fuoco raggiunse alle spalle Brando, il banditoricorda di Brando che fece la fine dell’unico amico

...e povero Brando13legato a le cateneha avuto ‘a patì ppenepene h’avuto ‘a ppatì

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Tutti mi dicon Maremma Maremma14e a me mi pare una Maremma amaral’uccello che ci va perde la penna io c’ho perduto la persona cara

Seconda storia: Enrico Stoppa15

Donne Ch’al tu’ babbo gl’hanno detto che sei figlio suo ch’hai fatto un macello ch’a diciannov’anni sei già Righetto e ti tocca subì qualche altro fratelloRighetto La mia fu così, ‘na famiglia pe’ dì io so’ Enrico Stoppa che deve soffrìDonna Per voi quant’è facile la libertàR. per me ce so i debiti che hai da pagàD. e stretta è la strada non poi uscì né sgarràR. ma dentro ‘n c’era aria so’ uscito pe’ repirà Ma mo me ne vo via lontano e più in là Alessandria d’Egitto pe’ ricominciàD. Ma te vogliono morto pure se non sei qui tu pe’ regolà i conti senti de rivenì! E torni Righetto senza stacce a pensà che ammazzà i nemici non vol dì libertàR. Io torno e doppietta ricomincia a sparà vendetta sia fatta vendetta sarà! Capo delle Truppe e Macchie di Talamone se questa è la mia è la firma precisa dal mio primo ricordo del Buoncristiani oltre l’elenco dei morti in divisa!

Donne Ch’al tu’ babbo gl’hanno dettoDonna Che non ce l’hai fatta a fuggì dal “Tre Re” D.e Che t’hanno acchiappato e messo dentroD.a E che hanno contato li giorni per teD.e Ch’al tu babbo gl’hanno dettoD.a Che Righetto è morto è morto in galeraD.e Che non ha pagato pe’ dispettoD.a La sua trentesima primavera

...e povero Righettolegato a le cateneha avuto ‘a patì ppenepene h’avuto ‘a ppatì

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terzo recitativo

Finché pure Viterbo modificò Priori e Governatoriin Sindaci Prefetti e Pretorigarantendo tranquillità alle predette popolazioni innanzi abbandonate a sì molteplici perturbazioniIl Governo per fronteggiare i malfattori rendendo beneficiosostituì con nuove truppe il Corpo di guardia pontificioL’esercito volto alla tutela dell’ordine collettivoe la fiducia della gente in ciò che pare innovativofece ben guardare oltre i vecchi cimierial pennacchio rosso dei Carabinieri

VENIAMO DAL PIEMONTE16

Veniamo dal Piemonte veniamo a ripulir gente delle campagne il domani a garantirVeniamo dal Piemonte Carabinieri siamfacciamo una l’Italia dall’Alpi fino al Mar!17Veniamo dal Piemonte Carabinieri siamlo Stato ora s’è fatto l’Italia si farà!

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Terza storia: Sassara, Canale, Sinopoli e il Moretto

prima Donna Ma quale Itaglia e Itaglia! a Giovannino sì che je toccava stà attento, che le su’ parente ragionaveno co’ le piede... che quanno ‘n boia je sparò, a le parente je pareva che nun c’ereno rimedie Le sapete quella volta lì che combinonno? a morì da le carabegnere lo portonno solo che ‘l cervello je cacò di fora che quanno s’è risvejato sano le carabegnere j’evono messo la centura!

Questa è la storia bella del poro Sassara18 se voe che te le dico io te le diròDonne Raccontice questa storia del poro Sassara racconticela se voe fa presto però

p. D. Giovanni adera di Marta quella che sta sul lago pe’ Orvieto da bardascetto lue se ne partì Un giorno verso sera vicino a Bolsena assiema a Biscarini un conte rapì Faina si chiamava gli sdogarono la schiena finchè senza riscatto di saracche perì! Così spavoneggiava Sassara Giovanni però funesto giorno il pavone cascò difatti uno spione un certo Fioroni per una discussione un colpo gli sparò Ma qui storiella è bella incredibile si dica raccolsero Giovanni e lo misero a dormì la mamma preoccupata la ferita non guariva da le carabegnere lo portarono a morì Ma dopo qualche giorno Sassara Giovanni senza ariccapizzasse scemito rinvenì passate tutte via le di lue malanne aimé nella caserma le su’ giorne finì!

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Ejolo là Borseno19rama de rosa fronna de fior,

ejolo là Borsenoquant’è bello

Da capo c’è ‘r castellorama de rosa fronna de fior,

da capo c’è ‘r castelloquant’è bello

adera, Era Bardascetto, Ragazzo Sdogarono, Malmenarono Saracche, Saracca, Percossa ariccapizzasse, Riuscire a capire

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seconda Donna Ma que’ ch’adè ‘n confronto a quello ch’è successo a ‘gnazio? Adera proprio bravo... che mannaggia e arimannaggia ‘n altro più furbo ‘n c’è Quanno sgropponava nun ce l’hanno mae ‘chiappato da quant’era bravo Daje e daje cominciò a girà di su di giù di qua di là poe se nne ‘sto sallàzzaro te trovono ndo’ voe sguillà Adera proprio bravo...ma quanno aveva da stà svejo sempre corco stava

Questa è la storia bella del poro Canale20 se voe che te le dico io te le diròDonne Raccontice questa storia del poro Canale racconticela se voe fa presto però

s. D. Ignazio adera di Marta quella che sta sul lago e fino a quarant’anne tranquillo restò Un giorno di mattino nei pressi di Celleno assiema al bel Del Monte due signore rapì Calisti e Leonori di certo due col fieno prendendosi il riscatto per Marta ripartì Così spavoneggiava Ignazio il Canale tra Marta e Tuscanella tutto ‘l giorno a pitolà ciafregna e pure tronfio nessuno gli era eguale senz’arme e senza niente pe’ le macchie a fischiettà Ma qui storiella è bella incredibile tenzone Canale in pieno sole giulivo s’addormì de le carabegnere in giro lì in perlustrazione “Canà! pe’ sarnacà!” nel sacco andò a finì Ciafregna e pure tronfio nessuno gli era eguale meditando l’evasione con Sinopoli fuggì!

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terza Donna Je ce mancava giusto quel calabrese a ‘l poro Moretto ma la su finaccia nu le dice nessuno che schicchera che è stata?quarta Donna vedrae che se nu’ j’eva sparato al calabrese, quello nu’ je ll’eva riccomannata

Questa è la storia bella del poro Moretto21 se voe che te le dico io te le diròDonne Raccontice questa storia del poro Moretto racconticela se voe fa presto però

q. D. Giuseppe adera di Marta sempre quella sul lago e appunto de quel Sinopoli compagno diventò le gesta dei briganti senza nessun rispetto in quel d’Acquapendente coi ricatti cominciò Ma vuole differenza che tutti prima o poi ma vuole certe volte che si vada a spacià E qui storiella è bella incredibile si dica Moretto per scherzare vino in faccia gli tirò Sinopoli inguastito il gesto l’offendeva un colpo a tradimento al compare suo sparò Però rimasto illeso Moretto ‘ntigna ‘ntigna da dietro un grosso fusto ricominciò a sparà Sinopoli scoperto nulla pe’ lui se difenna sotto le fucilate del suo amico andò a pippà

tutte Potrebbe pur finire la storia in questo modo Moretto a Bagnorea nelle grotte rifugiava ma detto va ridetto che scoperto poco dopo le carabegnere la sua fronte centravan!

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Sgropponava, Lavorava duro Sallàzzaro, Disordine Sguillà, Fuggire come un’anguillacorco, Coricatotuscanella, TuscaniaPitolà, Girareciafregna, Uomo piccolo

Sarnacà, RussareSchicchera, Botta, ColpoSpacià, Litigareinguastito, Arrabbiato‘ntigna’ntigna, In modo insistentePippà, Morire,StrippareBagnorea, Bagnoregio

... e povero Sassara legato a le cateneha avuto a ppatì ppenepene h’avut’a ppatì ... e povero Canale

legato a le cateneha avuto a ppatì ppenepene h’avut’a ppatì

... e povero Moretto e povero Sinopolihann’ avuto a ppatì ppenepene hann’avut’a ppatì

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So’ stato a lavorà a Montesicuro22se tu sapesse quanto ho guadagnato. . . che p’arricchì ‘n brigante so’ crepato

Quarta storia: Domenico Tiburzi23

Il guardiano del marchese Guglielmi, Angelo Del Bono, sorprende Domenico Tiburzi di Cellere a falciare una fascina nei prati della tenuta24 Il guardiano del marchese Guglielmi, Angelo Del Bono, sorprende Domenico Tiburzi di Cellere a pascolare tre buoi nei pascoli della tenuta25Il 24 ottobre 1867 Tiburzi Servo altrove presso la macchia Re26uccide il guardiano Del Bono Nel 1869 viene condannato a diciotto anni di lavori forzati da scontare nel bagno penale di Tarquinia: dopo appena tre anni evade dal carcere Nel ‘73... presso la macchia Re si unisce a lui Domenico Biagini di Farnese detto “il Curato”27

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PADRE LIVELLATORE 29

Livellatore sceso a salvacceaiutace tu! a scordacce de ieriLivellatore che sai trattà tuttii ricchi i poveri e i traditori

Acquitrini asciutti esalantipestiferi miasmi l’ariapesante odori palustri30 terra di pochi padroni sani e robusti

Tutti mi dicon Maremma amaraniente commuove troppo s’impara terra bollente di pochi salariterra di butteri solitari

Tu chissà quanti perduti ne haifigli che potevano restare tuoidi malaffare erano tutte le donneniente puttane per te tutte madonne

Fuoco sui passeri solitarisia maledetta santa MaremmaCurato adesso prega per noi scomodi ai poveri figli di mamma

Doppiette nere e secchi Rosariso’ spazi di chi non ha latifondoamico Curato prega ancora per noiche Tiburzi c’è e finché c’è rifà il mondo!

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LOCANDINA DELLE MEMORIE28

(parte prima)parla Tiburzi

milleottocentoTrentasei

nato per casopoi sposato

figli duemoglie zeroVentiquattro ottobre tesospazientitopoi sparatomorti uno

scampo zerolavorato

giorno serafatto tutto risultato

la galera!Trentasei

né più né menoquando mossiall’evasioneall’evasivaribellionerinnovatofinalmentescelto tutto

risultatoun latitante!

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il BaStarDariO31

... finché c’è rifà il mondo. Oggi al Bastardario:

Proietti32 Natale di madre coniugata e padre ignotoProietti Nazareno di madre nubile e padre ignotoProietti Mario di madre ignota e padre ignotoProietti Assunta di madre coniugata e padre ignotoProietti Maria di Proietti Assunta e Proietti Mario

Proietti Natale di madre coniugata e Proietti MarioProietti Nazareno di madre ignota e Proietti MarioProietti Mario di Proietti Assunta e padre ignotoProietti Assunta di Proietti Maria e padre ignotoProietti Maria di madre ignota e padre ignotoPadre Ignoto...

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LOCANDINA DELLE MEMORIE (parte seconda)

Trentaseiné più né menoquando mossi all’evasioneall’evasivaribellionerinnovatofinalmentescelto tutto

risultatoun latitanteVentiquattroottobre nero

macchia frescarepellente

diciassette?i morti settesbagli zeroinvecchiato senza frettafatto tuttorisultato

di quei nove un colpo in testa!

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A. DE. RE DE. LA. addio del Re del Lamone

Aderedela non passò nessuno per la mia strada tanto fu screditatarotta di pantani ardua per i pedonifitta di pozze per cavalli e carrozze33

aderedela addio per sempre ricchi che spartite con briganti e brigantifalchi sciacalli ruffiani e regnanti parto protetto dietro e davanti

aderedela addio fucile addio avvenire scanso i tuoi occhipopolazione che diventi civile addio a comuni e impiegati corrotti

aderedela addio ti dico ultima notte della Foraneladri cinghiali che mi avete bandito tolto Tiburzi ma non l’alba che viene

addio per sempre per sempre poveri figli di mamma lustro della nazionecervello mio che non servi più a niente eppure sei stato brama di spartizione

aderedela non restò nessuno sulla mia strada tanto fu screditatarotta di pantani ardua per i pedonifitta di pozze per cavalli e carrozze

l’addio per sempre allora vi porgo miei colli ameni boschi profondicielo d’Italia suolo natio parto per sempre io muoio addio!34

Il 24 ottobre del 1896 Domenico Tiburzi e Luciano Fioravanti vengono sorpresi dai carabinieri nella casetta delle “Forane” nei pressi di Capalbio TiburziServo altrove presso la macchia Revi trova inesorabilmente la morte Fioravanti riesce a scappare

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Dopo morto, Tiburzi fu sottoposto ad autopsia e il suo cadavere espropria-to della parte che più delle altre concorse ad aiutarlo in ventiquattro anni di latitanza: il cervello.Si dice che il corpo del brigante venne poi deposto, metà dentro e metà fuori dalle mura del recinto sacro, nel piccolo cimitero di Capalbio. Se così fu, oggi a quasi un secolo da tali avvenimenti, l’anonima tomba di Tiburzi si trova al centro del cimitero, ampliato durante il corso degli anni.Riposa accanto alla nota colonna romana sulla quale il Re del Lamone fu impiccato per porgere il suo estremo saluto alla storia.

Il luogotenente di Tiburzi, Luciano Fioravanti, dopo la morte di Domenichino si trasferì prima a Pescia Fiorentina, di seguito si stabilì nei dintorni di Manciano dove per due anni visse grazie all’aiuto di con-tadini favoreggiatori.Quando il fedele amico Gaspero Mancini lo fece ubriacare per colpirlo nel sonno ed assicurarsi la taglia che pendeva sulla testa del brigante, la storia s’affacciava nuova sulle terre dell’Alto Lazio e della Maremma e infuriava ansioso l’anno 1900.

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note

1) “Ma chi ci inviterà all’Atto, al grande Atto delle stagioni e dell’anno (...) al piccolo Atto della luna errabonda e all’Atto più grande del sole errabondo...?” (David Herbert Lawrence - A proposi-to di “L’amante di lady Chatterley”)2) “...la coscienza di classe era di là da venire e l’abbandono sonnolento di questa periferia di pro-vincia non era certamente il più adatto a stimolarla.” (Antonio Mattei - Brigantaggio Sommerso / Il brigantaggio meridionale Cronaca inedita dell’Unità d’Italia a cura di Aldo De Iaco)3) “Sicuramente il contadino non sapeva leggere né scrivere, ma aveva imparato a comporre fati-cosamente la propria firma per non dover ricorrere (...) all’umiliante rituale della croce. Segno che invece appare in calce ai verbali delle donne...” (Alfio Cavoli - Tiburzi, L’Ultima Notte)4) “Voi serpenti biforcuti, porcospini duri e irsuti (...) Ragnatele non tessete, via, lontani, ragni, via!...” (William Shakespeare - Sogno di una notte di mezza estate)5) “Non siamo né comunisti né niente. Vogliamo il lavoro, il pane, da mangiare.” (Vassilis Vassilikos - Fuori le mura)6) Figlio Deh Torna Figlio (Canto del Venerdì di Pasqua, rilevato a Tessennano - VT)7) ”Solamente le streghe osservavano, e furono soprattutto per la donna, il solo e unico rimedio.” (Jules Michelet - La Strega)8) “...star vigili come le canne sopra il ciglione che ad ogni soffio di vento si battono l’una l’altra le foglie come per avvertirsi del pericolo.” (Grazia Deledda - Canne al vento, Elias Portolu)9) Dindolò de la catena (Filastrocca del Viterbese) 10) “La città gli sembrò sconosciuta, c’era un disordine di modernità, (...) un fracasso di operai (...) che toglievano alberi per sistemare pali, che toglievano pali per sistemare edifici, che toglie-vano edifici per piantare alberi...” (Isabel Allende - La casa degli spiriti / Alfonso Castelao - Petto di lupo) 11) Uno monta la luna (Conta del Viterbese - G.A.V.Ghiringhiringola)12) Storia tratta dalla vita di Brando camilliPochissimo si conosce degli eventi della vita del brigante che precedettero i fatti qui riportati. Sembra che Brando Camilli “socio” e amico del brigante Pietro Rossi detto “il Mattaccino”, venne a trovarsi, in seguito ad un furto commesso con quest’ultimo e a causa del quale i due furono rico-nosciuti e denunciati, a dover affrontare la scomparsa del compare. Pietro infatti recatosi in Latera per punire il responsabile del “rapporto”, tale Angelo Giammaria, sparò a codesto due colpi e sicu-ro di averlo centrato, si ritrovò inaspettatamente cadavere per mano del più che vivo Giammaria.Dal racconto dell’Anonimo sembra che, in seguito alla scomparsa di Pietro, si siano impossessati di Brando un immenso dolore e una profonda solitudine. Tant’è che incapace di rassegnarsi a tal dolore Brando intraprese un’insoddisfacente opera di vendetta dell’amico sulla terra e sul bestia-me del responsabile del delitto, che lo condusse ben presto a ritentare con questi il conflitto a fuoco. “A sera inoltrata del giovedì del Corpus Domini del 1875 - scrive l’Anonimo - entrando chetamente in Latera...” Brando tese un agguato al Giammaria e sparò su di lui due colpi di fucile, ma ignaro, mancò di nuovo il bersaglio. Sembra che si sia portato dietro, fino a quando un gruppo di contadini lo riconobbe mentre lavorava nei campi per sbarcare il lunario, una mai saziata sete di vendetta verso l’assassino di Pietro. Quei contadini destarono l’attenzione di due gendarmi che riposavano lì vicino. Brando viste le guardie corse a prendere il fucile, ma venne freddato dalla scarica dei fulminei moschetti. (Anonimo di Valentano - Il brigantaggio nel Viterbese, ristampa a cura di Alfio Cavoli con la collaborazione di Romualdo Luzi)13) “Povero (nome del bambino) legato a le catene / ha dda patì le pene / le pene ha dda patì” ( Compà, è cotto ‘l pane? - Gioco infantile del Viterbese, G.A.V.Ghiringhiringola) 14) Da “Maremma” ( Canto di origine Toscana conosciuto e assurto a simbolo in tutta la Maremma)15) Storia di enrico StoppaUna delle saghe che ho più amato quella di Enrico Stoppa, brigante preunitario di confine, detto

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“Righetto” e “ Generale in Capo delle Truppe e Macchie di Talamone”.Nato nel 1834 in provincia di Grosseto, e cresciuto in una famiglia di origine caprolatta alla quale non mancarono precedenti di sorta, guadagnò presto la fama di efferato e crudele assassino (fu definito il più feroce dei briganti).Ventenne si sposò con Ottavia Capacci (che gli diede due figli), più grande di lui e donna “di vile condizione”. Noto per il suo odio gratuito nei confronti delle forze dell’ordine, che lo portò ad un macabro accumulo di medaglie, Righetto condusse una vita tanto breve quanto intensa di omicidi (dieci in sette anni). Intenzionato a cambiar vita, partì nel 1861 per Alessandria d’Egitto, dove poco dopo lo raggiunse la moglie. Ma dall’Italia e più preci-samente da Talamone qualcuno con cui aveva già avuto a che fare e lo voleva morto, offrì in cam-bio della sua testa una consistente taglia. Mai vide “confini” la straordinaria intraprendenza di Righetto che, sentendosi perseguitato, ripartì per l’Italia verso una rappresaglia definitiva. Enrico Stoppa tornò e compì una seconda carnefici-na. Ma fu vano il suo tentativo di tornare in Egitto dalla moglie. Il prefetto di Grosseto sguinzagliò centinaia di militari che il 16 aprile del 1862 finirono per catturarlo presso l’albergo “Tre Re”. Trasportato nelle Carceri Nuove di Firenze, Enrico Stoppa si ammalò e morì l’anno successivo, il 16 agosto del 1863, all’età di ventinove anni. (Alfio Cavoli - Lo sparviere della Maremma, I bri-ganti italiani nella storia e nei versi dei cantastorie )16) “...tutto sembra invitare a credere che , al contrario di quanto avviene oggi, nei primi anni dell’Unità i quadri dell’Arma fossero formati quasi esclusivamente da elementi provenienti dalle regioni dell’Italia settentrionale, dove la tradizione unitaria aveva più salde radici e più vivo e sentito era il senso dello Stato.” (Antonio Mattei - Brigantaggio Sommerso)17) “...Non deporrem la spada finchè sia schiavo un angolo dell’Italia contrada (...) Finchè non sia l’Italia una dall’Alpi al mar” (Dall’Inno di Mameli musicato da Giuseppe Verdi, successivo a quello adottato) 18) Breve storia di giovanni SassaraPraticante in seno all’Unità d’Italia e già noto per aver ucciso con la complicità di David Biscarini e Vincenzo Pastorini, il Conte Faina di Orvieto a seguito di un mancato riscatto, Sassara, di Marta, fu vittima di un curioso avvenimento. Sembra che a causa di un non risolto diverbio con un certo Luigi Fioroni, si sia ritrovato inaspettatamente tramortito, per mano dello stesso Fioroni, più cele-re nel risolversi a sparare. I parenti del Sassara accorsi sul luogo e delusi nel constatare che il feri-to era proprio Giovanni, lo soccorsero e gli prestarono le prime cure, poi incapaci di porre rimedio al gravissimo stato in cui il malato versava, lo condussero a Montefiascone a costituirsi. Accadde però che la ferita che i parenti sulle prime credettero mortale, non si rivelò in seguito che una sciocchezza e quando Giovanni si riebbe, dalla Corte di Assise di Viterbo fu condotto a scontare i lavori forzati a vita nel bagno penale di Gaeta. (Anonimo di Valentano - Il brigantaggio nel Viterbese)19) Da “Ejolo là Borseno” (Canto popolare di Bolsena - VT)20) Breve storia di ignazio Pasquarelli detto “canale”Altra amena circostanza quella che vide protagonista “ alle dolci aure primaverili” Ignazio Pasquarelli nato a Marta nel 1850. Dopo aver preso parte ad una grassazione, essere stato arresta-to, processato, condannato e dopo essere evaso dal carcere, Ignazio si diresse verso Celleno dove, insieme al compaesano Pietro Del Monte, derubò i benestanti Calisti e Leonori. Essendo solito percorrere un tragitto compreso tra Marta e Tuscania ed essendo solito farlo disarmato, capitò a Canale di addormentarsi (come ricorda l’Anonimo “Alle dolci aure primaverili”), e di finire nel sacco di due carabinieri che, in perlustrazione nella zona, non ebbero alcuna difficoltà a legarlo e a tradurlo difronte alla Corte. Canale fu processato e condannato a venti anni di reclusione, ma pare che dal carcere di La Spezia sia poi evaso con un certo Leonardo Sinopoli calabrese di Borgia. (Anonimo di Valentano - Il brigantaggio nel Viterbese)21) Breve storia di giuseppe Pugini detto “Moretto” e di leonardo SinopoliIntrecciate tra loro parte delle vicende di Giuseppe Pugini di Marta e Leonardo Sinopoli di Borgia. Dopo essere rimpatriati dal carcere di La Spezia, a Canale e Sinopoli si unì Giuseppe Pugini, già

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reo di aver ucciso Rocco Patoia.Il sodalizio fra i tre non durò a lungo e Canale fu il primo a “disperdersi”. Dopo non molto tempo dall’avvenuta separazione con Canale, Moretto e Sinopoli mostrarono un’incompatibilità di carat-tere che in quell’epoca, il più delle volte, finiva per divenire letale. Sembrerebbe infatti che i due briganti dopo un consueto battibecco abbiano cominciato a spararsi addosso e, allor quando “colpo tira colpo”, il primo a cadere fu Sinopoli, ritrovato dal brigadiere Sebastiano Preta il 30 dicembre 1889 nei boschi di S.Magno. Moretto si spostò nei dintorni di Bagnoregio e fu trovato dai carabinieri, non troppo tempo dopo, in una grotta della zona. Morì sotto la scarica di diversi colpi. (Anonimo di Valentano - Il brigantaggio nel Viterbese)22) Da “So’ Stato a lavorà a Montesicuro” (Canto di lavoro dell’Alto Lazio rilevato a Montefiascone - VT) 23) Domenico Tiburzi (Cellere 1836, Forane di Capalbio 1896) detto “Domenichino”, “Livellatore”, “Re del Lamone”, “Re della Macchia”, “Re di Montauto”.C’è da credere che sia stato detto tutto del noto brigante laziale..., eppure di Tiburzi rimane sem-pre qualcos’altro da capire e che poi vale la pena ricordare. Io ho creduto di non dover dimenticare i suoi ventiquattro anni di “carriera” alla macchia, che sot-toscrivono il distacco tra lui e i suoi colleghi predecessori e contemporanei, le cui vicende brigan-tesche e spesso anche la vita erano di gran lunga più limitate nel tempo.E pure credo di dover ricordare, in rapporto con quanto detto sopra, come Tiburzi in qualche modo si sia evoluto eticamente, in un disordine totale di malefatte di ogni genere, introducendo - se così si può dire - il concetto di strategia, di organizzazione, rinunciando allo scontro casuale e stabilendo quindi delle leggi all’interno del suo “stato”.24) “Un guardiano di meno, un brigante di più” (Alfio Cavoli - Il giustiziere di Cellere)25) “Delitto a Camposcala” (A. La Bella R. Mecarolo - Tiburzi, senza leggenda)26) “Essa teme, onora suo marito. Servo altrove, presso di lei è re.” (Jules Michelet - La strega) 27) Domenico Biagini di Farnese, fedele gregario di Tiburzi detto “il Curato” a causa della sua “collezione” di santini.28) “Locandina delle memorie” fissa la vita di Tiburzi passando per i suoi “numeri”, quelli che tutti abbiamo in un calendario che a tutti è comune, ma che per ognuno scandiscono il passare del tempo su unici irripetibili scadenzari, e nel caso di Tiburzi preannunciano un futuro così aperta-mente incerto eppure così sfacciatamente riccorrrente.29) La popolarità di Tiburzi è, fra gli altri motivi, da attribuirsi alla figura che, a torto o a ragione, venne a rappresentare e significare per le popolazioni che lo conobbero e per quelle che ne senti-rono parlare e ne raccontarono le gesta; certo non contò quanto poi Tiburzi (pur essendolo) sia stato Livellatore tra questo e quello... ma che molti - tutti - invocandolo come tale, gliene riconob-bero l’ autorità.30) “Qua e là, acquitrini asciutti, esalanti pestiferi miasmi...L’aria pesante (...) oltre che di graveo-lenti odori palustri(...) sapeva di sterco.”(Alfio Cavoli - Il giustiziere di Cellere, La Maremma si racconta, Maremma)31) “Il Bastardario” era il luogo in cui venivano abbandonati i neonati che non potevano essere riconosciuti dai genitori.32) “...come il Diotallevi romano o l’Esposito napoletano, Proietti era un cognome che di frequen-te imponeva ai trovatelli affidatigli il brefotrofio di Viterbo.” (Antonio Mattei - Brigantaggio som-merso)33) “...non passa nessuno per la mia strada, tant’essa è screditata, rotta di pantani, ardua per i pedoni, per i cavalli e per le carrozze, non viene da nessun luogo e a nessuno conduce; ma non ho modo di comprarne una migliore.” (Théophile Gautier - Capitan Fracassa / Herman Hesse - Narciso e Boccadoro)34) “Addio per sempre miei colli ameni, boschi profondi, campi sereni... cielo d’Italia, mio suol natio, addio per sempre... io muoio addio!” (Anonimo / Riassunto delle gesta di D.Tiburzi Nuova Canzonetta Alfio Cavoli, I Briganti Italiani nella storia...)

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Presentazione di alfio cavoli Briganti in Maremma di romualdo luzi Nota dell’ Autore

Agosto 1996

Canto della Luna e del Soleprimo recitativo Vento dall’alto Vento dal Basso Figlio deh torna Figlio Storia di tutti i tempi canne al ventosecondo recitativo Dindolò de le catene Prima storia: Brando camilli Maremma Seconda storia: enrico Stoppaterzo recitativo Veniamo dal Piemonte Ejolo là Borseno Terza storia: Sassara, canale, Sinopoli e il Moretto So’ stato a lavorà a Montesicuro Quarta storia: Domenico tiburzi locandina delle memorie Padre livellatore a.de.re de.la. il BastardarioFinalenote

I disegni, i testi delle canzoni e dei recitativi sono di Viola BuzziLe immagini di copertina sono di Angelo Vitali

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