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SILVA ET FLUMEN TRIMESTRALE DELL’ACCADEMIA URBENSE DI OVADA SETTEMBRE- DICEMBRE 2013 ANNO XXVI - N° 3 - 4 Poste Italiane s.p.a. Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in L. 27 / 02 / 2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB/AL OVADA, la scalinata di P.zza Castello (come era e dov’era) Ovada, l’Oratorio incompiuto della Ss. Annunziata Ovada fra giustizia genovese e sabauda 1866: l’assassinio del parroco di Campo Freddo Roccaverano gli affreschi della Pieve di S. Giovanni B. Don Bosco nell’Ovadese Storia delle confraternite laicali liguri Settembre Dicembre 2013 n. 3-4.qxp:Layout 1 22-11-2013 9:45 Pagina 1

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SILVA ET FLUMEN

TRIMESTRALE DELL’ACCADEMIA URBENSE DI OVADA

SETTEMBRE- DICEMBRE 2013ANNO XXVI - N° 3 - 4

Poste Italiane s.p.a.Spedizione in Abbonamento Postale

D.L. 353/2003 (conv. in L. 27 / 02 / 2004 n° 46)art. 1, comma 1, DCB/AL

OVADA, la scalinata di P.zza Castello (come era e dov’era)

Ovada, l’Oratorio incompiuto

della Ss. Annunziata

Ovada fra giustizia genovese e sabauda

1866: l’assassinio del parroco

di Campo Freddo

Roccaverano gli affreschidella Pieve di S. Giovanni B.

Don Bosco nell’Ovadese

Storia delle confraternitelaicali liguri

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Il Castello di Casaleggio Boiro (disegno di Giuliano Alloisio)

Invitiamo tutti i Soci e i Simpatizzanti a visitare il sito internet dell’Associazione.

Vi troveranno una biblioteca on-line di circa un centinaio di monografie ed inoltre tutti i numeri di URBS salvo l’annata in corso.

SOSTENETE LE INIZIATIVE DELL’ACCADEMIA SOTTOSCRIVENDO IL 5 X MILLEINTESTATO AL NOSTRO SODALIZIO

P.I. e C.F. 01294240062

TESSERAMENTO 2014

Attraverso la Vostra quota associativa ci permettete di svolgere al meglio le attività dell’Associazione volte alla difesa del patrimonio storico - artistico,

usi, tradizioni e dialetto dell’Ovadesestoricamente inteso e alla sua valorizzazione.

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Periodico trimestrale dell’Accademia Urbense di OvadaDirezione ed Amministrazione P.zza Cereseto 7, 15076 OvadaOvada - Anno XXVI -Settembre - Dicembre 2013 - n. 3-4Autorizzazione del Tribunale di Alessandria n. 363 del 18.12.1987Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003(conv. in L. 27 / 02 / 2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB/ALConto corrente postale n. 12537288Quota di iscrizione e abbonamento per il 2014 Euro 25,00Direttore: Alessandro LaguzziDirettore Responsabile: Enrico Cesare Scarsi

Dalla Podestaria Genovese alla Giudicatura Sabauda.di Pier Giorgio Fassino p. 180L’assedio di Rocca Grimalda. Poema di Francesco Rocca (III)a cura di Gian Luigi Bruzzone p. 188Eventi sismici che hanno interessato l’Ovadesedi Paolo Bavazzano p. 203Roccaverano: gli affreschi della parrocchiale antica di San Giovanni Battistadi Simona Bragagnolo p. 210L’oratorio incompiutodi Paola Piana Toniolo p. 218Le confraternite laicali liguridi Fausta Franchini Guelfi p. 224Alessandria celebra, a più di ottant’anni dalla scoperta, il tesoro di Marengo di Alessandro Laguzzi p.233Il mistero di TonapaAdriana Alarco de Zadra p.234 Il Mandamento di Ovada: un territorio conteso nell’ambito della magliaamministrativa del Regno di Sardegna.di Cristina Marchioro p. 2371866: cronaca nera a Campo Freddo, l’assassinio dell’arciprete Don Servettidi Paolo Bottero p. 242Visite di don Bosco a Mornese: memorie biografichedi don Tommaso Durante p.249Don Luigi Mazzarello “Giusto tra le nazioni”.Coraggio, solidarietà, amore e spirito umanitario universaledi Luigi Mazzarello* p. 255Don Luigi Mazzarello “Giusto tra le nazioni”.La cerimonia di conferimento: Mornese, 24 ottobre 2012di Marco Mazzarello* p. 260RecensioniV.R.TACCHINO, C. CAIRELLO, Castelletto d’Orba: Pagine sparse di storia locale,(di Pier Giorgio Fassino) p. 262CAMILLA SALVAGO RAGGI Fuoco nemico; MAURIZIO SENTIERI, Cibo e ambrosia;(di Luigi Cattanei)MAVI PENDIBENE, I miei fratelli erano marinai, (di Paolo Bavazzano) p. 263

SILVA ET FLUMEN

SOMMARIO

Sede: Piazza Giovan Battista Cereseto, 7 (ammezzato); Tel. 0143 81615 - 15076 OVADAE-mail: [email protected] - Sito web: accademiaurbense.itURBS SILVA ET FLUMEN Stampa: Litograf. srl, - Via Montello, Novi Ligure

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Nel licenziare alle stampe l’ultimo nu-mero (doppio) del corrente anno ricor-diamo che alla nostra collana si è aggiuntaun’altra guida storico artista dedicata a Ta-gliolo Monferrato, mentre ha preso il viaquella riguardante Castelletto d’Orba. Po -chi sono i paesi che mancano all’appello acompletezza di un progetto in cui abbiamocreduto da subito e nel quale abbiamo in-vestito parecchio impegno.

In sommario un articolo in buona parteriguardante le vecchie carceri di Ovada,precursore del convegno svoltosi il 23 no-vembre presso il Museo Giulio Maini, unaistituzione allocata nell’ex carcere manda-mentale. Di seguito la conclusione dell’odeispirata dall’assedio di Roccagrimalda del-l’anno 1798, un documento che ci augu-riamo, risorse permettendo, di poter pub-blicare a parte in opuscolo. L’adesione allainiziativa curata dai volontari della CroceVerde Ovadese e preventiva riguardo ai ri-schi sismici ha indotto la ricerca storica quipubblicata.

La parte centrale della rivista riservauno studio sulla antica chiesa di Roccave-rano e al ciclo di affreschi quattrocenteschiche conserva. Segue una notizia inedita re-lativa alla confraternita dell’Annunziatache aveva in programma di costruire unnuovo oratorio. L’attività delle confrater-nite, che ad Ovada svolgono un’importantecompito di salvaguardia e tutela del patri-monio artistico a loro affidato, viene poi in-quadrata in uno studio sulle confraternitelaicali liguri della massima esperta in mate-ria la prof. Fausta Franchini Guelfi alla qualeesprimiamo un sentito grazie per la cortesiae la disponibilità che ci ha dimostrato.

Dal lontano Perù una leggenda inviatacida una cara collaboratrice legata al nostropaese dal filo dei ricordi e dagli ascendenti.Altri studi ancora... ma un po’ di spazio quilo riserviamo per augurare a tutti un serenoNatale e un felice anno nuovo.

Paolo Bavazzano

Redazione: Paolo Bavazzano (redattore capo), Edilio Riccardini (vice), Remo Alloisio, Gior-gio Casanova, Pier Giorgio Fassino, Ivo Gaggero, Renzo Incaminato, Lorenzo Pestarino,Giancarlo Subbrero, Paola Piana Toniolo. Segreteria e trattamento informatico delle illustra-zioni a cura di Giacomo Gastaldo. Le foto di redazione sono di Renato Gastaldo.

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Nel 1277, Genova entrò in possessodel borgo di Ovada, località ragguarde-vole per la sua particolare posizione allaconfluenza dell’Orba e dello Stura, per lapresenza dei guadi e di un fortilizio.

Il castrum, frutto di una prima fortifi-cazione romana a difesa dei vada, al-l’epoca dell’acquisizione non presentavauna struttura particolarmente importanteai fini presidiari e difensivi ma tuttaviacostituiva un non trascurabile avampostodei territori della Repubblica di Genova.Anzi Ovada era destinata a divenireun’enclave ligure nelle terre sabaudequando, a seguito della Guerra di Succes-sione Spagnola (1701/1713), le truppepiemontesi occuparono Belforte, Lerma,Casaleggio, Silvano, Castelletto, Molare,Cremolino, Cassinelle, Carpeneto, Tri-sobbio e Montaldo. Conquiste ricono-sciute a Vittorio Amedeo II con il trattatodi Utrecht del 1713 ed ampliate nel 1736da Carlo Emanuele III che estese il pro-prio dominio anche su Tagliolo, Montal-deo e Rocca Grimalda.

Le origini del centro abitato risalgonoad un primitivo insediamento celtico - li-gure successivamente entrato nell’orbitadell’espansione romana alla quale segui-rono i secoli oscuri del Medioevo di cuinulla sappiamo tranne che il borgo passòpiù volte di mano tra i possedimenti dimonasteri, vescovati e marchesati sino aquando dai beni dell’Abbazia di Giu-svalla(1) pervenne al Vescovado di Milanoe da questo, per permuta, agli Ale ramici(2).Infatti risale al 967, anno di fondazionedel Marchesato Aleramico di Monferrato,la prima citazione di una località ova-dese: la villa di Gruaglia (Grillano).Come è noto, solo in un documento suc-cessivo, risalente al 991, redatto in occa-sione della donazione da parte diAnselmo (figlio di Aleramo) di alcuneproprietà alla fondazione del Monasterodi San Quintino in Spigno, comparve lavariazione etimologica di “Ovaga in co-mitato Aquensi”. Quindi Ovada passòdagli Aleramici ai Marchesi di Gavi;tornò al ramo aleramico dei Marchesi delBosco e da questi pervenne ai Malaspina.Ma quest’ultimi, nel 1272, vendetteroalla Repubblica di Genova una parte deiloro territori ovadesi per poi completare

la cessione ai Genovesi della parte rima-nente del proprio feudo nel 1277.(3) Daquesta data Ovada venne retta da un’Am-ministrazione conosciuta come Magni-fica Comunità controllata da un fun- zionario inviato dal governo della Repub-blica di Genova: il Podestà, che di fattoera anche il giudice ed il castellano.

Tuttavia, nel borgo ovadese, per circamezzo secolo, rimasero in vigore gli sta-tuti e le franchigie ereditate dai vari feu-datari col beneplacito della Repubblicache, nel 1290, riconfermò le antiche fran-chigie.(4) Ratificazioni importanti per unterritorio che fondava la propria econo-mia sulla produzione agricola e per essereposto sulla “via del sale” in posizionecommercialmente strategica nei confrontidelle terre liguri, piemontesi e lom-barde.(5)

Invece risalgono al 1327 gli Statuti diOvada che lo storico Giorgio Oddini (6)

considerava “...... certamente il risultatodi studi e discussioni fra i rappresentantidegli uomini di Ovada ed i reggitori Ge-nova; essi probabilmente ricalcano leggie regolamenti già prima in uso e comun-que ricevono la loro autorità dall’esseresottoscritti dal Doge di Genova. Con taliStatuti il Comune di Ovada viene a con-figurarsi come “convenzionato” conquello di Genova; suo “protetto” inquanto paga un tributo annuale per es-sere da Genova difeso e rappresentatopresso i terzi; ......” (op. cit.)

Infatti gli Statuti si aprono col capi-tolo dal titolo: “Et primo de censu sol-vendo illustrissime Dominationi excel -lentissime Reiipublice Geniensis” (Delpagamento del censo all’illustrissima Si-gnoria dell’eccellentissima Repubblica diGenova). Normative che rimarranno invigore sino al 1797 quando caddel’ultimo doge della Repubblica aristocra-tica, Giacomo Maria Brignole, e nacquela Repubblica Ligure che sarà annessanel 1805 all’Impero francese.

In base a questi Statuti trecenteschil’amministrazione della giustizia pressoil Borgo ovadese continuava ad essereesercitata dal Podestà, organo della giuri-sdizione d’Oltregiogo della Repubblicagenovese secondo quanto disponeva ilcapitolo 2:

“Al principio del suo reggimento [ilPodestà] sia tenuto e debba giurare suisanti Evangeli che osserverà legalmente ein buona fede tutti i capitoli del Comunedi Ovada e che ad ognuno renderà giusti-zia nella sede usuale e consueta, in ognigiorno non festivo, secondo il dettato e ildisposto di detti capitoli, e, ove i predetticapitoli fossero manchevoli, secondol’enunciato del diritto comune.”

Il Podestà era assistito da un Vicario eda quattro Savi preposti all’amministra-zione del Comune con 21 Consiglieri. ISavi a loro volta, su mandato del Podestào del Vicario, eleggevano, ogni anno: dueSindaci; tre Estimatori per eseguireestimi ed esecuzioni sui beni dei debitori;tre Determinatori, soggetti destinati adesprimere i loro giudizi sulle liti insortetra proprietari di terreni privi di confinichiaramente delimitati, corsi d’acqua,strade comunali e consortili; due Mestralio Rasperii addetti alla verifica dei pesi edelle misure di coloro che esercitavano icommerci al minuto; due Banditori perpubblicizzare le disposizioni delle auto-rità, ordinare i servizi di guardia e dironda e provvedere alla custodia dellesomme riscosse come sanzioni pecunia-rie; tre Capitolatori ossia i revisori deiconti; due Campari dei boschi, quattroCampari dei campi, un Camparo degliorti, uno o più Campari delle vigne (per-sonale di vigilanza) e due Massari (inca-ricati a ricevere le denunzie e riscuoterele multe); i Pedaggeri per la riscossionedi pedaggi e tributi (ignoto l’organico);sei addetti alla composizione delle liti edinfine le Guardie Segrete. Queste ultime,coperte dall’anonimato (... et teneatur se-creti), costituivano un organismo, previ-sto dal capitolo 44 (De elligendo Guar-dias Privatas), composto da 36 guardie,un numero rilevante se si pensa che inquel periodo Ovada poteva contare suuna popolazione che probabilmente nonsuperava il migliaio di abitanti.

Gli agenti percepivano la metà dellepene pecuniarie inflitte a seguito delleloro denunce e l’organico era suddivisoin quattro settori: sei guardie segreteerano addette alla prevenzione dei giochid’azzardo sia nelle taverne che nelle caseprivate; venti destinate come ausiliari

Dalla Podestaria Genovese alla Giudicatura Sabauda.Breve excursus attorno a leggi, magistrature, operatori di polizia e strutture carcerarie presenti inOvada dal dominio della Repubblica di Genova all’annessione al Regno di Sardegnadi Pier Giorgio Fassino

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nella sorveglianza alle pro-prietà campestri e bo-schive; sei per controllare imacellai ed i commerciantial minuto e quattro per im-pedire che ai funerali parte-cipassero le prefiche ossiadonne pagate per piangerecon alti lamenti durante lecerimonie funebri. Infatti,per estirpare in modo radi-cale questa abitudine, il ca-pitolo 121 (De non plo-rando post cadavera) nonesitava a vietare la presenzaanche di donne affettiva-mente legate al defunto:

“Nessuno, maschio efemmina, pianga emet-tendo alti gemiti e batta lemani al seguito di un fune-rale, una volta che il feretrosia partito dalla casa o dalcortile del defunto.

La madre, la figlia, lamoglie, le sorelle o altredonne piangenti, non dovranno uscire dicasa per seguire o precedere il feretro, néper intervenire alle espiazioni di settimo.Chiunque contravverrà, paghi una multadi dieci soldi per ogni volta.

Siano costituite Guardie Segrete, in-caricate di vigilare su ciò.”

Tra tutte queste figure al servizio dellacomunità non compaiono i pianchei ossiagli addetti alla manutenzione delle nume-rose passerelle (pianche) che, in assenzadi ponti con strutture in muratura, garan-tivano ugualmente il superamento del-l’Orba e dello Stura. Categoria di ope ra- tori che troviamo ufficializzata solo se-coli più tardi in un documento del 25gennaio 1687, quando Costa di Ovada ot-tenne lo status di comunità dal Magi-strato delle Comunità genovese. (L.Giana op. cit. pag. 69).

Il Podestà ed il Vicario erano i sog-getti destinati a giudicare sia in campo ci-vile che penale in base agli Statuticomprendenti 221 capitoli (redatti in la-tino tardo) recanti regole amministrative,civili, penali, sanitarie, annonarie, ruralied edili.

Le norme degli statuti che contempla-vano pene in genere irrogavano sanzionipecuniarie; rare le pene detentive comenel caso dei debitori insolventi che veni-vano condannati al carcere. L’esistenza diquesta struttura è provata dal capitolo 85che prevedeva il compenso spettante aicarcerieri per cui si presume che, al-l’epoca dell’adozione degli statuti trecen-teschi, i locali destinati alla custodia deidetenuti fossero stati ricavati in una qual-che parte di un edificio o della torre delcastello.

In compenso le pene corporali costi-tuivano un significativo deterrente aiquali gli estensori del 1327 erano ricorsicon una certa frequenza: taglio della lin-gua per il testimone mendace; taglio dellamano destra per coloro che esibivano, nelcorso di un processo, false documenta-zioni e per il notaio che aveva redatto unrogito inattendibile.

Particolarmente severe le pene previ-ste per gli incendiari di edifici del Borgo,spesso inseriti tra fabbricati rustici munitidi tetti di paglia (peraltro vietati dal capi-tolo 178 che ne proibiva la costruzione dinuovi e ne imponeva la rimozione di

quelli esistenti): impicca-gione per gli uomini e rogoper le donne salvo un totalerisarcimento del danno pro-vocato e del pagamento dellarelativa multa da parte delcolpevole. Qualoral’incendio fosse stato appic-cato ad un edificio postoextra burgum Uvade il legi-slatore aveva previstol’irrogazione di una penaconsistente nel cavare un oc-chio e nel tagliare la manodestra (Et si damnum et men-dam solvere non poterit,eruator ei unus oculus etmanus dextra ei incidatur, itaquod separetur a brachio) ameno che il reo avesse rim-borsato i danni e pagata la re-lativa sanzione pecuniaria.Nel caso dell’incendio di unpagliaio, di un fienile, di unessiccatoio di castagne, ilcolpevole doveva risarcire il

danno e pagare una multa o, in alterna-tiva, gli sarebbe stato estirpato un occhio.Per tutti gli altri casi, meno gravi, di in-cendi dolosi veniva applicata una san-zione pecuniaria o il taglio dell’orecchio.Stupisce che per gli incendi boschivi, chepotevano devastare vaste aree forestali, icolpevoli fossero soggetti, oltre al risarci-mento dei danni, al pagamento di unapena pecuniaria di cinquanta soldi senzadover soggiacere ad una severa pena cor-porale.

Nei casi più gravi di violenza carnaleil reo era condannato a morte o ad esserearso sul rogo mentre per i casi di adulte-rio il colpevole, non potendo corrispon-dere l’importo della pena pecuniaria, erasoggetto alla decapitazione o all’amputa-zione della mano destra a seconda dellecircostanze in cui il fatto si era verificato.In conseguenza per i casi di omicidio in-tenzionale e premeditato, ovviamente,era comminata la pena di morte.

Il responsabile di violenze, compor-tanti l’amputazione di un arto o menoma-zioni irreversibili, era soggetto allamedesima mutilazione subita dalla vit-tima mentre, in caso di fuga, i beni del fe-

A lato, la chiesa di S. Antonioe l’edifico dell’ospedale inuna rappresentazione seicen-tesca (A.S.G.)

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ritore sarebbero stati utilizzati per risar-cire la vittima delle violenze.

I ladri, impossibilitati a restituire larefurtiva e a pagare una sanzione pecu-niaria, erano condannati alla fustigazionedurante i percorsi che presumibilmentedipartivano dalla Loggia Pretoria, sede incui veniva amministrata la giustizia (7), edi lunghezza proporzionata all’entità delfurto fino alla chiesa di S. Antonio (oggiMuseo Paleontologico “Maini”) sino al-l’argine del mercato (un’area nei pressidell’attuale Ospedale Vecchio in viaXXV Aprile ove si esercitava il mercatodel bestiame) sino alla chiesa della Tri-nità (o Cappella di S. Bartolomeo) scon-sacrata nell’Ottocento, utilizzata comedeposito comunale e demolita nel 1961per poter aprire un collegamento tra la viaCavour e la nuova via Gramsci. Per i furtidi entità particolarmente elevata, qualorai rei non avessero potuto restituire il mal-tolto e pagare la multa, costoro erano pu-niti con una graduazione di penecorporali che, dall’amputazione del-l’orecchio sinistro oppure del naso, siestendeva all’amputazione del naso con-giuntamente al marchio a fuoco, im-presso sul viso, col sigillo del Comune diOvada. (capitolo 210)

Nonostante alcuni periodi di domina-zioni Viscontea, dei marchesi di Monfer-rato ed una temporanea occupazione ditruppe francesi avvenute tra la secondametà del Trecento e la prima metà delQuattrocento, le norme giuridiche, in vi-gore nel borgo ovadese, rimasero sostan-zialmente immutate.

Anzi nel 1447, col rientro di Ovadanell’ambito genovese, sotto il dogeGiano di Campo Fregoso, venne attuatauna convenzione tra il Comune di Ge-nova e quello di Ovada che prevedeva laconferma degli statuti, dei privilegi,degli usi, franchigie ed immunità men-tre dal canto suo il Doge si impegnava atenere il territorio ovadese, con relativoborgo e castello, sotto il proprio domi-nio senza possibilità di cederlo ad altrisoggetti per nessun titolo. Convenzioneredatta dal notaio Rafael de Benegasionell’ammezzato di Stura sito presso lemura del castello di Ovada (in mezanoSture prope muros castri Uvadae).

Un’ulteriore revisione degli Statutivenne eseguita nel 1554 da Petrus Fran-ciscus Grimaldus Robius, inviato dallaRepubblica su richiesta della Comunitàdi Ovada. Il tutto però si limitò a pochiarticoli tra i quali venne precisata la posi-zione dei cittadini genovesi, equiparati aifini legali a quelli di Ovada, e all’aggior-namento dei censi da pagare al Comunedi Genova e delle indennità da corrispon-dere al Podestà ed al Vicario.(Statuti pg195)

Modifiche più importanti venneroadottate con l’adozione della nuova co-stituzione genovese del 1576: nel campogiudiziario venne istituita la Rota Crimi-nale (Erectio Rotae Criminalis) per cui aldi fuori del territorio urbano della città diGenova e delle tre Podestarie suburbanedi Bisagno, Polcevera e Voltri, il Podestàvenne sostituito da una nuova figura dimagistrato locale che assunse il nome di“Capitano Jusdicente”, destinato adesplicare la propria attività giurisdizio-nale, anche in campo civile, sino al 1797,anno in cui, come già detto, ebbe terminela Repubblica aristocratica genovese.

Anche con le nuove disposizioni inmateria penale il Giusdicente locale eracompetente ad irrogare le condanne amorte, mutilazioni di membra, galera,bando o relegazione ma ad istruttoria

conclusa, doveva trasmettere gli atti aGenova alla Rota Criminale ed atten-derne la decisione alla quale doveva uni-formarsi. Infatti nel manuale “Il PerfettoGiurisdicente - Dialoghi morali di To-maso Oderico” , ristampato nel 1730 perordine del Senato genovese, si legge:

“Si ordina ancora che nelli casi dimorte, mutilazioni di membra o di galera,il Giusdicente mandi il suo voto alla M.ca

Rota Criminale e ne aspetti la risposta,secondo la quale dovrà giudicare e ese-guire. E perché li voti siano bene e fedel-mente ricapitati, viene parimenti ordinatocon l’Istruzione che si mandino diretti alSenato S.mo con lettera particolare. Laquale sarà per esempio nella forma se-guente:

Serenissimi Signori, invio con la pre-sente a cotesta M.ca Rota Criminale ilvoto contro Tizio, reo per la morte data aSempronio; supplico VV.SS.SS. sianoservite d’ordinare la dovuta spedizione.A’ quali faccio humilissima riverenza.”

Invece tutte le cause civili, che percompetenza di territorio dovevano esserecelebrate fuori dell’ambito della città diGenova, spettavano ai Giusdicenti localisenza necessità di ulteriori conferme daparte dell’autorità superiore. Secondo ledisposizioni legislative del 1576, le Po-destarie locali (8) erano classificate come

“Ufficio Minore” ma con legge 30marzo 1666 quella di Ovada assursea Capitaneato retto da un cittadinonobile, assistito da un Vicario, quindidifferenziandosi nettamente, peresempio, dalle minori Podestarie diParodi o di Voltaggio. Provvedi-mento degno di nota in quanto il per-sonale di polizia passava al comandodi un funzionario della Repubblicadenominato “Colonnello di Ovada”(Giana op. cit. pg. 37) il cui compitopiù impegnativo era quello di contra-stare la presenza sul territorio dibande armate. I confini del Capita-nato includevano: Cascina Nuova,Casine di Serra, Casine di Piana,Costa, Grillano, Lercara, S. Lorenzo,S. Martino, S. Nazaro, Pian di Valo-ria; indi: Rossiglione, Valenzona edil territorio dell’Abbazia del Tiglietoracchiudente Acquabuona, San Got-

In basso, un membro della gendar-meria a cavallo del periodo napo-leonico

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tardo, Ferre, Grino, Martina e S. Pietrod’Olba. (vds Dogi .... op. cit. pag. 179)

Nel 1662 i Cappuccini completaronola costruzione del convento, la cui posadella prima pietra risaliva al 16 giugno1640, per esaudire un voto pronunciatoper implorare la fine dell’epidemia dipeste scoppiata nel 1631. Le capacità ri-cettive del monastero risultarono però su-periori al numero di confratelli daospitare stabilmente per cui una partedelle celle conventuali venne messa a di-sposizione del Capitaneato per incarce-rare le persone benestanti, in attesa digiudizio o già condannate, in grado di pa-gare una specie di retta. Infatti i locali delmonastero francescano, destinati ai car-cerati, erano certamente migliori rispettoa quelli nel castello, noti per la loro umi-dità (vedasi. GIANA op. cit. pag. 210) pernon parlare del vitto di pessima qualità.La dispersione dell’Archivio conven-tuale, avvenuta in epoca napoleonica at-torno al 1810(9), non ci consente dideterminare per quanto tempo il con-vento dei Cappuccini abbia continuato adessere la “succursale” del carcere del Ca-pitanato.

Tuttavia, il ritrovamento nell’Archi-vio di Stato di Genova (Magistraturadelle Comunità – 389) della richiesta delCapitano Jusdicente Agostino Centu-rione, avanzata l’8 giugno 1752, in se-guito ad un sopralluogo dei Sindacatoridel governo genovese, dimostra che ladeplorevole situazione carceraria inOvada perdurava:

“Ill.mi Sig.ri Ill.miEssendosi portati alla visita delle car-

ceri in questo luogo gli Illustrissimi Si-gnori li Sindacatori hanno quelle ritro-vate in pessimo stato e conseguentementedi poca buona custodia de’ carcerati, inmaniera tale che il carceriere per sua in-dennità si trova costretto ad aggravarli dipesanti traversie affinché non possinocommettere fuga.

Per riparo di un tale disordine, ed af-finché li poveri carcerati non abbiano asoffrire una tal pena, per lo più non con-veniente a’ reati per quali si trovano dete-nuti, mi è stato da medesimi SignoriSindacatori insinuato, come già stavo inpensiero di fare, a dover partecipare

quanto sopra ad V.V. Ill.me affinché si de-gnino di stagliare [stanziare] perl’accomodo e ristoro delle carceri sud-dette e passo del ponte che introduce alcastello,(10) ....”

Anche la Repubblica Ligure, nomi-nalmente libera ma nei fatti già sottopo-sta al sistema francese, non contribuì aimiglioramenti della struttura carcerariaovadese e delle condizioni di vita dei de-tenuti. Pertanto l’Amministrazione Mu-nicipale, di cui faceva parte anche Fran-cesco Buffa (figlio di Ignazio, fondatoredell’Accademia Urbense), nella sedutadel giorno 8 luglio 1800, si affrettava acostituire un comitato di persone probe (icittadini Domenico Piana di Giovanni,Gian Antonio Grossi di Giuseppe, Ste-fano Carlini di Casimiro e GiovanniCampastro fu Alberto) affinché control-lassero lo stato di salubrità delle carceri ele condizioni di vita dei carcerati e, conuno stile degno dei nuovi tempi profon-damente segnati dall’influsso francese, liinformava col seguente invito:

“Cittadino, siete stato eletto e depu-tato all’inspezione delle carceri, e carce-rati; siete pertanto invitato ad assumerela carica e prestarvi ad invigilare alle

medesime come pure allo stato dei pri-gionieri, come farne, occorrendo, i do-vuti rapporti. Salute e fratellanza. Perdetta municipalità, sottoscritto Tosi Pre-sidente”

Disposizioni encomiabili ma nonsempre rispettate come dimostral’emblematica assegnazione ai carceratidi pane invendibile in quanto adulterato(crudo e misto di verza e revesolo) matuttavia ritenuto adatto per i carcerati dal-l’Ufficio dei Censori (11) la cui sentenzadisponeva “... di dare una porzione delpane predetto di libre due a ciascuno deicarcerati che attualmente si trovano inqueste carceri Comunali e Cantonali.”(Ufficio dei Censori - 24 Agosto 1804 –pag. 110 del Registro – A.S.O.)

Il 6 giugno 1805, data di incorpora-zione della Repubblica Ligure nel I° Im-pero francese, un decreto imperialeim pose il nuovo ordinamento ammini-strativo della Liguria che venne suddivisanei dipartimenti di Genova, Montenotte eAppennini mentre i territori ad ovest deltorrente Argentina vennero incorporatinel dipartimento nizzardo delle Alpi Ma-rittime. A loro volta i dipartimenti ven-nero suddivisi in circondari (arrondis-sement) che non erano circoscrizioni am-ministrative, come comunemente si suolecredere, ma giudiziarie ed elettorali. Aicircondari facevano capo i cantoni, com-posti da più comuni, retti da un maire,coadiuvato da uno o più adjoints (vicesindaci).

Ovada venne assegnata al Circonda-rio di Novi con la qualifica di cantonecomposto dal capoluogo ovadese, dallefrazioni di S. Lorenzo e Costa, da Rossi-glione Inferiore, Rossiglione Superiore,Campo Freddo e Masone e pertanto di-venne sede di un Juge de Paix, giudicantein materia civile e penale, normalmenteassistito da due supplenti e da un cancel-liere.

Un presidio della Gendarmerie Natio-nale, il nuovo organismo di polizia fran-cese che dal 1791 aveva sostituitol’antico Maréchaussé de France (12), si in-stallò nel vetusto ma ampio Convento deiPadri Domenicani (oggi di proprietà deiPadri Scolopi in piazza S. Domenico), ri-masto disponibile dopo la soppressione

A lato, un membro della Gendarme-rie Nationale durante il periodo na-poleonico

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di tale ordine, ed iniziò ad operare alle di-pendenze del Juge de Paix. L’organico diquesto distaccamento non è conosciutoma sappiamo, in base ad una informa-zione fornita nel 1807 dal Maire diOvada all’amministrazione francese, chela brigade era comandata da un mare-sciallo [d’alloggio] (maréchal des logis).Mentre, per quanto concerne il sistema fi-scale e doganale, si presume che alcuniChausseurs Verts francesi (13) abbiano so-stituito o collaborato col “bargello” inprecedenza dipendente dal Capitano diTerra, affidatario della circoscrizione ter-ritoriale in cui era suddivisol’ordinamento doganale della Repubblicadi Genova.

Purtroppo la documentazione di que-sto periodo è andata quasi totalmente per-duta, al tempo del crollo dall’imperonapoleonico (1814), per il desiderio irre-frenabile di cancellare ogni traccia del-l’amministrazione francese onde restau-rare a piene mani l’Ancien Regime.

Infatti, Ovada entrò a fare parte delRegno di Sardegna dal 3 gennaio 1815quando il commissario plenipotenziarioIgnazio Thaon di S. Andrea e di Revelprese formale possesso della Liguria edella città di Genova e quindil’amministrazione giudiziaria per i nuovisudditi venne plasmata su quella sabauda.Giustizia anacronistica poiché solo conl’editto del 29 luglio 1797 Carlo Ema-nuele IV aveva abolito gli ultimi residuidel regime feudale sottraendo ai feudatariil potere di nomina di una parte dei giu-dici ordinari.

L’editto del 21 maggio 1814, uno deiprimi emessi dopo il ritorno del re Vitto-rio Emanuele I a Torino, abrogava i co-dici e la normativa francese e richiamavain vigore le regie Costituzioni del 1770 ele leggi emanate sino al 23 giugno 1800.Però alcune tracce della legislazione tran-salpina rimasero negli ordinamenti sa-baudi poiché vi può essere un nesso tra iljuge de paix ed il giudice di mandamentopiemontese sino alla sua naturale evolu-zione nella figura del pretore. Materiaquest’ultima trattata dal Regio Editto del7 ottobre 1814 n. 70 che definiva le circo-scrizioni delle province e la loro divi-sione in giudicature di mandamento i cui

magistrati erano competenti, in primaistanza, sia in materia civile che penale. Aquesti giudici potevano essere affiancatefigure di magistrati che si potrebbero de-finire minori: i castellani e i baili, gene-ralmente notai delegati a dirimere ilcontenzioso nelle castellanie, ossia in lo-calità difficilmente raggiungibili dal giu-dice ordinario della Giudicatura dimandamento.

Ovada divenne sede di Giudicatura,dipendente dal Tribunale di Acqui, e, nelcorso del 1815, i cittadini ovadesi videroper la prima volta le uniformi di coloreturchino, i cappelli neri a due punte e glialamari argentei, simili a quelli dei Gra-natieri (14), dei “soldati della legge” poi-ché Ovada divenne sede di una stazionemilitare del Corpo dei Carabinieri Reali“.....per il mantenimento della tranquil-lità e del buon ordine”. Il Corpo era statofondato da Vittorio Emanuele I il 13 lu-glio 1814 attivando sui territori sabaudicirca duecento stazioni che in parte rical-cavano le brigades della GendarmerieNationale. Il personale era tratto da vo-lontari con quattro anni di servizio nelleArmate napoleoniche o sabaude, dotati di

qualità morali ineccepibili ed in grado dileggere e scrivere correntemente, requi-sito quest’ultimo particolarmente impor-tante per tempi in cui l’analfabetismo eraassai diffuso. Anzi il primo caduto delnuovo Corpo fu il carabiniere GiovanniBoccaccio, nato a Trisobbio il 6 luglio1781 secondo quanto recita il registroparrocchiale dei battesimi: Joannis, filiuslegittimus et naturalis Joannis Baptiste etMarie Bernardine iugalium de Boccacj,huius loci, natus et baptisatus fuit a meinfrascripto die sexta juli, millesimo sep-tingentesimo octuagesimo primo. Al-l’epoca della Restaurazione, il soldatoBoccaccio faceva parte dell’Armata diTerra sabauda (si ignorano grado ed armadi apparteneza) ma, avendone i requisitirichiesti, venne arruolato nei CarabinieriReali. Assegnato alla Stazione di LimonePiemonte (CN) cadde il 23 aprile 1815 inun conflitto a fuoco con alcuni detenuti,fuggiti dal carcere di Cuneo alcuni giorniprima, nei pressi di Palanfrè, località delComune di Vernante.

Ma torniamo al presidio di Ovada,particolarmente importante, poiché, esa-minando la Carta delle Stazioni Militaridel Corpo dei Carabinieri Reali ne’ Statidi Terraferma di S. M. del 1819 (redattain base allo Stato Generale di tutte le sta-zioni dei Carabinieri Reali attive alla datadel 6 Settembre 1818) appare evidentel’ampiezza del territorio sul quale avevagiurisdizione la caserma ovadese: bastiosservare che le stazioni confinanti si tro-vavano ad Acqui, Alessandria, Novi eVoltri. La caserma era situata nel Borgodi dentro (vulgo Cernaja) mentre man-cano notizie sulla sede degli appartenential Corpo dei Preposti Doganali, succes-sori degli Chausseurs Verts, presenti inquanto, per un certo periodo, venne man-tenuta in vigore la frontiera doganale traPiemonte e Liguria. Questi doganieri di-scendevano da un corpo, similare ai Cac-ciatori Verdi, risalente al re di SardegnaVittorio Amedeo III che, ad ottobre del1774, nel quadro di una radicale riorga-nizzazione dell’esercito, aveva creato laLegione Truppe Leggere, primo esempioin Italia di un corpo creato per la difesadoganale e militare delle frontiere: spe-cialità destinata a subire successive ri-

In basso, prima uniforme dei Cara-binieri Reali del Regno di Sarde-gna

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strutturazioni e cambi di denominazioneper ampliamento di compiti e perl’amalgama con enti similari, attivi neglistati preunitari, al compimento dell’Unitàd’Italia. (15).

Nel 1817, il carcere mandamentale,classificato di sesta classe con un sotto-brigadiere custode aiutato da un numeroimprecisato di soldati di giustizia(16), con-tinuava ad essere ubicato nel castello.Tuttavia, nonostante i buoni propositidegli Amministratori ovadesi, le condi-zioni igieniche restavano malsane percui, il 28 febbraio 1846, il Comune diOvada aveva varato un progetto per ri-strutturare il vecchio edificio già adibitoa forno comunale, posto nel Borgo diDentro per adibirlo a carcere mandamen-tale.

Il fabbricato, secondo la descrizioneriportata nella deliberazione della GiuntaMunicipale del 20 gennaio 1875, era ubi-cato al civico 26 di via Borgo di Dentro epresentava due piani suddivisi in quattrocameroni, due al piano terreno e due alprimo piano collegati da una scala in-terna. Le coerenze risultavano essere:Piazzetta Stura, la strada di Borgo diDentro, un piccolo vicolo denominatoviottolo Carceri e la proprietà Salvi GioBatta. Oggi la tradizione popolare indicacome sede delle carceri ottocentesche unedificio a tre piani (forse frutto di una ri-strutturazione con innalzamento di unpiano) contrassegnato dal civico numero16 di Via Borgo di Dentro. Tradizione inparte avvalorata dalla presenza, a pianoterreno, di due camere, munite di due se-colari porte in legno massiccio con spion-cini, sicuramente destinate alla custodiadi persone. Tuttavia, occorre sottolineareche in realtà il fabbricato va identificatocome l‘ottocentesca caserma dei Carabi-nieri Reali mentre le prigioni, confinanticon la Piazzetta Stura, vennero radical-mente ristrutturate o demolite a fine Otto-cento o, al più tardi, nella prima metà delNovecento.

Ma il nuovo reclusorio venne utiliz-zato per poco più di venti anni poiché,forse nel tentativo di risolvere definitiva-mente il problema o per sfruttare una co-struzione ormai degradata, venne valu-tata, come struttura carceraria, la chiesa

di S. Antonio, interdetta al culto sin dal1840 ed utilizzata brevemente, durantel’epidemia di colera del 1854, come laz-zaretto e negli ultimi tempi come luogodestinato a ricevere le salme delle per-sone, decedute nelle zone rurali, in attesadei funerali.

Pertanto la Giunta Municipale, il 20maggio 1872, decideva l’acquisto del-l’antica chiesa di S. Antonio dalla Con-gregazione di Carità, proprietaria anchedell’Ospedale civile ovadese.(17)

L’importo della compravendita, secondola perizia del geometra Paolo Maineri,ammontava a lire seimilaquattrocento-quattordici e sessanta centesimi. Mal’Am- ministrazione ospedaliera ritennetale somma insoddisfacente per cui il Co-mune, tenuto conto che la parte vendi-trice era un’Opera Pia in ristrettezzefinanziarie e che l’area circostante l’ex-edificio di culto poteva presentare un va-lore superiore a quello valutato dal peritoessendo particolarmente vicina al centroabitato, accettò di concludere l’acquistoper lire settemila.

Circa due anni dopo, il 18 agosto1874, la Giunta Municipale dava il viaalla ristrutturazione della chiesa di S. An-tonio destinando la somma di lire due-mila per ricavare due cameroni per idetenuti ed una camera per il custode.

Poco dopo, con due successive deli-berazioni del 31 Dicembre e del 20 Gen-naio, il Comune vendeva l’immobile cheaveva ospitato il carcere ubicato nelBorgo di Dentro tranne i seguenti infissiche. molto probabilmente, vennero utiliz-zati nel corso dei lavori di adattamentodella chiesa sconsacrata a prigione: laporta d’entrata, l’inferriata di una fine-stra, due porte delle latrine e due tavo-

lacci. Infine, il 22 gennaio 1888, una de-liberazione del Consiglio Comunale ade-guava le carceri ad una circolareministeriale del 15 marzo 1874 varandoun’ulteriore ristrutturazione che preve-deva, al piano terreno, una camera per ilgiudice istruttore, un parlatorio e due ul-teriori celle. Mentre, per aumentare le mi-sure di sicurezza, le finestre avrebberoavuto inferiate maggiormente robuste, ilsolaio del locale a piano terreno sarebbestato dotato di una robusta volta in mat-toni (tuttora esistente) ed il muro perime-trale del cortile portato da un’altezza dimetri 3.20 a metri 4.40.

Frattanto la Giudicatura era rimastanella sede dell’antica Podestaria nellaLoggia Pretoria sino a quando, verso il1850, la Loggia venne demolita e gli uf-fici giudiziari vennero trasferiti nel sei-centesco Palazzo Maineri divenuto anchesede dell’Amministrazione Comunale.

Successivamente, per effetto del R.D.6 dicembre 1865 n. 2626, le antiche Giu-dicature di mandamento, previste dall’or-dinamento sardo-piemontese ed esteseormai all’Italia unita, presero il nome diPreture aprendo una lunga stagione digiudici monocratici che in Ovada si con-cluse nel 1994. Al Dott. Carlo Carlesi,successore dei più bei nomi dell’aristo-crazia genovese come gli Spinola, i Cen-turione, i Pallavicino, i Bracelli, i DiNegro, gli Staglieno ed i Salvago che am-ministrarono la giustizia nella Podestariae nel Capitanato di Ovada, toccò l’onoree l’onere di essere l’ultimo magistrato adesercitare l’attività giudiziaria in Ovada.

Annotazioni(1) Abbazia di Giusvalla: secondo una leg-

genda venne fondata da un re longobardo, forse

A lato l’edificio che ospitaval’antico carcere al momento dellademolizione posto in via Borgo diDentro (Cernaia)

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Liutprando. Secondo il Moriondo in Monu-menta Aquensia il monastero venne distrutto du-rante un’incursione saracena verso la metà delX secolo e conseguentemente i suoi beni ed isuoi diritti vennero trasferiti all’Abbazia di Spigno.

(2) Aleramici: famiglia marchionale risalentead Aleramo - citato da Jacopo d’Acqui in Chro-nicon imaginis mundi (prima metà del XIV se-colo) creato marchese delle terre tra l’Orba, ilPo, la Provenza ed il mare secondo un diplomadell’imperatore Ottone, rilasciato in Ravenna il23 marzo 967. Per maggiori approfondimentivedasi lo studio di Flavio Rolla, Alle origini delMonferrato: Aleramo ed il suo tempo, in URBS– anno XXVI – n. 2 – Giugno 2013.

(3) Il Borsari, in Opera Omnia, riporta la se-guente annotazione posta in fregio agli Statutidi Ovada approvati ed entrati in vigore nel1327:”Anno Domini Millesimo DuecentesimoSeptuagesimo Septimo – 1277 – Thomas Mala-spina Marchio medietate.m Uvade opidi vendi-dit Reip.ce Januensis, una cu.e Iurisdict.ne qua.ehabebat super nunullas allias terras, pro pretiolirarum decem-milium tunc temporis, per actanot.y Lanfranci à Valario, recepta anno predicto1277, quibus & c.”.

(4) Il documento sulle franchigie ovadesivenne redatto in Genova il 5 dicembre 1290 daCorrado Doria e Oberto Spinola, Capitani delComune. Secondo questa convenzione i cereali,legumi, castagne e vini prodotti nei territori diOvada e Rossiglione erano esenti da balzelli almomento di superare la cintura daziaria geno-vese. Reciprocamente erano esenti da dazi glistrumenti o materiali per uso artigianale od agri-colo introdotti nei territori ovadesi o rossiglio-nesi ad uso esclusivo degli artigiani e coltivatorilocali. Le norme decaddero solo con l’avventodella Repubblica Democratica Ligure del 1797.

(5) In un rogito del notaio Oberto Foglietta jr.redatto il 22 giugno 1469 (ASG n.g. 734 – doc.420) risulta che i fratelli Gaspare e GiacomoPietro Maineri gestivano in Ovada i magazzinidel sale loro fornito dall’appaltatore Nicolò deFornari che a sua volta lo prelevava dai depositidi Genova e Voltri. I Maineri lo rivendevano inloco, senza responsabilità in caso di guerre o dipeste, ricevendo un’indennità di gestione oltreai rimborsi per l’affitto dei locali, dei pedaggi edelle spese di trasporto. (E. Podestà – op. cit. pag. 19).

(6) Giorgio Oddini: (Genova, 1917 - Ovada,2008) architetto e cultore di storia, belle arti edurbanistica. A lui si devono interessanti ricerchee studi su castelli, palazzi ed opere pittoriche:Castello di Roccagrimalda (1988); Trittico del-l’Annunziata (1989); palazzo ovadese Rossi-Maineri (1989); Palazzo Maineri-Spinola diOvada (1990); Castello di Tagliolo (1990); Ca-stello di Belforte Monferrato (1991); Castello diSilvano d’Orba (1992); pala votiva della Cap-

pella Oddini in S. Domenico di Ovada (1992);Palazzo dei Conti Tornielli a Molare (1998); Pa-lazzo Lercari a Ovada; .....per citarne solo al-cuni. Di non trascurabile importanza sono le suericerche genealogiche su alcune antiche fami-glie ovadesi tra le quali spicca Storia di CasaOddini; gli approfonditi esami di fondi archivi-stici ed i suoi interventi in numerosi Convegni diStudi. Dal 1974 al 1999 ricoprì, in modo enco-miabile, la carica di Presidente dell’AccademiaUrbense per divenirne Presidente Onorario sinoalla fine dei suoi giorni.

(7) Loggia Pretoria: per maggiori notizie suquesto antico edificio pubblico, eretto verso lafine del Duecento nell’attuale Piazza Mazzini edemolito nell’Ottocento, vedasi Pier GiorgioFassino, Ovada scomparsa: la Loggia Pretoria,in URBS – anno XXIII n. 2 – Giugno 2010.

(8) Il testo in latino della legge del 1576elenca Ovada tra le sedi di “Preture” sebbenequeste venissero chiamate comunemente conl’antico nome di “Podestarie” – vedasi: G. For-chieri in Doge Governatori Procuratori Consi-gli e Magistrati della Repubblica di Genova,opera citata – . pag. 164 nota n. 2.

(9) Archivio del Convento dei Padri Cappuc-cini in Ovada: il 23 settembre 1810l’Amministrazione francese notificò ai PadriCappuccini la soppressione del loro Ordine conconseguente obbligo di vestire l’abito talare delclero secolare. Si presume che, come similmenteavvenne in quel periodo per il Convento deiPadri Domenicani (nell’attuale piazza S. Dome-nico), gli oggetti sacri siano stati consegnati alRegistratore Demaniale per essere suddivisi dalVicario Capitolare della Diocesi di Acqui tra lechiese: Parrocchiale di Ovada, Costa d’Ovada,S. Lorenzo e Rossiglione Inferiore. Invece lecampane, i quadri e gli arredi vennero vendutiall’asta mentre nulla rimase del prezioso Archi-vio Conventuale. Al riguardo vedasi anche: P.G.Fassino, I Padri Scolopi ad Ovada, in RivistaURBS - anno XXII – n. 3 – 4 pag. 207 nota n. 3.

(10) Ponte: da questo documento abbiamo lacertezza che anche il castello di Ovada era do-tato di un ponte, molto probabilmente levatoio,come in genere erano dotati i castelli medioe-vali circondati da un fossato. La presenza di talestruttura conferma l’esistenza di una scarpata,naturale o artificiale, che separava nettamente icaseggiati del Borgo e l’attuale via Roma dal ca-stello.

(11) Ufficio dei Censori: organo preposto alcontrollo delle attività commerciali private, conparticolare riguardo a quelle che trattavano ge-neri alimentari, erede dei trecenteschi “Me-strali”. Il cambio di denominazione avvenneanteriormente al 1760 poiché presso l’ArchivioStorico del Comune di Ovada è conservato il re-gistro ”Ad uso dei Signori Censori di Ovada,dall’anno 1760 sino al 1810”.

(12) Maréchaussée: le origini del Maréchaus-sée de France risalgono ad un corpo costituitonel Medioevo per controllare le rivolte dei PiedsBlu (i tintori) che protestavano durante una crisidel loro settore. Nel 1373 venne ufficializzata ladenominazione di Maréchaussée (maresciallato)che da tale data, oltre al mantenimento dell’or-dine ed al controllo delle più importanti vie dicomunicazione di Francia, estese ed intensificòla propria attività di polizia giudiziaria. In se-guito alla Rivoluzione francese, con i decretidell’Assemblea Costituente del 22 dicembre1790 e del 16 febbraio 1791, il Maréchausséeassunse l’attuale denominazione di Gendarme-rie Nationale. Si evidenzia che nel Medio Evoveniva denominato “maresciallato” il diritto delfeudatario a falciare i campi del proprio vassalloper procurare il fieno ai propri cavalli. Tale fie-nagione veniva generalmente svolta dal mare-skalk (servo delle scuderie) da cuietimologicamente derivano: marescalco, mani-scalco e maresciallo.

(13) Chausseurs Verts: in Francia, il 6 luglio1791, venne istituito il Corpo delle Guardie Do-ganali per la vigilanza doganale e per compiti dipubblica sicurezza, polizia tributaria, polizia sa-nitaria, cattura di evasi e disertori e concorso inoperazioni militari. L’uniforme indossata dalpreposto (guardia) sino al grado di capitano eradi colore verde scuro per cui gli appartenti alCorpo erano conosciuti come Chausseurs Verts.

(14) Granatieri: secondo una tradizione, co-munemente accettata, gli alamari dei Granatierivennero adottati dopo la Battaglia dell’Assietta,avvenuta il 19 luglio 1747, significativo episo-dio della Guerra di Successione austriaca chesconvolse l’Europa a metà del Settecento. Laconsuetudine vuole che il Re Carlo EmanueleIII di Savoia, visto l’esito vittorioso dell’asprocombattimento sul passo che collega la Val Chi-sone con la Valle di Susa, volle premiare i Gra-natieri Guardie concedendo loro l’uso deglialamari simili a quelli tolti dalle uniformi di al-cuni reparti dell’esercito franco-ispanico.L’origine del termine alamaro risale allo spa-gnolo alamar a sua volta derivante dall’araboamara ossia cordone.

(15) Legione Truppe Leggere: dalla fonda-zione (1774) il Corpo assunse le seguenti deno-minazioni: Legione Truppe Leggere, LegioneReale Piemontese, Legione Reale Leggera,Corpo dei Preposti Doganali, Corpo delle Guar-die Doganali. Nel 1881, con il cambio di dipen-denza dalle Dogane, il Corpo delle GuardieDoganali mutò l’appellativo in Corpo dellaRegia Guardia di Finanza.

(16) Soldati di Giustizia: aboliti i Codici fran-cesi del 1791 e 1810 a seguito della caduta del-l’Impero napoleonico, il Regno di Sardegna, nel1817, emanò il “Regolamento della Famiglia diGiustizia modificato” riguardante i custodi dellecarceri denominati “soldati di giustizia che dal

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1873 costituiranno il Corpodelle Guardie carcerarie. A lorovolta le carceri vennero suddi-vise in sette classi secondo gliorganici dei soldati di giustiziadestinati a prestarvi servizio.Per ulteriori ragguagli sulleCarceri di Ovada vedasi: Rac-colta di Regi Editti, Manifestied altre provvidenze de’ Magi-strati ed Uffizj – Supplementoal volume VII – 1818 – Torino –stamperia Davico e Picco – pag.148 – Regolamento perl’amministrazione della guerra,prescritto dalle Regie Patenti 19Nov. 1816 ed approvato da SuaMaestà con regio viglietto indata delli 15 dicembre 1817.S.

(17) Archivio Comune diOvada – SA 47 – 1872, 20 Mag-gio. Deliberazione perl’acquisto della struttura dellaantica chiesa sconsacrata di S.Antonio.

Documenti - Archivio di Stato di Genova – Magistrato

delle Comunità – 389.Richiesta, in data 8 Giugno 1752, avanzata

dal Capitano Jusdicente di Ovada per la ristrut-turazione delle carceri di Ovada.

- Archivio Comunale di OvadaVerbale della seduta del giorno 8 Luglio

1800 – per la nomina di una Commissione per ilcontrollo delle locali carceri.

- Archivio Comunale di Ovada – Provinciadi Acqui -.

Deliberazione n. 47 – 28 Febbraio 1846 – 1° in ordine al progetto delle opere occor-

renti per l’adattamento del locale Comunaleforno di Borgo nuovo posto nel presente Borgodi Ovada ad uso di Carcere Mandamentale ...

2° e per la domanda di sollecita apertura de’pubblici incanti all’effetto di deliberamentod’appalto degli anzidetti lavori.

Archivio Comune di OvadaSA 471872, 20 MaggioVerbale di seduta della Giunta Municipale

di OvadaAcquisto S. Antonio.Archivio Comune Ovada SA 47Giunta – Seduta 18 Agosto 1874Lavori per il Carcere di S. Antonio -Archivio Comune di OvadaSA 191874, 31 DicembreDeliberazione per la vendita del vecchio

carcere posto nel Borgo di Dentro -.

ACO – SA 47 1875, 20 Gennaio - Deliberazione per la vendita del vecchio

carcere di Borgo di DentroACO 1888, 22 Gennaio – Sistemazione Carcere Mandamentale –

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Lucio Bassi, Alessandria qua-rant’anni di Provincia fra note ecronache dal 1860 al 1900, Ediz.Speciale della Rivista “La Provin-cia di Alessandria” – Alessandria1985 -.

Costituzione della RepubblicaLigure con le successive Leggi Or-ganiche – Stamperia Nazionale –Str. Giulia, 522 – Genova – 1803 –

Registro ad uso del Cancelliere de Cit.niCensori della Comunità di Ovada 1793 –1817(Archivio Storico del Comune di Ovada).

Sabrina Pignone, Ricerche storico-giuridi-che sulla Comunità di Ovada in Età Moderna,Tesi di laurea presso l’Università del PiemonteOrientale “Amedeo Avogadro” – Facoltà di Giu-risprudenza – Anno Accademico 2001- 2002.

Marco Viada, Giovanni Boccaccio da Tri-sobbio prima vittima del dovere nella storiadell’Arma dei Carabinieri, in “Riscoprire Tri-sobbio – Giornata di studio dedicata all’anticoborgo monferrino” 30 giugno 2001” - Ed. Uni-versità degli Studi di Genova – Sede di AcquiTerme – Trisobbio 2002 -.

Raccolta di Regi Editti, proclami, manifestied altri provvedimenti de’ magistrati ed uffizi,Torino, Davico e Picco, 1816 – Vol. V, pp. 145-149.

Guida delle città di Novi Ligure, Ovada,Gavi e del Comune di Serravalle Scrivia, conte-nente cenni storici e topografici delle singoleCittà, Località pubbliche – sede ed orari -, UfficiCivili e Militari ecc. ....., ANNO 1889 – pub-blicata dagli Editori A. Reali & Figlio – Stab.Tip. Via Girardenghi – Novi Ligure.

Ringraziamenti Vivi ringraziamenti alla dottoressa Alessan-

dra Piana, valente ricercatrice, per la documen-tazione cortesemente fornita, in copia,all’Archivio Storico dell’Accademia Urbense.

A lato, l’edificio delle vec-chia caserma dei Carabi-nieri Reali posto in P.zzettadell’Ulivo in Cernaia

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Proseguiamo e terminiamo in questo numerola pubblicazione del poema in ottave del Rocca,che tanto interesse ha destato nei nostri lettori, scu-sandoci per il forzato frazionamento. Le parti pre-cedenti sono comparse sul primo e sul secondonumero del corrente anno .

[la redazione]

Canto nono1

Se ho fatto amici miei la sospensione per qualche giorno dalla bella storia non vi rincresca, che ne fu cagione il gran desio aver la nobil gloria il ver di raccontar e con ragione non pervenuto ancor a mia memoria m’ era la chiara e giusta relazione dei fatti ed io non vuo’ far invenzione.

2Di nuovo posso dar ora principio, narrare il vero almen che fu in appresso, ma adesso mi salto ben bel capriccio di prima raccontar un bel successo: uditelo che presto io mi spiccio, videte sì che ciò vi vien concesso. Direte poi il so: vana osservanza del mondo sempre fu questa l’usanza.

3Ai dieci nove pur mese di maggio in Montaldeo170 e per quelle regioni si videro a passar come a foraggiouna gran quantità di parpaglioni171

parevan quei volar con gran coraggio e con distribuzion a bei squadroni ed oscuravano tanti eran [l’aria] non tutti uguali ma si di mole [varia].

4 Ornato era ciascun di tre colori, cioè di rosso bianco e verde sentivasi in passare cattivi odori, v’era sul capo loro una saora con un topè172, dal cui n’ usciva fuori due corna come alcun le vide allora, nell’ale avevan splendidi occhialetti che feanli apparir bei uccelletti.

5Volevasì, come dissi, a bei …173

un dopo l’altro com’ in or :::.174

verso Carosio andar que[l] battaglionipareva loro dir: avanza, avanzasaper volete qual fu l’opinioni di quei abitator? non fu giattanzaprevidero che a giorni avessi andare gran truppa li briganti ad attaccare.

6Non già pensate che racconti questoperché li dii appunto di credenza. L’ho preso – dico il ver – e lo protesto per caso accidental, di niun’essenza: pur l’ho veduto dir prima del restoaffin se v’è qualcun d’ intelligenza sappia dare ragione di caso tale e cosa vuol spiegar passaggio tale.

7A caso ciò sarà, non so che dire, e vana sarà ancor tal osservanza, ma fate al mondo questo un po’ capire, non v’è chi abbia sicur simil possanzae tanto più vider presto venire di truppa si può dire in abbondanza. Passò tutto colà e ad attrupparen’andò poco lontan per quell’affare.

8Non v’era dubbio che v’andava gente e si sentiva ciò per ogni parte, tutti li provinciai ben prestamente s’eran uniti insieme per servir Marte. La vera truppa poi speditamente tutta si radunò con solit’arte in Aqui in parte, in parte Alessandria per contro a cotal gente così via.

9Da tai cittadi al Bosco poi n’andavan ove stava il quartiere lor generale e poscia alli suoi posti si portavan per far disposizion in tutto eguale per San Cristoffo175, parte ne marciavan per Montaldè che a quella capitale degli insorgenti son luoghi vicini perché congiunti son co’ suoi confini.

10 Le genti in Aqui176 giunte e in arrivando da tutte le province del Piemonte avevano ben presto il suo comando d’ andare al lor destin ed erano pronte: ve ne giungevan poi di quando in quandopartivan poi di man in man congiunteper quel tal luogo, qual era a portata di poter radunar tutta l’armata.

11Era l’armata poi sicur composta per più dei provinciai bei reggimenti venne quel di Turin a bella posta, qual d’Aqui, d’ Asti, tutte belle genti,v’era Saluzzo e son di faccia tosta tutti soldati si può dir valenti Stetler, Savoia e poi i cacciatori e quello detto ancor de’ guastatori.

12 Seimilla in tutto vi saranno stati perché compito è niun de’ reggimenti, stavan in luoghi tanti situati ad aspettare quei che eran più lenti, tutti si son in fin poi radunati in due colonne e v’eran d’ altre genti una ver Serraval, l’altra dispersa, che poi s’unì in region molto diversa.

13Han dopo in Alessandria portati cannoni, ma di qual calibro sieno io non so, non fur da me osservati, ma ben può giudicarsi da più a meno e in pochi giorni li han là strascinati,quaranta - mi si disse - e non già meno, in Aqui n’arrivò e al Bosco pure ecco, che si pigliò buone misure.

14Alli ventotto dello stesso mese fu rilasciato quel tal personaggio qual – dissi - dispiacer molto mi rese li fosse stato fatto quell’oltraggio: ma guari non andrò che fu palese che a torto lui soffrì quel gran disaggio e dico si trovò qual innocente e riacquisto suo onore appo la gente.

15Nel giorno stesso che si fece questo là nella Rocca v’è ancor arrivato corpo di truppa certo ben onesto, colà per quella notte ha pernottato e all’indoman per tempo e molto presto una parte a Silvan ne fu mandato, eran circa trecentotrenta e nove,se giuste fuor di qualchedun le prove.

16Ai ventinove tosto ed in appresso ne giunser nuovi per in circa a cento:di questi ve n’ andò a Silvan istesso perché v’era colà il suo reggimento, l’altro corpo alla Rocca fune ammessoe il numero si fe’ di quattrocento. Con li predetti poi v’era un maggiore nomato Bava e a tutti superiore.

17Ai quattro giorni poi di buon mattino quelli soldati tutti eran partiti ed eran circa a mille a far cammino ed a Mornese177 andar insieme uniti: quelli di San Cristoffo più vicino con quelli di Montaldè sono fuor usciti e andaron un tal monte ad occupare che soglionlo colà Brusco chiamare.

18In quel tal giorno giusto a diciott’oregiunsero a Montaldè due generali e in una casa gli han ben fatto onoreche un prete n’è il padron de’ principali, Osasco178 e Collis179 l’ebber per favore e sì trattar in convenienze eguali e dopo un buon ristor si sono partiti con trenta cavalier insieme uniti.

19Appresso vi passò di munizioni da guerra e dico in grande quantitade, v’erano insiem dell’altre provisioni per tutti ristorar a sazietade l’istessa sera poi più battaglioni s’aggiunser, ma di bella qualitade, in tutto quattro mila sono passati ed a Mornese tutti sono andati.

20Partiron poi ancor da Serravalle duemila circa in quello stesso giorno, por-taronsì ancor lor in una valle affin d’avviluppar li birbi attorno. Avevan dei cannon già manco male, andaron attorniar tutt’al contorno, ai cinque alla mattin, alle diceci ore, a udir si principiò grande rumore.

L’assedio di Rocca GrimaldaPoema del Dottor Francesco Rocca (1798)a cura di Gian Luigi Bruzzone

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21La truppa che passò poi per Mornese di quattromila almen la si diceva, era condotta dal Signor Marchese Collis, buon capitan, che la reggeva. Quella di Serraval, come s’ intese, un altro general la conduceva di gran valore ancor, era l’Alciatiche aveva altri briganti già schiacciati.

22Trovaronsi sicché in Carous180 tutti i bri-ganti, ma nuova avendo per le loro spie, dover presto arrivar ed a momenti le truppe ch’eran già longo le viela parte più maggior di quelle genti a Gavi ne fuggì, ma le più riefermate là si son, forse duecento,lor vollero arrestar al gran cimento.

23Quelle condotte poi dal brav’Alciatiche dissi si partir da Serravalle ne’ luoghi si portar che situati fra Gavi e fra Carous in certa valle. Del Collis tutti i corpi sono andati ad occupare il Brusco181 che alle spalle sta di Carous, e si vede il paese, il quartier general stette in Mornese.

24E quando furon ben tutti appostati calò addosso in Carous a quei briganti circa sessanta de’ regii soldati dei risoluti, forti e ben costanti. Gli insorgenti che stan là preparati han fatto resistenza a colpi tanti, ma poi vedendo in fin i fatti gravi fuggiron ancor loro in fin a Gavi.

25Tutti non giunser già, che certo molti pagaron come ben la petulanza,l’audacia non servì per quelli stolti, la morte fu poi il fin di sua costanza: giunse chi salvò con passi incolti u’182 consisteva la di lor speranzae tutti stavan poi per la fortezza sicuri e là trovar la lor salvezza.

26Si finse da quel forte d’impedire sotto non s’accostasser li briganti dei colpi di cannon fe’ senza mira che intelligenza già v’era d’avanti così s’andar dunque tutti a unire sotto le mura ai lor soci birbanti, e al tiro dei cannon fur inseguiti restandovi dei morti e dei feriti.

27Un obice li colse e un cannone e chiusi a segno non fuggir pur uno, ma la fortezza allor entrò in questione tiroli avuto gli ha riguardo niuno la truppa ne restò in gran confusione pensato avrebbe poi tanto nessuno. Tiravan - quel ch’ è peggio - con mitraglia183,(ch’il crederebbe mai?) quella canaglia.

28 Sebben era ben chiaro e si vedeva i liguri difender li briganti, ciò dico il ver, da niun poi si credeva dovesser arrivare a eccessi tanti, e se da quei così non si faceva era finita allor per gli intriganti,uno sicur per certo non fuggiva e ciò dai ligur tutti si capiva.

29 Perciò dalla fortezza fecer fuoco con cannonate molte ed a mitraglia e il danno ch’apportar già non fu poco:oltre salvato aver la gran canaglia mai s’aspettavan certo un tale giuoco, sebben che truppa fosse di gran vaglia, niente poteva far se la fortezza tirava sempre con crudel fierezza.

30 La regia truppa dunque fu obbligata scostarsi e abbandonar tal’impresa, ma nell’interno ben s’è situata che non potea più restare offesa; ferma colà per fin ai nove è stata e fatto non si fe’ grande contesa, ma in quel tal giorno i scaltri genovesiquai eran si mostrar ai piemontesi.

31Non è che tutto il mondo non sapesse che quella ciurma appunto d’insorgenti dai liguri sicur non dipendesse e causa fosser lor d’inconvenienti, non è - dirò di più - non si vedesse da congetture e da vari accidenti esser un gioco questo de’ francesi, ma più tenean con finzioni sospesi.

32 E chi mai ingannò il pover sovrano se non le gran promesse dei francesi, potè forsi scoprire il gran arcano interrogando i finti genovesi? Sempre li fer veder essere vano ogni timor di lor, com’io intesi, e sempre quel buon Re se n’è affidato e mai contro di lor ordini ha dato.

33Sapevano di certo i genovesi che aveva il sardo Re parola data che quelle truppe sol pei suoi paesi eran per custodire: ma tale schiata che andava coi briganti ben intesi fa simil trattamento. Oh che malnata passione fu, perché non dimostrarsi e addirittura contro dichiararsi?

34Se sia vero potrà ognun giudicare dalle misure che prese il sovrano. Ei ha voluto in niente mai mancare e tutta la prudenza usò, ma invano. Dal capo general fe’ pubblicare un manifesto, ch’or darò di mano, e quando udito questo voi avrete se far potea di più giudicherete.

35“ A tutta Europa già noto si rende come un raduno di gente ben armata vien aumentato e ancor fassi più grande dai liguri disertor ed occupata la terra di Carvos184 e ognun comprende esser di spettanza sempre stata di sua maestà il Re di Sardegna e a sua giurisdizion solo convegna.

36Contro del suo governo all’intenzione radun maligno tal e traditore185

andònne ad occupare tale regione da dove fa d’azione di grand’orrore e delle truppe non ha soggezione, che agir non puon per quant’abbian furore,perché quel luogo tutto è circondato dal ligure terren, ed è servato”.

37Di giorno in giorno poi vien rinforzato commette là ai confin d’ostilitade. Da tutto il mondo ancor venghi notato che il ligure governo a chiaritadesimil disapprovò mal attentato, pure malgrado questa veritate e dei provvedimenti quai ha date continua orda cotal ad abusare del ligure terren per entro andare.

38Contro di quel sovran all’intenzione quel territorio tal radun investe e per sottrarsi sol da soggezione fecero ciò dei traditor le testele truppe regie ancor nessuna azione fare potero mai atteso queste fuggono tosto nel ligure paese, come fatt’ hanno già da qualche mese.

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39Continua intanto tal usurpazione di quel tal luogo già su nominato con del commercio l’intercettazione dei generi e bestiam han depredato, anzi con delle poste violazione senza neppur aver lor rispettato i liguri corrier che trasportavan le lettere di quei che le mandavan186.

40“Sia noto a tutti ancora poi finalmente che non potendo qual si sia sovrano il suo dominio aver senza altrimente usare la forza e in fin darli di mano, il dritto egli ha, li vien naturalmente,- ben lo comprende chi ha pensier da sano - se alcun suo sito vien da un altro chiuso per quello può passar se ne fa abuso.

41 E’ Sua Maestà sempre costante nel desiderio di non dar cagione né d’amarezza e disturbo all’avversante:tentato ancora non ha nessuna azione, fin’or ei differì ed è costante a prevalersi della sua ragione, sulla speranza che quel tal governo avrebbe rimediato al mal interno.

42Ma continuando poi usar passione alle violenze di nemici tali dell’ordine che fuvvi e buona unione non può, se non da mezzi pure eguali a meno di servirsi all’occasione per lo stato difender da quei mali e ancor per acquistar quella porzione di cui fatto ne fu l’usurpazione.

43Comandami il Sovran condur per tanto nel luogo di Carous la forza armata e vuol recuperare quello soltanto che gli appartien senza ne sia turbata coi liguri l’union ed in pertanto la lor giurisdizion sia rispettata, perché vuole di intende mantenere quell’armonia che sol deve avere.

44 Degli ordini del Re in esecuzione dichiarò che sarà l’avanzamento di truppe puramente all’intenzione a Carosio passar, sol mi contento e fo sicuro ferma promissione che niun avrà da noi danneggiamento e se un menomo mal verrà commesso sarà il risarcimento tosto appresso”.

45Datato d’ Alessandria nel mese sei giugno fu quel tal manifesto187

soscritto il General - il qual l’estese -Checherano d’Osasco, uom onesto: chi mai dichiarazion più giusta intese? V’era del dubbio forse di pretesto, pur stupirete poi poi nel sentire come la cosa andò dopo a finire.

46 Ai nove maggio appunto di quel mese188

lor stessi, voglio dir quei insorgenti, andaron attaccar là nel paese li corpi regi già non disattenti di quelle truppe il resto eran esteseal longo di quei monti là aderenti,e nel guardarsi sol da quei briganti si videro attaccare dietro ed avanti.

47L’affare in verità ben s’è impegnato battevan con furor quelli briganti, il Collis189 buon guerrier ha distaccato di granatieri un corpo e n’andò avanti, ei procurò di far sia circondato il corpo di quei barbari intriganti, curossi di tagliar la ritirata agli aggressori e a tutta la brigata.

48 Ma accorti che gli viene racchiuso ilpasso, lor si salvan lasciando sulla strada d’artiglieria un pezzo, ma il fracassolo fe da Gavi il forte190, e non a bada, sempre tirava quel dall’alto in basso alla truppa reale affinché cada e non potesse più quei inseguire e tempo avesser di colà fuggire.

49 Per il cannon adunque che tuonava il Collis batter fe’ la ritirata e mentre appunto che si ritirava la truppa si trovò là avviluppata da molti paesani e gente brava vogliosi di quei far una frittata, ma il reggimento d’Asti situato nella braia quel posto ha abbandonato.

50 Perché schietto io son, qui voglio dire la gran viltà d’un tanto reggimento, appena vide, oppur potè sentire non esser coi briganti quel cimento, prese la strada presto per fuggire, come se ne fuggì, pareva il vento: la causa poi perché n’andò sol quello fu per la gran viltà del colonnello.

51 Il Collis buon guerrier e comandante non dubia in caso tal ei per appunto, sua truppa si mostrò ferma e costante, voler la strada aprire ad ogni conto e da una ciurma uscir così birbante e ognun dei uffiziai mostrossi pronto ed in colonna intanto la compone e alla partenza presto si dispone.

52 Era dai cacciator ben fiancheggiato e franco discende nella pianura: attonito fu l’oste e n’è restato, che aveva più di forza a dismisura: il Lemo ripassò, non fu sturbato, sicché di poi s’unì senza premura ad altro colpo di quel gran Alciati191, e sopra di Carous ne son andati.

53 Per ore tre quel posto fu occupato da quelle truppe e poi il Generale tutto in quel cotal tempo s’è aggirato ed era questo il fin poi principale per magazzeno far assicurato dietro non lo lasciar, ch’era un gran male,poscia si ritirò ver Serravalle senza disturbo tutto longo il calle.

54Ciò fece nel veder tutte l’alture franc’occupate da gran gente armata e preso avendo tai belle misure pochi in quella perde gran ritirata, vi è morto un uffizial nelle bassure, pochi soldati almeno della sua armata, mancò a Savoia un granatier soldato, altro a Peyer e il resto s’è salvato.

55Li cacciator al Brusco192 situati chi qua, chi là sulle diverse alture, quasi tutti restar ben circondati e preso han per fuggir delle misure, hanno li granatier poi fucilati quei liguri che fecerli pressuretra morti e prigionier hanno perduto settanta circa, come s’è poi veduto.

56Ma i liguri pagaronla più cara e i morti furon molti dei briganti e meraviglia si è, cosa ben rara, che nel fuggir abbian uccisi tanti: la gloria che si dà tal gente ignara della giustizia e tutti i loro canti fu che tal truppa ne dove’ fuggire, ma ciò che li costò, non lo vuol dire.

57Già il quartier general da là Mornesea Montaldeo tosto s’è portato, ai dieci della rocca nel paese con molta truppa poi s’è trasportato: ciò non ostante a tutto il Genovese nuov’ordine di rispetto s’è mandato e continuate tai ordinazioni molte fer arrabiar popolazioni.

59Agli undici il Signor Collis marchese nel luogo della Rocca si è portato, dopo che col’Osasco193 ben s’intese, e a Bava il maggior194, ordine ha dato, il general quartier lasciò il paese dov’ era prima, s’è allor trasportato al Bosco voglio dire, l’avrete in mente, dov’era avanti a quel tal accidente.

60Il Collis dalla Rocca è ancor partito e quasi a notte fe’ la sua partenza, allor dove n’andò niun ha capito, solo s’accorse ognun della sua assenza: si seppe dopo che quel ha dormito a una cascina, ma di poc’essenza e non si sa il perché fatt’abbia questo con qual motivo e con qual mai pretesto.

Nella pag. a lato, veduta di Cairotratta dalla stessa pubblicazione

Alla pag. precedente, Acqui in unincisione tratta dalla Statistiquede provinces de Savone, d’Oneilled’Acquidi Chabrol De Volvic

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61Le truppe andar intanto nuovamente li posti ad occupar loro primieri. Alla Rocca però vi stetter gente ottocento e di più buoni guerrieri, armati v’ erano dentro insiememente duecento paesan dei forti e fieri: se li briganti allor fossero andati cinque o seimila certo eran sbrigati.

62Duecento si mandar poi a Silvano, a Carpaneto pur più d’altrettanti e come s’era già fatto il bel piano gli andavan distribuendo tutti quanti, a Montaldè tornar, sebben lontano, e a San Cristoffo insomma come avanti, e quella truppa tutta han distribuita onde poterla aver ben presto unita.

63Si seppe poi che il Collis nuovamente se n’era a Serraval già ritornato e andò per riordinar la sua gente, cioè il suo corpo, che fu un po’ sbandato. Li morti e i prigionier confusamente contavansi, ma poi non è già stato un grave danno essendo ch’ogni giorno molti soldati al campo fer ritorno.

64 Ai tredici del già su espresso mese un monitorio195 uscì poi nuovamente e manco mal in qual si sa paese: si pubblicò ben chiar e apertamente diceva le ragion ben ben estese che indussero il Sovran poi seriamente a voler riacquistare quella regione e come regolò tal spedizione.

65Vedrete pur quai fur le misure che prese sempre con quella nazione in-tenderete ancor le ragion pure e quanto elli soffrì mai d’oppressione. Non è che fosser al governo oscure dei liguri l’idee e l’intenzione pensate, si capì ben chiaramente non soo dai scaltri, ma da ignara gente.

66Ma aspetterò diman a dirlo intiero, almen se mi verrà tutto a memoria, in or però - se vuò parlar sincero – più non mi sento entrar in tal’istoria. Per adesso posiam, che così spero, ne riuscirò sicur con maggior gloria e avrò la mente forse un po’ più fresca allora, poiché niente mi rincresca.

Canto decimo1

Non vuo’ io perder tempo in questo canto Istorie a raccontar di coserelle,come si suole far di tanto in tanto, quando che ve ne son di molto belle. Ora che in paragon io dir mi vanto quelle per certo son ver bagatelle tutte le lascerò e darò di mano al monitorio detto e andrò pian piano.

2Se s’incomincia entrar in altre cose mi si riscalda poi molto la mente, se io dovessi qui parlare in prose pena so non avrei che poco o niente, ma come ho da cantar senza far pose questo di disbrigar è conveniente, se poi non basterà compir il canto altro v’è da narrar ancor, e quanto.

3Molti insorgenti e molti miei soldati con liguri in gran parte disertori si son tutti ad un tratto radunati, da Genova n’uscir i traditori, tal diserzion non fu da magistrati prevista, ché n’uscì improvvisa fuori non impedita andare ad occupare il luogo di Carous, siccom appare.

4Si sa che un luogo tal è di spettanza di Sua Maestà il Re di Sardegna, ma chiuso quello si è in poca distanza dal ligure terren, come si segna mentre che quelli fan grande esultanza perché certo non v’è chi li ritegna. Liguria gode per un tal successo e i suoi abitator li van appresso.

5Il ligure governo elli dichiarache non ha parte in quella spedizione il mezzo ordina poi che si prepara da per sì grande arrestar diserzione196, protesta che gli è l’armonia cara fra i due governi con dichiarazione; misure prenderà per conservare e quel disordin tal di disturbare.

6Saputasi dal Re l’occupazionedi tale luogo tosto fa marciare di truppe a quei confini e con ragione fa nello stesso tempo assicurare il ligure governo di sua azione: non è sua intenzione d’ inquietare, ma che diretto sol a sua difesa e ai liguri già mai per far offesa.

7Grato si dichiarò a tal attenzione il ligure governo, che lontano da questo concepir di soggezione per le disposizion date di mano, anzi egual annunziò disposizione per sua parte a render tutto vano, e sempre resti in fin corrispondenza, insomma vuol mostrare sua innocenza.

8Gli ordini poi del Re furon precisi e a tutti li mandò li militari ad ogni luogo ancor, perché s’avvisi a quei rispetto aver particolari liguri e al suo terreno, ed indecisi non fur ad obbidir: non stetter guari a pubblicar cotal retta intenzione del loro Re con tutta precisione.

9Ma l’inimico pur badò a ciò niente, siccome avanti quel se ne passava, ed il regio confin liberamente di spesso ad attaccar ben fier andava: ma ad ogni passo ben ponete mente del Re la truppa se un pochin toccava era un soggetto tosto di doglianza pei liguri e sicur di gran sostanza.

10Diedero gli uffiziai soddisfazione quando che un’occasion toccar s’è data e ringraziati fur con gran finzione da quei ligur agenti ad ogni fiata. Malgrado pur la gran disposizione che il traditor governo n’ha vantata, si seguitava agir ma crudelmente, ciò ch’osservò quel Re con la sua gente.

11Sicchè quell’infam’onda per andare nel luogo di Carous sempre è passata per il territorio tal, sì come appare, e fe’ l’istesso ancor nell’altra fiata, quando più volte andò per attaccare le terre del Piemonte più a portata anzi sotto passando del cannone di Gavi aveva niente soggezione.

12Vi par neutralità, o amici cari, di quel nuovo governo genovese?Si dà un’infamità che sia pari?Eppur vanta virtù là nel paese. Colpa i galli non han, e non son rari li manifesti lor, ma ad ogni mese fissan alli canton sua innocenza. Oh dei più traditor la quintessenza!

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13Pure sempre si son lor protestati d’esser neutrali e ognun lo sentì dire, ma loro stessi in tanto gli han mandati in cambio dien tal mal quei impedire dalle due nazion erano portati, ciò che poté ogni uomo chiaro capire. Per-messo avesse almen il passaggio stesso per dar alla finzion un po’ d’accesso.

14Ma no, si dichiarò spesso e sovente quel ligure governo mai avrebbe il passo dato al Re, né alla sua gente, che a quello ben costante s’osterrebbe: e intanto stavan là tranquillamente quegli insorgenti, chi mai lo direbbe? Andavan per traverso ed a piacere sempre per attaccar le regie schiere.

15Nel luogo di Carous que’ disgraziati mettonsi ad arrestar tutti i corrieri, al ligure per fin quelli malnati tolser li pieghi i cuor malvagi e fieri che al ministero ancor eran mandati197, apriron pur quei gran sicarii veriquelli d’ altre potenze francamente senza riguardo al ius niente per niente.

16Sfacciati lor mandar ad avvertire di Novi il direttore e formalmente qual tal dichiarazion fer pervenire ad Alessandria ben prestamente. Ebbero li birbi sì cotanto ardire di tale smarrimento, francamente l’accusa far del Re al ministero: par non si possa dar, e pur è vero.

17Intercettavan pur anche i trasporti il gran diretto e sal per il Piemonte e l’ ingiustizie di quei tai aborti ai liguri non mai fecero d’onte, ed anzi sottoman davan conforti affin che arpie tai fossero pronte a ostilitadi far in quei confini dello stato reale: oh ver mastini!

18Che agissero così quei tai agenti di quel governo già non v’è questione ir-refragabil son, e son presenti le prove dell’agir tutti in unione: dai regii uffizi pur ch’erano attentisi proseguì …198 a tal nazione dovesser dissipar quegli insorgenti, ma inutil fu tirar per sempre avanzi.

19E non potendo il Re già rinunziare al di lui dritto e al di lui dovere del territorio tolto riacquistare che avevan li briganti in suo potere, dopo li mezzi che cercò d’usare, la sua moderazion fatto vedere servissi del suo dritto finalmente, tentò con forza di scacciar tal gente.

20Se una potenza tien uno stato chiuso, cioè da un’altra venga circondato, se li vien tolto non è già un abuso per riacquistar quel che li vien rubato at-traversar come fu sempre l’uso quell’altro stato e se gli è contrastatoun’evidente questa si è ingiustizia e il dritto delle genti allor si vizia.

21Rimova quella almen necessitade e la cagion di quel cotal passaggio, ma se non puòl aver la libertade certo non de’ soffrir quel tal disaggio. Di ciò poi lamentarsi egli è viltade, faccia ciascun un ben giusto passaggio; se del suo dritto sol quello si vale nessuno mai dirà che faccia male.

22Il Re sempre costante in rispettare Il ligure terren, ai generali precisi ha fatto dar, sì come appare, ordini per ovviar maggiori mali, e dica pur quel che sa inventare con astio ed impostura dican quei tali che non si troveran contraddizioni tra fatti e quelle tai dichiarazioni.

23Invaso essi non han il Genovese, ma com’avevan dritto attraversato, come fecero lor da qualche mese per un’odiosità, quest’è approvato: presso Lovano199 pur non suo paese, come l’oste del Re là v’è passato a vista ed a pascienza200 degli agenti della Repubblica e ne fur contenti.

24Quella necessità che il dritto diede a Carosio passar e tutti armati, quello lor diede pur di porre il piede su quell’altura e vi si son fissati, ma dieronli sicur pronta la fede di abbandonarli quelli allontanati, purché molestia non gli avesser data, ma non l’ottener già per quella fiata.

25Finse il ligur governo di scontento ed accusò quel Re di violazione del dritto delle genti in compimento di roba principiò l’usurpazione, e poi mandò un po’ più d’un reggimentoi sardi discacciar da sua regione l’arresto n’ordinò poi degli agenti, degl’uffiziai ed altri inconvenienti.

26Giunse perfino a por l’incaricato sott’apparenza d’un buon conveniente, si mise - voglio dir - quel nello stato in Genova d’arresto il Residente: infatti nel palazzo fu arrestato senza riguardo al dritto della gente.Vi pare questo un vero e buon governo: per me niuna virtù qui li discerno.

27Sua Maestà sicur non ignorava l’arresto del di lui incaricato, quando il ligur agente che si stava nella sua capital ei s’è portato a chieder quello che gli abbisognava per farsi nel partir assicurato e glielo fece del tenor istesso dell’uffizial dimanda che fe’ espresso.

28Amò Sua Maestà più di soffrire che il dritto delle genti elli violare, lasciò con libertà quello partire non senza prima far a lui dichiarare che a sua richiesta vuol acconsentire, perché potesse niun elli tacciare d’aver negato mai il passaporto contro il diritto essendo un vero torto.

29Nel tempo poi che quel li concedeva l’invito li fé ancor di là fermarsi, sospender sua partenza che poteva quando per l’instruzion potesse farsi, mal-grado tutto ciò che si faceva che senza orror non può considerarsi, pure Sua Maestà desia la pace e non omette alcun mezzo capace.

30Nella giustizia di sua causa intanto, nel testimon ancor di sua coscienza tranquillo sta: ma il pubblico pertanto che il chiaro lume tien di vera scienza,dell’impostura avrà giudizio tanto per quella ben conoscer mal semenza e certo sa d’aver ei sempre amato concorde di restare col vicinato.

31Or dica pur chi sa se gli vien chiesto se più poteva far quel buon sovrano, dove si troverà uomo più onesto che sia sì sincer e a franca mano: ma il ligure governo un mer pretesto era il suo ragionare, non è più arcano, del Re la perdizion ben sì capiva cercava e state attenti a quel che arriva.

32Ai diecisette adunque gli insorgenti un nuovo attacco dier e ben furioso, al luogo di Pozzuol201, povere genti, e gioco fece molto malizioso: a due parti opposte e differenti l’attacco andaron dar non fastidioso e queste in vero son le belle imprese cercar di rovinar ogni paese.

33Potressim quasi in or intralasciare di tali nominar veri briganti, e giusta la ragion vi saprò dare di non parlare sol di que’ birbanti: era la sua intenzione poter rubare e franco di spogliare quei abitanti, ma soli non v’andar quella canaglia eran con la più vil ligur canaglia.

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34Eran forse li più ver genovesi di Novi, Gavi ed altri luoghi intorno202, con due colonne loro gli han sovrapresi e là giunti vi son avanti il giorno di quei una porzion, sì com’ intesi, si mise schioppettar per dar distorno, l’altra tentò, riuscì colà d’ entrare nel luogo ed ebbero tempo a saccheggiare.

35Menaron via molti bei bestiami di varie specie dei maggiori armenti, poi in particolar pecore a sciami ma non furono ancor di ciò contenti: di tela ne predar ben molti rami, camice, e quantità di vestimenti, e a Novi tutto insiem han lor condotto quel ch’han rubato e dell’azzardo il frutto.

36Un piccolo corpo dei regii soldati v’era in castello, ma s’ intrattenner dentro, a quei da là tirar ladri malnati, ma quando furono già quelli nel centro ne stavan fuori ancor ben appostati altri dragon e si fermaron entrole loro abitazion. Pochi eran, pare, non erano sufficienti a contrastare203.

37 Lasciam così, nessun poté pensare, che ciò sia stato senza tradimento, il mondo qual vuol sempre giudicare e senza aver un giusto schiarimento fa che di questo io non vuo’ parlare, di dir quel che arrivò sol son contento, se sia un caso poi o ver concerto pensi204 chi vuole, che qui io non l’accerto.

38Pure tal fatto non andò impunito, d’ altrove giunse di cavalleria fu un poco tardi, e già n’era partito il grosso corpo della ciurmeria: ma quello che non fu a fuggir spedito tagliato a pezzi fu il lungo la via,ottanta e più lasciar colà la vita e per tai ladri certo fu finita.

39Molti pur vi restar, ma ben feriti, e buona parte fu dei genovesi che andaron coi briganti insiem uniti di Gavi, Novi e d’altri più paesi. Vi furono poi ancor dei fuorusciti non pochi prigionier di quei più estesi, ma una mezz’ora se n’andavan avanti eran presi sicur quanti erano quanti.

40Li primi si può dir ben fortunati che gli riuscì fuggir sul Genovese, da que’ paesi mai si son staccati e nei luoghi vicin furon sue imprese, in ogni uscita è ver n’hanno lasciati, ma il disertar d’allor molto s’estese, perciò di man in man che ne prendevan dei nuovi al corpo lor se n’aggiungevan.

41Circa quel tempo o qualche giorno innanti a Ovada fer ritorno li francesi e allor si seppe che partiron tanti armati in segretezza de’ borghesi, s’unirono con lor non so poi quanti di varii convicin altri paesi, perché sapesse niun la sua partenza nel borgo entrò verun senza licenza.

42Partiti anzi loro son fin da mattina con ordine a quegli altri là arrestati di dare al dopo pranzo allerta fina a quelli della Rocca ed ai soldati e fecer ciò con arte sopraffina l’ora e i momenti ancor erano fissati,pensando ritrovar gente meschina ed era ai due colpi del cannone da Gavi si mettesser in unione.

43Come di fatti tosto quei uditi si vide gente fuor da Ovada uscire a piccoli squadron e disunitichi qua, chi là, ma niun sapeva dire per qual ragion si fosser quei partiti, a un luogo andaron fin a farsi udire fingevan però sempre star nascosti in certi siti, boschi e simili posti.

44 Quei della Rocca manco mal attenti ad ogni movimento, ad ogni azione avevan niun timore, ma si contenti ch’andasser rinnovar altra fazione, ma quei non s’avanzar, furon esenti in quel tal giorno far colà questione: ma non v’andò gran tempo a discoprire il gran motivo d’un sì mal agire.

45Sapevan che in quel giorno avea a darsi a Serraval un forte attacco e fiero, temevan che potevan là portarsi la guarnigion in corpo tutt’ intiero, per impedire ciò non possa farsi studiaron tal finzion, et a dovero. Mirate s’eran caldi in sostenerequelli briganti e se dissi chimere.

46 Di fatti alla mattin dei diecinovedi giugno in circa, ancora alle dieci ore, l’istesso giorno che quell’orde nuovedegli ovadesi han fatto quel rumore,i liguri fecer franche le sue prove per prender Serraval e con furore gran bombe si sentir e cannonate che le persone han tutte sconcertate.

47La prima che s’udì di relazione da quelli della Rocca e dagli agenti tosto mandaron senza dilazione un uomo espresso ed un delli più attenti vide, venne ed ha fatta relazione, ma qui non porterò di quei gli accenti, la lettera dirò di quel maggioredi Serraval e tal la voglio esporre.

48 Diceva, alla mattina dei diecinovecirca l’ore quatordici italiane, vedute qui si son di cose nuove che parver veramente a noi ben strane. Questa montagna tutta verso Nove le colline vicin e le lontane dai Ligur fur ovunque circondate d’artiglieria ben provisionate.

49 Eran quelli mille e settecentoE numero v’era par delli briganti,un pezzo di cannon da chi fu attento diretto vide al forte giusto avanti, l’altro verso una porta ancor io sento di Genova, ma molto eran distanti, che batter voglian par questa fortezza, seppur avràn color tanta destrezza.

50 Tanto nel borgo quanto ancor nel forte buone date si son disposizioni, vivissim fuoco principiossi a mortesenza vi fosse mai d’interruzioni,e più da nostre genti molto accorte continuò, qual durò in tali stazioni fin alla sera ed a ventiquattr’ore, che nel veder e udir fea terrore.

51 Si sa ch’ebbimo noi due invalidi Morti, ed un caporal della Regina,un pover granatiere insiem poi vidi di Vercelli ch’andò pur in rovina; ed un luogotenente dei più fidi ferito fu, forse mai più cammina, essendo in una gamba il di lui male e la ferita si è molto essenziale.

52 Tre in quattro d’altri pur delli soldati feriti e un paesano fur leggermente; dei nemici se ne sono sbridati un cento e morti son subitamente, dei mezzi morti ve ne sono restati duecento ed io già vi aggiungo niente,due genovesi sol fur prigionieri e questi fatti son li veritieri.

53 In quel tal giorno senza esagerare sicuro si saràn là consumate cartucce diecimila, che vi pare? Senza quelle che poi si son gettate dalli cannoni e gran bombardeggiare, quai bombe il diavolo penso gli inventa[sse]pareva un fuoco certo in ver d’averno sol differiva in non esser eterno.

54 Di scaramucce appresso si sono fatte nel giorno venti, ma fu poco il male,tre persone dei nostri son restate con ferite leggier, ciò poco cale: di quel però ne sono morte restate e di ferite un numer forse uguale, ma sì dell’una che dall’altra parte gran danno non vi fu, non giocò l’arte.

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55 Chi capo era di tal ligure gente, che fean quella guerra così ingiusta, fu quel gran capitan di guasta mente Siri d’Ovada205, che superbo ei gusta quello che disertar fece sua gente per render la leggion più ancor robusta delli ribelli al Re della Sardegna, vedete se può un’alma esser più indegna.

56 I ligur poi si son molt’ occupati le case in quei contorni a saccheggiare, hanno dei paesan anche obbligati sì com’io sentii a raccontare, d’andare insieme a loro ancor armati ciò che li disgustò, chi può pensare, son cose vere che fanno inorridire, cercar però li più di là fuggire.

57 In oggi giorno dei vint’un v’e stato del fuoco, qual di circa dieci nove alle ventuna fin egli è durato, ma inutil tutte fur quelle sue prove, di troppo in lontananza s’è tirato, sicché motivo niun per ciò mi muove a farne in ora qui longa parlata, mi basta che ve l’abbia nominata.

58 In questa sera so che li briganti piazzato appunto han forte batteria per la fortezza batter quei birbanti, ma quella ch’ha non basta artiglieria, devono solo aver – mi dicon tanti - da otto tre cannon tal ciurmeria, onde poco faran eccettuato vengan provvisti da qualch’ altro lato.

59 Da Gavi ne puon far loro condurre dubbio non v’è, che son coi genovesi, si vedon i stendardi anzi a produrre dei liguri in union coi piemontesi questo è quel sol che in or si può adurre.Altri fatti per or non sono palesi, così la relazion vien terminata tal qual ve l’ho io rapportata.

60Molti altri fatti nei seguenti giorni sono seguiti, in cui li genovesi lasciaron gente in quei cottai contorni ma ne arrivan sempre dai paesi che in massa fer levar e d’armi adorni, quali ben noti non mi furon resi e più non mi curai poi di sapere posto che il forte udii deve cadere.

61Desta ne fu dal Bosco la notizia di giugno alli ventotto giorno istesso che havuta i ligur han sorte propizia di prender Serraval, com’è successo. L’istoria poi - perché qui non si vizia - quello ch’ ho letto sol dirovvi espresso nella bella Gazzetta di Torinosarò alla verità par più vicino.

62Rinforzi si spedirono -dice- in vano per forza tal respingere nemica, tutte le posizion di mano in mano eran guardate ben da troppa amica, gli ordini andavano sempre su quel piede di rispettar, non so cosa mi dica, sol vi dirò che le popolazioni rodevansi le man per tali azioni.

63 Parte la truppa, ma ben adirata, e tutta notte va ver Serravalle e giunta là vicin trova appostata truppa francese che li chiude il calle e tal amica gente nominata vieta d’andar avanti in quella valle perché la fortezza presto cada alla truppa convien che indietro vada.

64 Eppur tale nazion tant’ onorata fissato aveva a tutti li cantoni delle città che mai s’ era intrigata colli briganti, né di sue questioni, anzi promessa al Re han sempre data star in difesa in quai si sien questioni e dei nemici interni e delli esterni e questi detti in lor erano odierni.

65 O se sapeste quante dicerie si sono fatte per sì nera azione, ma non finiscon qui le trufferie ed i raggiri di cotal nazione. Altre appresso vedrem felloneriee ve le scoprirò senz’ illusione, che a tutti preveder fanno un gran malemaggior che mai s’è visto ancor l’eguale.

66 Mentre coi liguri van li gran briganti il forte a Serraval ad attaccare, partiron truppe senza gli intriganti verso ponente là per guerreggiare sotto Lovan206 si portan chiuso avanti, dietro ed ai lati e a mezzodì dal mare da liguri region e almen trecentosoldati v’eran per distaccamento.

67 Capo Ruffin207 mandò intimar la resadi quella terra tosto e prestamente, poi senza attender che gli fosse resa risposta, ch’ era ciò ben conveniente, ha fatto forza e la ragion ha lesa, dentro s’ entrò, né contrastossi in niente e fecer là trecento prigionieri ed oh! quanto per ciò si fer altieri.

68Fe tosto quel Ruffin di là stampare Sì bell’impresa e le sue gran prodezzevantandosi voler egli avanzare e prender tutte quante le fortezze superbe quelle stampe fe avanzare, non tanto Rodomonte avea fierezze. Ma il resto lo vedrem nell’altro canto che è tempo riposar in ora alquanto.

69Dirò sol più che quella gran fierezza, quella superbia in ver e quel gran vanto a Oneglia208 si fermò e l’arditezzapiù in là non li durò, ebbe altrettanto d’umigliazion in ver per la sua asprezza,come vedrete nei seguenti canti, se Dio permetterà d’andar avanti.

Canto undecimo209

1Ieri contenti non sarete stati - io penso - nell’udire il fin del canto e per i liguri che si sono portati a prendere Lovan ed altrettanto per Seraval che infin son arrivati quello espugnar, ma non si dian vanto da soli e non certo, ché impresa tale non fean di sicuro, né tanto male.

2Non siate voi perciò sì sgomentati, Iddio sa il perché permette tanto, mancanza non fu certo dei soldati, neppur – dissi – puon darsi tanto vanto, si son, è ver, là attorno affaticati, gente han perduto che non so dir quanto, ma poi l’aiuto fu dei traditori che diede cottal forte ai malfattori.

3Giudicii sono profondi del gran Dio210, quai mente umana mai potrà capire, non è che a traveder - a parer mio - non lascia qualche fin, sì si può dire, si disse allora e lo sentii anch’io volevano il buon Re sicur tradire. Ma andiamo avanti, chè vedremo appresso ciò che non scopriamo ancor adesso.

4Tanta andava colà cavalleria e truppe a piedi sì speditamente, che avrebber presto aperta quella via, ma s’erano gli impedienti amica gente, tant’è non credo che nazione sì ria mai stata sia al mondo veramente, tant’alleanze, tant’intendimento per fare così orrendo tradimento.

5Indietro ritornò ogni compagnia, pensate voi, se avran partito niente, ma si dove’ soffrir comunque sia e ai posti ritornar speditamente, e quella guarnigion, ch’era restia ceder dovette e uscir poi finalmente con armi uscirne almeno, con onor verocon l’equipaggio tutto per intiero.

Nella pag. a lato, veduta dellachiesa e del convento di SantaCroce voluti da papa Pio V aBosco Marengo

In basso, il castello di CastelnuovoBormida

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6Ora parliam adunque di Lovanoche dissi preso l’hanno i genovesi, allor pensavan tutto avere in mano quel che tenevan là li piemontesi. Fer una massa - questo fu il suo piano - di paesan e andare quelli scortesi Onelia ad attaccare e ad intimare che s’arrendesse senza contrastare.

7Tutto al rovescio il caso poi è stato: le regie truppe azion fecer gloriose Pieve, Maurizio211, il porto han assaltato, cose che ognuno le sa, non fur nascose e per tutto narrar quel ch’è arrivato e dicerie qui non far noiose vi son per rapportar la relazione del comandante di cotal regione.

8Questa sentite, ch’ella in ver è bella, vedrete la viltà dei genovesi, di quel almen che fe’ tanto a loquella per pochi prigionier che aveva presi. Però la mia intenzione giammai fu quellasprezzare tal nazion, restiam intesi, sol cade il mio dir sopra quei tali che furono cagion dei tanti mali.

9La relazion la quale devo portareschietta sarà, sì com’ il caso è stato: v’era d’Onelia ben da dubitare che fosse persa e tutto il principato, ma ben diverso poi n’andò l’affarepochi soldati il tutto han disturbato, ed ecco come andò quel cambiamentoprincipio ecco, che do qui nel momento.

10Perduta ai venticinque la speranza che i poveri oneliaschi lor tenevan soccorso aver, pensan lor in sostanza l’armi dover depor che in man avevan e mentre dal dolor in abbondanza eran oppressi tutti e i cuor gemevan, giunse l’avviso ai ventisei di sera che la Pieve dai nostri occupat’era.

11Il fasto annunzio tosto ha rianimato quei poveri indefessi cittadini, ne’ quali il timor d’esser forzati a cedere, diventar vili e meschini, vider allor non son sì sfortunati, preser ‘l nazio212 ardir né più tapinisi tenner, secondar il comandante, ch’era d’un forte cuor e ben costante.

12Seguita dunque di Geneys il conte213

che di contrada tal è comandante della provincia almen in là dal monte che Onelia è capital e non distante da riviera, che tosto sopraggiunte le nuove che Ruffin il petulantedei nostri posti ho fatto occupazione ed in ispecie di Bassa d’ Acquarone214.

13Elli s’ approfittò di quel momento per impedir e questo prestamente a quella volta un corpo ben attento di volontari quaranta e ferma gente e trentacinque d’accompagnamento di linea guerrier e immantinente a discacciar quell’oste almen tentare come riuscì di far quei disloggiare.

14Elli sicché affidò tal spedizione al Cavalier di Castelvecchio215 Duca ed il luogotenente in sua unione Cavaglier di Nicubourg216, uomo di luce, come a Cassio217, del qual ho cognizione, e in me stimol d’amor si riproduce sotto-tenente delli guastatori uom militar e buon infra i dottori.

15Voi ammirati forse resterete, amici cari, nel sentir parlare così d’un militar, ma poi sarete del mio sentimento, se l’affare che m’obbliga a ciò dir poi udiretequel fu che liberò nel primo entrare delli briganti ad infestar lo stato la Rocca ed in quel giorno il Monferrato.

16A voi – se vi soverrà ben ben l’ istoria – che udito avete già da me narrare, la prima volta liberò con gloria la Rocca, non si può ciò contrastare, ben mi sovvien, e l’ho sempre in memoria, io stesso era presente e so l’affare e chiaro appunto già ve l’ho narrato e questo basta, torno ove son restato.

17A Cassio aveva avanti incaricato tutti quelli tai posti visitare, appena aveva ad esser informato essendo uom attento ad ogni affare, il nemico gli ordinò fosse attaccato su tutti i ponti e quel poi seguitare per isforzarlo entrar nel territorio ligure e farli far un diversorio218.

18Eran nov’ore appunto della sera quando d’Onelia uscì il distaccamento e dopo mezzanotte quello si era portato già al destin tutto contento, unito ai milizian quaranta in schiera quai erano sotto del comandamento di Poponi uffizial luogotenente di Cuni battaglion d’allerta gente219.

19Questo luogotenente è poi lo stesso qual con fermezza molta all’occasione en-trando sostenne ben per un pezzo il posto ch’abbiam detto d’Acquarone220: il Cavaliere di Castelvecchio221 appresso che dissi buon guerrier e d’attenzione verso le tre di notte die’ l’attacco ed il nemico presto ebbe lo smacco.

20 Verso le quattro giunsevi alla porta D’Onelia ansante un ligur uffiziale222, chiede parlamentar, ciò non importa, presenta entro che fu guerrier tale lettera al comandante, quale porta spedita da Langlade Generale223

o capo - dirò almen - del battaglione, ben misero guerrier in conclusione.

21In quel tal foglio dunque si intimava che il comandante arrender si dovesse, ed un proclama insieme poi li mandava per le persone pur d’Onelia stesse: il comandante qual non dubitava della risposta che a mandar avesse su due piedi scrisse, e state attenti questi che vi dirò bei sentimenti.

22Non dover d’ una piazza il comandante224

arrendersi che quand’è estremo il male, che poi un militar, se ben costante di miseria non fosse responsa[bi]le, portate dalla guerra, non ostante quand’un di noi esser dovesse tale ei colpa grave certo non avrebbe e gran rimorso poi non proverebbe.

23Intender li fa poi che giunger deve Ottomila e più de’ piemontesi, quai occupavan già la di lor Pieve225

l’ alture e avrebber poi sui genovesi e su Porto Maurizio in tempo breve fatti cader i danni e ancor più estesi di quelli quai a loro si minacciava e agli onegliesi il cuor non li mancava.

24O che superbia, o che gran petulanza di quella ciurma che mai fu guerriera: ma no, meglio dirò più di sostanza che condottier di mente inver leggera. Sapevan forse che in poca distanza il suo nemico vincitor già n’era? No certo e con risposta qual v’ho detto Quell’uffizial n’andò qual goffo schietto.

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25Il Comandante poi tosto ha spedito al Cavaliere di Castelvecchio ancora di più più limitar al corpo unito dal territorio nostro per allora. I liguri scacciar, ma fece invito a quei nell’attaccar ed a quell’ora che presto più potrà e quello intese e gli attaccò nel proprio paese.

26 Il fuoco all’ore sei ha cominciato dalle liguri ostili gran batterie e la piazza a tenor dell’ordin dato fece altrettanto e ben con energie e qualche bomba ancor s’è poi gettato sopra Porto Maurizio e in quelle vie per i nemici appunto sgomentare e trattenerli alla città sturbare.

27Verso le sei e mezza poi s’ impegna un gran combattimento a Bardelino226, lo strepito l’annunzia e l’aria pregna perché piuttosto non v’è gran camino. Allora in quel campion speranza regna che nuove truppe fosser là vicino a dar soccorso e ciò avesse avvivatal’azione stessa avanti principiata227.

28Nè potendo egli228 giammai sospettare che quel ch’ inviò piccol distaccamento in sì brev’ora avesse a penetrare all’ultimo perfin trinceramento dei liguri, né ancor potea pensare e differente aver il sentimento: le scariche eran troppe ed il rimbombo e il sibilare che faceva il piombo.

29 Dopo mezz’ora di quel gran contrasto il posto ne restò in fin superato, ebber i liguri sicur gran guasto, se ben un mille e più vi sia stato disperso, e perdut’han anche quel gran suo fasto fuggiasco s’era ognun già ritirato e ricovrato poi su batterie senza più far cotanto d’allegrie.

30L’esito di quel fatto, sì felice, creò più d’entusiasmo e assai maggiore negli animi onegliaschi ove si dice le donne avean deposto anche il timore229.Questa gran nuova adunque apportatrice tanta consolazion e tant’ onore fa anche dei abitanti ognuno detta di prenderne ben giusta la vendetta.

31Giovani, vecchi e ognun di quella gente corron all’armi e mostran gran fervore, fer l’aria risuonar allegramente il sacro del suo Re nome d’amore. O Sire quanto sento internamente per quel che ammiro ben giusto furore che nelle truppe e nei popol vi regna ciò che Dio lodar più ancor m’impegna.

32Ciò che mi spiace si è che i genovesi mossi già non si son da loro stessi, videro - e questo è certo - li francesi che li briganti ovunque son oppressi, uniti i liguri han, si sono intesi li fan insiem agir, se li son messi ma quando che vedran ch’ anche costorovincere non potran, faranno loro.

33 Così la pensan molti, e la pens’ io vedremo poi in fin se sarà vero, promesse ha fatto al Re il governo rio,vorrebbe comparire ben a dovero:ma chi non è fedel al suo Dio, a niun fedel sarà, ché il cuore è nero.Lebrun là da Milan, egli è pur desso230

che il gioco fa, ma in or andiamo appresso. 34

Nel tempo stesso dunque ed in quel puntogiunse quel Cassio giusto ad annunziare che d’esso corpo Castelvecchio appuntoche seppe quel grand’oste discacciare da tutti i posti, quai si prese assunto, e li riuscì in quei dentro penetrare e allora si stimò tosto opportuno mandarvi di rinforzo qualcheduno.

35 Spediti alloro si son immantinenti li Cavalier Fauson e Miliorati con trentacinque delli più furenti Cuneo reggimento più adattati con ordine piombar, ma ben attenti, sopra quelli bastioni colà innalzati e trucidar quel battaglion villano con baionette che daran di mano231.

36Consiglia attraversar il piccol colle che trovasi vicino a Bardelino,quaranta volontar andar vi volle e Cassio poscia fa un altro cammino con animo d’aggiunger ove s’estolle il monte ove Castelvecchio era vicino e da quel posto andar ad incalzare quell’ inimico e mai tregua li dare.

37Le batterie poi a rallentare da quel gran fuoco già già si vedeva o fosse pur per l’impeto che fare soleva ancor la nostra, che batteva, il conte Villanova in tal affare e spirto e intelligenza ben teneva, o fosse veramente per terrore perdette la speranza con l’ardore.

38 Il Cavaglier di Castelvecchio avea tutte occupate quante eran l’ alture giunse in quel tempo che l’azione più ardeail Cavaliere Fauson caldo a smisure, il primo entrò e spada in man teneain atto di terror da indur paure nella ligur più grande batteria s’ unì col capitan che andovvi pria.

39Li due comandanti dunque uniti passan dall’una all’altra batteria, quindi alla terza ed ecco da quei siti al Porto se ne van, già detto pria232, appena ordinan tosto, colà gitil’inchiodatura dei cannon che sia al lor luogotenente d’artiglieri poi preser li mortai ai ligur fieri.

40Dentro del Porto andovvi il Cavagliere Cavin in qualità parlamentario intima ai cittadin presto dovere renderla città senz’altro svario, per al francese consol far piacere un’ora se li diede senza divario233: a un tanto intercessor nulla si niega; è ben che tutto il mondo questo vega.

41 La truppa nostra e le milizie in tanto quella città si metton custodire, ordine pubblicar si fece intanto, quale qui sotto in or io vengo a dire, cioè di rispettar ben tutto quanto e d’offendere alcun niun abbia ardire, alla casa del consol si fa porre una guardia d’onor e così occorre.

42O buon sovrano, che amica gente chiamate che non va, che con mistero io lodo quel che voi serbate in mente la fede vostra, il vostro cuor sincero, li suditi però ben altramente pensano sopra ciò: quel tal impero vogliono non possa star con buona fede, ché un tal agir sia buon, nessun lo crede.

43 E tali fatti mentre da una parte andava succedendo da una parte non già tranquille all’altre eran le carte uopo sicché pensar a quel tal punto al primo attacco si portava l’arte. Mandossi - detto già si è nel racconto -uomini ottanta e ben si può capire che poche erano le forze, e si può dire.

44Seguita il comandante il suo racconto è sorprendente, ed or lo state a udire. “Sento che gran colonna in quel tal ponto di liguri si parte per venire minaccioso da Dian ed io fo conto quella affrontar, veder se può riuscire e al Cavagliere Matton do l’incombenza la poca truppa unir con diligenza.

45 In numero erano questi sol di ventie al Cavaliere Giacobbi234 io gli affido egli e luogotenente dei più attenti del detto reggimento e di gran grido, volontarii cinquanta prima esenti il Quincenet, qual è Cavaglier fido, elli raduna ancor nel tempo stesso qualcun per a quel corpo andar appresso.

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46Muovono questi e quelli a quella volta co-lonna tal risolvon d’ affrontare, parve idea simil un po’ stravolta, era l’oste maggior al non più andare, pur la speranza non li venne tolta alli bravi ufficiai per niun affare mercé del gran valor de’ suoi seguaci stiman tutto spuntar, d’esser capaci.

47 Nel breve giro forse di mezz’ora colonna ben maggiore dei ottocentoalla testa di cui il capo ancora di quella truppa fugge dal cimento, si leva, si disperde alla malora e lascia dietro senza avvedimento pezzi numero cinque di cannoni e fummo nel contempo noi padroni.

48 Le ligur schiere poi son dileguate E l’attentato lor conobber vano. Le paesane truppe spaventate s’andaron rifugiar entro di Diano,ma nello stesso tempo han presentate quella cittade al vincitore in mano le sue sottomission e la bandiera s’inalza del Sovran in tal Riviera.

49Per Riviera ciò fu divulgato, le nostre seppe ognun grandi vittorie, al capitano Rei ho comandato235

di sottometter con eguali glorie dei monti i posti ov’ei era già stato e poi di Ponte d’assio, onde memorie resti di quel s’è fatto in un sol giorno che merta di gran laudi esser adorno.

50 Scorr’elli tale val così veloce combatte l’oste in tutto ove gl’incontra li mette in fuga, ma molti ne nuoce, dove li può trovar e li rincontra e seguitando lor fino alla foce di quella val più niun li si fa contra, l’armi depongono tutti i terrazzani e tutti in fin li fan umili inchini.

51Si porta l’ordin stesso ad eseguire il capitan tenente Cavagliere Sebbono236, che dai suoi li fa inseguire, Dani pur Cavagliere con le sue schiere ne va il posto Montin237 a custodire, se ancor v’era qualcun stava a vedere e secondando la popolazione fece prestare al Re sottomissione.

52 Quei di Montin e sua popolazione di gioia grande esulta e d’allegrezza, prestaro al sardo Re sottomissione con gran piacere, che molto benl’apprezza. Veniva in quel frattempo ed occasione altra colonna forte e con fierezza di cinquecento e forse di seicentoper forza accrescer al combattimento238.

53 Di quella a testa poi v’era un fratello d’un membro appunto del gran Direttorio di Genova239 e sicur che fosse quello a tutti si rende presto notorio, scendea da Triora240 quel drappello forse per fare ancon un diversorio nella persuasion che fosse resaOnelia ai ligur e già fosse presa.

54 Già in Borgomaro quella truppa entrava quei liguri in andar fur indefessi, ma il popolo che tutto n’esultava per i passati prosperi successi faceva che ciascun s’ incoraggiava scagliarsi contro quei nemici stessi e allora coronar quella giornata con quella squadra avere tutta disfatta.

55Cento fer in quel giorno prigionieri, fra quali v’era ancor il comandante, e tutti presso che gli uffiziai veri,e ciò quasi si fece in un istante. Così accade ai superbi e ai altieri; furon tutte le genti ben contente ed ha finito in quella tal maniera dei liguri l’invasion cotanto fiera.

56D’Oneglia la provincia minacciata con apparato di sì gran terrore fu in un sol giorno franco liberata con grande gloria e insieme con mol-t’onore dall’invasion in cui prima era stata. Vinc’essa e sottomesse in ben poch’orenemiche due città con territorii e par che abbia ragione se se ne glorii.

57 Duecent’uomini sol hanno fugato seimila e quanti v’erano dei nemici. I ligur fatti tai non han negati, sebben di verità son poco amici; ma adagio ve ne son dei onorati, quai odian di sicur le furie ultrici, ben giusti, buon cristian e santa gente non ingeriti in fatti tai per niente.

58 Appresso andiamo, quattordici ridotted’artiglieria e quattro ben munitegli han preso e via tosto han condotte tre batterie ancor pigliar pulite con altre cose che verran prodotte ad una le dirò, ad una unite, si fer padron di trentatrè cannoni, di due mortai, da bombe e munizioni.

59Tremila schioppi ancor gli hanno pigliati,fecero insiem trecento prigionieri, fra quali pressoché fur arrestati i capi battaglion e li più fieri, li capitani ancor fur rovesciati, e di marina gli uffiziali altieri, e ventitrè li strappan di bandiere con armi d’ogni sorta a sì vil schiere.

60 Di gloria un fatto d’armi poi cotanto devesi al gran valor ed al talento degli uffiziai, può dirsi senza vanto, non men che a fedeltà, quale io sento la truppa usò e in affar serio cotanto, come al coraggio messo a esperimento non lasciò dietro tal popolazione pari brava e fedel nella questione.

61 Mai disse il comandante ed abbastanza potrò il zelo encomiar e attaccamento di questi cittadini, quai in sostanza, dieron del loro amor esperimento e nella relazion che in or s’avanza alla Secreteria il compimento darò e vi saran giusto dipinti tutti color che si son distinti.

62 Quella – dico – darò dovuta lode a tutti e riconosco dalli stessi la gloria di cui ora il mio cuore gode e dir vorrei con sensi ben espressi princi-palmente poi dirò del prode di Castelvecchio con tutti i riflessi in somma in questa giusta relazione dirò ch’a tutti ho ben d’obbligazione.

63 La generosità dei vincitori esser non può al valor men inferiore. La capitolazion che posteriore accordata se gli è, li far d’onore, s’ usò dell’indulgenze ai perditori, che non potea usarsi la maggiore, pensai d’ uniformarmi ai sentimenti di Sua Maestà, che son prudenti.

64 Tai capitolazion che si sono fatte a quelle due città con gli abitanti non le rapporterò, ché son sol atte ad annoiare, ho d’ altri affari tanti, le ho lette sì, ma poi non le ho estratte, vi basterà quel che v’ho detto avanti, chiudo con dir che dier il giuramento di fedeltà e ognun restò contento.

65 Ogni famiglia ben fu rispettatae sue proprietà già manco male, ogni castel e villa fu trattata con caritate, con dolcezza eguale, qualche somma però l’hanno pagata cercato lor si son cotanto male, per la difesa questi han fatto spese e giusto si è che in parte le sian rese.

66Poteva poi andar la truppa avanti di tutta impadronirsi la riviera, ma i casi che dirò poi furono tanti, che quasi non mi sembra cosa vera. Or sol la gloria ai vincitor si canti che ha vinto ciaschedun la sua schiera tutti furon contenti i piemontesi, fuori di quei che sono cattivi arnesi.

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67Penso che ancora a voi, o miei compagni,esulterà in petto il vostro cuore, molto più per l’onor che pei guadagni delle truppe e del Re degno d’onore. Lasciam ora così, non vuo’ si lagni alcun di voi che qui stiamo tropp’ ore, saremo – penso – diman giunti a quel segno di terminar tal intrapreso impegno.

Canto duodecimo ed ultimo

1La guerra qual fin or ho io narrata curiosa veramente è al non più dire, l’hanno sol i briganti principiata e messi se li son con gran ardire: sparser che dai francesi era approvata e sue risoluzioni e le lor mire come dai Cisalpin, dai Genovesi, e nell’interno ancora coi Piemontesi.

2E in verità quel gran adunamento fatto dai intriganti piemontesi ebbe, lo vide ognun, il suo incremento da ligur, cisalpin e dai francesi: prim’era del Piemonte un escremento, che banditi da là si sono resiper assassinii oppur fur uccisori e molti poi insieme di disertori.

3V’eran persone ancor di case oneste, dei medici, chirurghi ed avvocati, procurator, notai e brave teste di preti, frati con lor associati, tutte persone da gran vizii infeste soggetti da Dio tutti abbandonati, così privati franco di ragione senza fede, coscienza e religione.

4Volevano annientar il suo sovrano, toglier di mezzo in fin il bel governo, qui nell’Italia non è più un arcano. L’idea generale io ben discerno dei fuorusciti almen, che a ciò dier mano: non credon vi sia ciel, vi sia l’inferno, e cioè ad imitazion delli francesi coi quali in operar si sono intesi.

5Loro – dicon però - non gli han la manoche in ciò non entreran mai in eterno, il Direttorio non è così vano, anzi difender vuol anche l’esterno, li sembra un caso tal ben molto strano vedere in confusion tutto l’internociò dicon e ciò vigliono pur dire molti che dei pretesti san unire.

6Dicon un’alleanza così ferma,un’amicizia tanto dichiarata,e più che se ne fe’ spesso conferma e ancor nell’occasion che era qui nataora che voglia perdere la scherma, fosse la sua promessa colorata, a certi stenta entra[r] nell’opinione di troppo onor si vanta tal nazione.

7 Pure v’è chi al contrario tutto crede anzi sa dimostrar ad evidenza, - dicon così - che ognun chiaro lo vedee il fatto a giudicar non vi vuol scienza, la grazia ai traditori che si concede da lor voluta non è un’apparenza, non posso io impedir, dica chi vuole a suo capriccio ognun pensare puole.

8E’ scuola tanto più in ora moderna poter scrivere, pensar e ancora dire questa pretesa mal dottrina odierna fa al certo l’onest’uom inorridire, l’anima si contenda che sia eterna, si sparla di Gesù con tanto ardire, venne - dubbio non v’ è - dalli francesi. V’è da ammirare241, se mal di lor intesi?

9 Niuno mi negherà che loro stessi son quei che dieron fuor tale dottrina, quando in rivoluzion si sono messi. La legge calpestar santa e divina dovunque si portar, si son espressi tai sentimenti dover l’union mastina. Degna vi pare gente ancor di fede- vi parlo chiar - niun onest’ uom li crede.

10 Che nell’union di quei tai intriganti misti vi fosser molti dei francesi ciò non si può negar, li vider tanti, v’andavan lor insiem ai genovesi. Perché non richiamar quelli birbanti e castigarli per cattivi arnesi ?Ma no, lasciavan sempre quelli agiree mai tal mal cercar lor d’ impedire.

11 Lebrun, il general ch’era in Milano, in Genova Felpol242 che dimorava ambi - si disse - che prestavan mano e causa principal si dubitava, sebben facesser lor di ciò un arcano e ognun di non saper si dichiarava. Par che tenesser gonzi gli italiani Che non capisser mai li loro inganni.

12I liguri anche lor si son scusatisul bel principio, quest’è cosa vera, ma quei da molto tempo radunatiin Genova stazion fer e in Riviera quel corpo accrebber lor co’ suoi soldati e d’altra gente più cattiva e fiera e di sua truppa la gran diserzione fingevan non averne cognizione.

13Ma dai maneggi suoi s’era scoperto ch’essi facevan far quell’attentato, studiaron per tener sempre coperto il pomo di discordia c’han gettato; credevan che bastasse come certo potesse da color per ogni lato lo stato invader tutto francamenteda risoluta tal e fiera gente.

14Vedendo in fin di non poter riuscire l’ incominciato tanto infame impegno, ne venner poi allor a discoprire l’odio di lor mortale al Re ed al Regno andaron attaccar, egli è per dire, ed a isfogar appunto il loro sdegno parte là in Serraval, parte in Riviera e fecero veder sua intenzion vera.

15 Ma se nel tempo stesso non usciva d’armi una sospensione e benedetta243

ben mal l’impegno lor certo riusciva, cadeva sopra d’ essi la vendetta: mentre alle regie truppe li riusciva dei ligur dar lezion e maledetta,tosto sospender l’armi hanno dovutoe più avanti andar non han potuto.

16Dura necessità, pover sovrano, elli dove’ a Lebrun tosto obbedireaveva sue fortezze tutte in mano,che mai poteva far, doveva dire? E chi sarebbe di cervel sì vano vedesse il tradimento non venire, così dove’ la truppa ritirare e il conquistato tutto abbandonare.

17Ancora Serraval s’era perduto, amica truppa fu la sol cagione e come che così si sia voluto par non si possa far di ciò questione. Lovano - si dirà – l’han pur avuto almen per sua sol ispedizione, è ver, ma non sarà d’ammirazione a quel che sa siccom’andò l’azione.

18I liguri però perser cittadi e i territorii tutti a quei uniti, cannoni ed armi ancor di qualitadi, oltre di tanti, quai fur brustoliti. Ve ne volevan ben di quei Langladi244:quelli paesi tutti eran spediti in pochi giorni e ciò sicuramente pers’era il litorale là di ponente.

19Torniam adesso a dir la sospensione ch’alli ventotto giunsevi di giugno di non poter più far verun’azione, tutti fece restar di mesto grugno. Di quel tal giorno tanta bell’azione, qual prometteva darli il resto in pugno poco poi rallegrò, ch’anzi alla bile li provocò per quell’infame stile.

In basso, veduta di Carcare trattadalla pubblicazione del De Volvic

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20Cosa pure qui dir, tal sospensione così noiosa ai nostri buon guerrieri fu fatta - come dissi - a mediazione del generale Lebrun. Io volentieri vorrei sincera tal intermissione s’accettò tosto molto di leggeri. Ecco l’Italia star tutta obbediente ai perfidi voler di tale gente.

21Sebben ai venticinque di quel mese del Re si fosse l’ordin pubblicato che l’armi il popolo tutto avesse prese e ai nemici incontro fosse andato, quelle ai ventotto vuol che fosser rese e questo ad ordinare ei fu obbligato, atteso che Lebrun fu d’opinione facessi in tal tempo sospensione245.

22 Si fosse fatta almen tal sospensione con togliere di mezzo li briganti, ma non andò così, la svariazione di mente ne sarà pei fatti tanti. Era cessata un po’ l’agitazione in quelli della Rocca e in tutti quanti, ma ai quattro luglio venne cruda allertapensava esser dover in guerra aperta.

23 Giunse in quel giorno lettera d’avviso d’un personaggio ben degno di fede:sarebbe all’indoman e all’improvviso toccata nuovamente, e ragion diede. Era il ragguaglio, è ver, un po’ conciso, posato però fu su fermo piede, vide - diceva quel - tutti i briganti unirsi in Novi insiem e tutti quanti.

24Da quello ch’elli poi potè indagare,vuo’ dir chi la mandò uom lesto fante, capì ch’eran a notte per andare qualcun attacco dar ben importante. L’avviso intanto egli ha voluto dare che dubbio v’era e scrisse sull’istante affin stessero pronti alla difesa, caso che andasser quei per tal impresa.

25 Portassi quella carta al comandante e non crede’ che dar ciò si potesse. Ma tali non vi fur dubbiezze e tante nei paesani comunque quel volesse, pur Bava quel maggior246 ciò non co-stante, guarnì tutti li posti, come avesse a far combattimento e di dormire per quella notte non vi fu, che dire.

26 Tutta la notte si passò in allerta, ma inutil fu, ché non comparve alcuno e quasi s’accusò con bocca aperta poscia quell’onest’ uom da qualcheduno. Pur troppo vera fu quella scoperta, sebben allor colà andò nessuno: partiron tutti insiem, andar altrove e sentirete or or andar per dove.

27Alla mattina dei cinque247 giusto appresso a un’ora avanti giorno s’è sentito ch’ un gran combattimento s’era messo d’ Alessandria verso ed accanito, durò due ore o tre lì poco appresso, dopo quel gran fracasso fu finito si seppe manco mal verso la sera ove si combattè, che gente n’era.

28 Eran per verità quei tai briganti sì come pervenne la notizia coi liguri in union pure birbanti, legati con tal gente in amicizia, erano poi in fin tutti intriganti eguali senza onor e pudicizia, givan in Alessandria sicuri d’esser accetti là dentro quei muri.

29 Ma nelle regie truppe il Generale avviso n’ebbe da qualunque sia, così imboscata fe’ già manco male ed attorniò cotal gente sì ria, ne fece, e questo è ver universale, macello e sterminò tal ciurmeria e in fine li riuscì a questa volta toglier di mezzo quei della rivolta.

30Di tale fatto molte relazionivenute son, ed io vuo’ principiare da quella di Torin. Quai cognizioni dal primo giorno da di questo affarenon son in foglio tal poi le nozionidi ciò che fui appresso come appare, di quel che ai giorni dopo v’è successoo tutto la gazzetta non ha espresso.

31 Erasi - dice - un corpo d’ insorgenti il giorno delli cinque apparecchiato Ales-sandria attaccar ed impazienti l’hanno tutto fra lor ben ordinato. Soldati cinquecento dei più ardenti di guastatori s’è colà mandato, centocinquanta di quei di Piemonte andar appunto a far a quelli fronte.

32 Gente a cavallo van ad occupare lungo Bormia alla notte già predetta, altri ottocento si van poi schierare lungo la strada per cui l’orda infetta dovea giusto appunto là passare e con molt’ impazienza quella aspetta s’appiantaron ne’ boschi i contadini, vuo’ dir li Frascarol che son mastini248.

33 Ai primi albori quella gran ciurmaglia di presso circa mille cinquecento,quattro cannon aventi, e fu sua vaglia pre-sentansi a Marenco249 a sentimento di dar colà sicur una battaglia a quei ch’eran colà in distaccamento, ma appunto quella piccol guarnigione era partita da cotal regione.

34 Quelli quattro cannoni eran segnati dei Spinola coll’ arma, ed è sicura baldanzosi di più son diventati avidi preda fare a dismisura senza freno e timor si sono gettati, ma poco quel contento se li dura, presto da regie truppe fur battuti e i Frascarol vi son intervenuti.

35Le truppe dall’un canto li hanno presi gli impavidi e fedei gran fraschettani dall’altra, che si sono ben ben intesi e i guastator ne van i dirretani cioè alle spalle lor si son estesi e fer coi cavalieri sforzi non vanilongo non fu per certo quell’abrivo250,ma almeno vi so dir fu decisivo.

36 Più di trecento son rimasti morti e furon altrettanti gli arrestati varii feriti, pur ancor ben forti la fuga preser, presto sono andati. Il resto poi di quei lor consorti ai sette in Pozzuol251 si son portati forse per dar ancor segno di vita con la speranza aver un po’ d’aita.

37 Ma un picciolo corpo di cavalleria che si vide là intorno a comparire ben presto fe’ che quella ciurmeria da quel tal luogo ne dove’ fuggire fe a Novi ben con fretta scorreria e più non s’azzardò di comparire. Quella disse nient’altro tal gazzetta252,ed è pel primo incontro molto schietta.

38 Vi giunse dopo un’altra relazione di persona di sen e religioso, il qual inoltra più la descrizione di cotal fatto ancor più spaventoso, aggiunge che vi fu grand’ uccisione ei stesso andò a veder, e fu curioso alla Spinetta vien così chiamato253

un luogo tal, e ciò non fu notato. 39

Un picciolo corpo qual se ne fuggiva verso Tortona fu quel inseguito da frascaroli, dall’ quai s’ambiva fare di tai briganti il suol polito. Di mano in mano che alcuno comparivaveniva di sicur tosto spedito, quanti poi ve n’ andar giù nell’abisso certo che non si sa il numero fisso.

40 Saran - dice quel tal - da più a meno Seicento in settecento in a buon conto, si giudica altrettanti poi vi sieno di prigionier: quest’ è il di lui racconto. Non tutti però fur distrutti e a pieno v’è sempre chi a fuggire egli è più pronto e infatti varii non si sono trovati nella gran mischia ove tardi erano andati.

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41 Or tutti li dispersi vanno a unirsi a Novi, là vicin ai cappuccini254, fan fuoco nella notte per capirsi e insiem si radunar pover meschini e cercan manco male di ristituirsiin sito franco e non andar tapini li vidi – dice - e in questo io non mento e in numero saran circa duecento.

42 Che a Novi - segue a dir - ha poi portato non con fanatici giammai per niente e fu da quelli tai assicurato che in breve speran far dell’altra gente, quai sono in Serraval - l’hanno accertato - circa seicento e andran là francamente, e vi sarà chi avrà ancor reclutato per fare un altro sforzo, così andranno in Alessandria cercar per colà entrare.

43 Di personaggio tal è terminata l’intesa sua e giusta descrizione, ma ai nove luglio poi ne fu mandata un’altra che con quella ha relazione. Dice per questi monti è trapassata ier truppa di trecento e più persone, venne notizia tal poi da Mornese255

che tocche avean le fin di quel paese. 45

Stavan in Novi tai vili persone e a mille avevan fin ad aumentarsi, non era in lor deposta l’intenzione ad Alessandria andar affacciarsi, ma si sentì che la ligur nazione intimazion li fe’ di ritirarsi, prima però li ha tutti disarmati poi dopo di colà gli ha discacciati.

46 Almen fecer così correr la grida, ma i saggi dubitar d’un fine finto, mostrò tale nazion d’essere infida e quel governo mal viene dipinto pare che in quel virtù niuna s’annida nei tradimenti s’è già ben distinto. Ma noi per or pensiam d’andar appresso a raccontare quel che si dice adesso.

47 A tale intimazion a loro dura e tanto più vedendo disarmarsi, ben disgustati fur, e a dismisura, non potevan a meno che d’ alterarsi. Dov’è - dicevan - quella gran premura dovessimo a Carnos256 noi radunarsi, e dove son tante promesse e tante fatte ad un corpo a lor così costante.

48 Varie seguiron dunque altercazioni a Novi fra tal razza e gli abitanti. Dicevan: traditor, son belle azioni? Dopo d’averne insiem portati avanti a farsi trucidar, tai violazioni si fan delle promesse a tutti quanti? Si saprem vendicar del Genovese,farem che piangerà più d’un paese.

49 Si disse che si sono infin partiti per Voltri alcun e per Savona molti, per territorii ancor fur proibiti passarvi più di tre uniti i stolti, ma ciò non basta ad essere puniti in che imbarazzo si son lor involti, andran ad assaltare qualche cascina e incontreran poi l’ultima rovina.

50 Di tai avanzi poi di tai briganti ritornan al paese lor ben molti di quei che seguir sol quei intriganti e che nei guai s’immersero da stolti, mai poi quegli altri, che son più birbanti, e che in varii delitti son involti, quelli se v’anderan saranno presi e alla giustizia tutti saran resi.

51 In seguito di ciò fu un’amnistia data dal Re ad istanza dei francesi, fe manifesto che perdon vi sia a tutti quei, quai eran compresi nel numero di tanta opinion ria,ma indegni poi non più si fosser resi con simil ripigliar di tracotanza che non avrebber più mai di speranza.

52 Li prigionieri già sotto processo sarebbero ben tosto rilasciati e i beni si sarebbe a quei rimesso che prima li si fosser confiscati e permetteva ancor poi in appresso che chi volea partir dalli suoi stati vender potesser le lor possessioni e andar ad abitar altre regioni.

53Ciò s’ estenderà pur ai forestieri sebben fossero già tra gli arrestati, eccettuava poi quelli più fieri che in altri mal s’eran lor impaniati, così li disertor quelli più altieri che s’erano da’ suoi corpi trafugati, questi al giudice lor e competente resi loro saràn immantinente.

54 Se sia vero o no che sia finito il gioco dei briganti birbi e fieri, l’avere così pronto il Re aderito a tutti rilasciar i prigionieri a’ sudditi disgusto die’ infinito, perché diversi son i loro pensieri dubitan forte di cotale gente e non è da affidarsi poi per niente.

55 Sostegno avevan dentro e ancor di fuori temon che un dì sarà poi rinnovato quel suo furore e dei ristoratori non mancan mai e ve n’è sempre stato, e che importava mai a certi umori non venga il traditor ben castigato, tant’è niuno fedele si può dar pace e un simile operar a niuno piace.

56 Non basta ancor - dicono tutte le genti -che ognuno con ragion vuole parlare, dare l’impedimento ai reggimenti d’andar a Serraval a liberare, ma poi l’impadronirsi immantinente li galli di quel forte, come appare,non è sicur affare indifferenteche non faccia pensare chi ha un po’ di mente.

57 Così quel’ impedire a’ piemontesi che a forza d’armi han fatto sì cammino in poco tempo in tutti quei paesi de’ liguri, ed ancor giovan per sino sotto Savona senz’esser offesi con tutto l’altro insiem paese alpino, cosa così vi par indifferente, che non faccia pensar la saggia gente?

58Sotto pretesto far i mediatori intiman tregua e fan tutto fermare, intanto si fan lor i possessori a l’armi quel buon Re dove’ abbassare, in pace ha da soffrir quei aggressori e i grandi affronti che li sepper fare. Sì questo è quel su cui la gente pronta ma-neggi tai preser cotanto ad onta.

59 Quiete e pace si decanta ancora ma se per lungo tempo, chi sa dire? Così lasciamo pur questo per ora verassi il gran raggir in fin scoprire, mandar i galli il Re suo in malora, così il Re sardo vuon ancor finire, fin’ora han fatto fare dalli briganti, visto che non riuscì, andran lor avanti.

60 Lasciam così, mandò il Collis alloraun manifesto e ovumque lo fe’ gire,lo lessi, esaminai io ben ancora, sopra di quel niun seppe più che dire.Udite il manifesto voi per ora, nuova alleanza, noi prendiam ardire, giu-dicherassi che sia il Re sicuro,perché vedrete in niente esser oscuro.

61 Tale qual è v’ espongo il manifesto qual – dissi - si mandò in ciascun paese al chiaro fece intender lui con questo che la fedel Repubblica francese voleva ella adempir, com’era onesto, tutte le promission ch’ella s’ intese all’epoca fissar di sospensione d’armi posate o sia interposizione.

62 Dice Massard il general francese e intende a tutti a pien notificare, che in Novi, sito ver del Genovese, die’ ordine di far là disarmare l’avanzo dei briganti che s’ intese s’era andato là dentro a rinserrare, com’è successo, e abbiam noi detto avanti, che disarmati fur quei tutti quanti.

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63 E con franchezza pur ha assicurato per sempre di voler ei garantire lo stato, onde non venga più inquietato da niun brigante mai più in avvenire: siane il Cielo adunque ben lodato se ciò vedrem almeno noia finire, e io dico a voi, finito questo non anderò più appresso a tutto il resto.

64 Se poscia non sarà, come si teme, miei cari io non so cosa mi dire, mi spiacerebbe che così gran speme vedessesì da noi presto svanire, il mondo mette tutti i casi insieme ne tira conseguenze che a finire non si vedran, sien detti maliziosi, belli raggir, pretesti poi speciosi.

65 Or Sua Maestà ben penetrata d’una riconoscenza in veri sincera,per la maniera ch’hanno dimostrata di zelo grande e valentia vera di sue popolazion ed a portatanel caso far di più, come lo spera,egli ha ordinato a queste far palese quanto gli è caro ciaschedun paese.

66 E questo al comandante generale delle reali truppe di frontiera il quale espose l’intenzion reale che gratitudin grande vuol avere, ma posto che finì sì grande male trovassi d’ insinuar ben in dovere che cessino d’armarsi e di restare delle loro case attenti ad ogni affare.

67V’invita dunque il vostro buon Sovrano riassumere tranquilli i vostri affari, all’ arti e ad commercio dar di mano e all’agricoltura poi del pari, che in or patoglie far sarebbe vano, non far bisogno più tanti ripari, son, o fedeli, questi i regi sensi, e v’ augura per sempre beni immensi.

68 E a dire il ver un così buon Sovrano che i sudditi amò sempre di buon cuore esser dovrebbe niun così inumano di non averli un ver sincero amore, eppure si trovò, oh Dio, che arcanochi l’ho perseguitò con fier furore. Permiselo il Signor e sa Lui solo il gran perché, nel quale non si fa volo.

69 O fosse ver, che niun più ma[i] cadesse in simil così orrendo mancamento o che felicità, Dio lo volesse, ma no, predice il cuore, già io lo sento, saravvi ancor chi prenderà interesse lo stato intorbidar e più di centoe avran li fini lor particolari di fare rinnovar sì gravi affari.

70 Castigo egli è di tutti e universale, venne all’eccesso il mondo in or pe[r]verso257

la legge sacrosanta più non vale, la fede ed il timor tutto s’è perso258, ma della casa poi nostra reale dire si può sicur tutt’all’inverso, perciò spero che in fin resterà ferma e fatto non gli avràn perder la scherma.

71 Mio Dio poi che voi fin ab eternoIl tutto avete certo decretato259, ciò ch’ esser deve già io non discernoa voi m’intendo star sempre umiliato260: vi prego sol, e ciò vien dall’interno, che il mio buon Sovran sia liberatoda finti amici che pur troppo tiene noti a voi, e a me dir disconviene.

72 Miei cari amici voi già ben sapete quel che in principio sol io v’ho promesso261. Ho detto e penso che vi sovverrete che alli briganti andar io voglio appresso,finiti son, non li son più, vedete. Di seguitar più non mi sento adesso, se alcun vi seguirà nuovo sconcerto qualch’ altro scriverà di me più esperto.

73 Io finirò con dir: Dio vuol compire li suoi decreti, ché fu mosso a sdegno e in qual maniera andrà poi a finire non posso io arrivare a questo segno. È stato troppo ancor il mio ardire quando messo mi sono in questo impegno,alla meglio però ne son riuscito contento son e ciò sia finito.

Note170 nota 88.171 Moneta di esiguo valore in uso nell’Ita-

lia settentrionale fino all’Ottocento.172 Sorta di parrucca.173 Parola deleta.174 Idem.175 Cfr. nota 58.176 In Acqui – già lo osservammo – risie-

deva il Comando dell’esercito imperiale, ossiaaustro-russo. Il Maggiore austriaco giunse inOvada il 5 giugno 1799.

177 Cfr. nota 93.178 Cfr. nota 76.179 Il Marchese Cap. Collis sarà menzio-

nato anche nelle stanze 21, 23 e IX. 47, 49, 51,59, 60, 63

180 Il narratore adopera d’ora innanzi piùvolte codesto toponimo, identificabile con Ca-rosio. La scelta sarà imputabile ad un sentimentosarcastico nei confronti dei giacobini e dei fran-cesi.

181 Il Monte Brusco presso Montaldeo.182 Ossia ubi: latinismo per dove.183 “Munizione di pallettoni e schegge di

ferro con cui in passato si caricavano i cannoniper il tiro contro il nemico a distanza ravvici-nata”: DISC. Dizionario italiano Sabatini Co-letti, Firenze, Giunti, 1999, p 1572.

184 Carvos: così nel testo.185 Per la precisione di trattava della così

detta “Divisione del mezzodì dell’esercito pa-triottico piemontese”, ossia dei giacobini pie-montesi, che al comando di Carlo Trombetta diS. Benigno avevano occupato Carosio, circon-dato dal territorio della Repubblica ligure.

186 Mi sembra un tasto piuttosto infelice,questo della violazione della corrispondenza, sepensiamo agli incredibili abusi e sequestri per-petrati dai vari duchi di Savoia nei confrontidella posta genovese, perfino di quella diploma-tica!

187 6 giugno 1798: il provvedimento su-scitò il conflitto con la Repubblica ligure.

188 Mese: così nel testo.189 cfr. nota 179.190 Il forte di Gavi, di origine medioevale,

era stato ricostruito nel corso del Seicento dallaRepubblica di Genova. Cfr. Liliana PITTA-RELLO, Tracce del castello medioevale nelforte seicentesco di Gavi in Il Barbarossa e isuoi alleati liguri-piemontesi. Atti del convegnostorico internazionale a cura di G. C. Bergaglio,Gavi, 1987, pp 171-200.

191 Il Cap. Alciati, già menzionato in IX.23.192 Cfr. nota 181.193 Cfr. nota 76.194 Il Magg. Bava, già menzionato in

IX.16.195 Ne darà il senso in X.3-7.196 Diserzione: intervento dell’editore sul

disertazione del ms.197 Concetto già espresso in IX.39.198 Una o due parole delete.199 Loano, sulla riviera ponentina. Il borgo

era stato venduto nel 1737 dai Conti Doria aCarlo Emanuele III di Savoia. Il 23-24 novem-bre 1795 era stato teatro della prima battagliadelle truppe repubblicane francesi e l’esercitoaustro-sardo. Cfr. Antonino RONCO, La batta-glia di Loano (23-29 novembre 1795), Genova,Marconi, 1995.

200 Pascienza: così nel testo.201 Cfr. nota 96.202 Come i peggiori sudditi del Regno

sardo bramavano assalire le terre appartenentiallo stato ligure e saccheggiarne gli abitanti, cosìi peggiori cittadini delle terre già appartenenti aldominio d’oltre giogo della Serenissima Repub-blica, desideravano lo stesso, memori delle plu-

In basso, veduta di Nizza trattadalla pubblicazione del De Volvic

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risecolari vessazioni subite dai duchi sabaudi.203 Significativo codesto minimizzare

l’ignavia, se non viltà, dei soldati difensori! 204 Pensi: intervento dell’editore sul pensa

del ms.205 Il col. Giacinto Siri di Ovada (fervente

giacobino), comandante l’armata d’oltre Gioviche fissò il quartiere generale dell’esercito inVoltaggio, contro le truppe piemontesi le qualiavevano invaso il territorio ligure per assediareCarosio (6-10 giugno 1798).

206 Loano.207 Il magg. Ruffini, uno degli ufficiali del-

l’armata repubblicana di ponente.208 Oneglia, sulla riviera ponentina, era

stata venduta nel 1576 dai Doria ad EmanueleFiliberto.

209 Canto undecimo: correzione dell’edi-tore sul decimo del ms.

210 Cfr. Tobia, III.5: Domine, magna iudi-cia tua e Ps., xxxv. 6: iustitia tua sicut montesDei, iudicia tua abissus multa.

211 Pieve di Teco (occupata dai piemontesiil 26 giugno 1798), Porto Maurizio.

212 ‘l nazio: così nel testo.213 Giorgio Andrea Agnes des Geneys

(Chimonte, 1761 – Genova, 1839) militare,combattè ad Oneglia, passò in Sardegna, conl’annessione della Liguria al Regno sardo stabi-lita dal Congresso di Vienna divenne governa-tore di Genova. Rinvio alla voce da me redattaper il Dizionario biografico dei liguri, Genova,Consulta ligure, 1992, I, pp 63-64.

214 Con Bassa intende Colla Bassa, alturariconquistata dal Cav. di Castelvecchio; il MonteAcquarone è posizione chiave per difendereOneglia.

215 Il Cavalier di Castelvecchio era tenentedi vascello della Marina sarda. Cfr. G. MOLLE,Oneglia nella sua storia, Milano, Giuffrè, 1972,p 302.

216 Così nel testo, per Nieburg: questo luo-gotenente, insieme col Cav. Di Castelvecchio edil sottoten. Cassio difese Oneglia dall’attaccogenovese.

217 Cfr. nota 12.218 Diversivo.219 Questo distaccamento di appena qua-

ranta uomini messi insieme dal Des Geneys fuinviato per riconquistare Colla Bassa occupatadai repubblicani ed affidata al comando del Cav.Di Castelvecchio, del luogotenente Meburg edel sottoten. Cassio: già l’abbiamo altrove pre-cisato.

220 Monte Acquarone.221 Cfr. nota 215.222 La notte del 27 giugno 1798 il capitano

ligure intimava la resa ad Oneglia con un pro-clama per la popolazione (riferito nella stanza21) firmato dal maggior francese che dirigeval’assedio.

223 Giulio Cesare Langlade, comandante ladivisione del ponente.

224 Il conte Des Geneys.225 Pieve di Teco era stata occupata dalle

truppe piemontesi il 26 giugno.226 Il distaccamento onegliese attaccò verso

le 6.30 il colle di Barcellino tenuto da un mi-gliaio di soldati repubblicani.

227 Intende dire che gli onegliesi al sentiretanto strepito di artiglieria pensavano giunges-sero i soccorsi per loro da Pieve, e invece eratutta opera di quel distaccamento di appena qua-ranta uomini sopra menzionati.

228 Il conte Des Geneys.229 Allude al fatto che infervorate dal suc-

cesso, anche le donne, senza più terrore per lecannonate, aiutavano a portare alle batterie lemunizioni, al grido di Viva il Re!

230 Claude François Lebrun (1739-1824)sarà governatore della Liguria nel biennio 1805-6.

231 Allude all’esiguo distaccamento messoinsieme dal Des Geneys per attaccare le trupperepubblicane posizionate sulle alture di Diano.Di tale distaccamento i soldati regolari erano co-mandati dal ten. Giacobi, del reggimento Cuneo,i miliziani dal Cav. Di Quincinet.

232 Porto Maurizio: la città si arrese alletruppe piemontesi e il comandate Langlade, conl’intervento dei francesi, accettò la capitola-zione.

233 In realtà il console francese chiedevaun’ora per trattare, concessa agli assediati, senzaulteriore tregua.

234 Cfr. nota 231, come per il Cav. Quinci-net.

235 Il comandante Des Geneys ordinò al-l’ufficiale Rey incaricato della difesa di Ponte-dassio, di attaccare la guarnigiana repubblicanaposizionata nell’alta Valle di Diano.

236 “Sul versante di Torria il comandantedelle milizie maggiore Sibono e il sottenenteDani che con pochi soldati del reggimentoCuneo custodivano il Montino, invasero la valledi Stellanello e del Lerone, mentre il Cav. Reycon le milizie di Pontedassio entravano nellavalle di Diano che il 28 il arrendeva al conteBelgrano di Oneglia”: Luciano L. CALZAMI-GLIA, Torria, un borgo medioevale della Valled’Oneglia, Imperia, Dominici, 1993, p 91.

237 Non penso il Pizzo Montin, a 953 m.sopra Chisavecchia, perché non abitato, bensì ilMontino di Torria.

238 Si riferisce alla colonna di seicento re-pubblicani regolari e volontari che partiti daTriora marciavano alla volta di Oneglia, al co-mando di Benedetto Cervetto. Cfr. Giuseppe M.PIRA, Storia della città e del principato di One-glia, Genova, Ferrando, 1847, II, pp 196-197;Francesco FERRAIRONI, Ricordi della repub-

blica ligure in Triora, 1797-98 in “Rivista In-gauna ed intemelia”, VII, 1952.

239 Luigi Emanuele Cervetto (Genova,1756-1821) al quale fu pochi anni or sono dedi-cato un convegno: Luigi Emanuele Cervetto …Atti del convegno…, Genova, Accademia Liguredi scienze e lettere, 2007.

240 Triora: correzione dell’editore sul Trioladel ms.

241 Da stupirsi.242 Guglielmo Carlo Faipoult de la Maison-

celle, ministro di Francia in Genova.243 Voluta dai francesi, che avevano allora

diversi interessi.244 Cfr. nota 223. 245 L’ordine fu emanato il 27 giugno 1798

dal Direttorio di Parigi, col pretesto che laguerra avrebbe disturbato le trattative a Rastadttra i francesi e gli imperiali.

246 Già menzionato in IX.16.247 5 luglio 1798.248 Frascarolo ad 87 m., si trova nella Lo-

mellina sud-occidentale, presso la riva sinistradel Po. Essa fece parte del dominio sabaudo apartire dal 1713. Il suo castello fu ricostruito nel1512 e poi nel 1882-83.

249 Bosco Marengo di origini remote, con-siderato il castello innalzatovi da Teodorico. Lafama gli venne tuttavia grazie a Pio v, che vi co-struì negli anni 1567-72 il complesso di S. Crocedei Domenicani, esempio illustre dell’arte rina-scimentale in Piemonte.

250 Attacco.251 Cfr. nota 96.252 Le notizie presentate sono desunte da

giornali e da relazioni altrui (cfr. stanza 38), nonderivano da personale esperienza.

253 Spinetta Marengo, oggi frazione del co-mune di Alessandria, famosa purtroppo quasisoltanto per la battaglia del 14 giugno 1800combattuta tra i francesi al comando del Buona-parte e gli austriaci al comando del Melas.

254 Il convento dei Cappuccini di Novi fon-dato nel 1590, ebbe molto a soffrire durante laguerra del 1799, fu sopresso dalla legislazionenapoleonica nel 1810, riaperto nel 1815 e dinuovo soppresso dallo stato liberal-massoniconel 1866.

255 Cfr. nota 93.256 Carosio.257 Tobia XIII.5: Ipse castigavit nos prop-

ter iniquitates.258 Cfr. Rom. IV.14 : Exinanita est fides,

abolita est promissio.259 Ps. CXVIII.160 : In aeternum omnia iu-

dicia iustitiae tuae.260 Cfr. Ps. L.18: Cor contritum et humilia-

tum Deus non despicies.261 Nell’esordio – perduto – del poemetto.

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I volontari della Croce Verde Ova-dese, coordinatrice e responsabile dipiazza Sara Roveta, hanno aderito, a finesettembre, alla campagna nazionale Terre/ moto io non rischio promossa per ilterzo anno consecutivo dal Dipartimentodella Protezione Civile e dall’ANPAS (As-sociazione Nazionale delle Pubbliche As-sistenze), in collaborazione con l’INGV

(Istituto Nazionale di Geofisica e Vulca-nologia), per sensibilizzare i cittadini sulrischio sismico. L’iniziativa ha visto lapartecipazione di circa 3200 volontari,presenti in 215 piazze italiane, espres-sione di ben 14 associazioni. I concitta-dini hanno colto con interesse il mes-saggio trasmesso dai volontari, suppor-tato anche dalla diffusione di materialeinformativo.

Ovada, compresa tra le aree di Ales-sandria la cui classificazione sismica è IIIe quella di Genova la cui classificazionesismica è II, sembra non correre grandi ri-schi. Lo confermano anche i dati statisticida noi raccolti per l’occasione e presentatiin quello che è stato intitolato il filo deltempo, segmento espositivo allestito perl’occasione dai volontari della C.V.O.

Pubblichiamo ora la parte più signifi-cativa della ricerca frutto di notizie attintenel nostro archivio, dai giornali deltempo e, in particolare, da uno studiocomparso qualche anno fa sulla presti-giosa rivista tortonese Iulia Dertona. (Cfr.GIAN CAMILLO CORTEMIGLIA, Manifestazioni si-smiche nel Tortonese, in «Iulia Dertona», AnnoXXIX, 1981, seconda serie, fasc. 61, Aprile1982, pp. 5 - 24).

In una lettera a stampa indirizzata il10 maggio 1808 al “venerato clero, edamatissimo popolo della Città e Diocesi”il Vescovo di Acqui Terme Luigi Arrighiscrive: “le varie scosse di terremoto, cheda noi pure, ma specialmente nel circon-dario di Pinerolo, si sono fatte sentire,non poterono a meno, venerati fratelli, efigliuoli dilettissimi, che di eccitare inquegli abitanti delle inquietudini allar-manti, e di arrecar loro de’ danni oltremodo considerevoli, le notizie che digiorno in giorno si succedono, tutte sontristi, disgustose, ferali…”.

Le cronache del tempo riportano in-fatti che il 2 aprile 1808 si registraronoanche a Torino “scosse abbastanza fortialle ore 5,30 ed alle 9 di sera” e, menoviolente, si ripeteranno nel mese di mag-gio.

Nell’Ovadese un evento sismico si re-gistra nel 1828. Si avverte una fortescossa tellurica il 9 ottobre, alle ore settedel mattino e, in Ovada, come annota ilmemorialista Vincenzo Torello, “diroc-cano quattro camini in contrada Scolopi”,crolla una casa a Trisobbio” e “altrescosse più lievi” si ripeteranno “alle 9 ealle 11,30”.

Altri eventi sismici nel 1831, nel1867, sino al disastroso terremoto del 23febbraio 1887 che rovinò completamenteil caratteristico paese di Bussana provo-cando vittime e danni ingenti in nume-rose altre località del Ponente ligure.

Gli aiuti giunsero immediati da tuttaItalia e pure Ovada partecipò alla gara disolidarietà come testimonia una deliberadel consiglio comunale del 28 marzoavente all’ordine del giorno lo stanzia-mento di un “sussidio ai danneggiati dalterremoto”.

Il presidente, l’avvocato AlfredoBuffa facente funzione di sindaco, rela-ziona del “ grave disastro che il mattinodel 23 febbraio ha colpito le due provinceliguri di Genova e Porto Maurizio. Quellasventura veramente nazionale” prosegue,“ha destato un’eco di commiserazione inogni angolo della penisola.

Corpi morali e privati hanno rispostocon slancio sublime al grido di dolore deipoveri fratelli danneggiati. Affinché il no-stro Comune partecipi (…) a questa no-bile gara di beneficenza, vera e com-movente prova di fraternità, che unisce inuna le genti italiane”, prosegue Buffa “lagiunta propone di prelevare dal fondodella beneficenza la somma di £. 300 daspedirsi per una metà al prefetto di Ge-nova e per l’altra metà al prefetto di PortoMaurizio, affinché sia poi distribuita acura del comitato locale a norma del biso-gno”. Il consiglio unanime con regolarevotazione per “alzata e seduta”, approvala proposta.

La popolazione tutta concorse negliaiuti. Nei “Brevi cenni storici del Santua-rio di N.S. delle Grazie tra Tagliolo e

Ovada”, pubblicati, nel 1902, dal parrocodi Tagliolo Giovanni Battista Pizzorni,nativo di Rossiglione, viene ricordatoche: «…fu degno veramente di nota e diammirazione il convegno di migliaia dipersone a questo Santuario”, la caratteri-stica chiesetta che si nota proprio sullarocca, iniziata nel 1871, benedetta eaperta al culto nel 1875,

«la domenica seguente il 23 febbraio 1887,giorno nefasto del memorando terremoto. In rin-graziamento alla Vergine che aveva liberato leabitazioni e gli abitanti di queste valli da ognidanno e pericolo di tanto flagello, con sensi digioia mista a terrore fu raccomandata, fatta eraccolta un’elemosina di oltre 700 lire inviataper mezzo del vescovo diocesiano e del cardi-nale Gaetano Alimonda a sollievo dei paesi piùdanneggiati della Liguria».

Nel 1897, il sacerdote rosminiano mi-lanese Giuseppe Mercalli, il famoso vul-canologo, avrebbe pubblicato uno studioapprofondito su I terremoti della Liguriae del Piemonte. Il volume stampato a Na-poli è corredato di tre tavole a colori. In-teressanti le considerazioni che l’autorefa per quanto riguarda l’area di nostro in-teresse:

“Nella Liguria e nel Piemonte ho distintododici distretti sismici ed una trentina di centrisismici determinati collo studio di 180 terremoti.A Genova dal 1176 al 1897, si sentirono 141scosse, delle quali 64 provenienti da regioni vi-cine e lontane, cioè la maggior parte dalla Ligu-ria occidentale, dalla Lunigiana, dall’Emilia edal Piemonte, e soltanto tre dalla Liguria orien-tale. Questi terremoti in generale furono leggeriper la città di Genova, ma ve ne fu uno nel 1536che cagionò rovine di edifici e due (nel 1828 enel 1887) abbastanza violenti da produrre gravilesioni alle case.

Per Torino, in circa due secoli e mezzo, re-gistrai soltanto 49 scosse, in generale leggere;solo tre o quattro avvertite da tutti e con qual-che spavento, ma senza danni se si eccettuaquella del 23 febbraio 1887, che cagionò in al-cune parti della città qualche screpolatura neimuri ed altre lesioni di poca importanza.

Confrontando questo risultato conquello ottenuto per Genova, si vede chequest’ultima città è alquanto più soggettadi Torino ai terremoti. Quindi più a Ge-nova che a Torino si dovrebbe nel co-struire e nel riattare le case aver di miraanche la loro resistenza ai movimenti si-smici.

Si verifica una preponderanza notevo-lissima dei terremoti nelle stagioni di in-

Eventi sismici che hanno interessato l’Ovadesedi Paolo Bavazzano

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verno – primavera e specialmente da feb-braio a maggio e un minimo da giugno asettembre; per esempio, distribuendo permesi 1572 terremoti, trovai un massimodi 336 terremoti nel febbraio e un mi-nimo di soli 57 terremoti nel settembre.”

Altro evento sismico importante esempre portato come esempio è quelloche ha colpito le regioni Calabria e Sici-lia nel primo Novecento.

Verso le ore 5 del 28 dicembre 1908,tremende scosse di terremoto sconvol-sero Messina, Reggio Calabria, Villa S.Giovanni, Bagnara, Palmi e molti altripaesi, portando la desolazione ed il ter-rore tra le popolazioni ancora immersenel sonno.

Il Corriere d’Ovada (n. 729, 3 Gen-naio 1909) riservò ampio spazio all’acca-duto e, tra l’altro, pubblicò l’intervista diun ovadese, il signor Camillo Marenco,negoziante in vini, che proprio in queigiorni si trovava in Sicilia per affari.

Dapprima - riporta il Corriere - si te-meva che egli pure fosse rimasto vittimadel terremoto, perché, sino a giovedì, nonsi avevano sue notizie, malgrado avessetelegrafato da Catania e da Palermo. Egli,così ci narrò le peripezie di quella tragicanotte:

«Ero arrivato la sera prima a Messinae il mattino volevo proseguire per Sira-cusa col treno che parte alle 5,40. All’Al-bergo Venezia, ove pernottai, dissi alcameriere, di svegliarmi prima delle cin-que, e proprio all’ora indicata venni sve-gliato dal portiere a cui diedi una monetache egli baciò dicendo che sperava gliportasse fortuna.

Giunto alla stazione alle 5,10 salii sudi un vagone dove vi erano pure diversiartisti drammatici livornesi che si reca-vano a Catania; mentre cercavo di aggiu-stare i cuscini, sentimmo un urto violentoed un rombo prolungato come lo scoppiodi molte cannonate che durò circa ventisecondi. Dopo breve intervallo seguironoaltre forti scosse che fecero cadere laparte centrale della stazione.

Un fitto polverio ci otturava le nari eci seccava la gola. Passato il primo mo-mento di sgomento scendemmo dal va-gone, e ci accorgemmo che la macchinaera rimasta sotto le macerie. Insieme con

altri entrammo in città che era tutta rovi-nata compreso l’albergo dove avevo per-nottato. Da ogni parte si udivano urlistrazianti di feriti e si vedevano cadaverischiacciati. La banchina del porto era di-visa da fenditure e il porto ingombro dirottami.

Assistetti a diversi salvataggi com-piuti da marinai della squadra russa, spe-cie alla Palizzata, dove vi erano i miglioripalazzi di Messina. Da un quinto pianouna famiglia invocava soccorso, essendoimpossibilitata a discendere perché ca-duta la scala; i marinai si fecero gettaredelle lenzuola attorcigliate a cui attacca-rono delle funi, e su queste si arrampica-rono e poterono trarre a salvamento queidisgraziati. Ed era tempo, perché pocodopo il resto del caseggiato precipitavaper il sopraggiungere di nuove scosse.

Dopo una notte terribile, oscura e conacqua a catinelle, al mezzogiorno poteipartire col piroscafo Washington e andarea Catania per telefonare alla famiglia etranquillizzarla; di là ritornai a Messina epotei assistere a molti salvataggi com-piuti dai soldati italiani sopraggiunti coivapori, su uno dei quali, il Margherita,m’imbarcai per Palermo insieme a moltifuggiaschi e feriti, otto dei quali mori-rono durante il tragitto.

Da Palermo mi imbarcai quindi perNapoli».

Il cataclisma immane anche nella no-stra Ovada - prosegue il Corriere - suscitòun profondo sentimento di compianto peri fratelli. Si sospesero feste e tratteni-menti già progettati ed il denaro a questidestinato si volle devolvere a beneficiodegli sventurati.

La Giunta Comunale dispose la no-mina di un Comitato di Beneficenza chesi porrà con alacrità alla raccolta del-l’obolo che gli ovadesi vorranno anchequesta volta dare largo e generoso.

Ecco il manifesto pubblicato dal Sin-daco: Concittadini! Alla manifestazioneuniversale di fraterna solidarietà, che im-ponente ed ammirevole converge da ogniparte a sollievo delle Calabrie e della Si-

cilia sventurate, ha sentito il dovere di as-sociarsi la Vostra Municipale Rappre- sentanza, costituendosi in Comitato diSoccorso - del quale sono chiamati a farparte degnissima le Autorità ed i presi-denti delle Opere Pie e Sodalizi locali – edeliberando in via di urgenza, di iniziarela raccolta delle offerte con un sussidiocomunale di £ 500.

Come Ovada nostra ha risposto sem-pre ad ogni appello nobile e patriottico ri-sponda ancora degnamente ognuno diNoi all’invito che il Comitato rivolgeràalla generosità cittadina in quest’ora disupremo dolore che non ha riscontro!

Dal Palazzo Comunale li 31 Dicem-bre 1908. P. la Giunta Municipale. Il Sin-daco. Ing. G. Pesci.

Cronologia degli eventi sismici piùrilevanti

421 a. C. - Vengono segnalati da BardiG. (1581 a, parte 2, pag. 112) e da BonitoM. (1691) vistosi terremoti in Liguria, cheviene considerata la zona epicentrale (Ta-ramelli T. e Mercalli G., 1888, pag. 46), percui è ammissiibi1e che, in siffatta circo-stanza, possano essere state avvertite scossenel tortonese.

321 a. C. -Aristotile (Meteor. lib. 2) ri-ferisce di un terremoto che interessò iCampi Flegrei, facendosi sentire forte-mente in Toscana (Bardi G., 1581 a, parte2, pag. 196) ed anche in Liguria (TarameI1iT. e Mercalli G., 1888, pag. 46), con possi-bilità, quindi, che qualche scossa abbia in-teressato il tortonese.

217 a. C. - Alcuni autori latini (Livio,Historia, lib. XXII, 5; Cicerone, De Divi-natione, lib. I, 35; Plinio, Naturalis Historia,lib. II, 84) riferiscono che in primavera, du-rante la battaglia al Lago Trasimeno tra Fla-minio ed Annibale, in Liguria ed in Gallia,si verificò un violento terremoto, per cui èsupponibile che scosse siano state avvertiteanche nel tortonese.

801, 30 aprile, ore 2 -Terremoto violentosegnalato in tutta Italia, specie a Spoleto eda Roma (Baratta M., 1901, pag. 14) ed av-vertito anche a Tortona dove fece qualchedanno (Salice G., 1869, vol. I, .pag. 100).

951 - Sia Bardi G. (1581 b, pag. 304),sia Bonito M. (1691) indicano che la Ligu-ria fu travagliata da terremoti, per cui è pen-sabile che si siano avvertite scosse neltortonese.

Nella pag. a lato, i volontari dellaCroce Verde Ovadese sensibiliz-zano i passanti sul rischio sismicoa lato, il logo della manifestazione

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1117, 3 gennaio, ore 3 . Terremotoviolentissimo con moltissime replicheper 40 giorni, avvertito in tutta l’Italiasettentrionale, dove, soprattutto, parti-colarmente colpite risultarono la Lom-bardia ed il Veneto (Baratta M., 1901,pag. 3, 22 e 24; Piacente 5., 1961, pag.22), ma, sebbene non esplicitamentemenzionato per le aree del tortonese, si ri-tiene sia stato chiaramente sentito nellazona, in quanto è considerato il più violentodei terremoti che hanno colpito l’Italia inepoca storica (Caputo M., 1982).

1182, 15 agosto - Un violentissimo ter-remoto colpì Genova (Bardi G., 1581 b,pag. 457) e danni rilevanti furono segnalatianche a Porto Maurizio ed a Lodi (MercalliG., 1897, pag. 22), per cui si può ritenere sisiano avvertite scosse nel tortonese.

1221 (25 dicembre) - Presso Alessan-dria: “nel Natale... per uno spaventevoleterremoto, il Tanaro e la Bormida uscironodai loro letti; cambiaron corso, asportaronalberi... indicibili danni anche alle case”.ASTORI E. (1932): «Montecastello e la suarocca. Notizie storiche». Riv. di Storia,Arte, ArcheoI. per la Prov. di Alessandria,41 (1), 5-151, Tip. Miglietta-Milano & C.;Casale Monf. (presso Biblioteca Civ. Ales-sandria).

Secondo altra fonte, l’anno è il 1222:“Fu sentito il terremoto; tutti i fiumi inLombardia uscirono da letti loro; cambia-ron corso, asportaron alberi... indicibilidanni anche alle case”. GHILINI G. (\903):Annali di Alessandria (a cura di A. BOS-SOLA). Volumi l - IV, Stab. Tip. LibrarioG. M. Piccone, Alessandria (presso Biblio-teca Civ. Alessandria).

1222, 25 dicembre, ore 12 - Terremotogenerale in tutta l’Alta Italia, con epicentronel Bresciano (Baratta M., 1901, pag. 31;Piacente S., 1918, pag. 22), ma con segna-lazione di danni considerevoli in Liguria(Mercalli G., 1897, pag. 22) ed in Genova(Montemerlo N., 1618, pag. 43), mentre fuavvertito ad Alessandria (Ghilini G., 1666,pag. 28) e sentito con violenza a Tortona,dove portò «grandissimo danno alle per-sone ed ai fabbricati» E cronaca (1529) diIlario Malaspina in Salice G., 1869, vol. I,pag. 365].

1276, 29 luglio - Violento terremoto inLombardia, con particolare segnalazione aMilano (Bardi G., 1581 b, pag. 551), e nelVeneto, risulta avvertito anche a Genova

con violente scosse (Mercalli G. 1897, pag.23) per cui è possibile sia stato sentitoanche nel tortonese.

1301 Terremoto rovinoso in provinciadi Cuneo (Casalis G., 1839, pag. 761; Mac-cario 5., 1889, pag. 17), segnalato conscosse violente nell’alessandrino da GhiliniG. (1666, pag. 57) e da Schiavina G. (1612,vol. 1, pag. 596), che ne estende il feno-meno anche per il tortonese.

1346, 22 febbraio - Terremoto violentoin Emilia (Mercalli G., 1897), pag. 24),sentito molto fortemente ad Alessandria(Schiavina G., vol. 2, pag. 58; Ghilini G.,1666, pag. 68), per cui fu quindi sicura-mente avvertito nel tortonese (Baratta .M, -1936, pag. 113 e 124).

1348, 25 gennaio -Terremoto disastrosoin tutta l’Italia settentrionale, specie nel Ve-neto (Mercalli G., 1897, pag. 24), avvertitoin maniera fortissima ad Alessandria (Ba-ratta M., 1936, pag. 9). ed a Tortona, dove,le scosse, a diversi intervalli, perduraronoper 15 giorni e produssero « rovina di moltitetti» (Salice G., 1869, voI. 11, pag. 62 e63, erroneamente segnalato al 22 gennaio1347, pur ritenendolo corrispondente allostesso che altri invece datano al 1348).

1369, 1 - 2 febbraio (ore notturne) -Terremoto rovinoso, con epicentro ad

Alessandria, dove le scosse furono avver-tite violente con danneggiamento di moltiedifici ed abbattimento dei più deboli(Schiavina G., 1612, vol. 2, pag. 110; Ghi-lini G., 1666, pag. 71; Tatti P. L., 1663), percui nel tortonese fu sicuramente percepito,essendo stato valutato al grado VIII di in-tensità della scala MCS (Giorgetti F. & lac-carino E., 1971).

1397, 26 dicembre, ore 3 - Terremotorovinoso in Lombardia (Bardi G., 1581 b,pag. 662; Mercalli G.,. 1897, pag. 25), se-gnalato nell’Alessandrino da Schiavina G.(1612, vol. 2, pag. 175) e da Ghilini G.(1666, pag. 81), per cui è stato sicuramenteavvertito anche nel tortonese.

1471, 25 marzo e 19 agosto - Terremotiverificatisi nell’Alta Italia (Schiavina G.,1612, vol. 2, pag. 313 e 314), con epicentro

in Lombardia, di cui però il se-condo, più violento, entrambi sen-titi in Alessandria (Ghilini G.,1666, pag. 105) e quindi supponi-bilmente avvertiti nel tortonese.

1510, febbraio - Forte terre-moto in gran parte d’Italia (Schia-vina G., 1612, vol. 2, pag. 395,

erroneamente segnalato al febbraio del1511) che fu sentito dentro e fuori Alessan-dria ed in altre parti con rovina di molti edi-fici e morte di persone (Ghilini G., 1666,pag. 122; Baratta M., 1936, pag. 14), percui è stato sicuramente avvertito anche neltortonese, in quanto valutato, in Alessan-dria, di intensità pari al IX grado della scalaMICS (Giorgetti F. e Laccarino E., 1971).

1513, 10 febbraio - Le scosse, sentite adAlessandria senza danni e descritte daSchiavina G. (1612, vol. 2, pag. 402) e daGhilini G. (1666, pag. 124), è probabilesiano state avvertite nel tortonese.

1514, 15 novembre - Terremoto adAlessandria descritto da Schiavina G.(1612, vol. 2, pag. 409) che potrebbe esserestato avvertito nel tortonese.

1541, 23 ottobre, ore 1,30 - Grande ter-remoto segnalato nel tortonese, dove, piùspecificatamente, a Tortona fu avvertito conscuotimenti di muri, aperture di porte e ca-duta di comignoli, specie sulla casa di Pie-tro Guidobono, mentre provocò lesioni alCastello di Serravalle Scrivia, alla Torre diBagnaria ed a quella di Novi Ligure, e fececrollare, con molte case, il Castello di Staz-zano [pag. 74 verso e pag. 75 retto del co-dice cartaceo (1541) di Ilario Busseto inGasparolo F., 1911, pp. 35.36]. Nella cittàdi Alessandria il danno subito fu, invece,abbastanza limitato (Schiavina G., 1612,vo1. 2, pag. 487), mentre a Genova fu av-vertito senza segnalazione di danni (Tara-melli T. e Mercalli G., 1888, pag. pag. 46)ed a Pavia fu fortemente sentito (Spelta,1602, pag. 474).

1542, 14 maggio, ore 1 - Scossa violen-tissima nella zona tra Pinerolo e Torino, chefu sentita sensibilmente in tutto il Piemonte[Cronaca (1569) di Giambernardo Miolo diLombriasco in Vernazza G., 1862, pag.176], quindi, con tutta probabilità, fu avver-tita anche nel tortonese.

1564, 20 luglio, ore 2 e 6 - In occasionedel violentissimo terremoto che colpì l’altavalle Vesubia e le vicine valli della Tinea edella Roia, con ripetizioni per circa 50

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giorni, si sentirono scosse in tutto il Pie-monte (Baratta M., 1901, pag. 635.

1612, 31 gennaio, ore 17 -Violento terremoto in Liguria e nel Niz-

zardo, che fu avvertito in Alessandria comein altre parti (Ghilini G., 1666, pag. 188).

1636, 25 dicembre - Forti scosse di ter-remoto a Valenza (Marchi G., 1897, pag.28).

1642, 13 aprile, ore 3 - In concomitanzacon un terremoto sentito fortemente inLombardia (Mercalli G., 1897, pag. 28) sisono registrate deboli scosse ad Alessandria(Ghilini G., 1666, pag. 236).

1644, 15 febbraio, ore 16 -Violento terremoto nel Nizzardo, che si

fece sentire con decise scosse ad Alessan-dria (Ghilini G., 1666, pag. 251.

1680, 30 aprile, ore 12 -Terremoto sensibile che colpì Gavi, fa-

cendo cadere a terra buoi e cavalli attaccatiagli aratri mentre le persone in viaggio e incasa si tenevano appena in piedi (De Si-moni G., 1896, pag. 245).

1688, 30 aprile. A seguito un terremotograndissimo che le genti (delle vallatedello Stura e dell’ Orba) restarono tutti at-toniti e spaventate… ed il medesimo annone era già seguito altre.

1703, 13 maggio ore 17, terremotochiaramente sentito a Genova ed a Carma-gnola. (Mercalli G., 1897, pag. 29).

1705 - Grandissimi terremoti per cui lepersone non arrischendo dormire nellecase per lo spavento per la più parte an-dava per la campagna.

1751, 21 novembre, ore 10,45 -Terremoto con epicentro nel chiavarese.

1753, 9 marzo, ore 14, terremoto assaiforte, con epicentro. nelle zone di Susa e diPinerolo, avvertito a Torino, dove durò 2secondi, ed a Asti, dove rovinò il Conventodei Cappuccini, classificato «quasi rovi-noso» da Mercalli G. (1897, pag. 31).

1756, 13 agosto, ore 9,50 - Terremotosentito in tutto il Piemonte con scosse leg-gere (Mercalli G., 1897, pag. 32).

1775 – Il Tanaro esce dagli argini. 1828, 8/9 ottobre, forti scosse in Ligu-

ria e in Piemonte.Gazzetta Piemontese, Martedì, 14 Otto-

bre 1828, n. 124.Le notizie che riceviamo dalle varie

province del Regno sono, la Dio mercé, talida rassicurarci intorno agli effetti del terri-bile fenomeno stato sentito nei giorni scorsiin tutti gli angoli di esso: (..) La Gazzetta

di Genova dell’11 conferma le prime noti-zie che noi avevamo date nel nostro fogliodel giorno stesso, ma con più estese parti-colarità, che ci facciamo un pregio di rife-rire ai nostri lettori:

“La notte del mercoledì al giovedì (9corrente), la numerosa popolazione di que-sta città è stata risvegliata da una fierascossa di terremoto, che cominciò con fortema breve sussulto, e continuò con violentaondulazione per circa 20 secondi. Colpitain quell’ora notturna (tre ore e 20 minutidopo la mezzanotte) da un ben giusto ter-rore, giacchè non v’ha memoria d’unascossa sì viva e sì prolungata, gran partedegli abitanti abbandonò frettolosa i letti ele case, e si raccolse ne’ luoghi aperti te-mendo una funesta replica. Abbiamo peral-tro la consolazione di poter annunziare cheniuno non ha sofferto nella persona, non es-sendo caduto alcun edifizio, né muro, fuori,per quanto ci è noto, di un camino e di unpezzo di ornato dell’angolo del campaniledi S. Pietro a Banchi. Ma parecchie case, equattro o cinque palazzi hanno sofferto le-sioni notevoli, come apparisce dalle crepa-ture de’ muri, e fra questi si cita il palazzoducale, il cui grande salone presenta nelvolto parecchie fessure. (...)

Ne’ Paesi e Comuni vicini si sono intesele medesime scosse; pare però da riscontriavuti che l’intensità sia stata maggiore a po-nente che a levante; e si citano, special-mente a Sestri, alcuni palazzi con moltescrepolature, imposte di marmo spezzate, esoffitti caduti. Nella chiesa parrocchiale diSampierdarena è caduta parte del cupolinocolla palla e croce che sorreggeva. (...)

Voghera, 11 ottobre – nella notte dell’8al 9 del corrente, alle 3 e 1\4 dopo la mez-zanotte si sentì in questa città ed in tutta laprovincia una scossa di terremoto: essa fupreceduta da un chiarore straordinario nel-l’atmosfera dalla parte di levante e da qual-che scoppio d’elettricità; è pure statoveduto un momento prima della scossa unglobo di fuoco (forse un bolide) che parevacadere a gran precipizio sulla terra. Unasentinella venne stramazzata sul terreno,mentre temendo di disgrazia nelle carceriche guardava, credè dover dare il grido del-l’all’armi; ma la scossa aveva già svegliatatutta la popolazione della Città, che in unbatter d’occhio balzò atterrita nelle vie.L’ondeggiamento durò dai 15 ai 20 minutisecondi; e tutte le case ne furono più omeno danneggiate: (...)

Anche una lettera di Novi, che rice-viamo in questo momento, ci parla di gravidanni recati alle case di quella Città dalleprime scosse del terremoto che vi si fecesentire alle 3 1\4 della notte dell’8 al 9 delcorrente: non ci troviamo peraltro nessunsinistro accidente che abbia tratto con se lamorte di qualche persona. La Città temevadi un intiero sobbisso, tanto fu lunga e vio-lenta la prima scossa, ed il popolo atterritocercò salvamento alla campagna: le scossecontinuarono durante quella notte, e se necontarono sino a quattro; nella notte suc-cessiva, cioè dal 9 al 10, non fu più sentitache una leggera scossa, e gli abitanti ripi-gliarono quindi animo per ritornare alleloro case pressochè tutte intronate e sdru-cite.

1829, 14 settembre, ore 3 - Terremotocon epicentro a Rocca Susella in Val Staf-fora sentito a Voghera con modesto scuoti-mento (Baratta M., 1901, pag. 692), chepuò essere stato percepito anche nel torto-nese.

1832, 13 marzo, ore 7,45 e 9,45 -Violento terremoto nel Reggiano e nel Mo-denese, la cui isosisma del III grado dallaScala MCS, ricostruita da Caloi P., Ro-mualdi G. & Spadea M. C. (1970, Tav. V,pag. 116). Gazzetta Piemontese, Giovedì,15 Marzo 1832, n. 32.

Ci si scrive da Alpignano, che è statasentita il giorno 13 aprile alle ore quattro edieci minuti dopo la mezzanotte una scossadi tremuoto, la quale fece ondeggiare unospecchietto appeso ad una finestra, e scossealquanto la camera, in cui stava la personache ha notato questo fenomeno: alla scossatenne tosto dietro un movimento ondulato-rio da settentrione - levante, che durò setteminuti secondi. La scossa è stata anche sen-tita da alcuni abitanti di questa Capitale.

Gazzetta Piemontese, Giovedì, 17Marzo 1832, n. 33.

Nel nostro numero precedente abbiamoannunciato che si sentì il giorno 13 alle ore4 minuti, (sic) 10 mattutine una scossa ditremuoto in Alpignano e in Torino, seguitada un movimento ondulatorio da setten-trione - levante, che durò 7 secondi; ab-biamo ora da Genova che il 14 del correnteè stata pure sentita in quella città alle oresette minuti 35 del mattino una leggeris-sima scossa di terremoto, ed una secondaalle ore 9 e minuti 40 della stessa mattina:il moto di entrambe è stato ondulatorio, equasi istantaneo, non essendo durato che

Nella pag. a lato, tavola di Bel-trame tratta dalla Domenica delCorriere che illustra il terremotodel 13 gennaio 1915 che colpì laMarsica

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due in tre secondi. Nella notte dellunedì al martedì si sentì tuttaviauna terza scossa alle ore 4 e 13minuti, che parve alquanto piùforte, e della durata di quattro se-condi, senza aver tuttavia recatoalcun danno come le precedenti.

1834, 4 Luglio. Sentesi inGenova ad un’ora e trentacinqueminuti del mattino una fortescossa di tremuoto, con moto on-dulatorio nella direzione di set-tentrione ponente. La sua durataoltrepassa i quattro secondi, esentesi da tutti gli abitanti. DalPalmaverde 1836:

Gazzetta Piemontese, Mar-tedì, 8 Luglio 1834, n. 81, pag. 431.

Interno. Genova, 5 luglio. Ieri a un’orae 35 minuti della mattina una forte scossa diterremoto ha risvegliata gran parte degliabitanti di questa città: essa durò più di 4secondi: il movimento fu ondulatorio, enella direzione di settentrione ponente: ilbarometro rimase stazionario.

1838, 5 maggio, ore 20,40 e 23,35 -Due forti scosse ondulatorie, ma di brevedurata, colpirono Genova e si fecero sen-tire sino a Piacenza (Mercalli G., 1897, pag.48), per cui si deve ritenere che furono al-tresì percepite nel tortonese.

1845, 20 gennaio, ore 6,30 - Fortescossa ondulatoria della durata. di 1 sec. ediretta N-S, avvertita a Garbagna ed in tuttoil circondano di Tortona (Mercalli G., 1897,pag. 49; Baratta M., 1901, pag. 686) e nel-l’alessandrino (Gabert P., 1962, pag. 420).

1854, 29 dicembre, ore 2,45. Terremotorovinoso in Liguria, con epicentro lungo lalinea di costa tra Nizza ed Oneglia, la cuiisosismica «forte», tracciata da Mercalli G.,(1897, Tav. I, fig. 2), passa per il tortonese,mentre quella «leggera» giunge sino a Mi-lano ed a Pavia (Baratta M., 1901, pag.421).

1855, 25 luglio, ore 1 -Terremoto rovinoso nel Vallese che fu sen-tito in tutto il Piemonte ed avvertito, senzadanni; nel tortonese (Mercalli G., 1697’,pag. 51).

1867, 20 settembre, ore 9,30 - Scossaondulatoria piuttosto intensa a Tortona, chevenne ripetuta il 22 settembre alle ore 18,30con una scossa ondulatoria forte (MercalliG - ., 1897v pag. 55), percepita in tuttol’alessandrino (Gabert P., 1962; .pag. 420.)

e proveniente da un sisma che interessò To-rino e la Liguria occidentale (Taramelli T. eMercalli G., 1888, pag. 48).

1873, 12 marzo, ore 9,15 - Violentoterremoto nell’Italia centrale che provocòscosse deboli a due riprese, con direzioneSW - NE, a Genova e fu avvertito moltoleggermente ad. Alessandria e, quindi, pro-babilmente, anche nel tortonese (MercalliG., 1897, pag. 57).

1874, 17 settembre, ore 20,30 -Terremoto generalizzato a tutta l’Italia set-tentrionale e segnalato da parecchistrumenti dell’Italia centrale (Baratta M.,1901, pp. 463 - 464).

1880, 3 febbraio ore 8 - Forte scossa nelbolognese avvertita leggermente ad Ales-sandria, con direzione SE - NW (MercalliG., 1897, pag. 64), mentre il 4 luglio alleore 9,15 fu chiaramente percepita un’altraleggera scossa a Tortona, Volpeglino. Vol-pedo, Viguzzolo e Casalnoceto (Denza F.,1887; De Rossi M. 5., 1887; Baratta M.,1901, pag. 687).

1881, 19 marzo, ore 8,30 - Leggerascossa avvertita nel tortonese, più sensibil-mente sentita a Dava, Cosola e VaI Borbera(Mercalli G., 1897, pag. 66).

1881, 16 novembre, ore 5 - 5,31 -Terremoto generale in tutta la penisola ita-liana, specie a Napoli, in Calabria e inSicilia, sentito ad Alessandria prima conuna scossa ondulatoria in direzione E-W epoi con una sussultoria, avvertito a Volpe-glino con una scossa ondulatoria diretta E -W (Mercalli G., 1897, pag. 66) e percepitonell’Alessandrino (Cassine) e nel tortonese(Volpedo) (Gazzetta Piemontese, anno XV,n. 318, 18-11-1881, pp. 2-3).

1881, 25 novembre, ore 3,15 - Leggera

scossa di tipo ondulatorio avvertita adAlessandria con direzione ESE-WNW e quindi probabilmente perce-pita anche nel tortonese (Mercalli G.,1397, pag. 67).

1882, 15 febbraio, ore 1 e 5,50- Terremoto. molto forte, con trescosse, nelle Valli Borbera, Treb-bia, Curone e Staffora, avvertitomeno sensibilmente a Tortona,dove presentò 3 riprese sussultorie(Baratta M., 1901, pag. 489), men-tre passò inosservato a Volpeglinoe a Voghera (Mercalli G., 1897,pag. 67). Vengono segnalate altrequattro ripetizioni nei giorni 16(ore 5,30), 17 (ore 3), 20 e 21 (ore

0), non avvertite però nel tortonese.1886, 5 settembre, ore 9,12 - Varie

scosse leggere, prima ondulatorie, poi sus-sultorie, con direzione E-W, si sentirono aTortona (Mercalli G., 1897, pag. 118) e aVoipeglino (Baratta M., 1901, pag. 510) inoccasione del violento terremoto che colpìla parte mediana della Val Susa e quella su-periore del Sangone e che fu avvertito intutto il Piemonte, parte della Lombardia e,più leggermente, nella Liguria occidentaleed orientale sino a Chiavari (Taramelli T. eMercalli G., 1888, pag. 48).

1887, 23 febbraio, ore 6,20 - 6,29 - 8,51- Tre scosse violente e rovinose, con epi-centro tra Savona e Nizza.

1887, 7 marzo, ore 4,25 - Leggerascossa di terremoto sentita a Volpeglino, ditipo ondulatorio e con direzione N-S, il cuiepicentro è considerato locale (Taramelli T.e Mercalli G., 1888, pag. 270).

1891, 28 maggio, ore 7,15 - 7,50 -Scossa sussultoria piuttosto forte della du-rata da 3 a 4 sec nel novese, seguita da unascossa ondulatoria di 3 sec, diretta SSE-NNW, avvertita anche ad Alessandria(Mercalli G., 1897, pag. 79) e, quindi, per-cepita sicuramente anche nel tortonese.

1892, 5 marzo, ore 18,26 - Scossa vio-lenta, da 2 a 10 sec, che colpì la zona diIvrea e fu solo avvertita dagli strumenti neltortonese (Mercalli G., 1897, pag. 123).

1894, 17 ottobre, ore 5,17 - Scossa on-dulatoria, in 2 riprese, della durata com-plessiva di 30 sec, compresi 15 sec dìintervallo (tra le due, in Val Staffora, conepicentro presso Bagnaria (Baratta M.,1895), la quale, pur con delimitazione entroil vogherese, deve essere stata almeno leg-

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germente avvertita nel tortonese.1895, 3 febbraio, ore 6,50 - Scossa tra

mediocre e forte in Liguria, nella zona diAndora, avvertita a Novi Ligure e registratadagli strumenti sino a Piacenza (MercalliG., 1897, pag. 8 ed a Pavia (La Stampa -Gazzetta Piemontese, anno XXIX, 4-5 feb-braio 1895, pag. 2.

1896, 16 Ottobre, terremoto diAlbenga. Il Corriere delle Valli Stura e

Orba, anno II, n. 87, Ovada, 18 Ottobre1896:

Venerdì, verso le ore sette e un quartoantimeridiane, si notò una scossa di terre-moto in senso ondulatorio. La scossa peròfu tanto lieve che dai più non fu avvertita.La stessa scossa fu avvertita pure in alcunipaesi della riviera Ligure e specialmente aLoano e ad Albenga ove fu più violentotanto da spaventare la popolazione.

1897, 6 Luglio. Il Corriere delle ValliStura e Orba, anno III, n 127, Ovada 11 lu-glio 1897.

Martedì sera alle 21,52 si è sentito unaabbastanza sensibile scossa di terremotosussultorio ondulatorio della durata di circa3 minuti secondi accompagnata da un ru-more simile a quello del passaggio di untreno diretto. La scossa fu avvertita da tuttispecie nel cosiddetto fondo di Ovada.

Come al solito succede in simili mo-menti ci fu un po’ di panico e la popola-zione si riversò nelle vie e piazze cherimasero affollate per buona parte dellanotte.

Non mancarono gli umoristici episodi;più di uno assistette alla fuga di ragazzesemi vestite e che ultimavano la loro toilet-tes coram populo fra le risate del pubblico.V’ha chi asserisce che alle 2 antimeri-diane si è verificata un altra leggerascossa ma ben pochi l’avvertirono.

Questo fenomeno fu avvertito da Vol-taggio a Savona, lungo l’appennino e fuinteso anche nel nostro Monferrato. Di-fatti notizie da Molare, Cassinelle, Cre-molino, Prasco, Morsasco, Orsara,Trisobbio, Montaldo, Carpeneto, RoccaGrimalda, Silvano, Castelletto Monfer-rato, Lerma, Tagliolo, Belforte, ci infor-mano che in questi paesi venne avvertitocon più o meno intensità a seconda dellevicinanze al centro d’azione di questo ter-ribile fenomeno. Dappertutto però, se vifu un po’ di panico, non s’ebbero a veri-ficare danni di sorta.

1898, 4 marzo, ore 22,07 - Terremotonell’Appennino parmense e reggiano, la cuiisosismica «lieve», ricostruita da BarattaM. (1901, fig. 114, pag. 615), contienel’area del tortonese. Fu sentito con unascossa forte a Piacenza ed una sensibile di10 sec a Chiavari (Gazzetta del Popolo, 6marzo 1898, pag. 2) e in vari paesi della Li-guria (La Stampa - Gazzetta Piemontese, ,6 marzo 1898).

Il Corriere delle Valli Stura e Orba,anno IV, n 163, Ovada 6 Marzo 1898.

Terremoto. Venerdì alle 22,12 venne av-vertita in tutta la Vallata dell’Orba una leg-gera scossa di terremoto in sensoondulatorio in direzione N.E.

1902, 11 aprile. Scossa sentita a Tortonacon maggior intensità che a Garbagna, doverisulta posta l’area epicentrale (Baratta M.,1936, pag. 59).

1905, 29 Aprile, ore 1.46. Alta Savoia. 1906, 11 Agosto, Taggia, ore 10 antime-

ridiane.1908 Terremoto di Messina. (Si veda

l’ntroduzione della presente ricerca).1913, 27 marzo, ore 2,55 - Il terremoto

sentito a Casteggio da tutta la popolazionecon scricchiolio di mobili, tintinnio di vetri,sussulto di letti, per cui molti uscirono al-l’aperto, fu avvertito con molta intensità aPavia; a Piacenza e nei paesi della regionepadana ed appenninica (Il Popolo Dertonino,anno XVIII, n° 13, 6 aprile 1913, pag. 3).

7 aprile 1913, ore 5,20: scossa leggerasentita da po chissime persone; 8 aprile1913, ore 5,20: scossa leggera avvertita dapochi. (Il Popolo Dertonino, anno XVIII,n0 14, 13 aprile 1913, pag. 3).

1913, 7 Dicembre, ore 1,28 Novi.

Il Corriere delle Valli Stura e Orba,anno XIX, n. 987, Ovada, 13 – 14 Dicem-bre 1913.

Una scossa di terremoto. Nella notte frasabato e domenica 7- 8 dicembre e precisa-mente fra le 2.30 e le 2.40 fu avvertito nellanostra regione una sensibile scossa di ter-remoto durata pochi secondi. La scossa fuavvertita quasi da tutti però non produssesoverchio panico nella nostra popolazione.

1914, 26 ottobre -Terremoto ad Avi-gliana di cui l’isosisma pari al IV gradodella scala MCS, ricostruita da Calai P., Ro-mualdi G. & Spadea M. C. (1970, Tav.XVIII, pag. 130),. passa per il tortonese,per cui possono essersi fatte sentire alcuneleggere scosse.

Il Corriere delle Valli Stura e Orba(Corriere d’Ovada). anno XX n. 1033Ovada 4 Novembre 1914. Terremoto. Lu-nedì mattina 26 corr. circa alle ore 5 fu av-vertita in Ovada una leggera scossa diterremoto. Circa le ore 10 dello stessogiorno si ebbe un’altra leggera scossa. En-trambe però furono sensibili a uno scarsis-simo numero di Ovadesi; ai più l’una el’altra passarono inosservate.

Tali scosse corrispondono ad altre piùgravi verificatesi in Piemonte e nel Venetocon qualche danno agli edifici e di personeper fortuna poco numerose e che destaronograndissimo allarme.

La Sagra di S. Michele, antichissimosantuario situato allo sbocco della Val diSusa in Piemonte, la cui costruzione risaleall’epoca di Carlo Magno, cioè a più dimille anni fa, fu danneggiata ma non inmodo da menomarne il grande pregio arti-stico.

1920, 6 - 7 settembre - Terremo-to violento a Fivizzano, la cui isosismapari al III grado della scala MCS, rico-struita da Calei P., Romualdi G.2 & Spa-dea M. C. (1920, Tav. XXV, pag. 137),interessa il tortonese, per cui conseguen-temente potrebbero essere state percepiteleggere scosse.

Il Corriere delle Valli Stura e Orba,anno XXVI, n. 1151, Ovada 12 Settem-bre 1920. Il Terremoto. Un’altra volta hafunestato l’Italia nostra. Intere plaghe nelReggiano, Modenese e nella Toscanahanno subito il cataclisma.

Paesi interi sono distrutti, centinaia dimorti giacciono sotto le macerie. Il go-verno ha provveduto per l’invio imme-

Nella pag. a lato, tavola di Bel-trame tratta dalla Domenica delCorriere che illustra il terremotodel 28 dicembre 1908 che colpìMessina e Reggio Calabria

In basso, la Cappelletta di Tagliolodi N.S. delle Grazie, meta del pel-legrinaggio popolare dopo il terre-moto del 1887, che devastò laLiguria Occidentale

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diato di soccorsi.Il Re si è recato sul luogo del di-

sastro.1932, 20 gennaio, ore 6,55 e

7,50 - In occasione di un terremotoin VaI Staffora, ritenuto una ripeti-zione, in piccola scala, di quello del9-8-1928 (Baratta M., 1936, pag.59), si avvertirono a Tortona questedue scosse, con una leggera ripeti-zione alle ore 15, la prima ondulato-ria e la seconda sussultoria, dalladurata complessiva di qualche se-condo, sentite da tutta la popola-zione e registrate dallastrumentazione del Prof. CamilloLeidi posta nel Seminario Vescovile(La Stampa, anno 66, n. 18, 21 gen-naio 1932, pag. 5). Le scosse furonobrevi e presentarono direzione E-W(Il Popolo Dertonino, anno XXXVII, n. 4,24-1-1932).

1945, 29 giugno, ore 7,13 - 8,32 - 16,37e 19,49 - La scossa più violenta fu quelladelle ore 16,37 che provocò intensi dannisoprattutto nei comuni di Varzi, PonteNizza, in Val Staffora e di San SebastianoCurone in VaI Curone, consistenti nelcrollo di una stalla con fienile in località C.Brigiona, presso Ponte Crenna, ed in moltelesioni ai muri maestri di fabbricati, crolloparziale di soffitti al pianterreno e caduta dicomignoli. (Boni A., 1947, pag. 115). Duescosse alle ore 10 e 18, prima sussultoria epoi ondulatoria, si fecero invece sentiremolto forti a Tortona, mentre a Bagnaria eGremiasco si registrarono case e chiese le-sionate associate a com parsa di spaccaturenel suolo emittenti gas, specie acido solfi-drico; a Cella di Bobbio le scosse furonoaccompagnate da boati, mentre in tutti ipaesi delle valli Grue, Curone e Staffora,per parecchie settimane, a cominciare daiprimi di giugno, furono segnalate leggereondulazioni premonitrici - (Il Popolo Der-tonino, anno L, n. 9, 7 luglio 1945).

Tra queste scosse premonitrici partico-larmente segnalate risultano quelle del 29 -4 - 1945, ore 7,32 (Elenco ENEL) e del 14-6-1945 ore 6,03 (Boni A., 1980, pag. 237).

Questo violento terremoto mostra unepicentro pressappoco a N della linea Tor-tona - Alessandria (Gabert P. 1962, pag.420) ed è stato stimato da Giorgetti F. &

laccarino E. (1971) di intensità pari al VI-VII grado della scala MCS.

1945, 15 dicembre, ore 6,24 - Fortescossa avvertita in Val Staffora ed in ValCurone dove produsse danni ad alcune caseisolate di Varzi e di Momperone, e fu chia-ramente percepita a Ponte Nizza ed a SanSebastiano Curone, mentre fu particolar-mente avvertita a Tortona, fece crollare adAlessandria muri di edifici già sinistrati daibombardamenti bellici e fu nettamente per-cepita ad Ivrea, Torino, Genova ed in gene-rale nella porzione occidentale dell’Italiasettentrionale (Boni A., 1947, pag. 123).

1946, 30 maggio, ore 5,45 - Sensibileterremoto, con epicentro verso la Svizzera,sentito nel tortonese prima con una scossasussultoria, poi ondulatoria diretta NE.SW(Il Popolo Dertonino, anno LI, n. 23, 13giugno 1946, pag. 2).

1947, 12 giugno, ore 23,44 - La leggerascossa sentita a Pavia ed a Casteggio, pro-veniente dalle valli Staffora e Curone (BoniA., 1947, pag. 142) considerate zone epi-centrali, non risulta percepita nel tortonese,anche se stimata da Boni A. (1980, pag.237) di intensità pari al V grado della scalaMCS.

1948, 1 febbraio, ore 0,32 - Il terremotocon epicentro a Varzi, stimato di intensitàpari al V grado della scala MCS e con ripe-tizioni alle ore 21,55 del giorno 6-2-1948(Boni A., 1980, pag. 237) ed alle ore 8,39del giorno 29-5-1948 (Elenco ENEL), nonrisulta essere stato avvertito nel tortonese.

1951, 15 maggio - Terremoto sensibile a Lodi, di cui l’isosisma pari al IV

grado della scala MCS, ricostruita daCaloi P., Romual di G, & Spadea M.‘C. (1970, Tav. XXXII, pag. 144) in-teressa la zona del tortonese, per cui sipuò pensare che leggere scosse sianostate localmente avvertite.

1971, 6 gennaio, ore 12,11 -Terremoto con epicentro nell’Oltrepòpavese, stimato di grado V-VI dellascala MCS (Boni A., 1980, pag. 237),è segnalato con una scossa di tipo on-dulatorio della durata di circa 2 sec,chiaramente percepita, in quantovetri, lampadari e seggiole, hannosussultato e vibrato (Il Popolo Derto-nino, anno LXXV, n. 2, 17 gennaio1971, pag. 7). Non risulta percepitonel tortonese, in quanto mancanoesplicite segnalazioni al riguardo.

1974, 14 gennaio, ore 4,47 -Terremoto con zona epicentrale a Voghera,stimato di V grado della scala ‘MCS (BoniA., 1980, pag. 237) e con scossa di ripeti-zione alle ore 8,46 (Elenco ENEL), non ri-sulta avvertito nel Tortonese.

1976, 6 maggio, ore 20,59 - 21,01 -21,08 - 21,12 e 21,15 - In occasione di que-sto violentissimo terremoto che, soprattuttocon la terza scossa durata 50 sec. e di ma-gnitudo 6,5 causò circa 1000 vittime inFriuli, si fecero sentire scosse in tutto il Pie-monte (Gazzetta del Popolo, anno 129, n.124, sabato 8 maggio 1976) ed in partico-lare si segnalarono a Tortona tremolii aimuri ed oscillazioni di lampadari.

1980, 23 novembre, ore 19,36 - In occa-sione del terremoto violento, stimato conmagnitudo 6,8, abbattutosi, con forti scossedi ripetizione alle ore 19,52 - 20,05 - 20,08- 20,10 - 20,38 e 21,33, in Irpinia e nellaValle del Sele, dove distrusse interi paesi efece circa 4000 morti, furono avvertiti neltortonese tremolii ad alcuni muri, mentread Acqui si registrò una scossa della duratadi 19 sec (Gazzetta ‘del Popolo, anno 133,n. 315, mercoledì 26 novembre 1980).

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La costruzione della chiesa di SantaMaria Assunta promossa dal vescovo En-rico Bruno tra il 1509 e il 1516 rispon-deva all’esigenza da parte della comunitàreligiosa di Roccaverano di una chiesapar rocchiale comodamente accessibile.Allo scadere del medioevo si era verifi-cato un progressivo spopola mento del-l’abitato intorno alla chie sa di SanGiovanni Battista, antica parrocchialeeretta a pochi chi lometri dal borgo at-tuale, a favore del nuovo insediamentostretto in torno al castello. Con l’erezionedella chiesa di Santa Maria Assunta al-l’interno del concentrico, l’antico luogodi culto perse progres siva mente impor-tanza e nel corso del XVI secolo fu ri-dotto a templi ce cappella cimiteriale.

La chiesa di San Giovanni era già esi-stente al principio del XIII secolo, cometestimo niano alcune caratteristiche co-struttive del cam panile che indicano unapreesisten za ro manica1. Si è supposto cheun consistente crollo della torre cam pa -naria abbia danneg giato in maniera irre-parabile anche l’edifi cio religioso, tantoda renderne ne ces saria una vera e propriarico struzione nelle forme gotiche at tual -mente visibili2.

Nella chiesa ad aula unica e absideretta le Storie del Precur sore decorano lepareti late rali del coro svolgendosi su dueregistri: ini ziano alla sommità della pa-rete sud con Zaccaria ed Elisabetta cheattendono l’arrivo del Bambino e la Vi-sita della Vergine, e proseguono nel regi-stro inferiore con la Nascita del Battistae la sua Fuga nel deserto. Sulla paretenord si sus seguono in alto, da destraverso sinistra, il Battista condanna Erodee il Battesimo di Cristo (fig. 1) e nellazona sottostante la Decapita zione e ilBanchetto di Erode (fig. 2). Il registro in-feriore delle due pareti è parzialmente oc-cupato da una coppia di nicchie con archilobati sorretti da sottili colonne che incor-niciano altrettanti Apostoli3, la cui serieprosegue nella parete di fondo dell’abside(fig. 3). Qui la decorazione si concludesuperior mente con una Crocifissione,gra vemente com promessa per l’aper tura

di una finestra. Sotto le fasce che delimi-tano le scene, troviamo il consueto vela-rio4. Lo spazio del coro è coperto da unavolta a crociera i cui spicchi sono scan-diti da fregi a candelabre vegetali alter -nati a rosoni, nastri con nuvolette ameandro interrotti da tondi con motivigeometrici e trifogli. Sulla volta sono af-frescati Cristo panto cra tore tra Maria eSan Giovanni Battista e gli Evangelisti,due dei quali siedono su un unico scranne(fig. 4).

Nell’intradosso dell’arco trionfa le aogiva sono dipinte alcune san te: Lucia,Apollonia, Agata, e Ma ria Maddalena(fig. 5) inframmez zate da una decora-zione fitomorfa e floreale. Nella contro-facciata del l’ar co absidale si ve donoalcuni santi entro clipei e una coppia distemmi (fig. 6).

Nel corso della campagna di restauriche interessò le pitture del vano presbite-riale fu se gnalata la presenza di affreschisotto scialbo sulla parete dell’arco absi-dale e sulla parete de stra dell’aula che fu-rono messi in luce e restau rati fra tra il1990 e il 19915. Sul piedritto destro del-l’arco, verso la navata, è dipinto un riqua-dro raffigurante la Madonna conBam bino assisa in trono (fig. 7) mentre lacortina mu ra ria contigua, circoscrittaentro un arco a tutto sesto, è divisa in dueregistri da un fregio a nuvolette. La lu-netta che ne risulta, su cui è dipinta lascena dell’ Incoronazione della Ver gine(fig. 8), è profilata da un fregio a lunghitronchi d’albero avvolti da spire inter-rotto da tondi. La superficie subordinataè ornata da alcune riquadrature molto la-cu nose: il Cristo di pietà con i simbolidella passione, san Giovanni Bat tista (fig.9), le ali forse di un Ar can gelo e la vestedi un santo dia cono con palma del marti-rio e libro. Un’iscrizione mutila ri porta ladata 1502 e il nome Simonis Galesii (fig.10), notaio a Roccaverano, che fu procu -ratore o committente degli affreschi6.

La committenza delle pitture presbi-teriali, invece, è posta in rela zione ai duestemmi di pinti sull’ar co absidale dove leinsegne degli Scarampi, signori del

luogo7, com paiono as sociate ad unostemma attribuito ai Bruno, investiti diuna parte del feudo di Roccave rano nel1481. Queste considerazioni hanno por-tato ad ipotizzare una data di esecuzionedegli affreschi dell’absi de intorno aglianni ot tanta del Quattrocento8. Un’analisipiù re cente ha tuttavia proposto di iden -tificare le armi affiancate a quelle Sca-rampi in quelle della famiglia DePasqualibus per celebrare, for se, un le-game matrimoniale9. Le nuove valuta-zioni, in assenza di ul te riori datidocu mentati, mettono quindi in discus-sione i termini post quem proposti per larealizzazione degli affreschi del presbite-rio della chiesa.

Nonostante l’origine cremonese dellafa miglia De Pasqualibus e i suoi legamicon la corte sforzesca suggeriscano perqueste pitture un orizzonte di riferimenticulturali al lar gato all’area lombarda, è ri-levan te che attorno a questa bottega, in di -cata convenzionalmente sotto il no me di“Maestro di Roccaverano”, sia sta to rac-colto un gruppo di opere pittori che di-stribuite lungo l’Appennino ligure -pie montese en tro territori di antica perti-nenza carrettesca. Un’area geografica checaratterizza non solo lo spazio fisi co incui opera quest’ate lier ma anche il suoambito culturale. Si tratta degli affreschidella parroc chiale di Murialdo10 e quellidel Santuario di Nostra Signora delleGra zie di Calizzano11, ai quali furo no an-cora collegate le pitture che decoranol’abside della chiesa di Santa Maria delCasato di Spigno Monferrato12, alcunisanti dipinti nel la chiesa di Santa Mariaextra muros di Millesimo13 ed un affre -sco staccato raffigurante l’Ultima cena,nella chiesa di San Dalmazzo di Monti-cello presso Finalborgo14.

Le relazioni fra questo gruppo di pit-ture ri guardano in primis le partiture de-corative: fregi a cande labre vegetali,rosoni, nastri con nu vo lette, tondi a mo-tivi geometrici e trifogli che rappresen-tano ele men ti piuttosto diffusi inPie monte dal principio del Quattrocentoe com paiono anche in opere tarde, come

Roccaverano: gli affreschi della parrocchiale anticadi San Giovanni Battistadi Simona Bragagnolo

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gli affreschi della parroc chiale diBernezzo eseguiti da Hans Clemerfra il 1496 ed il 150015. Oltre agli ele -menti di contorno, che includono leambientazioni in pae saggi aridi, defi-niti da calanchi e quinte vegetalicomposte da folti cespugli, di -mostrano corrisponden ze anche la ti-pologia e lo stile delle figure. I volti,dai lineamenti affi lati, sono caratte-rizzati da un mento prominente,occhi doppiamente cer chiati e le lab-bra piccole “dalla sigla inconfondi-bile16. Gli angeli indos sano unguarnello tipicamente arricciato inampi lobi e capiglia ture ordinate inonde sinuose ornate da diademi, masoprattutto il tipo del san Giovanni Batti-sta, secondo Claudio Bertolotto, costitui-sce “la vera firma del Mae stro diRocca verano ... emaciato, di delicatezzaquasi femminea”17 .

Il linguaggio dei pittori di Roccave-rano appare ben radicato nella culturatardo gotica di metà Quattrocento. Lo di-mostrano il gu sto descrittivo per le stoffedama scate e alcune ambientazioni che ri-cordano i codici miniati di fine Trecentoe inizi Quattrocento: nelle vege tazioni onegli interni costruiti come scatole aperteverso lo spetta tore. Nel contesto terri -toriale in cui opera la bottega di San Gio-vanni tale dialettica è ben rappresentatadal Maestro di Bardineto18, espres sionedi una corrente pit torica pie montese digusto cortese i cui mo delli figurativi fu-rono accolti in Liguria da un’esperienzache, a metà del Quattrocento, troverà nelMaestro di Luceram il suo inter prete piùprossimo. Viceversa, nel complesso in-treccio degli scambi culturali fra Pie-monte e Liguria, i temi imposti dai pittoridella costa ligure di fine Trecento e iniziQuat trocento fu rono diffusi nelle vallimonregalesi da Antonio da Monte regale.Se i pittori monregalesi di se conda metàQuattrocento porte ran no tale lin guaggiocortese a scadere in formule ripetitive, di-ver samente i pittori di Roccaverano riu-sci rono a rivitalizzare il sostrato tre -quattrocen tesco, collocandosi all’interno

di una svolta in senso fiammingo e pro-venzale che inte res sò, intorno agli anniCinquanta e Sessanta del se colo, le areedel Po nente ligure, del basso Piemonteoc ci dentale e del Nizzardo.

La luce, tema pregnante della pitturapro venzale, emerge nella re sa fortementechiaro scurata delle figure, dove si rilevaanche l’uso del le ombre portate. Il mododi costruire le vesti e la sensibilità per gliscenari tesa a “moltiplicare gli spazi”, te-stimoniano una cono scen za da parte deipittori della bottega di Roccaverano ditemi franco-fiam minghi che troverannola loro massima espressione nel ciclo diSan Giovanni, ponendolo per que sto aduna data più tarda rispetto alle pitture diMurialdo e Calizzano e Spigno19.

Il trattamento delle vesti, per corse dapieghe geometriche, spez zate, che sirom pono a terra, trova la sua più evidenteespres sione nel le figure della volta diRoccaverano tanto da poter ipotizzare lapresen za di una mano distinta da quellache opera sulle pareti e sull’arco trion-fale. Nella crociera i volti delle figure ap-paiono più dolci e malin conici rispettoquelli più arguti e ammiccanti delle santee delle Sto rie del Battista, così gli angelinon presentano la particolare arriccia turadel guarnello. La stessa imma gine delPrecur sore, seppur danneg giata da caduted’into naco, è avvol ta da un manto checela la veste di pelli e presenta un voltotondeg giante cir condato da corti capelli

e non la ribelle e lunga capigliaturadel Battista nel Battesimo di Cristo.

Esiti simili al maestro della cro-ciera si ri scontrano nelle opere di pit-tori itineranti che operano fraPiemonte, Liguria e Nizzardo, co mei fratelli Biasacci20 e Giovanni Cana-vesio. Nelle pitture di Canave sio siriscontra il trattamento spez zato deipanneggi, ma non corri spon de ai pit-tori di Roccaverano la costruzione diun’architettura elabo rata, con so -vrapposizioni o accosta menti di am-bienti. La narrazione, inoltre,fortemente espressiva, è svol ta dapersonaggi in pose ango lose e daigesti concitati21.

Il superamento del linguaggio cortesepiù stretto, le spigolosità nel la resa deipanneggi e l’accogli mento della conce-zione provenzale delle ombre collocanol’attività del la bottega che opera nel pre-sbiterio di Roccaverano in un momentoavan zato del XV secolo, da circo scriverenell’ultimo ventennio. Al l’ul timo quartodel Quattrocento ri po rta, inoltre, lagamma degli abiti e delle acconciaturedei per sonaggi raffigurati nel Banchettodi Erode, nella Nascita del Battista enella Decollazione. Le cotte e i farsettipre sentano maniche aperte dal go mi to alpolso che lasciano in vista la camicia, unamoda che compare intorno al 1470 e per-dura fino alla fine del secolo evolvendosiin lar ghe aperture al gomito e poi allaspalla da cui fuoriescono gli sboffi dellacamicia. La vita delle cotte femminili èsegnata sotto il petto e non ancora in po-sizione naturale come avverrà a fine se-colo, secon do il gusto rinascimentale. Leac con ciature dei personaggi femmi nili,co stituite da trecce annodate at torno allatesta fermate da nastri che lasciano liberealcune ciocche di ricadere ai lati del voltoricor dano, soprattutto per quest’ultimodet taglio, petti nature diffuse a par tire dal1475 ed oltre22. Il corto far setto abbotto-nato sul davanti indos sato dal carneficedi san Giovanni, dal quale spuntano ilacci per fis sare le calze, e il tipo dellemaniche rimandano a fatti della moda da-

A lato, la chiesa di San GiovanniBattista, antica parrocchiale diRoccaverano

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ta bili a partire dal 1480. Il piatto ber rettoindossato del giovane dipinto nel Ban-chetto di Erode e la sua acconciatura, co-stituita da una lun ga zazzera di capellifluenti che si diffonde tra i giovani a par-tire dalla metà del secolo, ri corrono in af-fre schi datati all’ultimo quarto del se colocome il ciclo delle Storie della Pas sione,dipinto da Giovanni Ca na vesio nella cap-pella di San Ber nardo a Pigna, firmato edatato 148223.

Alcuni dei caratteri stilistici propridelle figure dell’abside com paiono anchenelle pit ture della na vata di San Gio-vanni: si confronti ad esempio il vivaceviso della Ver gine in trono con quellodelle sante del sottarco; tut tavia, per altriele menti sembrano discostar sene. La de-corazione architettonica a nastro avvoltosu un ramo non compare nel presbi terio,mentre il gusto de scrittivo per le stoffedamascate, frequenti nelle altre pitture at-tri buite al Maestro di Roccaverano è so-stituito dalla decorazione a stam pino, ingran parte deteriorata, uti liz zata indiffe-rentemente nei fondi come sui manti24.Le figure del Cristo e del San GiovanniBattista sono rese in modo più espres sio -nistico e dal confronto con i sog getti fem-minili dell’abside appare uno scarto neltrattamento delle ve sti, che nella Verginedell’arco trion fale appaiono più solida-mente costruite. Una particolare piega la -terale, inol tre, simile ad un nodo,com pare nei manti del Cristo del l’In -coronazione e della Vergine con il Bam-bino. Il gesto intimo del Fi glio cheav vicina il volto a quello della Madre esi ag grappa alla sua veste riecheggiaquello della nota Vergine con il Bambinodel Metro poli tan Museum di New Jorkese guita da Vin cenzo Poppa (1480 circa);a sua volta avvicinata a una Madonna dicollezione pri vata ge no vese e forse pro-veniente dalla Li guria, eseguita da unanonimo pit tore fìammingo25. Questotema ico nografico, tratto da quello bizan-tino della ‘Glucofilousa’ è presente in Li-guria dalla seconda metà del Trecento inopere di Barnaba da Modena, Taddeo diBartolo e del loro ambito e persiste nel

solco di un particolare gusto ligure per iprototipi ar caici divenuto di grande attua-lità anche a se guito dell’impor tazione dioggetti bizantini dopo la caduta di Co-stantinopoli avvenuta nel 1453 e che glistessi genovesi avevano conser vato nelleloro colo nie orientali.

Rivolto ancora alla cultura d’Oltralpeè il tema iconografico po sto dall’Incoro-nazione della Ver gine, dove il Cristo eDio padre ap poggiano contemporanea-mente e spe cular mente la corona sul capodi Maria. Questa raffigurazione si con -nette ad esempi di pittura pro venzale enon ha riscontri in area padana. Si veda inparticolare l’In coronazione della Catte-drale di Car pentras26, realizzata da unano nimo pittore che si muove nell’or bitadi Enguerrand Quarton, autore della notaInco ronazione di Ville neuve-les-Avi -gnon, dove tuttavia una precisa volontàdella commit tenza di ambito certosinovoleva che la figura di Dio e di Cristocoincidessero perfetta mente27. Mol to vi-cina alla scena di Roccaverano èl’Incoronazione dipinta nella quarta cap-pella della chiesa des Cordeliers di Brian-con (1462-1468)28. Anche qui il Padre e ilFi glio siedono su un seggio marmo reo ela Vergine al centro è raf figurata in gestoorante. Il gruppo, inoltre, è circondato daangeli mu sicanti disposti ai lati come nel-l’af fresco di San Giovanni. Questo tipoiconografico appare in altri dipinti muralidelle Alpi meridionali tra Francia e Italiacome la chiesa di Vigneaux, la cappelladella Mado ne del Poggio a Saorge, in sanFiorenzo a Bastia di Mondovì, in NostraSignora dell’Assunzione a Macello29, inSan Sebastiano a Pe cette30, nella parroc-chiale di Rolet to, in San Bernardo di Ca-stelletto e nella cappella della Madonnadel Brichetto a Morozzo.

Esempi di questo tipo d’ico nografia sitro vano anche in area astigiana, comenelle tavole dipinte dal Maestro di SanMartino Alfieri conservate nella Pinaco-teca Civica di Asti (1503-1504). Si trattadi un autore di cultura provenzale, comedimostra l’uso dei colori a con trasto, de-bitore di Enguerrand Quar ton e del tardo

Ludovico Brea, con esiti vicini a JosseLiefe rinxe31. Anche Gandolfìno da Ro-reto dipin ge un’Incoronazione (fir mata eda tata 1493) di questo tipo iconogra ficonello scomparto superiore di un politticoeseguito per la chiesa di San Francescoad Alba, oggi alla Galleria Sabauda, an-ch’esso matu rato al l’interno del milieuculturale della costa li gure32.

L’intervento decorativo che in sistesulle pareti della navata della chiesa diSan Gio vanni Bat tista, fu eseguito nel1502, pochi an ni prima della realizza-zione della nuova par rocchiale. Al-l’aprirsi del Cinque cen to non solo ilvescovo Bruno ma altri personaggi ap -partenenti alle famiglie Scarampi e DelCar retto furono protagonisti di un’impor -tan te stagione di committenze nei feu didella Val Bormida di loro perti nenza. Senei casi della costru zione degli edifici par-rocchiali di Rocca verano e Saliceto furonoscel ti modelli di ri ferimento di tipo rina -scimentale, nel caso della pit tura muralel’introduzione delle nuo ve istanze cultu-rali fu più stemperata e meno eclatante33.

Testimonianza di questa commit tenzarivolta ad ar tisti che non ave vano ancoracom ple tamente assimi lato la le zione ri -nascimentale già ampiamente ac coltanella vicina Savona, è il ciclo pittoricodella navata di San Gio vanni Battista rea-lizzato da un atelier di artisti che muo-veva da un ambiente culturale comune aquello della bottega del Maestro di Roc-ca verano34. In un mo mento succes sivo ri-spetto ai pit tori del presbi terio, essipropongo no alcuni ele menti in senso ri-nasci mentale come compaiono nel ter -ritorio ligure - piemontese intorno aglianni No van ta del Quattrocento, sulla sciadell’eco suscitata dal polit tico Della Ro-vere di Vincenzo Poppa a Sa vona. Non sipuò tut tavia escludere che l’interventode co rativo all’in terno della cappella siastato ese guito in un’unica cam pagna de-co rativa da una bottega dove opera vanopersonalità molto diverse.

Note1 Le prime notizie riguardanti la chiesa ri-

salgono al 25 novembre 1345. In un documento

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relativo all’investitura delle decime delluogo di Roccaverano concessa a MatteoScarampi si specifica che una parte di taliproventi, come accadeva in passato, dovevaessere riservata alla chiesa di San GiovanniBattista. Si ricorda, inoltre, che tale privi-legio ri saliva a una data anteriore al Conci-lio Lateranense, ovvero al 1215. Cfr.PAVONI 1977, doc. 253. Sulla chiesa di SanGiovanni Battista confronta CALDANO S. inGIANBATTISTA GARBARINO e MANUELA

MORRESI (a cura di), Una chiesa Bramante-sca a Roccaverano. S. Maria Annunziata1509-2009, Atti del Convegno. Roccaverano,29-30 maggio 2009, Archivio Vescovile Acqui,Istituto Internazionale di Studi Liguri SezioneStatiella

2 Il restauro dell’edificio non è databile,anche se la pre senza di un ciclo di affreschi da-tati 1502 fa supporre che a quella data i lavorifossero già conclusi. DELMASTRO 2002, p. 157.

3 Gli Apostoli Filippo, Simone e Giuda so-stengono il Libro con la mano avvolta in unlembo del manto: un gesto di rispetto nei con-fronti della sacralità del Testo che non trova peròaltri riscontri in area. Un esempio pinerolesesono i santi Pietro e Bartolomeo dipinti insiemeagli altri Apostoli nel presbiterio della chiesa diS. Bernardino a Lusernetta. Le pitture sono attri-buite al cosiddetto Maestro di Lusernetta (1450circa) cfr. ROMANELLO 1999, pp. 275-300 e bi-blio grafia prece dente. La mano che porta illembo del mantello a detergere il viso comparein raffigurazioni della Pietà o della Depo sizioneper esprimere dolore e dispe razione. Si possonoconfrontare a pro posito la Maddalena della Pietàdi Ville-neuve-lés-Avignon (Parigi, Musée duLouvre) attribuita ad Enguerrand Quar ton, le fi-gure di san Giovanni e della Mad dalena dipinteda Ludovico Brea nella Pietà della Cattedrale diMonaco (1505) e nella Crocifissione oggi allaPinacoteca Civica di Savona (1510-1520) e laMaddalena della Pietà del Museo Civico di Sa-vigliano (1510-1520) attri buita allo stesso Breao ad un suo epi gono. Per la Pietà del Louvre cfr.:LACLOTTE 1960, p. 87; STERLING; 1983, p. 81;ROSENBERG; 1999, p. 118; THIEBAUD 2004, pp.114-115. Per Ludovico Brea: BABY PABION 1991,in particolare alle pagine 168-169, 172; DE FLO-RIANI 1991 pp. 314-317, 409-418, 497-499; ZA-NELLI 1999, pp. 28-29, ORENGO 2005.

4. II Cristo in mandorla affiancato dai sim-boli degli Evan gelisti, generalmente dipinto nelcatino e accompagnato nella zona sottostante dauna teoria di santi e da un velario, costituisce untema iconografico notevolmente diffuso nelledeco razioni absidali dell’area geografica com-presa fra la Liguria e Piemonte fin oltre la meràdel secolo XV. Cfr. G. ALGERI 1991, p. 143; A

DE FLORIANI 1991, pp. 261-262. Nell’am bitodella diocesi di Acqui compare nella decora-zione del presbiterio della chiesa di S. Lorenzoa Cavatore dove un affresco più antico raffigu-rante la Madonna in trono col Bambino ap pareinglobato in una sequenza di Apostoli che occu-pano la fascia mediana dell’abside. Nel catino èdipinto il Cristo in mandorla tra i quattro Dot-tori della Chiesa e sullo zoccolo un velario. Ilciclo è stato riferito da Cuttica di Revigliasco amaestranze liguri-piemontesi attive nel XVI se-colo avanzato. Cfr. CUTTICA DI REVIGLIASCO G.1983, p. 147. Confronta anche GALLARETO G.1998, pp. 153-154. Più calzante appare l’ipo tesidi Rebora, che propone una cronologia com-presa fra l’ul timo decennio del Quattrocento e iprimi anni del Cinquecento, G. REBORA,1993;ARDITI, PROSPERI 2004, pp. 319-320. A tale pe-riodo, infatti, fanno riferimento le caratte ristichedelle vesti di sant’Apol lonia e dell’angelo chesostiene la man dorla del Cristo: le manicheaperte sui gomiti che la sciano in luce gli sboffidella camicia candida diverranno di moda a par-tire dall’ottavo decennio del Quat trocento. Allamoda francese rimanda, inoltre, l’abbigliamentodella sant’Agata, in particolare per il cappuccioalla fran cese, general mente nero, che qui com-pare riccamente ornato. Un simile copricapo,formato da un velo nero sormontato da una leg-gera cuffia ornata di perle, è indossato dalla do-natrice ritratta dal cosiddetto “Maestro di Crea”nel ciclo della cappella di Santa Margherita delSantuario di Crea (1477-1479). Anche l’ap -parato decorativo, dove compaiono candelabrevegetali alter nate a tondi e fregi a nastro avvoltilungo un tronco, è comune a tutta l’area appen-ninica almeno dalla metà del XV secolo.

5 II gruppo di pitture della zona presbiterialefu restau rato tra il 1978 e il 1984 dal laboratorioNicola, a cura della Soprintendenza ai beni Ar-tistici e Storici del Piemonte sotto la direzione diClaudio Bertolotto. BERTOLOTTO 1985, p. 31e p. 36, nota 21. Gli affreschi dell’aula furonorestaurati dal Laboratorio Nicola sotto la dire-zione di Elena Ragusa, RAGUSA 2002, pp.XXXVIII-XXXIX.

6 L’iscrizione, in capitali latine recita:/0[...] DIPIN / [...] /MINE SIMONIS GA-LESII/ [...] (DOMI)NI - M° - CCCCC-IIDIE 17.

7 Gli Scarampi avevano acquistato ilfeudo di Roccaverano nel 1337 dal mar-chese Manfredo IV di Saluzzo, alla cui fa-miglia era stato ceduto nel 1322 daManfredo II mar chese del Vasto e del Car-retto. Bertolotto 1985, p. 32.

8 Claudio Bertolotto propone una data-zione delle pit ture post 1481, ibidem, accoltada DE FLORIANI 1991, p. 268; BARTOLETTI

2002, p. 62; ARDITI, PROSPERI 2004, p. 381. ElenaRagusa indica una cronologia intorno al tardoQuat trocento, RAGUSA 2002, p. XXXVIII; SantinoMammola at tribuisce invece gli affreschi del pre-sbiterio e quelli dell’aula a un’unica campagna de-corativa realizzata nel 1502, MAM MOLA 2005, pp.210-211; MAMMOLA 2007, p. 76.

9 Sull’identificazione dello stemma e sullafamiglia De Pasqualibus, di cui alcuni membrisono documentati ad Acqui nel XV secolo cfr.ARATA A. in Una chiesa Bramantesca a Rocca-verano…, cit..

10 La volta della sacrestia è decorata dallefigure degli Evangelisti mentre le Storie dellaVergine occupano le lu nette delle pareti e unaserie di Profeti il sottarco. La Ma donna conBambino e angeli musicanti orna la lunettasopra il portale della chiesa. BERTOLOTTO 1985,pp. 34-35. Sugli affreschi di Murialdo confrontainoltre: RAINERI 1979, pp. 22 e sgg.; BARBERO

1974, p. 157; BRUNO 1982, pp. 170-174; BAR-BERO 1988, pp. 161-162, che giudicaval’affresco della lunetta anteriore a quelli dellasacrestia per i quali proponeva una datazione at-torno al 1470; DE FLORIANI 1991, p. 268;AA.VV. 1994, pp. 79-80; GALLARETO, PREGLIA-SCO 1995, p. 68; BARTOLETTI 2002, p. 60, ribadi -sce la cronologia delle pitture al settimodecennio del Quat trocento. Un’iscrizione checorre sulla lunetta del portale di San Lorenzoporta la data 1445: termine post quem per la rea-lizzazione dell’affresco.

11 Sulla crociera del portico sono dipinti ilCristo in mandorla tra angeli tibicini e risorti,San Giovanni Battista e San Giorgio tra duegruppi di penitenti bianchi suppli canti, tre santee penitenti bianchi, l’Arcangelo Michele chepesa le anime e trafigge il demonio tra l’angelocustode e un diavolo.

Per le pitture di Calizzano si vedano: BAR-BERO 1974, p. 158, nota 6; SUFFIA 1975, pp. 35-57; RAINERI 1979, p. 21; BERTOLOTTO 1985, pp.35-36; BARBERO 1988, pp. 161-162; DE FIO-RIANI 1991, p. 273, li colloca tra la fine del set-timo e gli inizi dell’ottavo decennio delQuat trocento; GALLARETO, PREGLIASCO 1995, p.

A lato, interno della antica par-rochiale di San Giovanni a Roc-caverano

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68; BARTOLETTI 2002, p. 60, li data agli anni set-tanta del XV secolo.

12 Sulla parete absidale sono dipinti l’ As-sunzione della Vergine, San Francesco che ri-ceve le stimmate e Santa Ca terinad’Alessandria. REBORA 1989, p. 90; GALLA-RETO, PREGLIASCO 1995, p. 148; ARDITI, PRO-SPERI 2004, p. 393, MAMMOLA 2006, pp.210-211, MAMMOLA 2007, p. 76 nota 37, che ri-porta il nome della chiesa come Santa Maria delCanneto in frazione Marana a Spigno Monfer-rato.

13 Un santo martire francescano, un sanBernardino da Siena e un san Francescod’Assisi. Per le pitture di Millesimo: BARBERO

1974, p. 160; BARBERO 1988, pp. 149-169; DE

FLORIANI 1991, p. 483, nota 75; OLIVIERI 1999,pp. 51, 55; BARTOLETTI 2002, pp. 62-63, per ilquale il raffronto tra il santo martire francescanoe le figure dipinte a Roccaverano appare piùstringente, mentre le nicchie a tutto sesto cheospitano San Bernardino e San Francesco pro-pongono un “tono timidamente rinascimentale”da collocare verso la fine dell’ottavo decenniodel XV secolo.

14 Per l’affresco staccato di Monticello:BARTOLETTI 11 2002, p. 60, LAMBOGLIA, SILLA

1951, pp. 66-67, MAM MOLA 2006, pp. 210-211,MAMMOLA 2007, p. 76.

15 GALANTE GARRONE, RAGUSA 2002 e bi-bliografia re lativa.

16 BERTOLOTTO 1985, p.35.17 Ivi, p. 36.18 II pittore prende il nome dal ciclo di af-

freschi che decora il presbiterio e l’arco trion-fale della chiesa di San Ni colò di Bardineto.ALGERI 1991, p. 144, per la quale queste pitture,eseguite entro il quarto decennio del Quattro-cento, non trovano confronti in area ligure, ma siavvicinano ad esperienze figurative piemontesicome il ciclo eseguito da Dux Aimo a Villa-franca Sabauda (1430 circa).

19 DE FLORIANI 1991, p. 268. Bertolotto ac-cenna all’evoluzione del trattamento dei pan-neggi che in San Giovanni sono “spigolosi”anziché “ondulati” e la spiega, oltre che con me-diate influenze “nordiche”, con una possi bilescelta arcaizzante, forse “in rapporto alla solen-nità dei temi” rappresentati. BERTOLOTTO 1985,p. 35, nota 17.

20 Su Matteo e Tommaso Biasacci, ROS-SETTI BREZZI 1985, pp. 26; NATALE 1996 pp. 51-54; GALANTE GARRONE 1998, pp. 117-118;CILIENTO 2001, pp. 93-108; CERVINI 2004, pp.84-106, n. 2; SISTA 2005, pp. 51-53

21 Sull’attività di Giovanni Canavesio e lesue fonti iconografìche cfr. DE FLORIANI 1992,pp. 324-348, 373- 378; NATALE 1996, pp. 39-54con bibliografia precedente.

22 Si confronti ad esempio l’acconciaturadella santa Margherita dipinta nella cappellaomonima del Santuario di Crea (1474-1479).

23 Nella scena di Cristo davanti a Pilato èraffigurato un giovane che indossa una cortaveste con le maniche tagliate all’altezza dei go-miti, da cui fuoriescono gli sboffì della camiciabianca, una lunga capigliatura fluente e un piattocopricapo come si vedono a Roccaverano nelcarnefice di san Giovanni e nel giovane raffigu-rato nel Banchetto di Erode.

24 Un decoro a stampino diverso da quellodelle figure dell’aula è presente nella veste del-l’apostolo Bartolomeo di pinto sulla parete difondo dell’abside.

25 Castelfranchi Vegas ipotizza una prove-nienza ligure della tavola per le modalità di ese-cuzione del fondo oro, di tipo lombardo e nonfiammingo. CASTELFRANCHI VEGAS 1981, pp. 3-9. Secondo De Floriani ciò potrebbe spiegare“certe scelte tipologiche e i patetici accenti” checaratteriz zano la citata Madonna di Foppa edaltre opere liguri. DE FLORIANI 1992, pp. 246-247.

26 STERLING 1983, pp. 133-137, figg. 138-140.

27 STERLING 1983, pp. 39 e 133-137; THIH-BAUT 1999, pp. 116-118.

28 II ciclo è stato attribuito a BartolomeoSerra. ENAUD 1976, pp. 34-42, Rossetti Brezzi1977, pp. , ENAUD 1989, pp. 82-87, LASSANDRO

1994, p. 40.29 Opera di Aimone Duce (1429) che di-

pinge anche l’Incoronazione della Vergine nellaCappella di S. Maria di Missione a VillafrancaPiemonte.

30 Le pitture di Pecetto sono attribuite a Gu-glielmo Fantini (1440-1445).

31 ROMANO 1978, pp. 10-20 data le tavole al1490 circa; BERTOLOTTO 1979, pp. 28; PASSONI

1987, p. 45; VILLATA 1996, pp. 224-225; VIL-LATA 2000, pp. 85-91; VILLATA 2001, pp. 68-69;VILLATA 2002, pp. 81-102.

32 Per il polittico della Sabauda si veda BA-IOCCO 1996, pp. 246-250 e bibliografia relativa.

33 Si tratta di Carlo Domenico Del Carrettoche fece realizzare la parrocchiale nuova di Sa-liceto e gli affreschi dell’Oratorio di San Seba-stiano a Paroldo e Bartolomeo Scarampi chefece realizzare il suo monumento funerario nel-l’abbazia di Ferrania MAMMOLA 2007, pp. 65-96.

34 Secondo Elena Ragusa la datazione al1502 delle pit ture dell’aula “conferma quellatardo quattrocentesca proposta nel 1985 daClaudio Bertolotto”, RAGUSA 2002, p.XXXVIII. Mammola assegna le pitture dell’aulae del presbiterio ad un unico intervento risalenteal 1502. MAMMOLA 2007, p. 76.

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VILLATA E. 2001, Scheda n. 22, in Ma-crino d’Alba protagonista del Rinasci-mento piemontese, a cura di G. Romano,catalogo della mostra, Alba-Savigliano, pp.68-69.

VILLATA E. 2002, Postille al Maestro diSan Martino Alfieri, in Intorno a Macrinod’Alba. Aspetti e problemi di cultura figu-rativa del Rinascimento in Piemonte, Attidella giornata di studi, Alba 30 novembre2001, Savigliano, pp. 81-102.

ZANELLI G. 1999, Genova e Savona nelprimo Cin quecento, in La pittura in Ligu-ria. Il Cinque cento, a cura di E. Parma, Ge-nova, pp. 27-56.

Alle pagg. seguenti, in alto, Maestro diRoccaverano e atelier, presbiterio, sullepareti laterali sono affrescate le Storiedi San. Giovanni Battista, ultimo ven-tennio del XV secolo. Sulla parete difondo sono dipinti nel registro superioreMaria Addolorata e San Giovanni Evan-

gelista protagonisti di una rappresenta-zione della Crocefissione mutila a seguitodell’apertura di una finestra. Nel registroinferiore una serie di otto Apostoli entronicchie con archi lobati sorretti da sottilicolonne, e sotto fasce con ornati ed ele-menti vegetali. Sec XV fine

A pag. 216 in basso, presbiterio, paretenord, da sinistra San Giovanni Battistacondanna Erode, Battesimo di GesùCristo

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M. di Roccaverano, Cristo Pantocratore, volta del coro, part.

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Maestro di Roccaverano e atelier, Il banchetto di Erode,ultimo ventennio del XV sec., parete nord

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Matteo Vinzoni1 aveva più di settan-t’anni nel 1764 quando firmò la famosacarta di Ovada2, nella quale erano segna-lati in modo distinto tutti gli edifici prin-cipali della cittadina.

Egli lavorava allora assieme al figlioPanfilio, che portava il nome del nonno.I Vinzoni erano una dinastia di militari,almeno a cominciare dal colonnello Gio-vanni Francesco, al quale il figlio Panfi-lio - il primo Panfilio, padre di Matteo, -era stato assegnato nel 1664 come aiu-tante, stipendiato però solo dal 1671.Questo ragazzo avrebbe poi sviluppato,fin dagli anni 80 del secolo, notevoli ca-pacità di cartografo e organizzatore neilavori per la fortezza S. Maria della Spe-zia, coltivando anche una significativaabilità diplomatica e la capacità di ritro-vare e leggere i documenti degli archivi,specifiche assai utili in “materia di con-fini”, di cui si sarebbe poi occupato alungo.

Le sue qualità gli avevano concesso,nel 1697, come era accaduto per lui e suopadre, l’ammissione “a stipendii conpaga da soldato” del figlio Matteo, ap-pena settenne, essendo nato nel 1690.

Quella di Matteo, l’autore ufficialedella nostra carta, era poi stata una lun-ghissima carriera, tale da ricoprire quasiper intero il secolo XVIII e diventarneuna eccellenza, l’ingegnere-geografo tra-ghettatore della cartografia dal metodoantico, ancora pittorico, a quello mo-derno, ormai scientifico.

Intorno al 1710 era stata fondata a Ge-nova, per opera di Giuseppe GiovanniBassignani e di Giovanni Gherardo deLanglade, la “Scuola d’Architettura Mili-tare”, alla quale Matteo Vinzoni sarebbestato ammesso nel 1715 e che gli avrebbepermesso di svolgere in prima persona,come altri validi giovani frequentatori,quei compiti di grande importanza per laRepubblica che in precedenza erano affi-dati a cartografi stranieri, dalla fidatezzanon del tutto sicura.

Dagli anni 20 del secolo egli percorsepertanto, e disegnò, il territorio della Re-pubblica e i suoi confini dovunque ci fos-sero contese, ma anche dove fosseronecessarie opere idrauliche, stradali omurarie, conservative o migliorative del

territorio, o dovunque lo portassero gliinteressi genovesi di qualsiasi natura.Venne così tracciando un numero di cartestrepitoso, tra locali e generali, e ci lasciòun famoso Atlante, conservato oggipresso la Biblioteca Berio, dal titolo “IlDominio della Serenissima Repubblica diGenova in Terraferma”.

Tutto questo panegirico serve per fareintendere l’importanza e il valore storicodi una carta disegnata da un certo autorein una certa epoca, tenendo presente però,come scrive il Raffertin, che “nessunarappresentazione, per precisa che sia, puòdispensarci dal ritorno alla realtà”. Que-sto ritorno però non è per niente facilequando la realtà rappresentata appartienea parecchi secoli prima e solo l’esame deidocumenti coevi può aiutarci nella ri-cerca.

Andiamo comunque ad esaminare lanostra carta, che non ci è nuova e che giàci è servita per individuare il luogo dovesorgeva un tempo l’Oratorio di S. Seba-stiano, quello ormai scomparso3. Ma par-tiamo questa volta dal Castello, che sitrovava sulla punta estrema del borgo, af-facciato dove l’Orba e lo Stura mischianole loro acque, dove ora c’è Piazza Ca-stello, senza però il castello.

Salita la scalinata che vi si immette,percorriamo dunque la strada principale,oggi Via Roma, fermandoci agli edificicolorati in rosso, quelli più importanti.Ecco la Loggia con l’Archivio Pubblico4,il centro della vita economica e giuridicadell’antico borgo. Anche questo edificiooggi non esiste più, mal’Amministrazione moderna ne ha trac-ciato la pianta sulla pavimentazione dellapiazzetta per rinverdirne la memoria.

Passata la piazza, pieghiamo a sinistrae ci troviamo davanti all’antica parroc-chiale dedicata all’Assunta e a S. Gau-denzio. Oggi l’edificio è una sala poli-funzionale, adibita soprattutto ad esposi-zioni di varia natura, ma non nascondecerto le sue origini religiose e viene chia-mata Loggia di S. Sebastiano per i motiviche abbiamo più volte spiegato5.

Torniamo indietro e riprendiamo ilcammino arrivando alla prima cerchia dimura, di cui oggi resta traccia nell’edifi-cio a sinistra con lo spigolo arrotondato

che ricorda la torre di una porta. Supe-riamo le mura, a destra e a sinistra ci sonodue vasti spazi aperti, come usava untempo perché il nemico non potesse avvi-cinarsi troppo, nascondendosi tra le co-struzioni extra murum. La città però giàallora non finiva più alle mura e il BorgoNuovo si stendeva sulla direttrice di duestrade.

Imbocchiamo la prima strada impor-tante, oggi Via S. Paolo della Croce, al-lora Via S. Antonio. Superato il primovicolo a sinistra ecco l’Oratorio dell’An-nunciata e poco più avanti la piazza conla chiesa dei Domenicani. Portiamoci da-vanti al portale di questa chiesa: a sini-stra, un po’ rientrato nell’attuale giardinodei Padri Scolopi, come sappiamo ecome appare dalla carta, c’era alloral’Oratorio dei Confratelli di S. Sebastano.

Ritorniamo sulla strada e prose-guiamo, arrivando così alle nuove mura,sulla linea di via Torino; più avanti incon-triamo la chiesa e l’ospedale di S. Anto-nio, l’una quasi di fronte all’altro. Avantiancora ed eccoci alla cappella di S. Bar-tolomeo. Essa non c’è più oggi, è vero,ma ne esistevano ancora tracce nel secoloscorso6.

A volo d’aquila ritorniamo alla primacerchia di mura e imbocchiamo l’altrastrada importante, oggi Via Cairoli, arri-vando fino alla chiesa dei Cappuccini o,meglio, della Concezione, come vennechiamata al suo sorgere. Poco più avanti,piccola piccola, la cappella di S. Bernar-dino, oggi trasformata nel Bar “I due fa-rabutti”.

Con questa bella passeggiata abbiamoriconosciuto tutte le chiese importanti diOvada? Dalla carta del Vinzoni sembre-rebbe proprio di si, ma in realtà non ab-biamo trovato l’Oratorio di S. GiovanniBattista. Non esisteva forse ancora?

Esisteva eccome! Era sopraelevato,come oggi, e vi si entrava passando dallaparrocchiale, attraverso una scaletta rica-vata nella parete della navata di destradell’edificio. Abbiamo tanti documenti inproposito7, eppure sulla carta vinzonianatroviamo al suo posto solo edifici civili epersino un orto o giardino, mentre, e quientriamo addirittura nell’assurdo, nellapiazza dove ora sorge la nuova grande

L’oratorio incompiutodi Paola Piana Toniolo

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parrocchiale dell’Assunta era stato dise-gnato un altro edificio, con la dicitura “S.Gio. Batta. Oratorio principiato”.

Come possiamo spiegare tutto que-sto? Il Podestà ha immaginato che nellapiazza in questione sorgesse una primi-tiva piccola cappella dedicata al Precur-sore8, sostituita in seguito dall’attualeOratorio. Ma perché mai i Confratelliavrebbero dovuto abbandonare una cap-pella posta in posizione tanto felice, e chepoteva essere facilmente ampliata, per in-filarsi in un passaggio obbligato, dentroil muro di un’altra chiesa, per salire in unlocale così nascosto, tanto nascosto cheil disegnatore non l’aveva neanche vistoe non ne aveva lasciato traccia nella cartaa nostra disposizione?

Anche ammettendo che i disegni pre-paratori non fossero del Vinzoni, ma deisuoi assistenti, certamente meno accuratie precisi di lui, dobbiamo credere comun-que che, se non erano saliti in S. Gio-vanni, non si erano certamente inventatil’Oratorio di piazza, che non era antico,ma, come essi avevano denunciato, addi-rittura solo “principiato”.

E allora? Io metterei la mano sulfuoco che le cose erano andate in questomodo: un assistente, presentando al Vin-zoni i disegni eseguiti, aveva detto oscritto con poche parole, per la cappelladi piazza, che si trattava di un oratorio incostruzione e il Nostro, che sapeva leg-gere le carte d’archivio e sapeva quindiche in Ovada c’erano tre Confraternite,aveva naturalmente pensato che fossero iConfratelli di S. Giovanni quelli impe-gnati nella costruzione, visto che noncompariva alcun oratorio di loro pro-prietà. Poverini, non avendo ancora unasede autonoma, se la stavano costruendo!Quello doveva essere stato il suo pen-siero!

Ed aveva sbagliato! I Confratelli di S.Giovanni avevano un loro oratorio al-meno dal sec. XV. Quello in costruzioneapparteneva in realtà ai Confratelli del-l’Annunziata!!!!! Paolo Bavazzano giànel 1990 ne aveva dato notizia9, ma pochil’avevano notata, forse perché era statapresentata con poco rilievo e, si sa, legente è distratta. D’altra parte potevasembrare una assurdità, perchè la realtà

non è sempre semplice da capire ed ab-bisogna spesso di spiegazioni. Vediamodunque di fornirle.

Non è certo una novità che gli annidal 1745 al 1749 siano stati assai turbo-lenti per il nostro territorio ed in Ovadasiano passate o si siano stanziate, comeamiche o nemiche non importa, truppe divaria nazionalità nell’ambito della guerraper la successione austriaca10, quella delBalilla per intenderci, tutte comunque de-siderose di servirsi dei beni degli Ovadesie di sistemarsi nelle loro case e nelle lorochiese.

L’Appaltatore della Corona di Spagnaera stato il primo, nel 1745, a requisirel’Oratorio per farne “quartiere dei sol-dati” 11 e “magazeno di farina”12, poi nel’47 l’edificio era diventato magazzino dafieno per conto del comandante tedesco13

e infine, nel ’48, sotto i Francesi, ancoramagazzino di merce varia14.

Per fortuna si era provveduto a por-tare in luogo sicuro, a Genova, - luogoche si era rivelato davvero sicuro, nono-stante tutto, - gli argenti della Confrater-nita e le cose più preziose, libricompresi15, ma erano state sospese tuttele attività, religiose ed economiche, ed ilcassiere Paolo Buffa era stato addiritturaimprigionato e portato in Alessandria,dove era stato a lungo detenuto come“ostaggio”16. Il 22 dicembre 1748 il se-gretario della Confraternita scriveva:“Per caosa delle guerre sono stati tre annisenza potere in questo Venerando Orato-rio fare officiatura di sorte alcuna”17, male solennità più importanti erano state fe-steggiate, diciamo così, visti i tempi duri,nella parrocchiale, come il cassiere Buffascriveva di aver saputo18. Ma è ovvio chepoco si scrisse in quegli anni ed a noi ri-mangono solo i pochi e discontinui cenniche abbiamo riportato.

Possiamo facilmente immaginare co-munque le condizioni del fabbricatoquando i soldati se ne furono tutti andativia dalla cittadina e si potè finalmenterientrare nell’edificio sacro, che di sacroormai non aveva più nulla. Altari di-strutti, pareti crepate o almeno scrostate,pavimenti divelti, scritte più o meno bla-sfeme sui muri affumicati dai fuochi deibivacchi. Era accaduto dovunque si erano

fermate delle truppe, non solo all’Annun-ziata19, ma era certo difficile riprendervile consuete attività. Nella memoria deiConfratelli erano scolpite immagini nondimenticabili.

E le spese? Rimettere in ordinel’Oratorio sarebbe costato come co-struirne uno nuovo, e forse più. Così ilpensiero di un edificio tutto nuovo co-minciò a correre fra i fedeli, ad ingros-sarsi ed a farsi ogni giorno piùlusinghiero e più convincente, anche semolti volonterosi si davano comunque dafare per riparare il tetto e le mura “lo-gore”, porre impannate alle finestre, ri-fare la balaustra e provvedere la sacristiaalmeno di un “armario”20.

Il rettore ed i consiglieri provvede-vano intanto ad avviare burocraticamenteal Senato Genovese la richiesta di auto-rizzazione a costruire un nuovo oratorio21

e la domenica 29 agosto 1751 essi comu-nicavano22 ai 138 radunati nella chiesache era stata loro “conferta e concessa fa-coltà di poter nuovamente errigere e con-struere la fabrica di questo venerandooratorio sulla piazza ossia piazzo dettovolgarmente delle donne in questo luocod’Ovada”, secondo il desiderio espressodai confratelli. Chiedevano pertantol’approvazione di quanto da loro com-piuto - immediatamente ottenuta con voti125 favorevoli e 8 contrari, - el’autorizzazione a porre in vendita tutti iloro beni stabili, compreso l’edificio nelquale si trovavano in quel momento. Na-turalmente si sarebbe mantenuto il pos-sesso e l’uso del l’oratorio, anche quandofosse stato venduto, “fino a che sii reso ilnovo in stato decente abile ad officiarsi”,e tra tutti i possibili acquirenti si sarebbeprivilegiata “la veneranda Archiconfra-ternita di S. Sebastiano Morte et Ora-zione del presente luogo di Ovada”.Anche questa seconda proposta era stataapprovata a grande maggioranza, con 128voti favorevoli e 5 contrari.

Non s’era perso tempo e, sedutastante, si era provveduto alla nomina dicoloro che avrebbero diretto i lavori ne-cessari e si erano assegnate le prime in-combenze.

Il 17 ottobre successivo il priore pro-poneva al Consiglio23 di scegliere un ar-

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Nella pag. a lato, in alto, la pianta di Ovadadel 1773 eseguita da Matteo Vinzoni in cui èvisibile alla lettera Q l’oratorio in costru-zioneNella stessa pag., in basso a sinistra, iConfratelli di San Giovanni escono dalloro Oratorio, portando il gruppo ligneodel Battesimo di Gesù.A destra i Confratelli dell’Annunciata sfi-lano per le vie cittadine (P.zza XX Settem-bre)A lato, L’Annunciazione dell’Oratorioomonimo In basso i Confratelli dell’Annunziatapercorrono le vie di Ovada reggendo lacassa processionale della Madonna delCarmelo, di Luigi FasceSotto, la Madonna del Carmelo consegnalo scapolare a s. Simone Stock.

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chitetto di valore cui affidare il compitodi preparare “il modello del nuovo oratto-rio”, specificando bene le spese cui si sa-rebbe andati incontro per il suo onorarioe la fabbrica24.

L’architetto prescelto era stato poi ilsignor Montano, mentre il signor Anto-nio Bonfante aveva avuto il compito di“capo mastro et inzeniere”25. I ConfratelliGiovanni Francesco Prasca, Matteo Toso,Antonio Rossi e Domenico Nervi eranostati quindi eletti per “fabricieri”, “con lafacoltà a medemi di dirigere la nova fa-brica dell’Orattorio e provedere di qua-lunque sorte de materiali necesari a dettaopera et ogni sorte de lavoranti, sia dimaestri da muro come di qualunque altrasorte di lavori, cioè ferramente, legnamiet altro”26.

All’inizio dell’estate tutti i preparativierano stati terminati e non c’era che dacominciare l’opera.

Non sappiamo quali fossero stati finoad allora i rapporti con la Curia vescovileperché non ne abbiamo trovato documen-tazione, ma certamente le autorità reli-giose avevano approvato e sostenutol’iniziativa. Così il 20 luglio 1752 i No-stri indirizzavano al Vescovo la presentesupplica27:

“Eccellenza Reverendissima,li confratelli del venerando Oratorio

di Nostra Signora d’Ovada, quali oramaisono in procinto di dar principio a novifondamenti per la fabrica già nota all’Ec-cellenza Vostra Reverendissima, per lanova strazione o sia edificazione del me-desimo, suplicano con ogni ossequio lapaterna sua pastorale bontà volersi de-gnare di delegare loro il Prevosto, o chimeglio, per la benedizione all’imposta diprima pietra ad una tal fabrica a maggiorgloria della Beata Vergine e spiritualevantaggio di questo popolo, il che spe-rando le fanno profondissima riverenza”.

Il vescovo Alessio Ignazio Marucchiil 24 luglio rispondeva affermativamentee delegava il parroco ovadese alla biso-gna. Sul retro del documento una manoposteriore ha annotato, a fianco della pa-rola Oratorio: “quale dovevasi riedificareove si trova presentemente la Chiesa Par-rocchiale”.

Per chi non avesse ancora capito, pre-

cisiamo dunque che “la piazza delledonne”, oggi piazza Assunta, contrappo-sta alla “piazza degli uomini” detta anche“piazza del pallone”, oggi piazza Gari-baldi, era stata destinata ad essere la sededel nuovo Oratorio dell’Annun ziata e sierano anche iniziati e portati abbastanzaavanti i lavori se i delegati del Vinzoni neavevano lasciato un disegno così com-pleto.

Ma da Genova era improvvisamentee inspiegabilmente giunto uno stop. C’eraforse in cammino un nuovo programma?Si, anche nelle alte sfere si cominciava aparlare di una nuova parrocchiale perOvada. Non che la cosa fosse già decisa,ma se ne parlava… e si sa come vannoqueste cose… si comincia con parlarne epoi…

D’altra parte la parrocchiale ovadeseera ormai proprio in condizioni pietose…Pensiamo che la prima supplica degliOvadesi per ottenere da Genoval’autorizzazione a costruirsi una nuovaparrocchiale era stata presentata l’11maggio 1741 ai Sindacatori d’Oltregio goMassimiliano Sauli ed Agostino Adornoin visita d’ispezione sul territorio, una se-conda il 23 maggio del 1743 ai nuoviSindacatori Francesco Maria Spinola eSebastiano Pallavicini, ma non c’eranostate risposte concrete28. Poi era interve-nuta la guerra per la successione austriacacon i suoi guai e non se n’era fattonulla….. forse però i tempi erano ormaimaturi…

I Confratelli intanto avevano conti-nuato i loro lavori, finchè nel 1754 era ar-rivato quell’ordine di sospensione dalMagistrato di Guerra. Questo documentonon ci è rimasto, ma la successiva sup-plica dei Confratelli sì. La leggiamo in-teramente, stupiti che essi non avesserointeso subito il sottinteso dell’in ter -vento29.

“Eccellentissimi Signori,d’ordine del Magistrato Eccellentis-

simo fu inibito ne mesi passati a che nondebba proseguirsi dal popolo di Ovadal’intrapresa costruzione di un ora torio digià in buona parte costrutto e che deside-rano terminare nel detto luogo; ma come-che detta terminazione non puole recarealcun benche minimo pregiudizio ne al

pubblico ne al privato, ne anche sebbenequello si edifichi vicino a certe mura, chedividono il borgo di dentro da quello difuori, queste però non sono mura che ri-serrano il luogo e quasi ad un occasioneservir debbano per qualche riparo, anzisono dall’antichità quasi diroccate; ecome che tropo sensibile riesce a dettopopolo non poter continuare la costru-zione ed ultimazione del detto oratorio,avendone anche prima di cominciarne lafabbrica ottenuto il permesso dal Serenis-simo Trono, così detto popolo umilmentesuplica l’Eccellentissimo Magistrato avolersi degnare di ammovere sudetta ini-bizione e consolarlo acciò possa ringra-ziare la Gran Regina del Cielo e Padronadi questa Serenissima Dominante, a cui èdedicato il sopradetto oratorio, particolar-mente delle grazie ottenuteci negli anniscorsi delle passate emergenze, e pregareper la conservazione di questo Serenis-simo Governo e particolarmente delleVostre Eccellenze, alle quali sudetto po-polo si dà l’onore di dimostrarsi in tutte leoccasioni ubbidientissimo e, sperando ciòottenere, loro fa profondissima rive-renza.”

Il 16 marzo la supplica era letta difronte al Magistrato di Guerra e il 30marzo successivo veniva approvata laproposta di permettere al popolo d’Ovadadi completare “l’intrapresa costruzionedell’oratorio già in parte costrutto, conobligo però al medesimo che, in qualon-que caso dovesse ex causa publica demo-lirsi, detta demolizione debba farsi aproprie spese di detto popolo”.

Sembrava una vittoria e tutti si eranorimessi all’opera con grande impegno.Già un mese dopo essi infatti chiedevano,ed ottenevano, dal vescovo Marucchi,l’autorizzazione a lavorare anche neigiorni festivi trasportando “li necessari edopportuni materiali […] perl’edificazione di detto nuovo oratorio”30.

Ma l’entusiasmo era durato poco.Non possiamo certo stupirci se i lavoripresto si fermarono: quale sicurezzac’era, infatti, che tutto andasse a buonfine? Cosa significava quell’impegno adabbattere l’oratorio a proprie spese excausa publica? Cos’era questa eventualecausa di pubblico interesse? Cosa si na-

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scondeva dietro tutte quelle chiacchiere?Non erano promesse veritiere, di cui sipotesse fidarsi. Troppi se, troppi ma… epoi si cominciava a riparlare della neces-sità di una nuova parrocchiale31…

I Confratelli a poco a poco si ritira-rono in buon ordine e, abbandonata la co-struzione “principiata” senza più pro- testare, tornarono al loro vecchio carooratorio e ripresero ad impegnarsi con lamassima cura per farlo ritornare all’an-tico splendore, anzi per abbellirlo ed or-narlo quanto nessuno avrebbe maicreduto.

Dal 1756, che possiamo indicarecome l’anno della rinascita, infatti, ab-biamo un crescendo di lavori di altissimaqualità. Non solo il “capo maestro mura-tore” Giovanni Zunino poteva poi van-tarsi di avere “da fondamenti rifatto emodernato in tutte le sue parti il vene-rando Oratorio della SS. Nonziata e Car-mine”32, ma nel 1759 il prevostoGiovanni Guido Perrando, delegato dalVicario Vescovile mons. Giacomo Mar-rone, benediceva il nuovo altare dedicatoalla Madonna del Carmelo ed a S. Al-berto, rifatto interamente33. E intanto sirinnovavano gli arredi, si arricchivanocon nuovi acquisti gli antichi argenti, siordinavano nuovi crocifissi, si compera-vano tovaglie e abiti ricamati, per la litur-gia e per gli aderenti, si chiamavanomarmorari, doratori, pittori, si riordina-vano gli archivi, si creavano nuove Com-pagnie, si ottenevano nuove adesioni…Ne abbiamo già parlato34 e ne parleremoancora!

Note1 Le notizie sui Vinzoni sono tratte da: C.

RAFFERTIN, Carta e potere o dalla duplicazionealla sostituzione, in “Cartografia e istituzioni inetà moderna. Atti del Convegno 3-8 novembre1986, Genova, Imperia, Albenga, Savona, LaSpezia”, Atti della Società Ligure di Storia Pa-tria, Nuova Serie, vol. XXVII (CI), pp. 21-31;E. GRENDI, La pratica dei confini fra comunitàe stati: il contesto politico della cartografia, ibi-dem, pp. 133-145; M. QUAINI, A proposito discuole e influssi nella cartografia genovese delSettecento e in particolare di influenze franco-piemontesi, ibidem, pp. 783-802. “Carte e car-tografi in Liguria”, a cura di M. QUAINI.Catalogo della Mostra di Albenga, La Spezia,Imperia, Savona del 1986, passim; C. CUNEO,

L’ovadese e i suoi confini nella cartografia traXVII e XVIII secolo, in AA. VV. Ovada el’Ovadese. Strade, castelli, fabbriche, città, acura di V. COMOLI MANDRACCI, Cassa di Rispar-mio di Alessandria, 1997, p. 59.

2 AA. VV., Ovada e l’Ovadese.cit., p. 45, fig.n. 51; A. LAGUZZI, Ovada. Guida storico arti-stica, Accademia Urbense Ovada, 1999, p. 16,con indicazione errata della data, nel 1783 in-fatti il Vinzoni era già defunto.

3 Da non confondersi con la Loggia di S. Se-bastiano, che al tempo era ancora la Parrocchialedi Ovada. Vedi P. PIANA TONIOLO, Per la storiadelle Confraternite Ovadesi, in “URBS silva etflumen”, a. XIV, nn. 3-4, 2001, pp. 193-200;EADEM, Chiese e patroni d’Ovada, ibidem, a.XXV, n. 1, 2012, pp. 27-32.

4 P.G. FASSINO, Ovada scomparsa: la Log-gia Pretoria, in “URBS cit., a.XXIII, n. 2, giu-gno 2010, pp. 147-151.

5 Vedi P. PIANA TONIOLO, Per la storia delleConfraternite Ovadesi, in “URBS cit., a. XIV,nn. 3-4, 2001, pp. 193-200; EADEM, Per la sto-ria della Parrocchia di Ovada, in “URBS cit,. a.XV, n. 2, 2002, pp. 113-115; EADEM, Chiese epatroni d’Ovada, in “URBS cit., a. XXV, n. 1,2012, pp. 27-32.

6 P. PIANA TONIOLO, A proposito della pestedel 1631 e della chiesa dell’Immacolata diOvada, in “URBS cit., a. XXVI, n. 1, marzo2013, pp. 4-12..

7 Basta fare una capatina all’Archivio Ve-scovile di Acqui o a quello parrocchiale diOvada, non essendo aperto agli studiosi quellodell’Oratorio stesso di S. Giovanni Battista.

8 E. PODESTÀ, Le antiche chiese e la NuovaParrocchiale di Ovada, in AA. VV., La Parroc-chiale di Ovada, Accademia Urbense Ovada,1990, p. 25.

9 P. BAVAZZANO, “Il Giornale della fab-brica”, in AA. VV., La Parrocchiale cit., pp.44e 50.

10 Per quanto riguarda le nostre zone vedi:C. COSTANTINI, La Repubblica di Genova nel-l’età moderna, U.T.E.T., Torino, 1978; C. MAR-TINI, Rossiglione e la Valle Stura nella Guerra diSuccessione Austriaca, in “URBS cit., n, 1,1990, I parte; ibidem, n.2, 1990, II parte; ibidem,n. 3, 1990, III parte; P. PIANA TONIOLO, I 74giorni della Villa della Costa (11 giugno-23agosto 1746) in “URBS cit., n. 2, 1996; P. PIANA

TONIOLO, Costa d’Ovada durante la guerra disuccessione austriaca, in “Rivista di Storia ArteArcheologia per le province di Alessandria eAsti”, CV, 1996; AA VV., Atti del Convegno.1747. Masone in guerra. La guerra di succes-sione austriaca vista dalla periferia del Domi-nio Genovese, Masone, 27 settembre 1997, acura di T. PIRLO e P. OTTONELLO, Masone 1998,in particolare gli articoli di C. BITOSSI e P. GIA-COMONE PIANA.

11 F. 1, f. 2, c. 99, 4 novembre 1745.12 F. 16, f.2, c. 88, 20 dicembre 1745.13 F.16, f. 2, cc. 89, 90, 25 marzo 1747.14 F. 16, f. 2, c. 92, 12 settembre 1748.15 F. 16, f. 2, c. 89, 1746.16 F. 16, f. 2, c. 89, 25 marzo 1747.17 F. 1, f. 2, 22 dicembre 174818 F. 16, f. 2, c. 89.19 A Tagliolo, per esempio, la cappella di S.

Bernardino era stata ridotta in tale cattivo statoche si preferì abbatterla, così che in seguito siperse persino la memoria del luogo esatto in cuiuna volta era stata eretta. P. PIANA TONIOLO,Chiese e chiesette di Tagliolo Monferrato, in“URBS cit., n. 2, 2000.

20 F. 16, f. 2, c. 91.21 Nel dicembre del 1751 il cancelliere Do-

menico Nervi rilasciava quietanza del rimborsodi lire 26,6, spese “per il decreto e spese di can-celeria del Ser.mo Senato per la nova fabrica delnovo oratorio”, F. 16, f. 2, c. 99.

22 F. 1, f. 2, c. 104.23 F. 1, f. 2, c. 105.24 Notevoli furono le spese sostenute in que-

sto progetto, solo tra il 26 agosto e il 30 settem-bre 1752 furono versate lire 80 al Montano per“il dissegno e modello del novo Oratorio”, lire72 al Bonfante, “capomastro et inzeniere”, lire50 ad Antonio Frati “maestro da muro”, senzacontare ovviamente materiali (calcina, legni,mattoni…) e giornate di lavoro della manova-lanza (in media una giornata era pagata soldi32). F. 16, f. 2, c. 103.

25 F. 16, f. 2, c. 103. 26 F. 1, f. 2, c. 106.27 F. 15, f. 4.28 E. PODESTÀ, Le antiche chiese cit., pp.19-

24.29 F. 19, f. 1, doc. 2.30 F. 20, f. 1, n.3.31 Ed anche le pietre delle fondamenta del-

l’oratorio principiato servirono poi per la costru-zione della nuova Parrocchiale! P. BAVAZZANO,“Il Giornale cit., p. 50.

32 F. 15, f. 4, n. 2.33 F. 19, f. 1, n. 3.34 Vedi in particolare, perché più recente, P.

PIANA TONIOLO, La devozione per la Madonnadella Salute in Ovada, in “URBS cit., a. XXV, n.2, giugno 2012, pp. 137-142.

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La lunga vicenda storica delle numerose confraternitelaicali nate a Genova e in Liguria a partire dalla prima metàdel Duecento costituisce una parte rilevante della storia delterritorio ligure. I complessi rapporti con i poteri civile edecclesiastico, le molteplici espressioni di vivace religio sità,la grande varietà dei caratteri socio-culturali, il successo as-sociativo portano spesso la quasi totalità degli abitanti deiborghi e dei quartieri cittadini ad identificarsi con le confra-ternite. L’importanza di questi sodalizi nella vita sociale èdel resto continuamente confermata, nella loro lunga storia,dalle pressanti attenzioni a loro dedicate dalla Chiesa e dalloStato.

Mentre le gerarchie ecclesiastiche tentano di prendere ilcontrollo delle confraternite o almeno di limitarne le autono-mie, sia istituendone esse stesse sia emanando precise di-sposizioni repressive, il potere civile cerca di contenere leesuberanze devozionali dei confratelli e di intervenire neiloro frequenti conflitti con il clero, a tutela dell’ordine pub-blico. L’ascrizione di quasi tutta la popolazione locale allaconfraternita si legge nei registri dei fratelli e delle sorelle làdove, come nell’oratorio di Santa Chiara di Bogliasco,l’archivio non è andato disperso ed è rimasto a documentare

i nomi e le vicende di marinai, contadini, artigiani, cheper secoli hanno saputo gestire, con alterne vicende, unloro spazio associativo, ed hanno potuto esprimere, at-traverso la grande varietà delle mani fe- stazioni devo-zionali, le loro esigenze di identificazione sociale eculturale, di autonomia decisionale, ma anche di rassi-curazione e di solidarietà umana. Infatti il movimentodei flagellanti dal quale hanno origine le confraternitelaicali, nasce proprio nel momento della grande paura,fra pestilenze ed eresie, a scongiurare i castighi divinicon pratiche penitenziali collettive, ed anche in seguito,attenuatasi la drammaticità di queste modalità devozio-nali, fra le finalità delle confraternite resta costante ilruolo protettivo, sia nei confronti dei pericoli della vitaterrena, sia nei confronti dell’aldilà: dall’aiuto mutua-listico tra confratelli all’assicurazione del suffragio peri defunti.

In questa situazione storica, che accomuna tutte leconfraternite del mondo cattolico, la specificità diquelle geno vesi e liguri sta nel particolare costume pro-

Le confraternite laicali liguridi Fausta Franchini Guelfi

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cessionale e nello strutturarsi di molte di esse in casacce, ca-ratteri che esprimono entrambi le costanti tendenze autono-mistiche di questi gruppi e che rispecchiano a livellopopolare la continua conflittualità tra Stato e Chiesa tipica ditutta la storia della Repubblica.

La processione si connota come uno dei momenti cen-trali nella vita delle confraternite, e come il punto di mas -sima densità e di più esplicita e vivace espressione diesigenze religiose e di conflittualità sociale.

Nato come spontanea pratica peni tenziale dei primif1agellanti, scaturito dalle insostenibili angosce di una con-dizione esistenziale quanto mai precaria, e dal disperato bi-sogno di un’espiazione che, cancellando le colpe, liberi dalterrore della punizione divina, il rito processionale resteràpoi sempre caratterizzato dall’intenso coinvolgimento emo-tivo dei partecipanti nella propiziazione dell’intervento di-vino e nell’esaltazione di un protettore celeste. A questemotivazioni di fondo si aggiungono col tempo gli antagoni-smi campanilistici tra confraternita e confraternita, e la vo-lontà di rappresentare il prestigio dell’associazione con lamagnificenza dell’apparato processionale. In questo conte-sto le vesti processionali, i gonfaloni, i Crocifissi, le statue

dei santi, dapprima improntate ad una estrema sempli-cità formale e ad una rigorosa povertà materiale, si ar-ricchiscono, col tempo, di tecniche raffinate e dimateriali sempre più preziosi, messi in opera da scul-tori, pittori, orafi, tessitori e ricamatori: e questa gra-duale trasformazione degli oggetti da semplicistrumenti di un rito penitenziale a splendide e colora-tissime immagini simboliche della devozione e del pre-stigio della confraternita segue l’evolversi del ritoprocessionale dalle sue forme primitive ai suoi sviluppipiù complessi e spettacolari dal Cinquecento in poi.

Tipicamente ligure è anche la casaccia. Questo ter-mine, che si trova nei documenti (“cazacia”, “casatia”o “casas- sa”) soltanto a partire dal Cinquecento, nonsignifica affatto. come si è più volte arbitrariamente af-fermato in passato, casamento diroccato nel quale iconfratelli svolgevano le loro riunioni. Indica invece laspecifica struttura associativa di questi gruppi: dalla lo-cuzione “far casaccia - accomunare il casato”, il ter-mine caratterizza un aggregato di più confraternite

In queste pagine, da sin. a destra:Anton Maria Maragliano, VergineAnnunziata, Savona, Oratorio delCristo RisortoAnton Maria Maragliano, San Mi-chele Arcangelo, Celle Ligure,Oratorio di San Michele Arcangelo

Pietro Galeario, San Giorgio e ildrago, Moneglia, Chiesa di SanGiorgio. Già a Genova Oratorio diSan Giorgio

Marcantonio Poggio, Decorazionedi San Giovanni Battista, Genova,Sestri Ponente, Oratorio dellaMorte e Orazione

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(“compagnie”), a volte anche sei o sette,riunite in una sede comune, l’oratorio, inuno stesso itinerario processionale, e par-tecipanti quasi sempre su un piano di pa-rità (anche se non mancano conflittiinterni) al governo e all’amministrazionedei riti, degli spazi, dei beni e dei rapporticon il mondo esterno. É per questa aggre-gazione, con la conseguente cumulazionedi forze, che le casacce incidono più dellealtre associazioni religiose a base popo-lare nel tessuto culturale e devozionaledella città e del borgo. La loro consi-stenza numerica è infatti rilevantissima.A Genova sono venti ed hanno carattereprevalentemente popolare; la loro vivacevolontà autonomistica stupisce J. J. DeLalande, che nei suoi appunti di viaggio(1765 - 66) le definisce “piccole repub-bliche di poveri” (“Leur administrationtient encore de la forme républicaine; cesont des petites républiques pauvres”),Le casacce infatti rivendicano e difen-dono un’autogestione religiosa e ammi-nistrativa che limita il ruolo del cap-pellano a quello di uno stipendiatoesterno, e, come tutte le confraternite,sono governate da confratelli scelti conregolari elezioni a ricoprire cariche dalmandato generalmente breve.

Dalle processioni dei flagellanti allacostruzione degli oratori.

È intorno al 1230 che si verificano inItalia le prime processioni di “Battuti”(flagellanti, disciplinanti); e già nel 1232è documentata l’esistenza di una confra-ternita di laici (“domus disciplinatorumS. Antonii”) che si riuniscono per pregaree flagellarsi presso il convento genovesedi San Domenico. Questa pratica peniten-ziale, diffusa soprattutto dagli Ordinifrancescano e domenicano, assume ungrande rilievo con la processione di fla-gellanti che, partita dall’Umbria nel1260. giunge anche in Liguria.

A Genova questo straordinario avve-nimento stimola in breve la nascita dinuove confraternite di “Battuti”: a quellegià esistenti (Sant’Antonio, Santa Cate-rina, San Giovanni, San Giacomo di Prè)si aggiungono Santo Stefano, Sant’An-drea, San Tommaso e in seguito San Bar-tolomeo, San Giorgio, San Francesco,

Santa Brigida e Santa Croce. Nell’entro-terra e sulla costa sorgono San Giacomodi Pino, Santo Stefano di Rivarolo, SanMartino di Pegli, e a Voltri le due confra-ternite di Sant’Ambrogio e dei Santi Ni-colò ed Erasmo.

Nel 1399 si verifica una seconda on-data di devozione popolare con il movi-mento dei Bianchi, che giungono aGenova dalla Provenza: nelle Cronichescritte pochi anni dopo dal lucchese Gio-vanni Sercambi, un interessantissimo di-segno acquerellato rappresenta “comealquanti Bianchi andònno a Genova” coni confratelli che, portando il Crocifisso,entrano in una Genova turrita, arroccatasul suo porto. La veste dei processionanti(cappa e cappuccio bianchi) è la stessagià rappresentata nella più antica raffigu-razione di una confraternita ligure: i con-fratelli e le consorelle inginocchiati nellatavola con la Madonna dell’Umiltà, di-pinta nel 1316 da Bartolomeo Pellerano

da Camogli per una confraternita cheaveva sede nella chiesa genovese di SanMarco (il dipinto è oggi al Museo Nazio-nale di Palermo). Sulla scia del movi-mento dei Bianchi sorgono confraternitea Rapallo, Lavagna, Recco (San Mi-chele), Gavi (Santi Giacomo e Filippo),Loano (San Giovanni Battista).

Varie sono le intitolazioni di questeassociazioni, nate sempre da culti che af-fondano le radici nella vita sociale deltempo (tipica la devozione a San Nicolòe a Sant’Erasmo, patroni dei naviganti,nei borghi rivieraschi), ma comune il ce-mento unificatore nella confraternita: glistatuti garantiscono a tutti i confratelli unmutuo soccorso che va dall’assistenzaagli infermi, a forme varie di aiuto ai po-veri, agli orfani e alle vedove, alla dota-zione delle figlie da maritare, allagestione, a volte, di ospedali e di “montidi pietà” come a Gavi. Infine. il suffragioper i fratelli e le sorelle defunti, che gliiscritti si assicurano versando le quote an-nuali, e che costituisce per la confrater-nita uno degli impegni più sentiti. Questasolidarietà per la vita materiale e spiri-tuale fa della confraternita, assieme alleesigenze religiose comuni, uno dei puntidi riferimento essenziali nella vita socialedel tempo. Il successo devozionale e ilpeso sociale delle confraternite si ren-dono concretamente visibili alla cittànella “uscita” (“sciortìa”) cioè nella pro-cessione, rito itinerante che esercita unapotente suggestione con la “disciplina”penitenziale e col canto delle laude dram-matiche; i Cristi processionali hanno an-cora croci nude, dal peso modesto. Ma,terminata la processione, i confratelli tor-nano alla difficile coabitazione col cleronei conventi e nelle chiese, presso lequali hanno avuto in concessione unacappella, un altare, un locale per le riu-nioni: coabitazione spesso densa di con-trasti per l’accesso alla cappella, lefunzioni, le spese per gli arredi e la cera.

In realtà questi nuclei laicali che, fi-nanziariamente autosufficienti, gesti-scono fortunate iniziative devozionali alarga par- te cipazione popolare, intaccanoil monopolio della devozione e dell’am-ministrazione del sacro fino ad ora esclu-sivo degli ecclesiastici. L’autonomia

In queste pagine,Nicolò Palmieri, Pastorali proces-sionali con l’Annunziata e l’angeloannunziante, Ovada, Oratorio dellaSantissima Annunziata

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delle confraternite è costituita, oltre chedalle quote associative, dai frequenti la-sciti testamentari dei confratelli che do-nano anche beni immobiliari nontrascurabili, spesso vincolati all’impegnodi messe di suffragio.

Nel Quattrocento i continui conflitticon l’autorità ecclesiastica portano a Ge-nova all’erezione dei primi oratori: finoralegati per la sede e le celebrazioni liturgi-che a chiese e conventi, molti nuclei diconfratelli, consapevoli dell’importanzadel loro ruolo sociale e certi di un vastoconsenso, mettono su casa per conto pro-prio. Il fenomeno accentua ancora di piùil già marcato carattere di autonomia lai-cale delle confraternite: così Sant’Anto-nio e Santa Croce si staccano dalconvento di San Silvestro e si costrui-scono gli oratori in Sarzano, mentre San-t’Andrea e San Bartolomeo aprono glioratori alle Fucine. Ben presto, in questinuovi spazi, alle confraternite titolarivengono ad aggiungersi altre “compa-gnie”, in un processo di aggregazione cheporterà alla costituzione delle casacce.

Il vasto panorama delle confraterniteviene a differenziarsi, nel tempo, in cate-gorie diversamente caratterizzate nellacomposizione socio-culturale, nelle fina-lità associative, nella collocazione fisicadella domus. Vi sono numerose confra-ternite di mestiere, terreno esclusivodegli operatori impegnati nella stessa at-tività lavorativa e basate su una forte so-lidarietà corporativa. Dai SS. Crispino eCrispiniano dei calzolai a San Giuseppedei bancalari (falegnami), da Sant’Omo-bono dei sartori a Santa Barbara deibombardieri, ogni mestiere costituirà lasua confraternita, a volte in un propriooratorio, a volte ottenendo in concessioneuna cappella in una chiesa, a volte en-trando a far parte di una casaccia. In al-cuni casi la particolare rilevanza (o laturbolenza processionale) di una confra-ternita di mestiere verrà, nel Seicento enel Settecento, a connotare un’intera ca-saccia: così San Giacomo delle Fucinesarà nota come la casaccia dei tintori eSant’Antonino di strada Giulia sarà lamalfamata casaccia degli sbirri.

Alcune confraternite di mestiere na-scono dalle necessità associative di lavo-

ratori stranieri stabilitisi a Genova: dallaCompagnia dei Caravana bergamaschi,che nel 1340 erige la sua cappella nellachiesa del Carmine (il grandioso Croci-fisso ligneo è oggi al Museo di Sant’Ago-stino) al ricco nucleo di tessitori emercanti di panni lucchesi, che intitolanoa Santa Zita il loro oratorio fuori le mura.Nel 1393 presso la chiesa di Santa Mariadei Servi viene istituita la “Consortìa deli Forèsteri”, che nella sua cappella ra-duna quattro nazioni: tedesca, lombarda,romana e oltremontana. Così anche i Ge-novesi residenti all’estero fondano i lorooratori “nazionali”, in genere intitolati aSan Giorgio o a San Giovanni Battista,come ad esempio a Roma e a Cagliari(dove le confraternite sono tuttora attive),a Napoli e a Palermo.

Finalità particolari hanno le Confra-ternite della Misericordia e della Morte eOrazione, i cui iscritti sono impegnati aconfortare le ultime ore dei condannati amorte e a seppellire gli insepolti, e leCompagnie del Santissimo Sacramento,nate fra la fine del Quattrocento e l’iniziodel Cinquecento presso le chiese, con loscopo di provvedere al culto eucaristico,ed attivamente inserite nella masseriaparrocchiale.

In questo variegato universo associa-tivo in continua trasformazione, le ca-sacce si caratterizzeranno sempre più perla composizione prevalentemente popo-lare, soprattutto là dove si farà sensibile

la presenza di confratelli di bassa estra-zione sociale, spesso particolarmente tur-bolenti, come i camalli della Com- pagnia della Cassa in Giacomo alla Ma-rina e i portantini della Compagnia dellaCassa in San Giacomo delle Fucine: nel1528 la Repubblica istituisce la magistra-tura dei quattro sindaci delle Casacce,che hanno il compito di assegnare ognianno gli itinerari processionali per le viedella città nelle grandi feste e di vigilareche le processioni non degenerino in di-sordini.

Vita associativa e rituali processio-nali: le confraternite tra Stato e Chiesa

La gran parte delle manifestazionidella vita confraternale e soprattutto ca-saccesca vengono infatti ben presto aconnotarsi, presso i governanti, comefonte continua di disordini: dalle grandiprocessioni collettive delle venti casaccedi Genova, alla festa del santo titolare delborgo rivierasco o dell’entroterra, leespressioni della devozione popolareappaiono alle gerarchie ecclesiastichecome inammissibili zone di devianza dal-l’ortodossia, e all’autorità civile comepotenziali focolai di rivolte nei confrontidell’ordine costituito. Più motivati certa-mente gli allarmismi della Chiesa, chesoffriva (anche sul piano economico) siala concorrenza degli oratori nella parte-cipazione alle funzioni e alle processioni,sia gli interventi spesso vivaci e combat-tivi delle confraternite di chiesa nella vitaliturgica e amministrativa della parroc-chia. Mai, invece, partì dalle confrater-nite un movimento di rivolta popolare.Anzi nel Seicento l’aristocratico AndreaSpinola era tanto sicuro del lealismo dellecasacce genovesi, da formulare un’origi-nale proposta: le casacce avrebbero po-tuto costituirsi in milizia cittadina e, incaso di assalto nemico, “si darebbe granvigor alla diffesa se ogni Casaccia man-dasse innanzi (...) il Crocifisso Santis-simo, e indietro la Cassa apparatasolennemente”. Questo progetto di mili-tarizzazione delle casacce restò sullacarta: ma nel 1797 la rivolta dei “VivaMaria” contro il governo democraticofilo francese dimostrerà quanto lo Spi-nola avesse visto giusto nell’intuire le po-

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tenzialità lealiste di quel vasto settoredella popolazione in nome della “diffesadella patria, delle Cose Sacre di essa”. Lapartecipazione degli aristocratici alla vitadi queste associazioni si limita al ruoloesterno e prestigioso di Protettori: laclasse dominante ha costituito le proprieconfraternite (tra le quali le Compagniedella Morte di San Donato e Santa Sa-bina) dedite soprattutto ad opere di mise-ricordia, scindendo pratiche devozionalie vita associativa dalla base popolare, inuna scelta di rispettabilità che corri-sponde alla stratificazione sociale. Il fattoche la religiosità popolare si esprima informe spontanee, spesso irrequiete e tur-bolente, ben diverse da quelle più colte,più controllate e soprattutto più ortodossedegli oratori aristocratici, è il segno signi-ficativo di una diversità socio-culturaleche suscita la deprecazione dei ceti supe-riori in nome di forme di culto “rispetta-bili”. A sua volta la Repubblica esercitaun controllo capillare sugli oratori, ad im-pedire il formarsi di conventicole ever-sive, e pubblica a getto continuo decretisuntuari per limitare lo sfarzo degli appa-rati processionali: ma non reagisce mini-mamente alla sistematica violazione deidecreti stessi, certo d’accordo con chi, inun biglietto anonimo del 1768, consi-glierà di avere “il riguardo di lasciarequalche sfogo e distrazione al popolonelle circostanze che paga il pane e ilvino a carissimo prezzo, e colla proibi-zione delle casacce si renderebbe semprepiù occupato delle sue miserie e semprepiù malcontento del Governo. Questo è ildisordine e il pericolo più grave”.L’anonimo consigliere si riferisce qui allaventilata ipotesi di sospendere le proces-sioni delle casacce genovesi per motivi diordine pubblico: dal Duecento al Sette-cento, infatti, il costume processionale èmolto cambiato. Con il moltiplicarsi delleconfraternite. con l’accentuarsi del lororuolo religioso e sociale e con l’evolversidella cultura figurativa e delle formedella devozione verso una spettacolaritàsempre più ricca e complessa, le semplicicappe processionali in tela bianca si sonogradualmente trasformate in vesti sfar-zose in seta o velluto decorato da preziosiricami a filo d’oro e d’argento. I modesti

Crocifissi dei “Battuti” sono stati sosti-tuiti da Cristi monumentali su croci arric-chite da cantonali (“canti”) d’argento, edhanno fatto la loro comparsa in proces-sione le statue dei santi. Dapprima sem-plici simulacri in legno policromo dimodeste dimensioni, connotati da unastatica frontalità, posti al centro di unapiattaforma quadrata (la “cassa”) portataa spalle dai confratelli, dalla secondametà del Cinquecento queste sculture sitrasformano in sacre rappresentazioninelle quali il santo protettore, non piùatemporale immagine benedicente, agi-sce da protagonista in uno dei momenticulminanti della sua storia: la vittoria sulmale, il miracolo, l’estasi, il martirio o lagloria. Unico superstite di questi primigruppi scultorei cinquecenteschi è il San-t’Ambrogio che sconfigge gli eretici scol-pito da Filippo Santacroce nel 1594 perla confraternita di Sant’Ambrogio di Vol-tri, tuttora nell’oratorio voltrese.L’episodio è rappresentato nella sua es-senzialità da figure recitanti teatralmentedisposte nell’evidenza del gesto el’azione è colta e bloccata al suo culminedrammatico: al centro della piattaformail cavallo del santo si impenna sopra ilnemico atterrato, mentre Sant’Ambrogioalza il braccio a colpire. Benché le formedi questo gruppo scultoreo appaiano tut-t’altro che raffinate gli esiti futuri dellastatuaria processionale non saranno altroche lo sviluppo di questa teatralità movi-mentata e dram matica, di questa enfatiz-zazione della mimica gestuale, dellacaratterizzazione dei personaggi in veree proprie maschere teatrali, in vista dellasollecitazione dell’emotività devozionaledegli spettatori. L’arricchimento dell’ap-parato processionale va di pari passo conuna sempre più marcata evoluzione delrito dalle finalità penitenziali delle originiin direzione dello spettacolo e della festa.In questo contesto l’ostentata bravura deiportatori dei Cristi, la competitività avolte violenta tra casaccia e casaccia, lapartecipazione chiassosa di un pubblicoemotivamente coinvolto nei campanili-smi di quartiere e di oratorio, portano latemperatura dell’ “umor casacciante” a li-velli altissimi. Anche la festa del santo,solennizzata dalle confraternite, oltre che

con sacre funzioni, anche con semplicibanchetti spesso a base di pane, vino ecastagne, con sparo di mortaretti e lumi-narie, con la distribuzione ai confratellidel pane benedetto con impressal’immagine del santo ha agli occhi delclero l’aspetto della gozzoviglia bla-sfema. Infatti una delle disposizioni piùcategoriche emanate dalla gerarchia, so-prattutto dopo il Concilio di Trento, è laproibizione di mangiare e bere in orato-rio, cioè della celebrazione di uno deimomenti più importanti della vita asso-ciativa confraternale, che soprattuttonelle comunità paesane aveva il signifi-cato di un rito di pacificazione sociale. Inrealtà l’oratorio, spesso citato nei docu-menti come “casa”, è per i confratelliqualcosa di più che la loro chiesa privata.E sempre ad una sola navata, e que-st’unico vano rettangolare ha un dupliceorientamento: verso l’altar maggiore, perla celebrazione del rito liturgico, e versogli stalli lignei che rivestono le pareti al-l’estremità opposta, per le assembleedella confraternita. L’importanza di am-bedue questi “lunghi deputati” è partico-larmente evidente là dove l’ingressodell’oratorio non si apre sulla facciata,ma su una parete laterale (come a Pegli,a Prà, a San Giovanni Battista di SestriPonente, a Sori, a Mele, a Fegino, a Cre-vari) per non spezzare la sequenza deglistalli proprio al centro, dove in genere sicolloca il seggio dei priori. Il ruolo del-l’oratorio come punto di riferimento ecentro di aggregazione essenziale dellavita sociale determina l’importante fun-zione assembleare di questo spazio laico.Qui si svolgono le elezioni alle carichedirettive dell’associazione, si preparal’organizzazione delle processioni e dellefeste, si discutono i bilanci, si decidonole spese eccezionali (ad esempio unanuova “cassa”) e le sanzioni ai confratelliche hanno trasgredito le regole degli sta-tuti, ci si accapiglia tra “compagnie” op-pure si stabiliscono alleanze contro lacasaccia rivale o contro il parroco. Anchese la documentazione dimostra che inmolti casi i dirigenti dell’oratorio, sem-pre regolarmente eletti, appartengono adun gruppo ristretto di famiglie, in generel’élite economica e sociale della confra-

Nella pag. a lato, in alto, veste pro-cessionale. Recco, Oratorio di No-stra Signora del Suffragio

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ternita, tuttavia la totalità dei confratellisi riconosce nell’associazione poiché essaè in grado di soddisfarne le moltepliciesigenze mutualistiche, devozionali e so-ciali: il forte senso di identità culturaledei confratelli investe non solo l’oratorioma le stesse suppellettili del culto e del-l’apparato pro cessionale (soprattutto iCristi e la “cassa”) di una gelosa affetti-vità. Fra la seconda metà del Cinquecentoe la prima metà del Seicento le confrater-nite laicali liguri sono coinvolte nelle tra-sformazioni sollecitate dal rinnovamentoreligioso che accompagna e segue il Con-cilio di Trento, ma anche sottoposte a pe-santi interventi repressivi. La ca no- nizzazione di santi popolari come SanRocco e Sant’Isidoro, patrono dei conta-dini, lo straordinario rilancio della devo-zione mariana operato dai Francescani,dai Domenicani e dai Carmelitani, le sol-lecitazioni dei vescovi in direzione di unpiù fervente culto eucaristico, stimolanosu tutto il territorio ligure la nascita di in-numerevoli confraternite di Sant’Isidoro,di San Rocco, di Nostra Signora del Ro-sario, del Carmine e del Suffragio, delSantissimo Sacramento. Soltanto a Ge-nova, dopo il 1582, vengono fondate al-meno 124 confraternite, in parte concappella nella chiesa parrocchiale, inparte con oratorio a sé, alcune inserite incasacce. La massima fioritura è quelladelle confraternite del Rosario, devo-zione diffusa d’Ordine domenicano, cheoggi troviamo rappresentata in ognichiesa parrocchiale: la cappella è ricono-scibile per la figura centrale della Ver-gine, affiancata in genere da santidomenicani e circondata dai quindici mi-steri del Rosario dipinti su tela, su arde-sia o su rame. Negli archivi delle chiesesi conservano a volte i registri contabilied i verbali delle assemblee di questeconfraternite, oggi estinte (mentre nesono sopravvissute alcune con oratorioautonomo, come quelle di Nervi, di SanFruttuoso, di San Biagio, di Marassì) maun tempo attivissime nella loro parteci-pazione alla vita parrocchiale. La Chiesapost-tridentina, nel suo poderoso sforzodi ricatechizzazione delle masse popolari,stimola cosi la fondazione di numeroseconfraternite laicali; ma al contempo, col

consolidamento della sua struttura gerar-chica e del suo potere accentratore, im-posta tutto un programma di controllodella religiosità popolare, emanando de-creti repressivi con la proibizione, tral’altro, delle processioni notturne, dellarecitazione delle preghiere in volgare, deibanchetti sociali. Questi interventi sonomotivati da intenzioni moralizzatrici: eli-minare gli abusi. ristabilire un costume diautentica devozione, colpire l’eccessivamondanità delle confraternite. In realtàperò essi intendono stroncare le manife-stazioni più sentite della vita comunitariadi questi gruppi laicali, in un tentativo disoffocarne l’autonomia e di restituire allachiesa parrocchiale il primato della ge-stione della vita devozionale e sociale.Nel 1582 monsignor Francesco Bossio,Visitatore Apostolico, percorre la diocesidi Genova, dedicando una particolare at-tenzione alle confraternite laicali. I suoiDecreta Generalia impongono forti limi-tazioni all’autonomia religiosa e ammi-nistrativa delle associazioni. La spon- taneità del culto viene chiaramente avver-sata, pena l’esclusione dalle indulgenze.pena l’interdetto. Ma la Repubblica nonpuò tollerare il radicale intervento delBossio, che nel sistema di rapporti traStato e Chiesa a Genova si configuracome una affermazione di supremazia delforo ecclesiastico sulle associazioni lai-cali. In seguito alla decisa presa di posi-zione del governo, la curia romanaammorbidisce i decreti troppo drastici delBossio; ed è in seguito a questo e ad altri

scontri di potere che la Repubblica nel1593 istituisce la Giunta Ecclesiastica(dal 1638 si chiamerà Giunta di Giurisdi-zione), magistratura alla quale viened’ora in poi affidata la soluzione dei con-flitti fra potere civile e potere religioso.Fin dall’inizio casacce e confraterniterappresentano i casi più frequentementediscussi dalla Giunta. É ancora AndreaSpinola all’inizio del Seicento a difen-dere le autonomie laicali delle confrater-nite: “Non si consenta che i nostriArcivescovi, et i loro vicarii, o altri capispirituali, vi prendan autorità sopra, per-ché (...) le nostre Casaccie, non hannomai riconosciuto altro superiore, che laSignoria Serenissima”, Ma al contempola magistratura dei quattro Sindaci delleCasacce tenta di tenere sotto controllo leespressioni più vivaci della devozione ca-saccesca nelle grandi processioni: “Si or-dina che non si possa salvo per unapersona discreta portar uno fiasco siveboccale in cazu necessitatis dando bere acui fia di bizogno per singula caza”.L’accusa di ubriachezza durante le pro-cessioni è infatti ricorrente, soprattutto daparte del clero che intende così invalidaretutte le iniziative devozionali che vivonofuori dal suo controllo. Le indubbie in-temperanze di comportamento di partedei confratelli vengono portate a dimo-strazione della necessità di proibizioni edi censure, per negare dirittod’espressione ad una cultura diversa daquella nella quale i gruppi di potere siidentificano.

Il patrimonio artistico e culturaledelle casacce fra soppressioni e disper-sioni.

Fra la metà del Seicento e la fine delSettecento il rito processionale assume icaratteri di un grande, coloratissimo spet-tacolo, e gli oratori si arricchiscono di af-freschi, pale d’altare, stucchi, suppellettilipreziose. La casaccia genovese dì SanGiacomo delle Fucine porta in proces-sione lo straordinario Cristo di DomenicoBissoni in legno di giuggiolo, la confra-ternita di San Giovanni Battista di SestriPonente sfoggia la grandiosa “cassa”. conla Decollazione del Santo scolpita daMarc’Antonio Poggio. Le innovazioniscenografiche e compositive di questa

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monumentale “cassa” processionale ven-gono a soddisfare le nuove esigenze dirappresentazione e di espressione visivadi una devozione sempre più orientataverso un’immagine emozionalmentecoinvolgente del sacro; e il successo della“cassa” di Sestri fu certamente notevole,se in seguito Anton Maria Maragliano, ri-cevuto dalla casaccia genovese di SanGiovanni Battista l’incarico di eseguireuna “cassa” con il martirio del santo, siriferirà puntualmente all’opera del Pog-gio nell’impaginazione teatrale dellascena. Instancabile produttore di “casse”e Crocifissi processionali e maestro di ungruppo di giovani (fra i quali il figlioGiovanni Battista, Pietro Galleano, Ago-stino Storace, Andrea Corilucci) che col-laborano all’esecuzione delle opere nellasua bottega di Strada Giulia, il Mara-gliano fornisce, a partire dagli ultimi annidel Seicento, il più splendido repertoriod’immagini di devozione e di azioni sce-niche per un teatro sacro che si svolge pe-riodicamente per le strade e le piazze nelcorso della manifestazione processionale.Le sue “casse” sono recite spettacolari,orchestrate sugli atteggiamentie sui gesti più tipici ad espri-mere visivamente e a comuni-care ai fedeli già commossidall’atmosfera surriscaldata delrito alcuni intensi “affetti”, rap-presentati da una mimica, il cuicodice è parte integrante dellatradizionale imagerie devozio-nale, dal volo vittorioso dellosplendente San Michele Arcan-gelo che sconfigge Luciferoalla gloria dell’anima di SanPaolo Eremita che vola al cieloin un turbine angelico nella“cassa” della casaccia deglisbirri alla tenerissima Annun-ziata di Savona. In forme col-tissime e raffinate, che rivelanoun costante aggiornamento suitesti della più prestigiosa scul-tura in marmo e della contem-poranea pittura genovese, ilMaragliano esprime un ampioventaglio di “affetti” devoti, inprofonda consonanza con lasensibilità di una committenza

spesso ben poco raffinata (come gli sbirridella casaccia di Sant’Antonino) ma per-fettamente in grado di percepire l’intensacarica emozionale e la suggestiva bel-lezza dei suoi gruppi scultorei. E non puòessere altrimenti, data la concreta parteci-pazione dell’artista alla vita delle ca-sacce, come confratello (e per alcuni annimembro del consiglio) in Sant’AntonioAbate alla Marina. Ma al di là della qua-lità artistica della “cassa”, il rito proces-sionale e la figura del patronorappresentato nel gruppo scultoreo svol-gono un ruolo simbolico dal forte signifi-cato emotivo: nel rituale esorcizzantedella processione che percorre le stradedella città o del borgo, la presenza delsanto viene invocata come difesa, prassiche si riallaccia ad antichissimi liti di“circum- ambulazione” destinati a pro-teggere la collettività da forze e spiritimaligni. Da questo rituale rassicurante edalle esigenze liberatorie, che nell’in-tenso momento della festa trovano una mo- memtanea e a volte tumultuosaespressione, viene il ruolo catartico dellamanifestazione processionale, al centro

della quale l’immagine del santo si ponecome fulcro emotivo. La costituzione diuno sfarzoso apparato processionale èperciò per le confraternite, e soprattuttoperle casacce, un impegno notevolissimoanche sul piano economico: dove unricco protettore non offre la somma ne-cessaria, sono i confratelli a tassarsi perpoter sfoggiare cappe di seta e pastoralid’argento di raffinata fattura versandouna parte dei proventi del raccolto nellecampagne, e dando all’oratorio la cosid-detta paga del “quinto marinaio” per ognibarca di quattro, in riviera.

È nella seconda metà del Settecentoche l’apparato processionale giunge aimassimi livelli di fasto; nello stesso pe-riodo la turbolenza casaccesca si fa sem-pre più incontrollabile. Le due cose sonoevidentemente collegate, poiché lo sfog-gio di vesti e di argenterie sempre più ric-che esprime anch’esso il violentoantagonismo fra “case” rivali (in partico-lare le tre casacce genovesi di San Gia-como: delle Fucine, della Marina e diPrè), negli anni in cui le confraternite diGenova raggiungono il più alto numero

di iscritti della loro storia.Raramente si verificano in-cidenti come quello provo-cato dal giovane marcheseDomenico Spinola - la ti-pica “pecora nera” di buonafamiglia - che nel 1781porta il Cristo di San Gia-como della Marina ed ag-gredisce negli stretti vicolitra Posta Vecchia e Cam-petto il portatore di Cristodella casaccia rivale delleFucine, causando la cadutarovinosa di un Crocifisso,l’intervento della truppa ela fuga precipitosa per So-ziglia, Luccoli e Santa Ca-terina dei confratelli delleFucine; comune a tutte lecasacce era invecel’aggressività e il rancorenei confronti della casacciadi Sant’Antonino de’ Birri,aggressività che esplodevaa volte nell’esecuzione divendette personali durante

In basso, Oratorio di Nostra Signora Assunta,Genova Coronata

Nella pag. a lato, Francesco Baratta, la Casaccia diSan Giacomo delle Fucine che tornada San Francesco da Paola.Stampa acquerellata, Collezione privata

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le grandi processioni. Nel 1750l’informatissimo “Mercure historique etpolitique” afferma che corre voce che iconfratelli aspettano la grande proces-sione cittadina di San Giovanni Battistaper “tirer une vengeance èclatante enmassacrant tous les sbirres, ou en les jet-tant dans la mer”. L’incidente viene evi-tato dai sindaci che ordinano alla casacciadi Sant’Antonino di sfilare per ultimasenza alcuna ostentazione; e la documen-tazione riporta la dislocazione strategicadelle forze del- l’ordine nei punti più“caldi” del percorso processionale. Inqueste situazioni l’intervento repressivoè sempre (come raccomandava AndreaSpinola) “cauto e dolce”: il governo pre-ferisce lasciar correre, affinché il malcon-tento popolare si sfoghi negli odi tracasaccia e casaccia e non si indirizziverso altri obiettivi.

Soltanto nel 1797 la rabbia popolareesce dalle forme consuete della rissositàcasaccesca. Il 22 maggio sono proprio icamalli a grano, da carbone e da portan-tine, cioè la base più popolare e turbo-lenta delle casacce cittadine, a muovereda Portoria attaccando i filofrancesi algrido “Viva Maria!”. Spinti dall’aristo-crazia e dal clero contro i “giacobini”, i“Viva Maria” hanno in un primo mo-mento il sopravvento: ma questa contro-

rivoluzione popolare ben presto sopitanon impedisce la caduta del regime oli-garchico, Il nuovo governo democraticoed illuminista filofrancese non avrà maiuna larga base di consenso, anche perchéuno dei suoi primi atti va a colpire pro-prio i simboli del geloso attaccamentodella popolazione alle sue consuetudinidevozionali e culturali. II 5 aprile 1798un decreto del Direttorio Legislativodella Repubblica Ligure ordina a chiese,conventi ed oratori la consegna di tutti ipreziosi, tranne quelli strettamente neces-sari alla celebrazione della Messa. Leconfraternite sono così spogliate delleloro splendide argenterie: i pastorali pro-cessionali dei priori, i “canti” dei Croce-fissi, le targhe “impronte”) con l’im- magine del santo applicate sulle vestiprocessionali. La casaccia di Sant’Anto-nio Abate alla Marina, ad esempio, con-segna più di 158 libbre di argentolavorato. E però dall’annessione dellaRepubblica alla Francia che la pressionestatale sulle confraternite si fa schiac-ciante. Nel 1803 inizia un rilevamento in-tensivo delle confraternite di tutto ilterritorio ligure, che comprende un censi-mento degli iscritti e dei beni delle asso-ciazioni: lo scopo di questo rilevamento èdi stabilire un controllo capillare su unassociazionismo popolare denso di peri-

colosi fermenti sociali e di potenzialitàcontestative nei confronti del nuovo or-dine costituito. Infine il 9 febbraio 1811 ilprefetto francese M. A. Bourdon, nel suo“Arrèté relatif aux biens des confréries”,assegna alle chiese parrocchiali tutti ibeni mobili e immobili delle confrater-nite, sopprimendone di fatto la vita asso-ciativa e la fastidiosa autonomia. Aiparroci che vi guadagnano così non tantovantaggi economici quantol’eliminazione dei rivali di sempre,l’autorità chiede, in cambio, un chiarolealismo ed un controllo completo dellapopolazione. Finalmente, dichiara Bour-don. “les bons, les vertueux curés, ces di-gnes et respectables fonctionnaires”saranno “les premiers” sul territorio par-rocchiale. Questa operazione decreta lafine delle autonomie devozionali popo-lari e della più viva partecipazione laicaalle vita delle parrocchie, poiché, quandonel 1814 i francesi lasciano Genova e leconfraternite tentano immediatamente diricostituirsi, l’autorità ecclesiastica, checon la soppressione napoleonica ha sta-bilito il suo primato religioso, non è piùdisposta ad accettare l’esistenza di un lai-cato che gestisca autonomamente inizia-tive devozionali, ed impone, alleconfraternite risor- genti, limiti ben pre-cisi che blocchino sul nascere, e definiti-

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vamente, un’espansione in questosenso. I “Regolamenti” infatti stron-cano le potenzialità concorrenzialidegli oratori riducendo drasticamenteMesse e funzioni, e ne sottopongonol’amministrazione al controllo direttodel clero. Nelle campagne, il controllogovernativo ed ecclesiastico è più al-lentato: qui le confraternite risorgonopiù numerose e più forti. A Genova in-vece molti oratori non riaprono i bat-tenti; altri verranno demoliti nel corsodel l’Ot - tocento con il rinnovamentourbanistico della città. In quellagrande operazione di distruzione dellacittà antica che porta a radere al suoloalcuni fra i più insignì monumenti cit-tadini, come la basilica di San Domenico,anche gli oratori di casaccia vengonoquasi totalmente cancellati: San Giacomoe San Bartolomeo delle Fucine sono di-strutti con l’apertura di via Roma, SanGiorgio e Sant’Antonino de’ Birri conl’apertura di via XX Settembre. Oggi so-pravvivono soltanto Sant’Antonio Abatee San Giacomo alla Marina, che conser-vano preziose testimonianze del loro pa-trimonio artistico e culturale. Con lachiusura e la distruzione degli oratori ini-zia la dispersione di gran parte dellosplendido arredo processionale, a voltefortunatamente rilevato da confraterniteperiferiche. Le ”casse” maraglianeschedei Birri, di San Bartolomeo, di San Gio-vanni Battista e di San Giovanni di Prèvengono acquisite dalle omonime confra-ternite di Mele, di Varazze, di Ovada e diPonzone d’Acqui; le stupende cappe pro-cessionali di San Giacomo delle Fucinevengono prese dagli oratori di Sestri Po-nente e di Multedo, quelle di San Gia-como alla Marina dall’oratorio di Reccoe di Pegli. Ma nella prima metà dell’Ot-tocento assistiamo all’ultima fioritura delgrande spettacolo processionale: si sosti-tuiscono le argenterie requisite nel 1798con nuovi pastorali e nuovi “canti”, sifanno ricamare nuove cappe e nuovi ta-barrini, si riprendono le solenni e festoseprocessioni. Si creano anche nuovi, mo-numentali gruppi processionali, come ilbel S. Erasmo liberato dall’angelo scol-pito nel 1826 da Giambattista Garaventaper l’oratorio dei Santi Nicolò ed Erasmo

di Voltri. Estinte quasi tutte le confrater-nite del centro storico di Genova, nelle ri-viere, nelle campagne e nelle periferiedalla tenace tradizione paesana comePegli, Voltri, Prà, Sestri Ponente le con-fraternite laicali continuano a vivere e adagire in un ambiente socio-culturale piùfavorevole alla conservazione della tra-dizione. In questi gruppi associativi, confinalità oggi esclusivamente religiosa, lagelosa conservazione dei riti, del dialetto,degli oggetti d’uso liturgico e processio-nale (dalla “cassa” allo stampo per il panebenedetto) costituisce il salvataggio diuna identità culturale strettamente legataal territorio: negli anni più recenti la ri-scoperta delle tradizioni dei “vecchi” edelle potenzialità di incontro umano e re-ligioso del gruppo confraternale ha favo-rito la rinascita di confraternite da tempoestinte. I confratelli di Liguria custodi-scono oggi un ricchissimo patrimonio distoria e d’ar te, lo studio del quale è sol-tanto agli inizi. I primi tentativi di cata-logazione delle opere d’arte e di esplo-razione della documentazione archivi-stica degli oratori hanno fatto affiorareuno straordinario materiale, che com-porta a volte notevoli problemi di tutela edi restauro; e le confraternite assolvonoun compito di grande rilievo là dove,conservando le tradizioni, hanno acqui-sito consapevolezza del loro ruolo di cu-stodi di questo patrimonio, che rappresenta uno degli aspetti più tipici e piùprofondamente radicati della storia di Ge-nova e di ogni borgo di Liguria.

Questo testo è stato pubblicato per laprima volta in Storia Illustrata di Genova,vol.IV, Milano 1994.

Per la bibliografia sulle confraternite li-guri fino al 2004, si veda la dettagliata Notacon la bibliografia ragionata in appendice a F.FRANCHINI GUELFI, La diversità culturaledelle confraternite fra devozione popolare,autonomia laicale e autorità ecclesiastica, inStoria della cultura ligure a cura diD.Puncuh, vol.I, pp.432 – 436.

Dopo il 2004 sono stati pubblicati altristudi

AA.VV., Confraternite genovesi all’albadel terzo millennio, Atti del convegno a curadi L.Venzano, Genova 2004.

F. FRANCHINI GUELFI, Mestieri, devo-zione e mutualismo: confraternite e casaccee Le confraternite aristocratiche: esclusivi-

smo sociale e opere di misericordia, in Genuaabundat pecuniis. Finanza, commerci e lusso aGenova tra XVII e XVIII secolo, catalogo dellamostra, Genova 2005, pp.113 – 135, 159 – 161.

F. FRANCHINI GUELFI, Le confraternite lai-cali della Valpolcevera. La devozione, le strut-ture associative, le relazioni sociali, ilpatrimonio artistico, in Valpolcevera segreta, acura di E.Marcenaro, Genova 2007, pp.90 – 112.

F. FRANCHINI GUELFI, Il gran teatro della de-vozione a Genova: le sculture recitanti delleconfraternite dal Seicento all’Ottocento, inMurcia. II Congreso Internacional de Cofradìasy Hermandades. Actas y ponencias (Murcia2007), Murcia 2008, pp.141 – 146.

F. FRANCHINI GUELFI, Le commande artisti-que des confréries en Ligurie, in Les confrériesde Corse. Une société idéale en Mediterranée,catalogo della mostra, Corte 2010, pp.348 – 361.

P.L.GARDELLA – E.MEOLI, Confraternite nelgenovesato, Genova 2010.

F. FRANCHINI GUELFI – A.GIACOMINI, LaConfraternita di Sant’Alberto di San Siro diStruppa nel sesto centenario della fondazione(1412 – 2012), Genova 2012.

F. FRANCHINI GUELFI, L’oratorio della Nati-vità di Maria Santissima e San Carlo di Ma-sone. Le vicende storiche e il patrimonioartistico, in Cammino di Fraternità Interregio-nale delle Confraternite 15 maggio 2011, AcquiTerme 2012, pp.26 – 36.

F. FRANCHINI GUELFI, Il patrimonio artisticoe culturale delle confraternite immagine delleautonomie locali e delle tradizioni devozionalidel territorio ligure, in L’Oratorio dei Discipli-nanti di Moneglia. Testimonianza di fede e diarte nella storia di una comunità, Atti del con-vegno (Moneglia 2012) a cura di G.Algeri eV.Polonio, Chiavari 2012, pp.283 – 295.

A lato, Domenico Bissoni, Crocefisso processionale, Genova,Oratorio di Sant’Antonio Abate allaMarina, già nell’Oratorio di SanGiacomo delle Fucine

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A più di ottant’anni dal ritro-vamento, un convegno ed unamostra pongono fine all’indiffe-renza di Alessandria nei confrontidel Tesoro di Marengo. É notoche al momento del rinvenimentonel 1928 alla tenuta Pederbona simanifestò in città un inspiegabileblackout mediatico politico chefece ignorare la notizia dai mezzidi informazione e che portò all’as-soluta mancanza di iniziative inmerito alla destinazione dei pezzirinvenuti, sicché la successiva de-stinazione al Museo di Antichitàdi Torino non destò la minimareazione negativa. Il disinteresseera tale che non venne propostaneppure una mostra temporaneanel centro provinciale prima che ipezzi restaurati raggiungessero laloro collocazione definitiva.

Ora un convegno tenutosi nelmarzo del 2010: il Tesoro di Ma-rengo, storia, misteri, ricerche eprospettive, i cui atti coediti dallaSocietà di Storia Arte e Archeologia diAlessandria e dalla Soprintendenza per ibeni archeologici del Piemonte, a cura diMarica Venturino Gambari e da Alberto

Ballerino danno un sostanzioso contri-buto alla conscenza di quei lontani avve-nimenti; soprattutto Ballerino che rico-struisce il clima politico e culturale ales-

sandrino di quel periodo.La pubblicazione è stata poi

accompagnata da una mostra: Ar-genti di Marengo Un tesoro neltesoro a Palatium Vetus nel recu-perato antico broletto.L’iniziativa, oltre a portare gli an-tichi reperti finalmente alla vistadegli Alessandrini, ha inteso co-stituire una linea di confine tra ilpassato e il futuro del Tesoro, nelmomento in cui se ne sta proget-tando il nuovo allestimento mu-seale a Torino e avviando laripresa degli studi e delle ricer-che.

Gli argenti del Tesoro diMarengo messi in mostra attra-verso un percorso essenzialeche ha focalizzato l'attenzionedel pubblico sui principali mo-menti della loro storia e ha con-sentito al visitatore di approfon-dire la conoscenza degli oggettiattraverso ingrandimenti foto-grafici che hanno facilitato la

percezione dei dettagli sembrano, se sigiudica dal numero dei partecipanti al-l’evento, avere riconciliato la città di Ga-gliaudo con la scoperta di tanti anni fa.

Alessandria celebra, ad ottant’anni dal rinvenimento, il Tesoro di Marengodi Alessandro Laguzzi Sotto, busto loricato in argento

dell’imperatore Lucio Vero

in basso fascia con tredici dei epersonaggi del mito, lavorata asbalzo e rifinita al bulino

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Volentieri pubblichiamo l’articoloche ci ha inviato la scrittrice peruvianadi origini ovadesi Adriana Alarco deZadra.

Il personaggio andino più famoso econtroverso di cui ebbero notizie gli Spa-gnoli che arrivarono a conqui stare ilvasto regno del Perù, fu Tonapa. Le leg-gende che si traman davano da una gene-razione all’altra erano tanto straordinarieche gli Europei rimasero impressionatidalla storia di questo predicatore apparsosulla Cordigliera delle Ande in epocapreincaica.

Il mistero circonda ancora le leggendesu Tonapa, venerato e ono rato nelle re-gioni dell’Impero andino. Si può affer-mare che fu un grande predicatore,portatore di usanze agri co le e riformatoredi dottrine.

Si attribuisce a Tonapa la fabbrica -zione di una croce di legno che portò aspalla da Carabaya fino alla collina di Ca-rapucu, due luoghi molto lonta ni tra loro,sulla Cordigliera. Poiché molti scritti se-gnalano che, durante la sua vita pubblica,Tonapa fu un uomo di età media e magro,perma ne il dubbio se avrebbe avuto laforza sufficiente per trasportare un similepeso lungo quel percorso.

Si dice che questo servo odisce polo di Dio fosse arrivatodalla parte settentrionale delRegno del Perù e vie ne de-scritto come una figura alta emagra, con capelli chiari e lun-ghi. Vestiva una tonaca di co-tone lunga e stretta di colorebianco. Sulla testa por tavauna corona simile a quellausata dai “curaca” o sacerdotiche fungevano da capi dei rag-grup pa menti umani in epocapreincaica. La corona usatadai sacerdoti era una tiara chesi stringeva intorno alla testa eche sul davanti portava un’im-magi ne fatta di metallo e deco-rata con piu me colorate.

Nelle figure che abbiamodi questo personaggio tro-viamo anche un lungo bastoneche reggeva in mano, forsesimbolo di potere e virilità,

tanto che gli Spagnoli cerca ro no di modi-ficarlo in un libro sulle immagini fatte sudi lui nell’epoca del la Colonia spagnola,cosa assai poco credibile.

Questo predicatore affermò di esserefiglio del Sole e discepolo del Dio su-premo creatore chiamato Hui ra cocha, Pa-chacamac o “Anima del mon do”. Tonapafu ricordato anche con altri nomi, se-condo la regione do ve predicava, comeTunupa, Tara pacà (o Aquila) e Aticonsulle Ande, e Conapa, Contiki o Cunirayasulla costa.

Il significato del nome Tonapa è“Mulinello di Fuoco”, per cui diven ne unepiteto solare, un simbolo, attributo o in-carnazione del Sole.

Questo essere portentoso sarebbe ap-parso vicino a un lago andino e correvavoce che si spostasse veloce come ilvento, da qui l’attributo di aquila. Predi-cava alla gente con gran di gesti, a vocealta, e gli abitanti piangevano pentiti delleloro male fatte e si lavavano i capelli e ilcorpo nelle acque del lago.

Ma non tutti seguivano i suoi coman-damenti e consigli. Tonapa si sarebbeperciò imbarcato su un suo mantello gal-leggiante, più probabil mente sopra una

zattera sul Lago Ti ti caca, raggiungendoTiahuanaco. Si di ce che stesse fuggendoda una morte crudele per mano della tribùdei Canas che lo inseguiva, gente adi ra taper le sue prediche disciplinari, ordini ecomandi severi.

Si racconta che, allora, per liberarsi dichi lo perseguitava, Tona pa fece caderefuoco dal cielo pun tando il suo bastoneverso le nuvole e questo fu causa di tuonie incendi in una vasta zona. Sgomenti, iCanas si pentirono e calmarono la lorofuria. Tonapa, quindi, spense il fuoco conquel bastone magico. Per ricordare que-st’avvenimento, nelle vicinanze del LagoTiticaca si erge tuttora una gigantescapietra che misura 85 cm di larghezza e4,25 m d’altezza, scolpita con fattezzeumane e decorata con figure zoomorfe.

Il predicatore insegnò successiva -mente alle popolazioni del luogo, cosìcome ai Canas rimasti con lui, le tecni-che agricole per avere raccolti e alimenti,e consigliò di fermarsi in una valle fertileper non continuare la vita nomade. Inviòpoi un piccolo gruppo di eletti, chiamatida tutti “signori discepoli” in segno di ri -spetto, verso est, o “dove nasce il so le”,con il proposito di formare vil laggi e in-

segnare alla gente a non vi ve -re dentro grotte pericolose enem meno troppo vicino aifiumi che avrebbero potutostraripare, ma in abitazioniasciutte e solide, costruite ap-positamente.

Tonapa, lasciandosi allespalle il lago, si diresse versole Ande centrali e, avvicinan-dosi all’attuale città di Cuzco,si fermò in paesini e villaggi,insegnando alla popolazioneuna dot trina d’amore, prati-cando mera viglie e miracoli.Guariva i malati conl’imposizione delle mani, pre-pa rava antidoti con le erbe einsegnava a cucinare patate emais nei forni interrati, soprapietre roventi. Consi glia vatutti sui loro problemi e dif -ficoltà quotidiane, come fos-sero stati suoi figli.

Il mistero di TonapaAdriana Alarco de Zadra

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Gli abitantidella Cordiglieradelle Ande impara-rono così a colti-vare la terra, acuocere pane confarina di mais, aprendere i fruttidagli alberi e ripro-durli, e, poco apoco, si riuni ronoin gruppi agricoliformando le primecomunità.

Giunto allazona di Cuzco,fondò la comunitàdegli “Orejones”, i saggi della regione.Questo nome di “Ore jones”, o GrandiOrecchie, venne da to ai sacerdoti per ilfatto che porta vano piastre tondeggiantid’oro e ar gento inserite nel lobo del-l’orecchio.

Tonapa poi distrusse gli idoli e le im-magini di demoni, e li relegò lon tani dallezone abitate. Fece scompa rire i falsi dei equelli trasportabili li inviò alla montagnadi Pariaca a quasi seimila metri di altitu-dine, fra i venti ghiacciati. Tutti gli esseridemo niaci fuggirono strillando, tanto chesi formò una tormenta con lampi e tuoni,mentre si allontanavano verso imonti innevati.

Tonapa mandò in esilioanche le persone che minaccia-vano la gente pacifica provo-cando danni alle colti vazioni orubando i figli ad altri.

Per un periodo, Tonapa vissea Huarivilca. La sua dimora sitrovava adiacente alla strada in-caica che da Cuzco arriva allavalle di Jauja, ai piedi di unabassa collina vicino al fiume.Ma non si fermò per moltotempo e continuò il suo pelle-gri nag gio per le vallate dellaCordigliera del le Ande predi-cando e formando villaggi diagricoltori.

Giunse alla città di Huanucodove si può trovare ancora laporta di pietra innalzata per ilsuo arrivo, così da entrare in

quella località passando sotto di essa. Lemisure di questa porta in pietra fatta peril figlio del Sole sono di 38 piedi di al-tezza, 18 piedi di lunghezza e 6 piedi dilarghezza.

Un giorno arrivò stanco al vil laggiodel “curaca” Apotambo, dove era in corsouna grandiosa festa per il matrimonio diuno dei capi. Nono stante la stanchezza,donò al capo un bastone di comando, pre-dicò senza sosta e insegnò i sette precettiche i due sposi avrebbero dovuto seguirenella loro vita futura. Richiamò affabil-mente all’ordine chi conduceva una vitadisordinata e sconsacrò la statua di donna

che si adoravasu una monta-gna soprastante.

Continuandoil suo pelle-gri naggio attra-verso le montagne, le val li ela regione co-stiera, una notte,sot to una vio-lenta tormenta,Tonapa si avvi-cinò al paese diYamquesupa .Indossava sol-tanto la sua

lunga tonaca che ricopriva il corpo maci -lento. Erano giorni che non mangia va.

Gli abitanti del paese non vollero aiu-tarlo, né ascoltare le sue dottrine d’amoree disciplina, quindi lo spin sero con ani-mosità fuori dal paese. Tonapa si irritòmolto e li maledisse.

- Annegherete nel temporale, -prono -sticò.

Così fu. Nel luogo dove sorgeva que-sto paese, oggi si trova un’enor me distesad’acqua, la laguna di Yam quesupa.

Dopo di che, Tonapa proseguì sullastrada verso la costa del Pacifi co. Se-

condo le cronache spa-gnole, l’In ca Pachacutecraccontò la storia a lui tra-mandata, nella quale si ap -pren de che fu moltodifficile per Tonapa indot-trinare i villaggi in riva almare, poiché avevano leloro antiche cre den ze e nonvollero ascoltarlo.

Tonapa cercò di convin-cere gli uomini che anchelui era stato creato da Dioper aiutarli, nello stessomodo degli astri del cielo, eche il suo nome era simbolodel fuoco e della luce delsole.

Maledisse chi non loascoltò, facendo diventaresterili i loro campi fertili.Tolse la pioggia a gran partedella costa per cui, ancora

Alla pag. prece-dente, Tonapa inuna incisione otto-centescaIn questa pag inbasso, i lama peru-viani

A lato, caratteri-stica imbarca-zione in giunchisul lago Titicaca

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oggi, i campi sono coltivati soltanto vi-cino ai fiumi; il resto del suolo divennedesertico.

Benedisse le coppie unite che pro-creavano figli e lavoravano la terra, e ma-ledisse chi parlava male di lui, adoravagli idoli, rubava o distruggeva i campi la-vorati. Un uomo e una donna che nonvollero ascoltarlo, insensibili ad altro chenon fosse il loro amore, furono trasfor -mati in pietre. Si possono vedere lun go lacosta ancora oggi e sono chia mate “Sor-tilegio d’Amore”.

Continuò il suo viaggio lungo la costae arrivò a Porto Vecchio, a sud della di-mora di Pachacamac. In quel luogo lo vi-dero passeggiare sulle acque del marecome se camminasse sulla terra. Succes-siva mente, sulla costa fu costruito dagliIncas un immenso Tempio dedicato al dioPachacamac, divenuto tanto famoso che ipellegrini giungevano dalle quattro stradelastricate prove nienti dai confini dell’Im-pero. Fu luo go sacro di oracoli e cerimo-nie reli giose. Si narra che Pachacamac,l’es sere supremo, ebbe a discutere conTonapa perché quest’ultimo voleva inse-gnare una dottrina diversa, al suo arrivosulla costa. Di conseguenza, gli uominidei dintorni che non ascol tarono il nuovovenuto diventarono animali e Pachaca-mac dovette ricrea re tutti gli uomini edonne come sono oggi.

Il culto di Tonapa continuò per moltianni nelle Ande, anche durante il regnodegli Incas, come pure dopo la conquistadel Perù.

Il vigore straordinario della culturaandina si conservò attra verso i secolinelle abitudini e tradizioni. I conquista-tori spagnoli arrivarono nel XVI secolo etro varono un territorio enorme go verna toda una dinastia discendente dal Sole, inconflitto per la conquista del potere. Vierano buone strade, con terre coltivate,palazzi e templi impressionanti.

Questa organizzazione politica creatadagli Inca (Secoli XI – XVI) che soste-nevano essere figli del Sole, fu la più fa-mosa del Sud America. Il loro sistemagerarchico nato dopo la disgregazionedell’Impero Wari, ven ne da una piccolapopolazione insediata nella regione di

Cuzco. La loro rapida espansione fu pos-sibile grazie a una notevole potenza mili -tare e una capillare organizzazionepolitico-amministrativa che sotto met tevale popolazioni locali.

Riferiscono le cronache spagnole chequando nacque un figlio all’Inca CapacYupanqui, questi fece portare acqua dalLago Titicaca, come aveva insegnato To-napa, per ungere il neo nato, e i presenticantarono salmi in onore del predicatore.Con questa ce ri monia dell’acqua si vo-leva attrarre le benedizioni del figlio diDio sul bambino che divenne più avantil’In ca Roca. Quando gli Spagnoli appre -sero questo fatto, lo indicarono come ilprimo battesimo con l’acqua cono sciuto

nel Nuovo Mondo. A causa di queste notizie e leggende,

molti cronisti confusero To na pa con santidella religione cri stiana e altri lo chiama-rono rispetto sa mente “il Barone Tonapa”.

Alcuni Spagnoli lo identificarono conSan Tommaso, San Bartolomeo o SanGiacomo detto anche “Santiago ma -ta-moros”. Molti fatti che si tra -mandarono nelle leggende furono mes siin relazione con la storia cri stiana diGesù.

Non manca chi assicura che Tonapafosse lo stesso Gesù Cristo, il quale sa-rebbe apparso in quelle terre lontane percomunicare la vera fede agli infedeli.

Le leggende sul controverso perso naggio diTonapa sono basate su diverse cronache. Moltedi queste sono state descritte da Samuel LafoneQuevedo, Catamarca 1892. Furono pubblicatenel “Libro de Antiguedades Peruanas de San -tillàn y otros”, per Editorial Guara nia Para-guay, in Buenos Aires, 1950. Altre storie sono diHugo Pesce, studioso della cultura andina, chescrisse “El Factor Religioso”, pubblicato aLima nel 1972. Altri libri consultati sono: “ElLa go Titicaca” del Dott. Washington Cano, Edi-ciones Moreno, Argentina 1952; e “I Popoli delSole e della Luna”, Fabbri Editori, Milano1990.

in basso, le vette innevate deimonti della Cordigliera Cara-baya

A lato il gigantesco idolo inpietra che ricorda il passaggioe le imprese di Tonapa, neipressi del lago Titicaca

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Le vicende amministrative ottocente-sche relative ai vari passaggi del Manda-mento di Ovada, tra le province di Novied Acqui e le divisioni di Alessandria eSavona, emblematico esempio di “inge-gneria territoriale”, sono state recente-mente materia di una brillante tesi dilaurea della Dott.ssa Cristina Marchiorodal titolo “La maglia amministrativa delRegno di Sardegna tra Restaurazione edUnità: dal dibattito politico alla defini-zione dell’ordina mento spaziale” (Uni-versità degli Studi di Torino – Corso diLaurea Magistrale Interfacoltà in Geo-grafia – a. a. 2012/2013). Lo studio sifonda su di una prima parte dedicata al-l’ordina mento amministrativo sabaudo edi una seconda dedicata in modo speci-fico a quel territorio di confine tra ilRegno di Sardegna e la Repubblica diGenova quale era il mandamento diOvada.

La laureanda, nel corso delle sue ap-profondite ricerche, si è avvalsa, tral’altro, anche di ragguagli reperiti pressol’Archivio Storico dell’Accade mia Ur-bense. Pertanto la Redazione di “URBS”ha deciso di pubblicarne uno stralcioparticolarmente significativo.Per meglio inquadrare i lettori sui nu-

merosi trasferimenti subiti dal manda-mento ovadese, nonostante che lapopolazione si sentisse profondamenteancorata alla secolare unione con Ge-nova, si evidenzia che, conl’incorporazione della Liguria nel Regnodi Sardegna (1815), il mandamento diOvada, già appartenenteall’”arrondissement” di Novi al tempodell’Impero francese con la qualifica dicantone, a seguito del Regio editto del 10novembre 1818 venne inglobato nellaprovincia piemontese di Acqui. (PierGiorgio Fassino)

La risonanza della questione ova-dese a livello statale: i giornali “II Ri-sorgimento” e “La Concordia”

La concessione dello Statuto Alber-tino e il conseguente mutamento dei rap-porti tra lo Stato centrale e i territori

locali (1) furono l’occasione per donareeco e centralità alla questione ovadese,divenuta nel frattempo più complessa edarticolata. Infatti le lettere patenti del 30ottobre 1847 separarono la provincia diAcqui, a cui apparteneva il mandamentodi Ovada, dalla divisione di Alessandria ene sancirono l’annessione alla divisionedi Savona. Nella copia di un verbale delConsiglio comunale di Ovada rinvenutanell’Accademia Urbense si legge:

“(...) si aggiunga a tutto questol’inclinazione e il bisogno sentito dallapopolazione [ovadese] di partecipare coni genovesi alla sorte comune nelle circo-stanze attuali nel nuovo regime costitu-zionale e alla conservazione delmedesimo con tutti i nostri fratelli e sud-diti dell’augusta Regnante Casa di Sa-voia; onde per il buon ordine ancora e perla marcia del contingente di servizio e perprevenire in ogni modo qualunque alte-razione di pubblica tranquillità è indi-spensabile la restituzione di questocomune e giurisdizione di Genova” (2).

Sembra esservi grande fiducia nelnuovo regime costituzionale concesso dalRe Carlo Alberto nel marzo del 1848, do-vuta all’intensificarsi delle relazioni tra il

centro e le periferie dello Stato, rappre-sentate a vario titolo nella Camera elet-tiva del Parlamento subalpino. Oltre aciò, v’è da sottolineare un altro fatto dallavalenza non trascurabile: la nomina del-l’ovadese Domenico Buffa a Ministrodell’Agricoltura e del Commercio nel go-verno Gioberti, il 16 dicembre 1848 (3).Sebbene, poco dopo la sua investitura,avesse dovuto lasciare la capitale, inviatonella città di Genova in qualità di com-missario straordinario con il compito diristabilire l’ordine compromesso dalleagitazioni popolari alimentate dalla pro-paganda mazziniana (4), egli si rivelò am-basciatore attento ed influente delleistanze ovadesi. A riprova di ciò furonorinvenuti molti documenti scritti di suopugno inviati ora al Ministro dell’Internoin carica, ora ai sindaci dei comuni diOvada e Novi, ora ai suoi familiari. Fu si-curamente la particolare combinazione dieventi citati - la concessione dello Statutoe una degna rappresentanza ovadese nellealte gerarchie di governo dello Stato - afacilitare l’approdo della questione ova-dese al Parlamento subalpino e la riso-nanza che ebbe nella capitale del Regno.A tal proposito, la consultazione di alcunigiornali, in particolare “II Risorgimento”e la “La Concordia”, due tra i quotidianipiemontesi più conosciuti all’epoca (5), ri-levò un’interessante quanto inaspettataattenzione a livello nazionale al caso ova-dese, questione fino ad allora ritenuta diesclusivo interesse locale. Si legge ne “IIRisorgimento” del 7 settembre 1849:

«Ad una grandissima maggioranza laCamera ha oggi deciso la separazione diOvada dalla provincia di Acqui e la riu-nione a quella di Novi. Il deputato Rossiparlò lungamente ed energicamente con-tro quel progetto di legge. Il deputatoBuffa, rispondendo, lo difese bene, eseppe con tanta verità dimostrare chesotto l’apparenza d’un interesse locale laquistione conteneva un atto di giustizia,che, dopo il suo discorso, il voto favore-vole al suo assunto divenne per la co-scienza dei deputati un’imperiosanecessità. Ovada, per tradizione, per to-

Il Mandamento di Ovada: un territorio conteso nell’am-bito della maglia amministrativa del Regno di Sardegna.di Cristina Marchioro

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pografia, per relazioni economiche èpaese intimamente legato alle province li-guri. La sua unione ad Acqui era un fattoviolento, contro il quale protestava e pre-gava da 32 anni; e se la Camera avessedeciso altrimenti, Ovada si sarebbe sot-tomessa oggi al suo decreto, ma per rico-minciare la proteste e le preghieredomani: Ovada, in piccolo, è un’ampiaconfutazione della scuola dei fusionistiche, con un tratto di penna, pretendonoannullare i bisogni e le abitudini delle lo-calità e che, a forza di volere l’Italia una,han reso quasi impossibile l’Italia unita.Quanti di coloro che oggi restaron con-vinti delle ragioni del signor Buffa e de-cretarono la separazione di Ovadabattevano l’anno scorso le palme alla Co-stituente italiana, che pro metteva di fon-dere nel crogiuolo di Mazzini tutti ipopoli italiani!» (6)

“Il Risorgimento”, interpretando leparole del deputato Buffa pronunciate insede parlamentale a sostegno della rian-nessione dei territori ovadesi alle circo-scrizioni liguri, denunciò l’unione diOvada alla provincia di Acqui come un“fatto violento” contrario ad ogni formadi razionalità della maglia amministra-tiva: culturale, topografica, economica.La questione di Ovada, apparentementeconfinata alla scala locale e pertanto, inprima battuta, di dubbio interesse per laprospettiva d’analisi nazionale, scosse glianimi dei funzionari governativi. Costi-tuiva un piccolo esempio ed effetto degliinterventi di quella che venne chiamatacausticamente “la scuola dei fusionisti”.“Con un tratto di penna”, in nomedell’”esprit de geometrie”, dei criteri ra-zionali di ritaglio, dell’omogeneità edella uniformità delle circoscrizioni am-ministrative annullano, sovrastavano bi-sogni e permanenze territoriali dellesingole località (7). Tale critica non si ar-restò alla constatazione delle ingiustiziesubite e dei conseguenti malumori agitatialla scala locale, ma li pose in rapportocon il progetto di unificazione del Regnod’Italia sostenendo che gli interventi diriordino forzoso della maglia ammini-

strativa, tesi a scomporre e ricomporreprovince e divisioni appartenenti a tradi-zioni storiche ed afferenti a territorializ-zazioni molto diverse, avesserofor temente compromesso l’Unità dei po-poli, l’armonia. È una forte criticaall’”ingegneria del decoupage”, al rita-glio informato ai soli criteri razionali in-curanti delle territorializzazionisedimentate nel tempo, di cui Ovada ap-pariva a tutti gli effetti un piccolo esem-pio.

“La Concordia” era di tutt’altro av-viso. Sempre ligia al governo per pro-fonda convinzione politica, un sostegnoche palesò in particolar modo nei primianni dalla sua pubblicazione, scrisse indata 24 ottobre 1849, a distanza di pochigiorni dal tentativo del Senato di inserirenel testo di legge l’articolo 4 contenetel’obbligo di compensazione per la pro-vincia di Acqui:

«Noi veramente non ci possiamo per-suadere come un paese possa pretenderecompensamento per la perdita di un terri-torio che in una circoscrizione più ragio-nata possa essere spettato ad altra partedi Stato. La circoscrizione territoriale èl’effetto delle condizioni fisiche ed eco-nomiche di più comuni, dalla facilità neimovimenti dell’amministrazione deglistessi, dei rapporti di utilità tra loro e cor-rispettivamente a tutta una nazione.Quindi ogni comune, ogni contrada nonvi ha interesse che sino al punto che que-ste circostanze lo mettano nella necessitàdi far parte di uno speciale ordinamento;ma laddove questo interesse manchi sic-come nella specie è tra Ovada ed Acquiha dell’insulso la valutazione dei danni edei compensi. (...) L’articolo del Senatonon fu difeso che dai deputati Bella e De-spine; il primo certamente qual deputatodi Acqui, ed il secondo per quella ten-denza che han gli uomini dell’estremadestra verso le invenzioni dell’altra Ca-mera e del ministero. Noi veramente nonsaremmo stati né per l’uno né per l’altrodei due articoli, come né anche per lalegge intera, essendo contrari a questemunicipali riforme, mentre generale e pertutte le varie divisioni, mentre generale e

per tutte le varie amministrazioni è la ne-cessità di una riforma»(8).

Il quotidiano affermò che la circoscri-zione provinciale doveva essere la risul-tante di alcuni particolari caratteri giànominati e discussi in sede parlamentarenell’ambito della presentazione dei pro-getti di riforma dell’ordinamento spazialedella maglia amministrativa. Nella deter-minazione dei confini provinciali furonodunque posti in rilievo i caratteri topogra-fici del sito, le condizioni economiche, lafacilità delle comunicazioni, l’esistenzadi rapporti di utilità tra centro e periferiadella medesima partizione. Non verifi-candosi tali condizioni per Ovada era au-tomatico e pienamente legittimoadoperarsi per delineare una circoscri-zione più ragionata e rispondente ai cri-teri citati. Il quotidiano, cosi comeavvenne poi in sede parlamentare, criticòla logica delle compensazioni propostada alcuni deputati a favore della Provin-cia di Acqui, poiché era ritenuta ostaco-lare se non addirittura impedire l’azioneriformista del governo. Infatti se ogni cir-coscrizione interessata da un nuovo rita-glio avesse esatto una contropartita, ilriordino richiesto a gran voce alle variescale di governo sarebbe stato di fatto im-possibile, continuamente osteggiato permano dell’una o dell’altra partizione am-ministrativa. In conclusione, il giornalesi professò contrario agli interventi parti-colaristici, necessitando lo Stato di unariforma complessiva.

L’approdo della questione ovadesein Parlamento: la strategia delle com-pensazioni

II 19 agosto 1849 il Ministro degli Af-fari Interni, Pinelli, trasmise a Sua Mae-stà il disegno di legge (9) nel quale sistabiliva che a partire dal 1° gennaio del1850 i comuni di Ovada, Belforte, Ta-gliolo, componenti il Mandamento diOvada, avrebbero cessato di far partedella provincia di Acqui per essere com-presi nella provincia di Novi (10). Il 25agosto dello stesso anno il Re VittorioEmanuele II firmò il decreto ed inviò in

Alla pag. precedente, il depu-tato ovadese Domenico Buffa,al tempo dell’intervento citatonell’articolo, in un disegno amatita di Biagio Torrielli

Nella pag. a lato, veduta diOvada dalla parte dello Stura,in una fotografia del 1880

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Parlamento il progetto di legge presenta-togli dal Ministro Pinelli (11). La proposi-zione legislativa seguì un iterparlamentare piuttosto veloce. Alla Ca-mera si scontrò con l’opposizione dei De-putati Bella, Rossi e Michelini G. B. (12),fondata essenzialmente sulla necessità digarantire e tutelare la circoscrizione dimaggiore importanza tra le due, medianteun provvedimento di compensazione adhoc per la Provincia d’Acqui, la quale daldisegno di legge in esame subiva un dop-pio svantaggio, da una lato, il distacco diuno dei suoi mandamenti e la conse-guente privazione della sua quota di tri-buti prediali (13), dall’altro, il mante ni-mento della separazione dalla divisionedi Alessandria, a cui era legata da inte-ressi e tradizioni storiche di lungo pe-riodo. Nonostante ciò, i pareri positivi delMinistro dell’Interno e del deputato Do-menico Buffa orientarono l’assemblea,determinando l’approvazione della leggecon una maggioranza di 96 voti a 29 (14).Il progetto di legge passò, dunque, al Se-nato, ove le preoccupazioni del Buffa inmerito ad un possibile quanto probabileostruzionismo, desunte da un carteggiotra il suddetto e i Consigli Comunali dellaCittà di Novi ed Ovada (15), si rivelaronoeccessive e sovrastimate. La legge venneapprovata con l’aggiunta di un quarto ar-ticolo (16), cha impegnava il Governo apresentare un progetto di legge volto a ri-conoscere alla provincia d’Acqui un giu-sto compenso per i danni subiti dallaseparazione del mandamento di Ovada edall’aggregazione di detta provincia alladivisione di Savona (17); la trascurabilità

di questi ultimi, sostenuta ed argomentatadal Ministro Pinelli (18) in occasione dellaprima presentazione del progetto di leggealla Camera, venne così smentita. A talproposito, il Senatore Giulio proponevatre possibili compensazioni: da un lato,scindere l’innaturale aggregazione dellaprovincia di Acqui con la divisione di Sa-vona, come sostenuto con favore da al-cuni senatori e dal Ministro dell’Internodall’altro, accrescere il sussidio concessodal governo alla provincia di Acqui,come proposto dal relatore della Com-missione in Senato, il senatore Colla, in-fine, la restituzione alla provinciad’Acqui di alcuni dei comuni che leerano stati tolti nel 1814 e nel 1827.

Nella seduta della Camera dei depu-tati del 23 ottobre del 1849 una piccolamodifica alla forma dell’articolo 4 ag-giunto al testo originale dal Senato, fu fa-tale (19): lo scioglimento delle Camerefece cadere il progetto di legge ad un sof-fio dall’approvazione. A distanza di pochigiorni dalla discussione del 23 ottobre1849, il deputato Bella, interpretando allalettera le disposizioni dell’art. 4, presentòalla Camera una proposta di legge in me-rito all’aggregazione della Provinciad’Acqui alla Divisione Amministrativa diAlessandria. Egli sostenne che l’unionedella Provincia d’Acqui alla DivisioneAmministrativa di Savona, operata con leRegie patenti del 30 ottobre 1847 ed ef-fettuata il 1 gennaio del 1848, fu unapresa di posizione violenta imposta aduna popolazione di oltre centomila abi-tanti, e pertanto non poteva essere tacita-mente accettata. La naturale localiz-

zazione geografica della provincia pale-sava le contraddizioni dell’imposta deci-sione amministrativa: la considerevoledistanza tra Savona ed Acqui; il passag-gio del fiume Bormida; la mancanza diregolari e agevoli comunicazioni, ed in-fine, l’assenza di relazioni commercialitra le due città erano sufficienti a giusti-ficare la separazione della provincia dalladivisione ligure. Inoltre, la provinciad’Acqui, benché non possedesse abbon-danti risorse territoriali, si trovava adover corrispondere un’imposta provin-ciale molto maggiore rispetto a quanto ri-chiestole nella precedente organizzazioneterritoriale (20), con danno ingente per lesue popolazioni. Tale progetto non vennediscusso né tantomeno approvato dalleCamere a causa dello scioglimento dellestesse e della caduta del Governo alla finedel 1849.

Nonostante il deludente epilogo, ilBorgo di Ovada non intese darsi pervinto. Inviò nuove petizioni al Ministerodegli Affari Interni, la prima di queste giàin data 10 maggio 1850 (21); tuttavia, que-st’ultima come le successive rimaseroinascoltate. La questione venne ripropo-sta al governo liberale di Cavour, insedia-tosi nel 1852, confidando che l’appoggiodell’Intendente Generale di Genova, Do-menico Buffa, potesse influire nuova-mente sull’avanzamento del l’iterpar la mentare. Come ipotizzato,l’Intendente inviò al Governo l’ennesimaistanza di Ovada, ma in una lettera del 3marzo del 1853 il Ministro degli Internigli confidò l’impossibilità di procederealla discussione del provvedimento di

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legge. La Camera, infatti, risultava obe-rata di lavori di interesse generale, oltread avervi depositate presso di essa nume-rose pratiche di natura ed urgenza analo-ghe alla questione ovadese. Trovandosiin Parlamento molti deputati coinvoltinelle questioni territoriali citate, tutti con-dizionati dal legame esistente tral’elettorato locale e le rappresentanzeelette, non era possibile né funzionale alGoverno dello Stato il privilegiarne unasoltanto, pena l’acuirsi dei dissapori tra ideputati e tra il Governo e i territori, né ilprenderle tutte in esame, pena la paralisioperativa del Parlamento (22). Gli avveni- menti politici del tempo finirono così perassorbire tutte le attenzioni del Governo,lasciando le aspirazioni locali sullosfondo, temporaneamente insolute.

La questione ovadese come, del resto,l’intera maglia amministrativa dello Statoda tempo in attesa di un riordino, trova-rono sistemazione più o meno soddisfa-cente all’indomani della Seconda Guerrad’Indipendenza, quando l’allora Ministrodell’Interno Urbano Rattazzi, in virtù deipieni poteri conferitegli dal Re VittorioEmanuele II con il provvedimento del 25aprile 1859, emanò, il 23 ottobre 1859,una nuova legge sull’ordinamento comu-nale e provinciale del Regno. I circondaridi Acqui e Novi, legati dal precedente in-tervento legislativo alla divisione di Sa-vona e di Genova, furono annessi allaprovincia di Alessandria. Ovada fu an-nessa al circondario di Novi, mantenendotuttavia le funzioni di capoluogo di man-damento (composto dai comuni diOvada, Belforte e Tagliolo). Il territorioovadese, come del resto accadde per ilnovese, rimase alessandrino e piemontesenel corso dei decenni, non senza reiteratireclami e manifestazioni di disappunto daparte dei territori locali e delle provincedi Alessandria e Genova.

Note(1) Raccolta de’ Regi Editti, op. cit., Torino

1848, voi. XII, pp. 41-48 e spec. p. 47. Lo Sta-tuto fondamentale della monarchia di Savoia (4marzo 1848), nelle disposizioni dell’ordine giu-diziario, affermava che “le istituzioni comunalie provinciali e la circoscrizione dei Comuni edelle Provincie sono regolate dalla legge”. In

merito allo Statuto Albertino, Soffietti e Monta-nari scrivono essere una svolta decisiva nellastoria del Regno di Sardegna. “Lo Stato è rettoda un governo monarchico e rappresentativo”recita Kart. 2 comma primo dello Statuto. Siravvisa pertanto un processo di lenta ma inarre-stabile trasformazione del regime vigente nelloStato sabaudo, secondo il modello “parlamen-tare”, caratterizzato da un rapporto di fiduciache deve sussistere necessariamente tra i mini-stri, il governo e le camere, con il conferimentodi un ruolo determinante alla camera elettiva.Cfr. I. SOFFIETTI - C. MONTANARI, Il dirittonegli Stati Sabaudi: le fonti (secoli XV - XIX),Torino, G. Giappichelli Editore, 2001, pp. 185 ess.

(2) AU Ovada, Copia del Verbale del Consi-glio comunale di Ovada. Documento non datato,presumibilmente successivo alla concessionedello Statuto Albertino di cui si fa riferimentonel testo. Fogli sciolti non inventariati.

(3) Accanto alle diverse strategie argomenta-tive addotte dal Consiglio comunale di Ovada alfine di dimostrare la bontà delle proprie richie-ste di revisione territoriale della maglia ammini-strativa, il Comune di Ovada sfruttò l’influenzadi un suo concittadino, Domenico Buffa, per faravanzare le proprie istanze ai livelli di governocentrale. Infatti Domenico Buffa (Ovada, 16gennaio 1818 -Torino, 19 luglio 1858) costituiva una figura

rappresentativa degna di nota nonché un interlo-cutore privilegiato. Nella documentazione con-sultata compaiono numerosi carteggi tral’onorevole Buffa e il Sindaco di Ovada e diNovi, tutti successivi al 1848. Ciò confermal’attribuzione di un compito rappresentativo ul-teriore rispetto a quello che il concittadino ova-dese era formalmente chiamato a svolgere perle funzioni pubbliche che ricopriva. In forzadella visibilità e dell’influenza che egli avevanelle alte sfere di governo del territorio, fu inca-ricato di presentare le istanze del Borgo Ova-dese al Ministro dell’Interno e al Parlamentosubalpino. La fitta corrispondenza rinvenuta inArchivio comunale di Novi informa della serietàcon cui egli prese tale investitura. Egli infattiforniva puntualmente ai rappresentanti locali ilresoconto delle sue mosse e dell’avanzamentodella questione nelle istituzioni di governo. Seb-bene, come vedremo meglio in seguito, l’esitodelle vicende amministrative non fu quello spe-rato - infatti con il riordino del 23 ottobre 1859Ovada fu annessa al circondario di Novi, ma ri-mase confinata nei territori alessandrini e pie-montesi -, il coinvolgimento concreto delle altegerarchie di governo fu possibile solo attraversoil ricorso ad una personalità di spicco, coinvoltapersonalmente nel riordino richiesto. Cfr. ADOvada, Lettera del Vice Sindaco di Ovada, Do-menico Sozzano, a Domenico Buffa datata 13giugno 1848. Fogli sciolti non inventariati; ASC

Novi, Cartella 12, Fascicolo II, Carteggio rela-tivo alla domanda del municipio di Ovada alParlamento onde ottenere la separazione di quelmandamento dalla provincia di Acqui el’aggregazione a quella di Novi.

(4) AST, Corte, Paesi per A e B, Genova,mazzo 18, fase. 10.

(5) A. COLOMBO, “I giornali torinesi “II Ri-sorgimento” e “La Concordia” negli albori dellalibertà, in “II Risorgimento Italiano”, III (1910),pp. 29-65.

(6) “II Risorgimento”, n° 525, del 7 settembre1849.

(7) II richiamo alle critiche sollevate daRoger Brunet sorge spontaneo: Cfr. R. BRU-NET, Le territoire, art. cit., pp. 251 e ss.

(8)”La Concordia”, n° 255, 24 ottobre 1849.(9) AST, Corte, Paesi per A e B, Ovada,

mazzo 41, fase. 22. Di seguito i passaggi più si-gnifica tivi della lettera di presentazione indiriz-zata a S. M.:

“Sire, i comuni di Ovada, Belforte, Tagliolo,componenti il mandamento di Ovada unanime-mente esposero possenti ragioni per cui insta-rono che quel mandamento sia separato dallaProvincia di Acqui ed aggregato a quella diNovi. La loro domanda venne, giusta il pre-scritto della legge, sottoposta alle deliberazionidei Consigli provinciali di Acqui e Novi e deiConsigli divisionali di Savona e Genova. Di-versi furono i pareri di quei consigli, imperocchéi Consigli Divisionali di Genova e Pro vinciali diNovi accolsero favorevolmente la domanda edopinarono doversi far luogo alla chiesta separa-zione: i Consigli divisionale di Savona e Provin-ciali di Acqui invece stimarono non ammissibilil’istanza degli Ovadesi. Il riferente però , esa-minando le ragioni dell’una parte e dell’altraprodotte non ha potuto a meno di propendere peril favorente accoglimento della domanda”. Sot-tolineo la diversa considerazione dei danni subitidalla Provincia di Acqui e dal Mandamento diOvada. Nel primo caso il Ministro dell’Internoli paragona a minori vantaggi conseguenti alladiminuzione della popolazione, tutto sommatotrascurabili nel discorso complessivo, nel se-condo evidenzia la totalità delle relazioni, nonsolo com merciali, ma anche di materiali comu-nicazioni, del territorio ovadese con le Provincieliguri, per contro, i legami con la provincia diAcqui, la quale si scoprì non solo essere un mer-cato sfavorevole per lo smercio di manufatti lo-cali del Mandamento di Ovada bensì unpotenziale concorrente nella produzione e nelcommercio, sono pressoché nulli, eccettuandole re lazioni imposte dalle funzioni amministra-tive. Denuncia infine l’estremo dispendio dienergie e tempo causato dall’organizzazionedelle funzioni, dislocate su quattro siti diversi(Savona, Acqui, Casale, Alessandria), nemmenolocalizzati nella stessa Divisione Amministra-tiva.

Nella pagina a lato, Acqui nel1841 in una litografia di Cle-mente Rovere

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(10) Atti del Parlamento Subalpino raccolti ecorredati di note e di documenti inediti da G.Galletti e P. Trompeo. Documenti, Sessioni 30lug.- 20 nov. 1849, Tornata del 25 agosto 1849,Torino, Eredi Botta, 1860, pp. 178-181. Il pro-getto di legge nella sua prima versione così re-citava: “Art. 1. A cominciare dal 1 gennaio del1850 i Comuni di Ovada, Belforte, Tagliolo,componenti il mandamento di Ovada cesse-ranno di far parte della Provincia di Acqui edella Divisione Amministrativa di Savona; di es-sere compresi nel tribunale di prima cognizionedi Acqui e del magistrato d’appello di Casale enel distretto della Divisione Militare di Alessan-dria. Art. 2. Dall’epoca suindicata il manda-mento di Ovada farà parte della Provincia diNovi e dipenderà: per l’amministrativo dagli Uf-fici d’Intendenza di Novi e d’Intendenza Gene-rale di Genova. Per il giuridico il Tribunale diprima cognizione di Novi e dal Magistratod’Appello di Genova; per le relazioni militari siintenderà pure compreso nella divisione di Ge-nova. Art. 3. Le cause vertenti avanti il Tribu-nale di Prima Cognizione di Acqui ed avanti almagi strato d’appello di Casale e anche quellegià assegnate a sentenza, tanto in prima istanzache in grado d’appello, le quali secondo le re-gole ordinarie di competenza rimangono ora de-volute al Tribunale di Prima Cognizione o aquello di Commercio di Novi o al magistrato diappello di Genova, saranno rispettivamente por-tate avanti gli stessi tribunali o magistrato ad in-stanza della parte più diligente, mediantesemplice citazione”.

(11) AST, Corte, Paesi per A e B, Ovada,mazzo 41, fase. 22.

(12) ASC Novi, Cartella 12, Fascicolo II, Car-teggio relativo alla domanda del municipio diOvada al Parlamento onde ottenere la separa-zione di quel mandamento dalla provincia diAcqui e l’aggregazione a quella di Novi.

(13) Atti del Parlamento Subalpino raccolti ecorredati di note e di documenti inediti da G.Galletti e P. Trompeo. Discussioni Senato. Ses-sioni 30 lug. - 20 nov. 1849, Tornata del 27 set-tembre 1849, Torino, Eredi Botta, 1862, p. 161.

E’ il caso di ricordare, come fece il ministro Pi-nelli durante il dibattimento al Senato in data 27settembre 1849 del progetto di legge, che ilmandamento di Ovada ricopriva una certa im-portanza nella provincia acquese “(...) perché ècerto che il mandamento di Ovada è uno dei piùindustriosi e dove si trattano maggiori affari[della Provincia d’Acqui]”.

(14) ASC Novi, Cartella 12, Fascicolo II. Car-teggio relativo alla domanda del municipio diOvada al Parlamento onde ottenere la separa-zione di quel mandamento dalla provincia diAcqui e l’aggregazione a quella di Novi.

(15) Ibidem.(16) Atti del Parlamento Subalpino. Docu-

menti, op. cit., Sessioni 30 lug. - 20 nov. 1849,Seduta al Senato del 27 settembre 1849, pp.179-181. “Art 4. Il Governo presenterà in Parla-mento, in questa o nella prossima sessione, unprogetto di legge tendente a dare alla Provinciadi Acqui un giusto compenso pel danno che lepotrà provenire per la separazione del manda-mento di Ovada”.

(17) Sulle richieste della provincia di Acquidi ritornare sotto la divisione di Alessandria visono interessanti verbali del Consiglio comunalee provinciale di Acqui in: AST, Paesi in generee per province, Savona, mazzo 89, fase. 17. In-vece per quanto concerne l’avversione ad en-trambi i progetti, quello di Ovada di passare alaprovincia di Novi e quello di Acqui di passarealla divisione di Alessandria, della divisione diSavona si veda i verbali del Consiglio divisio-nale di Savona in data 16 giugno e 20 giugno1849 in: AST, Paesi in genere e per province,Savona, mazzo 89, fase. 19.

(18) AST, Corte, Paesi per A e B, Ovada,mazzo 41, fase. 22. Egli individuava solamentedei minori vantaggi dovuti ad una diminuzionedella popolazione della Provincia, il cui peso eradecisamente inferiore rispetto a quanto subito daOvada.

(19) Atti del Parlamento Subalpino raccolti ecorredati di note e di documenti inediti da G.Galletti e P. Trompeo. Discussioni Deputati.Sessioni 30 lug. - 20 nov. 1849, Seduta del 23

ottobre 1849, Torino, ErediBotta, 1862, pp. 964 - 969.“Art. 4 II Governo presenterà,non più tardi della prossimasessione un progetto di leggepel riordinamento della Provin-cia d’Acqui e delle altre pro-vince del regno abbisognanti dipiù opportune divisioni ammi-nistrative.”

(20) Atti del Parlamento Su-balpino. Documenti, op. cit,Sessione 30 lug. - 20 nov. 1849,Seduta alla Camera del 29 otto-bre 1849, pp. 319. Il progetto dilegge presentato alla Camera in

data 29 ottobre 1849 dal Deputato Bella recitavacosì: “Art. 1. A cominciare dal 1 gennaio del1850 la Provincia di Acqui cesserà di far partedella divisione amministrativa di Savona e sarànuovamente aggregata a quella di Alessandria.Art. 2 Le cause vertenti davanti il Consigliod’Intendenza di Savona saranno portate avantiil Consiglio d’Intendenza di Genova ad istanzadella parte più diligente. I termini ordinari o pro-rogati in dette cause saranno sospesi pel corsodi tre mesi dal giorno della promulgazione dellapresente legge ed il termine per l’introduzionesarà circoscritto ad un mese e si eseguirà nelleforme prescritte. Art. 3 Per la prossima tornatadel Consiglio Divisionale di Alessandria e perla formazione del bilancio del 1850, gli attualiconsiglieri divisionali della Provincia d’Acquifaranno parte dell’attuale Consiglio Divisio-nale d’Alessandria nonostante il disposto del-l’articolo 199 della legge del 7 ottobre 1848. Perla stessa tornata il Consiglio Divisionale di Sa-vona si intenderà costituito col solo numero deiconsiglieri attuali delle due Province di Albengae Savona. Art. 4 Prima delle nuove elezioni siprocederà nelle due divisioni al riparto dei con-siglieri nel modo statuito all’art. 200 della citatalegge. Art. 5 L’estrazione a sorte prescritta dal-l’articolo 201 della legge del 7 ottobre 1848 saràfatta per la divisione di Alessandria del quintodel numero totale dei consiglieri risultante pereffetto dell’articolo 2 della presente. Finchél’attuale numero dei consiglieri della Provinciad’Acqui non sarà ridotto a quello derivante dalnuovo riparto, di cui all’articolo 3 non si faràluogo a rimpiazzamento dei consiglieri estratti.Art. 6 sarà provveduto con Decreto reale acciòi Consiglieri Divisionali della Provincia d’Acquipartecipano all’esame dei conti dell’esercizio1849 della Divisione di Savona analogamente aldisposto dell’art. 216 della legge del 7 ottobre1848”.

(21) ASC Ovada, Verbali del Consiglio Co-munale di Ovada nelle sessioni del 1850 - 1852.Seduta del 10 maggio 1850, faldone SA 017.

(22) AST, Corte, Paesi per A e B, Ovada,mazzo 41, fase. 22.

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Il 30 dicembre 1855 “dopo il mezzogiorno, entrò in possesso della Parroc-chia il nostro Pastore don MaggiorinoServetti di Lussito accolto dall’esultanteed ossequiosa popolazione...”1.

Don Servetti giungeva a CampoFreddo in sostituzione del defunto donGiuseppe Antonio De Alexandris, mortoimprovvisamente il 24 gennaio 18552,ancora piuttosto giovane (era nato a Me-lazzo nel 1798). L’arciprete si era fattoamare da tutta la popolazione per la dedi-zione al suo ministero, per la sua pietà,per il suo saper essere tutto per tutti. Ledue epidemie di colera del 1835 e del1854 lo avevano visto spendersi per i nu-merosi parrocchiani colpiti dal morbo;soprattutto l’epidemia del 1854 (248morti, contando soltanto gli adulti) lovide eroe, insieme al medico condottoBernardo De Giovanna: la fatica fu taleda stroncare il fisico del l’arciprete che,colpito probabilmente da ictus, morì pro-prio quando l’epide mia giunse a termine.

Anche il dottor De Giovanna (natonel 1808) si ritrovò minato decisamentedalla gran fatica: fu a lungo ammalato edovette ad un certo punto rassegnare ledimissioni dall’incarico, morendo ancorgiovane nel 1863, lasciando in enormidifficoltà finanziarie la giovane vedova,Bianca Leone, e gli orfani suoi bambini.

La parrocchia rimase vacante percirca un anno, affidata alle cure dell’Eco-nomo parrocchiale, il canonico GiacomoFelice Leone (1808-1869).

Un anno di vacanza non era situa-zione usuale; siamo comunque in gradodi spiegare il ritardo nella nomina delnuovo Arciprete3: in sintesi, a fronte divarie e pressanti richieste da parte di ungruppo (quasi una consorteria) ben coeso,tanto da presentarsi costantemente comedetentore e voce della pubblica opinionecampese, richieste recepite e fatte propriedalla stessa Amministrazione Comunale,il Vescovo, mons. Modesto Contratto, ri-tardò l’emissione del bando di concorsoper la Parrocchia della Natività di MariaVergine. Ancora il 29 maggio 1855 erapresentata al Consiglio Comunale unapetizione di ben 127 “capi di casa” chechiedevano al Consiglio stesso di farsiparte diligente presso l’Ordinario dioce-

sano perché volesse, “secondo antica tra-dizione”4, nominare parroco un sacer-dote campese, facendo altresì il nome delcanonico don Giuseppe Pesce, in quelmomento parroco di Rivalta Bormida.

Il Consiglio fece propria l’istanza po-polare e il 30 maggio inviò al Vescovouna delibera in merito.

Già ampiamente inondato di lettere,la maggior parte anonime in verità, chenon solo chiedevano con insistenza unprete campese, ma altresì minacciavanoritorsioni anche violente se non fossestata accontentata la popolazione, il Ve-scovo si inalberò, indisse il concorso, marispose all’Amministrazione Comunaleche, pur desideroso di inviare alla parroc-chia campese un sacerdote all’altezza delcompito e capace di non far rimpiangereil defunto don De Alexandris, tuttavianon accettava indicazioni da parte del-l’Autorità civile circa un candidato piut-tosto che un altro perché ciò “tenderebbea stabilire principi nuovi che non pos-sono essere di una popolazione cattolicain cui nome si parla”5.

I vescovi, coll’avvento della Restau-razione avevano ripreso nelle loro manitutte le loro prerogative che durantel’Antico Regime erano loro sfuggite perprivilegi ed esenzioni concessi a manilarghe dai Papi a Stati, Principi, Colle-giate, Confraternite e quant’altro; i Ve-scovi erano diventati intransigenti inmateria di giurisdizione ecclesiastica, ri-fiutando a priori qualsiasi intervento pro-positivo esterno alla loro autorità. Delresto, anche monsignor Sappa si era com-portato allo stesso modo nel 1823 respin-gendo la domanda pressante dei fedelicampesi per avere quale loro pastore,morto don Prato, don Giuseppe Lupi6.

Il concorso lo vinse bellamente il ven-tottenne don Maggiorino Servetti (1827-1867) fu Michele, originario di Lussito“...in seguito dei suoi distinti meriti su-periori di gran lunga a quelli del suocompetitore canonico Pesce”, come re-cita la lettera del Vescovo al Sindaco diCampo Freddo.

Don Giuseppe Pesce (1802-1873) erail fratello del potente Segretario Comu-nale, Angelo Sebastiano (1805-1877) 7, ilquale aveva creato in Campo tutto un suo

partito, un suo gruppo di adepti attraversoi quali controllava la vita amministrativadel paese e non solo, ma anche quelladella Parrocchia attraverso la Fabbrice-ria, se è vero quanto si vien leggendo inuna lettera del Vicesindaco Giuseppe DeGiovanna che lamentava come “…imembri che la compongono durano incarica quant’anni vogliono… il Tesoriereche mai si cambia… spende a suo piaci-mento, e si può dire che egli sia l’unicoamministratore della Chiesa. Il darsi ilconto annuale più non si pratica, ed è dasei anni che non è stato reso alcunconto…”. E’, pertanto, ragionevole che ilpartito pro-don Pesce fosse manovratocon tutta autorità dal fratello, sostanzial-mente un despota che si arrogava la fun-zione di interprete dell’opinione pub- blica, quando, in effetti, agiva soltantoegoisticamente “pro domo sua”.

E qui, ma nulla si può dire (e, soprat-tutto, credo sia del tutto fuori possibilità),sarebbe interessante conoscere l’opinionedel canonico Pesce a proposito dellemene del fratello.

I contrari alla nomina di don Servettinon si accontentarono delle affermazionidel Vescovo ed insinuarono che il presulefosse stato subornato da persone nemichedi don Pesce; mons. Contratto con seve-rità dichiarava che “...intorno alle qualitàmorali che debbono concorrere nel can-didato, la popolazione non ne può esseremeglio informata di chi per ufficio ha ilcarico di sorvegliare la condotta del suoclero...”, pertanto “devesi rimettere pie-namente al giudizio dell’autorità eccle-siastica” e, piccato, soggiungeva che “quinon posso dispensarmi dal risentirmidella supposizione a me ingiuriosa diaver posposto il canonico Pesce al Sac.Servetti per relazioni avute da invidiosi emalevoli sfavorevoli al prelodato prevo-sto di Rivalta. Essa non merita neppuredi essere confutata”.

La notizia della nomina ufficiale didon Servetti scatenò un putiferio aCampo Freddo. Possiamo leggere in Ar-chivio diocesano diverse lettere anonime,una delle quali, senza mezzi termini, af-fermava che “sarebbe... tratto di sommaimprudenza il voler mandarci D. Servetti,quando la Popolazione assolutamente

1866: cronaca nera a Campo Freddo,l’assassinio dell’arciprete Don Servettidi Paolo Bottero

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non lo vuole, e nei tempi attuali le ten-denze del popolo vogliono essere rispet-tate... (omissis) ...il detto Prete... se verràqui non potrà mai aver pace...”. Quindi,accusando il Vescovo di autoritarismosenza valida motivazione, l’anonimo ag-giungeva: “...Ella ha voluto opporsi alvoto della Popolazione e fare un atto didispotismo ... (omissis)... Se poi l’E.V. siostinerà a mandare il suddetto D. Servettitroveremo il mezzo di fargli il congedo”.E concludeva con un perentorio: “Ri-tenga bene queste ultime parole. Non vo-gliamo Monferini, e questo Le sia dinorma”.

L’espressione dialettale: “E n’urum -ma d’ munfrigni” non poteva nascere cheda vecchie e consolidate antipatie verso imercanti del basso Monferrato che da se-coli scambiavano le proprie merci sullapiazza di Campo e che erano stimati allastregua dei “levantini” per la loro furbiziae per la consumata arte di ingannare icompratori. “Munfrìn”, infatti, è terminegiunto sino a noi non solo in accezioneoggettiva, quale abitante del Monferrato,ma anche in accezione dispregiativaquale persona di bassa lega.

Oppure, ormai inseriti a pieno titolonell’ambito amministrativo ed econo-mico del Genovesato, si stava consoli-dando un fondamento di antipatia sociale,una mancanza di feeling, tra le popola-zioni delle zone industrializzate del ge-novese e del savonese appartenenti allaDiocesi di Acqui ed i sacerdoti prove-nienti dal mondo contadino monferrino ecresciuti in un Seminario ampiamente eprofondamente dominato dai rappresen-

tanti della mentalità di una società agri-cola, che si esprimeva, anche nei rapportiinterpersonali, in un dialetto quasi incom-prensibile ai “liguri”. Di questa situa-zione potrebbero fare fede le vicendedegli Arcipreti don Bazzano che, prove-niente da Cairo, fu profondamente amatoe stimato in Campo, e, al contrario, deivari don Ricci, acquese; don Mignone, diCavatore; don Morbelli, di Rivalta; fu-rono tutti e tre ferocemente avversati.

In contraddizione di tutto quantoscritto sopra sta la figura di don De Ale-xandris che era un “monferrino”, era diMelazzo, ma fu amato da tutta la popola-zione!

La lettera di mons. Contratto (che eraovviamente informato sui mestatori e fo-mentatori di disordini in Campo e sulleloro motivazioni) terminava affermandosenza mezzi termini “che l’elezione delSacerdote Maggiorino Servetti parrocodi codesta insigne Chiesa fu fatta esclu-sivamente in seguito dei riconoscimentidei suoi distinti meriti superiori di granlunga a quelli del suo competitore cano-nico Pesce. Se pertanto è il vero meritoche la popolazione ha in vista nel desi-gnato parroco, e non lo spirito di patriot-tismo, non potrà a meno di consolarsi divedere esauditi i suoi voti innalzato al-l’Altis simo per un degno Rettore dianime, quale spero sarà l’eletto”.

Il gruppo anti-don Servetti organizzòuna specie di resistenza passiva ad ol-tranza accompagnata da una violenta evelenosa campagna di malignità, non le-sinando al novello Arciprete ogni mali-gnità e ogni critica: era detto essere brutto

di persona, malfatto fisicamente, di pellescura, con una bocca larga, piccolo di sta-tura da sembrare Pollicino; insomma, ilVescovo aveva mandato a Campo qualearciprete il più sgraziato, goffo, laidoprete che aveva a disposizione, il peggiorsoggetto di tutta la Diocesi, stimato per-tanto indegno del l’alta dignità che rico-priva. Un affronto inaudito a tutta lapopolazione campese!

Una perfida e cattiva filastrocca,“Supplica der populu d’Campufrèggiu arvescuvu d’Naiqui” (indirizzata al VicarioGenerale, il canonico mons. FrancescoCavalleri, persona più malleabile edequilibrata dello scorbutico mons. Con-tratto), scritta in dialetto (ma da personadi buona istruzione e ben addentro allaquestione, per cui i sospetti sull’autorepotrebbero essere ben indirizzati) vennefatta circolare per il paese. Qualcuno con-servò il testo di quel componimento (è uninedito, che si pubblica in Appendice)che diceva don Servetti essere “Neirud’cera, largu d’bucca, / pciitu, bassu desctatura.../ U ciù neiru e grammu prève /e dra Diocesi u ciù brùttu / u s’manda aCampu pr’Arziprève...”.

Erano 63 quartine al veleno ove nullasi risparmiava all’Arciprete e nulla si ri-sparmiava al Vescovo accusato di averagito per cattiveria e malignità controCampo. Non ci si capacitava come fossepossibile che un prete di tal fatta potessestare alla pari dell’Arciprete della Catte-drale, un uomo di grande dottrina e dibella prestanza fisica, un campese, il ca-nonico don Salvatore Oliveri8 (“...ar cun-fruntu u s’troeva uguale / di quèl ommu

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grànde e dottu / d’l’Arziprève dra cate-dràle! // C’mè scta pèrlad’Campufrèggiu / dra so patria ounu elùmme / cunfruntandle a ‘n om’ parèg-giu...”).

Dopo una serie di violente espressionicontro Acqui e la Curia vescovile (che ri-prendeva una tematica di decisa contrap-posizione che vide tra il 1843 e il 1847uno scontro di estrema violenza tra laConfraternita campese di N. S. Assunta eil carattere imperioso del vescovo Con-tratto, insensibile a indulgenze e a com-promessi, tanto che l’autore della“Supplica” potrebbe essere indicato nelPriore stesso della Confraternita, Giu-seppe Oliveri dei “Bùshi”9 – tra il Ve-scovo e la Confraternita campese dellaMorte e Orazione lo scontro a muso durodurò per ben 17 anni! - ) il tutto si conclu-deva con una risata sgangherata, ma conun’immagine di grande efficacia: rimar-rebbero stupefatti due grandi campesi delpassato, don Benedetto Leone e don Lu-ciano Rossi10, se potessero vedere la lorochiesa caduta così in basso: “Se scurtis-san da scpultùra / un prè B’neitu, un prèLùziàn, / e che vghissan sctàa figùra...”,scandalizzati da tanto orrore, raccoglie-rebbero le loro ossa e se n’andrebbero viada Campo a cercarsi un’altra sepoltura“...e per raggia e bùzaria / argùrienvaner sòo osse / da s’paiise andreinvan via/per zerchè de i àter fosse”.

Anche il Capitolo della Collegiatache, pure, in un primo momento sembròaccettare il nuovo parroco, si venneschierando sulle posizioni del gruppo dipressione che agiva contro l’Arciprete seè vero, ed è vero, che, in polemica condon Servetti e con il Vescovo, dal quale cisi sentiva profondamente offesi, nel 1863presentò istanza a Roma per il distaccodella Parrocchia di Campo Freddo dallaDiocesi di Acqui e per l’incardinamentoin quella di Genova11.

Detto en passant, non successe nullain merito; non ho rinvenuto tra le cartedell’Archivio Diocesano nemmeno la ri-sposta negativa della Sacra Congrega-zione del Concilio cui la richiesta erastata inviata.

Allo stuolo dei malevoli don Maggio-rino rispose con la fede e la carità, col-

l’innata bontà e, in poco più di un decen-nio di azione pastorale, riuscì a farsi ri-spettare ed amare dalla popolazione delpaese.

E, probabilmente, fu proprio la bontào, se vogliamo, l’estrema semplicità deimodi a perdere don Maggiorino che, du-rante gli anni del suo ministero, si preoc-cupò soltanto della sua azione pastorale,mantenendosi alla larga dal fermento po-litico-sociale che andava crescendo inpaese ove venivano a costituirsi vari“partiti”.

Fu durante gli anni di don Servetti chevenne posto nella Cappella di san Giu-seppe il quadro che ancor oggi fa bellamostra di sé12. Nel 1857, poi, fu installatonella parrocchiale il nuovo organo, a tut-t’oggi esistente, opera dei fratelli Lin-giardi di Pavia. Lo strumento, chesostituiva il vecchio organo “Ciarlo” del1778, costò ben 4500 lire13. Il parroco fualtresì l’anima del “Comitato per l’AsiloInfantile” che venne costituito nel 1865:l’istituzione aveva infatti carattere par-rocchiale e la sua prima sede furono i lo-cali esistenti sopra la sacrestiadell’Oratorio di San Sebastiano.

L’ultima firma di don Servetti nel re-gistro dei battesimi è del 22 luglio 1866;dal 24 firma il viceparroco con la dizione“pro Archipr.o”. L’ultimo atto di matri-monio è firmato da don Maggiorino il 20luglio.

La firma dell’arciprete nel registro deimorti continua ad essere presente fino atutto il 31 dicembre 1866. In ASVAT, co-munque, si può leggere una lettera di donLeoncini colla quale comunica al Ve-scovo di aver provveduto a stendere inbella copia gli atti di morte da luglio a di-cembre, lasciati in precedenza su fogliettivolanti, facendoli poi firmare al parroco.

Risulta, infine, che il parroco, quasisempre a letto tra atroci dolori, partecipò(o forse si limitò soltanto a firmare i ver-bali) a sole due riunioni mensili del Capi-tolo della Collegiata, quella del 10novembre 1866 e quella del 1° giugno186714.

Il 7 agosto 1867, dopo lunghe soffe-renze, l’Arciprete appena quarantennevenne a morte e il suo funerale il giorno9 vide “magno populi concursu, nec non

Insignis Capituli, Cleri, Municipii, et So-cietatis musicorum...”, come recita l’attodi morte, steso dal viceparroco, il cano-nico don Luigi Leoncini15.

Ma, pur cercando di far passare sottosilenzio quanto era avvenuto, tutti sape-vano che il parroco non era morto dimorte naturale, ma che era stato assassi-nato: secondo l’antico detto campese “el’sénvan tucci, fina l’angriu der campan-nin”16.

Il silenzio, imposto non si sa sed’autorità o se dalla vergogna di tutto unpopolo, oggi possiamo squarciarlo condue testimonianze che ci permettono disapere, di capire: la prima è una lettera alVescovo del viceparroco don Luigi Leon-cini e la seconda una testimonianza giu-rata di chi vide.

La prima ci informa che furono que-stioni di interesse, di debiti ingenti (ben7.000 lire, una somma spropositata!) ac-cumulati dal fratello (mercante di grana-glie e di vino), debiti che don Servetti peranni cercò di coprire, ma ai quali ormainon poteva più far fronte, che armaronola mano omicida di “Giacca” e del suocompare (che secondo la voce del popolofurono gli autori del pestaggio) che consacchetti di sabbia colpirono l’Arciprete,lasciandolo apparentemente indenne al-l’esterno, ma rompendo e rovinando gliorgani interni del corpo, per cui il pove-retto passò mesi e mesi a letto tra stra-zianti dolori prima di morire.

Nella lettera al Vescovo, tra le altrecose, menzionando altresì un consistentedebito non onorato da don Servetti versola Curia d’Acqui, don Luigi Leoncini(che pregava il Vescovo a voler convo-care “il fratello del summenzionato Arci-prete”, per invitarlo a pagare i propridebiti in natura, prendendo “tanta uva pelcorrispettivo delle £ 50,90, dico uva enon danari benché di carta, perché”, sog-giungeva don Luigi in tono sarcastico,quell’ubriacone “è troppo avvezzo a darlisempre a frutto nelle bettole, e nei cafféavendo molto a schifo la loro compa-gnia”) scriveva che “il sud.to Arciprete ègravato di quasi 7.000 lire e se avessedato ai miei reiterati avvisi di non esserealmeno fomentatore della pessima con-dotta del bindolotto suo fratello...vero di-

A pag. 242, panorama di Cam-poligure in una foto della se-conda metà del secolo XIX

Nella pag. a lato prospettiva diCampo Ligure, visto dal gretodello Stura e dalla strada pro-veniente da Rossiglione.In primo piano Ernesto Maineril’ autore della foto

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lapidatore delle sostanze di suo fratello,non avrebbe di certo in sì pessimo disse-sto le sue finanze”.

Oltre ai debiti di commercio e digioco del fratello che inutilmente avevacercato di coprire, don Servetti si trovavaanche altri carichi. “Verso la mensa par-rocchiale è debitore di £ 858,50 ed il Su-beconomo Regio ha ordinato il sequestroe l’inventario di tutti i mobili apparte-nenti al medesimo Arciprete, esistenti an-cora in Canonica, il che fu eseguito findalla settimana scorsa, e fu affidata a mela custodia dei medesimi, come ammini-stratore del Beneficio Parrocchiale...” 17.

Da questa lettera si deduce che donMaggiorino si trovò indebitato con molti:alcuni ebbero la pazienza di attendere,ma qualcuno no e, durante una delle tantediscussioni molto accese, ci fu chi persela testa e cominciò a dar botte. Il fatto,tuttavia, che avesse a disposizione deisacchetti di sabbia18 ci suggerisce che in-tenzionalmente era deciso a fare del maleal debitore ormai insolvente.

La seconda ci dice del luogo dove ciòavvenne, nel “Carugiu Dricciu”, inveceche “sotto le campane”, come per un se-colo venne raccontato dalle nonne e dallebisnonne19.

Dalle carte personali dell’Arciprete,mons. Pietro Grillo, conservate per anniin cassaforte e ora in Archivio parroc-chiale20 è venuta recentemente alla lucela seguente dichiarazione, stesa dallamano di don Grillo: “Deposizione. DellaCasa Pia Paola, n. 1855, figlia di N.N.,vedova di Oliveri Francesco (allora vi-veva presso l’infermeria del l’Ospedale).Nella notte veniva a chiamare il Parroco

Maggiorino per un malato nell’Ospe-dale, dove la stessa abitava coll’infer-miera – venendo qui da Carrugiu Drittovide che due picchiavano il Parroco. Simise a gridare ‘Lasciatelo stare pelan-drugni’. Presero la fuga. Parlò col Par-roco facendogli l’invito di recarsiall’Ospedale, ma il Parroco rispose ‘an-date da un altro’ che egli non poteva eche se n’andava a letto. La stessa non fuinterrogata da nessuna autorità perché ilParroco non volle che si facesse alcunacausa. Dopo poco il Parroco morì in se-guito ai colpi ricevuti. 24 luglio 1935, ore10,15. Grillo Parroco”.

E’ necessario, tuttavia, sottolineareche, al di là delle due testimonianze ri-portate, non esiste alcun documento chesanzioni la colpevolezza del “Giacca”succitato, bensì soltanto la tradizioneorale: innumerevoli i racconti che lungoben quattro generazioni sono giunti sinoa noi; bisnonne e nonne li infiorarono eli accrebbero con la loro fantasia, nar-rando a discrezione l’epi sodio delittuosoe, soprattutto, raccontando della spaven-tosa morte dei due protagonisti21, del-l’uno dei quali è rimasto il soprannome,mentre dell’altro tutto si è perduto.

Depurato di tutto quanto era leggen-dario o favoloso, il fatto ci appare in tuttala sua gravità e verità: nei tempi passati inostri vecchi, pieni di timor di Dio, nontiravano tanto facilmente in ballo in unaeventuale favola un prete, tanto meno ilparroco.

Nessuno è, però, in grado di puntare ildito con certezza contro qualcuno: sonosolo in grado di affermare che il sopran-nome “Giacca” era stato affibbiato ad al-

meno due persone: una era un imprendi-tore di seta, commerciante di granaglie,per quasi cinquant’anni consigliere o as-sessore comunale; uomo stimatissimo perdecenni, difficilmente indicabile qualeviolento; le sue figlie erano dette “erGiàcche”. Un secondo personaggio contale soprannome era il cognato del prece-dente ed esercente il mulino ubicato aiconfini tra Campo e Rossiglione, che gliera stato affittato dal nipote e proprietarioAngelo Oliveri. Non sono in grado di af-fermare che i due “Giacca”, personaggiperfettamente a me noti, siano stati vera-mente i protagonisti del mortale pestag-gio. Tutto continua (e continuerà) arimanere avvolto nel mistero e nella leg-genda.

Quello che è certo è che il parroconon sporse nessuna denuncia; che i cara-binieri non procedettero d’ufficio quantomeno contro ignoti (in un piccolo paeseun fatto del genere era conosciuto datutti); che il Vescovo non reagì comeavrebbe dovuto con almeno un interdettoo con un scomunica per gli autori del de-litto: in Archivio diocesano non esistealcun documento riferibile alla vicenda.

Insomma, per le Autorità non era suc-cesso niente!

NOTE.

1 - v. Archivio Parrocchiale di Campo Li-gure – APCL -, sezione 8. 3. 1, faldone 98,“Cassa Capitolare 1804-1875”, pag. 56.

2 - “ Il molto Rev.do Can.co don GiuseppeAntonio De Alexandris nostro Arciprete amatis-simo nell’età di anni circa 57 fu colpito da apo-plessia fulminante la sera del 23 Gennaio p.p.

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dopo aver recitato cogli altri Can.ci l’Ufficio di-vino: e spirò la mattina del 24” (v. Ibidem)

Il memorialista Paladino, a pag. 8 del suomanoscritto (v. AGOSTINO PALADINO, “Me-morie”, trascritte e commentate a cura di PaoloBottero, Campo Ligure 2005, pag. 59-60) tessel’elogio dell’Arciprete: “era vero e degno Pa-store che ha sempre procurato…il bene spiri-tuale, e materiale de’Parrocchiani in ognicosa..(omissis)..ben poche persone avvi che nonabbia sperimentata la sua innata bontà e prote-zione, senza annoverare tutti i poveri coi qualisempre dimostrò la secreta e pubblica elargi-zione…(omissis)…Amico con tutti, piacevolecon chi conversava, Enciclopedico nella suaidea di Progresso, contentava tutti per quantocomportava il suo Ministero, insomma il tuttocon tutti. Compianto da tutti non solo dalli Par-rocchiani, e circonvicini Paesi, ma da tutti co-loro che ebbero la sorte di conoscerlo eavvicinarlo”.

3 - Per tutta la questione si veda P. BOT-TERO, “Storia della Chiesa Parrocchiale diCampo Ligure dal 1595 al 1970”, Nizza Mon-ferrato 2003, pag. 297-299.

4 - Se di “tradizione” si voleva parlare, que-sta era ascrivibile al solo secolo XVIII e per soliquattro parroci: don Bernardo Leoncini (1710-1735), don Giovanni Maria Piana (1744-1867),don Pietro Francesco Macciò (1767-1775) e donGiambattista Piana o, se si vuole, Delle Piane(1775-1795), espressione il primo e il quarto delgruppo di “particolari” campesi filo-spinolini,il secondo del “partito” anti-Spinola, mentre perdon Macciò, stante l’esiguità dei documenti chelo riguardano, è difficile esprimere una colloca-zione “politica”.

Dal 1735 al 1744 fu parroco l’unico “fore-sto” del secolo, don Francesco Danielli di Mo-lare, che venne assassinato da qualche sicarioprezzolato dal partito filo-spinolino facente capoa Domenico II Spinola.

Durante il secolo XVII nessun parroco fucampese: tre, tutti di Ponzone, potrebbero essereintesi (– ma soltanto stiracchiando il discorso indirezione “politica” e non saprei dire con qualegiustificazione –) come espressione del poterefeudale legato all’Impero: don Voglino (1592-1620), don Antonio dei Marchesi di Ponzone(1621-1632) e don Stefano Ivaldi (1655-1710).Da non escludere del tutto don Gian DomenicoCazzullo (1634-1655) di Molare, quindi citta-dino del Marchesato di Monferrato, costante-mente ai ferri corti colla Repubblica di Genovache dal 1636 si ritrovava padrona di metà delFeudo Imperiale di Campo.

5 - v. in Archivio Storico Vescovile di AcquiTerme – ASVAT -, faldone 10, Parrocchia diCampo Ligure, “Corrispondenza”, la lettera delVescovo in data 15 giugno 1855.

6 – Don Giuseppe Gaetano Lupi (1782-1868) fu una figura di sacerdote di grande va-lore; già curato in varie parrocchie dellaPolcevera (Morego, San Cipriano, Pontede-cimo) ove fu a contatto con l’ambiente gianseni-

sta dell’abate Eustachio Degola; fu quindi vice-parroco a Campo durante gli ultimi cinque annidi arcipretura di don Francesco A. Prato, mortonel 1823. Appoggiato da gran parte della popo-lazione che aveva riconosciuto in lui un sacer-dote di grande pietà e di severo rigore morale edi intransigenza di stile di vita (il suo confessio-nale era sempre affollato di fedeli, destandol’invidia di alcuni preti che scrissero tutta unaserie di lettere più o meno anonime grondanti li-vore, accusando don Giuseppe di giansenismo),si candidò al Beneficio e Arcipretura di CampoFreddo, ma non ottenne soddisfazione, per cuilasciò la parrocchia e la Diocesi, trasferendosicon la famiglia del fratello Gio Batta a Cogo-leto, ove morì nel 1868.

In Archivio Diocesano sono leggibili moltelettere di don Lupi al Vescovo ove dichiara conchiarezza la propria ortodossia, il proprio amoree dedizione alla Chiesa, nonché la sua completaobbedienza. E’ sintomatico il fatto che in Archi-vio non vi siano lettere contro don Lupi dei ca-nonici don Marco Oliveri e don Michele Piana,tra i più stimati sacerdoti campesi per santa vitae opere, né dei parroci don Prato e don De Ale-xandris che lo ebbero come viceparroco. Ciò si-gnifica che la rettitudine di vita e diinsegnamento di don Giuseppe davano ombra alcomportamento forse leggero e svagato di qual-che canonico!

7 - Don Giuseppe Pesce (1802-1873) di Gia-cinto e di Lucia Maddalena Paladino, canonicodella Collegiata campese dal 1819, quindi dal1835 prevosto di Rivalta Bormida fino allamorte. Angelo Sebastiano Pesce (1805-1877)era suo fratello e fu segretario comunale diCampo per molti decenni. Ebbe quattro figlidalla moglie Benedetta Rossi (1807-1876), tra iquali l’avvocato Giuseppe (1831-1878) e il me-dico Giacinto (n. 1829).

8 - Il canonico don Salvatore Oliveri (1783-1866) era figlio di Giacomo (1768-1833) e diAurelia Paladino; fu canonico della Collegiatacampese dal 1805 al 1817 allorché venne nomi-nato Arciprete di Trisobbio. Nel 1823 divenneArciprete della Cattedrale di Acqui ove rimasesino alla morte. Fu insignito del collare dell’Or-dine dei santi Maurizio e Lazzaro, la massimaonorificenza dei Savoia.

9 – Giuseppe Antonio Oliveri (1809-1895)era figlio di Lorenzo (1867-1839) l’autore della“Cronaca della Seconda Campagna Napoleo-nica nella Valli Stura e Olba” (pubblicata dallaComunità Montana Valle Stura nel 1996 a curadi Massimo Calissano, Franco Paolo Oliveri eAdriano Basso).

Giuseppe Antonio fu a lungo Priore dellaConfraternita dell’Assunta, fu scrivano comu-nale in stretta relazione di lavoro e d’amiciziacon il segretario Sebastiano Pesce e con il Sin-daco, Angelo Napoleone Rossi (1797-1883).

Aveva tre figli preti: don Lorenzo GiacintoOliveri (1843-1917), parroco di Sassello; donGiacinto Maggiorino (1858-1926) e don Gio-vanni Antonio (1847-1930), prevosto di RoncoScrivia.

10 – Don Luciano Rossi (1682-1754), poeta,scrittore, maestro di scuola a Molare e a Campo,viceparroco di Campo e cappellano dell’Orato-rio di Nostra Signora Assunta.

Don Benedetto Leone (1692-1774), fonda-tore della Insigne Collegiata di San Benedettoin Campo Freddo, a lungo sodale del principeG. B. Centurione in Genova; concluse la sua vitanella sua bella casa di Ovada.

11 - v. in APCL, (sezione 8.2, n.2) “Atti Ca-pitolari, 1821-1871”, al 1863.

Nel 1863 un’iniziativa del Consiglio Comu-nale dedicò un’intera seduta per formulare “ladomanda per lo smembramento di questo Co-mune dalla Diocesi d’Acqui e perl’aggregazione a quella di Genova”. Varie lemotivazioni portate dal Consiglio, tra le quali lepiù ovvie erano quelle relative alla maggiore fa-cilità di comunicazioni con Genova, al fatto chemoltissime famiglie campesi risiedevano abi-tualmente in Genova, alla dipendenza ammini-strativa del Comune da Genova; al fatto che “alcontrario oltre non avere questi abitanti rela-zioni di sorta colla città d’Acqui, per arrivarealla medesima devono percorrere non meno diotto ore di cammino, con istrada disastrosa, edappena praticabile a piedi o mulattiera…” (v.in ACCL, “Deliberazioni approvate 1860-1868”, seduta del 30 aprile 1863).

La questione venne, poi, ripresa nel 1895con un’iniziativa presa in comune dalla Fabbri-ceria e dal Consiglio Comunale.

12 – Si tratta della tela “rappresentanteMaria SS. col Bambino, San Giuseppe, Sant’An-tonio, e Sant’Isidoro”, dipinta nel 1856 “da uncerto Michele Mignone di Nizza marittima, por-tatosi a Campo per vendere il sale, e tabacco,con la sua famiglia…Fu principiato detto qua-dro verso il fine del mese di Aprile, ed il sediciAgosto terminato, e la stessa sera al suono dellaBanda del paese fu portato in Chiesa, e allocatoall’altare di San Giuseppe e costò detto quadro£ n.e 545…Fece anche detto pittore vari ri-tratti…Li 11 Gennajo 1859 il sudetto pittoremorì a Nizza Marittima”. (v. ACCL, “Etat de laPopulation de la Comune de Campo Freddo au1812”, al cart. 76 v.).

13 - v. a proposito di tale strumento le pa-gine 299-300 di P. BOTTERO, “Storia dellaChiesa...”, cit.

In una Memoria si legge: “1857. Que-st’anno nella chiesa parrocchiale fecero l’organonuovo con 40 registri e lo fecero i Lingiardi diPavia, e costò £.n. 4500” (v. Archivio Comunaledi Campo Ligure – ACCL -, “Etat de la Popula-tion...1812”, cit., al cart. 77 v). Il vecchio organo,un “Ciarlo” del 1778, venne venduto alla Parroc-chia di Lerma per 700 lire, su richiesta del par-roco, don Raimondo Oliveri. Don Raimondo eranato ad Acqui forse da famiglia campese emi-grata; nel 1867 venne nominato canonico e Arci-prete della Cattedrale, quale successore deldefunto Arciprete, il campese don Salvatore Oli-veri. Morì in Acqui nel 1908 (v. ASVAT, “Capi-tolo della Cattedrale”, faldone 7).

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14. – v. in APCL, “Atti Capitolari 1822-1872”, alle pagine 122-124.

15 - v. in APCL (sezione 1.3 n. 35) il “LiberMortuorum Ecclesiae Parrochialis InsignisqueCollegiatae Campifrigidi ab anno 1866 diequinta Januarij usque ad annum 1872 die vige-sima Decembris”.

Don Luigi Leoncini (1829-1907), vulgo“prè Lviggi dii Carabbi”, canonico della Colle-giata campese, fu anche scrittore di varia uma-nità e poeta dalla vena facile e feconda. Ful’autore nel 1877 della “Lode a Santa MariaMaddalena” che ancor oggi si canta nei giornidella festa patronale.

16 - Antico detto (“lo sanno tutti, anchel’angelo del campanile”) che aveva il suo ter-mine di riferimento nella banderuola segna-vento, a forma dell’Arcangelo San Michele,posta sullo stilo della croce che si ergeva sullasommità del campanile della parrocchiale. Talebanderuola, logorata dal vento di mare e daglianni, venne rimossa nel 1936 durante i lavori direstauro del campanile stesso e non più sosti-tuita. La mancata sostituzione è stata la causaprincipale della caduta nell’oblio dell’anticodetto.

17 - v. ASVAT, Parrocchia di Campo Ligure,faldone 10, “Corrispondenza”, la lettera dell’8settembre 1867.

18 – La “tecnica dell’insaccamento” è moltoantica: la vittima viene aggredita in un luogoisolato; le percosse con i sacchetti di sabbia pro-ducono lesioni interne, da qui un calvario di do-lori insanabili, per cui dopo qualche temposopraggiunge la morte.

19 - Per tutto ciò v. altresì P. BOTTERO,“Storia della Chiesa...”, cit., pag. 305-307.

20 - v. in APCL, sezione 10.4, n. 1, Arcipretemons. Pietro Grillo, “Personalia”.

21 – Narravano le nostre nonne che al lettodi morte di “Giacca” si sarebbe appressato ildiavolo in persona che lasciò le sue orme sullacoperta del moribondo (che diceva zampe digallina, chi di caprone); presso la sua casa perdecenni “d’noecce u si vègghe e u si sénte”, cioèdi notte si vedevano forme strane e si sentivanorumori spaventosi in specie presso il mulino,tanto che nessuna delle operaie, che di primamattina si recava a piedi al lavoro da Campo alcotonificio di Rossiglione, aveva il coraggio ditransitare da sola. Roba da romanzo giallo onero, a seconda dei gusti!

Appendice

Pubblico qui di seguito l’inedita “supplica”,esortando il lettore a voler prendere con benefi-cio di quanto detto sopra le varie argomenta-zioni, spesso piuttosto “forti”, ricordandol’animosità del gruppo anti-Servetti.

La lunga filastrocca è in dialetto campesestretto e ottocentesco con riferimenti a vari per-sonaggi e situazioni non tutti immediatamenteaccessibili al lettore d’oggi. Occorrerebbe un

lungo apparato di note per dar contezza dellemolteplici situazioni e delle varie figure propo-ste dall’autore.

Ho cercato di aggiustare per una possibilelettura una grafia estremamente aleatoria nel-l’originale.

Sùpplica der populu d’Campufrèggiu arVesc-cuvu d’Naiqui

1. Sciu Vicàri, i Camparoei c’mé tanc’ cagni basc-tunàinècchi, mucchi au dì d’ancoeie i presentan’ i so guai.

Le…l’è ‘n ommu giùsc-tu e bunle…c’mé ‘n mèrlu u canta e u vèggheu sa ‘r cose noeve e vèggiefin ai fioi u i fàa raxiun.

Nui ‘n’avrumma ‘na pataccama u so coe u’m mètte curaggiu:c’u perdune au nosc-tr’linguaggiuperché d’lèttra e ‘nzumma n’acca.

2. Campu u’s trova an besc-cavèzzapr’un nov’parcu, dun Servéttuche, a parlèse sc-céttu e nèttu, per davei l’è ‘n brutt’attrèzzu.

Per die san-na! U pàa Toni d’Botta!u pàa Gianduja cagàa e sc-puàa!Dand’e l’an-ni desc-tan-nàa?da i pasci dra marmotta?

Neiru d’cera, largu d’bucca,pciitu, bassu de sc-tatura!Oh, che Paricu c’u m’ tucca!Oh, che brutta sc-cherniatura!

3. Vui che d’Banchi Gaitanìne i za visc-tu, u m’ pàa, so fràa;chi u sàa de Ptìn:u m’ pàa Ptìn propi’ arcupiàa.

U m’ pàa d’quèi du dì d’allu,che da mèzzu a quelle riàncu ‘r lantèrne, er sc-tanghe ‘n mànavacciàvan u Segnù.

E se an pocu oe da dii tùttuu ciù neiru e grammu prèvee dra diocexi u ciù brùttu‘s manda a Campu pr’Arziprève.

4. Oura, u l’digghe u Scignùìra,se an ter veine u sangue u i buie,scì, sc-chi tratti der cujedène un ommu c’mé furmìa!

E duvrumma pri s’Gianduja,fèe der fèsc-te e canti e sugni?Cantè a l’Ate l’alleluja,fèe arbumbè tucc’i cantugni?

U s’ duvràa fès’asc-curzèei préviali e er tunicèlle,

perché Ptìn u n’i rabelleper la Gexa e per l’outé?

5. Barba scuscia! A Zéna u s’dixe,balle, balle a Campu u s’crìia,u s’ duvrà duggè ‘r camixe,e l’farumma sc-capè via.

Se Luchèttu, figurève!Sciurtis’ foe da mèzz’ar casce,u braggiè: bésc-cie bagasceei Zaccheu pra r’Arziprève!

Un paìse da luntànnuminàa ciù dìzentu mìaduvrà ’véi, Gesù Marìa,per so paricu ‘n Indiàn?

6. E u s’ dirà poi che s’bagiottuAr cunfruntu u s’ troeva ugualeDi quèl ommu grande e dottuD’l’Arziprève dra Catedrale.

C’mè sc-tà pèrla d’Campufrèggiu,dra so patria ounù e lumme, unfruntàndle a n’om’ parèggiuu n’è sc-tèe cingiue cur ciumme?

O putana dra Buienta!Bèll’argallu t’fàa a ra Sc-tùra:t’voe ch’a ségge ben cuntentad’isc-ta brutta sc-cherniatùra!

7. E ti, indiàn, perché a Luscìinu’ sc-pegiète toc’ per toccu?Per vardè che t’é ‘n marzoccuda mandè ar Missisippì?

Ma ‘n t’i s’cappu u vàa sc-cusàasc-ta tèsc-ta da murtoriu:ché c’me u diàvu l’asc-persoriusempre i sc-péggi u l’à schivàa.

E, una vota ch’u s’è visc-tua ‘n tra so fisiunumìa,l’à braggiàa: Gesùmmaria!Oh, mar’cara, l’Antecrisc-tu!

8. Dunca, avràn sc-t-agnéi curaggiuper tervèe buna pasc-turad’esse mài da ‘n sc-paventàggiuda sc-ta brutta creatùra?

Mi m’àtasc-tu se i sùn ancuu;mi sun d’exia, mi sùn d’marmud’duvei vègghe per pasc-tùuun brutt’ommu lungu ‘n parmu.

Oh, di Busci Lourenzùn!Dand’ l’è mai ciù so penellu?L’è…di morti a ra funziùnn’an farèe ‘n ritrattu bèllu.

9. E vegreisci sc-tupefacciaogni morte sc-tende ‘n dìi, e bragiè: chièl’e mai sc-tuchechì?Dand’a sciorte mài sc-tà faccia?

Ma Luchèttu u risc-pundréiva:

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L’è u nosc’ Paricur, l’è Zachéu;e ogni morte a risc-pèundréiva:“Miserere mèi Deu!”.

Se scurtissan’ dàa sc-pultùraun prè B’neitu, un prè Luziàn,e che v’ghissàn sc-tàa figùrad’prè Servettu Maggiurìn,

10. e s’ dàreivan un patùnnècchi, nècchi an tra so tèsc-ta,e ambaruài d’vègghe sc-tà pèsc-tafuzzien d’ botta e-d-tamnùn;

e per raggia e buzzariiaarguirénvan er so osse, da ‘s paìse andreivàn viaper zerchè de i àter fosse!

Oh, sciù vèsc-cu benedettu!Oh, sun coose troppu neire, e sun coose, a parlè sc-céttu,da ranchèie dra bàrba er péire!

11. Perché nùn cangiè d’idea,oh sciù vèsc-cu du Segnù: e ambarchèle an ter vapùue mandèle an tra Criméa?

A l’arrivu d’is’ GulìaSebasc-topuli a caz’réiva,e sarèe guèra finìae prun pòo ‘r mundu queitréiva!

Ma Muns’gnù vèggh’anche troppuche u l’à facciu ‘na gran balla:u vèggh’ bén ch’ l’è ‘ndàa d’galoppu,ma tirè ‘r cu andrée ‘n z’ancalla.

12. Nui, antantu, c’mé asìnèttiche i àn miss’er bàsc-t’an sc-palle,s’bén che tirman càzi e pèttib’zoegna cùure a munt’ e a valle:

Nu, Madonna, e armàncu armàncu,poi che Toni u v’ manca ancuu,s’brut’ zèrvu duu Segnùpièv’le Vui ar vosc-ter fiàncu.

Prisc-t-oufizi a Campufrèggiuciù adattàa e n’antervèe:dèi e ‘n’amzuria, am’t’i e er cuè, l’è un Toni d’Botta, franc’parèggiu.

13, Sc-tand’à a vardia a ‘ra Caplètta,er patate cu i faxoeie ‘n mancràn! Per béive, poi,là, lì v’xìn, u i è pisciarèlla.

Ma Servettu, er Vèsc-cu u dixe,sarà ‘n péi ben bruttu e bùn…N’i sc.tèe credde che er curniixesùn ar quaddr’an prupurziùn!Che cusc-tùmme u l’è natùuraquand’à furma un om’ d’anzégnu

dèie d’an foe bèlla figuradu so geniu an cuntrassègnu.

14. E se anvéce a quarch’auruccudà ‘n zervéllu d’panza-zùccami bén ch’a fàa ‘n marzoccucorpu e tesc-ta da parùcca.

C’sci dixe cu la sc-parpajàach’an tra panza ar vacche e i boeiu si boetta fén e pajae nun mai rosc-ti e ravioei;

ma parolle dicce ar ventughèrbi an-t-l’èva, pètti an-t-ària,b’zogna t’lis a bucca amàriae fèe musc-tra d’es’ cuntentu.

15. Un armédiu u i sarèe ‘ncùuciù putente ch’er parolle:che v’le digghe?…scì, u i andréiva,u i andréiva un “tolle tolle”.

Zura Diana! Basc’trè slìper sciurtii barbixi d’ommicu i pei lungu ‘n pàrmu au sc-tòmmia giusc-tè quèllu d’Luscìi.

E c’me ùn Netùnnu ai ventier furcàa musc-trandie an màn:“A mi, a mi dixan azzidenti”e urrie e burrie u futtrèe ‘r càn,

16. C’sci vegreisci, bràvi d’Campu,fandie vègghie biscie e baggiu,braggiè: “Andrè an’ma d’cuntàggiu!”e Servettu andrè c’me ‘n lampu.

Ma nui summa gente d’pàaxe,e Servettu u va ra botta;ma ranchèe a tègna e tàxenuu…prùn zubbu e pr’una potta!

Sciù Vicari, pr’ist mutiviricuriumma tùcci a Lé, se un voe fèe da morti vivil’Arziprève ch’un faz’ cangièe!

17. Press’ar Vèsc.cu Le u po tùttu,Le u sa dii bén a raxiùn; sciù Vicari, che l’è c’scì bùn,ch’u’m baràtte sc-t’om scì brùttu.

Quand’ist’ coose avrumma ot’gnue

E sc-frattàa u sarà Servéttu,sciù Vicari, argalli a brèttin’ii mancràn casc-tagne e frùe.

18. Che se poi sc-t’ommu u s’asc-pèttade sc-tèe a Campu: e bén. Cu i sc-tagghe!Ma c’un cazu c’u s’an vaggheper Ton d’Botta a ra Caplètta.

E, s’u s’dèsse mai er caxiud’passèe ‘r punte d’Zan Basc-ciàne s’lascirumma tajè u nasuse n’le fumma fùttè ar càn.

E nuiater om’ mariàiumma deciisu d’piè ra viaper n’u andèe a ‘cuntrèe d’guaid’rè duu righe a u Scignuria:

19. An ter caie l’Arziprèveda per tutt l’à ouvèrtu er passu;u po’ fèe d’an àte an bassu,le u ‘l sa bén, ‘n zùn coose nove…

Se zert’meixi sc-pecialmenteu v’gnisse ‘n cà dra nosc-tra donnaisc-t-brutt’ muru d’l’azzidentechi n’sarvrà?…ma ra Madonna!

U po’ na-sce quarch’cuntaggiu,u po’ na-sce quarche sc-cabècciu,oh, s’un fèsse mai s’desc-pecciucaru ben ghe cusc-te l’aggiu.

20. E b’zugnè, zùra Mauméttu,per nu es lì d’lungu a’arsoutèe,che pr’isc-t-ommu benedéttufusse sempre u dì d’carvèe;

e ch’er Vèsc-cu u i urdinèsse,per n’u fèe brutta figura,quand’u sciorte c’u s’purtèsse‘na banchètta, e ciù ‘na v’gura.

Sciù Vicari, che amernizzi!Le ch’l’è ‘n ommu chscì sacciù, c’u sa lezze fìn au sc-cù,ch’u m desc-bréie da s’pasc-tizzi;

21. che se dunca, per die Baccu,ra pignatta a ‘r è per bujee’m n’urumma antrèe ‘n tu saccu,n’umma tosc-tu ciine er cuje…!

Eccu i patti: e se cu i càvian-t-er corne u s’liia i boei, v’gnissan bén foe tucc’i diàvisc-tàn ai patti i Camparoei!

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Don Domenico PestarinoIl legame che la Provvidenza ha tro-

vato per fare arrivare don Bosco a Mor-nese è il Sacerdote don DomenicoPestarino1 (1817-1874).

Don Domenico è nativo di Mornese,proviene da una famiglia numerosa e pro-fondamente cristiana e sufficientementebenestante. Per realizzare la sua voca-zione sacerdotale prima è andato a stu-diare nel Seminario di Acqui, e poialcune “sofferte” circostanze l’hannoportato nel Seminario di Genova, che inquegli anni e per gli insegnanti, in modoparticolare il Rettore Giovanni BattistaCattaneo (1805-1854), e per la forma-zione che veniva data, sta diventando unCenacolo di Santità.

Appena arriva in Seminario, i primiEsercizi Spirituali gli sono predicati daAntonio Maria Giannelli, che è stato in-segnante nel seminario stesso, in queglianni era arciprete a Chiavari, e poi diven-terà vescovo di Bobbio, e attualmente èSant’Antonio Maria Giannelli.

Ci sono poi dei preti significativi chesi interessano della formazione: il Frassi-netti, che possiamo definire il Cafassodella diocesi di Genova, e che ha anchetre fratelli preti, e la sorella Paola, che sifa suora e oggi è Santa, lo Sturla ed altri.

Pestarino è di indole serena e buona esi inserisce magnificamente in quel cam-mino di Santità. Già nell’ultimo anno diteologia è chiamato a svolgere il serviziodi Prefetto, cioè assistente, dei ragazzipiù piccoli, dove sono messe in luce lesue doti di educatore. Diventato sacer-dote nel 1839 è invitato dal rettore del se-minario, il Cattaneo a ritornare e aprestarsi al servizio di Prefetto questavolta per gli studenti di teologia.L’educazione che il Seminario sta of-frendo è un’educazione serena e sacra-mentale: possibilità di confessionesettimanale, di comunione quasi quoti-diana, e questo è frutto dei sacerdoti chegravitano attorno al Seminario, e don Do-menico è uno degli artefici che portanoavanti queste idee. Possiamo dire che nelSeminario di Genova don Pestarino im-para a fare il prete.

Genova vive una stagione risorgimen-tale interessante, genovesi sono Mazzini,

Nino Bixio, il marchese Giorgio Doria,un suo Castello si trova a Mornese, geno-vese di adozione è Giuseppe Garibaldi,lo sarà poi Mameli, a Genova vive la suastagione il Gioberti. Alcuni di questi uo-mini del Risorgimento si trovano in con-trasto con diversi preti, e nel 1847, permotivi politici, il Frassinetti si ritirerà pertredici mesi in Val Polcevera ospite delCampanella, sostituirà, per maggior sicu-rezza il nome, si farà chiamare “PreteViale” (il cognome della mamma), evivrà il suo anno sabbatico, lo Sturlaandrà missionario in Abissinia, con ilMassaia, e il Pestarino tornerà nella suaMornese, anche se non ne conosciamo ilmotivo esatto.

Nel paese natale la sua famiglia è in-fluente, nel 1845 gli muore la madre. Ilprimo fratello è medico del paese e di-venterà anche sindaco, e don Domenicosarà sempre eletto, dal suo ritorno allamorte, Consigliere comunale, con le de-leghe all’istruzione e alla sanità.

Arrivando al paese don Domenicodirà ai suoi paesani: “Cari compaesani iosto volentieri in mezzo a voi se mi la-sciate a fare il prete, altrimenti vado daqualche altra parte …” e Mornese diventail luogo del suo fecondo e innovativoapostolato.

Il parroco don Lorenzo Ghio sta di-ventando anziano, e corre il rischio di di-ventare cieco, e un sacerdote che desiderasemplicemente fare il prete, gli è di

grande utilità e sostegno.Il sostentamento don Pestarino lo

trova in parte nei beni di famiglia, maanche nel servizio che compie nelle varieparrocchie, come prete.

E il prete don Pestarino con la cate-chesi, la predicazione, l’Eucaristia, la di-sponibilità al servizio nel sacramentodella confessione, tutti valori che ha im-parato a vivere nel Seminario di Genova,cambia la religiosità del paese.

Nel paese ci sono alcuni fermenti disperanza cristiana, uno di questi è ungruppo di ragazze, guidate dalla Macca-gno, che fondano le Figlie dell’Immaco-lata, una associazione laicale, con inte-ressi educativi e caritativi, e quando ilFrassinetti si accingerà a controllare eampliare il regolamento, scritto dallaMaccagno si accorgerà che queste ra-gazze non fanno altro che camminarenella scia di Santa Angela Merici (1474-1540), che aveva fondato secoli primaun’istituzione con gli stessi principi.

E il paese con la presenza pastoraledel Pestarino assume un volto sempre piùprofondamente cristiano. Nel 1860 muo-re il vecchio parroco don Ghio, e arrivacome nuovo parroco don Valle di appena28 anni: Il nuovo parroco fa intuire a donDomenico che tutto quello che ha fattol’ha fatto bene, ma gli fa anche capire cheLui è giovane e pieno di salute, e che laparrocchia vorrebbe guidarla Lui. E donDomenico comincia a sentirsi di troppo;nel 1862 gli muore anche il vecchiopadre, e Lui pensa di rinnovare la suavita, e di farsi religioso.

Nel frattempo, non sappiamo ancoraquando e come, gli storici hanno le loroipotesi, don Domenico viene a conosceredon Bosco e questo rinnova la sua vita.Racconta a don Bosco quello che fa nelsuo paese e che vorrebbe farsi religioso.Don Bosco che aveva tanti progetti inmente, ormai anche quello di trovaredelle donne, suore, che facessero per leragazze quello che Lui faceva per i ra-gazzi, intuisce che alcune Figlie dell’Im-macolata potrebbero prestarsi allo scopo,e accetta don Domenico come figlio spi-rituale, lasciandolo però al suo apostolatodi Mornese e interessandosi di quello chestava facendo.

Visite di don Bosco a Mornese: memorie biografichedi don Tommaso Durante

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Alla fine di aprile del 1864 don Boscobenedice la prima pietra della Chiesa diMaria Ausiliatrice, che sta costruendo aValdocco, di questa benedizione ricor-diamo in modo particolare l’episodiodegli otto soldi2, e ad ottobre vive con imigliori dei suoi ragazzi la quarta memo-rabile passeggiata autunnale, parte intreno, poiché proviene dalla sua frazionenatale i Becchi, da Villafranca, e porta isuoi ragazzi prima a Genova, dove visi-tano la città, e poi il 7 ottobre prende iltreno a Genova, scende a Serravalle e siincammina verso Mornese, passando perGavi, dove incontra il Canonico Ali-monda che sta facendo un po’ di vacanza.

Il Canonico Alimonda e don Bosco siincontrano e dall’incontro ne nascerà unavicendevole stima: L’Alimonda sarà Car-dinale a Torino quando muore donBosco, e gli sarà vicino con attenzione,simpatia e rispetto.

1864 – 1° arrivo di Don Boscoa Mornese (7-10 ottobre 1864).

Mornese è un paese caratteristicodella Val Lemme, non è situato in unagrande via di comunicazione, ed è piut-tosto laborioso arrivarci.

Don Bosco arriva a Mornese il 7 otto-bre sera3, che è un venerdì, ed è anche lafesta della Madonna del Rosario, su uncavallo bianco che gli ha fatto trovaredon Pestarino, con un ottantina di ra-gazzi, i migliori che ha a Valdocco, alcunisuonano nella banda e hanno i loro stru-menti, altri recitano, in modo particolare,Gianduia.

Ai bordi della strada che porta alpaese i mornesini hanno acceso dei fuo-chi, come segno di gioia e di festa, e dopouna visita nella Chiesa parrocchiale e ilprimo saluto, don Bosco e i suoi ragazzi,si ritirano per la notte.

Il giorno otto, don Bosco, don Pesta-rino e certamente altri preti sono in chiesaper le confessioni, alle prime luci del-l’alba, don Bosco celebra la Santa Messa,per la popolazione e pei i suoi ragazzi epoi si mette in Confessionale e terminatele confessioni, verso le 10.30 incontranella sacrestia della parrocchia le Figliedell’Immacolata, e con loro c’è ancheMaria Domenica Mazzarello.

E nasce, con il tempo, un interessa-mento vicendevole tra questo gruppo diragazze e don Bosco, in modo particolaretra la Mazzarello e don Bosco.

La Mazzarello ha 27 anni, e qualcunoipotizza che tra questa giovane donna edon Bosco, che di anni ne ha 49, sia natoil rispetto e l’attenzione, perché DonBosco nella schiettezza che manifesta harivisto la serenità, l’impegno la fede e lacostanza di sua madre, mamma Marghe-rita. E l’asse tra don Bosco, don Pesta-rino, i Mornesini, Le figlie dell’Im-macolata, la Mazzarello si rinsalda sem-pre di più.

Le passeggiate autunnali di DonBosco non erano solo un andare da unposto all’altro, ma erano motivo di cono-scenza, di confronto con le realtà del ter-ritorio, e i ragazzi che portava erano latestimonianza che il suo metodo educa-tivo veniva vissuto serenamente. E allafine della passeggiata si trovava con de-cine e decine di ragazzi che aveva invi-tato a Valdocco, e diversi di loro diven-tavano preti o religiosi salesiani

In quel tempo i Comuni erano chia-mati a istituire la Scuola dell’Obbligo, edon Bosco aveva aperto i primi Collegi:per realizzare questo intendimento i mor-nesini chiedono a Don Bosco di mandarei suoi salesiani, come insegnanti ed edu-catori, e loro avrebbero costruito il Colle-gio: a don Bosco Torino ormai stavastretto, e voleva ampliare la sua opera eaccetta volentieri.

Don Pestarino ha ereditato dal Padreun terreno che può servire magnifica-mente per la costruzione della struttura,e si pone mano all’opera.

I Mornesini domandano il permessoal Vescovo di Acqui Mons Contratto dipoter lavorare di domenica, e tutto ilpaese, per quello che può, si mobilita perla costruzione.

Ci sono alcuni muratori stabili, ilresto è volontariato. Il vescovo quando hadato il permesso di lavorare di domenicamette una postilla nel foglio: “Prima diusare la struttura ad opera educativa do-vete domandarmi il permesso 4”.

Don Bosco, dopo aver stabilito di-verse relazioni nel territorio, il giorno 11mattino, martedì, lascia Mornese a piedi,

per Capriata l’Orba, e continua la passeg-giata per Ovada, Acqui. Ad Acqui pren-derà il treno con i suoi ragazzi per tornarea Torino.

E’ venuto a Mornese, ha preso cono-scenza di quello che si sta facendo e chesi vuole fare, costruisce legami con altrepersone, alcuni ragazzi di Mornese vannoa studiare nelle sue case: a Valdocco, aLanzo Torinese od ad Alassio.

Ha incontrato tre persone significativeper la sua attività educativa: Il CanonicoAlimonda, Maria Domenica Mazzarelloe don Lemoyne Giovanni Battista, chechiede di diventare salesiano.

Le altre venute di Don Bosco a Mor-nese sono legate alle relazioni che donBosco ha saputo tessere con il territorio.

1867 - 2° arrivo di don BoscoIl 7 dicembre 1867 don Bosco trova

finalmente il tempo di esaudire il deside-rio del Vescovo di Acqui, di andarlo a tro-vare, e parte da Torino. Mons Contratto ègravemente ammalato. Quando d Boscoarriva ad Acqui, il Vescovo è già dece-duto, si ferma per le esequie e poi conti-nua il viaggio per Mornese. Dove viarriva 5 il 9.

La permanenza di don Bosco è signi-ficativa per diversi motivi:

- L’incontro con la popolazione con ilministero sacerdotale: Celebrazione del-l’Eucaristia, della riconciliazione, la pre-dicazione, e la visita a persone anziane oammalate.

- Le offerte che i mornesini gli dannoper la protezione di Maria Ausiliatrice.Già nel 1864 aveva esortato ad affidarsi aMaria Ausiliatrice nei pericoli e nelle dif-ficoltà, e i mornesini che dicono di avergoduto della protezione dell’Ausiliatrice,volevano lasciargli un segno della loro ri-conoscenza, per la costruzione dellaChiesa che stava ultimando a Torino.

E offrono a don Bosco i beni del ter-ritorio, che vengono poi messi all’asta …

Questo fatto ha suscitato un interessa-mento particolare dall’amministra zionepolitica del territorio 6, perché pensa chedon Bosco obblighi le persone a faredelle offerte, ma viene difeso dagli stessimornesini.

- L’incontro e la conoscenza con le Fi-

A pag. 249, ritratto di Don Pesta-rino eseguito sul letto di morte

Alla pag. a lato, panorama di fineOttocento di Mornese

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glie dell’Immacolata, anche perché nelsuo cuore si sta delineando il progetto diuna Congregazione religiosa femminile.

- Infine il Collegio in costruzione hagià degli ambienti completati, tra questic’è la Cappella dedicata a Maria SS. Ad-dolorata e don Bosco dice la prima Messamentre la benedizione è stata impartita dadon Valle, il parroco, perché don Bosconon aveva assicurato per tempo, la suapresenza. E torna a Torino.

1869 - 3° arrivo di don BoscoIl 19 aprile del 1869, invitato da don

Pestarino, arriva nuovamente a Mornese7,Si mette a servizio della Comunità cri-stiana con le confessioni, la predicazione,la visita ai malati.

Visita il Collegio in costruzione perseguire i lavori aveva già mandato donCarlo Ghivarello, vede il modo di lavo-rare e la collaborazione volontaria dellagente, e stabilisce che i serramenti per lacostruzione verranno fatti da alcuni fale-gnami dell’Oratorio, che a suo tempo perquesto lavoro si sposteranno a Mornese.

Si confronta con don Pestarino anchesul lavoro pastorale che viene fatto, e co-mincia ad avere dei progetti concreti, cheperò non manifesta, verso le Figlie del-l’Immacolata. Si ferma alcuni giorni epoi torna Torino.

1870 – 4° arrivo di d BoscoL’occasione per la quarta venuta di

don Bosco a Mornese, sono i festeggia-menti della prima Messa di don GiuseppePestarino 8, nipote di don Domenico.

Il nipote era stato ordinato prete adAcqui il 16 aprile, sabato santo, e si eradeciso che la prima Messa al paese natalefosse celebrata la terza domenica di Pa-squa, l’8 maggio. La festa dura tre giorni

e don Bosco vi arriva, secondo la testi-monianza di don Giuseppe, la domenicale Memorie Biografiche invece diconoche vi giunge il 9 maggio, lunedì, accom-pagnato da don Giuseppe Costamagna.

E’ un’occasione di Festa, di gioia, diserenità, ma don Bosco incontra e collo-quia con i Sacerdoti e parroci presenti, fa-cendosi conoscere per il suo com- portamento e le sue riflessioni. Il centrodell’ilarità e della festa è il giovane pretedon Costamagna, che si è conquistato lasimpatia dei giovani di Mornese .

E don Bosco gode dell’ilarità ma am-mira anche sempre di più il lavoro pasto-rale di don Domenico, vedendo lapartecipazione della popolazione alla pra-tica dei Sacramenti e della preghiera, enello stesso tempo segue con interesse lacrescita spirituale e apostolica delle Fi-glie dell’Immacolata e di Maria Dome-nica Mazzarello.

1871 – 5° arrivo di don BoscoLa casa più vicina al Collegio in co-

struzione è Casa Carrante 9, e don Boscomanifesta il desiderio di ingrandire, e donPestarino esaudisce subito il desiderio, ecompra la casa, e don Bosco viene, versola fine di aprile, a Mornese per valutarnel’acquisto, e vedere i progressi dellanuova costruzione. La sua venuta serveanche a consolidare il rapporto e la fidu-cia con le Figlie dell’Im macolata. Con-stata i progressi che alcune stannofacendo, e con consigli e letture offre lapossibilità di crescita, e continua ad am-mirare la disponibilità di don Domenico,e la saggezza di Maria Domenica.

1872 – 6° arrivo di d BoscoLa costruzione del Collegio sta per fi-

nire, c’è da fare la nuova casa del par-

roco, e la casa dell’Immacolata, proprietàdi don Pestarino, è la più vicina allaChiesa, ma è abitata dalle Figlie dell’Im-macolata, che hanno un piccolo internatoper orfanelle, e gestiscono il laboratoriodi sartoria per le ragazze del paese. IlConsiglio comunale chiede a Don Pesta-rino di affittare la Casa del l’Immacolata,per ospitarvi il parroco.

Per liberare la Casa dell’Imma co lata,che viene abitata da don Valle, per tutto iltempo necessario per ricostruire la casacanonica, Le Figlie dell’Imma colata ven-gono destinate, dallo stesso consiglio co-munale, al Collegio 10, che vicino ha CasaCarrante, comperata da don Pestarino, epoi si trasferiscono definitivamente alCollegio, e vi arrivano, con i bachi daseta, la sera del 23 maggio 1872.

La Diocesi di Acqui era stata senzavescovo dalla morte di Mons Contratto(1867), e nell’Epifania del 1872 eragiunto ad Acqui come vescovo MonsSciandra, ma non aveva ancora le letteredimissorie (il regio placet) del governo.

La festa del Corpus Domini, giugno1872, durante la processione sotto il sole,Mons Sciandra fa una bella sudata eprende una buona polmonite.

Non sa dove andare a recuperare leforze, perché non avendo le dimissorie,non può usare dei beni episcopali, e nonpuò andare a soggiornare nella villa chela diocesi ha a Strevi.

Gli si dice che don Pestarino e donBosco a Mornese, hanno quasi ultimatoil Collegio e che in quel paese d’estate ilclima è buono, e che potrebbe andare arisposarsi lì. E Mons Sciandra fa la ri-chiesta a don Pestarino, e arriva a Mor-nese.

Nel frattempo don Bosco e don Pesta-rino avevano stabilito che era ora di rea-

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lizzare il progetto della fondazione delnuovo Istituto di Suore “Le Figlie diMaria Ausiliatrice”.

Le Figlie dell’Immacolata che sonoseguite in modo particolare, e che ormairisiedono al Collegio, vengono avvisateche il 3 agosto inizieranno gli EserciziSpirituali e che chi desidera, tra coloroche hanno fatto un cammino formativo,l’8 agosto farà la prima professione reli-giosa, nel nuovo Istituto.

Don Bosco fa sapere a Mons Scian-dra, che Lui non potrà essere presente l’8agosto per le professioni, e che questeprofessioni vengano fatte nelle mani delVescovo. Don Bosco però, sollecitato dalVescovo stesso, arriva a Mornese il 4sera11, e visto che non può trattenersi alungo, le professioni vengono decise peril 5 mattino, e così viene fatto.

E’ interessante vedere come MariaMazzarello e compagne vivono nella se-renità questo momento, anche perché laprofessione comporta il nuovo abito reli-gioso e anche la formula della profes-sione, un nuovo stile di vita tutte questecose vengono preparate con le presenzadi don Bosco.

La quinta venuta di don Bosco a Mor-nese è per la prima professione di MariaMazzarello e delle dieci sue compagne,come Figlie di Maria Ausiliatrice, fattanelle mani del Vescovo e del fondatore.E il 5 sera egli tornava a Torino per altriimpegni.

1873 - 7° arrivo di d BoscoDon Bosco alla fine di luglio del 1873

arriva a Mornese 12 per prepararel’alloggio per Mons Sciandra, che sa-rebbe ritornato a Mornese per un periododi riposo.

L’anno precedente il Vescovo eraospitato nel Collegio ancora in costru-zione, in una parte indipendente dal resto.Il 5 agosto era nato l’Istituto delle Figliedi Maria Ausiliatrice, e il Collegio è statomesso completamente a loro disposi-zione. Attigua al Collegio c’era Casa Car-rante che don Pestarino aveva comperatoa nome di don Bosco, e questa casa eradiventata l’abitazione dei sacerdoti e deisalesiani che si recavano a Mornese perprestare il loro servizio pastorale alla Co-

munità religiosa, e anche il Vescovo sa-rebbe stato ospitato in questo luogo, edon Bosco viene a vedere come è prepa-rata per accoglierLo.

Il nuovo istituto nel cuore di donBosco doveva fare per le “ragazze”quello che Lui e i suoi salesiani stavanofacendo per i ragazzi e bisognava se-guirne il programma. Le conversazioni eil confronto con don Pestarino e con leSuore lo aiutano a intuire questo pro-getto. Proprio per la realizzazione delprogetto e perché si entrasse serenamentenel cammino della vita religiosa donBosco aveva chiesto a Madre EnrichettaDominici (1829-1894), oggi beata, Supe-riora delle Suore di Sant’Anna (fondatedalla Marchesa Barolo) di mandare aMornese per un po’ di tempo delle suoreperché aiutassero Maria Mazzarello e leprime professe a vivere come consacratee a comportarsi da suore. Madre Enri-chetta in quaresima era venuta a Morneseper vede l’attività della Comunità, capi-sce quello che desidera don Bosco, emanda, dopo Pasqua, la sua segretaria eseconda assistente Suor Francesca Ga-relli, accompagnata dal Suor Alloa. E ledue suore godono della buona volontàdella Comunità, e la aiutano a scoprire isegni di una “Comunità religiosa”.

Nel frattempo erano arrivate alcuneragazze, desiderose di una serena e buonaeducazione, e il progetto si incarnavanella quotidianità della vita. Don Boscovede il cammino della Comunità e notail desiderio di diventare “Suore” sottotutti gli aspetti, ed è così contento cheesprime a Don Rua la sua soddisfazione.

1873 – 8° arrivo di d BoscoDon Bosco arriva a Mornese, con don

Cagliero Giovanni13, il 3 agosto, per salu-tare il Vescovo che è ospitato in casa Car-rante, ma dice subito che non puòfermarsi per il 5: le vestizioni e le profes-sioni le accetterà il Vescovo.

Agli Esercizi sono presenti le undiciprime professe, le future professe, le no-vizie e una “decina di Signore” che noioggi diciamo brave cristiane, invitate dadon Bosco a vivere questo momento dipreghiera e di fede. E le due suore di San-t’Anna.

E’ interessante notare la novità di que-sti Esercizi: l’apertura al laicato, le dieciSignore presenti invitate da don Bosco.Gli Esercizi per le “Signore” saranno unacaratteristica del nuovo Istituto, maquando sarà consolidato essi non sarannopiù fatti insieme, ma ogni gruppo, suore,o signore li faranno per categoria, e nonnello stesso periodo.

Gli Esercizi Spirituali predicati dal M.to R. Andrea Scotton e Padre Luigi Por-taluri S. J., e terminano il 5 con nuove ve-stizioni e professioni, alla presenza delVescovo.

Don Bosco alla Comunità offre al-cune riflessioni:

di non lasciarsi mai abbattere da nes-suna difficoltà; il mondo è pieno di diffi-coltà, e per non venir presi da essi,bisogna essere preparati e tener presentiquesti quattro mezzi: Osservare le Costi-tuzioni, pregare con fede, amarsi scam-bievolmente, ed esser umili.

Alla vestizione religiosa e professionesarà presente il Vescovo. Don Boscovisto che il 5 ha degli impegni improro-gabili a Torino, vi ritorna con Don Ca-gliero Giovanni, il 4 agosto.

1874 – 9° arrivo di d Bosco:Trigesima di don Pestarino

Il 15 maggio del 1874, a soli 57 annimuore improvvisamente don DomenicoPestarino, che tanto aveva fatto perché ilSogno di don Bosco, di avere una Con-gregazione religiosa femminile, si realiz-zasse.

Don Bosco non può essere presente aifunerali, manderà alcuni salesiani, mavuole essere presente alla Messa di trige-sima 14, e arriva anche questa volta incompagnia di don Cagliero Giovanni.

Il nuovo istituto stava vivendo un mo-mento di profonda sofferenza, e la pre-senza di Don Bosco non può portare cheun po’ di serenità e di speranza, el’accoglienza delle suore e della comu-nità è ricca di semplicità e di speranza.

La comunità sta imparando ognigiorno di più a vivere “da suore”, e donBosco, visto che ci sono sempre nuoveadesioni, intuisce che il nuovo Istitutodeve incominciare ad avere la sua auto-nomia, e iniziare una formazione rego-lare.

nella pag. a lato, Don Boscocatechizza un gruppo di gio-vani in un dagherrotipo del1867

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Don Bosco ascolta qualcheamico di Mornese, ma è so-prattutto alle Suore del nuovoistituto a cui dedica il suotempo. Parla alla comunitàdelle speranze e attese che al-cuni vescovi hanno a loro ri-guardo, sperando nellapresenza delle suore nella loro diocesi, esoprattutto parla della futura presenza,come responsabili della cucina e delguardaroba, con un riguardo particolareall’educazione delle ragazze del paese,nella nuova opera di Borgo San Martino.

Presiede alla funzione del dono del-l’abito alle nuove postulanti e poi allaprofessione delle novizie che diventanosuore.

Il 15 giugno ci fu la messa di trige-sima di don Pestarino, e dopo, vieneeletta la nuova Superiora e il Consiglio,alla presenza di don Bosco. Viene elettaSuperiora Maria Mazzarello.

Nel pomeriggio il Santo radunò ilConsiglio della Comunità, lo incoraggiòa non sgomentarsi delle perdite avute, maa riguardarle quali prove del Signore efonti di future benedizioni; si disse con-tento di vedere in tutte gran volontà difarsi sante, e diede loro alcuni avvisi, par-ticolarmente su questo:

“Vi esorto a secondare il più possibilel’inclinazione delle Novizie e delleSuore, per quanto riguarda le loro occu-pazioni. Alle volte si pensa che sia virtùil far rinnegare la volontà con questo oquest’altro ufficio, contrario al gusto in-dividuale, mentre ne deriva danno allasuora ed anche alla congregazione. Piut-tosto sia vostro impegno d’insegnar loroa mortificarsi, ed a santificare e spiritua-lizzare queste inclinazioni, avendo intutto di mira la gloria di Dio ”.

E tornava a dichiarare che, non po-tendo egli tener dietro ai singoli bisognidella loro comunità, la quale avrebbepreso un grande sviluppo, aveva stabilitoDon Giovanni Cagliero come suo rappre-sentante. E torna a Torino.

Da quest’anno gli Esercizi Spiritualidelle suore e delle signore verranno fattiin momenti diversi.

Dal 22 al 29 agosto si svolse, in modoedificante, il corso degli esercizi spirituali

per le signore, predicati da Don GiovanniCagliero e da Don Mallarini, Vicario diCanelli.

1875 – 10° arrivo di d BoscoAlcuni momenti della vita del nuovo

Istituto dipendono anche dagli impegnidi don Bosco.

Nel 1875 gli Esercizi Spirituali, vistoche don Bosco desidera essere presentenegli ultimi giorni, e poi andare a Ovadaper partecipare ai festeggiamenti delprimo centenario della morte di SanPaolo della Croce, iniziano il 21 agosto,don Bosco è presente gli ultimi giorni 15.

Prima della fine degli Esercizi Spiri-tuali arriva anche don Bosco, che si pre-sta per le confessioni, parla della regola edelle professioni perpetue che possonoessere fatte.

Il 28 agosto preside la vestizione di 15postulanti, dopo c’è la prima professionedi altre 14 che hanno terminato il postu-landato e infine ci sono le prime profes-sioni perpetue. Dieci tra le undici suoreche avevano fatto la prima professionenel 1872 sono pronte, dopo tre anni, aconsacrarsi al Signore per tutta la vita, aloro se ne aggiungono altre, che avevanoposti di responsabilità nel nuovo istituto.Le suore hanno avuto la possibilità dichiedere un incontro con don Bosco, e trale altre cose gli domandavano se pote-vano … don Bosco le ascoltava e termi-nava sempre con la frase: “Però bisognache sentiate la vostra Madre superiora”.

Lascia infine, alla Comunità, alcuniricordi, parla del dono della pace: per es-sere in pace con Dio, bisogna essere inpace con se stessi. E poiché devono im-parare ad essere suore parla della clau-sura, e dell’importanza di non uscir maida sole …

Il 29 agosto parte per Ovada, dove siferma fino al 31, ospite di don Tito Bor-gatta per partecipare alle feste del primo

centenario della morte di SanPaolo della Croce, per questacircostanza sono presenti di-versi vescovi, e per don Boscoè occasione per incontrarsicon loro e presentare le sueopere. Trova anche il tempo,con don Costamagna, di riti-

rarsi nella Casa Natale di San Paolo delleCroce, per rivedere le Costituzioni delnuovo Istituto e darle alle stampe.

1878 – 11° arrivo di d BoscoDon Bosco ha accolto i “Segni della

Provvidenza”, che con Maria Mazzarelloe don Pestarino l’hanno chiamato a fon-dare l’Istituto di Maria Ausiliatrice. Mor-nese però era un paese isolato, e con unclima invernale alquanto rigido, e questonon concordava con la crescita dell’Isti-tuto, che aveva bisogno anche di usare levie di comunicazione, che collegano luo-ghi importanti e significativi. A queltempo il treno era il sistema di comuni-cazione più veloce e più sicuro, el’Istituto era in continua espansione. DonBosco trova a Nizza Monferrato, dovepassa anche il treno, un Convento che po-trebbe diventare la nuova sede dell’Isti-tuto e lo compra, e stabilisce di trasferirecom ple- tamente l’Opera di Mornese aNizza.

In una lettera a Don Lemoyne, che è ilrappresentante a Mornese di don Boscoil 6 agosto scrive16: “A Dio piacendo saròa Mornese nel giorno 16 e mi fermeròotto giorni, sicché avremo tempo dichiacchierare.

Secondo la Cronistoria don Bosco ar-riva il 12 agosto, accompagnato da MonsBelasio, che è uno dei predicatori degliEsercizi, che iniziano il 13 sera, e siferma otto giorni perché parte il 20. GliEsercizi sono un momento particolare delnuovo istituto perché sono presenti le di-rettrici, e vengono trattati anche argo-menti inerenti all’organiz zazione e buonfunzionamento delle opere. Don Bosconon è in perfetta salute, ma è attento atutti gli avvenimenti che si svolgono,parla con Madre Mazzarello e le altre su-periore, e riceve in privato le direttrici ele professande. Vengono trattati anchealtri argomenti inerenti al consolida-

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mento umano, educativo e religioso delnuovo Istituto. Il giorno 20 si chiudonogli Esercizi, con dodici vestizioni, dieciprime professioni, quattro rinnovazioni eotto professioni perpetue. Don Boscoperò presiede solo la funzione dei voti.

Il 20 agosto don Bosco parte ed èl’ultima volta che viene a Mornese. LaCongregazione stabilisce la sua dimora aNizza Monferrato.

Alcune considerazioni.Potremmo dividere in due gruppi le

venute di don Bosco a Mornese: fino al1872, data della nascita dell’Istituto delleFiglie di Maria Ausiliatrice, don Boscovenendo a Mornese ha sempre avuto deicontatti diretti con la popolazione, tantoche viene deciso di costruire un Collegioperché mandasse i suoi salesiani a farescuola. Essendo sorte delle difficoltà daparte della Curia di Acqui per dare il per-messo di usare la struttura una volta ulti-mata per i ragazzi, in quanto avevarinnovato il piccolo seminario, e le dueistituzioni potevano farsi concorrenza,c’è la possibilità che rimangano le Figliedell’Immacolata che sono diventateSuore: Figlie di Maria Ausiliatrice. E ilCollegio, invece che struttura educativamaschile, diventa luogo educativo per leragazze. I mornesini, dovendo subirequesto cambio, si sentono in parte traditida don Bosco, e don Bosco dal 1872 inpoi quando ritorna a Mornese, si interessamolto meno del territorio e molto di piùdel nuovo Istituto che sta nascendo eprendendo consistenza.

Oggi a quasi 150 anni dalla prima suavenuta (1864), dobbiamo dire che DonBosco e Madre Mazzarello sono statiprovvidenziali per il paese, perché per levicende religiose e storiche che si sonosvolte, Mornese è diventato un paese direspiro mondiale. Arrivano Suore e visi-tatori da ogni parte del mondo.

Don Bosco in preparazione al bicen-tenario della sua nascita (1815-2015), stafacendo in un insigne reliquia il giro delmondo, accolto da tanta simpatia e fede.Ritornerà a Mornese il 26 e 27 dicembredel 2013 a 149 anni dalla prima venuta.

Mornese pur essendo oggi un paese dicirca 750 abitanti anche per merito di don

Bosco e di Maria Mazzarello ha il par-roco, l’Ufficio postale, la Scuola materna,elementare e media e la stazione dei Ca-rabinieri: è ancora un paese pieno di vita

La riflessione sulla presenza di donBosco a Mornese potrebbe essere am-pliata parlando della devozione alla Ma-donna Ausiliatrice, e della partecipazionedei mornesini alla consacrazione dellaChiesa di Maria Ausiliatrice in Torino 17,legata ai progressi a questa devozione chequesti fedeli vivono nel loro territorio.

Si potrebbe continuare con la simpa-tia che i mornesini e don Pestarino hannoavuto con don Bosco, specialmente in oc-casione della grave malattia che lo ha col-pito, e della visita che essi gli hanno fattoa Varazze 18.

Note1 Cfr Maccono Ferdinando, L’ Apostolo di

Mornese: sacerdote Domenico Pestarino, in:«Letture Cattoliche», anno LXXV (1927), nu-meri 897-898, Torino, settembre-ottobre 1927.Adolfo L’Arco: Don Domenico Pestarino in or-bita tra due astri – LDC – 1980.

2 Cfr. Memorie Biografiche (MB) vol. VII,Capitolo VIII pag. 651ss.

3 Cfr. Memorie Biografiche (MB), vol. VII,Capitolo LXXIV, pag. 758-769.

G B Francesia: Don Bosco e le sue ultimepasseggiate. Torino – libreria Salesiana SanGiovanni Evangelista – 1897 - pag. 157 – 379Cronistoria, I, pag. 147ss.

4 Cfr. Archivio Parrocchiale di Mornese.5 1867 dicembre: Benedizione (prima messa

nella Cappella del Collegio) MB VIII CapoLXXXIV pag. 1009-1018.

L’appendice: 8 Poesie del notaio Traversopag. 1075-1079, lodi a don Bosco.

MB VIII Capo LXXII pag. 877: lettera inte-ressante di don Pestarino a Don Bosco: 11 lu-glio – Cronistoria I, pag. 198-204 Cfr. Allegato9 pag. 333

6 Cfr. MB VIII Capo LXXXIV pag. 1016-1020

7 1869 MB IX Capo XLVIII pag. 613: Il 19 aprile verso sera don Bosco parte per

Mornese a visitare la costruzione del Collegio ea confrontarsi con don Pestarino - Cronistoria Ipag. 222

8 1870 MB IX Capo LXVIII (cfr MB Xcapo VI pag. 591) pag. 867-868: C’è la primaMessa in paese del nipote di don Pestarino. Cro-nistoria I pag. 226 - 232.

9 Cronistoria I 236: Questa venuta è raccon-tata solo dalla Cronistoria.

10 A cura di Piera Cavaglià e Anna Costa,Orme di vita, tracce di futuro, Las Roma, pag.34-37

11 1872 MB X Capo IV pag. 369 – primaprofessione.

La sera del 4 agosto, faceva una scappata aMornese per le prime professioni delle Figlie diMaria Ausiliatrice … e tornava all’Oratorio, il 6saliva a Sant’Ignazio benché occupatissimo …Cronistoria, I pag. 297ss.

12 1873 MB X Capo VI pag. 621. ai primidi luglio vi tornava (a Mornese) a predisporreche la dimora per il vescovo convenientementepreparata in Casa Carrante … cfr Cronistoria, II37-38 ( 3 luglio)

13 MB X Capo VI pag. 622: Anche dopotornò a Mornese, accompagnato da don Caglieroper ossequiare il vescovo … Il regio placet, Cro-nistoria II pag. 40-44

14 1874 MB X Capo VI: tutto sulla secondafamiglia (anni 1871-1874). Capo VI paragrafo8: Una visita indimenticabile: Verso la metà digiugno si recava a Mornese in compagnia di donGiovanni Cagliero..

Abito alle Postulanti dalla mano del Santo(sono 13)

pag. 636: Il 15 giugno, il Santo assisté al so-lenne rito di trigesima

Cronistoria, II pag. 88 ss.15 1875 MB XI Capo XV: Le Figlie di

Maria Ausiliatrice pag. 359; pag. 362: Gli Eser-cizi cominciati il 21 agosto … il Beato si trovòpresente negli ultimi giorni. Il 28 agosto solennevestizione di 15 postulanti benedette dal beato.

Parte poi alla volta di Ovada: il 29-31 ago-sto, ospite di don Tito Borgatta, e con don Costa-magna rivede le Costituzioni delle FMA pag.366, Cronistoria, II pag. 146ss.

16 1878 MB XIII Capo VII pag. 209. Saròa Mornese il giorno 16 e mi fermerò otto giorni.Cronistoria II 335ss.

17 Giunti da Mornese 40 capi famiglia colSindaco e d. Pestarino... in brachette e farsettiall’antica, e tutti cortesi e garbati. D. Pestarinodisse: «Scopo nostro è ringraziare la S. V. Aus.»MB IX Capo XXII pag. 270-273. D. B. ottieneal popolo di Mornese l’indulgenza plenaria quo-tidiana (lapide nella chiesa) MB IX Capo LXIIIpag. 812.

18 Dodici capifamiglia di Mornese vanno aVarazze portando doni a D. B. ammalato MB XCapo III pag. 277-278.

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Don Luigi Mazzarello nacque allaFrazione dei Mazzarelli “di mezzo” delComune di Mornese il 13 settembre 1885(in uno spazio di poche case ebberoquindi i natali una Santa, Suor Maria Do-menica Mazzarello, e un “Giusto tra lenazioni”); svolse i propri studi presso ilSeminario vescovile di Acqui Terme e fuordinato sacerdote il 12 agosto 1913. Fuinizialmente viceparroco a Castel Roc-chero e San Giorgio Scarampi, due loca-lità appartenenti all’attuale provincia diAsti. Nel 1926 ebbe l’incarico di Cappel-lano di bordo per l’emi grazione su navidella NGI (poi società “Italia”), in parti-colare sul piroscafo “Virgilio” (1): si trat-tava di una nave che partiva normalmenteda Ponte dei Mille presso il porto di Ge-nova e faceva rotta verso Valparaiso, inCile. Don Luigi ebbe l’occasione di cele-brare la S. Messa a San Cristóbal -cittàdel Venezuela situata a 860 metrid’altezza- e sulla Cordigliera delle Ande,probabilmente alla massima altitudineper una cerimonia cattolica: di quel-l’evento esisteva una fotografia, poi an-data persa negli anni. Si racconta che,dopo ogni sbarco, Don Luigi raggiun-gesse Mornese con un’auto rossa sportiva(si trattava di un’ ”Ansaldo”), una situa-zione del tutto eccezionale per quei tempie dalle nostre parti. Svolse quindi attivitàdi insegnante all’Università Italiana inTunisi e fu coadiutore, con funzioni diconsigliere delle autorità consolari in ma-teria di immigrazione, presso la Missionecattolica a Ginevra (2); quando era già di-ventato Cappellano al Santuario dellaRocchetta (nel territorio del Comune diLerma), dal 1939 in avanti (3), gli perve-nivano infatti lettere e cartoline dallaSvizzera, dove si recava una volta al-l’anno in sella alla sua moto, una “Guzzi500”. Durante la prima fase del conflitto,Don Luigi ospitava al Santuario gruppi dimilitari per i “campi estivi”, finalizzati inparticolar modo al miglioramento dellastrada che portava in questo luogo. Io ar-rivai alla Rocchetta nella primavera del1943 (avevo sei anni); mia madre miaveva allontanato da Genova per via deibombardamenti e alla Rocchetta c’era giàsua madre, mia nonna Maria, sorella diDon Luigi, che gli faceva da “perpetua”.

Al Santuario era presente una nipote ac-quisita di Don Luigi, Elena Brunetti, re-sidente a Genova Borzoli con la figliaGraziella, che all’inizio della vicenda nonaveva ancora un anno. Avevo conosciutoil mio prozio in occasione del matrimo-nio di suo nipote, (anche lui) Luigi Maz-zarello, detto Gigi, con la già citata ElenaBrunetti sul finire del 1941: alla cerimo-nia, celebrata alla Rocchetta da DonLuigi, ero presente con mia madre, AdeleMazzarello. Questo nipote si era sposatodurante una breve licenza -era marinaio-e ripartì subito dopo il matrimonio pernon tornare mai più: rimase infatti uccisoa Tobruk durante un bombardamentoaereo navale, lasciando, senza saperlo,una moglie incinta, dalla quale nacqueuna figlia, Graziella, che vide la luce aGenova il 9 agosto 1942. Quest’uomonon ebbe quindi modo di conoscere lapropria figlia, come la stessa il padre. Ri-trovai quindi il mio prozio, come detto,nella tarda primavera del 1943 alla Roc-chetta, dove arrivarono una notte anchedei signori distinti e un poco guardinghi,che parlavano in italiano ma erano un

poco misteriosi, soprattutto per me, inquanto sconosciuti ad un bambino vispoe tenace che aveva compiuto da poco seianni. In quel periodo, per gli stessi mo-tivi che avevano portato me alla Roc-chetta, arrivò da Genova la stessaGraziella con sua madre, la signora Bru-netti, che era stata la mia direttriced’asilo a Borzoli e anche la mia maestra“privata” per la Prima classe alle Elemen-tari. In una fotografia con mia cuginaGraziella (la “signorina”), che risale algennaio 1945, indosso pantaloni corti,mentre lei è vestita in modo adatto allastagione; faceva freddo, ma non dispo-nevo di un abbigliamento adeguato.

La “famiglia” di Don Luigi era dimolto aumentata (e in misura analogal’impegno di mia nonna in cucina) inquanto eravamo in undici: si mangiava aquel punto intorno al tavolo più grande,quindi non più nell’angusta cucina manella più ampia sala. Sentivo spesso daparte dei commensali discorsi molto pre-occupati di deportazioni, perquisizioni,rastrellamenti avvenuti, amici spariti, pa-renti che non davano più loro notizie, mada noi le cose non andavano troppo malee, grazie a Don Luigi e alla signora Bru-netti, il cibo non mancò mai. Nel gruppomi trovavo bene con tutti, ma di quei si-gnori che parlavano solo italiano e nonerano parenti continuavo a non capirciniente; avevo tuttavia preso una certaconfidenza con i signori Levi, in modoparticolare con la signora Lisa (4). Que-st’ultima e mi sembrava un poco la miamamma rimasta a Genova e qualchevolta giocavamo insieme a lei con Gra-ziella, la cui madre partiva tutte le mat-tine alle 5 con la corriera (io illuminavospesso la strada per arrivare alla fermata,utilizzando una torcia elettrica provvistadi una dinamo), raggiungeva la stazionedi Ovada per salire sul treno e raggiun-gere Genova-Borzoli (dove stava prose-guendo la sua attività di direttriced’asilo), per tornare da noi nel tardo po-meriggio. Una minor familiarità si era in-vece creata con i signori Soria, vuoi perla loro età (erano più anziani dei signoriLevi), vuoi per il loro carattere, che liportava a stare in disparte a leggere(c’erano libri dappertutto!) o a giocare a

Don Luigi Mazzarello “Giusto tra le nazioni”.Coraggio, solidarietà, amore e spirito umanitario universaledi Luigi Mazzarello*

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carte tra loro. Credo che i Levi e iSoria non si conoscessero prima di ar-rivare alla Rocchetta, anche se vierano giunti contemporaneamente.Solo per caso scoprii che erano ebrei:a settembre cominciai infatti ad an-dare a scuola a Lerma (Seconda Ele-mentare) e lungo la strada, all’andatae al ritorno, mi accompagnavo conaltri ragazzini che abitavano nei caso-lari nei dintorni del Santuario. Ungiorno, due di questi mi chiesero abruciapelo se non avessi paura di es-sere fucilato, visto che alla Rocchettac’erano degli ebrei; io risposi chequei signori erano amici del mio prozio eche pertanto non potevano essere ebrei.Dissi quella che per me era la verità, maintuii, senza capire bene il perché, che sefossero stati realmente ebrei qualche pro-blema lo avremmo avuto. Arrivato a casaraccontai di corsa tutto a Don Luigi, chemi parve molto preoccupato per il fattoche già si sapesse troppo in giro di questepresenze; mi spiegò, tuttavia, che quei si-gnori erano proprio ebrei (ma questo nonmi diceva gran che), che si dovevano aiu-tare, all’occorrenza anche na-scondere con attenzione e che disicuro, prima o poi, ci sarebberostate ricerche per trovarli: da quelgiorno l’unica persona di queiquattro ospiti che uscì di casa fula signora Lisa. L’anno scolasticosi concluse a giugno del 1944; isignori Soria e il signor Enricocontinuavano a vivere asserra-gliati nei vari locali del com-plesso, la signora Brunetti era invacanza estiva. Don Luigi, la si-gnora Lisa, che veniva presentatacome un’altra sua nipote, Gra-ziella ed io giravamo per i varicascinali a cercare cibarie: uova,formaggio, qualche pollo o coni-glio. Un giorno il prozio mi dissedi seguirlo: entrammo in chiesapassando dall’interno, spo-stammo un confessionale e ap-parve una porticina che lo stessocelava: l’aprimmo -Don Luigiaveva la chiave-, entrammo e ciritrovammo in un’accoglientesala arredata con poltrone e vari

mobili. Scendemmo poi strettissime scaleilluminate dalla poca luce che, attraversopiccole finestre, filtrava dall’esterno e ciritrovammo in un altro locale, dove si in-travedeva un altare e, guardando nellasala attigua, vari piani di loculi mortuari.Il sacerdote trafficò attorno ad una grossaporta chiodata finché riuscì ad aprirla; ar-rivarono luce e aria fresca dall’esterno:quello era l’accesso “ufficiale” dellacripta. Il prozio mi spiegò che in qualcheloculo vi era una salma (5) (lo si capiva

dalle chiusure marmoree con relativonome), ma vi erano anche loculi vuoti(benché già dotati della lastra dimarmo, che però non riportava scrittio incisioni) e mi disse che all’occor-renza, in questi ultimi si sarebbero do-vuti nascondere gli ebrei. La portaprincipale esterna fu nuovamentechiusa e noi facemmo il percorso a ri-troso, ripristinando la copertura ini-ziale, poi ci portammo all’esternodella porta d’accesso per cospargerela sua parte inferiore di terra, erba eacqua: in quel modo, chi l’avesse os-servata da fuori avrebbe avuto

l’impressione che da tempo non venisseaperta. Dall’esterno si sarebbe potuto ac-cedere alle sale superiori della cripta at-traverso una scala autonoma, ma larelativa porta d’accesso era completa-mente bloccata. (Nel tempo mi sonoposto una domanda: perché un uomo,seppur prete ma sempre uomo, si fidavadi un bambino di sette anni, tanto da ren-derlo partecipe attivamente di queste cosee coinvolgerlo in quel modo? Non sonomai riuscito a darmi una risposta defini-

tiva). Arrivò il luglio del 1944 econ esso i primi guai. Premettoche in qualche tarda serata veni-vano pure a trovarci i partigianiche operavano nella zona; mi ri-cordo che uno dei loro capi era co-nosciuto come “Boro” (6). Ancheloro erano sempre alla ricerca dicibo, coperte e quanto necessario,che Don Luigi riusciva sempre atrovare; “Boro” procurava le siga-rette (grazie ai “lanci” degli aereiinglesi) anche agli ospiti dellaRocchetta: c’era una sorta di fra-tellanza -anche se un po’ guar-dinga- e, in sostanza, eravamosempre in compagnia. Un giorno,il mio prozio venne chiamato dalsuo superiore diretto, Don Bob-bio, Vicario foraneo nonché Arci-prete di Lerma, e iol’accompagnai. Don Luigi si preseuna sonora strapazzata, sia per lapresenza non autorizzata degliebrei al Santuario che per le visitenotturne dei partigiani, ma replicòaltrettanto duramente, affermando

Alla pag. precedente, Don LuigiMazzarello in divisa da Cappel-lano della nave, fotografato abordo

A lato e in basso, i soldati ai“campi estivi” presso la Roc-chetta; è visibile un piccolomezzo militare che poteva pas-sare normalmente il ponte

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che era suo dovere aiutare il prossimo indifficoltà e che l’avrebbe fatto fin cheavesse potuto; poi, sbattendo la porta, cene andammo. Una mattina, sempre al-l’inizio di quel luglio, Don Luigi, dopoaver celebrato la Messa (che io servivo eche nei giorni feriali non aveva un orarioprestabilito…si suonava la campana evia!), venne raggiunto da un giovanottoarrivato velocemente in bicicletta (allaRocchetta il telefono non c’era, mentrel’energia elettrica era disponibile el’acqua…era quella del pozzo) per infor-marlo che erano in arrivo dei fascisti sudue camion. Ci fu un po’ di trambusto,ma il mio prozio, con molta presenza dispirito, radunò gli ebrei e si fece seguire,me compreso, per il percorso di cui si èdetto e raggiungemmo insieme la cripta,dove gli ebrei furono chiusi con la racco-mandazione assoluta di stare nel mas-simo silenzio. Noi rifacemmo il percorsoa ritroso e ci preoccupammo di rimettereovviamente al suo posto il confessionaledi copertura. I fascisti arrivarono sul piaz-zale del Santuario a piedi, perché i ca-mion erano troppo grossi per riuscire apassare sull’ultimo ponte; questa fu in-dubbiamente una fortuna, in quanto, do-vendo salire senza mezzi meccanici,persero il tempo che fu per noi sufficienteper nascondere gli ebrei. I fascisti eranouna dozzina, con un graduato che li co-mandava: ci misero tutti al muro (com-preso me e tranne Don Luigi, in quantointerlocutore del graduato) e iniziaronoimmediatamente la perquisizione. Io emia cugina Graziella, che ci muovevamo,venivamo richiamati e rispediti al muro(considerato tutto non avevo neanchetroppa paura); sentivo il graduato riferireal sacerdote che dal Comando di Ovadaerano giunte voci di “presenze nemiche”e che pertanto loro avrebbero dovutostroncarle. Perquisirono la casa, la chiesa

e le soffitte, passarono anche vicino alportone esterno della cripta, ma non si ac-corsero di niente. Vi furono altre mi-nacce, con spianamento di armi sotto ilnostro naso, poi alla fine, essendo arri-vato mezzogiorno, “chiesero” cibo contanto di vino compreso; pranzarono, ciminacciarono nuovamente e quindi se neandarono. Le scorte di formaggio, lardo,salami, uova e scatolette varie che la si-gnora Brunetti ci procurava a Genova su-birono un duro colpo. Lasciammopassare un po’ di tempo, poi -dopo avercontrollato lungo la discesa che i camionfossero partiti- andammo a recuperare gliebrei: li trovammo distrutti e piangenti,assetati per il gran caldo e spaven-tati…ma erano salvi! Don Luigi raccontòloro gli eventi preparando il pranzo, poi,mangiando, tutti erano più rilassati e lavita riprese con la convinzione di averlascampata bella. Il mio prozio ricordavache questo primo “incontro” con i fasci-sti era durato oltre quattro ore e certa-mente raffreddò non poco le speranzesuscitate quando a giugno, da Radio Lon-dra, era arrivata la notizia dello sbarcodegli Alleati in Normandia; la paura ser-peggiava, ma, nonostante tutto, la signoraLisa, “novella” nipote di Don Luigi, con-tinuava a essere l’unica dei quattro ospitiebrei a uscire di casa. Arrivando la finedell’estate non si facevano più i bagni nelLago di San Pantaleo del torrente Piota;era settembre, avevo ripreso la scuola edero al terzo anno. Un tardo pomeriggio, ilsacerdote -che era appena stato adOvada- riunì gli ebrei e li informò di averappreso che l’indomani mattina presto cisarebbe stata una nuova perquisizione daparte dei fascisti. A quel punto, conside-rando la necessità di salvare assoluta-mente gli ebrei e anche noi stessi, DonLuigi disse che si dovevano utilizzare iloculi vuoti della cripta e, in particolare,

quelli posti lateralmente in alto, menoesposti alla vista di chi fosse eventual-mente entrato nella cripta. Prima del-l’alba, i signori Levi e Soria furonosistemati in quei loculi già individuati,dove si adagiarono sopra una coperta,con i marmi bianchi appoggiati allastruttura per nasconderli. Per accedereai loculi più alti usammo una scala

della chiesa, incontrando molte difficoltàsia all’andata che al ritorno, dovendo pas-sare attraverso la stretta scala interna diaccesso alla cripta. I fascisti arrivaronoprestissimo e raggiunsero comodamenteil piazzale della chiesa con due piccoli erumorosi semicingolati. Erano altri ri-spetto alla prima perquisizione, ma ci fu-rono le stesse minacce di fucilazione eancora messa al muro, discussioni a nonfinire con il prete, perquisizioni varie.Questa volta però il graduato disse cheintendeva ispezionare anche la cripta,della quale conosceva l’esistenza; DonLuigi sbiancò, ma, senza batter ciglio, sipremunì della chiave del portone esternoe si avviò: noi eravamo ancora al muro.Raccontò poi che, arrivati davanti al por-tone -lui, il graduato e altri due militari-si fermarono; gli fu ordinato di aprirequel portone, azione che fece con il cuorein gola. Il locale, sia pure a portoneaperto, restava abbastanza buio; il solograduato fece due passi avanti, poi sifermò guardando i loculi di fronte, fecedietro-front e disse che si poteva richiu-dere. Don Luigi raccontava che quandodovette aprire il portone pensò che pertutti noi fosse finita, ma quando il gra-duato uscì gli sembrava di volare. Altret-tanto male vissero inevitabilmentel’episodio le persone nascoste nei loculiquando sentirono aprirsi il portone, cosìcome la felicità esplose dentro di loroquando lo sentirono richiudere. Anchequesta volta la perquisizione si conclusedopo quattro ore e con perdita di viveri,vino e altre cose, ma con la vita salva…

Una sera dopo la vicenda, la signoraLisa, che continuava le sue uscite avven-turandosi anche nei boschi circostanti edera anche una valida cuoca, ci preparòun’invitante zuppa di verdure alla bosca-iola, con tante erbette da lei stessa rac-colte nel bosco denominato “della

La nave Virgilio fotografata aGenova negli anni Trenta

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Madonna”. I piatti erano colmie fumanti, tutti eravamo vo-gliosi di gustare quella zuppa,ma io, dopo poche cucchiaiate,cominciai ad avere dei capogiri;informai gli altri commensali,che però continuarono a man-giare -attribuendo il fa-stidio alla presenza di un’erbapiccante-, poi dovetti andare aletto in preda al vomito e a unforte malessere. Alcuni giornidopo accompagnai il mio pro-zio nel bosco di cui si è detto,dove ci rendemmo conto che lapiantagione di tabacco celata alsuo interno era stata ridotta amal partito…Tornati a casa,Don Luigi raccontò di quella si-tuazione: furono le risate dellasignora Lisa -e degli altri che avevano ca-pito- a dare la spiegazione dei miei di-sturbi seguiti alla cena di qualche seraprima: infatti, l’erbetta piccante altro nonera che le tenere punte delle piantine ditabacco trapiantate dal mio prozio…e giùaltre risate!

La terza e ultima perquisizione fu ese-guita da un gruppo di tedeschi verso lametà di gennaio del 1945; arrivaronoanche loro al mattino ed ebbero a lorovolta, per nostra fortuna, non pochi pro-blemi quando si trovarono al solitoponte stretto. La seconda fortuna fuche il loro mezzo blindato di appoggionon riuscì a passare quel ponte e fu spa-rato qualche colpo di cannone controdelle rocce a fianco del corso d’acqua,non si capì per quale ragione, ma chefece subito avvertire il pericolo a DonLuigi, che, con rapidità e perizia ormaicollaudate, riuscì nuovamente a far en-trare gli ebrei nei soliti loculi. Mancavaperò la signora Lisa, che era uscita allachetichella per una passeggiata nelbosco; il mio prozio, seppure prete, mipare bestemmiasse… Dalla strada insalita arrivarono intanto a piedi i tede-schi, mentre, da un sentiero che comu-nicava con il bosco, giungeva lasignora Lisa. Qui avvenne il “mira-colo”: Don Luigi, che conosceva le lin-gue straniere, con coraggio, furbizia,prontezza di spirito e anche fortuna,

andò incontro alla “nipote” Lisa, che par-lava anche un po’ di tedesco, salutandolapaternamente e presentandola come tale achi stava cercando proprio gli ebrei. (Araccontarla dopo sembrava uno scherzoperfettamente riuscito, ma sul momentonon fu certo così). Avvennero le soliteperquisizioni con l’abituale messa almuro, ma lasciarono stare mia cugina eme, l’animata discussione tra il prete,

“sua nipote” e il graduato tede-sco, ma il clima pareva menoostile. Il graduato fece poi aprireil solito varco esterno dellacripta, dette una sbirciatina ve-loce (sembrava incutessero piùpaura i morti dei vivi) e la que-stione si chiuse lì. Vi fu la solitarazzia di cibo -si presero ancheuna capra che stava nella stalla-e con tutto questo i tedeschi siallontanarono verso il loro blin-dato, rimasto prima del ponte.Seguirono i nostri abituali accer-tamenti della loro partenza,l’euforia della signora Lisa e diDon Luigi per averla scampata,l’uscita dei tre ebrei dai loculi edalla cripta, i pianti, gli abbraccie le congratulazioni reciproche.

Alla fine dello stesso mese di gennaio del1945 morì per malattia mia nonna; in se-guito non fummo più molestati, anche serimanemmo sempre guardinghi, e si ar-rivò alla fine della guerra. Io tornai a casamia, a Genova-Borzoli, dopo aver termi-nato a Lerma la Terza Elementare; gliebrei andarono via prima e tornarono aGenova. Alla Rocchetta, nel giugno1945, rimasero Don Luigi, la nipote

Elena Brunetti e la pronipote Graziella,nonché Main e Maxillo, i campanari.Un giorno non ben precisato del 1947,il mio prozio venne a Genova e insiemeandammo a trovare i signori Levi in Sa-lita S.Anna e i signori Soria in CorsoSardegna. Al Santuario della Rocchettai signori Levi, nel 1948, fecero porre,nell’interno della chiesa, una targamarmorea in riconoscenza per quantooperato da Don Luigi, che rimase allaRocchetta fino al giorno della suamorte, avvenuta il 26 ottobre 1959.

A partire dal 2007, affinché non an-dasse dimenticato quanto eroicamenteattuato da Don Luigi Mazzarello persalvare dalla deportazione gli ebreiospiti alla Rocchetta, si avviarono ri-cerche e contatti che consentirono di ri-trovare una nipote della signora LisaLevi nella persona di Iranì Diana Levi,residente a Genova. Questa nipote con-visse con la nonna Lisa fino all’età di17 anni e fu sufficientemente edotta

I funerali del sacerdote aMornese (1959)

In basso, un’immagine di DonLuigi al Santuario con il fedelecane lupo

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delle vicende avvenute al Santuario,compreso il momento della Libera-zione, alla fine della guerra, quandola signora Lisa avrebbe voluto spa-lancare tutte le finestre della Roc-chetta e gioire. Il 27 maggio 2008,con il Rabbino capo della Comunitàebraica di Genova, Dr. Giuseppe Mo-migliano, e la signora Iranì DianaLevi, abbiamo visitato il Santuariodella Rocchetta, presenti anche altrepersone, esaminando i posti dove iquattro ospiti ebrei si nascondevanoe anche i percorsi segreti per acce-dervi. Il 5 giugno 2011 è stata appo-sta sul muro esterno del Santuariouna targa marmorea da parte dellaComunità ebraica di Genova, mentreil 18 aprile 2012 lo “Yad Vashem” di Ge-rusalemme (7 ) ha ufficializzato la nominadi Don Luigi Mazzarello a “Giusto tra lenazioni”; esiste ora anche una lapide chericorda questo conferimento, posizionataa contatto della precedente. Io sono so-lito invitare coloro con i quali parlo diqueste vicende, specialmente i più gio-vani, a recarsi al Santuario della Roc-chetta e a soffermare l’attenzione suquelle lapidi, riflettendo sugli eventi aiquali si riferiscono: i fatti come quelliraccontati qui devono infatti essere ricor-dati affinché non si ripetano. A questoproposito, ho proposto ufficialmente alComune di Lerma, nel quale si trova ilSantuario, di intitolare a Don Luigi Maz-zarello la strada che porta alla Rocchettae confido in una risposta favorevole. Lacerimonia ufficiale di conferimento deltitolo di “Giusto tra le nazioni” si è poisvolta presso il Municipio di Mornese il24 ottobre 2012; il Sindaco, Marco Maz-zarello, e l’Amministrazione Comunalehanno deciso di intitolare a Don LuigiMazzarello, “Giusto tra le nazioni”, unavia pubblica mornesina, a suo ricordo im-perituro.

Concludo questa mia testimonianzacon un pensiero rivolto alla tomba di DonLuigi, che si trova nel cimitero di Mor-nese: quel “riposa” scritto sulla sua la-pide, a mio avviso, gli si addice poco,perché non era certo un uomo portato ariposarsi.

*Pronipote di Don Luigi Mazzarello (1) La motonave Virgilio, che ebbe come ge-

mella la Orazio, fu costruita nei Cantieri ed Of-ficine Meccaniche Meridionali di Baia e varatanel 1926 per la “Navigazione Generale Italiana(NGI)”; fu quindi trainata a Genova, sede dellaNGI, dove ne venne portato a terminel’allestimento. Aveva una lunghezza di 152,45metri ed era larga 18,84 metri, con una stazza di11.718 tsl e velocità intorno ai 15 nodi. Il 24aprile 1928 la Virgilio, che disponeva comples-sivamente di 640 posti per i passeggeri e 200 perl’equipaggio, lasciò Genova per il suo viaggioinaugurale: dopo aver toccato Marsiglia, Barcel-lona, La Guaira, Curaçao, Cartagena, Cristóbal,Callao, Mollendo, Iquique ed Antofagasta, lanave giunse infine a Valparaiso. Negli anni suc-cessivi le due navi gemelle vennero impiegatenel trasporto di merci e passeggeri lungo talirotte, con partenza da Genova. Il 2 gennaio1932, in seguito alla fusione della NGI con altredue delle principali compagnie di navigazioneitaliane – Lloyd Sabaudo e Cosulich SocietàTriestina di Navigazione – nella “Italia FlotteRiunite” (con sede a Genova e divenuta nel1936-1937 “Italia Società Anonima di Naviga-zione”), la Virgilio passò alla nuova società.Dall’11 febbraio dello stesso anno svolse ser-vizio di linea sulla rotta Genova-Valparaiso peril nuovo armatore.

(2) Come ha osservato lo storico Valerio Ca-stronovo, la storia delle ondate migratorie per-mette di gettare uno sguardo approfondito sullanostra identità nazionale. L’esodo di milioni dipersone, in particolare fra la fine dell’Ottocentoe la vigilia della prima guerra mondiale, fu so-prattutto la depressione economica che si ab-batté dopo il 1873 (ma già nel 1868, con amarorealismo, Quintino Sella affermava che «dovec’è lavoro c’è patria») sulle campagne per lamassiccia concorrenza sia dei cereali americanie russi, sia di alcuni prodotti semilavorati pro-

venienti dalle contrade asiatiche, riversatisisul mercato a basso prezzo a causa anchedello sviluppo dei trasporti ferroviari e avapore, che aveva ridotto i tempi di percor-renza e i relativi costi (“Il Sole 24 Ore-Do-menica”, 7 luglio 2013).

(3) Da un documento della MissioneCattolica a Ginevra (pubblicato sul sito in-ternet www.consginevra.esteri.it del Con-solato italiano) si rileva che il sacerdoteincaricato di subentrare a Don Luigi, P. En-rico Larcher, raggiunse Ginevra partendoda Parigi la sera dell’ultima domenica diagosto del 1939, nell’imminenza dellaguerra. E’ significativo che, tra le attivitàdi questa Missione delle quali si parla nelsuddetto documento, trovi ampio spaziol’opera di assistenza nei confronti degli im-migrati italiani (compresi i lavoratori sta-gionali), che dovette intensificarsi appena

conclusa la Seconda Guerra Mondiale, quandogli arrivi dall’Italia aumentarono a dismisura.Tutto questo sembra volerci ricordare che DonLuigi si era occupato degli emigranti fin daglianni dei viaggi in nave verso le Americhe.

(4) Delle persone citate in questo articolosolo io e mia cugina Graziella siamo viventi.Don Luigi morì nel 1959, i coniugi Enrico Levie Lisa Levi Vita Finzi erano deceduti rispettiva-mente nel 1952 e nel 1965, l’Ing.Gastone Soriae la sorella Valentina nel 1947 e nel 1952. Mianonna, Maria Mazzarello, era morta già nel1945, Main e Maxillo (Maria Agosto e TomasoSobrero, campanari “tuttofare” che abitavano inuna parte autonoma dell’immobile) scompar-vero nel 1976 e nel 1971. Sopravvisse più alungo Elena Brunetti, deceduta nel 1993.

(5) Fino ad un certo periodo venivano tumu-lati nella cripta i defunti della famiglia Spinola-Cartier

(6) Era il nome di battaglia di Grga upi ,comandante partigiano (Divisione Mingo), diorigini serbe

(7) Lo Yad Vashem o Museo dell’Olocau-sto è il memoriale ufficiale di Israele delle vit-time ebree dell’olocausto; fu fondato nel 1953con la Legge del memoriale approvata dallaKnesset, il parlamento israeliano. Il nome, chesignifica “un memoriale e un nome”, viene dallibro di Isaia 56:5, dove Dio dice, “concederònella mia casa e dentro le mie mura un memo-riale e un nome ... darò loro un nome eterno chenon sarà mai cancellato”. Il museo è compostoda una sala memoriale, un museo storico, unagalleria d’arte, una Sala dei Nomi, un archivio,“la valle delle comunità perdute” ed un centroeducativo. Presso il museo esiste un Giardinodei Giusti, dove vengono onorati i “Giusti tra lenazioni” che, a rischio della propria vita, salva-rono degli ebrei dallo sterminio.

A lato, l’atto di conferimento di “Ri-ghteous among the nations” al sacer-dote mornesino

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Rimarrà per sempre nella memo-ria di Mornese, insieme al ricordo diquanto operato da Don Luigi Mazzarellonel prodigarsi per la salvezza delle quat-tro persone ebree ospitate al Santuariodella Rocchetta, la cerimonia svoltasi il24 ottobre 2012, presso la Sala consi-gliare del Municipio, per il conferimentodel titolo di “Giusto tra le nazioni” al no-stro concittadino. A questo importantemomento hanno preso parte, tra gli altri,i parenti di Don Luigi, i sindaci dei paesilimitrofi, il presidente della Provincia diAlessandria, Dr. Paolo Filippi, il Vescovodi Acqui Terme, Mons. Piergiorgio Mic-chiardi -con il parroco di Mornese, DonPiero Martini-, una rappresentanza delle“Figlie di Maria Ausiliatrice”, dell’Armadei Carabinieri (tra i quali il Cap. CarloGiordano, Comandante della Compagniadi Novi Ligure) e delle scuole di Mornesecon gli insegnanti. E’ stata senza dubbiosignificativa la presenza della signoraIranì Diana Levi -discendente della fami-glia dei coniugi salvati alla Rocchetta-,degli esponenti della Comunità ebraica diGenova, Dr. Amnon Cohen e Dr. Giu-seppe Momigliano, e di Sara Gilad inrappresentanza dello Stato di Israele.Devo sottolineare che, nell’iniziare il miodiscorso di saluto in apertura della ceri-monia, il mio pensiero è corso subito aDon Luigi Mazzarello, ma anche a SantaMaria Domenica Mazzarello, a Don Do-menico Pestarino e ad altri che hannocontribuito a fare di un piccolo Comunecome Mornese il luogo d’origine di fi-gure esemplari, in grado di porre solidebasi per operare il “bene” nella sua acce-zione più ampia e duratura. Si è notatod’altra parte che, nonostante le limitatedimensioni, sono passate da questo paese-come fosse un punto focale ditante iniziative- personalità chehanno raggiunto la gloria degli al-tari, ma credo di non dire una stra-nezza riconoscendo che ci sonoanche qui casi di grandi opere dibene realizzate da coloro che nonhanno raggiunto la santità. Pensoinfatti che la nostra gente, in pas-sato, abbia dato sicuramentetanto…tantissimo, che abbia fattosacrifici e corso rischi finalizzati

ad aiutare in qualche modo chi ne avesseavuto bisogno, ma -al tempo stesso- temoche questi sforzi possano aver comeesaurito la volontà di operare per il bene:è il motivo per il quale confido in gior-nate come quella di cui si parla al fine dirisvegliare quella volontà dimostratadalle generazioni precedenti! Don Luigi, durante la Seconda GuerraMondiale, ha infatti salvato quattro crea-ture umane sottraendole alla violenza na-zifascista, in un contesto della nostrastoria nazionale macchiato dalla vergo-gna delle “leggi razziali” ; non possoquindi esimermi dal sottolineare il valoredi questo figlio di Mornese, che era con-sapevole di rischiare lui stesso la propriavita, ma non si è tirato indietro, non hatrovato scuse o scappatoie, attuando condeterminazione la sua opera finalizzataalla sopravvivenza di persone persegui-tate. C’è un libro di Mario Deaglio sullavita di Giorgio Perlasca che ha per titolo“La banalità del bene”; pensando alle vi-cende avvenute al Santuario della Roc-chetta, credo di poter dire che per DonLuigi dovremmo parlare di “spontaneità,forza e intensità del bene nella sua sem-plicità”. Quindi, come mornesino, sonoovviamente orgoglioso del conferimentodel titolo di “Giusto tra le nazioni” a DonLuigi Mazzarello: con lui entra in questoaltissimo riconoscimento anche qualcosadello spirito di Mornese! Bastano questesemplici considerazioni per motivare vi-gorosamente la decisione dell’Ammini-strazione Comunale mornesina di de- dicare a Don Luigi Mazzarello una stradadel nostro paese, affinché possa essereeternamente ricordato -non solo come unnome- e con la speranza che i giovani sichiedano chi era e possano capirne i me-

riti e il valore.Parlo di tutto questo con sincera

commozione, che mi porta anche a ricor-dare i ragazzi di Mornese deportati aMauthausen: è infatti intendimento di noiamministratori intitolare a loro i localidella mensa e della palestra pressol’edificio scolastico comunale, nonché ilCircolo degli anziani. Ne parlo consape-vole del valore simbolico di questascelta: è quello dell’incontro, della con-divisione -nella vita e nei gesti di tutti igiorni- di valori, del rispetto reciproco trale generazioni e dell’affiancarsi con sere-nità dei giovani ai più anziani, affinché la“memoria” non possa essere perduta,anche attraverso il ricordo di eventidrammatici: tutto questo costituisce lasperanza e l’aspirazione mia e dell’Am-ministrazione comunale di Mornese. Inquesto senso, durante la cerimonia del 24ottobre 2012, come sindaco di un Co-mune italiano, mi sono sentito in doveredi ricordare due occasioni, che risalgonoallo stesso periodo, nelle quali i rappre-sentanti del nostro Stato hanno resoonore a vittime della violenza antisemita.Mi riferisco al Presidente della Repub-blica, Giorgio Napolitano, che ha parteci-pato alla cerimonia in cui si ricordaval’inqualificabile attentato dell’ottobre1982 (a trent’anni di distanza) avvenutopresso la Sinagoga di Roma -nel qualeperse tragicamente la vita un bambino didue anni- e poi al Presidente del Consi-glio, Mario Monti, che ha preso parte allecelebrazioni, in Largo 16 ottobre a Roma,a ricordo delle deportazioni di ebrei chevivevano nella capitale italiana. Pur-troppo, altri eventi -anch’essi dell’otto-bre 2012- hanno dimostrato che il semedella violenza e della persecuzione è

sempre in grado di produrreatrocità; penso al caso dellagiovanissima pakistana vit-tima di un brutale attentatoperché rivendicava il dirittoallo studio per le ragazzinecome lei: è un fatto dei nostritempi, ma che ci porta inevi-tabilmente a ripensare alletragedie del secolo passato.Lo storico israeliano DanDiner, dedicando a suo

Don Luigi Mazzarello “Giusto tra le nazioni”.La cerimonia di conferimento: Mornese, 24 ottobre 2012di Marco Mazzarello*

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padre il proprio libro “Raccontare il No-vecento” ha motivato questa scelta di-cendo che «ha sofferto questo secolo»,facendoci capire con queste poche parolemoltissimo dei drammi vissuti nel corsodi quegli anni e della necessità di non di-menticarli. Questo è un argomento fon-damentale e devono pertanto essere postele basi affinché il giorno del conferi-mento del titolo di “Giusto tra le nazioni”a Don Luigi Mazzarello non resti isolato:per questo motivo esiste il fermo intendi-mento di istituire una giornata da dedi-care ogni anno, in suo onore, al ricordo ealla riflessione. Dovrà svolgersi con losguardo attentamente rivolto agli eventiche si susseguiranno nei tempi a venire einvitando persone che, come avvenuto inquella circostanza, sappiano portare inse-gnamenti e testimonianze. Di questa ideasi è subito fatto partecipe Paolo Filippi,presidente della Provincia di Alessandria,sottolineando che il titolo di “Giusto trale nazioni” è un riconoscimento fra i piùimportanti assegnati nel secondo dopo-guerra e che per lui si trattava della se-conda occasione in cui presenziava ad unsuo conferimento: in entrambi i casi, inquanto il primo aveva riguardato il par-roco di Gremiasco, si è trattato di un sa-cerdote cattolico, con la conferma dellapresenza dei valori di solidarietà, non di-sgiunti dalla disponibilità a rischiare pergli altri, presenti nelle piccole comunitàumane. E’ poi intervenuta Sara Gilad,Prima Assistente Ufficio Affari pubblici epolitici dell’Ambasciata d’Israele in Ita-lia, ricordando l’unicità del titolo e dellamedaglia dello “Yad Vashem” (istitu-zione prevista da un’apposita legge delloStato di Israele), il cui significato è anchequello di un abbraccio dell’ebraismo nei

confronti di coloro che non appartengonoa questa religione, ma per i quali vale ri-cordare i versi del “Talmud” quando af-fermano che «chi salva un essere umanoè come se salvasse il mondo intero». DonLuigi, proteggendo i rifugiati alla Roc-chetta (un luogo sicuro perché mai abi-tato da ebrei), è stato uno degli «spiraglidi luce nell’oscurità di quegli anni»: lacommissione dello “Yad Vashem” inca-ricata delle designazioni dei “Giusti” gliha assegnato il conferimento nella riu-nione del 3 gennaio 2012. La signoraIranì Diana Levi, nipote dei coniugi sal-vati alla Rocchetta, ha voluto porgere ilsuo ringraziamento, con un particolarepensiero rivolto a Luigi Mazzarello, ilpronipote di Don Luigi che contribuì,quando da ragazzino era ospite al Santua-rio, a salvare i propri nonni. A Morneseerano presenti, in qualità di presidente edi rabbino capo della Comunità ebraicadi Genova, anche il Dr. Amnon Cohen eil Dr. Giuseppe Momigliano. Quest’ul-timo ha ricordato le testimonianze attra-verso le quali si è ricostruita la vicenda, ilvalore emblematico e morale del salva-taggio degli ebrei dalla deportazione edalla violenza brutale dei nazisti insiemeai loro alleati, rilevando che «l’opera delgiusto procura frutti che durano neltempo»: i cattolici che hanno salvatoebrei hanno infatti contribuito al miglio-ramento dei rapporti tra le due confes-sioni, favorendo incontri interreligiosi dicultura e di pace. Momigliano ha quindiletto alcuni versi dal “Salmo 86”: «Lagiustizia procede davanti all’uomo giu-sto e guida i suoi passi sulla strada». Aqueste riflessioni sono poi seguite quelledi Mons. Piergiorgio Micchiardi, vescovodella Diocesi di Acqui Terme, che ha par-

lato dell’opera di Don Luigi Mazzarellocome un contributo per un’Italia miglioree osservato che quella giornata si svol-geva a cinquant’anni dal Concilio, rile-vando l’importanza del dialogo e delconfronto tra le nazioni. «Le grandi tra-sformazioni», ha aggiunto Mons. Mic-chiardi, «sono avvenute dal concorrere ditanti piccoli gesti; l’incontro e la solida-rietà fraterna fanno parte del disegnoprovvidenziale di Dio», concludendo conuna preghiera e con la benedizione delleinsegne stradali destinate alla via di Mor-nese intitolata al suo figlio “Giusto tra lenazioni”. Particolarmente emozionante èstato infine il momento dell’esecuzionedell’inno nazionale di Israele e di quelloitaliano: per l’Inno di Mameli si è assi-stito alla sorprendente interpretazione deiragazzi delle nostre scuole -lo hannocantato bene, con un impegno spontaneoe un entusiasmo indimenticabile-, cosìcome mi rende orgoglioso, da mornesino,pensare che il nome di Don Luigi Maz-zarello resterà inciso per sempre sulla“Stele dei Giusti” posta nel giardino dello“Yad Vashem” a Gerusalemme.

*Sindaco di Mornese

A lato, un’immagine della cerimonia diconferimento del titolo di “Giusto trale nazioni” a Don Luigi Mazzarello

in basso, L’insegna stradale e il primotratto di Via Don Luigi Mazzarello allaFrazione Mazzarelli di Mornese

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V.R.TACCHINO – C. CAIRELLO, Ca-stelletto d’Orba – Pagine sparsedi storia locale, Ed. IBIS, Como –Pavia, 2013.

A maggio del 2013 è stata completatala pubblicazione di questa pregevole operadedicata a Castelletto d’Orba, località notaper la presenza delle acque curative delleFonti Feja e Mulino (Valle Albedosa), delLavagello (Valle dell’Albara) e di S.Rocco(Valle Albarola) – per citare le più cono-sciute – che, nei primi decenni del Nove-cento, la imposero come località divilleggiatura, in special modo tra i geno-vesi, e originarono un’attività alberghieradi una certa rilevanza.

Purtroppo l’opera esce postuma poichéi due Autori, Valerio Rinaldo Tacchino eCarlo Cairello, sono entrambi deceduti daalcuni anni lasciandoci a loro memoria que-sto volume, pubblicato a cura del Comunedi Castelletto d’Orba e della Biblioteca Ci-vica, frutto di appassionate ricerche stori-che in alcuni casi pubblicate su rivisteculturali come “Novinostra” e “URBS”.

Valerio Rinaldo Tacchino era nato a Ca-stelletto d’Orba il 16 giugno 1949 ed avevafrequentato il liceo classico “A. Doria” aNovi Ligure (1963/68). Iscrittosi alla Fa-coltà di Lettere e Filosofia dell’Universitàdi Pavia si era laureato nel 1973 con unatesi in filologia romanza. Contestualmenteall’insegnamento in diversi istituti superioridi Pavia, curava studi e ricerche in filolo-gia romanza e di storia locale con partico-lare riguardo alla zona di Castellettod’Orba. Notevoli le sue poesie raccoltenelle edizioni Ibis: Il viaggio nella notte e Iltroppo bello a volte può fare male. Pur-troppo morì in Pavia l’8 giugno 2007.

Carlo Cairello, impiegato del Comunedi Castelletto d’Orba e per lunghi anni ap-prezato amministratore dell’Asilo Infantilelocale, cui si dedicava volontariamente colsuo consueto ed ammirevole spirito di ser-vizio verso la comunità, morì il 12 ottobre2010. Diede anche un generoso contributoalle fortune della rivista culturale “URBS”alla quale collaborò con grande passionedalla nascita di questa esperienza editorialesino agli ultimi giorni della sua esistenza.

Sebbene questo volume rispecchi, soloin minima parte, l’attività di ricerca storicalocale profusa dai due Autori, tuttavia lascelta degli “studi”, di cui se ne citano al-cuni, è stata particolarmente felice:

- Appunti per una Guida storico-turi-stica di Castelletto d’Orba.

- I toponimi di Castelletto Val d’Orbanelle carte settecentesche.

- Appunti sugli Statuti medievali di Ca-stelletto d’Orba.

- Vigilanza campestre, uso e controllodel Bosco del Gazzolo a Castelletto d’Orbaall’inizio del secolo XVII.

- La “taglia d’agosto” e la “taglia di Na-tale”. Meccanismo e procedure del prelievofiscale a Castelletto d’Orba (1604 – 1605).

- 1653: Castelletto d’Orba e Zuccarellooggetto di contesa tra due ex cognati.

- La Cappellania dell’Immacolata Con-cezione nella parrocchia di S.Antonio a Ca-stelletto d’Orba.

- Un insediamento rurale castellettese:la località “Bozzolina”.

- I Veterani delle guerre del Risorgi-mento a Castelletto d’Orba. L’assegno vi-talizio ai superstiti delle guerre perl’indipendenza d’Italia.

- Poema del giorno piovoso.

(Pier Giorgio Fassino)

CAMILLA SALVAGO RAGGI Fuoconemico, Genova, Il canneto, 2013,MAURIZIO SENTIERI, Cibo e ambro-sia, Bari, Dedalo, 2013.

Con la sua penna agile e puntuale laSalvago Raggi, attenta per anni al passatofamiliare e fedele al filtro del romanzo sto-rico si separa col suo ultimo lavoro Fuoconemico dagli ultimi volumi ispirati dal-l’oggi, o da memorie vicine, vissute: Buioin sala, L’ora blu, Prima o poi.

Il nuovo lavoro beneficia dell’arguzia edello stile consueti dell’autrice per ogni...confessione garbata di disimpegno dome-stico - culinario; essa contrabbanda... pe-pate memorie, piatti, casi, luoghi, cucine,commensali...fino al savoir faire suggeritoo praticato: sempre con spirito, terminolo-gia adeguata.

La perizia e la grazia con cui Camilla sidichiara negata ai fornelli non rinunziano

alle memorie che... la cucina offre.L’aiuto e il sollievo a massaie e cuochi

abbandona presto le memorie d’infanzia ele immagini tradizionali per far posto al fri-zer, al frullatore, al lavastoviglie che gio-vano alla pigrizia di Camilla in cucina (coicibi precotti o surgelati, che risolvono purela breve... pausa-pranzo dei lavoratori...

Sono loro a segnare la distanza da for-nitori, serventi, cuochi, per tacere delle“scelte” che portavano in casa i manuali digastronomia (l’Artusi popolarissimo), de-bitori alla gastronomia e alla bibliografiad’Oltralpe coll’Escoffier, la Tokles, perfinoBrillant Savarin con la famosa Phypologiedu gôut.

La nostra Camilla stringe in un solomotto (“a me patate fritte e Keschupt”) ilproprio appetito, desiderio di pigra, moti-vando con una marcata incapacità ai for-nelli, ove non sa sbrigarsela fra l’uovosodo, all’ostrica o all’occhio di bue. É il suogarbato approccio alle memorie nei pranzi,delle sale, delle cucine di Campale e di Ti-glieto, allorché s’impartivano ai più piccolelezioni di comportamento o, addirittura, iragazzi amavano introdursi in cucina...

Il volume, a guardar bene, non tradiscestile, costume, interessi della SalvagoRaggi: costituisce un’ardita. ed arguta in-cursione in cucina, che avvicina i gusti delrito (cucina toscana... u, abissale diffe-renza!), all’immensità delle sale, alla. casad’allora e di oggi. Ma a me sembra un. Ri-torno critico, audace, riflessivo per ovviarea quell’uncinetto e cruciverba cui si dicevalegata la prigioniera... Con quello stile, quelfine, accostare usi, persone, cose ha mi-gliori occasioni; e doni per noi...

Fin qui il volume arguto e stuzzicante.Ma sul tavolo d’un vecchio professore leprove, i tentativi degli ex-alunni non man-cano mai. E oggi “Cibo e ambrosia” diMaurizio Sentieri (appena godute le paginedella Salvago) chiede passo per un volumeche “tra caso, necessità e cultura” si ci-menta con una storia della alimentazione,che mai, sui banchi di scuola, gli avevo pro-posto!

Che può dire del solido volume il do-cente d’un tempo? Lodarne la struttura sen-z’altro. Apre il testo il povero vocabolariodell’alimentazione antica e contadina(pane, olio, vino) per aggrapparsi poi allegrandi ore storico - commerciali, ai pas-saggi di popolo che fra vitto plebeo e raricibi ricercati segnano differenze sociali benindagate, come la preoccupazione di co-gliere sempre i “fondamen- tali”, fra cam-pagna, pastorizia, cucina.

La storia (specie per le guerre di con-quista e le migrazioni di popoli) e la geo-

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grafia che le motiva e le condiziona sonchiamate in causa, segnano lunghe stasi,accelerazioni, bruschi stop, con difficoltàdi mutamenti e progresso alimentare.

Si pensi alla pagina... sul formaggio,che con la qualità e la misura delle erbe di-sponibili) “pur appartenendo ad una cate-goria di alimenti che consentivano un usoesteso, durante l’anno mostrava un, ruolodi dipendenza dalla cultura dotta”.

Da un periodo come questo è chiaro chelo schema storico assunto per il lavoro co-stringe a introdurre (o ad omettere) richiamie documentazioni esem- plari, voci di por-tata continentale o mondiale. E la ricercavien condotta con attenzione e spettro geo- alimentare assai ampio. Ma merita qui chenon si ripetano le scelte e le motivazioni piùfamose: che la scoperta dell’America portòzucchero di canna, pomodori, quantità inu-sitata: mi piace dar posto alle solanacee, siaperché cibo di popolo, sia per il sovvenirdel ricorso prediletto della Salvago Raggia quelle... precotte!

Non so se rallegrarmi come vecchio let-tore e letterato per la verve dell’acuta scrit-trice o per l’avere - anni or sono - seminatometodo e linee di ricerca storica da catte-dratico che vede oggi frutti impensatiquanto graditi.

Ho Letto i due libri, li ho goduti. Cheimporta la ragione, il metodo, i lettori? Iltempo li ha congiunti e li premierà: purchénon vi cerchiamo il vero, il bello, gli autori.

Luigi Cattanei

MAVI PENDIBENE, I miei fratellierano marinai, Memorie dell’Acca-demia Urbense, Collana diretta daAlessandro Laguzzi, Nuova serie n.93, Ovada,

L’autrice precisa da subito e avverte illettore che il significato del titolo al centrodell’onda vorticosa di copertina è una me-tafora: e così la sincerità della amabilescrittrice fin dalle prime righe si manifestapiena.

I fratelli marinai, chiamati in causa piùvolte a stimolo della fantasia, si trasfor-mano nel cavallo alato sul quale Mavi salein groppa e attraversa lo spazio letterario diquesto ultimo libro dove le circostanze realidella vita si mescolano con il surreale, checi fa sognare e vivere meglio i nostri giorni.

Ancora una volta la narrazione si irra-dia dalla e verso la “Casa” della narratrice:una cascina quattrocentesca alle falde diCasaleggio, la dove scorre il Boiro, ristrut-turata con gusto e Set vincolante che conti-nuamente ispira.

I lievi acquarelli di Sara Mai, inseritiquasi a segnalibro e a pausa riflessiva tra ivari paragrafi, raffigurano velieri che sol-cano acque a volte minacciose ma chegiungono in rada spinti da brezze leggere.Questa è la sensazione che trasmettono.

Dalla tavolozza invece dei pensieri edelle parole attinge abilmente la nostrascrittrice:“Ci sono notti in cui il silenzio ècosì profondo da sembrare oceano, lo spa-zio vuoto così immenso da non avere appi-gli, la solitudine così profonda da cadercidentro. Sono le notti in cui la favola si av-vera, diventiamo orchi e streghe, fate emaghi, ci muoviamo come animali not-

turni, le orecchie tese al fruscio dei cespu-gli, gli occhi persi nel buio. Camminiamocosì, alla ricerca della terra, della luce di unporto, della bellezza incredibile di questoluogo amato.

E come marinai torniamo sempre indie-tro, legati ad una gomena infinita che sisnoda e si riavvolge, ci lascia e ci riprende.A volte penso a quanto tempo avrò ancoraper vivere qui, sola, svolgendo tutte le man-sioni che una casa come questa esige ognigiorno. Tutto è scomodo: in realtà io nonme ne accorgo, per me è normalità andarea prendere la legna, pulire la stufa, portarevia la cenere, mettere la paglia nel pollaio,riempire d’acqua le ciotole delle galline...

Chi ha letto il libro d’esordio ha attesoe gustato i successivi fino a quest’ultimo ariconferma di un vena sensibile e d uno stileproprio ed inconfondibile. L’Accademia sicongratula con Mavi per i risultati raggiuntie, ad integrazione di queste scarne nota-zioni, desidera aggiungere alcune conside-razioni che ultimamente viaggiano nelWeb:

“Un po’ di sale nell’acqua tiepida”(2006) primo lavoro autobiografico sullasua vita nel paese e sulle sensazioni solita-rie nel vivere all’interno delle antiche muradella casa, con storie poetiche del luogo, tragli inverni freddi, che spesso coprono dineve e di ghiaccio la campagna, e le estatispese nell’attesa della vendemmia.

Poi “Ti sia dolce l’autunno” (2008): iltitolo è dovuto a Mario Rigoni Stern che,nel ringraziare l’autrice per l’invio del pre-cedente volume e nel riferirle la propriapiacevole sorpresa alla lettura di quelle pa-gine, le aveva augurato un dolce autunno.Anche qui troviamo i personaggi e le pic-cole vicende della vita quotidiana tra i collidi Casaleggio Boiro, i boschi, il torrente, laluna, il cielo, le stagioni.Troviamo una de-scrizione del temporale ricca di delicatis-sime osservazioni. Ritroviamo il caneHarpo e il vicino Angelo, ma leggiamoanche del rapporto – intenso eppure rappre-sentato con grande misura – dell’autricecon alcuni suoi numi tutelari, come EmilyDickinson, Virginia Woolf, Jane Austen,Gustave Flaubert.

Ha inoltre pubblicato “Frittelle di melea mezzanotte”(2010) “Complice l’estate”(2011), sempre per i tipi dell’AccademiaUrbense di Ovada. (notizie tratte dahttp://www.tuononews.it).

Paolo Bavazzano.

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