DOCUMENTO TERRITORIALE DI INDIRIZZO SULLA CONCILIAZIONE · 2018-02-08 · coorti più giovani e...
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DOCUMENTO TERRITORIALE DI INDIRIZZO
SULLA CONCILIAZIONE DGR 5969 del 12/12/2016
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INDICE
1. ANALISI DEI BISOGNI ............................................................................................................. 3
1.1 Dati demografici, occupazionali, servizi .......................................................................... 3
1.2 Osservazioni sulle azioni dei Piani 2012-2016 .................................................................. 20
2. LINEE STRATEGICHE .............................................................................................................. 21
2.1 Il ruolo di regia di ATS nella governance della Rete. ................................................... 21
2.2 La progettazione partecipata per valorizzare le proposte e favorire le sinergie .... 21
2.3 L’ampliamento dei soggetti coinvolti e introduzione di nuove tipologie di azioni,
valorizzando le esperienze realizzate. .................................................................................. 22
2.4 Valorizzazione delle differenze territoriali e interscambio di risorse. ........................... 22
2.5 Il coinvolgimento delle imprese, pubbliche, private e del terzo settore, e il ruolo
degli altri attori del sistema conciliazione ............................................................................ 22
3. GLI INDIRIZZI PER IL PIANO DI CONCILIAZIONE ................................................................. 25
3.1 Le priorità di intervento ..................................................................................................... 25
3.2 Le azioni di sistema ............................................................................................................ 27
4 LE RISORSE ............................................................................................................................. 28
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1. ANALISI DEI BISOGNI
1.1 Dati demografici, occupazionali, servizi
1.1.1 Le sfide della demografia allo sviluppo lombardo1
Crisi, vulnerabilità sociale e trasformazioni demografiche
Lo sguardo sul percorso di sviluppo della Lombardia nei prossimi anni non può prescindere
dall’impatto della crisi e dalle implicazioni delle trasformazioni demografiche in corso. La
demografia è da tempo in profondo mutamento sotto molti punti di vista, ponendo sfide
nuove e facendo emergere nuovi rischi.
La recessione stessa ha avuto un impatto rilevante sui comportamenti demografici
agendo come freno nell’autonomia dei giovani, alla formazione di nuove famiglie e al
rinvio delle scelte riproduttive. Il tasso di fecondità totale lombardo era nel 2011 pari a
1,53, secondo le previsioni Istat (base 2011) doveva nel 2015 salire a 1,57 mentre risulta
sceso a 1,47 (comunque sopra la media nazionale).
Il saldo naturale è tornato ad essere negativo dal 2012 (-0,2, tasso per mille) con picco
verso il basso nel 2015 (-1,6). Anche qui si tratta di valori più moderati rispetto alla media
nazionale (grazie a livelli di natalità e sopravvivenza più favorevoli in Lombardia).
La recessione ha peggiorato sensibilmente sul territorio italiano le condizioni di vita delle
famiglie. È cresciuto il numero di coloro che vivono in una famiglia in condizione di
povertà relativa e di “quasi povertà”. L’incidenza della povertà è fortemente legata non
solo allo status occupazionale ma anche alla struttura familiare. Risulta infatti
notevolmente maggiore il rischio di povertà per nuclei con figli minori e con un solo
genitore2.
La crisi non va considerata una parentesi, chiusa la quale tutto è destinato a tornare
come prima. In primo luogo, alcuni effetti della recessione producono ripercussioni nel
medio e lungo periodo. In secondo luogo, le cause della crisi non sono occasionali ma
rinviano alla necessità di ripensare lo stesso modello di sviluppo sociale ed economico.
1 Assolombarda Confindustria Milano Monza e Brianza, Regione Lombardia, Unioncamere
Lombardia, Èupolis Lombardia, Lombardia 4.0 Competenze e lavori per il futuro (2016). 2 Condizioni di vita e reddito (da https://www.istat.it/it/archivio/193650).
Nel 2015 si stima che il 28,7% delle persone residenti in Italia sia a rischio di povertà o esclusione
sociale ovvero, secondo la definizione adottata nell'ambito della Strategia Europa 2020, si trovano
almeno in una delle seguenti condizioni: rischio di povertà, grave deprivazione materiale, bassa
intensità di lavoro.
La quota è sostanzialmente stabile rispetto al 2014 (era al 28,3%) a sintesi di un aumento degli
individui a rischio di povertà (dal 19,4% a 19,9%) e del calo di quelli che vivono in famiglie a bassa
intensità lavorativa (da 12,1% a 11,7%); resta invece invariata stima di chi vive in famiglie
gravemente deprivate (11,5%).
Il Mezzogiorno è ancora l'area più esposta al rischio di povertà o esclusione sociale (46,4%, rispetto
al 45,6% dell'anno precedente) mentre al Nord si registra un calo dal 17,9% al 17,4%.
Le persone che vivono in famiglie con cinque o più componenti sono quelle più a rischio di
povertà o esclusione sociale: passano a 43,7% del 2015 da 40,2% del 2014, ma la quota sale al
48,3% (da 39,4%) se si tratta di coppie con tre o più figli e raggiunge il 51,2% (da 42,8%) nelle
famiglie con tre o più minori.
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Molte protezioni e garanzie del passato non possono più essere considerate scontate e
vanno trovati nuovi modi di declinare welfare e crescita coniugando innovazione e
inclusione sociale. Particolare attenzione andrà dedicata al rischio di aumento delle
diseguaglianze a cui si dovrà dare risposta attraverso un modello di welfare non solo
assistenzialista, ma soprattutto responsabilizzante, attivante e abilitante.
Oltre agli effetti della globalizzazione e della innovazione tecnologica, un impatto di
grande rilievo stanno producendo e continueranno a produrlo i grandi mutamenti
demografici, quali l’invecchiamento della popolazione, l’immigrazione e le trasformazioni
familiari. Si tratta di mutamenti che interessano in modo particolare il nostro paese e
ancor più la Lombardia. È soprattutto dalla capacità di affrontare le sfide che questi
cambiamenti pongono che si misurerà la nostra capacità di produrre benessere in futuro.
(…). La Regione presenta infatti tra i valori più bassi in Europa di under 25, solo in parte
compensati dai figli degli immigrati.
Se si confronta il profilo per età della popolazione lombarda con quello nazionale si nota
che:
- il picco del baby boom (che corrisponde ai nati attorno alla metà degli anni ’60 e aventi
attualmente circa 55 anni o poco più) risulta maggiore nella Regione rispetto alla media
nazionale;
- viceversa il crollo a partire dalla seconda metà degli anni ’70 appare più repentino e
accentuato;
- la conseguenza è un maggior squilibrio generazionale, in particolare tra gli attuali 45enni
e i 20enni lombardi;
- l’effetto negli ultimi anni delle immigrazioni e del recupero della fecondità ha poi ridotto
lo scompenso nelle età ancora più giovani, tanto che ora il peso della popolazione sotto i
5-10 anni è maggiore nella Regione rispetto al resto del paese.
In termini di rapporto tra generazioni lo squilibrio maggiore (più intenso anche rispetto alla
media italiana) è quindi quello tra chi è attorno alla mezza età e i nuovi ventenni. Nei
prossimi vent’anni tale squilibrio risulterà traslato al rapporto tra over 60 e chi è al centro
della vita produttiva.
Invecchiamento della popolazione attiva
Dagli anni Ottanta ad oggi il peso della popolazione adulta in età lavorativa è andato
crescendo in tutte le fasce d’età. Siamo invece ora entrati in una fase nella quale gli
adulti-giovani sono in contrazione mentre gli adulti-maturi sono una componente sempre
più preponderante.
Le abbondanti coorti degli attuali 45-54enni verranno sostituite nei prossimi 15 anni da
coorti più giovani e più esigue. Gli attuali under 30 non solo hanno subito una riduzione
quantitativa (come conseguenza della persistente denatalità), hanno altresì visto
crescere il numero di Neet (giovani che non studiano e non lavorano) e di Expat (giovani
qualificati che decidono di andare all’estero, spesso in modo definitivo).
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Corrispondentemente la popolazione attiva matura crescerà in modo consistente, ma
subirà anche rilevanti cambiamenti qualitativi. In particolare si ridurrà notevolmente il
numero di cinquantenni e sessantenni con titolo di studio basso e crescerà sensibilmente il
numero di coloro che hanno almeno un diploma. Questo, a parità di altri fattori, tenderà
ad aumentare l’occupabilità in età 55-64 (e oltre), fortemente legata ai livelli di istruzione.
Attualmente in Lombardia e nelle altre regioni del Nord, il tasso di occupazione in tale
classe di età è attorno al 30% per chi ha licenza media e arriva su valori doppi tra i
laureati.
La crescita quantitativa e qualitativa della popolazione “tardo adulta” e “giovane
anziana”, se accompagnata da opportune politiche, può quindi essere vista come una
sfida positiva. In ogni caso dalla valorizzazione di tali componenti si gioca gran parte della
possibilità di crescita economica e di benessere sociale dei prossimi decenni.
Andrà potenziata, da un lato, la valorizzazione delle nuove generazioni facendo
diventare le loro competenze e la loro carica innovativa una leva per un salto di qualità
del sistema produttivo, ma andrà anche, d’altro lato, migliorata notevolmente la
produttività nelle aziende dei lavoratori maturi attraverso misure efficaci di Age
management.
Grandi anziani
Gli over 80 erano circa 50 mila in Lombardia nel 1950 (1% della popolazione) sono ora
oltre 600 mila (6%) e sono destinati ad arrivare a 1,5 milioni circa nel 2050 (13% della
popolazione). Due over 80 su tre attualmente residenti in Lombardia sono donne.
Secondo i dati dell’indagine Multiscopo sulle famiglie, il 55% degli over 80 vive solo (con
un dato nazionale del 46%, dati 2011). Anche le condizioni di salute tendono ad essere
comunque migliori rispetto al dato nazionale.
Il fatto che in Italia la rete di solidarietà familiare sia ancora relativamente solida fa sì che
molto spesso gli anziani vivano in prossimità abitativa con qualcuno dei figli e beneficino
non solo della loro disponibilità a farsene carico ma anche di relazioni affettive intense
con figli e nipoti.
Se da un lato, esiste una maggior offerta di aiuto e sostegno reciproco legati a
caratteristiche culturali, dall’altro però, la carenza di adeguate politiche soprattutto sul
versante dei servizi per l’infanzia e per gli anziani, accentua la domanda di aiuto che
rischia di creare sovraccarico sulle famiglie, soprattutto sulle donne che sono
tradizionalmente le principali care givers del welfare informale.
La crescita degli anziani non autosufficienti rischia di diventare un freno soprattutto per
l‘occupazione femminile e creare tensioni all’interno delle famiglie se non si investe su
servizi adeguati, anche innovativi, che consentano di bilanciare solidarietà
intergenerazionale e impegno lavorativo.
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Trasformazioni familiari
Le trasformazioni familiari fanno parte di un cambiamento profondo che interessa tutto il
mondo sviluppato, ma con impatto più ridotto nel nostro paese, almeno fino agli anni
Novanta del secolo scorso. Negli ultimi due decenni si è però assistito ad una
accelerazione che ha investito con tempi più anticipati e modalità più accentuate la
Lombardia che il resto del Paese.
Le convivenze sono aumentate notevolmente e con esse anche le nascite fuori dal
matrimonio. I motivi alla base sono vari. La scelta di convivere tra le nuove generazioni,
oltre che da fattori culturali, è favorita anche da un aumento del senso di insicurezza, non
solo nei riguardi della relazione con il partner ma anche rispetto alla condizione
lavorativa.
Altra accelerazione di rilievo negli ultimi decenni è quella legata all’instabilità coniugale. Il
tasso di divorzialità è aumentato in tutto il territorio nazionale ma tocca in Lombardia
valori sensibilmente più elevati rispetto al dato italiano, pur rimanendo ancora sotto i livelli
di altri paesi europei. Va sottolineato che negli anni di crisi economica tale crescita si è
fermata, soprattutto come conseguenza della difficoltà ad affrontare i costi dello
scioglimento formale.
L’aumento dell’instabilità coniugale è il principale fattore di crescita dei nuclei con un
solo genitore e delle famiglie ricostituite.
L’incidenza delle famiglie monogenitore ha superato il 12 per cento sul totale dei nuclei;
in gran parte sono formate da una madre sola con figli (80 per cento circa dei casi), ma
in crescita sono anche i padri soli con figli.
Le famiglie monogenitore tendono ad essere più vulnerabili. Madri o padri soli con figli
minori si possono trovare maggiormente in difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia, nel
gestire tempi e garantire adeguate entrate. Il tasso di povertà e la persistenza in
condizione di deprivazione risultano in generale, come vari studi mostrano, fortemente
legati alla tipologia familiare: sono più elevati dove meno presenti sono i genitori e più
numerosi sono i figli minori.
Anche l’immigrazione produce un impatto di grande rilievo sulle strutture familiari. A
crescere, più che nella popolazione autoctona, sono le famiglie senza nucleo e le coppie
con figli. Ma rilevante è anche l’aumento di altre tipologie. Oltre all’aumento più scontato
di coppie miste, in crescita tra le famiglie con membri stranieri sono anche le convivenze,
le coppie spezzate, i nuclei monogenitore.
L’attenzione alla vulnerabilità specifica di alcune strutture familiari è ancora più
importante se si considera il sensibile inasprirsi negli ultimi anni delle famiglie in condizione
di deprivazione (“Indicatore sintetico di deprivazione”, Istat, Noi Italia 2015) salite in
Lombardia da meno del 10% nel primo decennio del XXI secolo a oltre il 15% degli ultimi
anni, dato di poco superiore anche alla media della macroregione Nord-ovest.
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Il ruolo delle politiche pubbliche
Le conseguenze della crisi e le trasformazioni demografiche in atto invitano ad una nuova
attenzione da parte delle politiche pubbliche:
• Dopo la crisi le condizioni delle famiglie non torneranno, sotto molti aspetti, come prima.
Bisognerà guardare con attenzione l’area grigia della “quasi povertà” e tener conto della
maggiore incertezza del reddito soprattutto per i giovani e le giovani famiglie per le
implicazioni che può produrre anche nelle scelte di vita (autonomia, scelta di avere figli,
ecc.).
• Le politiche pubbliche devono interagire positivamente con alcune risposte che la crisi
ha stimolato ma che sono destinate a rimanere e a consolidarsi ben oltre la crisi. Lo
sviluppo del welfare comunitario, la sensibilità verso il benessere relazionale, l’economica
sociale, la propensione alla condivisione, la riscoperta dei rapporti di vicinato, devono
trovare il modo di essere declinati efficacemente con i valori del modello sociale e di
sviluppo lombardo entrando in sinergia con l’azione pubblica.
• Le politiche per essere efficaci dovranno, più che preordinare soluzioni rigide, favorire
soluzioni adattive positive per i singoli e la collettività. La realtà sociale è sempre più
complessa e sempre meno preordinabile. Le esigenze sono sempre più diversificate. Le
implicazioni delle scelte individuali sono sempre meno prevedibili. Questo richiede la
possibilità di operare con un certo grado di flessibilità e poter mettere in atto misure di
aggiustamento progressivo sulla base degli esiti della valutazione d’impatto.
In sintesi
Lo scenario dei prossimi anni non può essere letto prescindendo dalla crisi ‐ che ha avuto
implicazioni irreversibili e bloccato i percorsi di vita soprattutto delle giovani generazioni –
e dalle tre grandi trasformazioni in corso: Invecchiamento, Immigrazione, Innovazione
tecnologica (le tre I).
Al centro di una analisi sul possibile sviluppo dei prossimi anni vanno messi i giovani (nuovi
entranti), le persone mature e le donne.
L’invecchiamento: è un trend che interessa tutto il mondo, ma soprattutto Europa e Italia
e in Lombardia assume contorni particolari, per i maggiori squilibri tra il peso crescente
degli over 45enni e una coorte di ventenni sempre più ridotta. Due sono quindi le
questioni da affrontare: da un lato la necessità di un invecchiamento attivo («age
management», che ancora le aziende sottovalutano), dall’altra l’esigenza di evitare che i
(pochi) giovani cadano nella condizione di Neet e ci restino a lungo, perché questo
rende sempre più difficile il loro inserimento nel mercato del lavoro.
L’altro punto di attenzione sono le donne. Sono la parte di capitale umano più formata e
anche quella con le maggiori potenzialità di crescita occupazionale. Per questo
particolare attenzione va prestata alla conciliazione famiglia‐lavoro in un contesto sociale
di cambiamento con la comparsa delle «nuove famiglie», siano esse madri/padri soli, o
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famiglie numerose con entrambi i genitori lavoranti3. Anche per questo il welfare offre
nuovi percorsi e nuove opportunità.
Da un punto di vista delle politiche è necessario sostenere un rinforzo virtuoso tra qualità
della domanda e dell’offerta, attraverso una doppia “i”: investimento e intraprendenza.
Da un lato è, infatti, necessario che il pubblico (attraverso investimenti adeguati in
formazione, sostegno all’autonomia, servizi per l’impiego, ricerca e sviluppo) metta le
nuove generazioni nella condizione di dare il meglio delle proprie potenzialità. Dall’altro è
necessario incentivare i giovani ad essere intraprendenti per trovare e cogliere al meglio
le opportunità disponibile e creandone di nuove, cogliendo così la sfida di diventare
protagonisti dei processi più avanzati di crescita del proprio territorio. L’alternativa,
altrimenti, è quella di rassegnarsi o andarsene altrove. Rischio ancora più grande in un
territorio in deficit di giovani.
1.1.2 Dati demografici di ATS Città Metropolitana4
Il territorio di ATS Città Metropolitana comprende i territori di competenza di 4 Aziende
Sanitarie Locali che sono confluite, a partire dal 01/01/2016, nell’Agenzia con l’entrata in
vigore della LR 23/2015: si tratta dell’ASL Milano, ASL Milano 1, ASL Milano 2 e ASL Lodi.
3 Famiglie residenti e relativo trend dal (Anno 2015), numero di componenti medi della famiglia e relativo
trend dal (Anno 2015), (www.urbistat.it)
Stato Civile (n.) %
Celibi 744.970 23,22
Nubili 654.057 20,39
Coniugati 731.007 22,78
Coniugate 748.687 23,33
Divorziati 38.793 1,21
Divorziate 63.538 1,98
Vedovi 37.488 1,17
Vedove 189.969 5,92
Tot. Residenti 3.208.509 100,00
TREND N° COMPONENTI DELLA FAMIGLIA. CLASSIFICHE:
è al 105° posto su 110 province per numero di componenti medi della famiglia
è al 15° posto su 110 province per % di Celibi/Nubili
è al 22° posto su 110 province per % di Divorziati/e
è al 82° posto su 110 province per % di Vedovi/e
4 ATS Milano Città Metropolitana, Approvazione della nuova proposta di piano di organizzazione
aziendale strategico dell’ATS della Città Metropolitana di Milano (2016).
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L’ATS della Città Metropolitana di Milano è composta da 195 comuni e organizzata in 9
ASST. Il confronto dei principali indici demografici tra distretti, rispetto alla Lombardia e
all’Italia mostra una sostanziale omogeneità. Le piramidi d’età illustrate di seguito sono la
rappresentanza grafica della composizione per classi di età dei due generi nella
popolazione. La piramide relativa alla ATS è sostanzialmente sovrapponibile a quella della
popolazione lombarda, considerando che la popolazione della ATS rappresenta il 34%
della popolazione della Lombardia.
Tabella 1 Piramidi di età
Fonte: Piano di organizzazione aziendale strategico 2016 – 2018 ATS Città Metropolitana di Milano
Al fine di permettere il confronto dell’andamento dei principali indici demografici con il
resto della Lombardia e con l’Italia viene utilizzata l’ultima popolazione di riferimento
pubblicata dall’ISTAT. La popolazione definita da ISTAT rappresenta la popolazione
residente al 1° gennaio 2016, ottenuta attraverso le anagrafiche comunali, e stimata
come bilancio medio a livello annuale considerando i nuovi ingressi – per immigrazione e
nascita – e le uscite – per emigrazione e decesso. Questa differisce numericamente dalla
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popolazione degli assistiti che non è una popolazione media, ma bensì l’immagine
istantanea della popolazione attiva.
Gli indicatori demografici riportati nella tabella successiva si riferiscono alla popolazione
ISTAT al fine anche di facilitare possibili confronti nazionali ma riportano, anche, la
popolazione dei cittadini residenti assistita al 1° gennaio 2016 al fine di permettere il
confronto.
Le ripartizioni del territorio ATS è fatta considerando i territori delle ASST con l’eccezione
della città di Milano che è stata considerata nella sua interezza.
Fonte: Piano di organizzazione aziendale strategico 2016 – 2018 ATS Città Metropolitana di Milano
L’indice di vecchiaia, che rappresenta il grado di invecchiamento di una popolazione
definito come il rapporto tra il numero degli ultrasessantacinquenni ed il numero dei
giovani fino a 14 anni, mostra una notevole eterogeneità con ASST che evidenziano valori
fino a 180 anziani ogni 100 giovani. Anche l’indice di dipendenza strutturale, che
rappresenta il carico sociale ed economico della popolazione non attiva (0-14 anni e 65
anni ed oltre) su quella attiva (15-64 anni) e l’indice di ricambio della popolazione attiva,
che rappresenta il rapporto percentuale tra la fascia di popolazione che sta per andare
in pensione (55-64 anni) e quella che sta per entrare nel mondo del lavoro (15-24 anni),
mostrano una eterogeneità spaziale a livello delle varie ASST.
L’indice di dipendenza degli anziani, che rappresenta il numero di individui non autonomi
per ragioni demografiche (età>=65) ogni 100 individui potenzialmente indipendenti (età
15-64), essendo fortemente dipendente dalla composizione demografica, mostra una
variabilità analoga a quella degli indici sopra riportati che sostanzialmente dipendono
dalla rilevanza delle classi di età degli anziani della popolazione analizzata.
Gli indicatori demografici relativi al carico di figli per donna feconda (rapporto tra il
numero dei bambini fino a 4 anni ed il numero di donna in età feconda (15-49 anni) che
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stima il carico dei figli in età prescolare per le mamme lavoratrici) e l’indice di natalità
(che rappresenta il numero medio di nascite in un anno ogni mille abitanti) mostrano una
variabilità più contenuta.
Infine l’indice di mortalità – che rappresenta il numero medio di decessi in un anno ogni
mille abitanti – evidenzia una sostanziale stabilità, fatta eccezione per il distretto di
Melegnano, che evidenzia d’altro canto, una popolazione residente più giovane e con
indici di natalità maggiori, quindi con bilancio demografico attivo.
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1.1.3 La rete di offerta socio sanitaria area anziani
Viene di seguito riportato il dettaglio dell’offerta relativa all’”area anziani” all’interno della
rete delle Unità d’Offerta Sociosanitarie.
Tabella 3 Unità di Offerta Sociosanitarie – Area Anziani
Fonte: Piano di organizzazione aziendale strategico 2016 – 2018 ATS Città Metropolitana di Milano
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1.1.4 La rete di offerta sociale
Viene di seguito riportato il dettaglio dell’offerta sociale all’interno della rete delle Unità
d’Offerta Sociosanitarie.
Tabella 4 Unità di Offerta Sociali.
Fonte: Piano di organizzazione aziendale strategico 2016 – 2018 ATS Città Metropolitana di Milano
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1.1.5 I dati del sistema produttivo
Le seguenti figure presentano le peculiarità del sistema produttivo di ATS Città
Metropolitana di Milano.
Il totale degli occupati nel territorio della ATS è 1.500.000 e costituisce il 35% della
popolazione lavorativa di tutta la Regione Lombardia (4.255.800). Di questi il 45% è
composto da lavoratrici.
Figura 1: Il territorio di ATS Città Metropolitana di Milano.
Fonte: Lombardia 4.0 Competenze e lavori per il futuro
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Agricoltura Industria Servizi Totale
Dipend
enti
Indipend
enti
Tota
le
Dipend
enti
Indipend
enti
Total
e
Dipend
enti
Indipend
enti
Totale Dipend
enti
Indipend
enti
Totale
Varese 0,0 3,9 3,9 118,9 23,2 142,1 174,6 48,5 223,1 293,5 75,6 369,1
Como 0,9 1,7 2,6 85,5 17,5 103,0 114,7 32,3 146,9 201,1 51,5 252,5
Sondrio 1,1 2,7 3,8 23,4 4,0 27,4 34,6 12,0 46,6 59,1 18,7 77,8
Milano 1,9 3,7 5,7 261,0 53,0 314,0 843,5 237,2 1.080,
7
1.106,5 293,9 1.400,
4
Bergam
o
1,3 5,9 7,3 165,7 29,9 195,6 194,8 59,7 254,5 361,9 95,5 457,4
Brescia 7,5 13,2 20,7 179,7 26,0 205,6 213,4 77,8 291,3 400,6 117,0 517,6
Pavia 3,1 8,1 11,2 54,2 10,2 64,4 122,9 35,3 158,2 180,2 53,6 233,8
Cremo
na
3,5 3,3 6,8 46,0 7,9 53,9 71,7 20,5 92,3 121,3 31,7 153,0
Mantov
a
3,4 9,0 12,4 52,1 10,7 62,8 73,2 25,7 98,9 128,7 45,4 174,1
Lecco 0,8 0,6 1,4 48,7 9,4 58,0 64,3 23,4 87,7 113,7 33,4 147,1
Lodi 1,0 1,7 2,7 24,0 3,6 27,6 55,6 13,7 69,3 80,7 18,9 99,6
Monza
e
Brianza
0,0 1,1 1,1 100,2 22,6 122,8 186,1 63,5 249,6 286,3 87,2 373,5
Lombar
dia
24,6 54,9 79,5 1.159,5 217,8 1.377
,3
2.149,5 649,4 2.799,
0
3.333,6 922,2 4.255,
8
Italia 428,5 414,3 842,
8
4.836,9 1.138,7 5.975
,6
11.722,2 3.924,0 15.64
6,3
16.987,6 5.477,1 22.46
4,8
Figura 2: Occupati per settore di attività economica e posizione. Media annua. Italia, Lombardia e province
lombarde. Anno 2015 Unità di misura: media x 1.000. Fonte: Istat, Rilevazione sulle Forze di Lavoro
Occupati (> 15 anni) Tasso di occupazione 15-
64 anni
Maschi Femmine Totale Maschi Femmine Totale
Varese 209 160 369 71,2 56,2 63,7
Como 146 107 253 74,0 55,3 64,7
Sondrio 46 32 78 76,3 53,5 65,0
Milano 769 631 1.400 73,6 61,2 67,4
Bergamo 266 192 457 71,4 53,7 62,7
Brescia 306 211 518 72,2 51,9 62,2
Pavia 131 103 234 72,1 58,9 65,6
Cremona 88 65 153 73,1 56,8 65,1
Mantova 102 72 174 73,5 54,6 64,2
Lecco 86 61 147 76,0 56,1 66,2
Lodi 57 42 100 73,9 56,9 65,6
Monza e Brianza 212 162 373 73,5 58,1 65,8
Lombardia 2.418 1.837 4.256 73,0 57,2 65,1
Italia 13.085 9.380 22.465 65,5 47,2 56,3
Figura 3: Occupati in complesso e tasso di occupazione per classe di età e sesso. Media annua. Italia,
Lombardia e province lombarde. Anno 2015
Femmine e maschi. Unità di misura: media x 1.000. Fonte: Istat, Indagine sulle Forze di Lavoro
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Le imprese femminili
Le imprese femminili5 in Italia a fine 2015 sono oltre 1.153 mila e rappresentano il 22% della
realtà imprenditoriale; in Lombardia il loro numero supera le 154 mila unità, con una
percentuale che si ferma al 19%. Nel territorio di ATS Città Metropolitana di Milano queste
imprese sono il 35% del totale sul territorio lombardo.
Nell’ultimo anno si osserva un’inversione di tendenza rispetto agli anni precedenti: le
imprese femminili mostrano segnali di ripresa. In Lombardia si rileva un aumento dello
0,98% (+1.491 unità) e in Italia dello 0,44% (+5.110).
Dal punto di vista settoriale le imprese femminili risultano particolarmente diffuse nel
settore del Commercio (28%), che nell’ultimo anno ha perso 7 posizioni, negli Altri servizi
(20%) che hanno guadagnato 5 posizioni in più e nei Servizi alle imprese (+13).
Figura 4: Imprese femminili per provincia – anno 2015. Fonte: Stockview – Infocamere, elaborazioni Ufficio Studi
Camera di Commercio di Lodi
L’occupazione femminile
Secondo i dati dell’Eurostat del 2015, quasi 65 donne residenti a Milano su 100 sono
occupate (64,9%): valori ancora distanti 5 punti percentuali dal tasso d’occupazione
femminile della Germania (69,9%), di soli 3 da quello del Regno Unito (68%), ma superiori a
quelli della Francia (60,6%), della media europea (60,4%), della Spagna (52,7%) e
ovviamente dell’Italia (47,2%).
5 Secondo la banca dati StockView si definiscono "Imprese Femminili" quelle imprese partecipate
in prevalenza da donne. Il grado di partecipazione femminile è desunto dalla natura giuridica
dell'impresa, dall'eventuale quota di capitale sociale detenuta da ciascun socio donna e dalla
percentuale di donne presenti tra gli amministratori o titolari o soci dell'impresa. Le imprese non
femminili non si possono identificare automaticamente come "imprese maschili" cioè partecipate
in prevalenza da uomini; questo perché sul totale delle imprese giocano un ruolo significativo le
imprese partecipate in prevalenza da soggetti giuridici.
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A Milano quasi tre quarti delle donne sono attive perché lavorano o cercano
un’occupazione (70%), dato molto più in alto di quello medio italiano (54%), ma anche di
quello europeo (68%). Inoltre le donne rispetto al totale degli occupati sono il 48% (come
già ricordato, 45% se consideriamo tutto il territorio dell’ATS Città Metropolitana di
Milano).
È ormai riconosciuto che Milano rappresenta un laboratorio avanzato per tutte le nuove
tendenze ed è così anche per quel che riguarda il lavoro: elevata quota di lavoro
femminile, alti livelli di scolarità e di qualificazione, quota elevata di lavoratori stranieri
regolari. Per tali ragioni non sorprende la sua posizione di avanguardia anche nel
processo di de-standardizzazione del lavoro, come vediamo sia dall’incidenza delle
collaborazioni, sia anche dalla quota elevata di lavoro part-time, tendenza che ci allinea
ai Paesi più avanzati del nostro in termini di occupazione femminile6.
Occorre ricordare però che l’occupazione femminile si colloca più agevolmente tra le
pieghe di un mercato del lavoro connotato da importanti elementi di precarizzazione,
anche se è significativo il mutamento qualitativo dell’occupazione femminile, che, per
quanto fragile, conquista gradualmente porzioni importanti del tessuto occupazionale di
Milano, a cui, tuttavia, non corrisponde la retribuzione adeguata alle diverse condizioni di
lavoro7.
Il rapporto ISTAT “Avere figli in Italia negli anni 2000” individua i fattori che influenzano
l’uscita dal mercato del lavoro delle neo-mamme. Come mostra la figura 5, le donne con
elevato grado di istruzione, residenti al Nord e che hanno la possibilità di affidare i figli ai
nonni sono le più propense a non lasciare il posto di lavoro mentre – come del resto
prevedibile - il tipo di contratto di lavoro è ciò che incide in maniera più significativa sul
rischio di perdere il lavoro a seguito della gravidanza. Le donne impiegate con contratti a
tempo determinato e di collaborazione sono le più a rischio di rimanere disoccupate.
6 Cicciomessere R., Zanuso L., Ponzellini A. M., Marsala A., A Milano il lavoro è donna. Il mercato del
lavoro milanese in un’ottica di genere, EQuIPE 2020, 2016 (tratto da Percorsi di secondo welfare). 7 CGIL (in collaborazione tra il Dipartimento Mercato del Lavoro – Scuola – Università – Ricerca
Centro donna della Camera del Lavoro Metropolitana), Speciale 8 marzo 2014 Giornata
Internazionale delle donne, 2014.
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Figura 5: I risultati dei due modelli di regressione del Rapporto Istat: i fattori che incidono positivamente e
negativamente sull’eventualità di perdere e lasciare il lavoro. Fonte: Rapporto ISTAT “Avere figli in Italia negli
anni 2000”
Ben il 42,7% delle madri che lavorano ha dichiarato di avere problemi a conciliare gli
impegni familiari con il lavoro. Questa percentuale sale tra le lavoratrici a tempo pieno, in
particolare tra coloro che svolgono lavoro a turni e non beneficiano di strumenti di
flessibilità oraria. Le uniche strategie possibili per le donne italiane sono l’affidarsi ai nonni e
l’iscrizione dei figli all’asilo: la seconda è più utilizzata al Centro-Nord, mentre nel
Mezzogiorno prevalgono soluzioni più “informali” come affidare i figli ai familiari o a baby-
sitter, colf e badanti. Una scelta generalmente dettata – come si evince dalla figura 6 –
dalle rette troppo care (per il 50,2% delle madri) ma anche dalla scarsità dell’offerta sul
territorio. Se al Centro-Nord si tratta di mancanza di posti disponibili, al Sud si riscontra più
spesso l’assenza delle strutture. Se è dunque vero che il nostro Paese presenta una
carenza strutturale di servizi a supporto della genitorialità, l’aspetto economico non è
certo da sottovalutare rispetto alla decisione di lasciare il lavoro per occuparsi dei figli a
tempo pieno8.
8 Mallone G., Maternità e lavoro in Italia: capire il problema per trovare le soluzioni, Percorsi di
secondo welfare, 2015.
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Figura 6: I motivi per cui il bambino non frequenta l’asilo nido. Fonte: Rapporto ISTAT “Avere figli in Italia negli
anni 2000”.
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1.2 Osservazioni sulle azioni dei Piani 2012-2016
L’analisi della realizzazione dei quattro Piani territoriali delle ex ASL confluite in ATS Città
Metropolitana Milano (ATS CMM) ha messo in evidenza alcuni punti di forza e criticità che,
in sintesi, riguardano:
- Il ruolo di governance: lo svolgimento di questo ruolo da parte delle ex ASL e
quindi, con la l.r. 23/2015, di ATS CMM è ritenuto strategico per le funzioni di regia e
raccordo tra le diverse componenti del complesso sistema territoriale e degli
stakeholder della conciliazione;
- Il processo di attuazione: le rigidità di adempimento dei Piani territoriali hanno
rappresentato criticità significative pur avendo consentito la nascita di alleanze
strutturate, che hanno realizzato progetti di conciliazione vita-lavoro
complessivamente di successo;
- Le azioni: le azioni progettuali che possono essere individuate come “buone prassi”
sulla base degli esiti positivi e dell’efficacia in termini di risultati raggiunti sono
riconducibili alle seguenti linee di azione:
o azioni di welfare aziendale ed interaziendale (in aziende private e
pubbliche)
o azioni di flessibilità e di miglioramento organizzativo introdotte da aziende
pubbliche e private in un’ottica di conciliazione
o servizi flessibili e salva tempo a supporto delle famiglie con bisogni di
conciliazione (welfare territoriale o progettazione partecipata community
con forte coinvolgimento di associazioni, famiglie, etc.)
o Iniziative e strumenti funzionali alla diffusione di una cultura della
conciliazione ed alla informazione in merito a risorse opportunità attive o in
corso di attivazione.
Infine a completare questo quadro di analisi si segnalano i risultati di due ricerche9
condotte nell’ambito di due Alleanze del territorio della Città metropolitana perché
offrono elementi di conoscenza sui bisogni e le condizioni per la selezione di buone prassi
e le proposte di nuove azioni progettuali:
- La disponibilità di dipendenti di aziende artigianali a convertire una parte della
propria retribuzione variabile in servizi di welfare aziendale e la preferenza per
forme di rimborso delle spese sostenute dai lavoratori per tutelare anche il loro
potere di acquisto;
- La diffusa implementazione informale di azioni di welfare aziendale nelle imprese
artigiane;
- L’interesse verso forme di smart working e servizi di welfare aziendale da adeguare
attraverso modalità di diretta o indiretta contribuzione economica.
9 Istituto Luigi Gatti, APA Confartigianato, Az. Spec. IPIS; Alleanza CIP.
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2. LINEE STRATEGICHE
2.1 Il ruolo di regia di ATS nella governance della Rete.
ATS svolge un ruolo di regia e raccordo tra le differenti componenti del complesso sistema
territoriale degli stakeholder della conciliazione.
Sostiene lo sviluppo e la riorganizzazione della Rete e della governance al suo interno, con
attenzione all’articolazione in sottogruppi territoriali al fine di salvaguardare la peculiarità
dei diversi territori.
Promuove e monitora il processo di integrazione del Piano Conciliazione con la
programmazione territoriale (Piano dei tempi / Piani di Zona) e con le Reti già attive sul
territorio che intervengono nell’area della conciliazione (WHP, Reti Territoriali Antiviolenza).
Favorisce la sinergia tra le Alleanze e i progetti a garanzia di una programmazione
coerente e organica rispetto alle esigenze del territorio e agli obiettivi, al fine di superare
la frammentazione, la sovrapposizione e monitorando l’efficacia e l’appropriatezza
dell’utilizzo delle risorse.
Garantisce la sinergia ed il coordinamento complessivo per la definizione del Documento
territoriale di indirizzo sulla programmazione in linea con la DGR 5969/2016.
Accompagna e sostiene la realizzazione, il monitoraggio, la valutazione e la
rendicontazione del Piano di Conciliazione.
Sostiene lo sviluppo della nuova Rete di Conciliazione del territorio, favorendo
l’integrazione e la valorizzazione delle precedenti esperienze, per il consolidamento e
l’estensione delle buone pratiche realizzate e per il potenziamento di azioni innovative.
Promuove inoltre la realizzazione di momenti informativi e formativi e predispone un
efficace sistema di comunicazione interna come risorsa per tutti gli attori della Rete.
Favorisce il confronto e la condivisione tra tutti i componenti e gli stakeholder della
Conciliazione al fine di promuovere e sostenere lo sviluppo di nuovi accordi e progetti
adeguati alla nuova articolazione territoriale proponendo la progettazione partecipata e
mettendo a disposizione una consulenza qualificata per la progettazione.
2.2 La progettazione partecipata per valorizzare le proposte e favorire le sinergie
Nel ruolo di regia di ATS Città Metropolitana di Milano assumono particolare valore
strategico le azioni di promozione e sostegno dello sviluppo di nuovi strumenti di
progettazione.
La progettazione partecipata è uno strumento che facilita l’individuazione di azioni
progettuali aderenti ai diversi contesti, a fronte di uno studio sulle organizzazioni aziendali
coinvolte, dei processi produttivi, del benessere aziendale e dei bisogni delle lavoratrici e
dei lavoratori.
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La metodologia della progettazione partecipata, che coinvolge attivamente tutti gli
attori nel processo di progettazione al fine di garantire che le azioni rispondano ai bisogni
di tutti i soggetti delle Alleanze e di promuovere la loro fattibilità, verrà richiesta alle
Alleanze nella predisposizione delle proposte progettuali e nella definizione dei piani
operativi e supportata attraverso l’affiancamento e l’accompagnamento nelle diverse
fasi di progettazione per lo sviluppo dei progetti di conciliazione a supporto delle Alleanze
e delle Imprese.
I progetti costruiti attraverso un “percorso” partecipato dovranno tendere a garantire la
salvaguardia di una visione olistica del contesto di vita e lavoro e promuovere un
approccio migliorativo sia per l’azienda che per i lavoratori, coniugando il benessere e la
produttività in un’ottica di conciliazione vita-lavoro.
2.3 L’ampliamento dei soggetti coinvolti e introduzione di nuove tipologie di azioni,
valorizzando le esperienze realizzate.
In una realtà territoriale, produttiva, di lavoro e servizi, estesa e complessa sia sul piano
quantitativo che qualitativo il Piano di conciliazione si propone l’obiettivo strategico di
ampliare la rappresentatività sia dei soggetti che operano in questa realtà sia della
qualificazione in termini di attività e azioni da realizzare.
In particolare si intende stimolare la partecipazione di Università e di soggetti che
svolgono azioni di ricerca e promozione nell’area del welfare e della Conciliazione al fine
di sostenere la costruzione e lo sviluppo di un sistema di politiche e di azioni innovative
anche sulla base dei dati di ricerca.
Si intende inoltre favorire la realizzazione di azioni “nuove” rispetto a quelle realizzate nei
piani precedenti, in considerazione dell’aumento di competenze e conoscenze rilevabili
nella rete territoriale, degli aggiornamenti normativi (nazionali e regionali) degli ultimi 12
mesi e delle mutate condizioni socio-demografiche, come evidenziato in introduzione.
2.4 Valorizzazione delle differenze territoriali e interscambio di risorse.
Per quanto riguarda la Rete di conciliazione della ATS Milano, una particolare
attenzione deve essere rivolta al rapporto tra Città e Hinterland: aree ad alta intensità
relazionale, complesse e dinamiche, dotate di storia ed identità proprie che richiedono
analisi specifiche e scelte operative innovative coerenti con il nuovo assetto territoriale. Si
intendono valorizzare logiche e azioni nell’ottica della interazione e della reciprocità.
Questa realtà sottende una peculiare domanda di servizi di Welfare e richiede
necessariamente un coordinamento alle varie realtà ed esperienze territoriali in materia di
Conciliazione.
2.5 Il coinvolgimento delle imprese, pubbliche, private e del terzo settore, e il ruolo degli
altri attori del sistema conciliazione
Già molte imprese del territorio hanno introdotto misure di conciliazione a favore dei
propri lavoratori finalizzate al bilanciamento tra vita professionale e vita lavorativa, nella
logica di migliorare la propria organizzazione e il livello di benessere dei propri dipendenti.
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Si ritiene strategico valorizzare il ruolo attivo delle aziende e delle imprese pubbliche e
private per la realizzazione delle politiche e degli interventi di conciliazione all’interno del
proprio contesto lavorativo sostenendo lo sviluppo delle competenze di flessibilità e di
imprenditorialità innovativa, anche nell’ottica di interventi di secondo welfare in
integrazione al primo welfare.
Le misure di conciliazione rappresentano ormai sempre di più uno strumento di
competitività per le imprese, perché sono una vera e propria leva strategica a livello di
gestione delle risorse umane, per migliorare il clima aziendale, ridurre il turnover, attrarre e
trattenere talenti, restituire potere d’acquisto ai dipendenti attraverso l’accesso
agevolato ai servizi.
In particolare:
- Le MPMI costituiscono un target privilegiato delle azioni di conciliazione favorendo
il sostegno alla realizzazione di reti d’imprese con la finalità di diffondere l’utilizzo di
strumenti di conciliazione anche in imprese che singolarmente non potrebbero
attuare azioni e servizi di welfare aziendale in autonomia e favorendo
l’implementazione di prassi semplificate.
- Le grandi aziende possono svolgere una funzione di mentoring (momenti formativi
o consulenziali) in partnership con le reti d’impresa come risorsa orientata a
garantire una visione più ampia e articolata delle azioni di conciliazione in tema di
benessere organizzativo/aziendale, legato al giusto equilibrio tra impegni e bisogni
familiari, attività e tempi dedicati al lavoro e che può essere sviluppato dalle
aziende attraverso un’apposita progettualità rivolta ai propri dipendenti
evidenziando i vantaggi del welfare aziendale (anche fiscali) e mettendo a
disposizione opportunità per lo sviluppo dello smart working.
- Le P.A. e gli Enti Locali svolgono un ruolo di promozione della sperimentazione di
specifici accordi nell’ambito del piano per il coordinamento e l’armonizzazione dei
tempi e degli orari, per lo sviluppo di progetti di conciliazione tra il sistema delle
imprese ed il sistema servizi del territorio. Gli stessi propongono la realizzazione
anche diretta di progetti concordati all’interno delle Alleanze territoriali e attivano
tutte le collaborazioni e connessioni con gli interventi di programmazione zonale, in
particolare per gli Enti Locali nelle politiche temporali (legge 53/2000 e legge
regionale 28/2008) per la loro natura trasversale a più ambiti di intervento
realizzandosi esclusivamente in una logica di partecipazione e di mediazione tra
stakeholder differenti.
- Le Aziende pubbliche e private accreditate del comparto socio-sanitario sono
chiamate ad assumere un ruolo attivo nella co-progettazione di interventi rivolti ai
propri lavoratori;
- Le imprese cooperative, le imprese sociali ed il terzo settore costituiscono un
motore autonomo di valorizzazione e di realizzazione di azioni di Conciliazione
ricoprendo entrambi i ruoli: promotori di azioni per i propri soci/lavoratori e
dipendenti e come promotori/attivatori di servizi alla famiglia .
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- Le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali verso le politiche di welfare
possono diventare un importante strumento di coinvolgimento delle imprese e dei
lavoratori.
La definizione di politiche di welfare attraverso la contrattazione aziendale può
diventare un importante elemento di flessibilità gestionale, soprattutto
coniugandola con la contrattazione di produttività. In tal senso il ruolo giocato
dalle parti sociali, attraverso la contrattazione ai diversi livelli territoriali e nei luoghi
di lavoro, è strategico per rispondere ai bisogni di conciliazione vita lavoro dei
lavoratori e per favorire la connessione tra piani territoriali di conciliazione e welfare
contrattuale.
È quindi determinante agevolare la conoscenza e la diffusione di questi strumenti,
in particolare con riferimento alle piccole e medie imprese anche promuovendo e
realizzando in collaborazione con i soggetti del territorio studi, indagini, ricerche e
momenti seminariali, per favorire lo sviluppo del sistema a rete.
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3. GLI INDIRIZZI PER IL PIANO DI CONCILIAZIONE
Le Alleanze locali di conciliazione
Le Alleanze locali di conciliazione sono partenariati composti da soggetti pubblici e
privati, costituitisi al fine di presentare e sviluppare progetti in tema di conciliazione
famiglia-lavoro sulla base di quanto previsto dalla manifestazione di interesse emanata
da ATS per conto della Rete territoriale, come previsto dalla DGR n. 5969/2016.
Ciascuna Alleanza è rappresentata dal Soggetto capofila di natura pubblica, la
costituzione dell’Alleanza avviene con la sottoscrizione di accordi/contratti che
esplicitano ruoli, modalità di partecipazione ed apporti (in termini tecnici, economici e di
contenuto) all’Alleanza stessa.
La composizione dell’Alleanza:
- è libera, può modificarsi nel tempo qualora ai Soggetti promotori si aggiungano
altri Soggetti Aderenti; in caso di “Alleanza aperta” i Soggetti che sottoscrivono
l’accordo di costituzione dell’Alleanza devono prevedere modalità di adesione
formale alla stessa per nuovi soggetti e comunicare la variazione del partenariato
al Capofila di Rete;
- si auspica sia articolata con la presenza di una pluralità di soggetti sia per la natura
giuridica che per l’ambito di attività svolta;
- è preferenziale sia aperta a nuovi soggetti che non hanno partecipato
all’attuazione del Piano 2014-2016 e alle Alleanze che lo hanno realizzato.
Le Alleanze rispondono all’esigenza di un più stretto rapporto con tutti gli strumenti della
programmazione zonale ed in particolare con i Piani di Zona, che sono parte integrante
della strategia di azione dell’Alleanza stessa.
3.1 Le priorità di intervento
A Valorizzazione, consolidamento e sviluppo delle azioni dei Piani territoriali 2014-2016 con
significativi sviluppi innovativi.
I progetti di consolidamento e sviluppo in continuità con il precedente Piano, dovranno
contenere azioni innovative, indicando secondo quali esiti e risultati raggiunti la proposta
viene articolata.
B Azioni di welfare aziendale realizzate da imprese nell’ambito del programma WHP o
finalizzate all’adesione allo stesso.
Il programma WHP costituisce un significativo strumento per le imprese per la realizzazione
di azioni di conciliazione inserendosi in un contesto di senso e coerenza con le finalità di
promozione del benessere.
Costituisce una priorità del nuovo Piano l’inserimento di azioni progettuali nel Programma
WHP in quanto rappresenta una forte spinta alla infrastrutturazione della conciliazione nel
mondo delle imprese e nella cultura della promozione della salute e del benessere
personale e familiare.
C Sviluppo di azioni di conciliazione nelle aziende del sistema sociosanitario, sia pubbliche
che del privato accreditato, per un impegno più diffuso e di sistema anche nella doppia
conciliazione. Questa indicazione assume una valenza strategica per gli effetti di
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“trascinamento” che la sua diffusione nel sistema dei servizi sociosanitari potrebbe
produrre se adeguatamente sostenuta anche per la rilevante presenza di personale
femminile impegnato in compiti di cura e assistenza sia in ambito lavorativo che familiare.
D L’innovazione costituisce una indicazione di sviluppo prioritario delle azioni da realizzare
con il nuovo Piano nell’ambito delle azioni (indicate anche dalla DGR n. 5969/2016) che
si articolano secondo gli indirizzi del presente Documento:
- Sostegno all’avvio di progetti di auto imprenditorialità femminile promossi da
donne escluse dal mondo del lavoro nell’ambito dei servizi di conciliazione
- Azione di Time Saving in favore di titolari o dipendenti di imprese commerciali e
artigianali con massimo di tre occupati per attività non legate alla gestione
dell’azienda
- Azioni in sinergia con altri reti regionali (ad es. WHP)
- Accompagnamento e supporto, anche attraverso iniziative di formazione, per
micro, piccole e medie imprese e reti di imprese per usufruire del regime di
defiscalizzazione
- Accompagnamento e supporto, anche attraverso iniziative di formazione, per
micro, piccole e medie imprese, reti di imprese e aziende di cura pubbliche o
private per la costruzione di piani di congedo e piani di flessibilità aziendale e per
l’adozione di misure flessibili di lavoro
- Attività di assistenza, servizi di mobilità/trasporto per l’accesso a servizi rivolti a
soggetti fragili e figli minori appartenenti a famiglie di lavoratori/lavoratrici con
esigenze di conciliazione tra impegni lavorativi e carichi di assistenza, purché non
già sostenuti da altri interventi e misure pubbliche
- Accompagnamento e supporto, anche attraverso iniziative di formazione, per
micro, piccole e medie imprese, reti di imprese e aziende di cura pubbliche o
private per lo sviluppo della contrattazione territoriale e accordi di secondo livello
- Adozione di modalità di lavoro flessibile e di spazi di lavoro condivisi- es. coworking,
smart working, telelavoro
- Progetti che riguardano lavoratori autonomi, partite IVA, startupper e dell’auto
impresa.
- Promozione e informazione per la diffusione della cultura della conciliazione vita-
lavoro
- Iniziative per lo sviluppo e la riorganizzazione della rete
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3.2 Le azioni di sistema
Programmi di formazione (con attenzione al tema della doppia conciliazione, per
l’ambito sociosanitario, le imprese commerciali e artigianali e tutti quei settori in cui
sono poco diffuse pratiche di conciliazione e/o in cui il bisogno di conciliazione è
particolarmente rilevante)
Azioni di comunicazione - in linea con le indicazioni regionali in materia - favorendo
iniziative di carattere condiviso (anche tramite i mass media)
Tavoli di lavoro (territoriali e/o su temi trasversali) – sia per accompagnare la
realizzazione delle progettualità delle Alleanze, che per attivare costantemente
nuovi filoni di lavoro, coerenti con le strategie delineate nel presente documento.
Per la realizzazione delle azioni di sistema con valenza strategica e attuazione del
Piano si rende necessario avvalersi di uno strumento tecnico che, per la
complessità del sistema di conciliazione in ATS e l’articolazione dei progetti che
verranno finanziati, assicuri un supporto alla gestione e alle Alleanze.
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Codice fiscale e P.IVA 09320520969
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4 LE RISORSE
Le risorse a disposizione:
Anno DGR 5969 34,35% (indicatore popolazione DGR
5969)
2016 € 850.033,00 € 291.975,00
2017 € 690.033,00 € 237,026,00
2018 € 1.000.000,00 € 343.500,00
Totale € 2.540.066,00 € 872.501,00
Oltre alle risorse indicate nella DGR 5969 sono previsti: Risorse residue dal Piano precedente da definirsi a seguito della rendicontazione
delle azioni del Piano 2014-2016;
Cofinanziamento (minimo del 30% del costo totale) dei soggetti delle Alleanze e
della Rete
Al fine di evitare la dispersione di finanziamenti a progetti limitati e di basso impatto sul
territorio dell’ATS Milano, verranno presi in considerazione progetti richiedenti risorse
comprese tra un tetto minimo di € 70.000,00 e un tetto massimo di € 250.000,00, escluso il
cofinanziamento.
Inoltre le risorse FSE a disposizione per l’anno 2017 ammontano a circa euro 2.500.000,00 e
verranno messe a disposizione di Reti e Alleanze attraverso uno specifico avviso di
Regione Lombardia.
Accanto alle azioni realizzate direttamente attraverso la Manifestazione di Interesse,
verranno inserite nel Piano territoriale di conciliazione azioni a supporto della conciliazione
famiglia-lavoro finanziate nell’ambito del POR FSE, che riguarderanno in particolar modo:
il supporto alla famiglia tramite l’erogazione di voucher per servizi di micronido,
centro prima infanzia, nido famiglia, baby-sitting, baby-parking, ludoteca, altri
servizi per l’infanzia (anche sperimentali ed aggiuntivi alla tradizionale rete dei
servizi legati a particolari esigenze di articolazione e flessibilità);
il sostegno nella gestione dei figli minori e adolescenti nella fase del pre e dopo
scuola;
il supporto nella gestione dei figli minori e adolescenti tramite l’organizzazione di
servizi da usufruire nel periodo di chiusura delle scuole (es: centri estivi, centri
invernali e pasquali);
il supporto alle famiglie di lavoratori/lavoratrici alla finalizzazione di attività sportive,
culturali e ludiche di figli minori e adolescenti.