DOCUMENTO SULLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE e ......responsabilizzazione (Clarke, Winship, Manning,...

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1 1 DOCUMENTO SULLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE e RESIDENZIALI PER IL MINISTERO DELLA SALUTE BOZZA DA DISCUTERE Le Comunità Terapeutiche e Residenziali per adulti - Indicazioni di Buone Prassi e Linee di Indirizzo - Milano luglio 2019 Premessa Questo documento, in linea con lAccordo Conferenza Unificata 17 ottobre 2013 sulle Strutture residenziali e con gli orientamenti e le linee di indirizzo del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017 Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in data 18 marzo), intende essere un contributo e un approfondimento specifico e articolato dell’art.33 Assistenza sociosanitaria semiresidenziale e residenziale alle persone con disturbi mentali, da sottoporre all’attenzione del Ministero. Queste indicazioni sono nate dall’ esperienza e dalla riflessione maturata all’i nterno delle residenze private accreditate e pubbliche; sono quindi applicabili ad entrambe questi ambiti. 1 Specifichiamo anzitutto una definizione di Comunità terapeutica in negativo: LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ SINONIMO DI RESIDENZIALITA’ O DI ABITAZIONE LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON UN’ISTITUZIONE TOTALE LA COMUNITA TERAPEUTICA NON EUN AMBIENTE MEDICALIZZATO DI GRANDI DIMENSIONI (VEDI CLINICHE PRIVATE) LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UN LUOGO SENZA TEMPI E RITMI LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UN DEPOSITO ASSISTENZIALE IN DELEGA DEI SERVIZI LA COMUNIT A’ TERAPEUTICA NON UN PARCHEGGIO IN ATTESA DI…. LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UN SISTEMA ISOLATO DAL CONTESTO TERRITORIALE E DALLA COMUNITA’ LOCALE LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UNO SPAZIO DESITINATO ALLA CRONICIZZAZIONE 1 Mito&Realtà, è un’ associazione costituitasi a partire dal Convegno Internazionale di Milano del 1996, con la partecipazione di esponenti del movimento culturale delle comunità terapeutiche nazionali ed internazionali e che da oltre venti anni ha come oggetto lo studio, la ricerca e la raccolta dati sul funzionamento delle Comunità Terapeutiche e promuove la formazione professionale per chi svolge un’ attività in struttur e a impronta comunitaria che si occupano della cura del disagio psichico grave. www.mitoerealta.org

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DOCUMENTO SULLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE e RESIDENZIALI

PER IL MINISTERO DELLA SALUTE BOZZA DA DISCUTERE

Le Comunità Terapeutiche e Residenziali per adulti - Indicazioni di Buone Prassi e Linee di

Indirizzo - Milano luglio 2019

Premessa Questo documento, in linea con l’Accordo Conferenza Unificata 17 ottobre 2013 sulle Strutture

residenziali e con gli orientamenti e le linee di indirizzo del Decreto del Presidente del Consiglio

dei Ministri del 12 gennaio 2017 Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza

(pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in data 18 marzo), intende essere un

contributo e un approfondimento specifico e articolato dell’art.33 Assistenza sociosanitaria

semiresidenziale e residenziale alle persone con disturbi mentali, da sottoporre all’attenzione del

Ministero. Queste indicazioni sono nate dall’ esperienza e dalla riflessione maturata all’interno delle

residenze private accreditate e pubbliche; sono quindi applicabili ad entrambe questi ambiti.1

Specifichiamo anzitutto una definizione di Comunità terapeutica in negativo:

LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ SINONIMO DI RESIDENZIALITA’ O DI

ABITAZIONE

LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON UN’ISTITUZIONE TOTALE

LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UN AMBIENTE MEDICALIZZATO DI GRANDI

DIMENSIONI (VEDI CLINICHE PRIVATE)

LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UN LUOGO SENZA TEMPI E RITMI

LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UN DEPOSITO ASSISTENZIALE IN DELEGA DEI

SERVIZI

LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON UN PARCHEGGIO IN ATTESA DI….

LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UN SISTEMA ISOLATO DAL CONTESTO

TERRITORIALE E DALLA COMUNITA’ LOCALE

LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UNO SPAZIO DESITINATO ALLA

CRONICIZZAZIONE

1 Mito&Realtà, è un’ associazione costituitasi a partire dal Convegno Internazionale di Milano del 1996, con la

partecipazione di esponenti del movimento culturale delle comunità terapeutiche nazionali ed internazionali e che da

oltre venti anni ha come oggetto lo studio, la ricerca e la raccolta dati sul funzionamento delle Comunità Terapeutiche e

promuove la formazione professionale per chi svolge un’ attività in strutture a impronta comunitaria che si occupano

della cura del disagio psichico grave. www.mitoerealta.org

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Inquadramento storico Il contesto storico in cui si è sviluppato il percorso della Salute Mentale e della Psichiatria è stato

estremamente complesso dagli anni settanta ad oggi, ha visto la transizione da una cultura

“manicomiale” radicata in luoghi di segregazione ai confini per lo più esterni alla vita delle città, ad

una cultura delle Comunità Terapeutiche che promuove la cura, la riabilitazione, il reinserimento

sociale e il tentativo di recupero delle risorse del soggetto finalizzato a una migliore qualità di vita

(Recovery).

La possibilità di prendersi cura di persone affette da disturbi mentali gravi in ambiti e ambienti

alternativi all’ospedale psichiatrico, a seguito dell’approvazione della legge 180, ha sviluppato negli

anni ’80 le Comunità Terapeutiche in collegamento con la rete dei nuovi servizi territoriali, che

hanno fatto riferimento, per quanto riguarda i modelli teorici e operativi, principalmente alle

consolidate esperienze internazionali, anche se il carattere innovativo e anti-istituzionale delle prime

comunità in Italia è stato totalmente autoctono.2

Il metodo di cura della “Comunità Terapeutica” trae le sue origini da quel movimento di

rinnovamento della cultura sociale del dopoguerra, che vede lo sviluppo teorico-clinico della

psicoanalisi di gruppo di Bion, la nascita della gruppoanalisi e delle Comunità Terapeutiche inglesi

con pionieri quali Bion, Foulkes, Main e Jones, il modello psicodinamico francese di Racamier e

Sassolas, le esperienze pilota della Menninger Clinic e dell’Austin Riggs Hospital negli Usa, solo

per citare gli esempi più noti.

I principi fondamentali presenti nelle CT inglesi e rilevati dalla ricerca del sociologo/antropologo

Rapaport negli anni ’50 sono rappresentati da:

comunalismo,

democraticità,

tolleranza

confronto con la realtà.3

A questi principi fondativi attualmente il network di Community of Communities 4in Inghilterra ha

aggiunto altri “core standards”, quali:

attaccamento

contenimento

rispetto

comunicazione

interdipendenza

2 In Italia le due esperienze di Diego Napolitani, precedenti la riforma psichiatrica, avevano aperto la via alla

possibilità di applicazione di una tale modalità di cura, ma avevano anche mostrato i limiti di una strutturazione

rigida che non permettesse modifiche e adattamenti in base all’esperienza. Ciononostante, varie iniziative importanti

sono cominciate a nascere e si sono sviluppate e consolidate nel tempo. 3

Communalism – (sharing of mutual tasks, close interdependency) promotes interaction with others,

responsibility sharing, the abandonment of fixed social roles and attitudes, and the development of new

relationships.

Democratization – (flattened hierarchy, sharing of decision making) allows self-management to emerge and

altruism to flourish as a patient (called a member) is allowed to contribute meaningfully to the treatment of

others.

Permissiveness – (difficult behavior is tolerated) allows for catharsis (ventilation), self-disclosure, and the

assumption of self-responsibility.

Reality confrontation – (presentation of behavior as it is seen by others) promotes self-awareness and the

development of identity and self-concept, and encourages learning through interpersonal feedback.

4 Community of Communities promosso da: The Royal College of Psychiatrists’ Research Unit- London and Association of

Therapeutic Communities, United Kingdom

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relazione

partecipazione

integrazione tra esperienze positive e negative

responsabilizzazione (Clarke, Winship, Manning, 2017)5.

Molti di questi valori sono di fatto assunti nel metodo e nella pratica delle numerose Comunità

Terapeutiche che si sono sviluppate largamente in Italia, soprattutto dopo la definitiva chiusura

degli ospedali psichiatrici, declinando alcuni capisaldi storici in un modello specifico che ben si è

adattato alla nostra realtà (Ferruta, Foresti, Vigorelli, 2012).

Le CT che hanno resistito sino a oggi adattandosi rafforzandosi ed evolvendosi rispetto ai

cambiamenti interni (burnout, dinamiche gruppali distruttive, cambiamenti nei ruoli delle figure

professionali) ed esterni (cambiamenti nel tipo di utenza, modificazioni normative, variazioni nella

formazione e nella motivazione degli operatori) conservando l’obiettivo della cura della malattia

mentale piuttosto che solo l’assistenza, sono proprio quelle che hanno saputo mantenere una

struttura psicodinamica nella loro organizzazione e che hanno lavorato, impiegando a volte

cospicue risorse in termini economici e di tempo, per la “manutenzione” dell'istituzione comunitaria

e per la formazione delle loro équipe.

Fattori terapeutici delle comunità residenziali

1- La Comunità è una risorsa terapeutica globale, che cura con il suo funzionamento psicodinamico

integrato (dimensioni bio-psico-sociali), attraverso un programma individualizzato di interventi

farmacologici, psicologici, psicoterapeutici, riabilitativi e di socializzazione, realizzati da una

équipe multiprofessionale e multidisciplinare, in stretto collegamento con i Servizi Territoriali

invianti del SSN, con i quali la CT instaura un rapporto continuativo di collaborazione,

all'inizio, nel corso e alla conclusione del percorso del residente segnalato dai Servizi

Psichiatrici come indicato per la cura comunitaria.

2- La Comunità offre ai pazienti una dimensione ambientale e temporale definita, con

un’architettura terapeutica e organizzativa specifica, diversa dall’ospedale ma anche

dall’abitazione familiare.

La Comunità costituisce un luogo in cui poter fruire di un clima emotivo e sensoriale che

nutra e sostenga le fragilità soggettive creando gradualmente una sicurezza di base. È un

luogo di incontro e confronto che predispone condizioni affettive favorevoli a esperienze di

“transizione”:

tra soggettività individuale isolata e condivisione con gli altri,

tra significati del mondo interno e stimoli del mondo esterno,

tra vissuti fantasmatici e aspetti organizzativi, tra dinamiche relazionali a livelli diversi.

La CT rappresenta uno spazio nel quale i residenti possono proiettare ed esprimere le loro

emozioni e le loro fantasie in una condizione regolata, ma non rigidamente strutturata, in cui gli

5 ATTACHMENT: Healthy attachment is a developmental requirement for all human beings and should be seen as a

basic human right. CONTAINMENT: A safe and supportive environment is required for an individual to develop, to

grow, or to change. RESPECT: People need to feel respected and valued by others to be healthy. Everybody is

unique, and nobody should be defined or described by their problems alone. COMMUNICATION: All behavior has

meaning and represents communication which deserves understanding. INTERDEPENDENCE: Personal well-being

arises from one's ability to develop relationships which recognize mutual need. RELATIONSHIPS: Understanding

how you relate to others and how others relate to you leads to better intimate, family, social and working

relationships. PARTICIPATION: Ability to influence one's environment and relationships is necessary for personal

well-being. Being involved in decision-making is required for shared participation, responsibility, and ownership.

PROCESS: There is not always a right answer and it is often useful for individuals, groups and larger organizations

to reflect rather than act immediately. BALANCE: positive and negative experiences are necessary for healthy

development of individuals, groups and the community. RESPONSIBILITY: Each individual has responsibility to

the group, and the group in turn has collective responsibility to all individuals in it.

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operatori, al di là dei loro ruoli specifici, si prestano a questa molteplicità di occasioni proiettive

e significanti.

3- La partecipazione all’esperienza della Comunità Terapeutica è caratterizzata dalla possibilità

interna di un percorso evolutivo in cui sviluppare potenzialità realisticamente valutate espresse

in progetti personalizzati; gli obiettivi possono essere anche minimi, purché inseriti in una

capacità di guardare al paziente come una persona che possa esprimere qualcosa di vitale,

attraverso l'evidenziamento di bisogni e risorse, fragilità e punti di forza. Il progetto

terapeutico-riabilitativo conseguente viene formulato in modo personalizzato per ciascun

paziente con scansioni temporali e caratteristiche che ne possano favorire l'espressione

personale.

4- Nel progetto terapeutico individualizzato si evidenzia anche il metodo comunitario, consistente

nel favorire la costruzione della soggettività attraverso un dispositivo gruppale e la cui

declinazione operativa è rappresentata dalla condivisione della vita quotidiana e dai modi nei

quali questa viene organizzata: le cure del corpo e degli spazi comuni, la preparazione del cibo e

i momenti di convivialità, le attività espressive, riabilitative e quelle che predispongono al

sonno, al lavoro, alle amicizie e allo svago: “azioni parlanti” che assumono uno spessore

simbolico se realizzate in modo umanizzato e relazionale.

5- L'esperienza gruppale è il metodo di lavoro fondamentale adottato dai curanti per attivare la

vita psichica dei pazienti e per apprendere dall'esperienza del rapporto con loro, allo scopo di

raggiungere comprensioni efficaci e di formulare progetti nelle diverse e molteplici riunioni (sia

tra gli operatori che con i pazienti).

6- Il percorso comunitario si può articolare attraverso varie tappe utilizzando strutture con

differenti livelli di intensità, di protezione e di attivazione riabilitativa (alta, media, bassa

protezione) tenendo presenti i bisogni di cura, le risorse evolutive e le problematiche

psicosociali del soggetto.

7- L'impostazione organizzativa è basata sulla collaborazione e partecipazione di tutti i membri,

operatori e pazienti, coinvolti in prima persona e sull'importanza centrale delle riunioni del

grande gruppo e dei piccoli gruppi.

8- L’organizzazione della CT deve garantire condizioni di sicurezza per operatori e residenti

attraverso strategie che prevedano e/o sappiano gestire i rischi degli agiti auto ed etero lesivi, le

fughe e gli eventi avversi.

9- La CT è anche uno spazio aperto e connesso con le reti delle comunità locali e con le loro

potenzialità di inclusione sociale e lavorativa; il gruppo dei pazienti e gruppo dei curanti, in

collaborazione con le famiglie e la rete sociale, costituiscono nel loro insieme il dispositivo di

cura, senza privilegiare un aspetto della vita comunitaria nei confronti di un altro.

Specificità degli strumenti terapeutici utilizzati

A) ACCOGLIENZA E FORMULAZIONE DEL CONTRATTO TERAPEUTICO:

DALL’ INSERIMENTO ALLA CONCLUSIONE DEL PERCORSO CONCORDATO

Secondo gli studi internazionali pertinenti (Priebe, Gruyters, 1993; McCabe, Priebe, 2004) e le

esperienze accumulate in innumerevoli anni di percorsi e dimissioni, il presupposto per raggiungere

esiti favorevoli del percorso comunitario è rappresentato dalla costruzione condivisa del progetto

tra paziente, famiglia, Servizio inviante e Gruppo CT e dall’alleanza terapeutica che si conquista

dopo una fase preliminare di conoscenza della realtà comunitaria (luogo, curanti, metodo). Se

qualcuno di questi attori è carente, per assenza e indifferenza, o ostacola l’inserimento, il “compito”

di questo metodo di cura diventa da subito difficile e spesso destinato al fallimento (drop-out).

Quindi l’accoglienza è proprio la prima struttura portante gruppale che possibilmente deve tenere le

fila di tutti gli attori in gioco; un servizio che nelle CT può prendere diversi nomi (accettazione,

accoglienza, primo contatto, inserimenti) ed è basato su un’attenta valutazione multidimensionale e

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di un periodo preliminare di osservazione (in alcuni casi anche partendo da un’alleanza al domicilio

del paziente).

Successivamente, questa fase prosegue con un monitoraggio continuo (con l’uso di più strumenti)

per valutare i progressi o regressi nelle diverse aree sia del funzionamento mentale, che delle reti

relazionali e la qualità della vita dell’ospite e, dove è possibile, un follow up a uno o due anni. Data

la gravità psicopatologica dei soggetti che si giovano di questo trattamento, il percorso comunitario

può seguire un continuum dai livelli più elevati di protezione a quelli più orientati all’autonomia e

all’inserimento sociale o l’indicazione di strutture specifiche.

B) VALORIZZAZIONE DELLE DIMENSIONI PSICOSOMATICHE DEI RESIDENTI

La dimensione corporea investe molteplici livelli dell’intervento comunitario: dalla cura dell’igiene

personale e dell’alimentazione e più in generale della salute somatica, agli sport indicati e alle

tecniche che facilitano l’integrazione corpo-mente (di rilassamento, posturali, ecc.) laddove la

trascuratezza traumatica ha lasciato ferite profonde e aree dissociate nel soggetto. Dato che sia il

corpo del paziente che quello dell’operatore entrano in gioco nel campo delle interazioni spontanee

quotidiane della vita comunitaria, è sollecitato un ascolto e un’osservazione empatica delle

comunicazioni non verbali, che forniscono importanti indizi degli stati interni di disagio e

sofferenza, segnali sensoriali da comprendere per rianimare, contenere, regolare, al fine di favorire

l’unità somatopsichica del corpo vissuto e pensato.

C) INTERVENTI INDIVIDUALI

Ogni CT deve proporre una gamma possibile di interventi che vanno dal semplice colloquio di

ascolto e di sostegno o di gestione personalizzata della crisi, alla psicoterapia vera e propria che il

residente può condurre all’interno o all’esterno della CT: psicoterapia orientata al supporto e alla

vitalizzazione del Sé nelle psicosi e alla mentalizzazione e al contenimento degli acting per i

pazienti borderline e doppia diagnosi.

Inoltre, in ogni caso è di fondamentale importanza una figura centrale (sostenuta da una

microéquipe) costituita dall’operatore di riferimento del residente, nel linguaggio attuale case

manager, con la funzione di filtro e intermediazione rispetto all’impatto del singolo verso il gruppo;

a sua volta l’operatore di riferimento ha bisogno del gruppo allargato dell’équipe e dei pazienti

come contenimento della relazione duale che, soprattutto nei casi borderline, può diventare troppo

intensa e ingestibile.6 Un’altra funzione di questa figura è quella di sintesi e integrazione dei vari

aspetti formali e informali che il residente esprime e proietta nelle svariate esperienze che vive in

Comunità. Avendo nella mente la complessità in fieri, l'operatore di riferimento può interfacciarsi

con competenza con gli invianti e i familiari, fornendo una rappresentazione dinamica ed evoluta

del paziente con le acquisizioni realizzate nel corso del tempo, in parte nuova rispetto a quella

cristallizzata iniziale, aiutando così il distacco e un modo nuovo di reinserimento nel contesto di

provenienza, soprattutto laddove il residente non possa realizzare una completa autonomia.

D) INTERVENTI GRUPPALI

L’Assemblea

Fin dalle origini delle Comunità Terapeutiche in Inghilterra negli anni ’50, l’assemblea di comunità

ha costituito un momento centrale della vita di questo metodo di cura: in tutte le forme di Comunità

6 Correale sottolinea l’importanza di questo “doppio contenitore” per fronteggiare la potenza dell’ondata emotiva

delle proiezioni gruppali.

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Terapeutica ritroviamo la presenza di questo tipo di riunione. La visione stessa di Comunità, intesa

come sistema strutturato nella quotidianità che coinvolge attivamente i residenti con tutte le figure

professionali (compreso il giardiniere, gli amministratori e chi si occupa delle questioni finanziarie

ecc.), elaborata da Tom Main e tuttora valida, indica l’assemblea come uno degli strumenti

fondamentali per sviluppare il processo di responsabilizzazione collettivo, tramite l’auto-

osservazione e la riflessione di tutte le sue strutture e dinamiche interne secondo il metodo della

“culture of inquiry”.

Essa consente la trasmissione della cultura, dei modelli relazionali e delle pratiche di comunità a

diverse generazioni di pazienti, facendo convergere al suo interno tutti i trattamenti terapeutici e

tutti gli altri incontri, casuali, informali e professionali; fornisce inoltre una base per creare il

legame emotivo comune tra i suoi membri e per elaborare i conflitti promuovendo il senso di

appartenenza7, sperimentando l’atmosfera prevalente e confermando i valori della vita di Comunità

(Hinshelwood, 1982; Corulli, 1997; Vigorelli, Gravina 2015). Inoltre è all’interno della riunione di

Comunità democratiche che sono discusse, definite e riconosciute le regole della Comunità,

fondamentali per garantire la convivenza e la terapeuticità; qui vengono anche elaborate le modalità

riparative per affrontare la loro violazione (agiti violenti, contro persone e oggetti, fughe ecc.), sono

espressi differenti punti di vista e sperimentati processi decisionali con la guida di una leadership

che coinvolga anche i residenti senior, per esperienza e senso di cooperazione. In questo ambito si

condividono infine le notizie sulle dimissioni e l’accoglienza dei pazienti o su cambiamenti nello

staff, si valuta l’andamento della partecipazione e il clima complessivo del momento.

Riunioni

Ogni Comunità sviluppa in modo proprio questi tipi di incontri ma con alcune costanti:

- riunioni di tutto il personale, nelle quali dare spazio alla cultura di ricerca, volta a capire gli

episodi e le dinamiche terapeutiche, allo scopo di apprendere dall’esperienza e di favorire una

effettiva capacità di cambiamento, e di decisionalità propria dei processi di maturazione degli

organismi viventi;

- riunioni organizzative per strutturare la vita quotidiana della casa, che possibilmente coinvolgono

tutti i residenti anche con compiti definiti e gli operatori in turno;

- brevi incontri giornalieri tra i terapeuti presenti, per avere uno spazio minimo per pensare e un

monitoraggio delle emozioni nelle situazioni di crisi;

- spazi informali di comunicazione, spontanei ma previsti come parte integrante della cultura del

gruppo, come coltivazione di un terreno inconscio di legami affettivi, e non come scissione e

negazione di tensioni che non arrivano alla riflessione comune dello spazio per pensare (ad esempio

mangiare insieme, prendere il caffè ecc.);

- riunioni di supervisione/conferenza clinica/sostegno al ruolo professionale con esperti esterni alla

Comunità (vedi punto I).

Gruppi

Rinviamo per una completa mappa descrittiva e tecnica delle varie attività gruppali all’articolo “I

gruppi in comunità terapeutica” di Corulli e Olivero comparso nella Rivista Terapia di Comunità

nel 2011 che presenta:

7 Nell’ articolo “How therapeutic communities work: Specific factors related to positive outcome”, comparso nella

Rivista online “International Journal of Social Psychiatry” del 20 Luglio 2012, Steve Pearce and Hanna Pickard

(Oxford UK), riportando i dati delle recenti ricerche internazionali, sintetizzano i fondamentali fattori terapeutici

delle CT in: belongingess (appartenenza) e responsibility (responsabilizzazione). Affermano: “L' appartenenza

costituisce una fondamentale motivazione umana. L'ipotesi dell'appartenenza sostiene che: gli esseri umani hanno

una spinta pervasiva nel formare e mantenere almeno per un minimo quantitativo di tempo relazioni interpersonali

significative e positive. Soddisfare questa spinta coinvolge due criteri: in primo luogo c'è un bisogno di frequenti,

affettivamente cariche e piacevoli relazioni con alcune persone, e in secondo luogo queste interazioni devono

avvenire in un contesto temporale stabile e all'interno di una cornice duratura di preoccupazione affettiva reciproca

per il benessere degli altri (Baumeister & Leary, 1995, p. 497).

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sull’accoglienza,

gruppi di riabilitazione cognitiva,

gruppi per la crisi,

gruppi per capire la funzione psicofarmacologica,

piccoli gruppi terapeutici,

gruppi espressivi,

gruppi seniores,

gruppi sulla convivenza,

gruppi di rilassamento e tecniche non-verbali,

gruppi sportivi, weekend,

di inserimento lavorativo,

gruppi di auto-aiuto ecc.

Anche la psicoterapia di gruppo, rivolta a pazienti con disturbi di personalità ha uno spazio

significativo, a partire dal modello di Bateman e Fonagy, efficace per sviluppare la capacità di

mentalizzazione e la regolazione emotiva. Una particolare attenzione viene data al setting di questi

momenti, alle finalità, e ai referenti che coinvolgono il più possibile i residenti anche nella gestione

organizzativa.

E) INTERVENTI CON LE FAMIGLIE

Lo stato attuale di crisi e di evoluzione della famiglia tradizionale italiana, con le famiglie

ricomposte, i nuclei monoparentali, le crisi delle famiglie adottive e il fenomeno migratorio che

comporta lo sradicamento delle radici familiari, fa sì che sempre più i residenti delle comunità non

abbiano riferimenti stabili a livello familiare o ne siano del tutto carenti; questi fenomeni rendono

molto difficile progettare il dopo Comunità e stimolano a immaginare e ricercare un inserimento

nella rete locale prossima alla CT sia dal punto di vista di un’occupazione lavorativa che per le

possibilità abitative. Una menzione particolare meritano i fallimenti adottivi i cui figli spesso

arrivano all’attenzione dei Servizi e delle Comunità presentando duplici abbandoni (famiglia

biologica e famiglia adottiva) che esitano in gravi disturbi della personalità.

Quando invece questi legami sono ancora vivi, molto spesso avviene che il periodo di percorso

comunitario rappresenti per i familiari una grande opportunità per poter finalmente comprendere le

origini e la consistenza della sofferenza del congiunto e per poter apprendere nuove modalità di

interazione e di comportamento; per alcuni addirittura può costituire una illuminazione sulla propria

storia personale, sulla relazione di coppia e le traumaticità transgenerazionali che affliggono gran

parte delle famiglie dei residenti (Nicolò, 1995, Nicolò Taccani 1999; Nicolò Trapanese 2005).

Le CT possono curare in vari modi questa problematica, attraverso:

gruppi multifamiliari

incontri periodici con la coppia genitoriale,

gruppi multicoppie di genitori (Robert 2015).

Tali attività possono facilitare anche una collaborazione costruttiva e, laddove è possibile, aiutare il

sorgere di associazioni di familiari legati alla comunità ospitante, così da mettere a disposizione

risorse abitative o lavorative e accogliendo con una forma di auto-aiuto le nuove famiglie che

iniziano il percorso.

F) ATTIVITA’ RIABILITATIVE

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Le attività riabilitative comprendono:

i laboratori di arte terapia che svolgono una funzione integrata con le altre attività

psicoterapiche,

le attività a carattere espressivo,

i laboratori di piccola professionalizzazione

le attività di autogestione.

L’intervento di arte terapia si pone come obiettivo il rinforzo delle funzioni egoiche con lo sviluppo

delle funzioni di realtà e della stima di sé, ma anche quello di attivatore corporeo e espressivo-

creativo e, parallelamente, della crescita delle capacità relazionali, interpersonali e di

socializzazione, specie se queste attività sono svolte in gruppo. Le immagini, il movimento

corporeo, la musica e il canto, la scrittura, la pittura, il teatro, in quanto utilizzano simbologie e

rappresentazioni non prevalentemente o esclusivamente verbali, rappresentano un canale

privilegiato di accesso ai contenuti e ai vissuti più profondi. L’attenzione specifica e l’elaborazione

di tali contenuti agevola il processo terapeutico, facilita l’integrazione della personalità e mobilita le

risorse più creative e produttive dell’individuo.

L’arte terapia fornisce ai partecipanti ai laboratori uno spazio dove il risultato viene creato insieme e

“lo strumento” a volte utilizzato, anche se concreto, assume un significato simbolico, come

prolungamento del soggetto stesso, diventa un “oggetto-intermediario” attraverso il quale il

processo di interazione è facilitato prima ad un livello simbolico quindi ad uno più corporeo (si

pensi al suono che poi può diventare movimento, disegno dei propri/altrui confini, esplorazione

creativa nelle sue potenzialità relazionali) e poi espressione verbale.8

Le attività terapeutico - riabilitative che si svolgono in Comunità comprendono anche i laboratori di

piccola professionalizzazione, le attività socioterapeutiche, i programmi di inserimento sociale e

lavorativo. Lo scopo di queste attività non è soltanto tanto quello di produrre o di ottenere un

risultato utilizzabile nella vita quotidiana, ma di permettere l’espressione di vissuti interni con

modalità che non siano unicamente verbali.

Fanno parte delle attività riabilitative anche le attività di autogestione. L’obiettivo del lavoro della

Comunità Terapeutica non è unicamente quello di inserire gli affidati in cura in una "rete di

relazioni", ma anche quello di stimolare, attraverso la loro collaborazione all’organizzazione della

quotidianità, livelli di autonomia e responsabilizzazione.

In tutti i laboratori è possibile anche osservare dinamiche gruppali su cui poter lavorare negli

appositi spazi terapeutici.

I laboratori, siano essi di conduzione delle attività quotidiane oppure di espressione e creatività, si

svolgono sotto la guida di operatori esperti o maestri d’arte in grado di gestire, per formazione e

tirocinio, le emozioni e i movimenti dinamici collegati all’impegno nelle attività.

G) INTERVENTI A LIVELLO DELLA RETE SOCIALE ESTERNA

Il trattamento comunitario persegue, come scopo generale, l’acquisizione di capacità individuali

come l’autonomia psichica e di autogestione, tale da consentire ai residenti il reinserimento nel

tessuto sociale non protetto. Nei progetti terapeutico riabilitativi individualizzati della Comunità

Terapeutica deve essere prevista anche la possibilità di attivare almeno un dispositivo di inclusione

sociale e/o lavorativa. La Comunità deve tendere quindi ad utilizzare tutte le possibilità offerte dal

territorio, compresi: centri di orientamento al lavoro, centri per corsi di formazione, centri culturali

e ricreativi, commerciali, attività di volontariato, impianti sportivi, ecc. Qualora lo scopo del

trattamento comunitario preveda il reinserimento nel territorio di origine e l’acquisizione della

capacità di fruire delle risorse esistenti (ambulatori, centri diurni, case-famiglia, inserimenti in

8 La segnalazione dei partecipanti ai laboratori di arte terapia viene fatta in base a parametri che tengono conto,

oltre che di fattori psicopatologici, anche di problematiche relazionali e delle potenziali risorse individuali, in modo

da costituire gruppi il più possibile omogenei.

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cooperative integrate ecc.), per questa finalità si stilano progetti individualizzati assieme ai Servizi

di salute mentale invianti, in grado di attivare le risorse sul territorio e le Agenzie sociali a ciò

delegate.

Per i corsi di formazione si individuano quelli che il residente vuole ed è in grado di sostenere e lo

si supporta affinché metta in atto le pratiche burocratiche relative all'attuazione del progetto

formativo, anche attraverso un’azione di coordinamento con i docenti; per quanto riguarda il

reinserimento lavorativo, si individuano società disponibili, anche attraverso il ricorso ai Centri per

l'orientamento lavorativo e per avviare tirocini di lavoro attraverso i Centri per l'Impiego di zona.

Le attività di socializzazione sono momenti di osmosi con l’esterno e di verifica con la realtà sulle

proprie capacità e sul proprio processo di crescita. Proprio per questo motivo, durante il programma

terapeutico in Comunità, si fa riferimento al medico di base territoriale, agli ambulatori territoriali

per le visite specialistiche.

H) FUNZIONI DELLA LEADERSHIP DELLA COMUNITA' E DELLE FIGURE

PROFESSIONALI DELL’EQUIPE MULTIDISCIPLINARE

Premesso che la Comunità Terapeutica è una organizzazione molto complessa dove diventa

essenziale il continuo ricorso all’utilizzo del lavoro di gruppo, si richiede che al suo interno siano

definite le varie funzioni e responsabilità. Si tratta di differenziare ed integrare nel gruppo allargato,

costituito dall’intera istituzione comunitaria, i sottogruppi rappresentati dallo staff dei curanti, dai

pazienti, dal sottogruppo che ha funzioni organizzative e di governo generale della struttura.

In genere l’organizzazione delle Comunità Terapeutiche prevede sempre una sorta di comitato

direttivo e/o amministrativo rappresentato dai suoi organi statutari; una leadership con funzioni di

garanzia dell’indirizzo clinico, amministrativo, scientifico e culturale dell’intera istituzione,

conformemente alla sua storia e alla sua identità.

Ciascun gruppo deve saper mantenere un funzionamento prevalente secondo la modalità che Bion

definisce “gruppo di lavoro” che si caratterizza per la capacità di “cooperazione” da parte di tutti

gli individui che lo compongono per poter raggiungere gli obiettivi che il gruppo si è posto.

Il clima emotivo favorevole ai processi di sviluppo dell’intero gruppo comunitario - quello cioè

formato dall’insieme integrato di tutti i sottogruppi e dagli individui che li compongono, leaders e

followers - è sempre una funzione del gruppo di lavoro; pertanto i migliori leaders sono quelli che

sapranno influenzare il funzionamento dei gruppi che conducono, al fine di mantenerli ad un livello

di funzionamento orientato al “compito terapeutico”.

È compito della leadership della Comunità Terapeutica scegliere i collaboratori cui affidare la

conduzione dei gruppi e delle attività che comportano l’assunzione di maggiori responsabilità.

Inoltre, dovrà scegliere e formare anche le altre figure professionali dell’équipe multidisciplinare

della Comunità al fine di renderle consapevoli delle loro principali caratteristiche e compiti. Le

figure professionali necessarie per il buon funzionamento del dispositivo di cura comunitario sono:

medici psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, infermieri, educatori, terapisti della riabilitazione,

assistenti sociali, esperti di attività espressive e riabilitative, tecnici amministrativi, personale socio

sanitario per la manutenzione quotidiana (pulizia, cucina, ecc.). Alcune normative regionali che

sostituiscono le figure psicologiche con quelle di OSS non rispettano questi criteri e contribuiscono

a invalidare la finalità terapeutica della comunità.

I) FORMAZIONE PERMANENTE DEGLI OPERATORI: SUPERVISIONE,

CONFERENZE CLINICHE E SUPPORTO AL RUOLO PROFESSIONALE CON

ESPERTI ESTERNI

Una dimensione che caratterizza il modello delle Comunità Terapeutiche riguarda la cura della

formazione permanente degli operatori, necessaria sia per la specificità del dispositivo terapeutico

che è effettuato dall'insieme coordinato degli interventi realizzati dal Gruppo Curante piuttosto che

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da una singola individualità, sia per l'impegno richiesto dalla quotidianità del contatto emotivo con i

residenti che comporta spesso una collusione con aspetti della patologia grave, che costituiscono un

fattore di rischio di burnout per il coinvolgimento tecnico e personale.

Le attività formative sono sia continuative e inserite nel dispositivo predisposto (supervisioni

regolari, riunione di équipe e microéquipe settimanali), sia specifiche intorno a particolari

problematiche e con esperti invitati ad hoc in incontri programmati, a seconda delle esigenze della

singola Comunità, sia con momenti di autoformazione, sia incluse nella stessa procedura di

valutazione tra pari del Visiting come momento di auto-etero osservazione e riflessione sul

funzionamento complessivo (vedi punto J)

La supervisione costituisce uno strumento di formazione permanente indispensabile per operatori

continuamente sollecitati da dinamiche relazionali particolarmente potenti nella forma di:

1.supervisioni delle singole équipe per l’analisi delle situazioni proiettive in atto, delle

problematiche dei pazienti e delle implicazioni emotive degli operatori e dei transfert multipli tra di

loro e verso l’istituzione;

2. la supervisione sulle dinamiche del gruppo allargato degli operatori;

3. la supervisione sui casi clinici.

Le supervisioni vengono svolte da psicoterapeuti, esperti in psicopatologie gravi, nel lavoro di

gruppo e nel lavoro nelle istituzioni, rigorosamente esterni al contesto quotidiano della Comunità

per ridurre al minimo accecamenti emotivi.

La supervisione, assieme ai seminari di formazione previsti dal Programma Scientifico delle

Comunità Terapeutiche, ha il compito anche di formare l'operatore all'accoglienza dei pazienti e dei

loro famigliari, alla relazione con i colleghi e con i Sanitari dei Servizi, al rispetto della privacy

durante l'esecuzione delle prestazioni, alla relazione con gli affidati in cura tenendo conto delle loro

condizioni psicopatologiche. Essendo il modo di lavorare e di comunicare nelle Comunità

Terapeutiche costantemente oggetto di osservazione, analisi e riflessione, gli operatori si avvalgono

di questi strumenti a sostegno del loro lavoro per affinare la capacità riflessiva e accrescere la

qualità della comunicazione allenandosi a leggere le dinamiche esplicite o implicite, reali o

immaginarie che si sviluppano nel campo comunitario.

Oltre ai momenti di supervisione, gli operatori della Comunità Terapeutica usufruiscono di altri

dispositivi formativi, quali Seminari con funzione di ricerca e approfondimento teorico della

esperienza, Seminari di aggiornamento, con la partecipazione di esperti esterni sulle varie discipline

e specializzazioni, seminari di autoformazione e di formazione su argomenti clinici o organizzativi.

Le Comunità Terapeutiche sono anche luoghi di formazione per tirocinanti provenienti dalle

Università, dalle Scuole di Specializzazione in psicoterapia, dai Master.

J) VALUTAZIONE E RICERCA PER IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITA’

La valutazione degli interventi residenziali è una necessità ormai sottolineata da diversi autori e

dalle indicazioni regionali in vista della promozione di pratiche di cura efficaci, per conoscere i

risultati e conferire valore a quello che si fa, per confrontarsi con altre esperienze simili uscendo

dall’isolamento autoreferenziale e soprattutto per migliorare la qualità della cura e per apprendere e

applicare strumenti e tecniche innovative (Donabedian, 1990; Migone, 1996; Roth&Fonagy, 1997;

Seligman, 1995; Lees, Manning, Menzies, Morant, 2004; Di Nuovo, Lo Verso, 2005).

La complessità del dispositivo comunitario non rende semplice la valutazione complessiva, e questo

spiega la scarsità di letteratura scientifica in questo campo9; oltre all’utilizzo periodico di strumenti

9 Le indicazioni della ricerca in questo campo vanno in queste direzioni: 1) confrontare un gran numero di CT così

da evidenziare relazioni tra variabili (durata permanenza, patologia utenza ecc.) 2) studiare singoli aspetti che

contribuiscono a creare un ambiente terapeutico (lavoro in gruppo, leadership, processi di responsabilizzazione ecc,

contatto con i familiari, con l’esterno ecc. e influenza sulla terapia dei pazienti) livello di competizione o

cooperazione fra gli operatori ecc. 3) mettere a fuoco la caratteristiche dei pazienti che più rispondono alla terapia

di CT e definire che cosa sia miglioramento 4) studi sulle motivazioni del drop-out (Manning e Rawilings 1997-

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validati e di follow up relativamente agli esiti dei trattamenti individuali, una proposta di

valutazione specifica che coinvolge tutte le componenti della CT, proviene dal network di

Community of Communities , che dal 2000 ha introdotto un progetto strutturato di “visite” per

monitorare la qualità delle residenze (per adulti, minori e nelle carceri) e per ottenere

l’accreditamento e il finanziamento da parte del Servizio Sanitario Nazionale (ATC 2001).

Dal 2010 questo metodo di accreditamento tra pari è stato adattato da Mito &Realtà anche al

contesto italiano, promuovendo la diffusione del Visiting tra terne di CT in un’ottica di forte

collegamento tra formazione, valutazione e ricerca. Lo scopo è quello di favorire la conoscenza tra

comunità attraverso un processo di valutazione dei fattori terapeutici e strutturali, composto da una

fase di auto valutazione e una fase di etero valutazione tra pari, a partire da un manuale comune.

Questa valutazione, finalizzata all’acquisizione di consapevolezza delle CT sui propri punti di forza

e di debolezza, stimola un’azione immediata sulle criticità, attraverso la definizione di obiettivi di

miglioramento annuali e la collaborazione con le altre CT coinvolte attraverso una trasmissione di”

buone pratiche”.

Una ricerca finalizzata con l’approvazione del Ministero della Salute 10

si svolgerà nei prossimi anni

a livello nazionale con il coordinamento di Giovanni de Girolamo sul tema: ”L’uso del tempo

quotidiano, attività fisica, qualità delle cure e relazioni interpersonali in persone con disturbi dello

spettro schizofrenico: uno studio multicentrico” sarà un utile strumento di aggregazione di

numerose comunità pubbliche e private e DSM e potrà offrire una panoramica significativa non solo

dello stato attuale di “salute” dei pazienti, ma anche del funzionamento complessivo delle residenze

italiane.

K) RAPPORTI DELLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE CON I SERVIZI INVIANTI E

LE ISTITUZIONI GIUDIZIARIE

La selezione dei pazienti che iniziano il programma terapeutico della Comunità, è legata alla

necessità dei Servizi di Salute Mentale di riferimento a condividere un progetto di cura.

La valutazione iniziale delle condizioni, dei bisogni di ciascun paziente, delle abilità e delle

disabilità specifiche, degli aspetti legati alla vita di relazione per la determinazione della gravità e

della complessità del quadro clinico e per la valutazione della compromissione del funzionamento

personale e sociale del paziente, viene effettuata in primis dalle unità di valutazione dei Servizi

invianti.

Il Servizio inviante propone quindi un Progetto Riabilitativo di trattamento con un dispositivo di

cura comunitario. In base a questo la Comunità propone a sua volta al paziente e al Servizio un

Progetto Terapeutico Riabilitativo Personalizzato. Per l'elaborazione del PTRP e la sua durata, le

Comunità Terapeutiche fanno generalmente riferimento a quanto previsto dal documento sulle

Strutture residenziali psichiatriche della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 13

giugno 2013. Le Comunità quindi individuano al loro interno un case manager e nella famiglia del

paziente il caregiver di riferimento che si interfacciano anche con il Servizio inviante.

Gli psichiatri che operano nelle Comunità collaborano con i sanitari dei Servizi di Salute Mentale

invianti (specialmente nelle fasi di ingresso e di uscita o nella gestione di cambiamenti sostanziali

della terapia) in quanto principali referenti dei loro pazienti ancorché inseriti nelle strutture

comunitarie. A loro spetta il controllo periodico della terapia farmacologica che viene prescritta e

monitorata, mirando ad una sempre maggiore consapevolezza e collaborazione del residente, con il

1999)

10

Lo studio è interamente finanziato, per una durata triennale, dal Bando della Ricerca Finalizzata 2018 (fondi

2016-2017) del Ministero della Salute (codice RF-2018-12365514).

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criterio “dei dosaggi minimi efficaci” e al controllo periodico degli effetti collaterali derivanti

dall’uso di psicofarmaci effettuato attraverso le analisi periodiche per tutti i residenti.

Le informazioni relative all'attuazione poi del piano assistenziale e terapeutico riabilitativo sono

trasmesse nel corso delle riunioni periodiche (previste generalmente ogni 2–6 mesi) effettuate tra gli

operatori referenti delle Comunità e quelli dei Servizi invianti al fine di osservare l’andamento del

programma terapeutico concordato. L’incaricato dell’équipe della Comunità, generalmente ogni 6

mesi redige una relazione circa il percorso comunitario del residente, che viene inviata ai Servizi

invianti insieme al PTRP, alla relazione psichiatrica, ai punteggi raccolti dal Responsabile delle

Valutazioni attraverso la somministrazione delle scale di valutazione. L'analisi dei punteggi di tali

scale di valutazione contribuisce alla stesura della formulazione del nuovo PTRP.

Il processo di dimissioni è messo a punto tramite riunioni programmate con: l'assistito, i suoi

famigliari, i referenti del Servizio inviante e l'equipe della Comunità. Tale processo porta alla

stesura di un progetto di uscita che di norma prevede i tempi di realizzazione, le indicazioni

terapeutiche psicofarmacologiche e psicoterapeutiche e le modalità di accompagnamento per

rendere fattibile tale progetto. Le varie soluzioni comprendono la preparazione ad una autonomia

esistenziale e abitativa; il rientro in famiglia, con il sostegno del Servizio di Salute mentale; il

passaggio ad un'altra struttura terapeutico-riabilitativa a minore o maggiore intensità assistenziale o

soluzioni miste da concordare in ogni caso specifico.

Inoltre la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2003, dichiarando la illegittimità dell’ art.

222 del codice penale (Ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario) e consentendo pertanto al

Giudice si adottare in alternativa al ricovero in OPG un diverso provvedimento, ha fatto sì che

attualmente nelle sedi della psichiatria residenziale siano ospitati un 25% dei pazienti che abbiano

anche in corso provvedimenti giudiziari ( ex OPG, arresti, affidi, messa alla prova ECC.). Infatti

alcuni residenti con disturbi di personalità, che frequentemente hanno un quadro complicato dall’

uso di sostanze (comorbilità), hanno in corso provvedimenti giudiziari a seguito di comportamenti

sociali pericolosi per la collettività, ma dei quali non possono considerarsi pienamente responsabili.

E’ imprescindibile quindi il collegamento anche con l’istituzione giudiziaria e la possibilità di un

dialogo e un progetto condiviso finalizzato a monitorare anche questi aspetti.

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Allegato 1 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017

Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza,

pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in data 18 marzo

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Art. 33.

Assistenza sociosanitaria semiresidenziale e residenziale alle persone con disturbi mentali 0 Nell’ambito dell’assistenza semiresidenziale e residenziale, il Servizio sanitario nazionale

garantisce alle persone con disturbi mentali, previa valutazione multidimensionale, definizione di un programma terapeutico individualizzato e presa in carico, i trattamenti terapeuti-co-riabilitativi e i trattamenti socio-riabilitativi, con pro-grammi differenziati per intensità, complessità e durata. I trattamenti includono le prestazioni necessarie ed appropriate, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche nei seguenti ambiti di attività:

accoglienza; attuazione e verifica del Progetto terapeutico riabilitativo individuale, in collaborazione con il

Centro di salute mentale di riferimento; visite psichiatriche; prescrizione, somministrazione e monitoraggio di terapie farmacologiche; colloqui psicologico-clinici; psicoterapia (individuale, di coppia, familiare, di gruppo); interventi terapeutico-riabilitativi, psico-educativi e socio-educativi finalizzati al recupero

dell’autonomia personale, sociale e lavorativa; interventi sulla rete sociale formale e informale; collaborazione con i medici di medicina generale.

2. In relazione al livello di intensità assistenziale, l’assistenza residenziale si articola nelle seguenti

tipologie di trattamento: a) trattamenti terapeutico-riabilitativi ad alta intensità riabilitativa ed elevata tutela sanitaria (carattere intensivo), rivolti a pazienti con gravi compromissioni del funzionamento personale e sociale, anche nella fase della post-acuzie. I trattamenti, della durata massima di 18 mesi, prorogabili per ulteriori 6 mesi in accordo con il centro di salute mentale di riferimento, sono erogati nell’ambito di strutture che garantiscono la presenza di personale sanitario e socio-sanitario sulle 24 ore; b) trattamenti terapeutico-riabilitativi a carattere estensivo, rivolti a pazienti stabilizzati con compromissioni del funzionamento personale e sociale di gravità moderata, che richiedono interventi a media intensità riabilitativa. I trattamenti, della durata massima di 36 mesi, prorogabili per ulteriori 12 mesi in accordo con il centro di salute mentale di riferimento, sono erogati nell’ambito di strutture che garantiscono la presenza di personale socio-sanitario sulle 24 ore; c) trattamenti socio-riabilitativi, rivolti a pazienti non assistibili nel proprio contesto familiare e con quadri variabili di autosufficienza e di compromissione del funzionamento personale e sociale, che richiedono interventi a bassa intensità riabilitativa. La durata dei programmi è definita nel Progetto terapeutico riabilitativo individuale. In considerazione del diverso impegno assistenziale necessario in relazione alle condizioni degli ospiti, le strutture residenziali socio-riabilitative possono articolarsi in più moduli, differenziati in base alla presenza di persona-le sociosanitario nell’arco della giornata.

3. Nell’ambito dell’assistenza semiresidenziale il Servizio sanitario nazionale garantisce trattamenti terapeutico-riabilitativi erogati da équipe multiprofessionali in strutture attive almeno 6 ore al giorno, per almeno cinque giorni la settimana.

4. I trattamenti residenziali terapeutico-riabilitativi intensivi ed estensivi di cui al comma 2, lettere a) e b) sono a totale carico del Servizio sanitario nazionale. I tratta-menti residenziali socio-riabilitativi di cui al comma 2, lettera c) sono a carico del Servizio sanitario nazionale per una quota pari al 40 per cento della tariffa giornaliera. I trattamenti semiresidenziali terapeutico-riabilitativi di cui al comma 3 sono a totale carico del Servizio sanitario nazionale.

5. Ai soggetti cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia sono garantiti trattamenti residenziali terapeutico-riabilitativi a carattere intensivo ed estensivo nelle strutture residenziali di cui alla legge n. 9 del 2012 ed al decreto ministeriale 1 ottobre 2012 (residenze per l’esecuzione delle misure di

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sicurezza). I trattamenti sono a totale carico del Servizio sanitario nazionale.