DOCUMENTO SULLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE e ......responsabilizzazione (Clarke, Winship, Manning,...
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DOCUMENTO SULLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE e RESIDENZIALI
PER IL MINISTERO DELLA SALUTE BOZZA DA DISCUTERE
Le Comunità Terapeutiche e Residenziali per adulti - Indicazioni di Buone Prassi e Linee di
Indirizzo - Milano luglio 2019
Premessa Questo documento, in linea con l’Accordo Conferenza Unificata 17 ottobre 2013 sulle Strutture
residenziali e con gli orientamenti e le linee di indirizzo del Decreto del Presidente del Consiglio
dei Ministri del 12 gennaio 2017 Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza
(pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in data 18 marzo), intende essere un
contributo e un approfondimento specifico e articolato dell’art.33 Assistenza sociosanitaria
semiresidenziale e residenziale alle persone con disturbi mentali, da sottoporre all’attenzione del
Ministero. Queste indicazioni sono nate dall’ esperienza e dalla riflessione maturata all’interno delle
residenze private accreditate e pubbliche; sono quindi applicabili ad entrambe questi ambiti.1
Specifichiamo anzitutto una definizione di Comunità terapeutica in negativo:
LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ SINONIMO DI RESIDENZIALITA’ O DI
ABITAZIONE
LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON UN’ISTITUZIONE TOTALE
LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UN AMBIENTE MEDICALIZZATO DI GRANDI
DIMENSIONI (VEDI CLINICHE PRIVATE)
LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UN LUOGO SENZA TEMPI E RITMI
LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UN DEPOSITO ASSISTENZIALE IN DELEGA DEI
SERVIZI
LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON UN PARCHEGGIO IN ATTESA DI….
LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UN SISTEMA ISOLATO DAL CONTESTO
TERRITORIALE E DALLA COMUNITA’ LOCALE
LA COMUNITA’ TERAPEUTICA NON E’ UNO SPAZIO DESITINATO ALLA
CRONICIZZAZIONE
1 Mito&Realtà, è un’ associazione costituitasi a partire dal Convegno Internazionale di Milano del 1996, con la
partecipazione di esponenti del movimento culturale delle comunità terapeutiche nazionali ed internazionali e che da
oltre venti anni ha come oggetto lo studio, la ricerca e la raccolta dati sul funzionamento delle Comunità Terapeutiche e
promuove la formazione professionale per chi svolge un’ attività in strutture a impronta comunitaria che si occupano
della cura del disagio psichico grave. www.mitoerealta.org
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Inquadramento storico Il contesto storico in cui si è sviluppato il percorso della Salute Mentale e della Psichiatria è stato
estremamente complesso dagli anni settanta ad oggi, ha visto la transizione da una cultura
“manicomiale” radicata in luoghi di segregazione ai confini per lo più esterni alla vita delle città, ad
una cultura delle Comunità Terapeutiche che promuove la cura, la riabilitazione, il reinserimento
sociale e il tentativo di recupero delle risorse del soggetto finalizzato a una migliore qualità di vita
(Recovery).
La possibilità di prendersi cura di persone affette da disturbi mentali gravi in ambiti e ambienti
alternativi all’ospedale psichiatrico, a seguito dell’approvazione della legge 180, ha sviluppato negli
anni ’80 le Comunità Terapeutiche in collegamento con la rete dei nuovi servizi territoriali, che
hanno fatto riferimento, per quanto riguarda i modelli teorici e operativi, principalmente alle
consolidate esperienze internazionali, anche se il carattere innovativo e anti-istituzionale delle prime
comunità in Italia è stato totalmente autoctono.2
Il metodo di cura della “Comunità Terapeutica” trae le sue origini da quel movimento di
rinnovamento della cultura sociale del dopoguerra, che vede lo sviluppo teorico-clinico della
psicoanalisi di gruppo di Bion, la nascita della gruppoanalisi e delle Comunità Terapeutiche inglesi
con pionieri quali Bion, Foulkes, Main e Jones, il modello psicodinamico francese di Racamier e
Sassolas, le esperienze pilota della Menninger Clinic e dell’Austin Riggs Hospital negli Usa, solo
per citare gli esempi più noti.
I principi fondamentali presenti nelle CT inglesi e rilevati dalla ricerca del sociologo/antropologo
Rapaport negli anni ’50 sono rappresentati da:
comunalismo,
democraticità,
tolleranza
confronto con la realtà.3
A questi principi fondativi attualmente il network di Community of Communities 4in Inghilterra ha
aggiunto altri “core standards”, quali:
attaccamento
contenimento
rispetto
comunicazione
interdipendenza
2 In Italia le due esperienze di Diego Napolitani, precedenti la riforma psichiatrica, avevano aperto la via alla
possibilità di applicazione di una tale modalità di cura, ma avevano anche mostrato i limiti di una strutturazione
rigida che non permettesse modifiche e adattamenti in base all’esperienza. Ciononostante, varie iniziative importanti
sono cominciate a nascere e si sono sviluppate e consolidate nel tempo. 3
Communalism – (sharing of mutual tasks, close interdependency) promotes interaction with others,
responsibility sharing, the abandonment of fixed social roles and attitudes, and the development of new
relationships.
Democratization – (flattened hierarchy, sharing of decision making) allows self-management to emerge and
altruism to flourish as a patient (called a member) is allowed to contribute meaningfully to the treatment of
others.
Permissiveness – (difficult behavior is tolerated) allows for catharsis (ventilation), self-disclosure, and the
assumption of self-responsibility.
Reality confrontation – (presentation of behavior as it is seen by others) promotes self-awareness and the
development of identity and self-concept, and encourages learning through interpersonal feedback.
4 Community of Communities promosso da: The Royal College of Psychiatrists’ Research Unit- London and Association of
Therapeutic Communities, United Kingdom
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relazione
partecipazione
integrazione tra esperienze positive e negative
responsabilizzazione (Clarke, Winship, Manning, 2017)5.
Molti di questi valori sono di fatto assunti nel metodo e nella pratica delle numerose Comunità
Terapeutiche che si sono sviluppate largamente in Italia, soprattutto dopo la definitiva chiusura
degli ospedali psichiatrici, declinando alcuni capisaldi storici in un modello specifico che ben si è
adattato alla nostra realtà (Ferruta, Foresti, Vigorelli, 2012).
Le CT che hanno resistito sino a oggi adattandosi rafforzandosi ed evolvendosi rispetto ai
cambiamenti interni (burnout, dinamiche gruppali distruttive, cambiamenti nei ruoli delle figure
professionali) ed esterni (cambiamenti nel tipo di utenza, modificazioni normative, variazioni nella
formazione e nella motivazione degli operatori) conservando l’obiettivo della cura della malattia
mentale piuttosto che solo l’assistenza, sono proprio quelle che hanno saputo mantenere una
struttura psicodinamica nella loro organizzazione e che hanno lavorato, impiegando a volte
cospicue risorse in termini economici e di tempo, per la “manutenzione” dell'istituzione comunitaria
e per la formazione delle loro équipe.
Fattori terapeutici delle comunità residenziali
1- La Comunità è una risorsa terapeutica globale, che cura con il suo funzionamento psicodinamico
integrato (dimensioni bio-psico-sociali), attraverso un programma individualizzato di interventi
farmacologici, psicologici, psicoterapeutici, riabilitativi e di socializzazione, realizzati da una
équipe multiprofessionale e multidisciplinare, in stretto collegamento con i Servizi Territoriali
invianti del SSN, con i quali la CT instaura un rapporto continuativo di collaborazione,
all'inizio, nel corso e alla conclusione del percorso del residente segnalato dai Servizi
Psichiatrici come indicato per la cura comunitaria.
2- La Comunità offre ai pazienti una dimensione ambientale e temporale definita, con
un’architettura terapeutica e organizzativa specifica, diversa dall’ospedale ma anche
dall’abitazione familiare.
La Comunità costituisce un luogo in cui poter fruire di un clima emotivo e sensoriale che
nutra e sostenga le fragilità soggettive creando gradualmente una sicurezza di base. È un
luogo di incontro e confronto che predispone condizioni affettive favorevoli a esperienze di
“transizione”:
tra soggettività individuale isolata e condivisione con gli altri,
tra significati del mondo interno e stimoli del mondo esterno,
tra vissuti fantasmatici e aspetti organizzativi, tra dinamiche relazionali a livelli diversi.
La CT rappresenta uno spazio nel quale i residenti possono proiettare ed esprimere le loro
emozioni e le loro fantasie in una condizione regolata, ma non rigidamente strutturata, in cui gli
5 ATTACHMENT: Healthy attachment is a developmental requirement for all human beings and should be seen as a
basic human right. CONTAINMENT: A safe and supportive environment is required for an individual to develop, to
grow, or to change. RESPECT: People need to feel respected and valued by others to be healthy. Everybody is
unique, and nobody should be defined or described by their problems alone. COMMUNICATION: All behavior has
meaning and represents communication which deserves understanding. INTERDEPENDENCE: Personal well-being
arises from one's ability to develop relationships which recognize mutual need. RELATIONSHIPS: Understanding
how you relate to others and how others relate to you leads to better intimate, family, social and working
relationships. PARTICIPATION: Ability to influence one's environment and relationships is necessary for personal
well-being. Being involved in decision-making is required for shared participation, responsibility, and ownership.
PROCESS: There is not always a right answer and it is often useful for individuals, groups and larger organizations
to reflect rather than act immediately. BALANCE: positive and negative experiences are necessary for healthy
development of individuals, groups and the community. RESPONSIBILITY: Each individual has responsibility to
the group, and the group in turn has collective responsibility to all individuals in it.
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operatori, al di là dei loro ruoli specifici, si prestano a questa molteplicità di occasioni proiettive
e significanti.
3- La partecipazione all’esperienza della Comunità Terapeutica è caratterizzata dalla possibilità
interna di un percorso evolutivo in cui sviluppare potenzialità realisticamente valutate espresse
in progetti personalizzati; gli obiettivi possono essere anche minimi, purché inseriti in una
capacità di guardare al paziente come una persona che possa esprimere qualcosa di vitale,
attraverso l'evidenziamento di bisogni e risorse, fragilità e punti di forza. Il progetto
terapeutico-riabilitativo conseguente viene formulato in modo personalizzato per ciascun
paziente con scansioni temporali e caratteristiche che ne possano favorire l'espressione
personale.
4- Nel progetto terapeutico individualizzato si evidenzia anche il metodo comunitario, consistente
nel favorire la costruzione della soggettività attraverso un dispositivo gruppale e la cui
declinazione operativa è rappresentata dalla condivisione della vita quotidiana e dai modi nei
quali questa viene organizzata: le cure del corpo e degli spazi comuni, la preparazione del cibo e
i momenti di convivialità, le attività espressive, riabilitative e quelle che predispongono al
sonno, al lavoro, alle amicizie e allo svago: “azioni parlanti” che assumono uno spessore
simbolico se realizzate in modo umanizzato e relazionale.
5- L'esperienza gruppale è il metodo di lavoro fondamentale adottato dai curanti per attivare la
vita psichica dei pazienti e per apprendere dall'esperienza del rapporto con loro, allo scopo di
raggiungere comprensioni efficaci e di formulare progetti nelle diverse e molteplici riunioni (sia
tra gli operatori che con i pazienti).
6- Il percorso comunitario si può articolare attraverso varie tappe utilizzando strutture con
differenti livelli di intensità, di protezione e di attivazione riabilitativa (alta, media, bassa
protezione) tenendo presenti i bisogni di cura, le risorse evolutive e le problematiche
psicosociali del soggetto.
7- L'impostazione organizzativa è basata sulla collaborazione e partecipazione di tutti i membri,
operatori e pazienti, coinvolti in prima persona e sull'importanza centrale delle riunioni del
grande gruppo e dei piccoli gruppi.
8- L’organizzazione della CT deve garantire condizioni di sicurezza per operatori e residenti
attraverso strategie che prevedano e/o sappiano gestire i rischi degli agiti auto ed etero lesivi, le
fughe e gli eventi avversi.
9- La CT è anche uno spazio aperto e connesso con le reti delle comunità locali e con le loro
potenzialità di inclusione sociale e lavorativa; il gruppo dei pazienti e gruppo dei curanti, in
collaborazione con le famiglie e la rete sociale, costituiscono nel loro insieme il dispositivo di
cura, senza privilegiare un aspetto della vita comunitaria nei confronti di un altro.
Specificità degli strumenti terapeutici utilizzati
A) ACCOGLIENZA E FORMULAZIONE DEL CONTRATTO TERAPEUTICO:
DALL’ INSERIMENTO ALLA CONCLUSIONE DEL PERCORSO CONCORDATO
Secondo gli studi internazionali pertinenti (Priebe, Gruyters, 1993; McCabe, Priebe, 2004) e le
esperienze accumulate in innumerevoli anni di percorsi e dimissioni, il presupposto per raggiungere
esiti favorevoli del percorso comunitario è rappresentato dalla costruzione condivisa del progetto
tra paziente, famiglia, Servizio inviante e Gruppo CT e dall’alleanza terapeutica che si conquista
dopo una fase preliminare di conoscenza della realtà comunitaria (luogo, curanti, metodo). Se
qualcuno di questi attori è carente, per assenza e indifferenza, o ostacola l’inserimento, il “compito”
di questo metodo di cura diventa da subito difficile e spesso destinato al fallimento (drop-out).
Quindi l’accoglienza è proprio la prima struttura portante gruppale che possibilmente deve tenere le
fila di tutti gli attori in gioco; un servizio che nelle CT può prendere diversi nomi (accettazione,
accoglienza, primo contatto, inserimenti) ed è basato su un’attenta valutazione multidimensionale e
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di un periodo preliminare di osservazione (in alcuni casi anche partendo da un’alleanza al domicilio
del paziente).
Successivamente, questa fase prosegue con un monitoraggio continuo (con l’uso di più strumenti)
per valutare i progressi o regressi nelle diverse aree sia del funzionamento mentale, che delle reti
relazionali e la qualità della vita dell’ospite e, dove è possibile, un follow up a uno o due anni. Data
la gravità psicopatologica dei soggetti che si giovano di questo trattamento, il percorso comunitario
può seguire un continuum dai livelli più elevati di protezione a quelli più orientati all’autonomia e
all’inserimento sociale o l’indicazione di strutture specifiche.
B) VALORIZZAZIONE DELLE DIMENSIONI PSICOSOMATICHE DEI RESIDENTI
La dimensione corporea investe molteplici livelli dell’intervento comunitario: dalla cura dell’igiene
personale e dell’alimentazione e più in generale della salute somatica, agli sport indicati e alle
tecniche che facilitano l’integrazione corpo-mente (di rilassamento, posturali, ecc.) laddove la
trascuratezza traumatica ha lasciato ferite profonde e aree dissociate nel soggetto. Dato che sia il
corpo del paziente che quello dell’operatore entrano in gioco nel campo delle interazioni spontanee
quotidiane della vita comunitaria, è sollecitato un ascolto e un’osservazione empatica delle
comunicazioni non verbali, che forniscono importanti indizi degli stati interni di disagio e
sofferenza, segnali sensoriali da comprendere per rianimare, contenere, regolare, al fine di favorire
l’unità somatopsichica del corpo vissuto e pensato.
C) INTERVENTI INDIVIDUALI
Ogni CT deve proporre una gamma possibile di interventi che vanno dal semplice colloquio di
ascolto e di sostegno o di gestione personalizzata della crisi, alla psicoterapia vera e propria che il
residente può condurre all’interno o all’esterno della CT: psicoterapia orientata al supporto e alla
vitalizzazione del Sé nelle psicosi e alla mentalizzazione e al contenimento degli acting per i
pazienti borderline e doppia diagnosi.
Inoltre, in ogni caso è di fondamentale importanza una figura centrale (sostenuta da una
microéquipe) costituita dall’operatore di riferimento del residente, nel linguaggio attuale case
manager, con la funzione di filtro e intermediazione rispetto all’impatto del singolo verso il gruppo;
a sua volta l’operatore di riferimento ha bisogno del gruppo allargato dell’équipe e dei pazienti
come contenimento della relazione duale che, soprattutto nei casi borderline, può diventare troppo
intensa e ingestibile.6 Un’altra funzione di questa figura è quella di sintesi e integrazione dei vari
aspetti formali e informali che il residente esprime e proietta nelle svariate esperienze che vive in
Comunità. Avendo nella mente la complessità in fieri, l'operatore di riferimento può interfacciarsi
con competenza con gli invianti e i familiari, fornendo una rappresentazione dinamica ed evoluta
del paziente con le acquisizioni realizzate nel corso del tempo, in parte nuova rispetto a quella
cristallizzata iniziale, aiutando così il distacco e un modo nuovo di reinserimento nel contesto di
provenienza, soprattutto laddove il residente non possa realizzare una completa autonomia.
D) INTERVENTI GRUPPALI
L’Assemblea
Fin dalle origini delle Comunità Terapeutiche in Inghilterra negli anni ’50, l’assemblea di comunità
ha costituito un momento centrale della vita di questo metodo di cura: in tutte le forme di Comunità
6 Correale sottolinea l’importanza di questo “doppio contenitore” per fronteggiare la potenza dell’ondata emotiva
delle proiezioni gruppali.
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Terapeutica ritroviamo la presenza di questo tipo di riunione. La visione stessa di Comunità, intesa
come sistema strutturato nella quotidianità che coinvolge attivamente i residenti con tutte le figure
professionali (compreso il giardiniere, gli amministratori e chi si occupa delle questioni finanziarie
ecc.), elaborata da Tom Main e tuttora valida, indica l’assemblea come uno degli strumenti
fondamentali per sviluppare il processo di responsabilizzazione collettivo, tramite l’auto-
osservazione e la riflessione di tutte le sue strutture e dinamiche interne secondo il metodo della
“culture of inquiry”.
Essa consente la trasmissione della cultura, dei modelli relazionali e delle pratiche di comunità a
diverse generazioni di pazienti, facendo convergere al suo interno tutti i trattamenti terapeutici e
tutti gli altri incontri, casuali, informali e professionali; fornisce inoltre una base per creare il
legame emotivo comune tra i suoi membri e per elaborare i conflitti promuovendo il senso di
appartenenza7, sperimentando l’atmosfera prevalente e confermando i valori della vita di Comunità
(Hinshelwood, 1982; Corulli, 1997; Vigorelli, Gravina 2015). Inoltre è all’interno della riunione di
Comunità democratiche che sono discusse, definite e riconosciute le regole della Comunità,
fondamentali per garantire la convivenza e la terapeuticità; qui vengono anche elaborate le modalità
riparative per affrontare la loro violazione (agiti violenti, contro persone e oggetti, fughe ecc.), sono
espressi differenti punti di vista e sperimentati processi decisionali con la guida di una leadership
che coinvolga anche i residenti senior, per esperienza e senso di cooperazione. In questo ambito si
condividono infine le notizie sulle dimissioni e l’accoglienza dei pazienti o su cambiamenti nello
staff, si valuta l’andamento della partecipazione e il clima complessivo del momento.
Riunioni
Ogni Comunità sviluppa in modo proprio questi tipi di incontri ma con alcune costanti:
- riunioni di tutto il personale, nelle quali dare spazio alla cultura di ricerca, volta a capire gli
episodi e le dinamiche terapeutiche, allo scopo di apprendere dall’esperienza e di favorire una
effettiva capacità di cambiamento, e di decisionalità propria dei processi di maturazione degli
organismi viventi;
- riunioni organizzative per strutturare la vita quotidiana della casa, che possibilmente coinvolgono
tutti i residenti anche con compiti definiti e gli operatori in turno;
- brevi incontri giornalieri tra i terapeuti presenti, per avere uno spazio minimo per pensare e un
monitoraggio delle emozioni nelle situazioni di crisi;
- spazi informali di comunicazione, spontanei ma previsti come parte integrante della cultura del
gruppo, come coltivazione di un terreno inconscio di legami affettivi, e non come scissione e
negazione di tensioni che non arrivano alla riflessione comune dello spazio per pensare (ad esempio
mangiare insieme, prendere il caffè ecc.);
- riunioni di supervisione/conferenza clinica/sostegno al ruolo professionale con esperti esterni alla
Comunità (vedi punto I).
Gruppi
Rinviamo per una completa mappa descrittiva e tecnica delle varie attività gruppali all’articolo “I
gruppi in comunità terapeutica” di Corulli e Olivero comparso nella Rivista Terapia di Comunità
nel 2011 che presenta:
7 Nell’ articolo “How therapeutic communities work: Specific factors related to positive outcome”, comparso nella
Rivista online “International Journal of Social Psychiatry” del 20 Luglio 2012, Steve Pearce and Hanna Pickard
(Oxford UK), riportando i dati delle recenti ricerche internazionali, sintetizzano i fondamentali fattori terapeutici
delle CT in: belongingess (appartenenza) e responsibility (responsabilizzazione). Affermano: “L' appartenenza
costituisce una fondamentale motivazione umana. L'ipotesi dell'appartenenza sostiene che: gli esseri umani hanno
una spinta pervasiva nel formare e mantenere almeno per un minimo quantitativo di tempo relazioni interpersonali
significative e positive. Soddisfare questa spinta coinvolge due criteri: in primo luogo c'è un bisogno di frequenti,
affettivamente cariche e piacevoli relazioni con alcune persone, e in secondo luogo queste interazioni devono
avvenire in un contesto temporale stabile e all'interno di una cornice duratura di preoccupazione affettiva reciproca
per il benessere degli altri (Baumeister & Leary, 1995, p. 497).
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sull’accoglienza,
gruppi di riabilitazione cognitiva,
gruppi per la crisi,
gruppi per capire la funzione psicofarmacologica,
piccoli gruppi terapeutici,
gruppi espressivi,
gruppi seniores,
gruppi sulla convivenza,
gruppi di rilassamento e tecniche non-verbali,
gruppi sportivi, weekend,
di inserimento lavorativo,
gruppi di auto-aiuto ecc.
Anche la psicoterapia di gruppo, rivolta a pazienti con disturbi di personalità ha uno spazio
significativo, a partire dal modello di Bateman e Fonagy, efficace per sviluppare la capacità di
mentalizzazione e la regolazione emotiva. Una particolare attenzione viene data al setting di questi
momenti, alle finalità, e ai referenti che coinvolgono il più possibile i residenti anche nella gestione
organizzativa.
E) INTERVENTI CON LE FAMIGLIE
Lo stato attuale di crisi e di evoluzione della famiglia tradizionale italiana, con le famiglie
ricomposte, i nuclei monoparentali, le crisi delle famiglie adottive e il fenomeno migratorio che
comporta lo sradicamento delle radici familiari, fa sì che sempre più i residenti delle comunità non
abbiano riferimenti stabili a livello familiare o ne siano del tutto carenti; questi fenomeni rendono
molto difficile progettare il dopo Comunità e stimolano a immaginare e ricercare un inserimento
nella rete locale prossima alla CT sia dal punto di vista di un’occupazione lavorativa che per le
possibilità abitative. Una menzione particolare meritano i fallimenti adottivi i cui figli spesso
arrivano all’attenzione dei Servizi e delle Comunità presentando duplici abbandoni (famiglia
biologica e famiglia adottiva) che esitano in gravi disturbi della personalità.
Quando invece questi legami sono ancora vivi, molto spesso avviene che il periodo di percorso
comunitario rappresenti per i familiari una grande opportunità per poter finalmente comprendere le
origini e la consistenza della sofferenza del congiunto e per poter apprendere nuove modalità di
interazione e di comportamento; per alcuni addirittura può costituire una illuminazione sulla propria
storia personale, sulla relazione di coppia e le traumaticità transgenerazionali che affliggono gran
parte delle famiglie dei residenti (Nicolò, 1995, Nicolò Taccani 1999; Nicolò Trapanese 2005).
Le CT possono curare in vari modi questa problematica, attraverso:
gruppi multifamiliari
incontri periodici con la coppia genitoriale,
gruppi multicoppie di genitori (Robert 2015).
Tali attività possono facilitare anche una collaborazione costruttiva e, laddove è possibile, aiutare il
sorgere di associazioni di familiari legati alla comunità ospitante, così da mettere a disposizione
risorse abitative o lavorative e accogliendo con una forma di auto-aiuto le nuove famiglie che
iniziano il percorso.
F) ATTIVITA’ RIABILITATIVE
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Le attività riabilitative comprendono:
i laboratori di arte terapia che svolgono una funzione integrata con le altre attività
psicoterapiche,
le attività a carattere espressivo,
i laboratori di piccola professionalizzazione
le attività di autogestione.
L’intervento di arte terapia si pone come obiettivo il rinforzo delle funzioni egoiche con lo sviluppo
delle funzioni di realtà e della stima di sé, ma anche quello di attivatore corporeo e espressivo-
creativo e, parallelamente, della crescita delle capacità relazionali, interpersonali e di
socializzazione, specie se queste attività sono svolte in gruppo. Le immagini, il movimento
corporeo, la musica e il canto, la scrittura, la pittura, il teatro, in quanto utilizzano simbologie e
rappresentazioni non prevalentemente o esclusivamente verbali, rappresentano un canale
privilegiato di accesso ai contenuti e ai vissuti più profondi. L’attenzione specifica e l’elaborazione
di tali contenuti agevola il processo terapeutico, facilita l’integrazione della personalità e mobilita le
risorse più creative e produttive dell’individuo.
L’arte terapia fornisce ai partecipanti ai laboratori uno spazio dove il risultato viene creato insieme e
“lo strumento” a volte utilizzato, anche se concreto, assume un significato simbolico, come
prolungamento del soggetto stesso, diventa un “oggetto-intermediario” attraverso il quale il
processo di interazione è facilitato prima ad un livello simbolico quindi ad uno più corporeo (si
pensi al suono che poi può diventare movimento, disegno dei propri/altrui confini, esplorazione
creativa nelle sue potenzialità relazionali) e poi espressione verbale.8
Le attività terapeutico - riabilitative che si svolgono in Comunità comprendono anche i laboratori di
piccola professionalizzazione, le attività socioterapeutiche, i programmi di inserimento sociale e
lavorativo. Lo scopo di queste attività non è soltanto tanto quello di produrre o di ottenere un
risultato utilizzabile nella vita quotidiana, ma di permettere l’espressione di vissuti interni con
modalità che non siano unicamente verbali.
Fanno parte delle attività riabilitative anche le attività di autogestione. L’obiettivo del lavoro della
Comunità Terapeutica non è unicamente quello di inserire gli affidati in cura in una "rete di
relazioni", ma anche quello di stimolare, attraverso la loro collaborazione all’organizzazione della
quotidianità, livelli di autonomia e responsabilizzazione.
In tutti i laboratori è possibile anche osservare dinamiche gruppali su cui poter lavorare negli
appositi spazi terapeutici.
I laboratori, siano essi di conduzione delle attività quotidiane oppure di espressione e creatività, si
svolgono sotto la guida di operatori esperti o maestri d’arte in grado di gestire, per formazione e
tirocinio, le emozioni e i movimenti dinamici collegati all’impegno nelle attività.
G) INTERVENTI A LIVELLO DELLA RETE SOCIALE ESTERNA
Il trattamento comunitario persegue, come scopo generale, l’acquisizione di capacità individuali
come l’autonomia psichica e di autogestione, tale da consentire ai residenti il reinserimento nel
tessuto sociale non protetto. Nei progetti terapeutico riabilitativi individualizzati della Comunità
Terapeutica deve essere prevista anche la possibilità di attivare almeno un dispositivo di inclusione
sociale e/o lavorativa. La Comunità deve tendere quindi ad utilizzare tutte le possibilità offerte dal
territorio, compresi: centri di orientamento al lavoro, centri per corsi di formazione, centri culturali
e ricreativi, commerciali, attività di volontariato, impianti sportivi, ecc. Qualora lo scopo del
trattamento comunitario preveda il reinserimento nel territorio di origine e l’acquisizione della
capacità di fruire delle risorse esistenti (ambulatori, centri diurni, case-famiglia, inserimenti in
8 La segnalazione dei partecipanti ai laboratori di arte terapia viene fatta in base a parametri che tengono conto,
oltre che di fattori psicopatologici, anche di problematiche relazionali e delle potenziali risorse individuali, in modo
da costituire gruppi il più possibile omogenei.
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cooperative integrate ecc.), per questa finalità si stilano progetti individualizzati assieme ai Servizi
di salute mentale invianti, in grado di attivare le risorse sul territorio e le Agenzie sociali a ciò
delegate.
Per i corsi di formazione si individuano quelli che il residente vuole ed è in grado di sostenere e lo
si supporta affinché metta in atto le pratiche burocratiche relative all'attuazione del progetto
formativo, anche attraverso un’azione di coordinamento con i docenti; per quanto riguarda il
reinserimento lavorativo, si individuano società disponibili, anche attraverso il ricorso ai Centri per
l'orientamento lavorativo e per avviare tirocini di lavoro attraverso i Centri per l'Impiego di zona.
Le attività di socializzazione sono momenti di osmosi con l’esterno e di verifica con la realtà sulle
proprie capacità e sul proprio processo di crescita. Proprio per questo motivo, durante il programma
terapeutico in Comunità, si fa riferimento al medico di base territoriale, agli ambulatori territoriali
per le visite specialistiche.
H) FUNZIONI DELLA LEADERSHIP DELLA COMUNITA' E DELLE FIGURE
PROFESSIONALI DELL’EQUIPE MULTIDISCIPLINARE
Premesso che la Comunità Terapeutica è una organizzazione molto complessa dove diventa
essenziale il continuo ricorso all’utilizzo del lavoro di gruppo, si richiede che al suo interno siano
definite le varie funzioni e responsabilità. Si tratta di differenziare ed integrare nel gruppo allargato,
costituito dall’intera istituzione comunitaria, i sottogruppi rappresentati dallo staff dei curanti, dai
pazienti, dal sottogruppo che ha funzioni organizzative e di governo generale della struttura.
In genere l’organizzazione delle Comunità Terapeutiche prevede sempre una sorta di comitato
direttivo e/o amministrativo rappresentato dai suoi organi statutari; una leadership con funzioni di
garanzia dell’indirizzo clinico, amministrativo, scientifico e culturale dell’intera istituzione,
conformemente alla sua storia e alla sua identità.
Ciascun gruppo deve saper mantenere un funzionamento prevalente secondo la modalità che Bion
definisce “gruppo di lavoro” che si caratterizza per la capacità di “cooperazione” da parte di tutti
gli individui che lo compongono per poter raggiungere gli obiettivi che il gruppo si è posto.
Il clima emotivo favorevole ai processi di sviluppo dell’intero gruppo comunitario - quello cioè
formato dall’insieme integrato di tutti i sottogruppi e dagli individui che li compongono, leaders e
followers - è sempre una funzione del gruppo di lavoro; pertanto i migliori leaders sono quelli che
sapranno influenzare il funzionamento dei gruppi che conducono, al fine di mantenerli ad un livello
di funzionamento orientato al “compito terapeutico”.
È compito della leadership della Comunità Terapeutica scegliere i collaboratori cui affidare la
conduzione dei gruppi e delle attività che comportano l’assunzione di maggiori responsabilità.
Inoltre, dovrà scegliere e formare anche le altre figure professionali dell’équipe multidisciplinare
della Comunità al fine di renderle consapevoli delle loro principali caratteristiche e compiti. Le
figure professionali necessarie per il buon funzionamento del dispositivo di cura comunitario sono:
medici psichiatri, psicologi, psicoterapeuti, infermieri, educatori, terapisti della riabilitazione,
assistenti sociali, esperti di attività espressive e riabilitative, tecnici amministrativi, personale socio
sanitario per la manutenzione quotidiana (pulizia, cucina, ecc.). Alcune normative regionali che
sostituiscono le figure psicologiche con quelle di OSS non rispettano questi criteri e contribuiscono
a invalidare la finalità terapeutica della comunità.
I) FORMAZIONE PERMANENTE DEGLI OPERATORI: SUPERVISIONE,
CONFERENZE CLINICHE E SUPPORTO AL RUOLO PROFESSIONALE CON
ESPERTI ESTERNI
Una dimensione che caratterizza il modello delle Comunità Terapeutiche riguarda la cura della
formazione permanente degli operatori, necessaria sia per la specificità del dispositivo terapeutico
che è effettuato dall'insieme coordinato degli interventi realizzati dal Gruppo Curante piuttosto che
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da una singola individualità, sia per l'impegno richiesto dalla quotidianità del contatto emotivo con i
residenti che comporta spesso una collusione con aspetti della patologia grave, che costituiscono un
fattore di rischio di burnout per il coinvolgimento tecnico e personale.
Le attività formative sono sia continuative e inserite nel dispositivo predisposto (supervisioni
regolari, riunione di équipe e microéquipe settimanali), sia specifiche intorno a particolari
problematiche e con esperti invitati ad hoc in incontri programmati, a seconda delle esigenze della
singola Comunità, sia con momenti di autoformazione, sia incluse nella stessa procedura di
valutazione tra pari del Visiting come momento di auto-etero osservazione e riflessione sul
funzionamento complessivo (vedi punto J)
La supervisione costituisce uno strumento di formazione permanente indispensabile per operatori
continuamente sollecitati da dinamiche relazionali particolarmente potenti nella forma di:
1.supervisioni delle singole équipe per l’analisi delle situazioni proiettive in atto, delle
problematiche dei pazienti e delle implicazioni emotive degli operatori e dei transfert multipli tra di
loro e verso l’istituzione;
2. la supervisione sulle dinamiche del gruppo allargato degli operatori;
3. la supervisione sui casi clinici.
Le supervisioni vengono svolte da psicoterapeuti, esperti in psicopatologie gravi, nel lavoro di
gruppo e nel lavoro nelle istituzioni, rigorosamente esterni al contesto quotidiano della Comunità
per ridurre al minimo accecamenti emotivi.
La supervisione, assieme ai seminari di formazione previsti dal Programma Scientifico delle
Comunità Terapeutiche, ha il compito anche di formare l'operatore all'accoglienza dei pazienti e dei
loro famigliari, alla relazione con i colleghi e con i Sanitari dei Servizi, al rispetto della privacy
durante l'esecuzione delle prestazioni, alla relazione con gli affidati in cura tenendo conto delle loro
condizioni psicopatologiche. Essendo il modo di lavorare e di comunicare nelle Comunità
Terapeutiche costantemente oggetto di osservazione, analisi e riflessione, gli operatori si avvalgono
di questi strumenti a sostegno del loro lavoro per affinare la capacità riflessiva e accrescere la
qualità della comunicazione allenandosi a leggere le dinamiche esplicite o implicite, reali o
immaginarie che si sviluppano nel campo comunitario.
Oltre ai momenti di supervisione, gli operatori della Comunità Terapeutica usufruiscono di altri
dispositivi formativi, quali Seminari con funzione di ricerca e approfondimento teorico della
esperienza, Seminari di aggiornamento, con la partecipazione di esperti esterni sulle varie discipline
e specializzazioni, seminari di autoformazione e di formazione su argomenti clinici o organizzativi.
Le Comunità Terapeutiche sono anche luoghi di formazione per tirocinanti provenienti dalle
Università, dalle Scuole di Specializzazione in psicoterapia, dai Master.
J) VALUTAZIONE E RICERCA PER IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITA’
La valutazione degli interventi residenziali è una necessità ormai sottolineata da diversi autori e
dalle indicazioni regionali in vista della promozione di pratiche di cura efficaci, per conoscere i
risultati e conferire valore a quello che si fa, per confrontarsi con altre esperienze simili uscendo
dall’isolamento autoreferenziale e soprattutto per migliorare la qualità della cura e per apprendere e
applicare strumenti e tecniche innovative (Donabedian, 1990; Migone, 1996; Roth&Fonagy, 1997;
Seligman, 1995; Lees, Manning, Menzies, Morant, 2004; Di Nuovo, Lo Verso, 2005).
La complessità del dispositivo comunitario non rende semplice la valutazione complessiva, e questo
spiega la scarsità di letteratura scientifica in questo campo9; oltre all’utilizzo periodico di strumenti
9 Le indicazioni della ricerca in questo campo vanno in queste direzioni: 1) confrontare un gran numero di CT così
da evidenziare relazioni tra variabili (durata permanenza, patologia utenza ecc.) 2) studiare singoli aspetti che
contribuiscono a creare un ambiente terapeutico (lavoro in gruppo, leadership, processi di responsabilizzazione ecc,
contatto con i familiari, con l’esterno ecc. e influenza sulla terapia dei pazienti) livello di competizione o
cooperazione fra gli operatori ecc. 3) mettere a fuoco la caratteristiche dei pazienti che più rispondono alla terapia
di CT e definire che cosa sia miglioramento 4) studi sulle motivazioni del drop-out (Manning e Rawilings 1997-
11
11
validati e di follow up relativamente agli esiti dei trattamenti individuali, una proposta di
valutazione specifica che coinvolge tutte le componenti della CT, proviene dal network di
Community of Communities , che dal 2000 ha introdotto un progetto strutturato di “visite” per
monitorare la qualità delle residenze (per adulti, minori e nelle carceri) e per ottenere
l’accreditamento e il finanziamento da parte del Servizio Sanitario Nazionale (ATC 2001).
Dal 2010 questo metodo di accreditamento tra pari è stato adattato da Mito &Realtà anche al
contesto italiano, promuovendo la diffusione del Visiting tra terne di CT in un’ottica di forte
collegamento tra formazione, valutazione e ricerca. Lo scopo è quello di favorire la conoscenza tra
comunità attraverso un processo di valutazione dei fattori terapeutici e strutturali, composto da una
fase di auto valutazione e una fase di etero valutazione tra pari, a partire da un manuale comune.
Questa valutazione, finalizzata all’acquisizione di consapevolezza delle CT sui propri punti di forza
e di debolezza, stimola un’azione immediata sulle criticità, attraverso la definizione di obiettivi di
miglioramento annuali e la collaborazione con le altre CT coinvolte attraverso una trasmissione di”
buone pratiche”.
Una ricerca finalizzata con l’approvazione del Ministero della Salute 10
si svolgerà nei prossimi anni
a livello nazionale con il coordinamento di Giovanni de Girolamo sul tema: ”L’uso del tempo
quotidiano, attività fisica, qualità delle cure e relazioni interpersonali in persone con disturbi dello
spettro schizofrenico: uno studio multicentrico” sarà un utile strumento di aggregazione di
numerose comunità pubbliche e private e DSM e potrà offrire una panoramica significativa non solo
dello stato attuale di “salute” dei pazienti, ma anche del funzionamento complessivo delle residenze
italiane.
K) RAPPORTI DELLE COMUNITA’ TERAPEUTICHE CON I SERVIZI INVIANTI E
LE ISTITUZIONI GIUDIZIARIE
La selezione dei pazienti che iniziano il programma terapeutico della Comunità, è legata alla
necessità dei Servizi di Salute Mentale di riferimento a condividere un progetto di cura.
La valutazione iniziale delle condizioni, dei bisogni di ciascun paziente, delle abilità e delle
disabilità specifiche, degli aspetti legati alla vita di relazione per la determinazione della gravità e
della complessità del quadro clinico e per la valutazione della compromissione del funzionamento
personale e sociale del paziente, viene effettuata in primis dalle unità di valutazione dei Servizi
invianti.
Il Servizio inviante propone quindi un Progetto Riabilitativo di trattamento con un dispositivo di
cura comunitario. In base a questo la Comunità propone a sua volta al paziente e al Servizio un
Progetto Terapeutico Riabilitativo Personalizzato. Per l'elaborazione del PTRP e la sua durata, le
Comunità Terapeutiche fanno generalmente riferimento a quanto previsto dal documento sulle
Strutture residenziali psichiatriche della Conferenza delle Regioni e delle Province autonome del 13
giugno 2013. Le Comunità quindi individuano al loro interno un case manager e nella famiglia del
paziente il caregiver di riferimento che si interfacciano anche con il Servizio inviante.
Gli psichiatri che operano nelle Comunità collaborano con i sanitari dei Servizi di Salute Mentale
invianti (specialmente nelle fasi di ingresso e di uscita o nella gestione di cambiamenti sostanziali
della terapia) in quanto principali referenti dei loro pazienti ancorché inseriti nelle strutture
comunitarie. A loro spetta il controllo periodico della terapia farmacologica che viene prescritta e
monitorata, mirando ad una sempre maggiore consapevolezza e collaborazione del residente, con il
1999)
10
Lo studio è interamente finanziato, per una durata triennale, dal Bando della Ricerca Finalizzata 2018 (fondi
2016-2017) del Ministero della Salute (codice RF-2018-12365514).
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12
criterio “dei dosaggi minimi efficaci” e al controllo periodico degli effetti collaterali derivanti
dall’uso di psicofarmaci effettuato attraverso le analisi periodiche per tutti i residenti.
Le informazioni relative all'attuazione poi del piano assistenziale e terapeutico riabilitativo sono
trasmesse nel corso delle riunioni periodiche (previste generalmente ogni 2–6 mesi) effettuate tra gli
operatori referenti delle Comunità e quelli dei Servizi invianti al fine di osservare l’andamento del
programma terapeutico concordato. L’incaricato dell’équipe della Comunità, generalmente ogni 6
mesi redige una relazione circa il percorso comunitario del residente, che viene inviata ai Servizi
invianti insieme al PTRP, alla relazione psichiatrica, ai punteggi raccolti dal Responsabile delle
Valutazioni attraverso la somministrazione delle scale di valutazione. L'analisi dei punteggi di tali
scale di valutazione contribuisce alla stesura della formulazione del nuovo PTRP.
Il processo di dimissioni è messo a punto tramite riunioni programmate con: l'assistito, i suoi
famigliari, i referenti del Servizio inviante e l'equipe della Comunità. Tale processo porta alla
stesura di un progetto di uscita che di norma prevede i tempi di realizzazione, le indicazioni
terapeutiche psicofarmacologiche e psicoterapeutiche e le modalità di accompagnamento per
rendere fattibile tale progetto. Le varie soluzioni comprendono la preparazione ad una autonomia
esistenziale e abitativa; il rientro in famiglia, con il sostegno del Servizio di Salute mentale; il
passaggio ad un'altra struttura terapeutico-riabilitativa a minore o maggiore intensità assistenziale o
soluzioni miste da concordare in ogni caso specifico.
Inoltre la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 2003, dichiarando la illegittimità dell’ art.
222 del codice penale (Ricovero in Ospedale Psichiatrico Giudiziario) e consentendo pertanto al
Giudice si adottare in alternativa al ricovero in OPG un diverso provvedimento, ha fatto sì che
attualmente nelle sedi della psichiatria residenziale siano ospitati un 25% dei pazienti che abbiano
anche in corso provvedimenti giudiziari ( ex OPG, arresti, affidi, messa alla prova ECC.). Infatti
alcuni residenti con disturbi di personalità, che frequentemente hanno un quadro complicato dall’
uso di sostanze (comorbilità), hanno in corso provvedimenti giudiziari a seguito di comportamenti
sociali pericolosi per la collettività, ma dei quali non possono considerarsi pienamente responsabili.
E’ imprescindibile quindi il collegamento anche con l’istituzione giudiziaria e la possibilità di un
dialogo e un progetto condiviso finalizzato a monitorare anche questi aspetti.
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Allegato 1 Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017
Definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza,
pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana in data 18 marzo
16
16
Art. 33.
Assistenza sociosanitaria semiresidenziale e residenziale alle persone con disturbi mentali 0 Nell’ambito dell’assistenza semiresidenziale e residenziale, il Servizio sanitario nazionale
garantisce alle persone con disturbi mentali, previa valutazione multidimensionale, definizione di un programma terapeutico individualizzato e presa in carico, i trattamenti terapeuti-co-riabilitativi e i trattamenti socio-riabilitativi, con pro-grammi differenziati per intensità, complessità e durata. I trattamenti includono le prestazioni necessarie ed appropriate, mediante l’impiego di metodi e strumenti basati sulle più avanzate evidenze scientifiche nei seguenti ambiti di attività:
accoglienza; attuazione e verifica del Progetto terapeutico riabilitativo individuale, in collaborazione con il
Centro di salute mentale di riferimento; visite psichiatriche; prescrizione, somministrazione e monitoraggio di terapie farmacologiche; colloqui psicologico-clinici; psicoterapia (individuale, di coppia, familiare, di gruppo); interventi terapeutico-riabilitativi, psico-educativi e socio-educativi finalizzati al recupero
dell’autonomia personale, sociale e lavorativa; interventi sulla rete sociale formale e informale; collaborazione con i medici di medicina generale.
2. In relazione al livello di intensità assistenziale, l’assistenza residenziale si articola nelle seguenti
tipologie di trattamento: a) trattamenti terapeutico-riabilitativi ad alta intensità riabilitativa ed elevata tutela sanitaria (carattere intensivo), rivolti a pazienti con gravi compromissioni del funzionamento personale e sociale, anche nella fase della post-acuzie. I trattamenti, della durata massima di 18 mesi, prorogabili per ulteriori 6 mesi in accordo con il centro di salute mentale di riferimento, sono erogati nell’ambito di strutture che garantiscono la presenza di personale sanitario e socio-sanitario sulle 24 ore; b) trattamenti terapeutico-riabilitativi a carattere estensivo, rivolti a pazienti stabilizzati con compromissioni del funzionamento personale e sociale di gravità moderata, che richiedono interventi a media intensità riabilitativa. I trattamenti, della durata massima di 36 mesi, prorogabili per ulteriori 12 mesi in accordo con il centro di salute mentale di riferimento, sono erogati nell’ambito di strutture che garantiscono la presenza di personale socio-sanitario sulle 24 ore; c) trattamenti socio-riabilitativi, rivolti a pazienti non assistibili nel proprio contesto familiare e con quadri variabili di autosufficienza e di compromissione del funzionamento personale e sociale, che richiedono interventi a bassa intensità riabilitativa. La durata dei programmi è definita nel Progetto terapeutico riabilitativo individuale. In considerazione del diverso impegno assistenziale necessario in relazione alle condizioni degli ospiti, le strutture residenziali socio-riabilitative possono articolarsi in più moduli, differenziati in base alla presenza di persona-le sociosanitario nell’arco della giornata.
3. Nell’ambito dell’assistenza semiresidenziale il Servizio sanitario nazionale garantisce trattamenti terapeutico-riabilitativi erogati da équipe multiprofessionali in strutture attive almeno 6 ore al giorno, per almeno cinque giorni la settimana.
4. I trattamenti residenziali terapeutico-riabilitativi intensivi ed estensivi di cui al comma 2, lettere a) e b) sono a totale carico del Servizio sanitario nazionale. I tratta-menti residenziali socio-riabilitativi di cui al comma 2, lettera c) sono a carico del Servizio sanitario nazionale per una quota pari al 40 per cento della tariffa giornaliera. I trattamenti semiresidenziali terapeutico-riabilitativi di cui al comma 3 sono a totale carico del Servizio sanitario nazionale.
5. Ai soggetti cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia sono garantiti trattamenti residenziali terapeutico-riabilitativi a carattere intensivo ed estensivo nelle strutture residenziali di cui alla legge n. 9 del 2012 ed al decreto ministeriale 1 ottobre 2012 (residenze per l’esecuzione delle misure di
17
17
sicurezza). I trattamenti sono a totale carico del Servizio sanitario nazionale.