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Direct Marketing Marketing Comunicazione d’impresa Anno 23 - nº. 6 del 2010 direttore Ugo Canonici Internet Far del bene fa bene Il futuro della Rete è nomade Multicanalità La gestione delle obiezioni pag. 16 DM & Comunicazione Organo d’informazione del Club C3 Marketing Comunicazione d mc & Poste Italiane S.p.A. Sped in a.p. - d.l. 353/2003 conv. l. 46/2004. art1.c.1 - LO/MI - Mensile - 5 Euro

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dm&c 06 2010

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Direct Marketing Marketing Comunicazione d’impresa

Anno 23 - nº. 6 del 2010

direttore Ugo Canonici

Internet

Far del benefa bene

Il futurodella Reteè nomade

Multicanalità

La gestionedelle obiezioni

pag. 16

DM & ComunicazioneOrgano d’informazionedel Club C3

Marketing

Comunicazione

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Utenti di comunicazione 61,3 %

Agenzie di comunicazione e meeting planners 26,7 %

Concessionari, editori 2,4 %

Associazioni professionali, Pubblica Amministrazione 5,9 %

Varie 3,7 %

I lettori di dm&c da un’indagine del Maggio 2010

Titolari, presidenti, amministratori 21,8 %

Commerciale, marketing 46,1%

Direzione pubblicità, responsabile Rel. Est. 24,2 %

Media 3,2 %

Creativi - direttori 2,6 %

Varie aziendali 2,1%

QUALE FUNZIONE HANNO IN AZIENDAA QUALI AZIENDE APPARTENGONO

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DMC SET-OTT08ok:dmc Gen/Feb08 14-06-2010 18:11 Page 4

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EDITORIALE

7 Trovare tempo per avere tempo di Ugo Canonici

MARKETING

20 Multicanalità di Andrea Boscaro24 Se non è etico non è vero WOMM di Marco Maglio34 Opportunità in tempi di crisi di Axel Lo Guzzo42 Da cliente a cliente-fedele di Antonio Ferrandina58 “Mi è venuta un’idea che vi racconto” di Erminia Casadei

PENSIERO LIBERO

62 Linguaggio e potere di Alessandro Lucchini

LA NOTA

8 Glocalizzazione di Guido Montacchini

MOTIVAZIONE

32 Dove andiamo quest’anno? di Fabrizia Vania Calzavara

COMUNICAZIONE

10 Inventare e coinvolgere di Grazia De Benedetti13 Far del bene fa bene di B.C. 16 La gestione delle obiezioni di Ivonne Porto18 Turismo dell’orrore di Pier Giorgio Cozzi22 Perché il pubblico capisca di Emiliano Ricci 26 Comunicare in stile retrò di Domenico Matarazzo28 Parlare in pubblico: questione di stile di Ugo Clima36 Il futuro della rete è nomade di Carlo Cremona39 Conoscenza e Comunicazione di Bruno Calchera

COMUNICARE CON I CONVEGNI

56 Liguria “TERRADAMARE” di Giovanna Risso

RUBRICHE

44 Informalibri48 Fatti & Persone52 Comunicazione & Benessere54 Comunicazione Sociale60 Club dell’Osso

SommarioAnno 23 - no 6 del 2010

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dmc&Direct Marketing Marketing Comunicazione d’impresa

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Che la risorsa più importante e più preziosa, oggi, sia il tempo, credo che non lo possa negare proprio nessuno.

E infatti tutti noi spesso abbiamo sentito dire ( e abbiamo detto) “mi spiace, non ce l’ho fatta proprio. Mi sarebbe piaciuto, ma non ho avuto tempo…”. “Verrei volentieri, ma ho tanti impegni”. “Ah, se il tempo non fosse sempre tiranno!”. “Vorrei leggere di più, ma …”.E questo non vale solo per il quotidiano o per appuntamenti di secondaria im-portanza. Perché capita anche di sentir dire: “Quanto avrei voluto poter seguire la crescita dei miei figli, star loro vicino, essere un punto di riferimento. Adesso me li trovo grandi e quasi non ci conosciamo. Ma sai, non avevo tempo…”. “Mi piacerebbe dedicarmi un po’ al mio fisico, alla cura della mia salute, ma, cosa vuoi, non ho mai il tempo…”.No. Non intendo giocare a questo gioco. E non sono disposto a credere a quanto viene detto. Mi sembra un modo per cercare delle scuse a se stessi quando ci si accorge di avere sbagliato. Si sa, siamo sempre pronti a perdonarci!Ho letto una frase in un bel libro di Tiziano Terzani “trovare il tempo per avere tempo”. Se vogliamo, se sappiamo dare il giusto peso alle scelte, il tempo lo troviamo.Questo vale anche per il lavoro.Oggi stiamo vivendo un periodo di accelerazione spaventosa di tutto. Qualunque lavoro tu faccia, questo ti viene richiesto per ieri.Nel mondo della comunicazione ci si è accorti che c’è anche il giorno prima di ieri. Un mercato asfittico poi ti impone quasi di dover dire di si anche a richieste che in sé hanno già una dichiarazione: “non ti lascio il tempo per pensare”.Lo so, vale per tutti i lavori. Ma in special modo nella comunicazione: ci vuole il tempo per riflettere.La comunicazione deve giocare su tanti fattori, di tipo sociale, psicologico, emo-tivo. Deve guardarsi intorno per saper utilizzare l’attualità e rifuggire il déja vu. Deve recepire il briefing , lasciarlo sedimentare e poi proporre la giusta risposta.E per tutto questo ci vuole del tempo. Un tempo che l’interpellato deve trovare ma che anche il richiedente deve sapere che è necessario. Necessario nel suo interesse. Per avere una proposta che non poggi solo sulle capacità tecniche, sul mestiere, sul “riciclaggio” di un successo precedente.Se ci si accontenta, magari va bene anche così. Ma ne vale la pena? Quando sarebbe bastato, magari, trovare il tempo per avere tempo di richiedere le cose con un giusto anticipo… no6 - 2010 - dm&c 7

Trovare il tempoper avere tempo

Ugo Canonici

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Editoriale

E ci si è messo pure un vulcano dal nome impronunciabile - Eyjafjal-lajökul - su di un’isola in un angolo defilato del mondo, con la sua nuvola di cenere blocca per una settimana lo

spazio aereo di mezza Europa. I primi segnali si erano avvertiti già nei giorni successivi all’11 settembre del 2001 quando lo sgomento e lo smarrimento per gli attacchi terroristici in Ame-rica hanno di fatto paralizzato i trasporti mondiali. Ma allora l’attenzione era tutta rivolta al-trove. Qualche anno dopo, la peggior crisi della storia moder-na travolge i mercati e le eco-nomie di stati e individui. Nel frattempo le coscienze si risve-gliano ecologiste e si vede e si pensa tutto “green”; si guarda con entusiasmo alle fonti ener-getiche alternative come il sole e si cerca di accorciare la filiera di distribuzione per ridurre le

emissioni di anidride carbonica.Le tensioni tra occidente industria-lizzato in crisi e paesi emergenti in espansione sommessamente si accentuano e si sviluppa in modo

leggero ma dilagante una diffusa attenzione del consumatore e delle pubbliche amministrazioni verso la provenienza dei prodotti o dei servi-zi che si acquistano.Nel 2007 a Torino nasce “Eataly”, nella storica sede della ex-fabbrica Carpano, che, riunendo un gruppo di piccole aziende che operano in di-versi comparti di nicchia del settore enogastronomico, propone il meglio delle produzioni artigianali locali accorciando al massimo la catena distributiva. Nel giro di pochissimi anni ha aperto punti vendita a Mila-no, Bologna, Pinerolo, Asti e Tokyo.Cosa c’entrano tutte queste cose tra loro: un vulcano, la crisi, il terrori-smo, la green economy, il “made in”, lo slow food? Forse nulla, ma sono sicuramente segnali che qualcosa sta cambiando, che è giunto il momen-to di cambiare, per andare oltre il modello di un globalizzazione estre-ma che è un po’ sfuggito al control-lo o che non è stato probabilmente pilotato con la dovuta saggezza, de-finendo regole e tempi in modo da consentire un processo di trasforma-zione armonico e non traumatico.

-

Guido Montacchini

E’ possibile un nuovo equilibrio che possa far convive-re aspetti e vantaggi del mercato globale con lo svilup-po e i valori locali. Non lasciamoci sfuggire l’occasione

Una opportunità per impostare una nuova strategia

Glocalizzazione

La Nota

dm&c - no6 - 20108

Che stiano maturando i tempi per la glocalizzazione? Glocalizzazio-ne è un neologismo introdotto dal sociologo Zygmunt Bauman già a fine anni novanta che fonde 2 con-cetti apparentemente contradditori di globalizzazione e localizzazione. Fino ad oggi è stato strumentalmen-te sbandierato a scopi principalmen-te commerciali per addolcire o ma-scherare in realtà approcci globali molto spinti (mi viene ad esempio in mente il Mc-Italy di McDonald).Ma il significato più profondo del termine indica in realtà una ricetta estremamente potente, una strada ed una soluzione verso uno sviluppo so-stenibile ed equilibrato che può solo portare vantaggi a tutti.Glocalizzazione è una evoluzione della globalizzazione, una opportu-nità di imparare dagli errori del pas-sato e di iniziare una nuova fase di sviluppo che consenta di coniugare gli indiscutibili vantaggi che la glo-balizzazione ha portato con i valori, le diversità, le specificità, i grandi patrimoni locali (cultura, religione, storia, cibo, flora, fauna, clima, pae-saggio, architettura, tecnologia, atti-tudini, abitudini, costumi…).Questo non vuol dire solo che la grande multinazionale che produ-ce su scala mondiale deve effettuare una leggera (e apparente) personaliz-zazione del proprio prodotto globale per meglio cogliere le opportunità del mercato locale – oggi la perce-zione più diffusa di glocalizzazione – ma potrebbe anche voler dire ad esempio utilizzare al meglio le carat-teristiche specifiche locali di ciascun territorio e relativi abitanti (non unicamente il costo della manodo-pera) per contribuire alle diverse fasi di realizzazione del prodotto stesso, dall’idea, alla progettazione, all’in-dustrializzazione, alla produzione, alla promozione e vendita.C’è un inglese, un tedesco, un fran-cese e un italiano… incominciano così molte barzellette che ricordo dalla mia infanzia. Non mi ricordo purtroppo il finale ma si rivelano

essere delle vere e pro-prie perle di saggezza popolare, una esaltazione delle ca-ratteristiche, delle diverse capacità e approcci di ciascun popolo.Il blocco dei trasporti causato dappri-ma dagli attacchi terroristici e poi dal vulcano potrebbero suggerire model-li produttivi che combinano insieme le esigenze di efficienza di grossi poli produttivi (magari in paesi a basso costo) con centri di eccellenza di di-mensioni più piccole per serie limita-te ad alto valore aggiunto diffuse sul territorio, accontentando anche gli ecologisti con prodotti a km zero (o quasi). La crisi economica e la con-sapevolezza della necessità del recu-pero di competitività dei paesi più sviluppati ha sicuramente gettato le basi per una svolta innovativa nelle relazioni industriali che apre nuove e inesplorate opportunità.Leggo sul giornale che in Cina stan-no mappando geneticamente tut-ti i più importanti vitigni italiani nell’ottica, si può immaginare, di riprodurre i più prestigiosi vini ita-liani. Mi domando: può un Brunello di Montalcino made in China, anche se geneticamente identico, suscitare le stesse emozioni di un bicchiere di Brunello Doc che evoca, nei tanti ita-liani e stranieri passati di lì, con le sue note di profumi e sapori, il ricordo di una vacanza toscana e di un bacio scambiato sotto le mura del castello di Montalcino, alla vista delle dolci colline senesi? Perché invece non va-lorizzare ed esportare con altrettan-ta passione uno dei tanti eccellenti prodotti locali cinesi suscitando al-trettante emozioni nell’evocare ma-gari il ricordo di un bacio scambiato all’ombra della grande muraglia in occasione del Dragon boat festival?E’ necessario costruire una Venezia di “cartone” nel deserto per attrarre i turisti in Uzbekistan oppure si posso-no valorizzare le antiche architetture islamiche di Samarcanda per offrire una più ampia alternativa al viaggia-tore curioso difendendolo dall’ap-piattimento globale?

E se alberi e panchine non fossero più arredi fissi? In una piazzetta uni-versitaria di Vienna, grazie a Ester-ni, si possono spostare dove si vuole alberi e sedute (montati su carretti), trasformando il luogo per goderne a piacimento, a seconda delle circo-stanze e della luce. Da 15 anni questa è la modalità di Esterni: tanta cre-atività per valorizzare gli spazi pub-blici e proporre un modo diverso di abitare la città. L’associazione infatti è nata dalla sfida di una ventina di giovani che non si trovavano bene nella Milano degli anni ‘90, ma non volevano andarsene. Tutti laureati, dovevano inventarsi un motivo per restare, anche come lavoro.A Milano non succede niente. Perchè non provare a cambiarla? Promuovere l’incontro tra persone, l’aggregazione sociale, riscoprire e dare un senso agli spazi pubblici: su questi ideali hanno cominciato a muoversi.

Tre progetti per cominciare

All’inizio furono tre progetti: il Con-trosalone del Mobile, lo Sciopero

dei telespettatori e il Milano Film Festival. Poichè il Salone del Mobile si svolgeva in una struttura, Esterni fece le sue proposte in luoghi aper-ti e pubblici, un’idea poi sviluppata in altre manifestazioni, come la set-timana del design. Lo sciopero inve-ce nacque in alternativa alla Tv, che fagocita l’attenzione della gente: un tram in cui godere di musica e poe-sia, conditi con cibo e bevande. Da allora, nel giorno dello Sciopero, iniziative e sconti per alcuni spetta-coli a chi si presenta col telecoman-do. La passione per il cinema suggerì il Festival: film indipendenti, di qua-lità, di giovani registi e produttori, proiettati in tutta la città, grazie an-che alla collaborazione col Piccolo Teatro, e molto seguiti dal pubblico giovane.

Una piazza da colorare

Esterni continua a sperimentare nuovi modi di comunicare, con ri-sultati interessanti, a volte artistici. Nel 1996, ad esempio, invitò nel-la piazza della Borsa operatori del mondo del design a cui fu chiesto

Grazia De Benedetti

Esterni da anni dialoga con le persone e con gli spazi per un modo diverso di vivere la città. Anche questo è un modo per attivare una comunicazione

Inventare e coinvolgere

Comunicazione

dm&c - no6 - 201010

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Confronto, ricambio, coerenza

di indossare una tuta bianca. Il luogo, attorniato da edifici bianchi, si ammantò di un candore suggestivo, tanto da giocarci: la piazza fu chiusa e per uscire bisognava colorare sé e gli altri! Spettacolo e di-vertimento con 2500 adulti intenti a dipingersi l’un l’al-tro e a trasformare lo spazio in un mondo coloratissimo.Il gruppo lavora così, ide-ando e producendo eventi culturali, campagne di co-municazione, progetti spe-rimentali, public art per lo spazio pubblico, al servizio di aziende profit e no profit, cittadini, amministrazioni. Si caratterizza per l’osservazio-ne attenta delle città, la creatività, l’approccio responsabile e sostenibi-le, così come per l’uso di molteplici linguaggi, dall’arte alle nuove tecno-logie, e la capacità di dialogare con comunità di persone piuttosto che con target.

Lo stile Esterni

Esiste uno stile Esterni? -Ci sono alcuni format che ripetia-mo, -spiega il presidente dell’asso-ciazione, Beniamino Saibene - ma ci stanchiamo e cambiamo ogni anno, perchè ci interessa sperimen-tare. Ogni progetto pensato, ideato e realizzato diviene parte integrante della vita dell’associazione e dei suoi membri. Molti di loro si for-mano qui, poi vanno verso lavori più remunerati. Lo stile muta a seconda delle persone che fanno parte di Esterni (anche gli stagisti vi contribuiscono), perciò lo stile è cambiare ed è sempre giovane. Le idee nascono da questo continuo ricambio di persone, dal lavoro di gruppo (noi viviamo molto insieme) e dal confronto con gli altri, anche di generazioni e paesi

diversi-. L’associazione infatti ha molti con-tatti con altre realtà, anche all’estero, attraverso collaboratori stranieri, e un continuo flusso di informazioni: i ragazzi di Esterni captano, si infor-mano, partecipano a mostre, riesco-no a farsi invitare a manifestazioni internazionali e lanciano concorsi a cui aderiscono da tutto il mondo. A “In un parcheggio di 2x5 metri, cosa ci faresti?” hanno risposto con 800 progetti, diventati 1400 alla se-conda edizione. I 10 progetti selezio-nati vengono esposti nella Settima-na del design e l’associazione aiuta

a realizzarli, con un finanziamento di 2mila euro. Stile e creatività ab-bracciano anche gli oggetti che sono usati per gli eventi: i “made in Esterni”, disegnati e realizzati in proprio o da arti-giani amici, oltre a dare visibilità, spes-so, in seguito al suc-cesso ottenuto, vengono affittati o venduti. Questi arredi però restano di produzione sartoriale, cioè non diventano mai di serie.

L’azienda si inserisce

-Una nostra caratteristica è che non riusciamo a fare comunicazione per un prodotto che non ci interessa. Se ad un’azienda piace il tipo di atmo-sfera che creiamo, essa trova il modo di inserirsi e collaborare. E’ successo per il lancio di una bir-ra: noi portavamo in giro per l’Italia l’“Amacaparking”, cioè avevamo so-stituito le auto posteggiate con ama-che e proposte culturali, lo sponsor si è inserito con un bar dove vendeva il suo prodotto. Il FAI invece voleva comunicare ad un pubblico giovane i suoi valori fondanti e l’idea che la cultura può essere divertente. Con loro abbiamo lavorato a “Alla ri-scossa”, gioco a squadre con 60 pro-ve per riscoprire la città. E’ una specie di caccia al tesoro, ma si svolge in 24 ore e alcuni ostacoli van-no superati da tutti i gruppi insieme. Ad esempio nell’edi-zione di quest’anno, la seconda, alle 5 del mattino, bisognava cercare un violinista per cantare tutti in coro “Nessun dor-ma” davanti al Tea-tro alla Scala!-

Fiducia valore del messaggio

Divertirsi lavorando è nel DNA di Esterni. Un po’ “pierini”, questi ra-gazzi amano provocare per far riflet-tere su argomenti di cui non si par-la e per incidere sul pubblico e sui media. Nascono così ironici “falsi d’autore”, come con “Sorridi sei su Ecopas”, cartelli e finte telecamere, simil Grande Fratello, nelle vie cit-tadine, e la campagna “Poveri voi”, in cui si sono inventati un progetto di finte ong che invitavano gli Ita-liani ad andare in Africa perchè “gli Africani hanno molto da insegnare”. Quest’ultima, presa sul serio, è uscita sui media ed ha avuto una certa dif-fusione. Il segreto di Esterni è nell’a-ver mantenuto gli ideali che l’hanno fatta nascere e nel coinvolgimento della gente, basato molto sul passa-parola: -Le persone hanno fiducia in noi, -conclude Beniamino Saibene. -perché siamo coerenti e non ci fac-ciamo comprare. Il rapporto così si è sedimentato e ha dato valore al no-stro messaggio-.

Comunicazione

Dal 1995 l’associazio-ne si è ingrandita molto (una quarantina di per-sone) e può contare su una fitta rete di validi collaboratori. Tra le varie attività, Esterni è uno dei part-ner del progetto cascina Cuccagna, che si propo-ne di restaurare e far ri-vivere un’antica cascina nel centro di Milano. Il gruppo si dedica anche a fare formazione nelle università e nelle scuo-le. Di recente, la stes-sa inaugurazione della nuova sede, a cui “tutta la città” era invitata, è stata l’occasione, tra divertimento, musica e cibi, per scoprire uno spazio in un quartiere “distante” e il Labora-torio Creativo sullo Spa-zio Pubblico, progetto di rivalutazione di quella zona, ma anche degli altri quartieri milanesi. Le serate, o Open Source, ogni martedì, sono pen-sati anche in questa ot-tica. Vari progetti sono patrocinati e sostenuti dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali o da altre istituzioni. www.esterni.org

L’associazione oggi

dm&c - no6 - 201012

Festa all’Hangar Bicocca, con le torri di Kiefer

Recentemente è stato presentato un importante accordo tra Banco Infor-matico, Tecnologico e Biomedico e la charity americana Techsoup , per la fornitura quasi gratuita alle Orga-nizzazione Non Profit di software e hardware di Microsoft , SAP e Cisco System. E’ un grande impulso che il Banco Informatico ha ottenuto nel merca-to dell’alta tecnologia, ma anche un grande riconoscimento della serietà di questa iniziativa. Stefano Sala, fondatore del Banco, è un imprendi-tore e si occupa di tutt’altro.

Come è nata l’idea del Banco Informatico? Il Banco Informatico è nato nel 2003 da alcune semplici osservazioni del-la realtà: da una parte l’evidenza che molte aziende ogni 2 o 3 anni deci-dono di cambiare la propria attrez-zatura informatica non perché essa non sia più funzionante ma perché obsoleta per le nuove esigenze e i nuovi programmi software sempre più demanding; dall’altra ci sono molte organizzazioni non profit, non solo nelle terre povere e lontane

ma anche dietro l’angolo della gran-de Milano, per le quali quegli stessi PC, obsoleti per le aziende, sarebbero una risorsa fondamentale per cercare di essere più efficienti. Noi del Banco Informatico non abbiamo fatto altro che mettere insieme queste due esi-genze viste sul mercato.

Quali sono state le difficoltà che sono sorte e che ha dovuto superare?La prima difficoltà, che è ancora quella di adesso, è quella del cam-biamento culturale e della mentalità. Cioè: “se tu non utilizzi più un bene elettronico perché lo butti via prima di chiederti: ma potrebbe forse servi-re a qualcun altro meno fortunato di me?” Non è altro che ritornare alla saggezza dei nostri nonni o dei nostri genitori che quando noi, da bambini, crescevamo di statura, prendevano i nostri vecchi vestiti e dopo averli la-vati e stirati (perché anche i poveri hanno una dignità!) li portavano in parrocchia perché potessero essere destinati a chi non aveva di che co-prirsi. Oggi i beni elettronici sono i nuovi “vestiti”, perché con l’avvento no6 - 2010 - dm&c 13

B.C.

Il Banco Informatico cresce

Far del benefa bene

Comunicazione

-

Una comunicazione mirata e personalizzata è indi-spensabile per far sviluppare una iniziativa di gran-de portata sociale. dm&c è pronta a far la sua parte

Stefano SalaPresidente Biteb onlusvia di Vittorio, 6120068 Peschiera Borromeo (Mi)tel. +39 02 54.77.45.01fax +39 02 55.30.60.25

della comunicazione e dell’informa-tica di massa il mondo ha cambiato velocità e quindi chi non ha la tec-nologia informatica è ancora più svantaggiato di prima. Fortunatamente molte aziende han-no cominciato a “intuire” questo messaggio e soprattutto hanno co-minciato a capire che “far del bene” a chi gli sta intorno è parte della pro-pria mission e può dare anche inte-ressanti ripercussioni economiche vantaggiose. Ma molto c’è ancora da fare: si sti-ma infatti che solo il 10% dei PC che vengono eliminati vengano conse-gnati a chi li può sistemare e riporta-re in vita per nuovi usi.

Ritiene che nel nostro Paese il Volontariato abbia un ruolo? Se ne parla tanto e molti riten-gono che senza la presenza di professionisti autorevoli è ben difficile valorizzare questa im-portante risorsa umana. Quali sono le ragioni e le con-dizioni per mantenere desta l’attività volontaria ? Come sti-molare un ruolo attivo in un settore, quello dell’alta tecno-logia, che per natura pare fatto per alcuni e non per tutti?E’ sotto gli occhi di tutti quanto bene il Volontariato faccia in Italia. E la crisi economica ha messo in luce come senza l’aiuto materiale di tante associazioni volontarie ci sarebbe un livello di povertà molto superiore a quello attuale. Tuttavia anche il mondo del Vo-lontariato, a mio parere, deve porsi questa domanda: come posso fare meglio il mio lavoro di aiuto sociale? Ecco che il progetto Techsoup re-centemente presentato in Italia con il quale tutto il mondo del no profit potrà avere accesso alle più moderne tecnologie informatiche di Micro-soft, Cisco e SAP a costi molto vicino alla gratuità (con una media 96% di sconto) è un contributo decisivo per aumentare l’efficienza di chi tutti i giorni è sul campo a far del bene.

Come ha comunicato la sua iniziativa per consolidare un processo di raccolta e ridistri-buzione di Personal Computer e Software per il III settore? Si dice che una notizia sulla stampa non basti mai, ma che occorra una stabile comunica-zione mirata e personalizzata. Anche Lei ha fatto così? Come potrebbe descrivere i passi del-la Comunicazione del Banco In-formatico?Purtroppo non si fa mai abbastanza comunicazione e anzi la sua doman-da è uno stimolo per noi per poter fare ancora meglio. Ad oggi abbiamo cercato di comunicare inizialmente in modo mirato non avendo tante risorse economiche a disposizione. Ci siamo rivolti inizialmente ai re-sponsabili IT delle principali aziende italiane, poi ai cosiddetti CSR mana-gers ( i responsabili delle iniziative sociali) però poi abbiamo visto che per fare queste iniziative di donazio-ne, ancorché di attrezzature infor-matiche obsolete, è fondamentale condividere i valori d’impresa. E così siamo arrivati a parlare con i CEO senza i quali questi progetti stentano a decollare.

Si dice anche spesso che “nulla valga più di un incontro”. Che ne pensa? Che ruolo hanno avu-to nel percorso da Lei avviato? Gli incontri sono decisivi: tutto quel-lo che io ho capito nella vita l’ho ca-pito “scontrandomi“ o incontrando persone, fatti o avvenimenti che mi hanno fatto capire qualcosa di più. Il Banco Informatico è nato pro-prio da alcuni incontri “decisivi”:ad esempio l’incontro con don Panizza, prete genovese e attuale vescovo del “cono norte” di Lima in Perù. E’ sta-to il primo che, raccontandomi, la sua avventura nella costruzione di un’Università di Economia e Com-mercio proprio nelle zone più povere di Lima, manifestandomi la sua esi-genza di avere dei PC mi ha messo in moto nella verifica dello start up

Comunicazione

dm&c - no6 - 201014

del Banco Informatico come possibi-lità strutturata di ritiro e donazione di PC. Oppure l’incontro con Ettore Soranzo, ingegnere padovano, che lavorava in alcuni ospedali della Terra Santa. Ci ha fatto venire l’i-dea di estendere l’attività del Banco Informatico anche alle attrezzature dismesse degli ospedali e ad oggi, a partire da quell’incontro, abbiamo svolto più di 70 progetti di coopera-zione internazionale.

Il Banco Informatico sembra la classica iniziativa di natura sussidiaria. Come potrebbe in-fatti una azienda, un Ente pub-blico operare in” modo oriz-zontale” su tutto il mercato ed essere utile là dove emerge il bi-sogno se quest’ultimo non po-tesse trovare un presidio sicuro dove ancorarsi? Le chiedo: c’è questa mentalità nel nostro pa-ese? La sussidiarietà è davvero un modo nuovo di concepire la relazione tra cittadino e istitu-zione, tra aiuto e bisogno? Che esperienza può raccontare?Sicuramente il Banco Informatico è una iniziativa “privata” (è nato da alcuni professionisti ed imprendito-ri milanesi) ma svolge una funzione sociale aiutando cioè persone svan-taggiate che potrebbero teoricamen-te chiedere aiuto direttamente allo Stato. Ma come sappiamo lo Stato non ha le risorse per occuparsi di tut-te le necessità e, aggiungo io, a vol-te quando lo fa, non riesce ad essere efficiente. Ecco che allora credo che esperienze come il Banco Informa-tico, che svolgono un’attività sociale pur con danari soprattutto privati, debbano essere prese ad esempio per una nuovo modo di cooperazione tra profit e no profit e tra stato e comu-nità intermedie. Credo che queste modalità sussidiarie siano la chiave di volta per uscire dalla crisi econo-mica e strutturale in cui versa anche lo Stato: se lo Stato infatti comin-ciasse sistematicamente a fare meno

cose direttamente e facesse fare più cose a organizzazioni no profit vir-tuose si migliorerebbero i conti pub-blici e si migliorerebbe l’efficienza dei servizi.

Quale futuro ha il Banco Infor-matico? Ritiene che sia indi-spensabile una informazione, una comunicazione più forte per far comprendere questa grande risorsa? Come è possibi-le tutto ciò davanti ai costi cre-scenti di ogni azione di comu-nicazione?Intanto credo che anche il mondo della comunicazione “a pagamento” dovrebbe in qualche modo dare delle opportunità al mondo del no profit che può permettersi spesso di pagare ma non come il mondo profit. Penso ad esempio ad alcuni mezzi di comu-nicazione che diano al mondo del no profit dei prezzi particolarmente agevolati per il mondo del no profit. Già il mondo della comunicazione ospita ogni tanto campagne sociali gratuite ma credo che si possa fare di più: ci potrebbe essere per esempio spazio per un “quasi mercato” dove un numero importante di no profit potrebbero spendere per la comuni-cazione qualche risorsa se potessero contare su prezzi particolarmente vantaggiosi.

Cosa può fare un’azienda o un privato per aiutare il Banco In-formatico?Innanzitutto il modo migliore per aiutare il Banco Informatico è donare i propri PC utilizzati o prossimi ad es-sere cambiati: la modalità è semplice basta andare sul sito www.biteb.org e ci sono tutte le modalità operative; secondariamente chiunque abbia vo-glia di coinvolgersi come volontario è bene accetto: da chi può dare del tempo per “testare” i PC, a chi può darci qualche area di stoccaggio fino a chi per stare in tema con la Vostra bellissima rivista, voglia dare al Ban-co Informatico qualche spazio di co-municazione. no6 - 2010 - dm&c 15

“Non m’interessa, ci devo pensa-re, vediamo, forse la prossima vol-ta, costa troppo, la concorrenza mi tratta meglio, non ho il budget”, queste sono solo alcune delle mol-teplici obiezioni che qualsiasi agente di commercio si trova ad affrontare nella propria quotidianità lavorativa.Come afferma Heinz Goldman, uno dei maggiori esperti del mondo in marketing, comunicazione e mana-gement: “L’obiezione sta alla vendita come l’aria sta all’aereo”. Questa ci-tazione pone la sua attenzione sulla naturalità o addirittura sulla prope-deuticità dell’obiezione durante una trattativa. Infatti, se gestita positiva-mente, una critica si traduce in un forte potenziamento della fiducia del cliente e di conseguenza un consoli-damento del rapporto. Che cos’è un’obiezione?

È sostanzialmente un segnale di co-municazione di una resistenza, di un dubbio, oppure di un interesse che il cliente, per varie motivazioni, invia al suo interlocutore. In realtà la con-testazione per un operatore dovreb-

be essere prima di tutto una risorsa, un’opportunità esplorativa che con-sente di individuare gli equivoci e gli aspetti da approfondire oltre che un momento di verità in cui c’è la possi-bilità di dimostrare con i fatti la va-lidità della propria offerta.

La natura delle obiezioni

Studi recenti sull’argomento identi-ficano varie tipologie di obiezione in un elenco di possibilità denominato “resistenze all’acquisto”. Esse comprendono: 1. L’allontanamento del cliente da prodotti e servizi che si discostano dal proprio modo di essere, in que-sto caso il venditore viene percepito incapace di cogliere i veri interessi, desideri e finalità del compratore.2. Il cliente mette in discussione la validità logica degli argomenti e soprattutto non riconosce i vantaggi dell’acquisto.3. L’atteggiamento negativo nei confronti dell’agente a causa di espe-rienze passate negative, oppure una percezione immediata di antipatia.4. Una comunicazione inefficace,

Ivonne Porto*

“La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro, è una valutazione o un giudizio,

anziché uno sforzo di comprensione.Quando qualcuno esprime un sentimento, un atteggiamento, op-pure un’opinione, tendiamo subito a pensare: “È ingiusto, irragio-nevole, scorretto, non è gentile.”Molto di rado ci permettiamo di

“capire” quale sia per lui il significato dell’affermazione.”

La gestione delle obiezioni

Comunicazione

dm&c - no6 - 201016

- * Consulente aziendale

[email protected]

Carl Rogers

Gestita positivamente è un consolidamento del rapporto

non solo sui contenuti, ma anche sul piano relazionale.5. Rapporti con la concorrenza. 6. Il timore di correre dei rischi e la preoccupazione del denaro (Spendo troppo? Posso permettermelo? Riu-scirò a pagare? Posso trovare la stessa cosa con un’altra azienda a un prez-zo inferiore?). Il rischio dell’acquisto è una sorta di barriera mentale, re-ale o immaginaria, per cui una per-sona esita a prendere una decisione, è un’emozione intima che la mente del cliente giudica e giustifica con la logica.Qualunque sia la natura dell’obiezio-ne, essa va sempre trattata, elaborata e riconosciuta come vera e va con-trobilanciata con tutti gli aspetti po-sitivi dell’offerta, avendo ben chiaro qual è l’esigenza del cliente, e qual è il suo guadagno.È importante il valore, sono impor-tanti rapporti, non solo il prezzo

Sul prezzo è difficile

Una delle obiezioni più difficili da gestire, per la maggioranza degli ad-detti al settore, è il prezzo. Questo è vero quando l’unica strategia di cui si dispone è effettivamente il costo, però, se ci si concentra solo su questo elemento, si rischia di trascurare gli aspetti più importanti del prodotto/servizio, quelli che riescono a fide-lizzare il cliente nel tempo, inoltre quando non c’è qualità tutto quello che rimane è il prezzo.La parola “valore” di questi tempi viene difficilmente definita e com-presa. Tanta gente pensa che il valore sia qualcosa che un’azienda aggiun-ge. Dei piccoli servizi extra, un og-getto in regalo con il prodotto, una lieve riduzione di prezzo, qualcosa gratis. Queste cose sono promozioni, non valore. Il valore è qualcosa che si fa per il cliente, a vantaggio del cliente e questo può avvenire in vari modi. Ad esempio: 1. Fornire informazioni su come i clienti possono guadagnare, produr-

re, battere la concorrenza, crescere.2. Assicurare un servizio migliore, veloce, efficiente.3. Creare una relazione basata sul-la fiducia, perché ogni vendita è sem-pre guidata e decisa dalle emozioni.È anche vero che non tutti compra-no il valore, il 30-40% dei clienti sce-glie il prezzo, ma il 60- 70% preferi-scono il valore, sempre se siamo in grado di fornirlo. Prezzo contro valo-re. Quanto costa? Più si offre valore meno conta il prezzo.

La gestione dell’obiezione

Per gestire le perplessità del cliente, bisogna avere: una solida prepara-zione specialistica, una buona auto-stima, risorse personali e una padro-nanza delle tecniche di persuasione.Queste ultime comprendono: 1. Una notevole capacità empatica che seve prima di tutto per compren-dere (prima cerca di capire e poi di farti capire).2. L’ascolto, non bisogna inter-rompere mentre l’altro parla, mo-strare segni di fastidio, agitarsi e per-dere la concentrazione.3. L’utilizzo delle domande che consentono un controllo sull’anda-mento della conversazione e servono per trasformare un’obiezione genera-lizzata in specifica.4. La parafrasi per sintetizzare il contenuto e ristrutturare la percezio-ne del cliente.5. L’affermazione per spiegare me-glio quello che non è stato compreso, trovare una soluzione, sottolineare i vantaggi e stimolare la riflessione.Non gestire oppure ignorare un’o-biezione può causare: la perdita del cliente, la mancata vendita, non ri-solvere il problema e amplificarlo, l’interlocutore può farsi un’opinione sbagliata della nostra competenza e professionalità. Ogni figura commerciale deve sì rag-giungere dei risultati, ma contempo-raneamente soddisfare il cliente, con l’obiettivo di farlo rimanere tale il più a lungo possibile. no6 - 2010 - dm&c 17

Lo spunto per le riflessioni che se-guono in chiave di comunicazione,

mi vien dato, da una triste, recente notizia di cronaca nera: il delitto Scaz-zi di Avetrana, dove una giovane vita è stata stroncata per motivi che la no-stra etica e la nostra società rifiutano. E anche da altre no-tizie, diverse ma a questa riferentisi, rese pubbliche dal-la stampa cartacea,

televisiva e on-line nelle scorse set-timane. Già a una cinquanta giorni dall’evento un’indagine sommaria rivelava che su Google alla voce Ave-trana erano presenti circa 275mila ri-sultati, alla voce Scazzi circa 437mila e oltre 20.000 immagini, e già 33 fil-mati comparivano su You Tube. Ha attirato la mia attenzione una ‘breve’ - come si dice in gergo giornalistico – che riprendeva, il giorno succes-sivo alla messa in onda, il tema di un servizio trasmesso da quasi tutte

le edizioni serali (prime time) dei telegiornali, riguardante un nuovo fenomeno: il “turismo dell’orrore”. Davanti la casa del delitto le immagi-ni televisive mostravano una folla di persone di ambo i sessi, di varia età, provenienza, estrazione sociale (mol-ti giovani e giovanissimi), si sarebbe detto abbigliate per l’occasione, aggi-rarsi in prossimità della scena crimi-nis e riprenderla con l’immancabile telefonino: un cancello di ferro e un telo a coprire un buco nel terreno; con l’aria un po’ svagata tipica dei “vacanzieri”. Intervistate, molte di loro candida-mente confessavano il motivo della presenza: “volevamo vedere il luogo del delitto, la casa dell’assassino”; “non sapevamo dove andare. Abbia-mo pensato di fare una gita qui…” l’ammissione di una donna con ma-rito accanto e figlioletto per mano. Appagati di “essere in televisione”, qualche viso ammiccava sorridente, qualche mano salutava. Richieste di commentare il fatto, molte di quelle persone lasciavano trasparire sopra tutto curiosità e stupore. E una deso-lante assenza di umana pietas.

Pier Giorgio Cozzi *

Murder tour, il nuovo turismo? Assistiamo a un progressivo imbarbarimento dei costumi “civili”. Che non sia anche colpa della comunicazione?

Un marketing per creare “consumatori di spettacolare”

Turismo dell’orrore

Comunicazione

dm&c - no6 - 201018

-* giornalista e docente di corporate communication

Che bella domenica!

Un quotidiano nazionale del lunedì riportava così quella notizia: “Sono centinaia le persone che ieri hanno deciso di dedicare la loro domeni-ca andando a visitare ad Avetrana i luoghi del delitto. La gente sfilava sia davanti alla abitazione della famiglia Scazzi, dove sono stati pietosamen-te lasciati fiori o biglietti, sia davanti alla casa della famiglia Misseri dove i curiosi si limitavano a soffermarsi un attimo per guardare verso il ga-rage e la casa. Troppo, tanto che la via è stata chiusa al traffico veicolare per evitare il via vai dei morbosi turi-sti. Sono parecchie anche le persone che, con l’auto o a bordo dei moto-rini, sono andate a vedere il pozzo dove […] è stato trovato il corpo di Sara”.

Qualche domanda

A questo punto avrei qualche do-manda. Ci rendiamo conto, quando facciamo un’analisi psicografica dei possibili target per i nostri prodot-ti, che al di là delle interpretazioni statistiche, i nostri potenziali clien-ti “sono” anche (forse soprattutto) questi? Quando, se parliamo di on-line business, con lo stesso obietti-vo in mente analizziamo linguaggi, contenuti e forme espressive dei so-cial forum, ci rendiamo conto della discrasia che nelle persone-bersaglio delle nostre attività di marketing po-trebbe separare forma da sostanza? La nostra comunicazione d’impresa, i nostri messaggi di vendita sono dav-vero sintonici con “quelle” orecchie? Brutalmente: quanto tempo dovrà passare prima che qualche operatore più alacre dei suoi colleghi ponga in essere un’offerta commerciale rivolta a questi “turisti dell’orrore”?

The show must go on?

Non sarà che inseguendo il modello televisivo di comunicazione (ricor-

date il film ‘Live’ di Bill Guttentag, in cui l’attrice Eva Mendes interpreta una dirigente televisiva spietatamente orientata alla creazione di un nuo-vo reality show che in-colli quanti più spettatori possibili allo schermo. E cosa può essere più ma-cabramente interessante di un gioco dove l’unico perdente è tale perché muore in diretta?), insi-stendo a voler “spettaco-lizzare” ad ogni costo gli eventi, tutti gli eventi, anche quelli più tragici e dolorosi della nostra vita quotidiana subiscano questo destino? Non stupiamo allora se quella stessa gente, ai fu-nerali, applaude.Sul versante del marke-ting, siamo sicuri poi che in questo modo proprio noi comunicatori non si contribuisca a indurre indifferenza e sufficienza nei customers, progressi-vamente trasformandoli in “consu-matori di spettacolare” (sennò non compero)? A quando il primo me-eting o incentive travel con “trage-dia”, per aumentarne meraviglia e memorabilità? Che mestizia. no6 - 2010 - dm&c 19

La multicanalità non solo rappre-senta la chance perché l’e-commerce italiano si adegui ai livelli europei, ma anche lo strumento perché le aziende interpretino al meglio come gli utenti oggi si informino in merito agli acquisti.Una delle esperienze più comuni per chi ha a che fare con i siti di e-commerce italiani – non solo quel-li più grandi, ma la lunga coda dei negozi online del nostro Paese – è di telefonare loro durante una normale giornata di lavoro e, pur ripetendo l’esperimento per più giorni – averesempre scarsissimo successo. La domanda nasce spontanea: ma come faranno gli utenti a fidarsi di un negozio che, se chiamato, non ri-sponde mai?Purtroppo è questa una delle cause per cui in Italia la domanda di com-mercio elettronico c’è (6 milioni di italiani comprano sulla Rete), ma è l’offerta che latita, sono poche le im-prese – quelle “vere” – che vendono sulla Rete. E allora chi vende online? Aldilà dei “soliti noti”, le cosiddette dotcom, aziende native del Web, che hanno saputo, grazie alle tecniche

di web-marketing, conquistarsi circa la metà di un mercato da 6 miliardi di euro di giro d’affari annuo, resta-no pertanto imprenditori perlopiù “improvvisati”, rivenditori troppo a valle nella catena del valore, che si occupano del proprio sito come se-condo lavoro e che quindi, durante la giornata, non possono rispondere al telefono.

Dati promettenti

Certo, i dati emersi nel corso degli ultimi due anni sono stati promet-tenti. Intere categorie merceologiche come la moda, l’abbigliamento, il benessere, la cura della persona fino ad arrivare agli operatori della pub-blicità classificata, hanno letteral-mente rivisitato il proprio modello di business per adeguarlo alle carat-teristiche dell’online. Da qualche anno la parola chiave che ha assunto il ruolo di fattore decisivo per l’e-commerce è infatti “multicanalità”. Il significato è semplice e valido per qualsiasi impresa: l’e-commerce, in-questa prospettiva, è solo uno dei

Andrea Boscaro

Meno negozi online improvvisati e più aziende multicanale: ecco il futuro dell’e-commerce. Uno strumento che deve adeguarsi ai livelli europei

Sei milioni di italiani comprano sulla Rete

Multicanalità

Marketing

dm&c - no6 - 201020

-

canali complementari all’interno di una strategia di distribuzione com-plessiva nonché una forma innova-tiva di servizio al cliente. Tale interpretazione va però anche al nocciolo del ritardo di questo merca-to – cioè che sono le imprese della distribuzione e le PMI a far sentire la propria mancanza sul Web – e avva-lora la tesi secondo la quale questo canale non solo non confligge con gli altri, ma ne supporta la forza in un contesto in cui i consumatori hanno cambiato il modo di informarsi su un prodotto e di suggerirne l’acqui-sto alla propria rete di contatti.

La multicanalità

La multicanalità in questo senso:* chiarisce come il canale digitale sia sempre una forma con cui i clienti si informano sul conto di un’azienda, e può essere configurato – come nel caso dei retailers dell’elettronica di consumo o come tour operator del calibro di Alpitour – come uno stru-mento in cui personalizzare la pro-pria scelta per poi ritirarla presso il punto di vendita fisico; * consente di incentivare, sotto for-ma di coupon, un ulteriore acquistopresso il negozio; * permette di superare il “timore re-verenziale” presente soprattutto nel varcare la soglia dei negozi del lusso e quindi abbatte le barriere all’entra-ta con informazioni più chiare circa i prodotti e i prezzi; * costituisce infine un potente stru-mento di conoscenza della propria clientela e del proprio valore con-correnziale grazie al comportamento degli utenti, alle scelte di acquisto, ai trend, ai commenti, ai feedback suc-cessivi all’acquisto.Soprattutto “multicanalità” in Italia significa condividere nell’ambito de-gli esperti di marketing il messaggio secondo il quale l’e-commerce non può essere solo appannaggio delle imprese native della Rete, le cosid-dette dotcom, che – è vero – posseg-gono una cultura avanzata del web-

marketing, ma spesso sono soggetti troppo a valle nella filiera e non pos-sono garantire prezzi, marginalità, condizioni vantaggiose per il consu-matore e risorse di comunicazione capaci di sostenere la crescita dell’e-commerce nel suo complesso. Al contrario il commercio elettroni-co è un’opportunità proprio per pro-duttori e distributori sia che operino in un ambito di nicchia – per servire al meglio il proprio cliente – sia che siano presenti su mercati più estesi dove la concorrenza richiede stan-dard di innovazione continui.C’è da aggiungere che, quanto a multicanalità, Internet si è premu-rato poi di inventare soluzioni ade-guate a consentire ad aziende offline di testare il canale digitale senza per questo intraprendere una strategia e-commerce avanzata.

Buoni esempi

Buoni esempi sono i club outlet - che consentono alle aziende di uti-lizzare la Rete per vendere i prodotti last season a community ristrette di utenti - le piattaforme di e-commer-ce geo-localizzato - che incentivano il consumatore a recarsi sul punto vendita con una promozione lega-ta al raggiungimento di una soglia minima di clienti aggregati attraver-so il principio dei “gruppi di acqui-sto”- ed infine l’evoluzione di eBay che è sempre meno marketplace per la compravendita fra privati e sem-pre più strumento di marketing per i venditori professionali.Se pertanto la Rete ha nella multica-nalità il segreto per il suo futuro, leimprese hanno nella Rete una chan-ce in più per rinnovarsi e potenzia-re le due aree critiche del marketing odierno, la customer retention e la customer acquisition, due ambiti che oggi, grazie alla viralità che le piattaforme social incentivano, pos-sono avvalersi di nuove tecniche e nuove opportunità per il manager che sappia servirsene con creatività ed attenzione. no6 - 2010 - dm&c 21

In questa rubrica abbiamo parlato spesso di “Public Understanding of Science” (PUS). Il PUS trova sostegno e fondamento nell’affermazione del fatto che le conoscenze scientifiche sono certe e fissate, ovvero che la scienza è una prospettiva privilegia-ta sul mondo, mentre il pubblico è ignorante di scienza. Da questo assunto teorico di base discende necessariamente una pra-tica di comunicazione scientifica improntata a quello che i sociologi chiamano modello “top-down”, o “deficit model” della comunicazio-ne della scienza, secondo cui il pub-blico, considerato come un oggetto omogeneo non meglio definito, non può che essere il ricettacolo passivo della conoscenza “pura” prodotta dalla comunità degli scienziati. In questo contesto, i compiti e l’in-dividuazione dei modi per miglio-rare la comprensione pubblica della scienza vengono in massima parte affidati ai vari media, i quali hanno anche la responsabilità di tradurre in maniera semplice – spesso associata a un certo grado di approssimazione, se non di banalizzazione – le scoper-

te, le ricerche o i processi scientifici in atto.

Rapporto tra scienza e società

Naturalmente il modello “top-down” o del “deficit” non è l’unico disponibile per descrivere il rapporto fra scienza e società. Tanto che, nel corso degli anni, si sono sviluppati altri modelli, tutti però contestualiz-zabili nell’ambito del PUS. Un modello alternativo a quello del deficit è quello definito della “scelta razionale”. Questo nasce dal tentati-vo di rispondere alla domanda: “Che cosa hanno bisogno di sapere le per-sone per essere dei buoni cittadini in una cultura in cui la presenza della scienza è così rilevante?”. Un’ulteriore prospettiva è data dal modello contestuale, nell’ambito del quale la domanda a cui si cerca di dare risposta è: “Che cosa vogliono sapere le persone sulla scienza in de-terminate circostanze?” Questi tre modelli – deficit, scel-ta razionale, contestuale – hanno contribuito in maniera significativa all’ampio dibattito che negli ultimi

Dalla comprensione al dialogo: questa l’evolu-zione dei modelli di comunicazione scienza-so-cietà per favorire la bidirezionalità del rapporto

Coinvolgimento e discussione aperta tra scienziati e non-esperti

Perché il pubblicocapisca

dm&c - no6 - 201022

-

Emiliano Ricci *

Comunicazione

* Giornalista

Scientifico

venti anni ha avuto come argomen-to il complesso rapporto fra scienza e società, contribuendo in maniera ri-levante ad ampliare la riflessione che nel frattempo veniva svolta sul PUS.Dopo anni di pratica del PUS e di continue verifiche ed analisi della relazione continuamente evolutiva fra scienza, tecnologia e società, gli scienziati – aiutati in questo da il-lustri colleghi di varie discipline– si sono accorti che, oltre alla mancan-za di risultati effettivi, si stava verifi-cando un effetto collaterale negativo di notevole portata: la fiducia nella scienza e nel ruolo dello scienziato stava drammaticamente diminuen-do di anno in anno, e proprio fra quei pubblici che il PUS avrebbe do-vuto “formare”.

Dal PUS al PEST

Dopo una lunga serie di dibattiti in seno alla comunità scientifica da una parte e ai pubblici della scienza dall’altra, è ancora una volta il Re-gno Unito a fare da capofila. Così, nell’ottobre 2002, un gruppo di scienziati britannici pubblica sull’au-torevole rivista “Science” una breve comunicazione, nella quale si dice esplicitamente che l’espressione “pu-blic understanding of science” è or-mai datata e che al suo posto occor-re introdurre un nuovo paradigma: quello del “Public Engagement with Science and Technology” (PEST). Nella nuova sigla traspare chiara-mente l’invito a una riconcettualiz-zazione del rapporto tra scienza e pubblico. La direzione indicata è quella del coinvolgimento del pubblico, attra-verso il dialogo, mediante una di-scussione aperta e paritaria tra scien-ziati e non-esperti che renda questi ultimi veri protagonisti nelle decisio-ni su problematiche scientifiche con ricadute sociali.Il passaggio dal PUS al PEST è ben più profondo di quanto possa apparire a prima vista.

Non si tratta infatti di una mera que-stione terminologica, bensì di un in-vito a spostare il perno della comu-nicazione scientifica dalla semplice promozione della comprensione dei fatti scientifici, secondo quanto indi-cato dal PUS, alla necessità della par-tecipazione del pubblico. Spostamento chiave, questo, e pas-saggio ritenuto necessario proprio per recuperare quella che da più par-ti viene percepita come una sempre più diffusa e crescente perdita di fi-ducia nei confronti della scienza.

Pietra miliare

L’appello all’“engagement” segna una nuova pietra miliare nella sto-ria del rapporto fra scienza e società, un momento cruciale per risolvere la crisi in cui versava il PUS. L’aspetto fondamentale della metodologia di relazione fra la comunità scientifica e la società civile invocata dal PEST è descritto dalla stessa parola chiave: un invito a favorire il dialogo e la partecipazione al dibattito, nonché a promuovere l’interazione e con essa la bidirezionalità del rapporto. Sono tutti questi strumenti che, messi as-sieme, dovranno contribuire a supe-rare l’annosa crisi del PUS.Il modo dialogico, volto a ripristi-nare il rapporto con i pubblici della scienza, è quindi visto dagli scienziati come la medicina per tutti i mali del PUS, sia che lo si voglia superare nel-la forma terminologica che nella so-stanza contenutistica. Ma c’è anche chi propone di valutare un’ulteriore ipotesi di ricerca, che deve tenere di conto del fatto che la comunicazio-ne scientifica si svolge e si sviluppa in uno sfondo assai più articolato e complesso di quanto è supposto dal PUS (almeno nella sua versione ori-ginale), e che gli scienziati non de-tengono necessariamente, né univo-camente, il ruolo da protagonisti di questa comunicazione, qualunque sia il loro grado di interazione – dia-logica o meno – con il pubblico. no6 - 2010 - dm&c 23

Ve l’avevo promesso e mantengo la parola. Torno a parlare di WOMM o se preferite di marketing del passapa-rola. Nell’articolo precedente (Si scrive Passaparola; si legge Marketing) ho ricordato in cosa consista questa for-

ma di comunicazione e quali vantag-gi offra per diffondere rapidamente e in modo efficace un messaggio con le tecniche del marketing virale.

Corretto o fasullo

Questa volta voglio occuparmi di un aspetto essenziale che fa la differenza tra il passa parola corretto e quello fasullo. Per diffondere informazioni corret-te, per evitare di inquinare il mer-cato con bufale e tarocchi, occorre rispettare alcune regole che sono state codificate per la prima volta dal WOMMI, l’organizzazione america-na del Word of mouth e che sono state riprese dall’associazione italia-na WOMMI.Il codice etico WOMMI è semplice, composto da cinque articoli che van-no alla radice di questo metodo di comunicazione. Merita di essere diffuso, non soltanto perchè c’è sempre bisogno di etica, ma soprattutto perchè questo codi-ce, come spesso fanno le best practi-ces anglosassoni non pone divieti o obblighi.

Marco Maglio

Una comunicazione che offre molti vantaggi per diffondere rapidamente e in modo efficace un messaggio con le tecniche del marketing virale

Riflessioni sul marketing del passaparola

Se non è etico non è vero WOMM

Marketing

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Indica invece il modo corretto per fare azioni di Womm a regola d’arte. Ed è per questo che ve lo propongo: credo sia un buon punto di partenza per fare qualche passo avanti nella corretta pratica di questa forma di comunicazione.

I 5 punti del codice

Ecco il testo integrale del codice. Leggerlo aiuta a capire, più di molti saggi teorici, in cosa con-siste davvero il world of mouth marketing. 1. Persone felici e interessate parleranno bene di te.Non serve molto altro. Com-prendi a fondo questo concet-to, dedicati ad esso e riscuoterai successo con il word of mouth marketing.2. L’opinione onesta e autentica è il nostro medium.Non diciamo alla gente cosa dire e come dirlo. Riteniamo che le persone devono essere li-bere di farsi una propria opinio-ne e di condividerla con parole proprie. Sosteniamo la conver-sazione naturale e stiamo mol-to attenti a non distorcerla.3. Sosteniamo, avviamo e semplifi-chiamo la condivisione.I professionisti del word of mouth usano tecniche creative per incorag-giare la comunicazione. Facilitiamo la conversazione tra le persone, cre-iamo cose interessanti di cui parlare, creiamo community per condividere idee, e lavoriamo per trovare quelle persone che dovrebbero conoscere quello che facciamo.La pubblicità tradizionale spinge le idee sui consumatori. Noi aiutiamo a far circolare le buone idee.4. Il word of mouth non può essere falsificato.L’inganno, l’infiltration, la disone-

stà, lo shilling, e altri tentativi di ma-nipolare i consumatori o la conversa-zione sono deplorevoli. I professionisti del marketing onesti non ricorrono a queste pratiche, non lo faranno, e se ci provano saranno smascherati.I comportamenti scorretti saranno messi in evidenza dal pubblico e si ritorceranno in maniera letale con-tro chiunque li utilizzi.

5. Il word of mouth marketing dà po-tere al consumatore.I consumatori hanno il controllo e sono loro a dettare le condizioni di un rapporto nuovo, più sano tra i professionisti del marketing e le per-sone che usano i loro prodotti.I consumatori richiedono alle azien-de soddisfazione, rispetto, prodotti e servizi eccezionali. Quando le azien-de glieli offrono, le persone lo comu-nicano ai loro amici.I professionisti del word of mouth lavorano per accelerare questo pro-cesso, rimpiazzando la pubblicità aggressiva con servizi che mettano al centro il cliente, supporto e comuni-cazioni bidirezionali. no6 - 2010 - dm&c 25

[email protected]

Avvocato in Milano e fondatore di Lucerna Iuris, il primo Network Giuridico Europeo formato da

legali di tutti i paesi dell’Unione Europea esperti di questioni di marketing e di comunicazione.

Insegna Diritto dei consumi e del marketing e Diritto della sicurezza Alimentare nelle Università

di Milano e Parma. Dopo essere stato Consigliere Delegato di AIDIM (Associazione Italiana del

Marketing Diretto ed Interattivo) per le relazioni istituzionali, le pubbliche relazioni e gli affari

legali, dal 2004 presiede il Giurì per l’Autodisciplina nella comunicazione commerciale diretta e

interattiva e nellevendite a distanza. E’ membro del Consiglio Direttivo di FEDMA (Federazione

Europea del Direct Marketing) in rappresentanza dell’Italia.

L’estate scorsa, all’ultima edizione di Pitti Uomo a Firenze sulla passerella sfilavano modelli con abiti inneg-gianti agli anni cinquanta. I cappelli di Borsalino ad esempio si ispiravano ad uno stile di vita sere-no e tranquillo e per questa ragione l’uomo Borsalino indossava eleganti cappelli di paglia. Dovo invece é una casa tedesca che produce rasoi classici a lunga lama fin dal 1906 ma per anni ha servito solo una nicchia ristretta di appassionati dopo che il mercato é stato conqui-stato quasi interamente dalla Gillete. Oggi la Dovo viene riscoperta, vende 30.000 unitá all’anno e la lista di at-tesa per questi prodotti fatti a mano è di 9 mesi, nonostante un costo che si aggira intorno ai 300 dollari. Chi non vuole attendere nove mesi, con un click puó acquistare rasoi francesi prodotti in esclusiva per The art of shaving in New York. Il rasoio a lama diritta, riscoperto soptrattutto dai dandy che vivono in Manhattan non è tuttavia il pro-dotto di punta. The Art of Shawing è nata in un appartamento dall’ini-ziativa di due giovani: lui rappresen-

tante di prodotti cosmetici europei e con una pelle che si irritava ad ogni rasatura, lei con esperienza in medi-cine orientali e aromaterapia e moti-vata a creare una crema che aiutasse il suo fidanzato. Trovata la soluzione per il fidanzato, i due l’hanno presentata al grosso pubblico attraverso un piccolo nego-zietto e qualche articolo sulla stam-pa. I negozi si sono moltiplicati su scala nazionale e tutti con prodotti e look che richiamano i barber shop del passato. Nel 2009 the Art of Shawing veniva acquistata da Procter and Gamble.

Tinozze da bagno

Sempre in tema di prodotti da ba-gno, Vintage Tub and Bath é nata nel 1993 e fornisce vasche da bagno stile tinozza. Oggi vende una gam-ma completa di prodotti, e tutto ri-gorosamente in stile retró. Questi prodotti non vengono normalmente promozionati durante il periodo na-talizio, ma ad una recente conferenza Mike Deckman, Internet marketing manager di Vintage Tub and Bath, ha

Domenico Matarazzo

Dal nostro corrispondente negli Stati Uniti

Comunicare in stile retrò

Comunicazione

dm&c - no6 - 201026

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La riscoperta della semplicità delle cose passate: la tendenza si manifesta puntualmente ogni volta che vi è una crisi economica. Ecco le opportunità..

illustrato come anche a Natale con-tro ogni aspettativa una campagna email per prodotti come scarichi da bagno con la catenella avesse gene-rato il trimestre più profittevole della storia dell’azienda. Tinozze da bagno, accessori per rasoi a lunga lama o guardaroba per abi-ti stile Borsalino si possono troavare anche presso l’Ace Hotel di Manhat-tan, un nuovo albergo rigorosamen-te arredato in stile retró. Qui le stan-ze valorizzano le cose del passato con uno stile essenziale, alcune pa-reti sono tappezzate con pagine di vecchi libri, altre hanno i colori con tonalitá che richiamano vernici per il bricolage degli anni ’50. Anziché molteplici artefatti di piccole dimen-sioni il décor fa perno su una singola opera d’arte anche di artisti famosi, grande abbastanza da occupare buo-na parte di una parete. L’arredamen-to comprende anche scrivanie che richiamano i tavoli per le macchine da cucire, dischi in vinile e accessori come chitarre originali di Les Paul.Il prezzo per una stanza economica é di 269 dollari e questa comprende letti a castello per rimanere fedeli allo stile.

La riscoperta del passato

La Nike ha rilanciato sul mercato scarpe stile anni ‘70 e per la pubbli-citá stampa l’agenzia di design Opo-lis Design ha avuto l’incarico di ricre-are pubblicitá nello stile dello stesso periodo. Ció significa rifarsi ad una grafica pre-Photoshop e pre-Adobe in generale. Per ottenere l’effetto desiderato il team di creativi ha creato una sorta di linea di montaggio dove ogni pez-zo promozionale del prodotto veni-va stropicciato e piegato a mano. General Mills invece da tre anni con-tinua a registrare incrementi di ven-dita di alcune confezioni di cereali prodotte in scala limitata e con stile retró. Il target sono le madri di mez-za etá e l’obiettivo é di stimolare in loro un sentimento nostalgico.

Nel primo anno di lancio le confe-zioni retró sono state pubblicizzate attraverso il passaparola e i blogs. Nel secondo anno invece le vendite sono decisamente incrementate gra-zie ad una campagna di PR nella fase di pre lancio.

Fascino confermato

Il fascino del retró nel settore delle colazioni e snacks é confermato dal fatto che anche Kellog’s, concorrente di General Mills, ha lanciato nel 2010 una nuova linea di cereali “Touch of Honey” indirizzata ai consumatori di etá intorno ai 65 anni. Le confezioni richiamano i prodotti Corn Flakes di decadi passate e la scelta non manca La lista continua con PepsiCo che lo scorso gennaio ha lanciato una cam-pagna in cui vengono messi a con-fronto consumatori di Pepsi di gene-razioni differenti. The Allstate Corp.,gigante delle as-sicurazioni, invece ha lanciato una campagna che esalta come il gruppo sia vissuto attraverso ben dodici pe-riodi di recessione. La primavera scorsa invece Bacar-di ha lanciato “Bacardi Mojito, The Original” in cui il prodotto viene presentato attraverso molteplici pe-riodi in cui Bacardi e’ stata la beven-da preferita di un selezionato gruppo di consumatori. Il retró non deve peró eliminare del tutto i riferimenti alla comunicazio-ne moderna. L’esempio migliore vie-ne da Nestlé che per promozionare le sue barrette di cioccolato Butterfin-ger ha abbinato personaggi televisivi di serie televisive famose negli anni ottanta con un concorso volto a dif-fondere il prodotto attraverso viral video. In questa promozione, eroi degli anni ottanta sono protagonisti di sketch in cui difendono una bar-retta di Butterfinger dai malviventi. I consumatori sono stati invitati a mandare un proprio sketch via video così il prodotto comunica sia con i giovani consumatori sia con la gene-razione precedente. no6 - 2010 - dm&c 27

-creare agganci con la realtà attuale: humor e riferimenti ai fattori nega-tive attuali aiutano ad aggiornare l’immagine. -studiare la grafica dei prodotti del passato. I logo rifiniti a mano ad esempio hanno un impatto emotivo piú forte rispetto al design di un logo disegnato in computer grafica (diffu-si a partire dagli anni ottanta). -fare attenzione a non cadere nel no-stalgico e diventare esclusivamente un prodotto della nonna. -se il prodotto non ha una storia o momenti di gloria nel passato, il re-trò può non funzionare.

Comunicazione in retrò: le regole

Il naturalista francese Buffon ha af-fermato: “lo stile è l’uomo”.Se è vero per un anacoreta, è certa-mente ancora più vero per chi parla in pubblico. La disposizione naturale di un udi-torio, anche quando ha deciso per-sonalmente di partecipare ad un convegno, il che spesso non avviene perché un buon numero di presenti ci è stato mandato, è generalmente pessimista circa il suo imminente fu-turo.Nel migliore dei casi, il suo atteggia-mento è passivo ed assente. In ge-nere, quando non ha stretti vincoli di parentela con il relatore, sceglie i posti più periferici, possibilmente vi-cini alle uscite per garantirsi in ogni caso una via di fuga. Non di rado è diffidente e incline alla polemica, se questa non fosse ostacolata dalla situazione, che sug-gerisce il silenzio per la durata dell’e-sposizione.Raramente si aspetta contributi im-portanti per migliorare la propria vita o la propria professione. Diffida anche perché la situazione gli ricorda precedenti dolorose espe-

rienze con docenti, predicatori, acca-demici e politici, spesso noiosi divul-gatori di ovvietà e luoghi comuni.L’unico strumento che un relatore possiede per superare queste diffi-coltà iniziali è la propria personalità, che purtroppo non lo serve mai così male come in quel momento.

Via da qui

La maggior parte dei relatori, infatti, ancor più della maggior parte degli uditori, vorrebbe essere altrove. Fan-no eccezione i rari casi di chi abbia con queste situazioni una familiarità che gli consente di divertirsi.La maggior parte degli altri, ignora di percepire la propria ansia in modo infinitamente più intenso di quanto non la percepisca il pubblico, infini-tamente meno interessato ai suoi sta-ti d’animo. Così dedica molte ener-gie per cercare di nasconderla, anche quando dovrebbe occuparsi d’altro.Infatti, proprio nel momento in cui dovrebbe conquistare la benevolen-za dei partecipanti, infila una seque-la di errori di comportamento, che confermano al pubblico le sue peg-

Ugo Clima *

La maggior parte degli oratori invece che sul pal-co vorrebbe essere altrove. Perché è una cosa che crea ansia, che genera impaccio, che provoca ...

“Le persone che non sorridono non sono persone serie”

Parlare in pubblico:questione di stile

Comunicazione

dm&c - no6 - 201028

-* Presidente Mercurio Misura.

Esperto di management, marketing e comunica-zione diretta, ha tenuto conferenze in numerosi congressi nazionali e internazionali, oltre ad aver diretto innumerevoli corsi di management per dirigenti e quadri

giori aspettativePer esempio, non sa sottrarsi alla li-turgia dei ringraziamenti, rivolti al moderatore della riunione, al presi-dente che gli ha offerto questa op-portunità, ai relatori che lo hanno preceduto, a quelli che lo seguiran-no ed alle autorità che, malgrado la loro assenza dovuta ad improrogabi-li impegni, hanno caldeggiato il suo intervento e ad altri che in quel mo-mento non gli vengono in mente.Spesso, l’unico escluso dai ringrazia-menti è il pubblico presente all’even-to, che essendo percepito come fonte di stress viene lietamente rimosso. Esordisce dicendo: “Mi scuso di non essere un oratore, ma non vi ruberò molto tempo”. O anche :“Perdonate se non sono particolarmente com-petente su questo argomento” o più spesso con un catastrofico “Sarò bre-ve”, interpretato normalmente come una pietosa bugia, un malaccorto tentativo di mettere le mani avanti.Dire che la personalità e lo stile di chi parla in pubblico siano determi-nanti per il suo successo sembra una verità ovvia. Ma è altrettanto vero che spesso si dimentica che la perso-na che parla conta più delle idee che esprime.

Eccitare l’attenzione

Il contenuto del suo discorso, infatti, potrà arrivare al pubblico, solo se il relatore sarà stato precedentemen-te capace di eccitarne l’attenzione, “conditio sine qua non” per entrare in comunicazione con lui.Ciò è tanto più vero quando si parla in pubblico non tanto per trasmette-re dati o informazioni che non scuo-tono emotivamente l’uditorio, ma quando si vuole essere convincenti e persuasivi, il che presuppone dover vincere delle resistenze psicologiche o intellettuali, come avviene di nor-ma nei discorsi politici, o in quelli che vogliono sostenere una qualsiasi tesi. Non è facile accettare l’idea che si è disposti ad accettare quasi tutto da una persona simpatica, mentre si

è portati a rifiutare l’eviden-za da una persona antipati-ca.La persuasione è fatta d’influenza e suggestione: per ottenerla in quanto re-latori non c’è che il modo di esternare la nostra perso-nalità’, cioè il nostro stile, la nostra “griffe”. Cioè la nostra capacità di lasciare un segno in chi ci ascolta. Non è un caso che lo stile prenda il nome dall’antico strumento di ferro o d’osso, per incidere su tavolette di cera, da cui stile in-cisivo.

Atteggiamento contagioso

Il nostro atteggiamento è contagio-so. Se saremo entusiasti, trasmettere-mo entusiasmo, se saremo spiritosi, trasmetteremo ottimismo, se saremo brillanti, trasmetteremo vivacità.C’è una sola cosa più contagiosa dell’entusiasmo, ed è la mancan-za d’entusiasmo. Ma l’entusiasmo è tutt’altro che il naturale stato d’ani-mo di chi inizia un discorso in pub-blico. Lo stress, il timore di non es-sere compresi o di dire cose risapute, la situazione d’esame, il bisogno di salvare la faccia, tutto concorre a spe-gnerci e a metterci in agitazione.Proprio quando sappiamo che la cal-ma, la sicurezza e la distensione di chi parla creano la migliore dispo-sizione del gruppo. Tutto ciò mette in causa tutti i segni esteriori della nostra personalità, e particolarmente l’ espressione, ( sguardo, sorriso e mi-mica facciale), il linguaggio e i gesti.

Lo sguardo

Lo sguardo è il mezzo più immedia-to per stabilire il contatto, per creare simpatia e fiducia. Sarebbe quindi opportuno guardare tutto il pubbli-co, con simpatia e cordialità. Invece molti relatori concentrano il proprio sguardo solo su alcuni, fissano i pro-pri appunti senza levare il capo, o no6 - 2010 - dm&c 29

scrutano intensamente, mentre par-lano, un punto imprecisato dell’o-rizzonte. Naturalmente la mimica non può evitare di essere coerente con il modo di guardare: è difficile sorridere guardando i propri appunti e impedire al proprio volto di assu-mere un’espressione seria e piena di sussiego.

Il linguaggio e i gesti

Ma il vero specchio dell’anima sono il linguaggio e i gesti.Trincerati dietro un podio come in trincea ci si trova a dire, con un’e-spressione compunta adatta alle condoglianze e le mani ferme sugli appunti come se potessero volar via: “Sono lieto di trovarmi qui tra voi”.E invece i gesti sono la vita, sono la manifestazione più autentica dei no-stri stati d’animo, ci denudano agli occhi di chi ci guarda.Domandarci se i nostri sono appro-priati è un impegno al quale nessun relatore dovrebbe sottrarsi, e invece non lo si fa quasi mai.Si ritiene che in un processo di co-municazione pubblica, i concetti espressi abbiano la piena responsabi-lità del nostro successo e perciò non si debba badare troppo al linguaggio usato ed ai suoi importantissimi ac-cessori: il tono, la voce, la velocità dell’esposizione.

La voce

Lo strumento principe della comuni-cazione è la parola, ma la voce è il vestito che la parola indossa.Discorsi modulati come litanie, le quali hanno lo scopo di avvicinarci a Dio che nella sua infinita bontà le ascolta senza annoiarsi, in un discor-so pubblico tramortiscono qualun-que uditorio.Dovrebbe essere evidente che ci sono parole più importanti di altre, che quindi meritano di essere sottoline-ate e che le pause come nella musica dove hanno la stessa importanza del-le note, vanno fatte per dare vivacità

al discorso, per renderlo meno mo-notono. Il pubblico ha mille motivi di distra-zione, si stanca facilmente, ha biso-gno di idee semplici. Il relatore deve pensare più rapidamente di lui, ma parlare più lentamente di quanto i partecipanti non pensino.Ma soprattutto, per un’elementare solidarietà umana, è bene che eviti la verbofagia, il ventriloquismo, il lin-guaggio complicato che ostenta raf-finatezza culturale anziché desiderio di farsi comprendere.Soprattutto nei temi di marketing, il ricorso alle parole di gergo e alle sigle è tanto inflazionato, che capi-ta di sentire relatori che dopo aver usato inavvertitamente un’espres-sione in italiano, sentono il bisogno di far seguire l’espressione inglese. Non, per fare un esempio, “customer relationship” ovvero “relazione col cliente”, ma “relazione col cliente”, ovvero “customer relationship”.

Arroganza della cultura

L’arroganza della cultura, bilanciata spesso dall’arroganza dell’incultura, rende difficile trovare l’equilibrio dato dalla chiarezza e dalla sempli-cità. Il motto di molti relatori :”Visto che le cose sono già difficili, perché non renderle incomprensibili?”Perché un viaggiatore dovrebbe “obliterare il titolo di viaggio”, quan-do sarebbe sufficiente “annullare il biglietto”? Perché mai, per dire che non si sa più dove andare a fare il bagno, si dovrebbe dire, come abbiamo sen-tito in televisione, che “…è difficile reperire arenili dove praticare la bal-neazione”?Ma soprattutto, perché in chi parla ad un pubblico, è così raro vedere ap-parire un sorriso?Alcune ragioni le abbiamo indicate, ma non sono ragioni valide. La serie-tà diventa sinonimo di tristezza.E invece, è vero il contrario: le per-sone che non sorridono non sono persone serie.

Comunicazione

dm&c - no6 - 201030

Nel pensare alle vacanze vi siete mai posti la fatidica domanda “ Dove an-diamo quest’anno?”Probabilmente si ,anche se in tempi diversi e migliori di quelli che vivia-mo , ognuno dichiarava le proprie preferenze per poi arrivare a sceglie-re quello che tasca….. e l’autorità in famiglia (moglie o padre ….) propo-neva.Come nelle famiglie anche nelle re-altà più complesse le decisioni su dove andare a svolgere il programma incentive o la convention aziendale, seguono più o meno lo stesso iter. Nei grandi gruppi, soprattutto, si confrontano idee ed opinioni diffe-renti sul dove come e quando realiz-zare l’evento. Tra le altre cose, inte-ressi legati allo sviluppo di un’ area o di un particolare settore produttivo fanno optare per una o per un’altra destinazione. Il tutto, naturalmente, con la limi-tazione imposta dal budget dispo-nibile e … dal gusto della parte più “influente” dell’Azienda.Ad opinioni diverse non possono che corrispondere destinazioni diverse . Capita così che quando ci viene ri-

chiesto di proporre dei programmi per la realizzazione di un Incentive ci vengono chieste le destinazioni più strane , molte volte incompatibili fra di loro. Quindi come guidare e convincere il Cliente alla scelta della destinazione che noi riteniamo più giusta?Ma quali sono, a mio avviso, i criteri per ritenere “giusta” la scelta di un luogo piuttosto che un altro ?Una volta, neanche tanto tempo fa, la scelta di una destinazione veniva fatta solo esclusivamente in base a criteri di esoticità, unicità, esclusività del posto. Insomma andare con l’a-zienda laddove da soli magari non si darebbe mai andati. Perché l’azienda voleva far vedere che era capace di “dare” ai propri ospiti delle cose scel-te con estrema cura.L’idea era quella di divertirsi, di vive-re esperienze nuove e quindi di tor-nare a casa motivati e “riconoscen-ti” nei riguardi di una azienda che si prendeva tanta cura delle persone con cui aveva a che fare.E questo era cosa “buona e giusta” che ancora adesso deve avere il suo peso.

Fabrizia Vania Calzavara*

Come guidare e motivare il Cliente alla scel-ta della destinazione. L’importanza del fa-scino del luogo ma anche del “messaggio”

Il valore delle emozioni

Dove andiamo quest’anno?

dm&c - no6 - 201032

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Motivazione

* Managing Director di

Heading South s.r.l.

www.headingsouth.it

President Elect

V.P.Education

Buona e giusta ma insufficiente. Perché l’evento incentive non può dimenticare di essere un momento di comunicazione. Un momento che l’azienda coglie per poter far passare quei messaggi aziendali che è opportuno che gli ospiti conoscano per poter svolgere meglio il loro compito nei riguardi dell’azienda stessa. Informazione, quindi, oltre a moti-vazione. E allora, in questo quadro, anche la scelta della destinazione co-mincia ad avere una forte pregnanza comunicativa.Un esempio? Se il momento azien-dale richiede che le persone acquisi-scano il concetto del’importanza di lavorare insieme e lo slogan dell’e-vento è (ad esempio) “uniti si vin-ce”, potrebbe aver senso organizzare il viaggio nella città in cui si svolge la finale dei campionati di uno sport che è emblematico per il gioco di squadra (non solo il calcio, ma an-che la vela, il canottaggio, il rugby e via così secondo lo sport di moda o preferito). Se invece si richiede ai col-laboratori di essere innovativi e cre-ativi cosa ne pensate di un incentive che ha come meta la prestigiosa sede della consegna dei premi Nobel, o la visita ad una struttura della Silicon Valley ?Sono solo esempi che si possono anche non condividere. Ma l’impor-tante è essere d’accordo sul fatto che anche la scelta della destinazione contiene in sé un forte messaggio. Un altro criterio che porta punti alla scelta di un posto è la possibilità che le cose “al contorno” offrano la pos-sibilità di riuscire a bilanciare corret-tamente i momenti che si svolgono insieme all’insegna del far circolare le idee e quelli che consentono svago e distensione. Anche qui il tutto non dimenticando

di lasciare il giusto tem-po “libero” a f f i n c h é o g n u n o possa ap-profondire,

secondo il proprio gusto persona-le, quello che più gli interessa della destinazione stessa.Terza cosa. Im-portantissima. La destinazione deve contenere in sé ( e noi organizzatori dobbiamo esaltarla in ogni modo) la capacità di emozionare.E’ l’emozione infatti la “chimica” che rende l’evento indimenticabile. E’ l’emozione che fa sì che,tornando a casa, non vediamo l’ora di rac-contare che… E’ ancora l’emozione che lascia un forte desiderio di po-ter partecipare ancora in futuro, ad un evento simile. “Viaggiare è come sognare, la diffe-renza è che non tutti, al risveglio, ricordano qualco-sa, mentre ognu-no conserva calda la memoria della meta da cui è tor-nato” diceva Edgar Alan Poe. Non sempre ri-cordiamo ciò che sogniamo, ma dif-ficilmente dimen-tichiamo ciò che abbiamo vissuto durante un viaggio.E se questo è un viaggio incentive allora chi l’ha organizzato può dire “obiettivo raggiunto”.Poi la scelta della destinazione sarà funzione anche di altre mille ragioni che non sto neanche ad elencare. Ma io credo che, compito di chi organiz-za, sia cercare di spiegare alla “par-te più influente” dell’azienda che quanto abbiamo detto sopra è im-portante e non deve essere soffocato, che so dal fatto che il Presidente ha dei ricordi piacevolissimi di un suo soggiorno in quella città o in quell’i-sola… no6 - 2010 - dm&c 33

Il modo miglior per avviare un’azien-da è la partecipazione della stessa a

fiere di settore e generaliste. E’, infatti, pro-vato, ovvia-mente a livello di teorie di mar-keting ed eco-nomiche, che la presenza, anche con un piccolo stand alle fiere giuste può au-mentare più del doppio il giro d’affari dell’a-zienda in fase di avviamento e consolidare il business delle aziende già pre-senti da qual-che tempo sul mercato. Partecipare a una fiera è, dun-que, un modo

efficace per entrare in contatto con nuovi potenziali clienti, migliorare

l’immagine della propria impresa e comunicare le novità. Proprio per questo negli ultimi anni si è sviluppato un particolare settore del marketing con lo scopo di svilup-pare competenze che riescano a tra-sformare la fiera, intesa come evento di mercato a evento d’affari, permet-tendo così l’ottimizzazione delle ri-sorse sia umane sia finanziarie. Per conseguire questi obiettivi gli esperti hanno creato il “Marketing Fieristico”, utile per trasformare la fiera da “Market Event” a “Business Event”.

Il piano di marketing

Il piano di marketing per la parteci-pazione a una fiera si articola quin-di in tre fasi: il pre-fiera, l’in-fiera e il post-fiera. Ovviamente ognuna di questi stadi ha delle precise fasi da rispettare dalle quali non ci si deve allontanare troppo per non compro-mettere i risultati. La fase pre-fiera è principalmente un piano di comuni-cazione e pubblicità che deve mirare alla divulgazione dell’evento sia ai clienti effettivi sia a quelli potenziali

Axel Lo Guzzo *

Le fiere e i congressi, rappresentano ancora il principale strumento di comunicazione nel B2B. A condizione che siano gestiti con estrema cura

Da marketing event a business event

Opportunità in tempi di crisi

Marketing

dm&c - no6 - 201034

-*[email protected]

elogiando non solo l’evento in sé ma anche tutta la progettazione e allesti-mento fieristico che sarà effettuato per l’occasione. La seconda consiste proprio nello svolgimento dell’evento stesso par-tendo dall’affitto dello spazio per lo stand fieristico fino ad arrivare a tut-ta la gestione dei contatti, e mira a ottimizzare in tutti i sensi, lo svilup-po delle relazioni con chi partecipa all’evento. In questa fase un ruolo fondamentale l’hanno sia i commer-cianti dell’azienda, o i titolari stessi nel caso di un’azienda di piccole di-mensioni, sia la struttura fisica del-lo stand, la sua grandezza e la sua progettazione, che deve essere stu-diata in modo da mettere in luce le caratteristiche che il visitatore deve riuscire a portare nella memoria una volta uscito dallo spazio fieristico; una sorta quindi di biglietto da visi-ta dell’azienda stessa. Infine l’ultima fase, permette di consolidare il lavo-ro svolto e di fare verifiche sui risul-tati ottenuti gestendo in modo per-sonalizzato tutti i contatti derivati dallo svolgimento delle due fasi pre-cedenti. In sostanza se si è lavorato bene nelle prime due fasi questa ter-za serve a consolidare la gestione dei contati. In tutti i periodi, comunque, vanno tenuti presenti due aspetti.

La partecipazione

La partecipazione a una fiera non è un evento estemporaneo e isolato, ma deve essere parte integrante di un piano di comunicazione dell’impre-sa; esporre in fiera è un’opportunità unica per creare o aggiungere valore all’immagine della propria impresa, è una “vetrina” da sfruttare. In secondo luogo, è necessario sce-gliere la fiera anche in conformità a diversi fattori, come il posiziona-mento, le finalità, il pubblico e il re-lativo profilo, i costi dei servizi, della logistica e così via. Inoltre, un altro elemento da non sottovalutare, è che

un evento fieristico assume un’im-portanza sull’incentivazione a livello economico del territorio locale a ca-rattere molto forte.

Fiere e congressi

Anche il comparto degli eventi con-gressuali, sempre più legati per com-plementarietà alle fiere, attiene al marketing fieristico ed ha una parti-colare valenza anche legata allo svi-luppo del turismo a livello locale. Da un punto di vista generale, quin-di, tutte le azioni attuate da un piano di marketing fieristico sono stretta-mente influenzate dalle azioni an-che politiche espresse sul territorio; ne conseguono, pertanto, uno stret-to legame tra marketing fieristico e marketing territoriale.Non per ultimo, è un momento pri-vilegiato per vedere le offerte dei con-correnti, per raccogliere il maggior numero d’informazioni sul settore in generale e sulle specifiche tendenze a livello di prodotti dei propri concor-renti diretti e indiretti.

Feed back

Un’occasione per raccogliere un feed-back immediato da parte dei clienti per quello che riguarda i prodotti, la qualità del servizio, le caratteristiche generali dell’offerta particolarmen-te stimolante per sviluppare nuove idee e prodotti futuri. Se i vantag-gi sono tanti, resta un punto a sfa-vore indiscusso: il costo. Costo che è percepito elevato, anche se sono poche le aziende, soprattutto di pic-cole dimensioni, a considerare con attenzione tutte le voci di costo ine-renti alle fiere. A mitigare l’impatto negativo dell’investimento richiesto dalla fiera, c’è, però l’elevato ritorno dell’investimento in termini di pa-trimonio contatti che si acquistano e che una successiva buona azione commerciale potrà trasformare in clienti effettivi. no6 - 2010 - dm&c 35

Si racconta che il celebre fisico dane-se Niels Bohr - insignito del Premio Nobel per i suoi fondamentali con-tributi allo sviluppo della meccanica quantistica - abbia un giorno affer-mato, forse neppur troppo scherzo-samente, che “fare previsioni è una cosa molto difficile, specialmente se riguardano il futuro”.Mi è sembrato dunque opportuno cercare qualche conferma dei dati contenuti nello studio Ericsson ci-tato nella scorsa puntata di ABC, e cioè che nel mese di luglio 2010 il numero degli abbonamenti di tele-fonia mobile nel mondo avevano raggiunto i 5 miliardi, che di essi 500 milioni permettevano la connessio-ne a Internet e che, se questi ultimi continueranno a crescere ai ritmi at-tuali, entro il 2015 diventeranno 3,4 miliardi, per cui, fra quattro anni, la maggior parte degli accessi alla Rete potrebbe avvenire attraverso disposi-tivi mobili.E a dire il vero le conferme non sono mancate. Verso la metà dello scorso mese di agosto, Gartner - la più auto-revole società di analisi del mercato Ict - ha comunicato che nel secondo

trimestre del 2010 erano stati ven-duti in tutto il mondo 326 milioni di dispositivi mobili - con un incre-mento del 13,8% rispetto allo stesso periodo del 2009 - e che al loro in-terno gli smartphone (i telefoni cel-lulari dotati anche di funzioni appli-cative) rappresentavano il 19%, con una crescita, rispetto all’anno prece-dente, di oltre il 50%. Pertanto, se partendo da questi dati si fanno due conti, si vede che alla fine del 2010 i dispositivi mobili venduti nel corso dell’anno supereranno gli 1,3 miliar-di, e di questi 250 milioni saranno smartphone.Più recentemente - restando questa volta in Italia - TIM (Telecom Italia Mobile) ha affermato che il volume di traffico generato dai suoi clienti con chiavette, smartphone e iPho-ne vari aveva raggiunto nel 2009 i 30 petabyte (ovvero 60 miliardi di megabyte), mentre nel 2010 la sua rete, opportunamente potenziata, ne smisterà il doppio. E, per quanto ri-guarda il prossimo futuro, la sua pre-visione è che questo genere di traffi-co continuerà a crescere a tassi annui pari ad almeno al 50%.

Carlo Cremona

Ci stiamo avviando verso l’era del “post compu-ter”, con dispositivi sempre più semplici e leg-geri che sono costantemente collegati alla Rete

ABC Internet

Il futuro della Rete è nomade

Comunicazione

dm&c - no6 - 201036

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Tutti dati che rafforzano l’ipotesi che ci si stia effettivamente avvian-do verso l’era del ‘post-computer’, com’è stata battezzata da Steve Jobs dell’Apple, uno dei suoi più convin-ti profeti. Un’era di dispositivi sem-pre più semplici e leggeri, di mini-pc non solo capaci di svariate funzioni ma, soprattutto, di rimanere costan-temente collegati alla Rete, alla quale sarà possibile accedere in ogni mo-mento per scaricare dati di ogni tipo. Oggetti multimediali che si adatte-ranno sempre meglio alle necessità di chi li usa, che staranno nelle loro tasche o nelle loro borsette, e saran-no in grado di fornire servizi che oggi richiedono ancora, in buona parte, l’uso di veri e propri computer.Tuttavia l’aspetto più importante di tali sviluppi non è, come potrebbe a prima vista apparire, quello pura-mente tecnologico, ma il fatto che l’impiego sempre più diffuso di que-sti dispositivi sta creando i presup-posti di quella che sarà, in un futuro ormai prossimo, la sua più rilevante conseguenza: una nuova rivoluzione nel mondo delle comunicazioni i cui effetti potrebbero rivelarsi ancora più dirompenti di quelli determinati, ne-gli ultimi 10-15 anni, dall’affermarsi di Internet. Anche se forse la mag-gior parte degli 11 milioni gli italiani che, secondo una ricerca effettuata dal Politecnico di Milano lo scorso mese di luglio, preferisce collegarsi a Internet con il cellulare, probabil-mente non ne è ancora pienamente consapevole.

Il nuovo mondo mobile

Ci si sta dunque muovendo verso una connettività ubiqua che - come qualcuno ha detto - libererà gli uti-lizzatori della Rete dalla necessità di fruire dei suoi servizi stando seduti a una scrivania. Anche se non è solo questo il punto. Manuel Castells - uno dei maggiori studiosi della so-cietà dell’informazione, definito dal Wall Street Journal, dopo la pubbli-cazione della sua trilogia ‘The In-

formation Age’, il Karl Marx dell’era post-industriale - in un recente inter-vento all’Università di Milano-Bicoc-ca ha fatto notare che: “Se la comu-nicazione è il processo fondamentale dell’attività umana, la connettività ubiqua e permanente diventerà un fattore di trasformazione sociale. In una collettività di persone sempre connesse in Rete nasceranno nuo-ve figure lavorative, si plasmeranno nuove strutture sociali, s’inventeran-no nuove relazioni e linguaggi.” Ed ha aggiunto: “Oggi il più potente e versatile strumento di connettività è diventato il telefono cellulare nel quale stanno convergendo diversi media, dall’accesso ad Internet ai vi-deo alla musica alla messaggistica. La comunicazione senza fili è la tecno-logia che ha avuto la più rapida dif-fusione della storia. Già il 60% della popolazione del pianeta è connessa ‘wireless’, con riflessi immensi sulla società, anche se ci troviamo ancora in una fase di transizione. Chi detie-ne il potere ha infatti paura di que-sta libera comunicazione: le aziende temono le nuove possibili forme di concorrenza, i governi temono di perdere il controllo delle loro popo-lazioni, i politici vedono a rischio le loro poltrone. Sono tutti nel panico, si sentono spodestati dalle nuove generazioni di internettiani, meglio informati e più rapidi nel reagire alle diverse situazioni grazie all’accesso ubiquo, e forti della sempre maggio-re solidarietà fra pari che s’instaura nella Rete».

Moltitudini intelligenti e sciami umani

Ma quali saranno le nuove figure la-vorative, le nuove strutture sociali, le forme di relazione e i nuovi linguaggi che l’ ‘ubiquitous computing’ rende-rà possibili? Per rispondere a queste domande ci viene in aiuto Howard Rheingold, uno dei più autorevoli studiosi delle implicazioni culturali, sociali e politiche delle nuove tecno-logie informatiche, che nel volume no6 - 2010 - dm&c 37

‘Smart Mobs: The Next Social Revo-lution’ - non proprio freschissimo di stampa ma che rimane comunque di grande attualità e di cui esiste una traduzione in italiano - analizza le audaci innovazioni di cui saranno sempre più protagoniste le ‘comuni-tà virtuali’ ovvero le ‘smart mobs’ (‘le folle, le moltitudini intelligenti’) at-tuali e prossime venture. Con questa espressione Howard Rheingold indi-ca infatti i gruppi di persone che usa-no i dispositivi per la comunicazione a distanza e le sottostanti tecnologie - a loro volta in continua rapidissima evoluzione - per organizzarsi e agire in modo coordinato anche senza co-noscersi tra di loro.Riecco dunque i concetti di ‘sciame digitale’, di ‘intelligenza collettiva’, di queste forme di aggregazione le cui possibilità, note in natura, inco-minciano a emergere anche nei com-portamenti e nelle interazioni uma-ne, stimolate dalle possibilità insite nelle tecnologie mobili. Come ad esempio nelle comunità che si for-mano all’interno dei social network - Facebook, Twitter o Myspace - dove idee e opinioni avanzate da pochi singoli possono rapidamente essere condivise, e influenzare migliaia se non milioni di persone. Con effet-ti profondi non solo sulle abitudini di cooperazione, comunicazione e consumo, ma anche sui modi di fare marketing e business.Chi si occupa di marketing dovrà ad esempio capire come ci si rivol-ge non più al singolo consumatore, ma a intere comunità le cui scelte potranno essere determinate dai giu-dizi espressi, nei social network, da pochi elementi che in questo modo assumono la guida dello “sciame” e gli indicano la direzione da segui-re. E poiché queste scelte possono cambiare in modo non facilmente controllabile, diventerà sempre più importante riuscire a coinvolgere attraverso forme di comunicazione di tipo collaborativo chi è in grado di controllare gli sciami umani e in-fluenzarne i comportamenti.

Naturalmente c’è ancora molto da imparare, ma alcune aziende, come Philips, Volkswagen, McDonald’s, Harley Davidson, Nike hanno inco-minciato a compiere test ed esperi-menti in questo senso. In particolare il noto produttore di computer Dell, sia pure in forma limitata, sta esplo-rando uno schema di marketing che promuove la creazione di “sciami” attorno ai suoi prodotti. Man mano che il numero di persone che s’impegnano ad acquistare uno specifico modello di laptop aumen-ta, diminuisce il prezzo finale di cui tutti i partecipanti allo sciame, la cui durata nel tempo è limitata, potran-no beneficiare.

Vincoli e caveat

Siamo comunque ancora all’alba di un rivolgimento la cui piena realizza-zione richiederà, tra l’altro, che siano nettamente migliorate le prestazioni delle attuali reti cellulari, amplian-done sia la capacità sia la larghezza di banda che, per il momento, con l’attuale tecnologia 3G-HSDPA, non può superare in download i 14,4 Mbit/sec e in upload di 2 Mbit/sec (entrambi teorici). Gli operatori stan-no ovviamente lavorando in questa direzione. TIM afferma ad esempio di aver già resi disponibili i 21 Mbit/sec a Roma e a Milano, che verranno via via estesi su tutto il territorio na-zionale, e prevede di avviare entro il 2011 i servizi a 42 Mbit/sec. Ma per la nuova rete 4G-LTE, che dovrebbe consentire velocità fino a 100 Mbit/sec bisognerà aspettare la fine del 2012, data alla quale inco-mincerà a introdurne gradualmente i servizi.Infine non si possono sottostimare i possibili contraccolpi legati al pas-saggio dall’Internet che conosciamo oggi, all’Internet senza fili né spazio, dove si giocherà un’importante sfida tra il potere economico e la libertà digitale delle persone. Un tema che prima o poi bisognerà pur trattare su ABC.

Comunicazione

dm&c - no6 - 201038

Steve Jobs

Howard Rheingold

Manuel Castels

Capita anche di approfondire le te-matiche di un libro. Chiacchierare di un libro è una faccenda rara nel comune “ vivere”. Normalmente si preferisce che siano altri a parlare di argomenti complessi, per non far tra-sparire il proprio personale pensiero, o meglio, per adeguarlo alla opinio-ne della maggioranza. Il libro di Ugo Cononici, “Comuni-co ...ergo sum”, ha il pregio si esse-re schietto. Di porre il tema del co-municare in modo molto personale il che manifesta il coraggio di avere consapevolezza e di offrire il frutto di ciò a tutti. E’ una conoscenza non solo di cosa dire ma soprattutto di se stessi.Se questo libro approfondisce la te-matica della comunicazione, la no-vità sta nel metodo: infatti Canonici lo aggancia alle sue molte esperienze personali. Sono il background del volume. Emerge che la forza delle considera-zioni sta proprio nelle implicazioni personali fatte di esempi raccontati nella testimonianza vissuta, che fa stimare il volume per l’alto tasso di conoscenza.

Qual è la relazione ?

Così è nata la discussione: chieden-doci: che relazione c’è tra conoscen-za e comunicazione?La riflessione che segue non è una recensione del libro “ Comunico … ergo sum”, ma l’ulteriore riflessione personale suscitata dalla lettura del volume e da quella discussione con l’autore.Il tema della conoscenza è superato spesso dal termine informazione. Conoscere è solo essere informati, e di conseguenza, la Comunicazione è informare.Il problema non è linguistico, ma di relazione . Comunicare la conoscenza implica un approfondimento su che cosa è conoscenza, come avviene questo processo, quando si può dire che “si conosce”? E perciò comunicare la conoscenza come avviene? Non è innanzi tutto un problema di strumenti, ma prima avviene la ne-cessaria decisione di cosa comunica-re, e quale conoscenza comunicare.Diceva un importante autore mo- no6 - 2010 - dm&c 39

Bruno Calchera

Per poter comunicare in modo efficace è necessa-rio crearsi un notevole background di conoscenza. Ed è importante vivere le cose in prima persona

Considerazioni dopo la lettura di un libro

Conoscenza e Comunicazione

Comunicazione

-

derno:” impa-rare qualche cosa vuole dire mettersi in gra-do di giudicare, la propria vita, la propria espe-rienza – trarne profitto direm-mo noi - . Que-sta è una sag-gezza che viene dalla conoscen-za più approfon-dita del vero. E la conoscenza più approfondi-ta del vero non

sarà mai tale se non è anche affetti-va, cioè amante la realtà stessa.” Canonici attraverso giudizi tratti dal-la sua storia ben fa capire una acuta osservazione della realtà, tanto acuta da diventare affettivamente bagaglio della propria umanità implicata nel processo di valutazione e di conse-guenza di comunicazione.Per conoscere, il metodo è imposto dall’oggetto.

L’importanza della realtà

Un semplice modo di affermare che la prevalenza della valutazione e del giudizio proviene dalla realtà. Il prodotto per essere conosciuto deve essere guardato, e compreso accettando le regole che l’oggetto stesso impone per la sua conoscenza. Così la comunicazione che ne conse-gue è una dipanazione delle infinite osservazioni nate dal metodo. Devo conoscere il servizio o il prodotto che offro al mercato, ed è la ragione stessa che l’utente finale stimerà. La forza suggestiva di certa comu-nicazione pubblicitaria spesso non agevola la conoscenza, ma induce l’apparenza di una conoscenza. Ad esempio la forzatura sulla im-magine che deriverà dall’usare quel prodotto, farà magari vendere di più per opera dell’impulso, ma alla fine difficilmente sarà portatrice di

conoscenza, e di fidelizzazione, e di legame con il compratore, cioè di va-lutazione personale positiva, infatti poco racconterà di sé, molto si per-derà nella nebbia dell’inconscio.Conoscenza e Comunicazione. Due parole che vanno comprese. Ad esse ci si deve educare.Conoscere non vuol dire solo il sa-pere razionalistico, ma anche il saper credere. Infatti la forza del testimo-nial esalta la conoscenza. Ad esem-pio: “io non ho visto il Sud Africa. Ma credo a coloro che l’hanno visi-tato, fotografato. Alle immagini che provengono da laggiù. Non ho dub-bi. Non dubito, poiché non ho rap-porto diretto, che la TV mi trasmetta immagini da un’altra nazione. Credo e basta! E’ conoscenza per fede sem-plicemente, credo. E spesso conosciamo per fede, perché siamo certi della credibilità del testi-mone o della testimonianza. La ragione però spesso vive delusio-ni: il testimone mente, o la testimo-nianza non è vera. Il rischio è uno scetticismo davanti alla comunica-zione: “meglio non credere a nessu-no!”, come “scegliere persone e testi-monianze credibili”. Meglio sarebbe pensare così: “ non sono educato a riconoscere una vera testimonian-za, non mi faccio le domande giuste per verificarlo, mi faccio abbindolare facilmente”. E’ una lealtà che pochi hanno.

Sovrabbondanza di conoscenza

La comunicazione diventa indispen-sabile in una sovrabbondanza di conoscenza. Se è naturale, quando si è fatto un grande incontro, dirlo a tutti, amici, parenti, e si vive den-tro una forte pulsione comunicativa, tanto più è naturale se la conoscenza ha generato un prodotto innovativo, se il proprio desiderio creativo ha mosso l’io a brigare, costruire qual-che cosa di nuovo e fantastico. Una novità. Ogni strumento di comuni-cazione sembra una limitazione ri-spetto alla cascata di conoscenza che

Comunicazione

dm&c - no6 - 201040

sgorga dalla propria esperienza. Da qui nasce la necessità, l’esigenza di avvalersi sempre di un mix di stru-menti e di messaggi. Più strumenti usati bene, insieme allargano la comunicazione della conoscenza della cosa o del servizio. Conoscenza della novità.Se non v’è novità , la novità la si in-venta. Ecco il dramma di molta co-municazione pubblicitaria di oggi!

Scetticismo imperante

Quanto scetticismo accompagna la campagne sugli additivi chimici dei prodotti di bellezza, di igiene!“ Ma come “ – si vorrebbe dire – “è cambiato il packaging, quel prodotto ha dentro quel nome latino e scono-sciuto. “Ma chi lo conosce?” Ecco la vera questione! “ Chi lo conosce?” “Mi piacerebbe saperne di più su sta cosa!”, sarebbe una lodevole e suc-cessiva riflessione suggerita da una educazione al giudizio!Ma chi sono allora grandi grandi comunicatori, non chi sono quelli che più creativamente hanno sapu-to declinare un messaggio per farne un successo solo commerciale di un momento?

Tre esempi

Ho tre esempi davanti agli occhi:Il Papa, Mr. Michelin e Pietro Barilla.Il primo, Benedetto XVI, arriva dopo Giovanni Paolo II, detto il Grande Comunicatore. Una definizione vera, ma che spesso tradiva un alcunché di ambiguo: come se fosse un mani-polatore delle coscienze attraverso l’immagine sapientemente usata dai media. Questo Papa, ad esempio nell’ultimo viaggio in Inghilterra, ha saputo co-gliere l’essenzialità dell’umano, ha approfondito la conoscenza del cuo-re di ognuno offrendo un messaggio, una valutazione del presente che era ben comprensibile dai colti e dai semplici. Dal popolo. E la stampa ha dovuto registrare ciò

che stentava da tempo ad accettare: un papa non intellettuale, comuni-cativo, timido, ma deciso, ecc … solo di un tipo diverso dal precedente, ma con una altissima capacità di coglie-re il cuore umano, uno che conosce il fondo del problema umano.Michelin, per chi lo ha ascoltato non solo è un pozzo di scienza e di conoscenza : non solo dei pneuma-tici. Ma del “ fare squadra”, del fare una azienda e tener conto del fatto-re umano complesso, innanzi tutto. E del desiderio di conoscere tutto, dall’arte al territorio, alla scienza.. Ecco, la sua comunicazione persona-le è stata spesso il faro per la comuni-cazione dei suoi prodotti. Le agenzie diventavano matte per co-gliere il Suo pensiero, non facilmen-te accontentabile e sempre badava alla corrispondenza tra conoscenza di prodotto/sistema/ mercato a mes-saggio. Con target e mix diversi di comunicazione. Infine Pietro Barilla, il fondatore di un impero alimenta-re, che ha fatto della relazione ap-profondita con i suoi collaboratori, a qualunque livello, veri co-partners. Barilla - Casa. E’ l’idea della relazio-ne tra la fabbrica e il territorio. Tra produttore e utente finale. La pasta buona aveva trai i fruitori proprio i dipendenti che ne elogiava-no le qualità. Anzi Barilla voleva sa-pere ogni particolare di produzione e era solito tener presente – per amor di conoscenza – i giudizi dei colla-boratori, degli acquirenti parmensi e memorizzava – lo testimoniano i figli- tutti i passaggi di produzio-ne, specie la modalità distributiva e di spedizione al fine di accrescere la qualità del prodotto. L’idea di Casa Barilla oggi viene mu-tuata da una tradizione e da una conoscenza educativa respirata in famiglia. Per tali ragioni il binomio conoscenza-comunicazione è inscin-dibile. Toglie i veli alle apparenze, dona certezza, sveglia la ragione, co-glie la bellezza, insegna il messaggio più adeguato, utilizza i media appro-priati. no6 - 2010 - dm&c 41

Parlando del piano di lancio di un nuovo prodotto abbiamo sottolinea-to come sia importante capire, attra-verso analisi di mercato, se l’offerta può avere successo.Abbiamo detto di ricerche offline e di quelle on line. E grazie a queste ulti-me siamo entrati nel mondo del web. E qui si è esaminato come ottenere il risultato di attrarre il “navigatore” al nostro sito. Affinché diventi Cliente, ma soprattutto Cliente-Fedele.Oltre a facilitare il raggiungimento del sito bisogna pianificare una stra-tegia di marketing o, se preferite, di web marketing.Proviamo adesso a esaminare alcu-ne strategie di web marketing che ci possano portare a un risultato soddi-sfacente.

Sei strategie vincenti

1. Ottimizzazione e posizionamento ai primi posti nei motori di ricerca: studiare i meta-tags del proprio sito (titoli, argomenti, parole chiave, ecc).2. Contenuti visibili nel corpo delle pagine

3. Focalizzare le prime 250 parole dei contenuti visibili di ogni pagina e inserirvi sino a tre parole o frasi chia-ve scelte per l’ottimizzazione.La più importante entro le prime 10 parole.4. Ovviamente le tecniche di posizio-namento di un sito ai primi posti nei motori non si riducono solo a que-sto, ma sono due aspetti importanti di una serie di azioni da intrapren-dere.5. Motori di ricerca principali, Direc-tories, e campagne PPC. Segnalare i siti nei motori di ricerca principali, neanche a dirlo uno su tutti Google, ma anche in importan-ti directories come Open Directory (DMOZ, importante proprio per Go-ogle ) e Yahoo. Parallelamente a un posizionamento ai vertici nei motori, prendere anche in considerazione il posizionamento a mezzo Pay per Click, se il vostro budget lo consente, e se nel vostro caso il rapporto costo per click parola chiave è conveniente. Tra i migliori troviamo senz’altro Google AdWords che consente di avere una buona vi-sibilità anche in altri motori come

Antonio Ferrandina

Una volta creato un sito per vendere un pro-dotto bisogna preoccuparsi di ottenere molti accessi. E soprattutto di non perdere il contatto

Una dozzina di consigli

Da clientea cliente-fedele

Marketing

dm&c - no6 - 201042

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www.piano-marketing.blogspot.com

Seconda Parte

Virgilio e Arianna. Una volta ottenu-to il click è necessario canalizzare il prospect in una pagina di atterraggio (landing page o squeeze page) per ot-tenere la sua mail, offrendo in genere un bonus omaggio.6. E mail Marketing. Creare una New-sletter - molti utenti non comprano subito, ma possono comunque con-tinuare ad essere interessati ai vostri prodotti o servizi e sia a loro che ai clienti acquisiti è necessario fornire un servizio di supporto ed informa-tivo. E’ per questo motivo che è fonda-mentale inviare loro una newsletter periodica con contenuti interessanti e aggiornati sui servizi o i prodotti of-ferti e/o argomenti ad essi correlati. E’ quindi indispensabile offrire la possibilità, a chi visita il sito, di iscri-versi alla newsletter inserendo in ogni pagina web del sito questa op-zione.

Altre sei strategie

7.Diffusione di contenuti a mezzo e-mail automatica - impostare sul proprio server di posta una casella e-mail in modalità autorisponditore che fornisce informazioni di qualità con cadenza settimanale. Questo comporta maggiore possibi-lità di rimanere in contatto con la propria utenza divulgando informa-zioni utili e proponendo nello stesso tempo prodotti o servizi. 8.Firma nelle e-mail - potrà sembrare una cosa scontata, ma è importante impostare il proprio programma di posta elettronica affinché alla fine di ogni messaggio inserisca una fir-ma automatica contenente Nome. Cognome, indirizzo lavorativo, indi-rizzo e-mail, indirizzo del sito web e indirizzo per sottoscrivere la propria Newsletter. 9.Article Marketing - Diffondere i propri articoli - gli articoli che ven-gono scritti nelle newsletter, se inclu-dono contenuti aggiornati e di reale interesse, possono essere pubblicati da altri siti che trattano gli stessi ar-

gomenti o da portali generalisti che hanno migliaia di accessi al giorno. 10.Scambio di Links - Al fine di ac-crescere la Link Popularity del sito e il fattore di Page Rank di Google del proprio sito proporre uno scambio di link con siti possibilmente della stessa categoria di appartenenza e di qualità, anche di altre nazioni. 11.Forums - Aprire un Forum di supporto ai propri servizi o prodot-ti, significa mantenere un contatto costante con i propri utenti e quelli potenziali. Inoltre, i loro contenuti vengono continuamente visitati dagli spider dei motori di ricerca, contribuendo a migliorare il posizionamento del sito nei loro indici. 12.Aprire un programma di affilia-zione - E’ un ottimo mezzo per con-vogliare traffico mirato e aumentare la link popularity, soprattutto se gli affiliati vengono scelti in base a de-terminati criteri. L’affiliato verrà pagato in base al pay per click, ovvero per ciascun click ge-nerato dal suo sito dovrete pagargli un importo la cui entità deve essere valutata in base a vari fattori. Bisognerà dotarsi anche di un sof-tware di statistica per controllare e filtrare gli accessi provenienti dagli affiliati. no6 - 2010 - dm&c 43

dm&c - no6 - 201044

iNFORMALIBRI

Utilizzo di tecni-che senza confi-ni per cambiare le condizioni dei mercati.Non occorre es-sere manager per fare marke-ting che cambi le regole.Occorrono idee nuove oppure la nuova appli-cazione di idee usate in altri campi con suc-cesso. A volte le cose nascono perché qualcuno ci ob-

bliga a farlo, spesso le idee valide ven-gono dalla contaminazione delle diverse culture. Ci sono occasioni in cui le menti fertili traggono spunto dall’osservazione delle circostanze avverse.Sono questi i momenti in cui i problemi da affrontare si trasormano in opportu-nità da sfruttare. Questo libro non è un trattato scienti-fico . Racconta 20 storie di aziende, ignorate dai più, che grazie al marketing, hanno cambiato, senza che noi ce ne accorges-simo, il modo in cui consumiamo.Come elemento comune a tutte queste storie si ritrova una volontà ferrea, che sembra spesso irragionevole ai più . Una volontà cieca per non vedere i sorrisini di quelli che si credono intelligenti.

Cosa è il marketing? Il marketing è truffa. illusione, suggestione. Il Marketing è soggettivo, il mar-keting è falso, il marketing è po-esia. Il marketing è guardare la foto di un campo di lavanda e... sentirne il profumo. IL MARKETING è..Per cortesia, non pensare alla rana viola e continua a leggere... Vedi? Non solo ci hai pensato , ma l’hai visualizzata, la TUA rana viola, che è diversa dalla mia ... quante volte con gli altri senza pensare che le loro rane viola sono diverse dalle nostre? Eppure noi cerhiamo sempre di vendere la nostra rana viola, pro-

prio come la vediamo noi, solo che loro, le persone che ci interessano, non la ve-dono o non la vogliono vedere.

Non perdere l’opportunità di acquisi-re migliori conoscenze nel campo del guerrilla Marketing e del Marketing di relazione. A chi si rivolge questo testo?A chiunque, questo libro è per tutti; e per te, che ti stai chiedendo: “Lo acqui-sto o non lo acquisto? Ma cosa ci sarà di così interessante in questo testo?”. Acquistalo: in questo libro c’è la tua vita, ci sono le tue relazioni, c’è la capacità di venderele tue idee in modo divertente e costruttivo. Non importa il mestiere che fai, questo libro non è dedicato solo agli imprenditori o agli operatori del marke-ting, questo libro è per te: immagina di poter migliorare la tua comunicazione,il tuo approccio e le tecniche per aumen-tare l’interesse degli altri nei tuoi con-fronti... IL MARKETING è.

MARKETING SOVVERSIVOVenti storie che hanno cambiato i mercatidi Marcello Cividini - Maggioli Editore - pag. 192 - 26,00 Euro

GUERRILLA MARKETINGCome esercitare leadership sul mercato prendendo a morsi la crisidi Mauro Baricca - Maggioli Editore - pag. 190 - 20,00 Euro

20 Aprile 2010: un incendio scoppia a bordo della piatta-forma petrolifera “Deepwater Horizon” della BP nel Golfo del Messico. 11 tecnici che sono a bordo muoiono, il greggio si disperde in mare alla velocità di 2,2 milioni di litro al giorno, è in atto una catastrofe ecologi-ca senza precedenti al mondo.Si rafforza il concetto ormai maturo che la sicurezza sul la-voro ha travalicato i confini più tradizionali ed è parte di un impegno molto più ampio. Le aziende devono sempre più di-venire sostenibili, abbracciare oltre alla sicurezza l’ambiente e la salute, insieme unite in un unico settore. I confini dello stabilimento si allargano alla salute dei familiari del dipen-dente. Essere un’azienda sostenibile diviene un vantaggio competi-tivo, un investimento e non più un costo.Ormai cadono e vengono su-perati i compiti tradizionali.Cambia il ruolo del manage-ment, l’operaio tradizionale non esiste più, si tende ad oc-cuparsi di tutti gli stakeholder - non soltanto di quelli relativi alle risorse umane. Gli spazi non si limitano alla fabbrica, ma si estendono alla sicurezza nella scuola, ai luoghi di vacan-ze, agli spazi in itinere. Dieci grandi aziende europee, tutte tra le best-performer, sono sta-te intervistate e raccontano le proprie strategie sull’argomento, i trend in corso, le azioni intraprese per favorire la sicurezza sul lavoro, come sta cam-biando il fattore rischio, come meglio organizzarsi nel settore.Si chiarisce in questo concetto anche il ruolo del nostro paese: l’Italia non è la “maglia nera”del vecchio continente, come a volte con grande leggerezza vie-

ne indicato, ma se si prende in conside-razione il settore della grande industria è al livello di quelle degli altri paesi. Il benchmarking si conferma ancora una volta come un intelligente strumento per confrontare le proprie iniziative e strategie con quello di altre aziende ec-cellenti in Europa e potere così autova-lutare lo stato dell’arte e la posizione in cui ci si trova.

L’AZIENDA SOSTENIBILELe strategie di 10 aziende industriali per raggiungere sicurezza sul lavoro, salute e cura dell’ambientedi Aldo Canonici - Franco Angeli - pag. 184 - 22,00 Euro

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iNFORMALIBRI

Per anni il di-versity manage-ment, la funzione aziendale che si occupa della co-noscenza e della va lo r i zzaz ione delle differen-ze delle persone all’interno delle organizzazioni, è stato un argo-mento da “ad-detti ai lavori”, ma oggi la situa-zione è cambiata. Nell’attuale mon-do del lavoro, in-

fatti, la diversità – di genere, di cultura, di origine – è ormai riconosciuta come un valore, e va quindi gestita come un obiettivo concreto per il successo delle aziende. Tuttavia, molte imprese si dico-no attente a questi temi solo a parole, con il rischio che il tutto si risolva solo in una moda o in facile retorica svincolata dalla realtà. In questo libro l’autrice, pio-niera italiana del settore che ha seguito progetti di diversity management delle più significative aziende italiane e multi-nazionali, fa il punto sulla situazione at-tuale e sui dubbi che rimangono aperti, offrendo al lettore una serie di consigli per mettere in pratica la nuova cultura della pluralità e mettendo in guardia dai pericoli e dagli errori.

Trattato moderno e di facile consultazione de-dicato alle tecniche di connessione e trasmis-sione dati.“Comunicazione Indu-striale” è il primo saggio nel panorama editoriale italiano, che passa inrassegna l’universo delle tecnologie e dei sistemi di comunicazione per l’industria con un lin-guaggio semplice e rigo-

roso.Dai modelli di rete alle interfacce di con-nessione, dai bus di campo agli standard wireless, dalla comunicazione embed-ded a quella per il motion control, da Ethernet (nelle sue numerose declina-zioni) agli standard informatici e di sicu-rezza, e ancora apparati di networking, smart grid, telecontrollo, cablaggio strutturato e reti di trasmissione dati. Il testo si rivolge ad un pubblico molto vasto, non ultimi gli studenti delle scuo-le secondarie e delle università molto spesso a digiuno di questi argomenti.

MANAGEMENT PLURALEDiversità individuali e strategie organizzativedi Maria Cristina Bombelli - ETAS Editore

COMUNICAZIONE INDUSTRIALERassegna delle tecnologie e degli standard Ethernet, wireless, fieldbus e seriali utilizzati nell’industria e nell’automazionedi Armando Martin - Editoriale Delfino - 24.00 euro

Ugo Canonici

Prefazione di Enrico Bertolino

Comunico…ergo sum

Se è importante saper fare, lo è altrettanto il far sapere.

Utilizzando una buona comunicazione.

Deus Editore s.r.l.

La piccola libreria di Deus Editorewww.miabbono.com/deus

Comunico …ergo sum Sarò Breve

Organizzare eventi aziendali

Scrivere. Una fatica nera.

Il temporary management (TM) è oggi oggetto di uno strano effetto pendolo: se prima se ne parlava trop-po poco, oggi se ne parla troppo, so-prattutto legandolo ai temi della crisi, rischiando di farla diventare l’enne-sima “moda di business”. Siamo in presenza di una forte crescita d’inte-resse per lo strumento, di un sensibi-le aumento della domanda da parte delle aziende, specie PMI, ma anche di un aumento incontrollato di offer-ta non qualificata, che può però crea-re al mercato un dannosissimo effetto boomerang.Obiettivo del libro è far sì che di TM si parli nei giusti modi e nelle giuste misure come di uno strumento utile, che non serve sempre, comunque e dovunque, e che ha successo se cor-rettamente applicato nelle opportune situazioni.Il libro si rivolge in primo luogo alle aziende e ai manager.L’interesse delle prime, specie delle PMI, è testimoniato dall’introduzione al volume scritta da Vincenzo Boccia, Presidente Piccola Industria di Confin-dustria, dalla prefazione scritta da Paolo Iacci di AIDP e da un commento di Paolo Citterio, Presidente di GIDP. L’interesse dei secondi è testimoniato da due brevi commenti di Federmana-ger (Giorgio Ambrogioni) e Manage-ritalia (Giuseppe Truglia). Alle aziende vengono date indicazioni pratiche sulle situazioni tipiche di utilizzo. sulle diverse modalità di approccio ad un progetto, sulle corrette modalità di valutazione di costi e benefici e sulla gestione delle va-rie fasi di un intervento. Soprattutto, si è cercato di dare alle aziende, specie alle medie e piccole, una serie di criteri per acquisire consapevolmente questo servi-zio in un mercato sempre più confuso e affollato.Ai manager verrà fornita una serie di spunti di riflessione su chi è il Tempo-rary Manager, su chi può diventarlo, e soprattutto su quali scelte deve aver effettuato e su come deve essersi “at-trezzato” personalmente e professional-mente, fornendo una sorta di checklist

personale con cui confrontarsi continua-mente, anche per evitare inutili illusioni e aspettative. Anche ai manager vengo-no dati spunti per non farsi “intrappola-re” da entità non professionali che pos-sano speculare sulla necessità di trovare lavoro da parte di molti.Grazie all’ampio panel di riferimento su cui si basa, il libro offre spunti interes-santi anche ad altre categorie di lettori:• alleaziendeerogatricidelservi-zio per la condivisione di un modello di sviluppo basato sulle esperienze stranie-re più significative• al legislatore d’ impresaper lacreazione di un quadro normativo che faciliti la diffusione dello strumento, specie nelle PMI• alle parti sociali per la defini-zione di un contesto contrattuale ed operativo favorevole alla diffusione di questa modalità di lavoro• alle associazioni managerialiper un corretto sviluppo istutuzionale del mercato, basato sugli approcci inno-vativi e moderni dei paesi più evoluti.

SOLUZIONE TEMPORARY MANAGEMENTNuovi professionisti per la creazione di valoredi Maurizio Quarta - Franco Angeli - pag. 215

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L’Oriente si racconta a Palazzo Reale E’ un dialogo culturale tra Orien-te e Occidente la splendida mostra a Palazzo Reale “al-Fann. Arte della civiltà islamica”, sino al 30 gennaio 2011. Un affresco completo della civiltà islamica attraverso la sua arte, con una ricchissima varietà cronologica (mille anni dal VII al XVII secolo), geografica (dalla Spagna all’Estremo Oriente) e tipologica (tappeti e tes-suti, raffinati metalli cesellati, cera-miche, sculture, miniature, preziosi gioielli e oggetti in avorio). In anteprima mondiale le 350 opere della collezione al-Sabah dello sceic-co Nasser Sabah e di sua moglie, co-municano bellezza e raffinatezza e invitano a scoprire l’arte di una ci-viltà millenaria, poco conosciuta in Occidente, e degli incontri, scambi e influenze con altre espressioni arti-stiche, compresa la nostra. Il percorso di visita è semplice ma di grande impatto: le opere più mi-rabili in sequenza cronologica, fino ai capolavori dei tre grandi imperi cinquecenteschi, Ottomani, Safavidi e Moghul, seguite dall’approfondi-mento di aspetti peculiari: la calli-grafia, la geometria, gli arabeschi, le figure e i gioielli, di cui questa Colle-zione rappresenta forse la principale raccolta mondiale.

Inaugurato Eataly in USA

A New York, a Manhattan, è sbarcato Eataly, il meglio dell’alimentazione buona e sana made in Italy. Per educare il gusto degli America-ni, di recente stanchi del loro catti-vo cibo, Oscar Farinetti, fondatore di Eataly, ha portato l’eccellenza dei prodotti culinari di ogni regione, dei cuochi di ogni settore e del design inerente alla cucina. Al numero 200 della Quinta Strada, un bell’edificio 800, in 7mila mq, ospita un villaggio di raffinatezze italiane, dalle carni ai dolci, i corner

“prosciutto e bollicine” in piazza, la fontana con zampillo di cioccolato, ma anche ristoranti, enoteca, libre-ria, scuola di gastronomia. C’è posto anche per un lancio turisti-co a rotazione di ogni regione e per ospitare prodotti Usa selezionati.

Vivere solo con l’e-commerce

Single, 35enne con bimbo piccolo e cane per un anno vivrà solo di acqui-sti online. E’ questo il progetto “IeS- Italian e-shopper” realizzato da CNR Media, col patrocinio di Netcomm -Consorzio del Commercio elettroni-co italiano. Lo scopo è scoprire cosa significa usare l’e-commerce, per tut-te le esigenze quotidiane, dal cibo ai libri, dai viaggi alle polizze. Il messaggio comunica che la matu-rità raggiunta dal commercio elettro-nico in risparmio, qualità, garanzia, sicurezza è tale da poterne fruire tutti per tutto. Una giornalista di CNR, dal profilo simile a molte altre donne, muni-ta di pc, carta di credito e acconto Pay-pal, è pronta a risolvere le sue esigenze quotidiane solo sul web e a testimoniarlo in un blog, in un dia-rio su Epolis e in trasmissioni pure giornaliere su CNR Radio Fm e Cnr Tv News, raccontando le proprie im-pressioni e il grado di soddisfazione, oltre a promuovere le aziende scelte. Un’avventura realistica/giornalistica tramite una comunicazione multi-canale: una proposta inedita e forte con cui attirare l’attenzione del pub-blico.

Le aziende piemontesi investono sulle donne

La Regione Piemonte ha premiato le aziende più attente alle donne. L’ini-ziativa, avviata nel 2009, ha indivi-duato tra le aziende piemontesi con oltre 100 dipendenti, quelle “virtuo-se”, cioè con un congruo numero di donne in organico e nella dirigenza: 58 realtà su 1076 del campione. I dati hanno messo in luce le con-

Fatti & Persone

dm&c - no6 - 201048

Tutte questi oggetti d’arte si riferiscono alla mostra sull’Islam a Palazzo Reale

dizioni che favoriscono l’emersione delle donne, specie a livello dirigen-ziale: un management “open min-ded” e/o internazionale; il lavoro in team e molto centrato sui risultati; la tecnologia; l’adesione a valori di non discriminazione e pari oppor-tunità. Per un’organizzazione azien-dale più “amica” delle donne, alle aziende piemontesi sarà distribuita la pubblicazione “é-quality viaggio nelle imprese dove parità è qualità”. Per approfondire il progetto “Aziende che investono sulle donne”: Ufficio Consigliera di Parità regionale, segre-teria [email protected]

E’ nata Univendita

E’ nata una nuova associazione di categoria della vendita diretta a do-micilio: è Univendita, (www.univen-dita.it) con sede a Milano, in piaz-za Cadorna, 2. L’hanno fondata sei aziende, Tupperware Italia, Vorwerk Folletto, Just Italia, Vorwerk Con-tempora, Cartorange e Jafra Cosme-tics, dopo la loro uscita clamorosa la scorsa estate da Avedisco. Alla guida, Luca Pozzoli (Tupperware Italia) in qualità di presidente e Ciro Sinatra (Vorwerk Folletto), vicepresi-dente. Segretario generale è Daniele Pirola. Innovazione, sviluppo, cre-dibilità, alti standard etici: sono le parole chiave contenute nello statu-to di Univendita. «Capisaldi dell’im-pegno dell’associazione -conferma Luca Pozzoli. -sono la gestione atten-ta della propria reputazione, la ferma convinzione di riunire l’eccellenza della vendita diretta a domicilio e fare sistema per contribuire attiva-mente allo sviluppo sostenibile del settore. La nostra visione della ven-dita diretta a domicilio è incentrata sulla massima trasparenza e sul ri-spetto dei consumatori». A livello europeo, l’associazione si ri-conosce nei valori di DSE (Direct Sel-ling Europe), a cui intende aderire. Il comparto della vendita diretta a domicilio in Italia ora ha quindi due associazioni di riferimento.

Alleate per conquistare l’estero

E’ tempo di rete. Il Made in Italy deve puntare alla qualità e alla siner-gia, ovvero fare gruppo, ognuno con le proprie caratteristiche, per ottene-re vantaggi commerciali, fiscali e di maggior potere contrattuale verso le banche. Lo dicono anche ministri e Confin-dustria, ma alcune realtà industriali sono già passate ai fatti. E’ il caso di otto aziende premium con prodotti complementari della zona Carpi-Modena, che hanno av-viato il loro esperimento di Rete: uno showroom a Milano, in cui presen-tano tutte insieme i loro manufatti. L’obiettivo è di affrontare meglio i mercati, specie esteri. Ma questo è solo il primo passo per aziende alle prese con i costi di pub-blicità e ricerca, e con una concor-renza, spesso sleale. Il +4,2% dell’export tessile italiano nel I semestre 2010 fa ben sperare.

La rete al servizio dell’arte

Il sistema museale pubblico e privato ha il suo portale, ArtWireless. Lo scopo é di creare un network di Musei e Gallerie ricco di servizi onli-ne: visite guidate virtuali, audiogui-de, consultazione di cataloghi, ven-dita e prenotazione biglietti. Inoltre in www.ArtWireless.it vi sono blog e forum sui dibattiti del momento. Direttore del portale è Giovanni Pu-glisi, presidente della Commissione nazionale italiana per l’Unesco (col-laboratrice nella creazione) e rettore dell’Università Iulm. Il portale si articola in quattro gran-di macroaree: la prima, informativa, raccoglie articoli e news sulle novità dell’arte in Italia; la seconda è dedi-cata ai musei, per segnalare eventi e mostre; la quarta sui servizi wireless per l’ accesso, con cellulari predispo-sti, a tutte le informazioni disponi-bili sull’opera che si sta guardando. durante la visita a un museo. no6 - 2010 - dm&c 49

Erix Logan

Fino agli anni 50 gli spettacoli di Varietà riem-pivano i teatri Italiani grazie al forte richiamo che le diverse attrazioni eserci-tavano.Tra queste gli il-lusionisti erano le celebrità as-solute, poiché, contrariamente ad acrobati, co-mici e fantasisti, erano in grado di reggere interi spettacoli con il proprio accatti-vante repertorio di donne segate a metà, appari-zioni, sparizio-ni, levitazioni e

mille altre fantastiche rappresenta-zioni.L’avvento della Televisione ha cam-biato le abitudini, sconvolto le tra-dizioni e inglobato dentro di sé il Varietà.Contrariamente al Circo, che per sua diversa storia e natura rimase fedele al proprio contesto, la Magia è esi-stita, in Italia e per molti anni, solo in TV; mentre all’estero rimaneva popolare anche negli spettacoli dal vivo.Il mago Erix Logan riporta in teatro la grande tradizione dell’illusioni-smo, Arte primaria che è nata con l’uomo e che insieme ad esso si è svi-luppata nel corso dei secoli.Lo spettacolo prevede anche una so-luzione didattica “conferenza-spet-tacolo” che sviscera la relazione tra l’uomo e la Magia.

Lo spot nella rivista

Già questa estate alcune riviste ita-liane ci avevano dato un assaggio

sperimentale di un nuovo modo di coniugare carta stampata e immagini in movimento.adesso sembra che stia partendo con vigore in USA la rivoluzione del video spot inserito in una rivista. Quando si sfoglia la pagina parte il video parlato che promuove due pro-dotti. In fondo la tecnologia è quella dei biglietti d’auguri con musica. Al momento ci sono ancora degli ostacoli da superare: l’inserto è trop-po grosso, lo spot è lento a partire e i costi da valutare. L’esperimento però ha raccolto com-menti positivi da parte del pubblico e l’iniziativa potrebbe stimolare pro-mozioni innovative in un mercato in difficoltà come quello dei giornali e della pubblicità connessa.

Sul web c’è lo“skin advertising”

Tra le novità online, alcune imprese hanno incominciato ad adottare lo “skin advertising”, un nuovo modo di fare pubblicità, per cui gli annunci si dispiegano proprio come una pel-le, avviluppando l’home page di un sito. C’è chi pensa che il visitatore del sito potrebbe viverlo come un disturbo, ma chi è favorevole obietta che l’in-trusione viene facilmente perdonata, se il sito offre servizi gratis come fa, ad esempio, un quotidiano con le notizie.

L’Italiano in pillole Italiano in pillole si propone di ri-spondere a molti dei dubbi sull’uso della lingua italiana parlata e scritta, con una serie di 12 video della du-rata di 5-6 minuti che offrono non solo regole, ma anche notizie curiose e interessanti sull’italiano corrente.Le lezioni sono tenute dal professore Giuseppe Patota, ordinario di Storia della lingua italiana presso l’Univer-sità degli Studi di Siena-Arezzo, lin-guista già noto al pubblico televisivo per avere realizzato rubriche e pro-

Fatti & Persone

dm&c - no6 - 201050

[email protected]

grammi dedicati all’insegnamento e alla diffusione della lingua italiana.Tutte le videolezioni saranno rego-larmente consultabili sul sito www.garzantilinguistica.it per l’intero anno scolastico 2010-2011 al ritmo di due al mese, corredate dalla tra-scrizione integrale dei testi, che gli studenti potranno copiare e salvare in forma di appunti, e da una batte-ria di esercizi per verificare la com-prensione degli argomenti trattati e misurare i propri progressi. La raccolta completa di questi mate-riali costituirà, nel suo insieme, una vera e propria “videogrammatica” dedicata alle regole, alle eccezioni e alle curiosità della lingua italiana che, oggi, registra molti elementi di novità e di trasformazione rispetto al modello di lingua tradizionalmente insegnato a scuola e descritto nei te-sti di grammatica.

Site Italy per la sostenibilità Si è tenuto a Milano, presso l’Hotel Milano Scala, un evento formativo di Site Italy. Il titolo: “ Segnali forti dal fronte della sostenibilità (come sviluppare business puntando alla sostenibilità)” e ha affrontato l’at-tualissimo tema del valore che l’ap-proccio green aggiunge alla brand awareness (in tutti i campi, non solo nella meeting industry). L’incontro si è svolto nell’ambito della settimana sulla sostenibilità dell’Unesco e rientra nel programma di eventi a tema che Site Italy inau-gurò a Firenze un anno fa, sempre con il patrocinio dell’Unesco. Moderati da Ugo Canonici, sono in-tervenuti: Maurizio Faroldi, direttore dell’hotel Milano Scala; Elena Ven-der Caldarelli, green member del Di-rettivo di Site Italy, Ceo dell’agenzia Kontiki; Stefania Fontana, consulen-te per la Regione Lombardia; Mas-simo Cacciotti, area manager Nord Ovest dell’ente certificatore BSI Ita-lia; Filippo Borghesi, di Green Graf-fiti, e Grazia Sapigni del Consiglio Direttivo di Site Italy .

La Cicrespi e il suo secolo

La Cicrespi festeggia i suoi cento anni di vita. L’azienda progetta, produce, integra e garantisce assistenza di si-stemi per identificazione, tracciabilità e sicurezza, di prodotti, processi e percor-si. La sua specializzazione, realizzata in collaborazio-ne con i suoi partner in-ternazionali, assicura sem-pre la soluzione di valore specifica per le esigenze di ogni cliente, anticipando e favorendo le evoluzioni tecnologiche e di mercato.Un’azienda, fra le leader nel mondo, fatta di uomi-ni e donne che da un seco-lo ripercorrono, evolvono e ottimizzano l’intuito e l’impegno dei leader Cre-spi fondatori prima e di Monticelli, Bettetini, Ta-vecchia poi.Il presidente Carlo Mon-ticelli fa capo alle due generazioni attuali, insieme alla figlia Renata Monticelli Bettetini, amministrato-re delegato, a Carlo Tavecchia, a sua volta amministratore delegato, mari-to di Chiara Monticelli, motore per vent’anni della Cicrespi, scomparsa per malattia nel 2006.La Cicrespi, per mercato, per filoso-fia, funzione e destino, non è solo un’azienda autoctona, è un micro-mondo che ha percorso la storia ita-liana, interpretandola e adeguandosi alle vicende. La sua attitudine “internazionale” fa valere questo concetto in chiave uni-versale.Non si comprende in pieno la storia di questa azienda e di queste fami-glie, se non le si pongono in un con-testo che non solo riguarda il nostro Paese, ma si estende molto più lon-tano. La Cicrespi per arrivare a tutto que-sto ha attraversato un secolo diven-tandone parte integrante. no6 - 2010 - dm&c 51

Che il valore del pensiero femmi-nile sia una risorsa per l’economia

mondiale oggi non lo nega (quasi) più nessuno. Ma per arrivare a questo punto il per-corso non è stato fa-cile né veloce.Ancora oggi le leve del potere sono per la maggior parte nelle mani degli uomini, e le percentuali di don-ne “che contano” sono molto diverse da Paese a Paese.

La trasformazione del ruolo della donna è stato lungo, faticoso e con-trastato.

Uno sguardo indietro

Guardando indietro il lavoro del ge-nere femminile era relegato in cate-gorie ben definite: filandere, mondi-ne, braccianti, sarte braccianti. Nei primi quaranta anni del Nove-cento per le donne, anche se appar-tenenti alla media e alta borghesia

gli accessi professionali erano pre-clusi. Fare e allevare figli era il loro compito.In Italia sino al 1963 si poteva licen-ziare la donna che si sposava e l’ac-cesso alla magistratura non era con-sentito.Negli anni setanta vengono emanate alcune leggi che vanno nella direzio-ne di favorire l’avvicinarsi al lavoro anche all’altro sesso. Che però continuava a “storcere il naso”.Ma, passo dopo passo, l’avvicina-mento si mostrava inevitabile.

Nuove figure

La tipologia dell’imprenditrice più diffusa negli anni cinquanta e ses-santa era quella della compagna d’avventura. Mogli diventate imprenditrici a fian-co del marito con il quale divideva-no l’onere e l’onore dell’attività in-dustriale. Come Wanda Ferragamo nel settore calzature e articoli di lusso in pelle o, a Milano l’Editrice Giancarla Mursia. Due casi in prima fila tra i tantissimi

Antonella Lucato

Sono stati fatti passi da gigante nell’accesso alle varie professioni da parte delle donne. Ma c’è ancora tanto da fare verso un traguardo che comicia ad essere condiviso

Un universo in movimento

Donna è bello

Comunicazione & Benessere

dm&c - no6 - 201052

-Terza Parte

meno noti.Un successo più difficile perché ot-tenuto partendo da zero è quello delle imprenditrici di prima genera-zione, nel campo della moda, Mari-uccia Mandelli impose la sua griffe Krizia, debuttò producendo gonne e camicette per le amiche milanesi, lasciandosi alle spalle gli studi delle magistrali e qualche anno di lavoro come maestra. Rosita Missoni capovolse l’iter d’im-presa a coppia associando alla sua ditta il marito Ottavio.

Diverse velocità

Considerato in cifre però il numero di queste donne alla testa dei cam-biamenti era molto piccolo, il grosso delle truppe era lasciato ben indietro e avanzava con passo incerto. Al salto di quantità mancavano le condizioni economiche. Soltanto tra la fine degli anni set-tanta e l’inizio degli anni ottanta si fece strada una nuova tipologia di

imprenditrice legata alla terziarizza-zione. Sotto la spinta della richiesta di ser-vizi in campo sociale, amministra-tivo, di relazioni pubbliche, di pub-blicità, risorse umane e selezione del personale, aumentavano le imprese

create da donne che si mettevano in proprio sfruttando una precedente esperienza alle dipendenze di un’a-zienda.

Realizzazione professionale

E il raggiungimento di un’equità economica e la possibilità di realiz-zazione professionale era molto più probabile da imprenditrice che da manager.Negli anni novanta le donne dirigen-ti d’azienda negli Stati Uniti erano il 40%, in Svezia e Norvegia il 15%, in Germania il 12,5%, in Francia il 10%, in Italia il 3,5%.In compenso la pressione dal basso, quella delle nuove generazioni con-tinua a crescere. Le studentesse sia nella scuola media superiore che all’università sono la maggioranza e molto determinate. Una nuova coscienza avanza verso un futuro di consapevolezza, auto-nomia ed equilibrio tra maschile e femminile.

La comunicazione nelle sue diverse forme espressive è il filo con-duttore che accompagna studi, formazioni e attività di una vita. Il Gesto e la Parola, la Relazione tra comunicazione verbale e non-verbale è stato il tema della tesi in Relazioni Pubbliche all’U-niversità Iulm di Milano. Master in linguaggi espressivi, psico-logia della comunicazione e psicosomatica, un’intensa attività di comunicazione in note aziende multinazionali e l’insegnamento in prestigiose Scuole di formazione arricchiscono l’esperienza sino all’approdo alla scrittura. I libri pubblicati, diversi per genere, in comune hanno la ricerca interiore, l’arte sottile di scoprire e conoscere se stessi. Scrive per testate italiane ed internazionali.

Antonella Lucato

no6 - 2010 - dm&c 53

COOPI - Cooperazione internaziona-le è una Organizzazione Non Gover-nativa italiana, laica e indipendente, fondata nel 1965 da padre Vincenzo Barbieri e legalmente riconosciuta dal Ministero degli Affari Esteri. In oltre 40 anni di attività, ha portato a termine più di 700 progetti in 50 pa-esi del Sud del Mondo, coinvolgendo 50.000 operatori locali e assicurando un beneficio diretto a 60.000.000 di persone.Oggi COOPI è presente in più di 20 paesi in Africa, America Latina, Asia e Europa con oltre 150 progetti di emergenza, riabilitazione e sviluppo; promuove il sostegno a distanza con più di 30 progetti in Sierra Leone, Uganda, Perù, Repubblica Centrafri-cana e Senegal.

Le nostre principali AREE DI INTER-VENTO:SALUTE: miglioriamo i servizi sanita-ri di base e realizziamo programmi di prevenzioneAMBIENTE: Lavoriamo contro il de-grado delle città e delle aree naturali. Diamo gli strumenti per lo svilup-po agricolo e l’approvvigionamen-to d’acqua potabile. Miglioriamo le condizioni igienico- sanitarieISTRUZIONE: promuoviamo l’istru-zione scolastica, professionale e l’alta formazione universitariaDIRITTI UMANI: tuteliamo i diritti delle comunità e valorizziamo le dif-ferenze culturaliASSISTENZA UMANITARIA: assistia-mo le popolazioni vittime di conflitti e di catastrofi naturali

LA NOSTRA MISSIONE: COOPERA-RE PER LO SVILUPPOCOOPI vuole contribuire, attraverso l’impegno, la motivazione, la deter-minazione e la professionalità delle sue persone, al processo di lotta alla povertà e di crescita delle comunità con le quali coopera nel mondo, in-tervenendo in situazioni di emergen-za, di ricostruzione e di sviluppo, per ottenere un miglior equilibrio tra il nord ed il sud del pianeta, tra aree sviluppate ed aree depresse.LA NOSTRA VISIONE: UN MONDO SENZA POVERTA’COOPI aspira ad un mondo senza povertà, capace di realizzare con-cretamente gli ideali di eguaglianza e giustizia, di sviluppo sostenibile e coesione sociale, grazie all’incontro e alla collaborazione fra tutti i popoli.IL TUO AIUTO FA LA DIFFERENZAI nostri progetti umanitari sono fi-nanziati dall’Unione Europea, dal-le Agenzie dell’ONU, dal Governo Italiano, dagli Enti locali e da altri Governi Europei. Siamo sostenuti da cittadini, aziende, fondazioni e vo-lontari. La nostra associazione impiega più del 90% dei fondi raccolti per i pro-getti sul campo, in oltre 20 Paesi del Sud del mondo.NATALE CON COOPIBiglietti augurali cartacei ed elettro-nici, calendari e panettoni solidali: tutti i prodotti per il Natale 2010 su www.coopi.orgSe, invece, volete festeggiare con una cena aziendale, scegliete “Operazio-ne Tavola Solidale”.

COOPI è presente in più di 20 Paesi in Africa, America Latina, Asia e Europa

con progetti di emergenza, riabilitazione e sviluppo

Il nostro impegno,ieri e oggi

Comunicazione Sociale

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L’EDITORE

COOPI – Cooperazione internazio-nale ONG OnlusHeadquarters: Via F. De Lemene 50 – 20151 Milano –ItaliaTel +39.02.3085057 r.a. – Fax [email protected] - www.coopi.org - C.F. e P.IVA 80118750159Per le aziende contattare l’ufficio corporate all’ indirizzo: [email protected] Rif. Licia Casamassima

COME SOSTENERCIin banca: c/c bancario Banca Po-polare Etica – IBAN IT 06R 05018 01600 000000102369 – intestato a COOPI – Cooperazione Internazio-nale ONG OnlusOn line: www.coopi.orgPer informazion: [email protected]

Informazioni

Colletta è un antico borgo medioe-vale arroccato su una collina situato a pochi chilometri dalla costa della Riviera, immerso nel verde dalla Val-le Pennavaire. Fu gradatamente abbandonata dai suoi abitanti tradizionali e a metà del 1900 si ridusse ad un pittoresco cumulo di rovine. Oggi, le sue case di pietra e le sue viuzze sono state totalmente ripristi-nate e ancora una volta le sue fine-stre guardano sulle fasce coltivate ad ulivi e ciliegi della valle. Il borgo ospita regolarmente eventi culturali, come mostre d’arte e con-certi oltre che eventi gastronomici per celebrare il miglior cibo e vino italiano. Oltre alla bella piscina del borgo, la zona offre la possibilità di praticare molti tipi di attività all’aperto quali escursioni a piedi, in bicicletta, sca-late ed il campo da golf di Garlenda.Per gli appassionati del trekking ed escursionismo si consiglia uno degli itinerari più affascinati del savonese, Castell’Ermo o Peso Grande. Castell’Ermo è un monte situato lun-go la dorsale che divide la valle Ar-roscia dalla valle Pennavaire e che gode di una posizione di grande pre-gio paesaggistico. La parete Nord del Castell’Ermo é quella che più affascina, per la pre-senza di alte torri dalle forme più bizzarre e dalle pareti strapiombanti.Il sentiero inizia alla fine della strada asfaltata che attraversa Borgo, una

frazione di Vendone. Si sale inizialmente lungo un bosco di castagni e una volta giunti al pog-gio, dopo un dislivello di 400 metri (in un’ora e mezza circa) occorrono ancora poco più di 45’ per giungere in cima al Castell’Ermo. Per gli ultimi 250 metri di dislivello ci troviamo in un ambiente aperto e soleggiato, dove la vista spazia sulla piana di Albenga e la valle Arroscia. In cima la Cappella di San Caloce-ro, che sembra non arrivare mai, è più che meritata. Dalla Cappella è consigliabile una breve variante al Monte Nero che si trova ad Est del Castell’Ermo che sul lato occidenta-le presenta un insieme interessante di torri, guglie e creste alte fino ad un centinaio di metri note come “il Giardino”. Il sentiero, a sinistra della Cappella di San Calocero, conduce diretta-mente in cima al Castell’Ermo. Dalla vetta possiamo vedere impressionan-ti strapiombi, di fronte la vista spazia su molti monti tra i quali il Saccarel-lo, il più alto della Liguria e dell’Alta Via e il Monte Fronté (2153 m.) dal quale ha origine il torrente Arroscia che attraversa un’area tipica della produzione del vino Pigato.Ecco un’altra ragione, oltre il mare, da offrire agli organizzatori congres-suali, che possono trovare ottima ospitalità nelle strutture di Loano2 Village, per organizzare eventi indi-menticabili.(Ufficio Marketing Loano2 Village)

Giovanna Risso

Il buon esito di un congresso non è legato solo alla validità della struttura che lo ospita ma anche a quello che il territorio circostante può offrire

Continua il nostro viaggio nell’entroterra savonese

Liguria: nonsolomare

Comunicare con i Convegni

dm&c - no6 - 201056

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Certo è un mo-mento delicato questo, non si par-la altro che di crisi quotidianamente e la crisi è respon-sabile di tutto, di un mercato che non gira, di clienti che non arrivano. Insomma peggio di così … Ma c’è chi invece non si ferma mai, chi è in corsa da sempre e ha il co-raggio imprendi-toriale di portare avanti nuovi pro-getti. E perché no, anche un po’ am-biziosi. E’ Vincenzo Presti, che ha avuto un’i-dea. Con il suo Gruppo alberghiero Ora Hotels, nel giro di soli due anni ha reso operative 26 strutture ricet-tive in 6 paesi diversi, dall’Italia alla Spagna, al Messico, al Kenya, alla Tanzania, al Madagascar e, a breve, con nuove aperture anche verso l’Eu-ropa dell’Est e il Mozambico.

Un marchio, quello di Ora Hotels, nato come nome da una “ispirazione” teolo-gica: per inaugurare la nuova struttura di Assisi, il Cenacolo, a Presti, fondatore e Presidente del net-work, è venuto in mente il celeberri-mo detto francesca-no “Ora et Labora”, a significare che il credere in un pro-getto ed il grande lavoro di una squa-dra di professionisti concertata, condu-

cano alla realizzazione di un impor-tante progetto. Un progetto che ha l’obiettivo di aprire oltre 100 struttu-re alberghiere, per diventare il grup-po alberghiero italiano di riferimen-to nell’attività di management.“In un paese quasi privo di ricambio generazionale nelle proprietà alber-ghiere, c’è un gran bisogno di aria nuova. Noi non acquistiamo alberghi, ma

Nella fotoVincenzo Presti

Erminia Casadei

Trasferire il know how, alle strutture alberghiere, con contratti di gestione, management e franchising, con un occhio attento alla formazione del personale

Non vendere solo camere ma destinazioni

“Mi è venuta un’idea che vi racconto”

Marketing

dm&c - no6 - 201058

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www.orahotelsgroup.eu

come i grandi gruppi internaziona-li, come Mariott e Intercontinental, offriamo il nostro know how con contratti di gestione, management e franchising, apportando tutta la no-stra esperienza operativa, commer-ciale, di marketing e amministrativa direttamente sul campo. E lo sviluppo che il nostro Gruppo ha avuto in soli due anni dimostra che c’è ancora tanto da fare”.Ma qual è la ricetta giusta? Come avete fatto?“Coinvolgere tutti gli attori è stato il primo passo” racconta Vincenzo Pre-sti “e condividere questa iniziativa con estrema trasparenza con inve-stitori e fornitori, creando sinergie finalizzate al raggiungimento dell’o-biettivo comune: generare business in una visione di insieme e non, vendere solo “camere”, ma “destina-zioni”, valorizzandone i territori, at-traverso la promozione delle risorse paesaggistiche, culturali, enogastro-nomiche”. Sorride il Presidente di Ora Hotels, mentre continua nel suo dire: “Il fat-tore umano è l’elemento essenziale e

rappresenta per Ora Hotels il fattore critico di successo di questa avven-tura. Convincere gli investitori del-la possibilità di attuare un progetto importante, interessare i fornitori a diventare partner di questa iniziati-va, coinvolgere e motivare i collabo-ratori per esprimere al meglio la loro capacità di accoglienza e ospitalità, incuriosire ed emozionare chi può scegliere dove trascorrere il proprio soggiorno. Il Gruppo alberghiero investe mol-tissimo sulla formazione del proprio team, un vero team work abituato al lavoro di gruppo, a prendersi cura degli ospiti con un servizio accurato e attento, per offrire la massima assi-stenza e consulenza. La filosofia ORA propone a tutti, investitori, fornitori, collaboratori, ospiti, di essere i protagonisti di que-sta nuova storia, una storia scritta da tutti, giorno per giorno, attraverso la loro esperienza, un’esperienza fatta di percezioni, di riflessioni, di sugge-rimenti e di emozioni” per poter af-fermare un nuovo slogan: “ci pren-diamo cura del tuo star bene”! no6 - 2010 - dm&c 59

Timing sviluppo prossimi 5 anni

Due ore di volo con Jet2.Com e si atterra a Leeds Bradford, in una

Gran Bretagna affascinante, accolti dalla contea selvaggia e suggestiva dello Yorkshire.Il capoluogo, Leeds, sul River Aire, custode di una storia che conoscia-mo a partire dal V secolo.Eccitante e cosmopolita. Il regno de-gli amanti dell’ottimo cibo, del vino, dello shopping e della cultura. Sede di tante attrazioni e business, in con-tinua ascesa ed espansione. Il tutto in una dimensione a misura d’uomo. Leeds, dapprima importante centro per la produzione e commercializ-zazione della lana, ora importante nell’ambito dell’istruzione, grazie alle numerose Università. Oggi la cit-tà è, aldilà di Londra, uno dei mag-giori centri finanziari del paese. Ospiti di Conference Leeds, il locale Convention Bureau, i Soci del Club hanno toccato con mano le varie possibilità che la destinazione offre alla Meeting Industry. Al nostro arrivo, la classica serata ug-giosa, e dopo un breve trasferimento siamo a cena all’ Engine house Cafe, un piccolo ed accogliente ristorante situato in una antica fonderia, sa-pientemente recuperata. The Queens e il Met Hotel sono state le nostre basi durante la visita. Otti-me strutture recentemente portate agli antichi albori, con ampi spazi congressuali, situate nel centro di Leeds. La cosiddetta New Urban Revolution ha tirato a lucido la città, che è stata liberata dall’alone polveroso da cui era soffocata ricevendo un comple-to restyling. Oggi ci si trova di fron-te ad uno dei distretti più eleganti e

alla moda della Gran Bretagna, con ristoranti sofisticati e locali sempre vivi, oltre ad essere un vero e proprio tempio della musica, teatro di impor-tanti esibizioni di artisti da tutto il mondo. Ne siamo stati noi testimoni con una piacevole serata trascorsa al Grand Theatre & Opera. Altri settori fondamentali per Leeds sono il turismo e lo shopping. A lun-go Leeds è rimasta esclusa dalle rotte principali dei vacanzieri, ma ultima-mente è stata protagonista di una ti-tanica operazione di recupero e valo-rizzazione delle sue risorse.Grazie alla splendida giornata di sole,abbiamo girato in lungo ed in largo la città a bordo di un sight-seeing bus.Dalla Leeds City Square, ai Clarence Dock, una sorta di cittadella sull’ac-qua, lungo le sponde dell’Aire, e quindi alla zona fluviale che si pre-senta splendidamente rinnovata, con i terrazzi delle warehouses tra-sformati in locali trendy, i vecchi ponti di legno creano un affasci-nante contrasto con le passerelle più moderne. Dove prima sorgevano i magazzini dell’industria tessile sono stati aperti ristoranti, caffè e pub. Per il lunch non potevamo mancare l’appuntamento da Nash’s, il regno del tradizionale fish and chips.Un intero pomeriggio lo abbiamo dedicato ad una lunga passeggiata per le vie più caratteristiche del cen-tro. Molto interessante anche la visi-ta ad Harewood House, una storica e elegante dimora. In chiusura di gior-nata ed a conclusione della nostra vi-sita, la cena dallo Skylounge del City Inn Hotel, , salutando i nostri Amici d’oltre Manica con un see you soon.

Leeds: il Club oltre Manica

Club dell’Osso

dm&c - no6 - 201060

[email protected]

Demetrio Minutilli

Nello Yorkshire abbiamo visitato una piacevole città inglese, a misura d’uomo, accompagnati dal sole

dmcFondato nel 1987

dm & comunicazione

Rivista di Direct Marketing, Marketing e Comunicazione d’ImpresaAutorizzazione tribunale n° 300 del 19/04/1991Sped. abb. post. 50% - Anno 23 - n°6 del 2010Prezzo di una copia 5 Euro Abbonamento annuale (6 numeri) 25 Euro - www.miabbono.com/dmc

Direzione, Redazione, Grafica, Amministrazione:Via Spallanzani 10 - Porta Venezia - 20129 Milano tel. +39.02.74.22.22.1 - fax +39.02.74.22.22.23e-mail: [email protected] - www.dmconline.it

Direttore Responsabile: Ugo Canonici ([email protected])Capo Redattore: Sarah CanoniciRedazione: Carlo Cremona, Grazia De Benedetti, Luca PalestraCoordinamento Redazionale e Grafica: Davide Canonici ([email protected])Editore Incaricato: Bruno Calchera

Collaboratori: Fabrizia Vania Calzavara, Erminia Casadei, Pier Giorgio Cozzi, Vittoria A. D’apice, Antonio Ferrandina, Silvia Frattini, Valentina Guerra, Axel Lo Guzzo, Antonella Lucato, Alessandro Lucchini, Marco Maglio, Domenico Matarazzo, Demetrio Minutilli, Ugo D. Perugini, Maurizio Quarta, Andrea Rettore, Emiliano Ricci, Giovanna Risso, Margherita Ruggiero, Elena Schiavon, Mario Silvano

Pubblicità: Gestita direttamente dall’Editore ([email protected])tel +39.02.74 22 22.1

Iscrizione ROC: 16511Deus Editore s.r.l.: via Turati, 26 - 20121 Milano - P.I. IVA 11422020153

Club C3:Il club per chi opera nel mondo della comunicazione d’impresa, ha come missione una corretta divulgazione della cultura della comunicazione.

dm&c è l’organo d’informazione del Club C3e-mail: [email protected] www.dmconline.it

Gestione data base, confezionamento e postalizzazione

Via Pindaro, 17, 20128 MILANOTel. +39 022520071Fax +39 02252007.333

E-mail: [email protected] www.directchannel.it - www.miabbono.com

Qualora non vogliate ricevere più questa pubblicazione potete inviare una mail a [email protected] specificando nell’oggetto “cancellatemi dal data base”.

dmcComitato scientifico

Bruno CalcheraGiornalista. Collabora con diverse realtà del Terzo Settore. Già Direttore della Comunicazione Istituzionale della Regione Lombardia, dopo essere stato Direttore della Comunicazione per l’Assessorato alle Politiche Sociali.

Mario Pasquero Dopo esperienze in aziende leader del Largo Consumo (Ferre-ro, Diageo, Paglieri) in ambito Marketing e Commerciale entra in Poste Italiane come Direttore Marketing di Postel e poi nella Capogruppo Poste. Oggi è consulente specializzato in Direct Marketing e Product/Trade Marketing per il Largo Consumo.

Marzia CuronePartner di “Relata”, Agenzia di Marketing e di Comunicazione di Relazione. Presidente del settore Direct Marketing di Asso-comunicazione, Coordinatore del Comitato Interassociativo Marketing Diretto.

Chiara GrosselliResponsabile del Marketing e delle Comunicazioni per l’IBM in Italia, delle Relazioni Esterne e della Fondazione IBM Italia. Collabora con diverse associazioni per sostenere l’imprendito-ria femminile. Ha vinto il Premio “Marisa Bellisario”.

Alessandro LucchiniGiornalista e copywriter, è autore di libri sulla comunicazione professionale. Tiene corsi di business/web writing per aziende ed enti pubblici e insegna all’università Iulm di Milano.

Bruno Patrito SilvaFondatore e presidente di Direct Channel - con oltre 30 anni di esperienza, maturata prima nell’ambito di prestigiose azien-de leader dell’I.T. e trasformata successivamente in attività im-prenditoriale.

Mario SilvanoPresidente di Silvano Consulting, società di formazione, consu-lenza, marketing operativo, sviluppo quadri commerciali.Dal 1961 tiene corsi in Italia e all’estero. Autore di libri su mar-keting e vendita.

Roberto ValliniGià direttore della Comunicazione di AEM Milano, e vice Presi-dente della FERPI. Giornalista, Direttore del TG di Antennatre, è stato Portavoce del Presidente della Lombardia Roberto For-migoni, e Direttore Editoriale di Telereporter.

Michele FaldiDirettore dell’Alta Formazione e delle Alte Scuole dell’Univer-sità Cattolica del S. Cuore. Ha lavorato presso centri culturali ed istituti di ricerca e formazione in Italia e all’estero. Da sem-pre si è occupato di Higher Education.

Maurizio NichettiArchitetto, mimo, sceneggiatore di cartoni animati, attore, au-tore, regista di film di successo e di cortometraggi.Debutta nel cinema con Ratataplan, a cui faranno seguito una decina di altri film. Lavora anche per il teatro e per la televisio-ne. È direttore artistico del teatro film festival di Trento.

Questa rubrica non ha mai ospitato un’intervista. Se il pensiero è libero,

è libero. Un’intervista segue una traccia. Ma il caso merita un’eccezione. Marco Bertoli è direttore generale del Comune di Sesto San Giovanni. Mentre apriva un convegno sulla comunicazio-ne, e parlando di come dev’essere una città oggi, l’ho sentito dire parole come “competitività” e “capacità attrattiva”, e che la competizione passa dai valori ma anche dal linguaggio, e che il lin-guaggio può diventare sistema di potere. Merita approfondire.“Competizione” è parola privatistica. Che significa per una città?Bisogna competere per sviluppare se stessi. Se Sesto vuole avere un futu-ro, deve competere con altri pezzi del mondo, deve fare scelte importanti e produttive per la gente e il territorio. Se riusciamo a portare avanti il progetto di Renzo Piano, e attirare a Sesto “fun-zioni nobili”, come dicono gli architetti, significa che grandi centri di eccellenza mondiali giudicano Sesto più attraen-te rispetto alla periferia di Barcellona, Berna, Lione o Francoforte. In passato Sesto l’ha fatto; è stata un’eccellenza nell’industria europea: Falck, Marelli, e Breda sono pezzi di storia. Cos’è rima-sto della “Stalingrado d’Italia”, di quel momento storico-sociale, di quell’ispi-razione collettiva? Il venir meno delle grandi fabbriche avrebbe potuto causare sconquassi enormi, come a Liverpool o Manchester. In vent’anni Sesto ha per-so 30/40 mila posti di lavoro, su una popolazione di 80.000 persone, senza sconvolgimenti sociali. Con l’aiuto del-la legislazione nazionale, con la cassa integrazione, ma anche grazie al tessu-to sociale, qui si è impedito il disastro. Sesto inoltre è una città plurale: circo-lano qui l’ex segretario nazionale della Cigl Pizzinato, l’ex segretario nazionale

delle Acli Bianchi, l’ex presidente della Provincia di Milano Penati, il fondatore di Emergency Gino Strada, il designer Giovanni Sacchi, Don Comegna, l’in-ventore della Caritas Ambrosiana. Quella che Sesto si porta dietro non è nostalgia: è memoria. Non è passato: è memoria per il futuro. Un popolo che ha memoria è un popolo che guarda avanti.La sua esperienza è varia. Come ha vi-sto cambiare il linguaggio della politica, dell’industria, dell’impresa, dell’ammi-nistrazione pubblica? “Parlare difficile” costruisce un sistema di potere lontano dal comune sentire. È vero che ci sono elementi di specialismo; ma quando il linguaggio specialistico viene usato fuo-ri dalle necessità della disciplina, allora diventa elemento di potere. Impedisce la comunicazione orizzontale. E que-sto porta a che gli italiani non parlano con gli arabi, gli arabi non parlano con i cinesi... Torno a Sesto: se Sesto vuole competere, deve poter comunicare uni-versalmente, altrimenti ci si restringe, si parla il dialetto. Il dialetto non è solo lingua di popolo, è anche lingua di ca-sta, codice elitario. Che cosa manca al linguaggio della po-litica per attrarre i giovani? Il mondo è oggi più complicato di quando ero ra-gazzo io. Allora era diviso in due: c’e-rano i buoni e cattivi. Oggi in quante parti è diviso? Ha però un vantaggio il ragazzo di oggi: può trovare nel lavoro elementi di miglioramento del mondo in cui vive, e congiungere passione profes-sionale e passione civile. Noi avevamo la vita divisa in modo artificiale: da un lato la politica, i valori, e dall’altro il lavoro, la vita. Per cambiare in meglio il mondo, la mia generazione aveva solo la politica, il lavoro era tutt’altra cosa. I ragazzi di oggi possono sperare che il loro lavoro non sia inutile, ma che serva a cambiare il mondo un po’ in meglio.

Riflessioni sul linguaggio da una conversazione con un dirigente pubblico

Linguaggio e potere

Pensiero Libero

dm&c - no6 - 201062

di Alessandro Lucchini*

*Alessandro Lucchini, giornali-sta e copywriter, Autore di libri sulla comunicazione profes-sionale. Tiene corsi business/web writing per aziende ed enti pubblici e insegna all’università Iulm di Milano. www.palestradellascrittura.it [email protected]