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Direttore ARTURO DIACONALE Giovedì 21 Luglio 2016 Fondato nel 1847 - Anno XXI N. 138 - Euro 0,50 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE pER LE gARANzIE, LE RIfORmE ED I DIRITTI UmANI delle Libertà POLITICA ROMITI A PAGINA 2 La débâcle del pensiero politicamente corretto PRIMO PIANO MELLINI A PAGINA 3 La riforma, Renzi, Boschi, somari e furbastri ECONOMIA SERAFINI A PAGINA 4 Fuga dalle tasse: le aziende italiane all’estero grazie alla tecnologia CULTURA de la GRANGE A PAGINA 7 L’integrazione ai tempi dell’Impero nel libro di Valditara PRIMO PIANO SOLA A PAGINA 3 Forza Italia e la sindrome delle “sliding doors” di ARTURO DIACONALE I l Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, ha rivelato che negli ultimi tempi almeno un paio di attentati sono stati fortunatamente sventati nel nostro Paese. A sua volta il mini- stro dell’Interno, Angelino, Alfano ha sostenuto che si sta indagando su un presunto complice dell’attenta- tore di Nizza in passato residente a Bari. Ma il Procuratore nazionale An- titerrorismo, Franco Roberti, ha so- stenuto che al suo ufficio non risultano le informazioni fornite dal responsabile del Viminale. Ed a sua volta il Procuratore di Torino, Ar- mando Spataro, ha chiesto di sapere se la magistratura sia stata informata dei “due o tre” attentati sventati a Il rischio del nuovo caso Abu Omar Al Senato Berlusconi ha la maggioranza Il voto dei senatori contro l’uso delle intercettazioni telefoniche nel processo Ruby ter non dimostra solo che l’onda giustizialista si è esaurita ma anche che c’è un’alternativa all’attuale coalizione di governo cui ha fatto riferimento Renzi. Le dichiarazioni di Roberti e di Spataro non sollevano solo il pro- blema del tipo di coordinamento esi- stente tra Servizi segreti, Procura Antiterrorismo e magistratura inqui- rente. Che a quanto pare sembra es- sere, se non inesistente, almeno poco funzionante. Ma solleva una que- stione decisamente più importante. Che riguarda il rapporto che deve es- sere stabilito e mantenuto tra i Ser- vizi segreti impegnati nella lotta contro il terrorismo internazionale e la magistratura a cui compete il com- pito di promuovere l’azione penale nei confronti di chi commette reati. Non è un caso che la questione sia stata di fatto sollevata dal Procura- tore Spataro. Il caso Abu Omar, pre- sunto terrorista catturato da agenti tuzione politica o da quella giudizia- ria? È fin troppo facile rilevare che sciogliere quell’ultimo interrogativo sia indispensabile per non trasfor- mare la lotta al terrorismo in una guerra tra istituzioni destinata a pro- vocare guasti addirittura peggiori di un qualsiasi attentato. Fino ad ora il nostro Paese è stato fortunatamente preservato da attac- chi devastanti come quelli avvenuti in Belgio ed in Francia. E la circo- stanza ha impedito il ripetersi del caso Omar. Ma perché aspettare l’in- cidente per fare chiarezza su questo aspetto determinante per il successo nella lotta al terrorismo? americani ed italiani sul nostro terri- torio e consegnato alle autorità egi- ziane, non è stato dimenticato dall’attuale responsabile della Pro- cura di Torino. Ed a non dimenticare le polemiche e gli scontri provocati dal conflitto tra la ragion di Stato dei servizi e l’obbligatorietà dell’azione penale dei magistrati dovrebbero es- sere anche i massimi responsabili delle istituzioni politiche del Paese. Insomma, gli attentati sono stati sventati? Il presunto complice del- l’attentatore di Nizza è stato identifi- cato? La magistratura è stata informata? E, soprattutto, nella lotta al terrorismo internazionale attuato non solo dai militanti dell’Isis ma anche dai semplici fanatici desiderosi di immolarsi in nome di Allah, la fi- liera di comando è guidata dalla isti-

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Direttore ARTURO DIACONALE Giovedì 21 Luglio 2016Fondato nel 1847 - Anno XXI N. 138 - Euro 0,50

DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1

DCB - Roma / Tariffa ROC Poste Italiane Spa Spedizione in Abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE pER LE gARANzIE, LE RIfORmE ED I DIRITTI UmANI

delle Libertà

POLITICA

ROMITI A PAGINA 2

La débâcle del pensiero

politicamente corretto

PRIMO PIANO

MELLINI A PAGINA 3

La riforma,

Renzi, Boschi,

somari e furbastri

ECONOMIA

SERAFINI A PAGINA 4

Fuga dalle tasse:

le aziende italiane all’estero

grazie alla tecnologia

CULTURA

de la GRANGE A PAGINA 7

L’integrazione

ai tempi dell’Impero

nel libro di Valditara

PRIMO PIANO

SOLA A PAGINA 3

Forza Italia

e la sindrome

delle “sliding doors”

di ARTURO DIACONALE

Il Presidente del Consiglio, MatteoRenzi, ha rivelato che negli ultimi

tempi almeno un paio di attentatisono stati fortunatamente sventatinel nostro Paese. A sua volta il mini-stro dell’Interno, Angelino, Alfanoha sostenuto che si sta indagando suun presunto complice dell’attenta-tore di Nizza in passato residente aBari.

Ma il Procuratore nazionale An-titerrorismo, Franco Roberti, ha so-stenuto che al suo ufficio nonrisultano le informazioni fornite dalresponsabile del Viminale. Ed a suavolta il Procuratore di Torino, Ar-mando Spataro, ha chiesto di saperese la magistratura sia stata informatadei “due o tre” attentati sventati a

Il rischio del nuovo caso Abu Omar

Al Senato Berlusconi ha la maggioranzaIl voto dei senatori contro l’uso delle intercettazioni telefoniche nel processo Ruby ter non dimostra solo

che l’onda giustizialista si è esaurita ma anche che c’è un’alternativa all’attuale coalizione di governo

cui ha fatto riferimento Renzi.Le dichiarazioni di Roberti e di

Spataro non sollevano solo il pro-blema del tipo di coordinamento esi-stente tra Servizi segreti, ProcuraAntiterrorismo e magistratura inqui-rente. Che a quanto pare sembra es-sere, se non inesistente, almeno pocofunzionante. Ma solleva una que-stione decisamente più importante.Che riguarda il rapporto che deve es-sere stabilito e mantenuto tra i Ser-vizi segreti impegnati nella lottacontro il terrorismo internazionale ela magistratura a cui compete il com-pito di promuovere l’azione penalenei confronti di chi commette reati.

Non è un caso che la questione siastata di fatto sollevata dal Procura-tore Spataro. Il caso Abu Omar, pre-sunto terrorista catturato da agenti

tuzione politica o da quella giudizia-ria?

È fin troppo facile rilevare chesciogliere quell’ultimo interrogativosia indispensabile per non trasfor-mare la lotta al terrorismo in unaguerra tra istituzioni destinata a pro-vocare guasti addirittura peggiori diun qualsiasi attentato.

Fino ad ora il nostro Paese è statofortunatamente preservato da attac-chi devastanti come quelli avvenutiin Belgio ed in Francia. E la circo-stanza ha impedito il ripetersi delcaso Omar. Ma perché aspettare l’in-cidente per fare chiarezza su questoaspetto determinante per il successonella lotta al terrorismo?

americani ed italiani sul nostro terri-torio e consegnato alle autorità egi-ziane, non è stato dimenticatodall’attuale responsabile della Pro-cura di Torino. Ed a non dimenticarele polemiche e gli scontri provocatidal conflitto tra la ragion di Stato deiservizi e l’obbligatorietà dell’azionepenale dei magistrati dovrebbero es-sere anche i massimi responsabilidelle istituzioni politiche del Paese.

Insomma, gli attentati sono statisventati? Il presunto complice del-l’attentatore di Nizza è stato identifi-cato? La magistratura è statainformata? E, soprattutto, nella lottaal terrorismo internazionale attuatonon solo dai militanti dell’Isis maanche dai semplici fanatici desiderosidi immolarsi in nome di Allah, la fi-liera di comando è guidata dalla isti-

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Il succedersi dei sanguinosi attentaticommessi in nome dell’Islam sta

creando una profonda inquietudinepresso le masse europee.

Nel Vecchio Continente serpeggiala paura a tutti i livelli e buona partedel suo establishment, cresciuto apane e buonismo, sembra incapace dioffrire una risposta rassicurante adun fenomeno senza precedenti nellanostra recente storia.

Soprattutto in Italia, in cui assi-stiamo da decenni al predominio diquella visione che molti hanno eti-chettato come politically correct, ilfronte una volta compatto di coloroi quali spiegavano tutto con le solite,vetuste categorie basate sulle condi-zioni socio-economiche esita a pro-pinarci l’ennesima versione delsottosviluppo e dell’emarginazionequale motore fondamentale di ognicrimine.

D’altro canto, il mondo cambia

molto velocementee pretendere di deci-frarne le sue evolu-zioni/involuzionicon alcune formu-lette di stampo ses-santottardo risultaa dir poco insen-sato. Pensare, comead esempio ha piùvolte ripetuto il Pre-mier Matteo Renzi,di contrastare il ter-rorismo con la cul-tura, che poi sitraduce in una cre-scita del già elefan-tiaco carrozzoneburocratico dellascuola pubblica, èridicolo. Ridicoloallo stesso modo dichi crede ancora dicombattere la crimi-nalità organizzatadel Mezzogiorno,

altro fenomeno che affonda le sueradici nel tempo, regalando apioggia altri posti di lavoro inven-tati.

Al cospetto di un terrorismoislamista che dilaga in Francia,laddove qualcuno già teme la ca-tastrofe di una guerra civile, e chesi espande nel resto d’Europa, leformulette ispirate ad un pauperi-smo ottocentesco e i richiami aduna sorta di fratellanza universalenon ci salveranno da una barbarieche se ne infischia dell’umanitari-smo da operetta delle nostreanime belle in servizio attivo per-manente. E mentre costoro vor-rebbero riprendere, dopo losgomento iniziale, i loro inni paci-fisti stile “mettete dei fiori nei vo-stri cannoni”, il popolo menocorretto politicamente cominciainesorabilmente a cambiare le pro-prie abitudini, prendendo atto checon le chiacchiere e gli slogan buo-nisti non si ci si allunga la vita.

2 L’OPINIONE delle Libertà giovedì 21 luglio 2016Politica

La débâcle del pensiero politicamente correttodi CLAUDIO ROMITI

Oltre allo sdegno e alla commo-zione per i fatti drammatici che

in questi giorni hanno pervaso i pen-sieri di tutti, resta ovviamente il pen-siero dell’Italia e della sua continuaderiva.

Infatti, in questo periodo per noinulla è cambiato se non in peggio,peggiorano le stime sul Pil, sulla de-flazione, sulle crisi bancarie, sul di-sagio sociale, sull’ossessione fiscale,sul lavoro. Del resto uno dopo l’al-tro vengono al pettine i nodi delleipocrisie di una maggioranza postic-cia, che guidata da Matteo Renzi cista portando al naufragio collettivo.

Sbugiardate tutte le promesse fa-sulle e inutili, appaiono infatti conchiarezza le realtà di un Paese il cuicontrollo è completamente sfuggitodi mano ad un Esecutivo tanto me-diocre quanto incapace. Nulla dinuovo sulle sbandierate modifichealla Legge Fornero, nulla di nuovosulle persecuzioni di Equitalia, nulladi nuovo sulle truffe bancarie ai ri-sparmiatori, nulla di nuovo sullaspending review. Anzi, quotidiana-mente leggiamo di ulteriori scandali,di proposte a favore degli istituti di

credito, di privilegi confermati allacasta, di manovre parlamentari utilia mantenere il potere. Come se nonbastasse, le cifre sul nostro stato disalute sono sempre più impietose:cresce il debito, cresce la povertà, ri-stagnano i consumi, cresce la divari-cazione Nord/ Sud.

Eppure, di fronte ad una tale se-rietà di problemi Renzi si preoccupadella sua poltrona, di rabberciarenuovi inciuci sul referendum costitu-zionale, di annunciare altre fanfalu-che per illudere gli italiani. Insomma,come se tutto fosse sotto controlloanziché completamente allo sbando,roba da far drizzare i capelli anche alpiù paziente dei cittadini. Il Premiersi diverte con il suo bye-bye Equita-lia, ma non annuncia l’unica cosache servirebbe e cioè una grande pa-cificazione fiscale, si diverte con l’an-ticipo pensionistico da vergognosapresa in giro, insiste sulla tutela delrisparmio, alla faccia delle truffe per-petrate alla gente. In buona sostanza,il solito arcobaleno di chiacchiere avanvera che da due anni e mezzo

riempiono i suoi discorsi sui trionfiche solo lui vede e riscontra. Non ècosì e lo sappiamo bene, come sap-piamo che ci aspetta una fine d’annosempre più difficile e complicata intutti i sensi. I provvedimenti che siannunciano per settembre sono, in-fatti, le solite spolverate di zuccheroa velo su una torta avvelenata che daanni ci propinano e che ci sta an-nientando un po’ alla volta.

Stiamo affondando e non certo percolpa della Brexit, come cercano digiustificare per nascondere le stupi-daggini e le demenzialità fatte. Oltre-tutto maggioranza e Governo più siindeboliscono per i litigi interni e piùdiventano arroganti e farisei. Nonpassa giorno, infatti, senza che si assi-sta a qualche pagliacciata di transfu-ghi che per interesse personale sispostano di qua e di là pur di ottenerequalcosa. In più da Renzi e restare agalla e restare a galla nel Governo.

Insomma, una sceneggiata napo-letana che non può guidarci da nes-suna parte se non al fallimentocollettivo. Resta però nelle nostre

mani la potentissima arma del votosul referendum Renzi/Boschi, la solache possediamo per respingere leprese in giro, per difendere la demo-crazia piena, per mandare via chitenta di piegarla ai suoi bisogni.Dunque, non perdiamola questa oc-casione e non sterilizziamo questaarma, votiamo “No” per guardareavanti e risanare il Paese.

Da Monti in giù, sono passati cin-que anni e di salvatore in salvatore(Monti, Letta, Renzi) siamo arrivatiallo stremo, all’esasperazione fiscale,alla paura sociale e alla insicurezzaterritoriale. Serve altro e serve dav-vero e serve subito, per questo e pertutte le ragioni del mondo, al refe-rendum votiamo contro e mandia-moli a casa.

Basta un segno di matita per cacciarli viadi ELIDE ROSSI e ALFREDO MOSCA

“Secondo la versione divenutauniversale, il Gran Maresciallo

di Francia Jacques de La Palice primadi morire era ancora vivo. Più mode-stamente, il nuovo sindaco di Roma,Virginia Raggi, nel presentare gli as-sessori della nuova giunta comunaleha dichiarato con solenne sussiegoche essi non avevano nulla a che farecon la politica. Dimenticandosi diaggiungere: fino ad un attimo fa”.

Quella per l’anti-politica sta di-ventando, per i grillini ma non solo,una vera ossessione e un presuntuosobiglietto da visita che dovrebbe di-stinguerli da chiunque eserciti qual-che attività in Parlamento, alGoverno o negli Enti locali partendoda posizioni politiche, diciamo, tra-dizionali.

La presunzione sta nel perma-nente e irritante atteggiamento di“superiorità morale” che i grillini as-sumono in ogni occasione, come sefossero portatori di un certificato dionestà rilasciato da non si sa qualeautorità superiore. L’ossessione è in-vece testimoniata chiaramente dalladichiarazione citata nell’aforisma,nella quale, chi l’ha fatta, non hacolto il risvolto ridicolo di quella cheè palesemente una tautologia. È in-fatti evidente che una persona la

quale accetti di prendersi la respon-sabilità di amministratore pubblicopur non avendo mai fatto politica,deve cominciare a farla. Insomma,prima di entrare in politica è ovvioche uno ne è fuori. Ma poi vi entra.A tutti gli effetti un assessore o unsindaco sono personaggi politici cheagiscono politicamente.

Vedremo quali meraviglie emerge-ranno dalla gestione della cosa pub-blica a Torino e a Roma ma, sin daora, sappiamo che anche i grillini do-vranno prendere decisioni e, quandosi prendono decisioni a fronte di op-zioni diverse sulla base di risorse li-

mitate, si fa politica. Deci-dere, infatti, è un verbo chederiva dal latino de caedereossia “tagliare” e, in politica,questa etimologia è quantomai realistica poiché ciò chesi decide di non fare spessoconta ancora più di ciò chesi decide di fare. Le deliberedelle giunte comunali, comedel resto i decreti di qualsiasiGoverno, sono vere e pro-prie scelte che sempre soddi-sferanno alcuni e lascerannoinsoddisfatti altri. Ed è esat-

tamente nel momento della sceltache le attitudini e le idee di chi go-verna vengono alla luce.

La retorica dell’anti-politica, cheimplica il disprezzo per i grandi si-stemi ideali (chiamati anche ideolo-gie), sta diffondendosi a macchiad’olio e i grillini sono al centro delfenomeno. Ma dimenticano che ogniuomo porta in sé idee precise su ciòche deve essere considerato giusto eingiusto, bene o male, opportuno onon opportuno e tutto questo, nei se-coli, è stato organizzato in modelliculturali che, sul piano politico,usiamo definire di destra o di sini-

stra, liberali o socialisti, e così via. Tutti noi, in definitiva, ci siamo

formati entro modelli culturali, fa-miliari, scolastici, di relazione e distudio, grazie ai quali abbiamomesso a punto convinzioni personaliche possono anche derogare perqualche aspetto dall’ortodossia diquesta o quella ideologia. Tuttavia,alla fine, basterebbe un semplice que-stionario con poche domande fonda-mentali sulla natura dell’uomo, suirapporti sociali, sui modelli giuridicied economici, per stabilire congrande verosimiglianza a quale ideo-logia storica afferiamo, anche senzaesplicita consapevolezza.

La supponenza con la quale i gril-lini guardano alle cose pretendendodi migliorarle ponendosi al di fuorio, meglio, al di sopra, della Storiadelle idee, è una solenne e pericolosaillusione. Essa infatti prende le mosseda una sorta di pragmatismo intesocome conquista post-ideologica ma,nel decidere cosa sia giusto o ingiu-sto, urgente o non urgente, priorita-rio o secondario, anche essilasceranno inesorabilmente affiorarele più diverse immagini dell’uomo edella società per ognuno di loro più

Un aforisma, un commentodi MASSIMO NEGROTTI

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degne di essere poste in primo piano.Probabilmente si sorprenderannoloro stessi, decisione dopo decisione,di trovarsi di volta in volta colloca-bili oggettivamente a destra, a sini-stra o al centro, magari sparpagliatiin una perenne e sterile polemica in-terna perché privi di orientamenticoerenti con qualche visione com-plessiva. Una sorpresa che costituiràl’esito finale di un “esperimento” dalrisultato scontato e di cui non si sen-tiva proprio alcun bisogno.

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3L’OPINIONE delle Libertàgiovedì 21 luglio 2016 Primo Piano

La cronaca riferisce dei dolori del-l’ultimo “giovane Werther” della

politica: il senatore Renato Schifani.In altri tempi, forse, qualcunoavrebbe preso sul serio i suoi dubbisul “che fare?” del Governo Renzi.Oggi non è così. C’è molta più con-sapevolezza tra le persone comunicirca l’ordine di grandezza dei pro-blemi da affrontare di quanti gliabitatori del potere possano imma-ginare. Davvero si pensa che le ma-novre di palazzo siano la rispostaalla domanda di sicurezza sociale edeconomica che proviene dal mondoreale?

Anche il senatore Schifani, cometutti gli altri atomi centristi, ha cre-duto, magari in buonafede, di pas-sare alla storia da salvatore dellapatria obbedendo ai voleri di padronRenzi. Ma si sbagliava. L’errore ca-pitale che ha commesso è stato divotare l’Italicum, pur nella consape-volezza che avrebbe condannato lacreatura che ha contribuito a fon-dare alla scomparsa definitiva dallascena politica. Presa coscienza del-l’errore compiuto, il senatore vor-rebbe tornare indietro, magariaiutato da qualche generoso in-centivo che gli faciliti il viaggio diritorno. Sarebbe interessante do-mandargli: perché adesso? Perchéabbandonare ora la scialuppa ren-ziana, visto che al momento per i”rottamatori” c’è ancora tempobuono e mare assicurato? La verità èche Schifani ha compreso benissimo

che la legge elettorale non cambieràe che coloro tra i suoi compagni dipartito che lo pensano s’illudono.Renzi glielo lascia dire ma non ha al-cuna intenzione di assecondarli comenon ha preso sul serio i patetici ten-tativi della sua minoranza interna dirimescolare le carte dell’Italicum.

La bizzarra discussione che sta in-fiammando il “Palazzo d’Estate” su

improbabili “Mattarellum 2.0” è lametafora del secchiello e della palettadati al bambino perché inganni iltempo sotto l’ombrellone. Il caponon si cura delle elucubrazioni dellasua mugugnante truppa. Glielo haanche detto: “Se trovate i numeri inParlamento per cambiare la legge,per me si può fare”, che equivale adire: l’Italicum resterà fino alla notte

dei tempi. Esagitazioni e mal di pan-cia, all’interno del variopinto bloccodi governo, non impensieriscono ilPremier. Il problema, invece, ri-guarda l’opposizione di centrodestrae in particolare Forza Italia. Postoche i grillini si sono collocati in unaposizione di assoluto vantaggio chegli consente di capitalizzare qualsiasierrore venga compiuto dalle altre

forze politiche, la patata bollente è fi-nita tra le mani della pattuglia berlu-sconiana. Se, da un lato, accogliere ilriflusso del Nuovo Centrodestra cheva liquefacendosi può rappresentareun’occasione per tenere la maggio-ranza sulla corda, dall’altro bisognaconsiderare l’impatto negativo cheuna strategia delle “sliding doors”possa avere sull’elettorato di riferi-mento sopravvissuto allo tsunami aCinque Stelle.

Coloro che hanno dato vita alNcd hanno compiuto una scelta de-vastante per il popolo di centrode-stra. Spesso il loro voltafaccia è statomotivato da basse ragioni di potere.Ora, pensare che alcuni di loro pos-sano fare il percorso all’indietrocome se nulla fosse accaduto po-trebbe rivelarsi un boomerang per leaspirazioni berlusconiane a ricon-quistare la fiducia degli elettori de-lusi. Da quando il MovimentoCinque Stelle sorveglia i varchi dellamobilità elettorale, voltagabbana eribaltonisti non sono più una risorsaalla quale attingere ma un onere nonagevolmente ammortizzabile. Nonsarebbe una cattiva idea se in ForzaItalia si vagliassero le richieste direingresso tenendo conto della lorosostenibilità.

Per dirla brutalmente, la domandache dovrebbero porsi Berlusconi &soci non è quanto paghi riavere unfuoriuscito dall’area centrista, maquanto costi in termini di consensoriprenderselo. Magari si scoprirà checerti ritorni di fiamma non valgonola candela che li genera.

di CRISTOFARO SOLA

Forza Italia e la sindrome delle “sliding doors”

C’è nel cosiddetto riformismo co-stituzionale “RenzoBoschivo”

una componente asinina. Stavo perdire “schiettamente asinina”, ma misono corretto: di schietto, di lucido,di chiaro non c’è niente, nemmenol’asinità, concetto che, in qualchemodo e misura richiama la buonafede. Perché si tratta di un’asinità in-trisa di atteggiamenti furbastri, di ri-serve mentali, di strumentalizzazioniambigue.

Quanto all’asinità non dovremmoscordare la “ripassata” del profes-sore che aveva avuto la Boschi suaallieva all’Università, che in una pub-blica manifestazione si può dire cheabbia mandata dietro la lavagna.C’è, in realtà, e risulta immediata-mente alla lettura dei prolissi articolidella legge di cosiddetta riforma, unaconfusione di idee, una incapacità diconcepire concetti generali ed uni-voci, di ragionare evitando di con-fondersi su piani e questioni diversee farne un pasticcio che è tipico delladegenerazione intellettuale che datempo infetta il mondo del diritto ela funzione legislativa in Italia. Ci sa-rebbe da scrivere volumi su questapatologia del diritto, che, partendodalla patologia della funzione giudi-ziaria, ha, in breve tempo, infettatola nostra cultura giuridica e non sologiuridica.

Ma, se manifesta è un’oscura e ra-dicata asinità dei “neocostituenti”,altrettanto manifesto ed anchechiaro, per quanto può esserlo, è losprezzo furbastro, la tendenza alladevianza strumentale, l’ubbidienzaalle esigenze di una quotidianità pre-caria che caratterizza l’avvio dellacampagna dei difensori della cosid-detta riforma per il referendum, ma,in sostanza contro il referendum,che, oramai, pare non si possa piùchiamare “il referendum di ottobre”,perché la furbastreria asinina è, an-zitutto, impegnata per un rinvio.“Sine die”, come si diceva una volta,oppure “alle calende greche”.

Abbiamo ripetutamente scritto e

sottolineato che la caratteristica dellacampagna dei renziani (originali, ac-quisiti, di complemento, in piantastabile o per incapacità di intendere)consiste in un continuo, insistente,incredibile, forzato tentativo di par-lar d’altro. E ad inventare fantasiose“esigenze” di “digerire” il pasticcioschifosetto della cosiddetta riforma.

La campagna per il Sì al referen-dum è stata aperta da quella che è poirisultata, per ammissione dei suoistessi sostenitori, la più grave cavo-lata mai commessa da Matteo Renzi:l’affermazione che “occorre votare sìsennò io me ne vado a casa e rimar-rete a rodervi nel pentimento e nelladisperazione”. La risposta è stata un“magari!” che ora turba i sogni delcapo e di molti seguaci e parassiti. Datempo, in modo velato e strisciante,

la modifica della Costituzione è statainserita nella categoria delle “ri-forme” che l’Europa ci avrebbe chie-sto in modo pressante. Che di questoci si debba preoccupare a Bruxellesed a Strasburgo è cosa da ridere. Poiè venuto alla ribalta un crescenteumore euroscettico e di reazione con-tro vere e presunte intromissioni del-l’Unione europea ed anche questoargomento è stato dovuto abbando-nare perché troppo evidentementecontroproducente.

È rimasta una generica esigenza di“aumentare il nostro credito al-l’estero” dimostrando di “saper cam-biare”. Che qualcuno abbia potutoprendere sul serio una simile cavo-lata è assai difficile. C’è poi tutta laserie delle invocazioni dei presunti“insegnamenti” del Brexit, quasi

sempre a vanvera e, soprattutto, con-cepiti in modo contraddittorio. Perlo più si tratta di argomenti contro ilreferendum piuttosto che contro il“No”. Renziani più o meno manife-sti e confessi come tali, cercano di farleva sullo sgomento e su qualche ri-pensamento sul Brexit, conseguenteall’esito di un referendum più omeno con questo discorso: “Vedetequali guai si procurano facendo vo-tare la gente ignorante su cose com-plicate invece di lasciarle decidere aquelli che molto se ne intendono?”.

Un discorso che, peraltro, eviden-zia ancor più la topica di Renzi, cheproprio dal referendum voleva rica-vare un investimento personale eduna legittimazione e sanazione dimolti suoi errori. E che troppo evi-dentemente tira in ballo una que-stione troppo diversa. C’è poi tuttala storia della “governabilità”. Se lariforma è bocciata, “l’Italia sarà in-governabile”. Ora, a parte il grotte-sco del voler mettere con la riforma

una sorta di museruola al cagnaccioItalia cattivo e disubbidiente, c’è dadomandare a Renzi, che afferma diaver governato benissimo finora conla Costituzione così com’è, che cosaintenda per “governabilità” e perchéritenga che, d’ora in poi, la possibi-lità di governare, invece, verrebbemeno se non adottassimo col nostrovoto il suo pasticcio.

A questo punto occorre fare unaconsiderazione d’ordine generale.Tutta una serie di “esigenze” che im-porrebbero di accettare l’inaccetta-bile riforma sono “questioni delgiorno”, che vanno, appunto, dallasorte del Governo Renzi alle “prio-rità” delle legge di stabilità, etc..Questo è il segno ineludibile di unaintrinseca incapacità politica, cultu-rale e morale di questo “Partito dellaNazione” di affrontare questionid’ordine superiore e di portata noncontingente, ma tali da proiettarsinei futuri decenni, quale è la Costi-tuzione, i suoi meccanismi, il suofunzionamento. Questa è gente cheper il piatto quotidiano di lenticchievenderebbe la primogenitura dellalegge fondamentale della Repub-blica.

Le “contingenze” alle quali si do-vrebbe condizionare il voto al refe-rendum, il Sì a questa vergogna,sono le più varie. La fantasia nell’in-ventarle e la disinvoltura con laquale vengono invocate e tirate inballo in una così grave e, direi, so-lenne questione relativa al futurodella Repubblica, danno tutta la mi-sura dell’inadeguatezza di una classepolitica abborracciata, venuta alla ri-balta in conseguenza di atti di veraviolenza, di golpe distruttivi. Basta,credo, evocare la più grossa cazzata(termine volgare ma è l’unico ade-guato) della giuliva, etrusca Boschiche ha affermato che il Sì alla sua ri-forma è necessario per far fronte alterrorismo. Una riforma dovuta alpensiero di una persona capace di si-mili sciocchezze non può meritareche un No senza alternative ed atte-nuazioni. No da votare al più presto.No, No e No!

Somari e furbastridi MAURO MELLINI

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Lavorare pagando meno tasse è ildesiderio di qualsiasi impresa o

individuo. La delocalizzazione, però,comporta da sempre costi e limita-zioni non sempre facili da gestire.Spostare un’intera fabbrica può es-sere conveniente nel lungo periodo,ma trasferire macchine industriali ericostruire stabilimenti interi èun’operazione che comporta comun-que un investimento di un certopeso.

Gli ostacoli, poi, non finisconoqui: la comunicazione, la gestione deidipendenti e dei team, l’impossibilitàdi delocalizzare risorse che lavoranosullo stesso progetto e così via. Finoad oggi. La tecnologia di questi ul-timi due anni ha cambiato completa-mente gli strumenti aziendali digestione del lavoro e potrebbe spin-gere sempre più imprese a delocaliz-zare, anche quelle che, fino ad oggi,vedevano troppi costi e troppi osta-coli nell’operazione.

Qualcosa infatti è cambiato. Laragione? Nuovi strumenti di gestionedel lavoro. Facili, gratuiti, flessibili.Adatti alla multinazionale comeanche alla microimpresa. Questi pro-dotti tecnologici sono esplosi tra il2014 ed oggi, rivoluzionando com-pletamente il modo di fare impresa.Se un tempo infatti, per lavorare, undipendente aveva bisogno di (co-stosi) software installati con un Cd-Rom dall’amministratoredell’azienda, cavi collegati al suo pcper accedere ai documenti e ai dati, eaddirittura quaderni o obliteratriciper segnare la presenza in ufficio, oratutto questo è diventato obsoleto, co-stoso, inefficiente. Al posto di Cd-Rom sono comparsi i cosiddettisoftware in “cloud”, ovvero softwareche non richiedono installazione, leg-geri come una “chat” di Facebook, acosti bassissimi e accessibili da tuttoil mondo, da qualsiasi computer.

Sono cambiati anche i sistemi di ac-cesso ai dati aziendali: un tempo lun-ghi cavi collegavano i pc deidipendenti a dei server “magazzino”di documenti virtuali, ora tutto que-sto è stato trasferito in altri spazi on-line, accessibili da ovunque, e daqualsiasi computer. Le riunioni sonodiventate “video” e l’Ad può colle-garsi anche dalla sua barca ai Ca-raibi.

Infine, sono cresciute le societàconvertite a sistemi di gestione del la-voro online: un insieme di strumentiche consentono a membri di un teamdi lavoro, di accedere ad una lavagna

virtuale in cui sono assegnati ruoli,responsabilità, progetti. Una lavagnain cui è possibile commentare, alle-gare file, segnalare date di scadenza,segnalare compiti per il collega. Si-stemi che hanno dimezzato scambi diemail, telefonate e, soprattutto, riu-nioni, ovvero un altro importantevincolo di “presenza fisica”.

Il lavoro è quindi sempre più de-localizzato, complice anche la ten-denza dello “smart-working” - oraregolamentato da un insieme di leggi- ovvero la possibilità per il dipen-dente di lavorare da casa, o da un co-working (spazi di condivisione di

ufficio presenti intutto il mondo, il piùfamoso in Italia è Ta-lent Garden). Ma se èpossibile per i dipen-denti “delocalizzarsi”,e lavorare quindi dacasa, oppure da unaltro Paese, o da unospazio di co-working,allo stesso modo èsempre più facile peruna società trasferireinteri dipartimentiaziendali all’esterodove, possibilmente,tasse e burocraziasono più gestibili.

I dipartimenti piùfacilmente trasferibilirisultano essere quelliche non richiedonouna presenza fisica deldipendente. Pensiamoa chi si occupa dei si-stemi informativi, chi

segue l’assistenza clienti (magari te-lefonica o via e-mail), chi gestisce lagrafica, le operazioni tecniche, la ri-cerca tecnologica. Si tratta in mediadi una percentuale che va dal 20 al40 per cento dei dipendenti di unaazienda di servizi. Una strategiamessa in atto, fino ad oggi, da grandimultinazionali (Ferrero in Lussem-burgo, Procter & Gamble in Belgio,Costa Crociere in Germania) cheora, per la facilità con cui e possibilefarlo, potrebbe coinvolgere societàpiù piccole, quelle che rappresentanoil vero tessuto industriale e commer-ciale italiano.

La delocalizzazione rappresentaquindi una enorme opportunità perle aziende, ma un grande rischio peril nostro Paese, che potrebbe vedersidecimata la popolazione e gli in-troiti. Le aziende cercano Paesi incui fare impresa non rappresenti néun rischio, né un ostacolo allaredditività. Quando i confini siriducono, e la flessibilità viene age-volata dalla tecnologia, l’incentivoa emigrare è ancora più forte, e nonva sottovalutato. L’Italia oggi com-pete con la Svizzera (un’ora di trenoda Milano), con l’Irlanda, conl’Olanda, con la Germania, con ilRegno Unito. E la competizione, perora, la stanno vincendo loro, attra-endo capitali e imprese, anche ita-liane.

Esistono però alcuni, semplici maefficaci strumenti che permettereb-bero al Governo di ridurre o disin-centivare questo fenomeno: lariduzione delle tasse, lo snellimentodella burocrazia, e un generale mi-glioramento dei servizi del Paese(giustizia, fisco, infrastrutture).Un’azienda che ha scelto l’Italiaventi o trent’anni fa, può e deveavere ancora l’incentivo e il deside-rio di rimanere. Ma non bastano ipaesaggi, la cucina o l’affezione, ladura legge delle aziende è la perfor-mance sui mercati, il Governo Renziè avvertito: i prossimi mesi potreb-bero rappresentare l’ultima verachiamata alle riforme di cui il Paeseha disperatamente bisogno, pertornare a crescere e per convinceremigliaia di aziende, a non delocaliz-zare.

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4 L’OPINIONE delle Libertà giovedì 21 luglio 2016Economia

di ELISA SERAFINI Fuga dalle tasse: le aziende italianeall’estero grazie alla tecnologia

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7L’OPINIONE delle Libertàgiovedì 21 luglio 2016 Cultura

Quando si discute – e lo si faspesso – di accoglienza degli ex-

tracomunitari (e quanto e come ac-coglierli), spesso intellettuali dellasinistra al caviale tirano fuori le ca-pacità integratrici dei Romani. Sinota come, per la maggior parte deisuddetti, la questione sia, per cosìdire, poco familiare: citano solo Ca-racalla e il suo editto di concessionedella cittadinanza a tutti i sudditi re-sidenti nell’Impero. E giù anatemi achi non vuole concedere la cittadi-nanza ai migranti come fece l’impe-ratore ai sudditi. Non consideranoperò che, secondo la cronologia co-munemente accettata, l’Impero si fadecorrere dalla battaglia di Azio (31a.C.), quando l’editto di Caracalla èdel 212 d.C.. Tra la fondazione del-l’Impero e la concessione della citta-dinanza a tutti i sudditi passaronoquasi due secoli e mezzo; la prospet-tiva è così a lungo termine che sicu-ramente se, praticata oggi, noninteresserebbe ai migranti ma tutt’alpiù ai loro bis-nipoti, e forse neppureagli intellos ricordati.

È quindi opportuna la lettura diquesto agile libro di Giuseppe Valdi-

tara, “L’Impero Ro-mano distruttodagli immigrati”(supplemento a “IlGiornale” pp. 48, €2,50), che riprendel’esposizione e spie-gazione della capa-cità integratrice deiRomani esposta daTacito negli Anna-les, quando riportail discorso dell’im-peratore Claudioper l’ammissione alSenato dei maggio-renti Galli. Comescrive Valditara, “leorigini di Roma

sono caratterizzate da due elementiapparentemente contrapposti: unastraordinaria apertura e capacità diintegrazione e il simbolo per eccel-lenza della chiusura: le mura”, onde“la solidità di una civitas presupponeuna chiara concezione di identità ealterità”; e “la grandezza di Romasta nell’aver saputo integrare e amal-gamare popoli fra di loro molto di-versi, traendo sempre dallecommistioni influssi benefici. Ancorauna volta con pragmatismo e con-cretezza”.

Questa capacità d’integrazione, diassimilazione e di assorbimento sifondava su determinati presupposti:in primo luogo la gradualità nell’ac-coglimento. I popoli integrati “prima

devono assorbire i valori di Roma,possibilmente attraverso un sistemadi alleanze che inglobava i socii nel-l’orbe romano”; mentre “estranea aRoma fu sempre, come si è detto,l’idea razziale”. “Il risultato di que-sta politica di apertura... fu infattiche i discendenti di coloro che eranostati accolti in seno alla città nonerano secondi ai vecchi cittadini peramore verso la patria”.

Ma l’accoglienza era questione dimerito e non era un diritto dello stra-niero. Così un sistema per ottenere lacittadinanza era prestare il serviziomilitare, ma “la concessione della cit-tadinanza ai militari stranieri deicorpi ausiliari avveniva dopo ben 25anni di onorato servizio”. L’accesso

alla cittadinanza era concesso in baseai parametri della gradualità e dellaconvenienza. Ma, di converso, perchi non se la meritava erano prati-cate misure di espulsione; sempre inbase a valutazioni concrete e realisti-che.

Tutto il contrario di quanto vor-rebbero fare i buonisti nostrani per iquali immigrare è un diritto, la citta-dinanza pure e per ottenerla, per ipiù, sarebbe sufficiente lavorarequalche anno in Italia. Cioè un di-ritto alla cittadinanza fondato supresupposti economico-morali e nonpolitici e concreti; su aspirazioniideali e non su fatti. Tutto il contra-rio di quello che praticavano i Ro-mani, Caracalla compreso.

diTEODORO KLITSCHE de la GRANGE Integrazione ai tempi dell’Impero

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