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1 STORIA DI UN PENDOLO Il Pendolo di Foucault del Centro professionale di Biasca Praga, 1996 Patrizio, Roberto, Andrea e Sacha stanno cenando in un ristorante del centro storico. Le pareti in pietra massiccia e lo stile del luogo ricordano un edificio neoclassico, settecentesco. L’atmosfera è rilassata e la conversazione verte sui più svariati temi. Patrizio Maggetti e Roberto Cortinovis sono docenti di cultura generale presso il Centro professionale di Biasca (CPBiasca), mentre Andrea Piemontesi e Sacha Solari insegnano al Centro Arti e mestieri di Bellinzona (CAMBellinzona), oltre che ai corsi di maturità professionale per elettricisti a Biasca. Insieme, stanno accompagnando due classi di apprendisti elettricisti e muratori in gita di studio a Praga. La cena è ottima, il vino è buono e tra i vari argomenti della piacevole chiacchierata vi è anche la letteratura e, fra gli altri, spunta il nome di Umberto Eco. Qualcuno infine cita “Il Pendolo di Foucault”. - Gran bel romanzo! ma tu ci hai capito qualcosa? - Cortinovis deve ammettere di essere venuto a conoscenza del famoso esperimento di Foucault solo grazie a Umberto Eco. A un certo punto, qualcuno dice: - Sarebbe bello costruire un pendolo di Foucault a scuola. - Detto, fatto! Una decina di anni dopo si inaugura, presso il Centro professionale di Biasca, un vero Pendolo di Foucault. Questa, in sintesi, la storia che vorremmo ora narrarvi più dettagliatamente. Fu chiaro fin da subito, già durante la cena a Praga, che il luogo ideale sarebbe stato il Centro professionale di Biasca, per le sue caratteristiche architettoniche. Vi si trova infatti, nell’atrio delle scale che portano alle aule, uno spazio vuoto di circa 5 x 8m e alto 16. Piemontesi informa i presenti che un suo collega, Flaminio Negrini, si era già interessato alla questione qualche tempo prima, realizzando un pendolo di dimensioni ridotte nella cantina di casa sua, proprio come aveva fatto a suo tempo Foucault! Ci sono quindi tutti i presupposti per partire con entusiasmo in questa impresa. Al ritorno da Praga, però, tutti rientrano nella loro routine quotidiana e nessuno sembra più ricordarsi del progetto. Passano le settimane e i mesi, forse anche più di un anno, senza che nulla accada. Cortinovis prova a mettere un avviso all’albo in aula docenti: “Progetto Pendolo di Foucault, chi è interessato a partecipare?Ma nessuno si fa vivo. Il progetto vero e proprio è quindi decollato solo molto tempo dopo, ma era doveroso citare questo inizio così lontano nel tempo e nello spazio, così poetico. Bisognerà attendere l’intervento risolutore di Maggetti (correvano gli ultimi mesi del secondo millennio...) per dare inizio alle operazioni in modo serio. Ad un certo punto, infatti, Patrizio Maggetti annuncia che si farà carico di intraprendere uno studio di fattibilità del progetto. Poco tempo dopo, si presenta al collegio dei docenti di cultura generale del CPBiasca annunciando la conclusione delle sue indagini: secondo lui la cosa si può fare, il Solo per voi, figli della dottrina e della sapienza, abbiamo scritto quest’opera. Scrutate il libro, raccoglietevi in quella intenzione che abbiamo dispersa e collocata in più luoghi; ciò che abbiamo occultato in un luogo, l’abbiamo manifestato in un altro, affinché possa essere compreso dalla vostra saggezza. (Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim, De occulta philosophia, 3, 65)* *Tratto da “Il pendolo di Foucault”, Umberto Eco, Ed. Bompiani, Milano, 1988)

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STORIA DI UN PENDOLO Il Pendolo di Foucault del Centro professionale di Biasca Praga, 1996 Patrizio, Roberto, Andrea e Sacha stanno cenando in un ristorante del centro storico. Le pareti in pietra massiccia e lo stile del luogo ricordano un edificio neoclassico, settecentesco. L’atmosfera è rilassata e la conversazione verte sui più svariati temi. Patrizio Maggetti e Roberto Cortinovis sono docenti di cultura generale presso il Centro professionale di Biasca (CPBiasca), mentre Andrea Piemontesi e Sacha Solari insegnano al Centro Arti e mestieri di Bellinzona (CAMBellinzona), oltre che ai corsi di maturità professionale per elettricisti a Biasca. Insieme, stanno accompagnando due classi di apprendisti elettricisti e muratori in gita di studio a Praga. La cena è ottima, il vino è buono e tra i vari argomenti della piacevole chiacchierata vi è anche la letteratura e, fra gli altri, spunta il nome di Umberto Eco. Qualcuno infine cita “Il Pendolo di Foucault”. - Gran bel romanzo! ma tu ci hai capito qualcosa? - Cortinovis deve ammettere di essere venuto a conoscenza del famoso esperimento di Foucault solo grazie a Umberto Eco. A un certo punto, qualcuno dice: - Sarebbe bello costruire un pendolo di Foucault a scuola. - Detto, fatto! Una decina di anni dopo si inaugura, presso il Centro professionale di Biasca, un vero Pendolo di Foucault. Questa, in sintesi, la storia che vorremmo ora narrarvi più dettagliatamente. Fu chiaro fin da subito, già durante la cena a Praga, che il luogo ideale sarebbe stato il Centro professionale di Biasca, per le sue caratteristiche architettoniche. Vi si trova infatti, nell’atrio delle scale che portano alle aule, uno spazio vuoto di circa 5 x 8m e alto 16.

Piemontesi informa i presenti che un suo collega, Flaminio Negrini, si era già interessato alla questione qualche tempo prima, realizzando un pendolo di dimensioni ridotte nella cantina di casa sua, proprio come aveva fatto a suo tempo Foucault! Ci sono quindi tutti i presupposti per partire con entusiasmo in questa impresa. Al ritorno da Praga, però, tutti rientrano nella loro routine quotidiana e nessuno sembra più ricordarsi del progetto. Passano le settimane e i mesi, forse anche più di un anno, senza che nulla accada. Cortinovis prova a mettere un avviso

all’albo in aula docenti: “Progetto Pendolo di Foucault, chi è interessato a partecipare?” Ma nessuno si fa vivo. Il progetto vero e proprio è quindi decollato solo molto tempo dopo, ma era doveroso citare questo inizio così lontano nel tempo e nello spazio, così poetico. Bisognerà attendere l’intervento risolutore di Maggetti (correvano gli ultimi mesi del secondo millennio...) per dare inizio alle operazioni in modo serio. Ad un certo punto, infatti, Patrizio Maggetti annuncia che si farà carico di intraprendere uno studio di fattibilità del progetto. Poco tempo dopo, si presenta al collegio dei docenti di cultura generale del CPBiasca annunciando la conclusione delle sue indagini: secondo lui la cosa si può fare, il

Solo per voi, figli della dottrina e della sapienza, abbiamo

scritto quest’opera. Scrutate il libro, raccoglietevi in quella

intenzione che abbiamo dispersa e collocata in più luoghi;

ciò che abbiamo occultato in un luogo, l’abbiamo

manifestato in un altro, affinché possa essere compreso dalla

vostra saggezza.

(Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim, De occulta

philosophia, 3, 65)*

*Tratto da “Il pendolo di Foucault”, Umberto Eco, Ed. Bompiani, Milano, 1988)

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progetto è realizzabile, grazie anche alla collaborazione dei colleghi entusiasti di Bellinzona. Tra le varie informazioni reperite da Maggetti si viene a sapere che esistono, com’era ovvio prevedere, centinaia, probabilmente migliaia di pendoli in giro per il mondo; che ce ne sono almeno due in Svizzera (Porrentruy, Soletta) e che la California Academy of Science fornisce addirittura un kit di montaggio completo in due versioni, una da 34'750.- dollari e una più grande da circa 80-90'000.-. Quest’ultima informazione farà riflettere tutti: forse non sarà così semplice, come pensava Cortinovis, appendere una sfera, una palla, una boccia qualsiasi al soffitto e farla “ciondolare”! Cortinovis, infatti, fino a quel giorno pensava ancora ingenuamente che il problema più grosso sarebbe stato trovare un alpinista in grado di arrampicarsi sulla vetrata del soffitto e agganciare il filo con la sfera… Certo, il problema finanziario cominciava ora a delinearsi in tutta la sua importanza, ma in quel momento nessuno si preoccupò di stabilire se il progetto fosse realizzabile sotto quell’aspetto, tutti erano interessati a risolvere la questione dal punto di vista tecnico. Intanto, altri colleghi cominciarono a interessarsi alle attività del gruppo: il già citato Flaminio Negrini, Massimiliano Guidolin e Davide A Marca, entrambi docenti di fisica e matematica alla maturità professionale. Ma un’ulteriore spinta a procedere verso la concretizzazione di tutte le teorie messe sul tavolo arrivò da un’altra suggestione di Maggetti: perché non provare ad andare a visitare un pendolo qui vicino, per raccogliere magari qualche informazione? Navigando su internet, infatti, Patrizio aveva “scovato” un pendolo presso l’”Istituto per geometri A. Canova” di Vicenza. Da Vicenza fecero sapere che il responsabile del pendolo, il Prof. Vincenzo Brogliato, era volentieri a disposizione per eventuali visite, domande, chiarimenti e informazioni. Maggetti, Piemontesi e Negrini partirono dunque alla volta di Vicenza, dove vennero accolti dal Prof. Brogliato, che dimostrò di essere una persona molto ospitale e molto disponibile. Invitò a pranzo i tre colleghi svizzeri e fornì loro una nutrita documentazione sul pendolo di Foucault da lui progettato e costruito. La spedizione ebbe

addirittura un’eco sul giornale locale (“Il Giornale di Vicenza”), dove uscì un articolo dal titolo “La calata degli svizzeri”, in cui si spiegava che una delegazione di professori e ingegneri svizzeri era giunta in Italia a chiedere consigli tecnici a dei colleghi italiani! I nostri tornarono dalla trasferta vicentina galvanizzati e decisi ad andare fino in fondo: oramai non sussisteva più alcun dubbio, il pendolo si farà! Rimaneva solamente da decidere “il come”. Già! Come faremo? Mentre si dibattevano le questioni tecniche, cominciava a essere chiaro a tutti che quella finanziaria non poteva essere rinviata oltre. Dove, o meglio, come reperire i fondi necessari alla realizzazione del progetto? E soprattutto, di quanti soldi ci sarebbe stato bisogno? Fare un preventivo non era semplice,

anche perché non esisteva ancora un progetto ben delineato.

Il Pendolo di Vicenza

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A un certo momento, qualcuno nel gruppo ebbe un’idea semplice quanto geniale: coinvolgere gli apprendisti nelle attività di costruzione delle varie componenti del pendolo. In altre parole, fare costruire il pendolo agli apprendisti. Oltre a risolvere parecchi problemi di ordine pratico e finanziario, ciò avrebbe naturalmente aumentato di molto la valenza pedagogico-didattica di tutto il progetto. A questo punto, vale forse la pena aprire una parentesi per i non addetti ai lavori. Infatti, forse non tutti sanno

che esistono principalmente due tipi di apprendistato: uno a tempo pieno, nel quale la formazione sia teorica che pratica si svolge completamente all’interno di una scuola di arti e mestieri, e un altro cosiddetto “duale”, nel quale l’apprendista riceve la formazione teorica a scuola e quella pratica in azienda. Anche in questo secondo caso, però esistono dei “Corsi interaziendali” di alcune settimane all’anno, in cui gli apprendisti apprendono ed esercitano i fondamenti della

professione scelta sotto la guida di docenti-istruttori. Si trattava quindi di convincere i docenti dei laboratori delle scuole di arti e mestieri e quelli dei corsi interaziendali a fare costruire agli apprendisti le varie componenti del pendolo durante le loro normali lezioni. Bisognava riuscire a far coincidere le loro esigenze didattiche, di programma, con quelle del gruppo del progetto “Pendolo di Foucault”. Per fare un solo esempio, anche se banale: perché

non fare costruire una vera ringhiera a degli apprendisti metalcostruttori, invece che farli esercitare a saldare delle componenti fittizie che non avrebbero avuto nessuna applicazione concreta nella realtà? A prima vista, tutto ciò sembrava più facile a dirsi che a farsi. Invece la rispondenza non fu solo positiva, ma addirittura entusiastica, tanto che altri colleghi chiesero di poter aderire al progetto. È quindi giunto il momento di fare un elenco delle professioni e dei docenti coinvolti nella realizzazione del pendolo di Biasca.

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Docenti coinvolti

Patrizio Maggetti Capo progetto Coordinazione

Roberto Cortinovis Aiuto capo progetto Coordinazione

Andrea Piemontesi Consulenza tecnica

Flaminio Negrini Consulenza tecnica e “alpinistico-acrobatica”

Massimiliano Guidolin Consulenza matematica-fisica

Davide A Marca Consulenza matematica-fisica

Virgilio Brogliato Consulenza tecnica

Claudio Rossi (CP Biasca /SPAI Trevano)

Parti in metallo (disegno tecnico, progettazione)

Carlo Togni (CP Biasca) Parti in marmo (disegno tecnico, realizzazione)

Flavio Salmina (CP Biasca) Illuminazione (progetto e realizzazione)

Fabrizio Guarisco (SAMB Bellinzona)

Parti aggancio sfera e consulenza

Stefano Solari (Unione svizzera metallo)

Parti in metallo (realizzazione)

Massimo Oncelli (Unione svizzera metallo)

Parti in metallo (realizzazione)

Apprendisti coinvolti

Polimeccanici SAMB Bellinzona

Elettronici SAMB Bellinzona

Metalcostruttori CP Biasca

Costruttori di impianti e apparecchi CP Biasca

Disegnatori metalcostruzioni SPAI Trevano

Scalpellini CP Biasca

Montatori elettricisti CP Biasca

Pittori CP Biasca

Grafici CSIA Lugano

Rimanevano quindi da coprire “solamente” le spese per il materiale. Interpellata in tal

senso, la direzione del CPBiasca comunicò ai responsabili del progetto che esisteva effettivamente un piccolo fondo costituito da offerte fatte dalle ditte che parteciparono a suo tempo alla costruzione del centro professionale. Questo fondo era stato pensato proprio per finanziare eventuali progetti di una certa importanza ed entità, da realizzare presso il nostro istituto ed il “Progetto Pendolo di Foucault” sembrava senz’ombra di dubbio rientrare in questa categoria. Quindi, messi da parte alcuni dubbi iniziali e alcuni

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scetticismi sull’utilità dell’opera (“Ma che roba è? Ma a che cosa serve?”), la direzione decise senz’altro di aiutare docenti e apprendisti a portare a termine questa impresa. Erano quindi assicurate, almeno in partenza, le condizioni minime indispensabili per poter dare inizio ai lavori veri e propri. Altri aiuti inattesi, di cui si parlerà più avanti, arrivarono in

un secondo tempo e furono di importanza rilevante per permettere ai lavori di giungere a buon fine. Ora si trattava di portare a termine la progettazione teorica, prima di poter costruire alcunché. Il gruppo si riuniva sempre più spesso; fisici e ingegneri lavoravano alacremente per risolvere ogni minima questione tecnica, perché tutto deve essere studiato, calcolato e disegnato alla perfezione: come dovrà essere il punto d’aggancio? Come sarà la sfera? Di che dimensioni, di che peso e di che materiale? Cosa metteremo sotto? Questi e altri gli interrogativi da risolvere. Ma

soprattutto: come si fa a mantenere in oscillazione la sfera? Con una calamita, certo. Un elettromagnete, per la precisione, ma dove verrà collocato? Sul pavimento, come dice Umberto Eco nel suo romanzo? Roberto Cortinovis, volendo rivivere le emozioni di Casaubon, Belbo e Diotallevi, era stato a Parigi al Conservatoire des art set métiers e al Panthéon, per cercare di capire il funzionamento dell’originale. Invano… nessuna indicazione in questo senso. Dappertutto viene spiegato a cosa serve il pendolo, ma non come funziona. Come dovrà essere l’elettrocalamita, che forma dovrà avere e come farà ad attirare o respingere la sfera del pendolo senza alterarne il suo moto naturale? Dopo lunghe discussioni attorno a questo tema, Negrini e Piemontesi, d’accordo con Guidolin e A Marca, propongono di non mettere l’elettromagnete sotto la sfera, come si pensava in un primo tempo, bensì di installare un toroide alla sommità del pendolo, vicino al punto di aggancio del filo che sosterrà la sfera. Mentre Cortinovis stava ancora cercando il termine “toroide” sul dizionario, gli esperti stavano già calcolando l’ampiezza che questa “ciambella” avrebbe dovuto avere e qual era la forza necessaria all’elettromagnete per attirare a sé un sottile (quanto sottile? Non si sa ancora!) filo d’acciaio alla cui estremità, circa 15 metri più in basso, sarebbe stata appesa una sfera di non si sapeva ancora quanti chili… Una volta risolto il problema maggiore, anche se solo a livello teorico, le altre decisioni vennero prese in un tempo relativamente breve. Innanzitutto la sfera: dopo aver scartato alcune proposte anche originali (una sfera in granito, o in legno, tra le altre), la scelta rimase quella tra il bronzo e l’acciaio. La loro maggiore densità (8-9 kg/dm3 contro i 3 del granito) dava maggiori garanzie di stabilità del movimento; inoltre entrambi sono immuni al magnetismo terrestre. Infine, il bronzo è il materiale utilizzato a Parigi per il pendolo originale e l’acciaio crea meno problemi nella lavorazione ed è sicuramente il materiale

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con il quale gli apprendisti polimeccanici sono maggiormente abituati a lavorare. L’acciaio inox, però, aveva anche un altro vantaggio: non avrebbe dato nessun problema di ossidazione, come invece probabilmente sarebbe accaduto con il bronzo. La scelta cadde quindi sull’acciaio, che oltretutto costa molto meno. Il peso fu stabilito più o meno arbitrariamente; il quintale, questa misura ormai desueta, piacque subito a tutti: un bel quintale d’acciaio, una cifra tonda tonda, proprio come una sfera! L’originale di Parigi ne pesa meno di 40, non ci saranno problemi con un peso così grande? La domanda sorse spontanea ma, secondo i responsabili della calcolazione, il peso “esagerato” non avrebbe dovuto creare ostacoli di nessun genere, anzi, semmai esso avrebbe dato maggior stabilità all’oscillazione. Trattandosi di una sfera piena, la sua massa definì le sue dimensioni, avrebbe quindi avuto un diametro di 29 cm. Impossibile, con i mezzi a nostra disposizione, costruirla in un pezzo unico, perciò la stessa venne realizzata in 5 strati, o “fette”, con un cilindro passante che le avrebbe mantenute unite. La sua realizzazione, insieme a quella del toroide con l’elettromagnete, venne affidata agli apprendisti polimeccanici del CAM di Bellinzona. Nel frattempo, anche le altre componenti vennero progettate, disegnate e costruite. La decisione di situare l’elettromagnete in alto, invece che sotto la sfera, incise notevolmente sulle caratteristiche del sistema di aggancio del pendolo, che da semplice “gancio”, divenne una notevole struttura trapezoidale fatta di tubi d’acciaio. Progettata e disegnata dagli apprendisti disegnatori di metalcostruzioni di Trevano, diretti da Claudio Rossi, la struttura fu costruita e assemblata presso il Centro SSIC di Gordola, nelle officine dell’USM, dagli apprendisti

metalcostruttori coordinati dai docenti Stefano Solari e Massimo Oncelli. Contemporaneamente a questa struttura, gli apprendisti metalcostruttori realizzarono una ringhiera che avrebbe circondato e protetto il pendolo nelle sue oscillazioni. Bisognava infine decidere cosa mettere sul pavimento, sotto il pendolo; qualche cosa che permettesse di vedere la sua rotazione apparente. Dato che al CPBiasca, c’erano anche delle classi di apprendisti scalpellini, l’occasione era perfetta per coinvolgere anche questi ultimi nel progetto. Dopo aver valutato diverse varianti,

si decise di installare una “classica” rosa dei venti, della cui realizzazione si fece carico Carlo Togni con i suoi apprendisti scalpellini. La rosa, del diametro di 2,20m prevedeva l’assemblaggio di quattro diversi tipi di marmo di diverso colore, appoggiati su di una base in granito. Un sabato mattina, Carlo Togni, accompagnato da Maggetti, Cortinovis e dall’allora direttore Licurgo Pedroli, si recò presso la ditta Valli SA di Grancia, per scegliere i marmi. La scelta cadde sul marmo rosa di Arzo, sul verde del Portogallo, sul famoso marmo bianco di Carrara e, per finire, sul nero “Galaxy” proveniente dall’Africa. Quest’ultimo aveva un nome e delle

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caratteristiche che si sposavano perfettamente con il tema del progetto, con il suo profondo nero costellato da piccoli frammenti brillanti come le stelle di una galassia. Siamo nella primavera del 2002, ed è quindi già trascorso più di un anno dall’inizio dei lavori; può sembrare molto, ma va ricordato che né gli allievi né i docenti possono dedicarsi a tempo pieno al progetto. I docenti si riuniscono nel loro tempo libero e gli apprendisti possono realizzare le varie componenti solo durante i loro corsi interaziendali, corsi che ovviamente non si svolgono tutti nello stesso periodo. Nemmeno i polimeccanici e gli elettronici della scuola a tempo pieno di Bellinzona possono dedicare tutto il tempo delle loro attività di laboratorio a costruire le varie componenti del pendolo. Tutto ciò ha richiesto uno sforzo di coordinazione notevole che ha messo a dura prova soprattutto il responsabile del progetto, Patrizio Maggetti. Comunque, alla fine di marzo del 2002, gli scalpellini avevano terminato il loro lavoro e la rosa dei venti era pronta, in attesa di poter essere posata. A questo riguardo, è doveroso citare il fatto che la ditta Valli SA di Grancia ha deciso di aiutarci mettendo a disposizione gratuitamente tutte le sue infrastrutture (officine, macchinari) per una settimana intera, durante la quale gli apprendisti, coadiuvati dai loro maestri di tirocinio, hanno potuto preparare questo “puzzle” di marmo. Ad ogni modo, i componenti del gruppo di coordinazione e tutte le persone coinvolte, svolgono le varie attività con entusiasmo e competenza; ciò che fa ben sperare per un risultato finale più che valido sia dal punto di vista estetico che da quello tecnico-scientifico. Nell’autunno dello stesso anno, infatti, praticamente tutte le parti che andavano costruite erano pronte per essere installate: la rosa dei venti, la ringhiera, la sfera, la struttura di aggancio e il toroide con l’elettromagnete. Nei laboratori di Bellinzona, intanto,

gli apprendisti stanno elaborando il sistema di monitoraggio dell’oscillazione, hardware e software compresi. In una fredda sera di novembre, da Gordola vengono trasportate a Biasca, con mezzi privati, tutte le parti metalliche; anche in questo caso, come accaduto spesso, docenti e apprendisti fanno degli straordinari volontariamente. Un’altra ditta presso la quale lavoravano alcuni nostri apprendisti, l’impresa di pittura Paolucci SA di Biasca, si offrì di verniciare gratuitamente queste parti metalliche. Anche questo aiuto si rivelò essenziale, in quanto presso il Centro SSIC di Gordola, dove gli

apprendisti pittori frequentano i loro corsi pratici, non era possibile reperire una camera per la verniciatura a spruzzo che fosse sufficientemente grande. A questo punto, tutte le componenti erano non solo pronte, ma anche in loco, in attesa di essere installate. C’era una certa eccitazione tra il gruppo di coordinamento diretto da Patrizio Maggetti, tutti desideravano vedere funzionare il pendolo al più presto. Mancava poco a Natale, e durante le vacanze scolastiche un’impalcatura di cantiere fu montata nell’atrio della scuola; essa avrebbe permesso di avere una piattaforma di lavoro proprio sotto la volta in acciaio e vetro del soffitto.

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Già nel mese di dicembre 2002, quindi, la squadra dei metalcostruttori diretti da Massimo Oncelli e Claudio Rossi poterono in tutta sicurezza agganciare il “trapezoide” alle putrelle d’acciaio ad arco del soffitto. Questo trapezio rappresenta la struttura d’aggancio del pendolo e deve essere molto solido e soprattutto molto stabile. Il montaggio avvenne in tempi sorprendentemente rapidi (un giorno? due giorni? nessuno se ne ricorda) e senza problemi. Ad inizio gennaio 2003, sotto la guida di Fabrizio Guarisco, i polimeccanici inserirono nella sua apposita sede il toroide con l’elettromagnete e assemblarono sul posto la sfera. Un filo d’acciaio del diametro di 3 mm spuntò da chissà dove e, finalmente, uno dei momenti più attesi arrivò: l’aggancio del filo con il pendolo. Apprendisti e docenti lavorano come se niente fosse, quasi come se avessero montato pendoli di Foucault per tutta la vita; eppure qualcuno

percepisce l’emozione del momento e s’immagina le note di “Also sprach Zarathustra” di Richard Strauss che sottolineano l’evento. Finalmente anche i media si interessarono al progetto e la TSI arrivò a filmare i “primi passi” del nostro pendolo, che oscillava, ancora timido ma tranquillo, tra le impalcature. Un breve servizio al “Quotidiano” e il nostro pendolo era già diventato famoso. Per le prove vere e proprie bisognava ancora attendere lo smontaggio delle impalcature. Intanto, i polimeccanici e gli elettricisti che collaboravano al

cablaggio necessario per l’alimentazione dell’elettromagnete eseguirono un lavoro a regola d’arte: i tubolari della struttura portante vennero forati e i cavi fatti passare all’interno, dall’esterno non si vede nessun filo elettrico. La strumentazione e le apparecchiature di monitoraggio dell’elettromagnete trovarono posto in un piccolo locale tecnico al terzo piano, poco lontano dal pendolo. Ancora in gennaio, appena smontate le impalcature, si procedette ai primi “lanci” di prova; bisognava verificare il corretto funzionamento del pendolo. Molti sono gli aspetti fisici e tecnici da considerare in questi test; Piemontesi e Negrini, coadiuvati dai colleghi Guidolin e A Marca, si misero subito al lavoro sotto l’occhio vigile del capoprogetto Maggetti. I primi test furono emozionanti, ma certo non molto entusiasmanti, perché il pendolo non si comportava esattamente secondo le aspettative. Qualche irregolarità nel movimento era stato previsto dai fisici; nessuno, tranne forse Cortinovis, si aspettava che il pendolo oscillasse perfettamente al primo tentativo, ma qui si trattava di ben altro. Infatti, il movimento della sfera, lasciata libera di oscillare per un paio d’ore, assomigliava più a quello di una giostra di Luna Park che a quello di un pendolo. Invece di oscillare, girava. Non era certo quello il modo con cui si voleva dimostrare la rotazione terrestre. La sfera sembrava non volersi adeguare alle leggi della fisica, o meglio, proprio

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perché vi si adeguava in tutto e per tutto, non si limitava a oscillare diligentemente avanti e indietro come volevano i suoi progettisti. Fu quindi subito fermata e iniziarono le supposizioni, le ipotesi e i tentativi di spiegazione. Una certa ellisse nel suo movimento era prevista, ma un’ellisse troppo grande non permette all’osservatore di notare la rotazione

apparente del pendolo. Bisognava dunque trovare il modo di smorzare questa ellisse rendendola minima o impercettibile, convincendo nel contempo i profani che così facendo non si influiva sul moto di rotazione apparente del pendolo. In altre parole, bisognava convincere tutti che non è l’elettromagnete che “fa girare” il pendolo. Questo non è un problema che preoccupa gli addetti ai lavori, i fisici e gli astronomi, ma è certamente una delle domande più frequentemente sollevate dal pubblico che vede per la prima volta un pendolo di Foucault. Da questo momento in avanti, quindi,

si può affermare che il progetto era entrato in una delle sue fasi più difficili, le variabili e le forze in gioco sono moltissime e non vi è teoria che possa aiutare a risolvere tutti i problemi. La realizzazione era diventata una questione soprattutto empirica, fatta di interminabili prove, di aggiustamenti, di tentativi ripetuti, di fallimenti e di successi parziali, di dubbi e ipotesi da verificare. Più di una volta si trattò di escogitare vere e proprie soluzioni nuove per risolvere nuovi problemi e di invenzioni per superare ostacoli imprevisti, nonostante tutto fosse stato progettato e calcolato alla perfezione. Cercheremo, nelle righe che seguono, di illustrare qualche esempio, ma prima di tutto è giunto il momento di spiegare il funzionamento dell’elettrocalamita. Il toroide che contiene l’elettromagnete è munito di 4 fotocellule che hanno il compito di monitorarne il funzionamento. Le 4 fotocellule, situate al di sopra del toroide stesso, sono in realtà due barriere ottiche poste a 90° l'una rispetto all'altra e che si incrociano sull'asse del filo. Una barriera ha un emettitore, che emette un fascio di luce, e un ricevitore che dà un segnale quando tra i due si interpone un oggetto e quindi non riceve il fascio. In questo caso, quando il filo del pendolo passa dal centro, si interpone tra i due e il ricevitore dà un segnale. Vi sono due barriere perché con una sola, quando il movimento del filo è allineato con il fascio di luce (e quindi, in teoria, la barriera è sempre interrotta) non si riesce a rilevarlo se non disponendo appunto di una seconda barriera. Un microcontrollore (un circuito di controllo) rileva quindi il segnale emesso dai ricevitori quando il filo del pendolo passa dal centro del toroide. Grazie a questo segnale il microcontrollore può misurare quanto tempo "dura" un'oscillazione completa. In realtà ne misura 4 e poi fa una media; quando si è determinato il tempo medio di un'oscillazione, al passaggio del filo dal centro il microcontrollore attende un tempo x al termine del quale per un tempo y attiva il toroide: questo crea un campo magnetico che attira verso di sé il filo tramite un “anello di trazione” posto sul filo stesso. L’anello di trazione consiste in una sporgenza, un disco, posto su di un tubicino rigido di ca. 2 m di lunghezza, che avvolge la parte alta del filo poco prima del punto di aggancio. Il tubicino rigido, oltre che a sostenere l’anello di trazione, ha un secondo scopo; quello cioè di eliminare gli effetti di “pizzicato” che la trazione ha sul filo ogni qual volta quest’ultimo viene agganciato o rilasciato dall’elettromagnete. L'impulso termina più o meno quando l'anello tocca il toroide, ma la durata reale di x e y è stata impostata sperimentalmente osservando il comportamento del pendolo e del filo (le

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interminabili "prove"...). La stessa cosa accade al ritorno ma dalla parte opposta: l’unica differenza è che si alimenta il toroide con polarità inversa per evitare magnetizzazioni permanenti dell'anello. L'impulso viene quindi dato ogni volta che il pendolo è in prossimità della periferia ed è questo che lo mantiene in movimento. La regolazione della tensione dell'impulso elettrico al toroide e la sua durata (in sostanza l'energia fornita) sono fondamentali per le oscillazioni sul filo e sul pendolo. Tutto questo spiega in che modo è mantenuto in oscillazione il pendolo di Biasca. Rimane però da spiegare come è stata risolta l’altra questione molto importante a cui si accennava poc’anzi: riuscire a ridurre il più possibile la tendenza del pendolo a percorrere una traiettoria a forma di ellisse. I lettori più esperti in materia conosceranno probabilmente già il cosiddetto “Charron ring”, un sistema che permette, appunto, di correggere il movimento ellittico di oscillazione di un pendolo (vedi anche scheda “Ellisse e Charron ring”). Il Charron ring originale consiste in un disco metallico mobile, appoggiato sulla struttura fissa, che assorbe l'urto del pendolo a fine corsa. Il pendolo di Biasca è fornito di un sistema simile ma più semplice. In sostanza, si tratta di un "rubber ring", un anello di gomma, che ammortizza il piccolo urto che l’anello di trazione ha, a fine corsa, con il toroide. Questo anello di gomma è fissato sul toroide, in un apposito alloggio. La crescita dell’ellisse è in definitiva limitata dall’urto, voluto, dell’anello di trazione con l’elettrocalamita. La soluzione adottata a Biasca è più semplice ma altrettanto valida perché l'urto è piuttosto contenuto. Vi abbiamo appena esposto le due più grandi problematiche relative all’oscillazione di un pendolo e in che modo queste sono state risolte a Biasca. Tutto questo è stato possibile solo con moltissime ore di prove: “lanci” del pendolo e relative misurazioni e correzioni, intervenendo principalmente sulla quantità di energia da fornire all’elettromagnete e sulla durata temporale dello stesso (secondi, decimi di secondo). Tutte queste operazioni dovevano avvenire per forza di cose durante il fine settimana e nelle vacanze scolastiche, oppure la sera. Esiste però anche tutta una serie di altri problemi “minori”, che hanno

ugualmente richiesto un grande investimento di tempo e di energia per essere risolti, a cominciare dal punto di aggancio del pendolo. Infatti, inizialmente tutti erano concordi nel ritenere che il pendolo dovesse essere libero di oscillare senza resistenze o costrizioni di alcun tipo. Per questo motivo fu progettato e realizzato un sofisticato sistema di aggancio con cuscinetti a sfera, una specie di “snodo cardanico” che permettesse al filo che sostiene la sfera di muoversi in ogni direzione. Questa soluzione però, in definitiva, non era ottimale e sembrava causare troppi problemi; attriti, irregolarità e

asimmetrie introdotti dallo snodo annullavano completamente il fenomeno che si voleva osservare. Occorreva trovare un altro modo e i responsabili del progetto optarono per un fissaggio più rigido, anche se in questo modo, secondo Cortinovis, il filo si sarebbe

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attorcigliato su sé stesso e si sarebbe spezzato. Tutto ciò naturalmente non avvenne, anzi, questa modifica, oltre ai numerosi aggiustamenti già descritti, sortì l’effetto desiderato: ora il pendolo oscillava decisamente molto meglio. Non va dimenticato a questo punto un altro particolare importante: ogni intervento sul toroide o sul punto di aggancio doveva essere effettuato da una persona con capacità acrobatiche non indifferenti, in quanto non c’erano più le impalcature di cantiere che permettevano di operare comodamente e in tutta

sicurezza. Per fortuna, nel team di progetto c’è un alpinista esperto: Flaminio Negrini. Diverse volte, infatti, Flaminio è salito direttamente dalla ringhiera del terzo piano alla struttura portante, passando in equilibrio su di una scaletta da brivido e lavorando a 15m di altezza, assicurato con corde da alpinismo, moschettoni e imbragatura. Confortati dai miglioramenti ottenuti, Maggetti & Co. decisero che era senz’altro arrivato il momento di installare le ultime grosse componenti dell’opera: la rosa dei venti e la ringhiera di protezione. Così, un sabato mattina, entrò in azione la squadra degli scalpellini, capitanata dal loro docente Carlo

Togni. Iniziarono subito a piazzare gli appoggi per la rosa, dei cilindri di granito di circa 10 cm di altezza per 20 cm di diametro, intercalandoli con le barre d’acciaio che, disposte a raggiera, avrebbero supportato la ringhiera di protezione. Sugli appoggi posarono due lastre di granito semicircolari a formare la base di sostegno per i marmi della rosa dei venti. Da notare che nessun foro fu praticato nel pavimento: tutta la struttura vi poggia semplicemente sopra. A questo punto, il delicato lavoro di posa del marmo poteva iniziare, rimaneva solamente da stabilire dove fosse il Nord, in modo da poter posizionare correttamente le punte della rosa dei venti. A questo scopo, vennero utilizzate due tra le migliori bussole in circolazione. Perché due? Semplicemente perché due sono meglio di una sola! Per sicurezza. Così, appena tirata una semplice cordicella nella direzione Nord-Sud con l’ausilio di una bussola, Maggetti e Cortinovis controllarono con la seconda. Risultato: due Nord diversi! Come mai? Una delle due bussole si sbagliava, ma quale? Spostando le due bussole, addirittura gli aghi cominciarono a girare, una volta in una direzione, una volta in un’altra. Dopo un breve momento di sconcerto, fu chiaro a tutti che all’interno della costruzione qualcosa disturbava il corretto funzionamento delle bussole. Probabilmente si trattava dei cavi della corrente elettrica che passavano lì vicino, oppure la presenza delle grosse putrelle d’acciaio delle scale.

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In quel momento, però, a nessuno interessavano i veri motivi per cui le bussole impazzivano; la questione era che una “cosuccia” da niente stava ostacolando il proseguimento dei lavori. Che fare? Utilizzare un GPS? Per portare a termine la costruzione del pendolo di Foucault bisognava forse ricorrere al giroscopio di Foucault? Sembrava quasi una barzelletta... Alla fine, anche quella volta una soluzione fu trovata, e anche molto semplice, almeno in teoria: sarebbe bastato uscire dall’edificio, trovare il Nord e riportarlo all’interno. Occorreva trovare in fretta i piani dell’istituto scolastico, i disegni dell’architetto. Il redattore di queste righe ora non si ricorda più con esattezza chi li avesse; scomodarono per l’ennesima volta il custode della scuola, Ivano Dagani, e persino l’allora direttore Licurgo Pedroli, che da buon ingegnere edile ed entusiasta del “Progetto pendolo” sin dall’inizio, diede una mano a risolvere la situazione. Fuori era una bella giornata e il sole risplendeva; i piani furono trovati in breve tempo e poco dopo direttore e custode armeggiavano con un’asta da geometra nel prato antistante la scuola, mentre qualcuno puntava verso di loro una bussola. L’azimut fu in seguito riportato sulla pianta della scuola e utilizzando una riga e una squadra da lavagna rubate dall’aula più vicina, fu poi un gioco da ragazzi tracciare una linea parallela che passasse proprio nel punto in cui si sarebbe allineata la rosa dei venti. Questo piccolo inconveniente causò un ritardo di un paio d’ore e siccome il lavoro doveva essere terminato entro la sera stessa, gli apprendisti scalpellini non persero altro

tempo e si misero subito all’opera. Lavorarono senza posa per la posa della rosa! Giochi di parole a parte, questi artigiani della pietra realizzarono con grande maestria un vero capolavoro: un puzzle rotondo, del diametro di 2,20m, composto di 29 pezzi delicati da posare con molta cautela e precisione tra lo sguardo ammirato dei presenti. La sera, tra gli applausi di tutti, la rosa dei venti era terminata e il marmo lucidato rifletteva la sfera. Il pendolo ora, era diventato molto più bello. La posa della ringhiera di protezione, già pronta, fu rinviata per continuare

con più agio i lanci di prova, che si susseguivano incessantemente. Ingegneri e fisici procedevano esaminando ogni minima variabile per migliorare la precisione del movimento di oscillazione e di precessione. La struttura di sostegno subiva delle vibrazioni impercettibili ogni volta che l’anello di trazione posto sul filo del pendolo urtava l’elettromagnete? L’apertura e la chiusura delle porte causava correnti d’aria suscettibili di influenzare il moto della sfera? Le inevitabili imprecisioni nella lavorazione delle parti metalliche al tornio, dell’ordine di decimi di millimetro, potevano causare delle irregolarità?

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Agganciando la sfera con un filo di nylon e bruciando il filo, si eliminavano oscillazioni indesiderate alla partenza? Questi e altri fattori, presi singolarmente, avevano forse un’influenza trascurabile o addirittura nulla, ma sommate avrebbero potuto falsare non poco la regolarità del moto. Niente poteva quindi essere tralasciato. Qui di seguito, elenchiamo alcuni dati estratti direttamente dalle osservazioni fatte dai docenti di fisica durante le loro estenuanti prove, misurazioni e calcoli. “Il pendolo è imponente (L=15.45m) e l’oscillazione, che ha un ritmo di 15 semiperiodi al minuto, simile al ritmo respiratorio a riposo, ha un che di “mistico”. L’energia dissipata durante il moto è nell’ordine di grandezza calcolato. Nei primi 3-5 minuti (quindi con la massima ampiezza possibile) la perdita è di circa 40mJ a semiperiodo. Scende poi fino ad un valore medio di 20mJ circa con un’ampiezza minore. L’energia a disposizione è sufficiente a compensare quella dissipata durante l’oscillazione. È importante che l’impulso venga sospeso con sufficiente anticipo rispetto all’arrivo del pendolo al punto di massima ampiezza altrimenti il filo reagisce con degli scatti che influiscono negativamente sull’oscillazione del pendolo. Si potrebbe provare a modificare la forma dell’impulso, rendendo meno ripido il fianco di discesa: si potrebbe così fornire energia per più tempo ma senza causare le “frustate” sul filo. La precessione è riconoscibile in modo chiaro: dopo circa 15 minuti si osserva una rotazione dell’asse di oscillazione di circa 2.5° (corrispondenti ai 10°-11° orari previsti). Lo spostamento apparente della sfera è di circa 4 decimi di mm ad ogni oscillazione.” Nel frattempo, Patrizio Maggetti era venuto a conoscenza dell’esistenza del “Premio Coop Cultura”, un premio che la nota catena di distribuzione attribuiva ogni due anni a progetti particolarmente meritevoli. Oltre a essere interessante come riconoscimento per gli sforzi

profusi e per la visibilità che il progetto avrebbe ottenuto verso l’esterno, il premio era allettante anche perché consisteva in una cospicua somma di denaro che avrebbe permesso di coprire le ultime spese. Maggetti e Cortinovis si attivarono quindi immediatamente per allestire un dossier di presentazione del progetto da sottoporre alla giuria del premio. Secondo tutti i membri del gruppo di coordinazione, il “Progetto pendolo di Foucault” aveva tutte le carte in regola non solo per partecipare al concorso ma anche per vincere. E fu proprio ciò che avvenne! Il 16 dicembre 2003 la giuria attribuì al pendolo

biaschese il primo premio, a pari merito con un altro progetto di un’altra istituzione (vedi articolo del CdT). Il premio non poteva arrivare in un momento più opportuno, era la cosiddetta ciliegina sulla torta, che coronava i miglioramenti ottenuti negli ultimi mesi nella precisione del moto del pendolo. Sennonché, all’improvviso, quando meno c’era da aspettarselo, avvenne ciò che alcuni temevano ma che nessuno osava dire: una mattina

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accadde che il filo si spezzò e il pendolo cadde sulla rosa dei venti! Per fortuna quest’ultima era ancora protetta dai classici “panneaux” (panò) da cantiere – saggia precauzione! – e quindi non subì alcun danno. Niente di grave, intendiamoci, la sfera fece una caduta di pochi centimetri e il filo le cadde sopra, tutto lì. Ma come mai il filo aveva ceduto? Era troppo sottile? No, un cavo d’acciaio di 3 mm di diametro al quale si poteva appendere un’automobile, non avrebbe dovuto spezzarsi. Eppure... “L’avevo detto, io!” – pensò Cortinovis – “Il filo si è attorcigliato su se stesso fino a spezzarsi”. - Invece no, il motivo era più semplice, più banale. Probabilmente, nel punto in cui usciva dalla stretta morsa che lo tratteneva, il filo era costretto a piegarsi con un angolo troppo grande; non va dimenticato che il pendolo di Biasca ha un’ampiezza di oscillazione di circa 2 m, a “soli” 15-16 m più in basso. Il filo quindi si era spezzato come si spezza un filo di ferro con le mani quando lo si piega diverse volte di seguito. Il punto di aggancio fu quindi conseguentemente ridisegnato e ricostruito, realizzando un foro d’uscita del filo senza

spigoli; come una specie di campanella, dalla quale il filo usciva senza piegarsi. L’alpinista Flaminio dovette così rientrare in azione per sostituire filo e punto d’aggancio. Venne studiato anche un sistema di sicurezza che impedisse alla sfera di cadere, per evitare di rovinare il marmo della rosa dei venti nel caso in cui l’incidente si fosse ripresentato. “Ma non accadrà più!” Invece accadde di nuovo, qualche settimana dopo. Questa volta, però, nessuno se ne accorse, perché il sistema di sicurezza funzionò alla perfezione! Semplicemente, una

mattina, trovarono la sfera ferma, sopra il centro della rosa dei venti. I responsabili del progetto avevano così involontariamente eseguito un test di funzionamento del sistema di sicurezza, ma questa era una magra consolazione. Non c’era nemmeno più scorta di filo, così Cortinovis venne incaricato di telefonare alla ditta fornitrice per ordinarne uno nuovo, spiegando nel contempo cosa era successo. -“Impossibile”- risposero all’altro capo del filo (del telefono...). Secondo loro, cento chili non bastavano a spezzare un filo d’acciaio di 3 millimetri. Eppure era accaduto per ben due volte. Vollero quindi sapere a quale scopo fosse utilizzato. -“Ci appendiamo una boccia e la facciamo dondolare”- furono le testuali parole di Cortinovis, che con il tedesco se la cava, ma non poi così bene. –“Ah, hha: das hätte Sie söla sägä!”- (Das hätten Sie sagen sollen!). Bastava dirlo subito, no? Acciaio armonico, corde di pianoforte, ecco quello che occorreva. Quindi l’alpinista Flaminio Negrini dovette dare l’ennesima prova delle sue abilità alpinistico-acrobatiche, oltre che tecniche, arrampicandosi nuovamente sulla struttura per sostituire il filo. Anche questo “piccolo” problema era risolto. Oggi, nel 2010, il pendolo oscilla ormai quasi ininterrottamente da cinque anni sempre con la stessa “corda di pianoforte”. Intanto il tempo passava. Arrivati ormai all’autunno del 2004, era giunto il momento di terminare l’opera e di pensare alla sua inaugurazione ufficiale. Nel mese di novembre entrarono nuovamente in azione i metalcostruttori, che montarono la ringhiera di protezione e in dicembre gli elettricisti installarono la speciale illuminazione che, con un timer, inonda di una calda luce gialla la rosa dei venti e la sfera al mattino, a mezzogiorno, alla sera e durante le pause scolastiche. La grande opera era finalmente conclusa, ma molto

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rimaneva ancora da fare. Si doveva infatti pensare ad una inaugurazione degna dell’opera, accompagnata da un volantino pieghevole esplicativo. Il gruppo di coordinamento decise di prendersi tutto il tempo necessario, a questo punto non era proprio il caso di avere fretta. Oltretutto, questo avrebbe permesso agli ingegneri e ai fisici, mai soddisfatti, di continuare ad esaminare il movimento di oscillazione, alla scoperta di possibili ulteriori margini di miglioramento, alla ricerca della perfezione. Il

capoprogetto Maggetti contattò i docenti del Centro Scolastico Industrie Artistiche (CSIA) per un eventuale coinvolgimento degli apprendisti grafici nella realizzazione del volantino esplicativo. Anche in questo caso la risposta fu positiva e allievi e docenti vennero a vedere il pendolo. L’idea era di utilizzare questa opportunità per far realizzare agli allievi il volantino come lavoro d’esame di fine tirocinio. Purtroppo questa volta i loro tempi e le loro esigenze di programma non coincisero con quelli del “Progetto pendolo”. L’impostazione grafica del prospetto fu quindi affidata ad una ditta esterna. Nel frattempo però, gli instancabili esperti del pendolo avevano già proposto una modifica che avrebbe potuto migliorare ancora il moto di oscillazione e di precessione. Il toroide che contiene l’elettromagnete era composto di due semicerchi uniti a formare un anello; nei due punti di unione di questi semicerchi c’erano delle inevitabili irregolarità (sempre dell’ordine di decimi di mm) che potevano influenzare il movimento ogni volta che l’anello di trazione posto sul filo urtava il toroide in prossimità di questi due punti di congiunzione. Si decise per questo di sostituire il toroide con un altro costruito in un pezzo unico. Quindi l’alpinista Flaminio eccetera, eccetera. Quest’ultima modifica diede i risultati sperati e il movimento del pendolo oggi è più preciso e regolare. Tutto era ormai pronto per il grande giorno, che fu fissato per il 25 novembre 2005. Nelle ultime settimane fervevano i preparativi, bisognava convocare la conferenza stampa e pensare agli inviti. Attorno al pendolo furono allestiti dei tabelloni con le foto degli apprendisti al lavoro e le schede esplicative. Cortinovis stava terminando di montare un filmato che testimoniava il lavoro di 5 anni riassunto in 20 minuti e che sarebbe stato proiettato il giorno dell’evento. Un altro collega, il Maestro Marco Piazzini, musicista e direttore della Filarmonica di

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Canobbio, stava componendo e registrando una breve Suite “cosmica” che avrebbe funto da colonna sonora del lancio inaugurale. La sera del 25 novembre, nonostante la neve, più di 200 persone si trovarono nell’atrio del Centro Professionale di Biasca e affollarono le scale fino al terzo piano. Incuriositi, tutti osservavano la sfera che, trattenuta a lato della rosa dei venti da un sottile filo di nylon, aspettava pazientemente che la Terra iniziasse a girare. Al momento prestabilito, le luci si spensero, Patrizio Maggetti accese una candela e la avvicinò al filo... tutti trattennero il respiro. La sfera e la musica partirono simultaneamente, le casse da 400 Watt e gli applausi del pubblico fecero il resto. Qualcuno gridava e qualcuno aveva le lacrime agli occhi... Il pendolo partì quindi per il suo lungo viaggio cosmico, dolcemente cullato da leggi universali e da un poetico meccanismo che contrasta la sua tendenza a rilassarsi e tornare a una situazione di riposo. Concludiamo questa nostra lunga avventura cogliendo l’occasione per ringraziare tutti i partecipanti al progetto, apprendisti e docenti, il responsabile del progetto Patrizio Maggetti, l’allora direttore Licurgo Pedroli, l’allora vicedirettore e attuale direttore Stefano Defanti, il custode Ivano Dagani e le ditte che ci hanno offerto il loro aiuto.