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Linee guida
GESTIONE DELLA TOSSICITA' EMATOPOIETICA IN ONCOLOGIA
LINEE GUIDA GESTIONE DELLA TOSSICITA' EMATOPOIETICA IN ONCOLOGIA
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Coordinatore: Marco Danova
Segretario Scientifico: Antonella Brunello
Estensori: Referee AIOM Lucia Del Mastro
Alexia Bertuzzi,
Diego Cortinovis,
Monica Giordano,
Lazzaro Repetto,
Giovanni Rosti
Referee SIGG Antonio Gambardella
Referee SIGOT Walter Gianni
Referee SIE Adriano Venditti
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Indice
1. Uso dei fattori di crescita mieloidi nella neutropenia indotta da trattamenti antiblastici ............. 4
1.1 Premessa ................................................................................................................................. 4 1.2 Generalità ................................................................................................................................ 4 1.3 Effetti collaterali del G-CSF ................................................................................................... 4
2. Uso profilattico del G-CSF ........................................................................................................... 4 2.1. Profilassi primaria .................................................................................................................. 5
2.2 Profilassi secondaria ............................................................................................................... 5 3. Uso terapeutico del G-CSF ........................................................................................................... 5
4. Uso del G-CSF nel trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (CSP) ...................... 6
5. Timing e schedula di somministrazione del G-CSF ..................................................................... 6 6. Bibliografia ................................................................................................................................... 8 7. Algoritmi ..................................................................................................................................... 10 8. L’anemia nel paziente neoplastico .............................................................................................. 13
9. Trattamento dell’anemia nei pazienti con neoplasia .................................................................. 16 10. Modalità di somministrazione degli agenti eritropoietici ........................................................... 17
11. Bibliografia ................................................................................................................................. 19 12. Algoritmi ..................................................................................................................................... 21 13. Addendum ................................................................................................................................... 28
14. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE ............................................................... 30
I fattori di crescita ematopoietici e la terapia trasfusionale costituiscono un supporto fondamentale per
l’oncologo medico nel trattamento della citopenia da chemioterapia.
Il corretto utilizzo di questi presidi terapeutici sia a scopo profilattico che terapeutico riveste un ruolo di
primaria importanza in termini di riduzione di morbidità, mortalità e costi. Sulla base di queste
considerazioni è nata nel 2003 l’esigenza di stilare delle linee-guida da parte dell’ Associazione Italiana di
Oncologia Medica (AIOM), di cui la presente versione rappresenta l’aggiornamento.
La stesura delle presenti raccomandazioni, riguardanti la neutropenia e l’anemia, è stata basata
principalmente sulle raccomandazioni già pubblicate da parte di altre organizzazioni scientifiche (American
Society of Clinical Oncology – ASCO, National Comprensive Cancer Network – NCCN, European
Organization for Research and Treatment of Cancer – EORTC, European Society for Medical Oncology -
ESMO) e su lavori scientifici recenti non valutati nella stesura delle linee guida sopra citate (1,2).
Infine, due quesiti giudicati di particolare rilevanza clinica sottoposti ad analisi secondo il sistema GRADE.
Le presenti linee guida non prendono in considerazione la piastrinopenia, chemio indotta, per la quale non
esistono a tutt’oggi farmaci/fattori di crescita di provata efficacia. Mentre per quanto riguarda altre forme di
piastrinopenia, in particolare quelle autoimmuni, recentemente sono stati resi disponibili nuovi farmaci, la
trasfusione di piastrine eterologhe resta l’unico presidio terapeutico per la piastrinopenia indotta da
trattamenti antiblastici.
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1. Uso dei fattori di crescita mieloidi nella neutropenia indotta da trattamenti antiblastici
1.1 Premessa
Le presenti linee guida non includono raccomandazioni per alcune condizioni specifiche in ambito
ematologico (mielodisplasie, leucemie acute, trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche) e per
pazienti pediatrici.
1.2 Generalità
La terapia citotossica antitumorale sopprime il sistema ematopoietico alterando i meccanismi di
difesa dell’ospite e limitando la dose di chemioterapia che può essere tollerata. La neutropenia è una
complicanza grave e frequente nei pazienti sottoposti a trattamenti antineoplastici mielosoppressivi.
Il grado e soprattutto la durata della neutropenia determinano il rischio d’infezioni e sono associate
a riduzioni e/o ritardi del trattamento antiblastico che possono compromettere la prognosi del
paziente.
Il paziente neoplastico in trattamento chemoterapico e/o radioterapico è esposto a un rischio
infettivo per il ridotto numero di neutrofili che rappresentano la prima linea di difesa
dell’organismo. Il grado di neutropenia è definito secondo i criteri di tossicità NCI (NCI-CTCAE
version 4.2, Tabella 1). Il fattore di crescita mieloide attualmente disponibile in Italia per uso clinico è il G-CSF (granulocyte colony
stimulating factor). Esistono tre formulazioni di G-CSF ricombinante: il filgrastim, non glicosilato, il
lenograstim, glicosilato ed il pegfilgrastim, formulazione pegilata di filgrastim, sintetizzata coniugando
covalentemente il filgrastim a una molecola lineare di glicole monometossipolietilenico (3,4). Rispetto al
filgrastim e al lenogastrim, che hanno un’emivita plasmatica breve (3-4 ore), il pegfilgrastim ha un’emivita
plasmatica di circa 33 ore; il suo legame competitivo con i recettori specifici sulla superficie cellulare delle
cellule ematopoietiche garantisce un meccanismo di auto-regolazione in funzione della conta dei neutrofili e
consente una singola somministrata del farmaco per ciclo chemioterapico (5,6).
1.3 Effetti collaterali del G-CSF
Il G-CSF è solitamente ben tollerato. L’effetto collaterale più frequente è il dolore osseo dovuto all’aumento
della massa midollare, variabile dal 15% al 39% dei pazienti che ricevono una dose pari a 5 µg/Kg/die (7).
Altri effetti collaterali includono la riacutizzazione di condizioni infiammatorie, rash occasionali e la
sindrome di Sweet (8). Da un punto di vista degli esami ematici, è possibile registrare una modesta riduzione
nel numero di piastrine, aumento dei livelli serici di LDH, dell’acido urico e della fosfatasi alcalina. E’
segnalato un possibile rischio di leucosi acuta mieloide o mielodisplasia in donne che ricevono G-CSF dopo
chemioterapia adiuvante per carcinoma della mammella (9,10).
La tollerabilità delle varie formulazioni di G-CSF è sovrapponibile (5,6).
2. Uso profilattico del G-CSF
La neutropenia e le complicanze a essa correlate rappresentano la principale tossicità dose-limitante della
chemioterapia. La neutropenia febbrile (NF), definita da rialzo termico >38.5°C per una durata superiore ad
un’ora in presenza di una conta dei neutrofili <500/µL, oppure da rialzo termico pari a 38C per tre
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misurazioni consecutive alla distanza di un’ora dall’altra, è ancora oggi associata ad importante morbilita/
mortalità e a costi elevati (14). Il rischio diretto di mortalità associato a NF è stimato essere del 9.5% (11).
Due recenti metaanalisi (12, 13) hanno confermato come l’utilizzo profilattico dei CSFs nei pazienti affetti
da tumori solidi e ematologici riduca significativamente il rischio di NF, il tasso di mortalità correlato a
possibili episodi infettivi, garantendo la somministrazione di una corretta intensità di dose (14).
L’indicazione a tale profilassi dipende da vari fattori correlati al principalmente al tipo di regime
chemioterapico utilizzato e alle caratteristiche cliniche del paziente (Tabella 2 ).
2.1. Profilassi primaria
Per profilassi primaria s’intende l'utilizzo del G-CSF dal primo ciclo di chemioterapia. Questa modalità ha
consentito una significativa riduzione del rischio di NF in pazienti sottoposti a chemioterapia a dosi
standard (15-19).
In accordo con le recenti indicazioni dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO), del National
Cancer Center Network (NCCN) e dell’European Organisation for Research and Treatment of Cancer
(EORTC) (20-22), la profilassi primaria con G-CSF è raccomandata i regimi chemioterapici in cui
l’incidenza attesa di NF sia ≥ 20%. Tale valore è indicativamente stimabile in base al farmaco,
all'associazione e alla dose utilizzata (23).
Nel caso in cui rischio ipotizzato di NF sia compreso tra il 10 e il 20%, l'utilizzo del G-CSF dipende da una
valutazione più complessa che considera anche le caratteristiche cliniche del paziente e della patologia, che
possono predisporre ad una maggiore incidenza e gravità di complicanze.
La profilassi primaria nei pazienti con rischio ipotizzato di NF inferiore 10% non è raccomandata
(Algoritmo 1).
2.2 Profilassi secondaria
Per profilassi secondaria si intende l'utilizzo del G-CSF prima del secondo ciclo o dei successivi cicli di
chemioterapia. E' raccomandata per i pazienti che hanno avuto un pregresso episodio di NF complicata
(infezione documentata, ospedalizzazione) e per i pazienti per i quali il mantenimento di una corretta
intensità di dose (dose dei farmaci e intervallo dei cicli) può influenzare la sopravvivenza libera da malattia o
globale (14, 20-22). In caso contrario, la prima opzione terapeutica è rappresentata da una riduzione della
dose o da un posticipo temporale (Algoritmo 2).
3. Uso terapeutico del G-CSF
Per uso terapeutico si intende l'utilizzo del G-CSF durante un episodio di neutropenia G4.
La somministrazione di G-CSF non è raccomandata nei pazienti neutropenici apiretici (20-22) e non è
raccomandato routinariamente nei pazienti con NF in associazione alla terapia antibiotica.
Tuttavia, l’uso terapeutico del G-CSF può essere considerato nei pazienti con condizioni cliniche
predisponenti ad un maggior tasso di morbilità/mortalità allo scopo di ridurre la durata della neutropenia, il
rischio infettivo e l'ospedalizzazione (24) (Algoritmo 3).
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4. Uso del G-CSF nel trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (CSP)
A. Mobilizzazione delle cellule staminali ematopoietiche
La somministrazione di G-CSF da solo o dopo chemioterapia rappresenta il trattamento standard per la
mobilizzazione dei progenitori ematopoietici (25-30).
B. Somministrazione dopo reinfusione di midollo autologo
Il recupero ematopoietico dopo trapianto di midollo autologo è accelerato dalla somministrazione di G-CSF
(31-33). L’utilizzo del G-CSF dopo trapianto di midollo autologo è raccomandato poiché riduce
significativamente la durata della neutropenia e il periodo di ospedalizzazione.
C. Somministrazione dopo reinfusione di cellule staminali ematopoietiche autologhe periferiche
La somministrazione di GCSF dopo reinfusione di cellule staminali periferiche è indicata (20), in particolare
se la dose di cellule CD34+ reinfuse è inferiore a 5x106/kg di peso corporeo. La somministrazione di G-CSF
in questo setting di pazienti riduce la durata della neutropenia, il rischio d’ infezioni documentate e la durata
di terapia antibiotica parenterale (34), anche se non è stato dimostrato un effetto statisticamente significativo
sulla mortalità correlata alle infezioni.
5. Timing e schedula di somministrazione del G-CSF
In profilassi primaria e secondaria la terapia con G- i/die) deve essere
iniziata tra 24 e 72 ore dal termine del ciclo di chemioterapia e deve essere proseguita quotidianamente fino
-22).
L’attivazione della terapia con G-CSF dopo il 4° giorno dal termine del ciclo di chemioterapia, l'uso
terapeutico o schedule schedule di somministrazioni diverse da quelle raccomandate non sono efficaci nel
ridurre le complicanze della neutropenia e sono associata a effetti collaterali indesiderati (13, 35-37).
La singola somministrazione della formulazione peghilata di G-CSF deve essere effettuata tra le 24 e le 72
ore dal termine del ciclo di chemioterapia (14, 20-22).
Il giorno ottimale per l'inizio della somministrazione di G-CSF dopo trapianto autologo di cellule staminali
periferiche non è ancora stato definito, non essendoci concordanza negli studi pubblicati rispetto al timing
del recupero ematologico, al numero di episodi di NF, durata della terapia antibiotica o dell' ospedalizzazione
(38, 39).
La somministrazione di G-CSF è controindicata nelle 48 ore precedenti e in concomitanza con la
chemioterapia (20, 40).
In considerazione della clearance in parte renale di filgrastim e lenograstim (41) è consigliabile una riduzione
della dose di filgrastim e lenograstim in pazienti in dialisi o con grave insufficienza renale (50% della dose di
G-CSF), mentre non è necessaria con la formulazione peghilata per la clearance non renale del farmaco
(endocitosi dopo il legame con lo specifico recettore cellulare) (42).
Schedula e timing di somministrazione del G-CSF sono riassunte nella Tabella 3.
Tabella 1: Scale di tossicità per la neutropenia secondo i Common Terminology Criteria for Adverse Events
(CTCAE) v 4.02
GRADO
EVENTO
AVVERSO 1 2 3 4 5
Calo della conta
dei neutrofili
<LLN-
1500/mm3;
<LLN-
1.5x10e9/L
< 1500-
1000/mm3; <
1.5-1.0x10e9/L
< 1000-
500/mm3; < 1.0-
0.5x10e9/L
< 500/mm3; <
0.5x10e9/L -
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Tabella 2: Fattori di rischio di neutropenia febbrile
TRATTAMENTO
CORRELATI
regime chemioterapico
mantenimento di intensità di dose (RDI)
pregressi trattamenti chemioterapici
concomitante o pregressa radioterapia sul midollo osseo (>20%)
neutropenia complicata nel ciclo precedente (NFprolungata, ipotensione,
sepsi, polmonite o infezione fungina)
ritardo della CT
pregressa riduzione di dose
PAZIENTE
CORRELATI
eta’>65 anni
sesso femminile
basso Perfomance Status (ECOG ≥2)
scarso livello nutrizionale
immunodepresso (HIV)
neutropenia o linfocitopenia pre-esistente
ferite aperte e/o
infezioni tissutali attive
comorbidita’ (malattie cardiovascolari, BPCO, epatopatia, diabete, anemia
PATOLOGIA
CORRELATI
tipo di tumore (ematologico vs tumori solidi)
metastasi al midollo osseo
malattia avanzata/refrattaria
livelli elevati di LDH (linfoma)
Tabella 3: Timing e schedula di somministrazione del G-CSF (pazienti adulti)
FILGRASTIM/LENOGRASTIM PEGFILGRASTIM
PROFILASSI
Inizio 24-72 ore dopo il termine della chemioterapia
fino a conta dei neutrofili ≥ 1000/mm3.
Dose: 5µg/Kg/die sc o 300µg totali/die
PROFILASSI
Somministrazione tra 24 e 72 ore dopo il termine
della chemioterapia.
Dose: 6 mg sc unica somministrazione
TERAPIA Inizio all’evidenza della NF complicata
fino a defervescenza e numero dei neutrofili normali.
Dose: 5µg/Kg/die sc o 300µg totali/die
TERAPIA
Non Indicazioni
MOBILIZZAZIONE E RACCOLTA DI CSP
In associazione con CT: Inizio al giorno +6 fino a
completamento della raccolta
Dose: 5µg/Kg/die sc o 300µg totali/die
G-CSF da solo: 10µg/Kg o 600µg totali sc
TRAPIANTO AUTOLOGO DI CELLULE
STAMINALI (MIDOLLO E CSP)
Midollo: Inizio al giorno +1
CSP: inizio ai giorni +1 o +5 fino valori di neutrofili
> 500 per 3 giorni consecutivi.
Dose: 5µg/Kg/die sc o 300µg totali/die
MOBILIZZAZIONE E RACCOLTA DI CSP
Somministrazione tra 24 e 72 ore dopo il termine
della chemioterapia.
Dose: 6 mg sc unica somministrazione
(indicazione non registrata)
TRAPIANTO AUTOLOGO DI CSP
Somministrazione tra 24 e 72 ore dopo il termine
della chemioterapia.
Dose: 6 mg sc unica somministrazione
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7. Algoritmi
ALTO ≥ 20%
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8. L’anemia nel paziente neoplastico
Premessa In letteratura e/o su siti web di società scientifiche (1-4) sono oggi disponibili raccomandazioni sull’uso degli
agenti eritropoietici (ESA, erythopoiesis stimulating agents) nell’anemia da cancro indotta da chemioterapia.
Le presenti linee guida si rifanno, come le precedenti, principalmente alle linee guida NCCN (4), ponendo
l’accento in particolare su:
aspetti legati alla sicurezza di impiego degli ESA e
utilizzo del supporto marziale in associazione agli ESA.
Generalità L’anemia è una condizione molto frequente nei pazienti neoplastici e la sua gravità dipende da fattori legati
al paziente, al tipo di tumore e al tipo di trattamento antineoplastico. Le scale più comunemente utilizzate per
graduare la severità dell’anemia sono riportate in Tabella 1.
L’eziologia dell’anemia nel paziente oncologico è multifattoriale e può comprendere: sanguinamento,
emolisi, infiltrazione midollare, deficit nutrizionali, insufficienza renale, ipersplenismo (5). Tuttavia, un
ruolo preminente nell’insorgenza e mantenimento di bassi valori di emoglobina (Hb) nel paziente oncologico
è svolto dalla cosiddetta anemia delle malattie croniche (AMC) o dell’infiammazione, condizione mediata
dalla produzione di citochine tra cui l’IL6 che inibiscono in modo diretto l’eritropoiesi e la produzione di
eritropoietina (6) e dalla incrementata sintesi epatica di epcidina che inibisce il trasporto di ferro attraverso le
membrane cellulari (7). I pazienti con AMC possono avere una carenza funzionale di ferro, caratterizzato
dalla presenza di depositi normali o aumentati ma ridotta capacità di utilizzare il ferro stesso (8). L’anemia
del paziente con neoplasia è peggiorata dall’effetto mielosoppressivo della chemioterapia.
Le possibili opzioni per trattare l’anemia in pazienti selezionati sono rappresentate dalla correzione di
eventuali sindromi carenziali (sideropenia,ipo/avitaminosi B12-ac. folico), dalle trasfusioni di emazie e dalla
somministrazione di ESA (eritropoietina alfa e beta, darbepoetina alfa).
Diagnosi dell’anemia (Algoritmo 1) L’inquadramento diagnostico dei pazienti con anemia comprende un emocromo completo e conta
reticolocitaria con eventuale valutazione dello striscio di sangue periferico. Sulla base del risultato di tali
esami sono indicati la valutazione di: stato del ferro corporeo (ferritinemia,saturazione transferrina TSAT),
livelli sierici di B12 e folati, esame del sangue occulto nelle feci, LDH, bilirubina frazionata, creatinina,
eventualmente una biopsia osteomidollare, test di Coombs, pannello legato a coagulazione intravascolare
disseminata.
Indicazione alla trasfusione. L’identificazione dei pazienti neoplastici che richiedono la trasfusione di emazie per una rapida correzione
dell’anemia non può essere effettuata soltanto considerando i valori di Hb. Le manifestazioni cliniche
dell’anemia dipendono dalla durata e dalla gravità dell’anemia ma anche da altri fattori che condizionano la
richiesta di ossigeno a livello tissutale. Inoltre la rapidità di insorgenza dell’anemia condiziona la gravità dei
sintomi, dal momento che gli adattamenti fisiologici per compensare il ridotto apporto di ossigeno si
verificano quando lo sviluppo dell’anemia è graduale. Pertanto, la presenza di malattie cardiovascolari o
polmonari pre-esistenti, così come la rapidità d’insorgenza dell’anemia, possono limitare la capacità del
paziente di tollerare l’anemizzazione. Di conseguenza la decisione sulla necessità di una rapida correzione
dell’anemia deve essere basata sulla valutazione delle caratteristiche del paziente, le morbidità e sul giudizio
del medico.
Valutazione del rapporto rischi/benefici delle trasfusioni rispetto al trattamento con ESA. Il Comitato per i Prodotti Medicinali per Uso Umano (CHMP) dell’EMEA (http://www.ema.europa.eu/) ha
analizzato i nuovi dati provenienti da studi che hanno dimostrato un incremento del rischio di progressione
tumorale, di tromboembolismo venoso e di riduzione della sopravvivenza nei pazienti neoplastici che
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assumevano ESA, se paragonati ai pazienti che non assumevano tali farmaci. A seguito di queste valutazioni,
il CHMP ha concluso che il beneficio correlato all’uso degli agenti eritropoietici, nelle indicazioni approvate,
continua ad essere superiore al suo rischio associato. Nei pazienti affetti da neoplasia trattata con intento
curativo, il beneficio associato all’utilizzo degli ESA non è superiore al rischio di progressione tumorale e di
riduzione della sopravvivenza complessiva e quindi il Comitato ha concluso che in questi pazienti gli ESA
devono essere utilizzati con cautela. E’ stato inoltre sottolineato che la decisione di somministrare gli ESA
deve essere basata su una valutazione su base individuale del rapporto tra rischi e benefici associati alla
terapia, tenendo in considerazione il tipo e lo stadio del tumore, il grado di anemia, l’aspettativa di vita del
paziente, l’ambiente nel quale è trattato il paziente e le preferenze dello stesso.
Più rigide le indicazioni dell’Oncology Drugs Advisory Committee (ODAC) della Food and Drug
Administration (FDA, www.fda.gov - marzo 2008) che si è espresso a favore del continuare ad utilizzare gli
ESA nei pazienti neoplastici sottoposti a chemioterapia ma dando le seguenti raccomandazioni alla FDA:
Mantenere l’indicazione all’utilizzo degli ESA per l’anemia indotta da chemioterapia.
Non limitare l’utilizzo degli ESA soltanto ai pazienti con carcinoma polmonare a piccole cellule.
Modificare le attuali indicazioni includendo l’affermazione che l’uso degli ESA non è indicato per i
pazienti che ricevono trattamenti a scopo di guarigione.
Modificare le attuali indicazioni includendo l’affermazione che l’uso degli ESA non è indicato nei
pazienti con carcinoma mammario metastatico e/o tumore testa-collo.
Richiedere l’utilizzo di un consenso informato scritto per il trattamento dell’anemia indotta da
chemioterapia.
Va sottolineato che in tutti gli studi clinici in cui è stata evidenziato un aumentato rischio per il paziente, gli
ESA sono stati somministrati al di fuori delle indicazioni approvate in relazione ai valori iniziali e finali di
Hb e all’uso degli ESA in soggetti che non ricevevano chemioterapia.
L’autorità regolatoria italiana (AIFA) non ha pertanto modificato le indicazioni all’uso degli ESA
nell’anemia associata a chemioterapia con Hb<10g/dL.
Benefici delle trasfusioni di emazie Il maggiore beneficio della trasfusione di emazie è il rapido incremento dell’Hb correlato ad un
miglioramento rapido dei sintomi legati all’anemia. Pertanto, la trasfusione è la sola opzione per i pazienti
che richiedono una correzione immediata dell’anemia. La trasfusione di 1 unità (circa 300 cc) di emazie
determina in un incremento medio di Hb di circa 1 g/dL in 1 ora in un individuo adulto di normali
dimensioni senza simultanee perdite ematiche.
Rischi delle trasfusioni di emazie. I rischi associati alle trasfusioni di emazie includono le reazioni correlate a trasfusione, insufficienza
cardiaca, contaminazione batterica, infezioni virali e sovraccarico di ferro. Attualmente il rischio di infezioni
trasmesse con le trasfusioni è molto basso. La leucodeplezione riduce il rischio di reazioni febbrili. Il
sovraccarico di ferro è una condizione che difficilmente si verifica nei pazienti neoplastici che vengono
sottoposti a trasfusioni per un periodo di tempo limitato (< 1 anno). Un fattore importante da tenere in
considerazione quando si considera la trasfusione come trattamento preferenziale per il trattamento
dell’anemia è la limitata disponibilità di sangue presente in molti paesi, tra cui l’Italia. Una recente analisi
che ha proiettato l’impatto della riduzione dell’uso degli ESA nei pazienti neoplastici, ha indicato che ci
sarebbe un notevole aumento delle unità di sangue necessarie per trattare l’anemia nei pazienti neoplastici
nel caso in cui l’uso degli ESA venisse completamente vietato (9).
Benefici del trattamento con ESAs Riduzione dell’incidenza delle trasfusioni. Il trattamento con ESA riduce la richiesta di trasfusioni nei
pazienti neoplastici in trattamento chemioterapico (10). Una Cochrane review di 42 studi randomizzati che
hanno arruolato un totale di 6510 pazienti (11) ha mostrato una riduzione del rischio relativo di trasfusioni
del 36% nei pazienti trattati con ESAs (RR=0.64; 95% CI 0.60-0.68).
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Miglioramento della qualità di vita. La correlazione tra anemia e “fatigue” è stata indicata come un fattore
responsabile della ridotta qualità di vita nei pazienti neoplastici e numerosi studi hanno valutato l’effetto
dell’utilizzo degli ESA sulla qualità di vita. La Cochrane review di Minton et al (11) ha mostrato che gli
ESA determinano un piccolo ma significativo miglioramento della fatigue nei pazienti anemici in trattamento
chemioterapico rispetto al placebo. Tuttavia, i risultati di varie altre reviews sistematiche (10) indicano che
l’impatto della terapia con ESA sulla qualità di vita dei pazienti neoplastici è ancora incerta, dal momento
che gli studi pubblicati generalmente non riportano i dati che sono necessari per effettuare una meta-analisi.
Rischi del trattamento con ESAs Mortalità e progressione tumorale Gli studi iniziali che hanno valutato il ruolo degli ESA nell’anemia indotta da chemioterapia, sono stati
condotti con l’obiettivo di ridurre le trasfusioni e trattare l’anemia. Pertanto in questi studi sono stati arruolati
pazienti anemici con livelli di emoglobina inferiore a 10 g/dL. Successivamente sono stati condotti altri studi
in cui l’obiettivo non era in genere la riduzione delle trasfusioni ed il trattamento dell’anemia, ma la
prevenzione dell’anemia o comunque il mantenimento di livelli elevati di Hb con l’obiettivo di migliorare i
risultati terapeutici dei trattamenti antineoplastici. In questa seconda generazione di studi sono stati arruolati
pazienti generalmente non anemici o con anemia lieve e con livelli di Hb basale superiore a 10 g/dL. Inoltre i
livelli di Hb raggiunti in tali studi erano superiori a 12 g/dL con un range variabile da 13 a 15.5 g/dL. In 4 di
questi studi, inoltre, i pazienti non ricevevano trattamento chemioterapico. In 8 di questi studi è stato
osservato un effetto sfavorevole del trattamento con ESA in termini di sopravvivenza globale o
sopravvivenza libera da progressione (Tabella 2). La rassegna di Bohlius (10) su 57 studi clinici prospettici,
aveva concluso che era ancora incerto se e come gli ESA potessero avere un effetto sulla sopravvivenza
globale. Una meta-analisi di Bennett et al. (12) aveva incluso 51 studi presentati tra il 1985 e il 2008
comprendendo tutti gli 8 studi che hanno evidenziato effetto sfavorevole sulla sopravvivenza. Gli autori
hanno concluso che l’uso degli ESA è associato ad un rischio di morte significativamente più alto (HR =
1.10; 85% CI 1.01-1.20; p=0.03). Ulteriori 2 meta-analisi (13,14) hanno ribadito l’incremento di mortalità
correlato all’impiego di ESA con evidenze in termini di rischio relativo di morte e hazard ratio
statisticamente significativi rispettivamente di 1.17 (1.06-1.30) e 1.15 (1.03-1.29). Anche se il risultato
sfavorevole in termini di sopravvivenza è in parte legato all’inclusione degli studi in cui gli ESA sono stati
utilizzati al di fuori delle indicazioni previste, esso ha posto il dubbio che il rischio di una ridotta
sopravvivenza globale e sopravvivenza libera da malattia non possa essere escluso anche quando gli ESA
sono utilizzati per raggiungere un livello di Hb <12 g.
Ulteriori meta-analisi (15,16) pur confermando la correlazione tra ESA e rischio di eventi trombo-embolici,
sottolineano l’assenza di un effetto negativo sulla sopravvivenza in particolare nei molti trials clinici in cui
gli ESA sono stati somministrati “in indicazione”. L’argomento è comunque a tutt’oggi in fase di studio non
essendo ancora chiarita quale sia la causa principale che possa determinare un incremento della mortalità
correlata all’impiego di ESA. Viene invece escluso con una certa sicurezza l’aumento della probabilità di
progressione di malattia correlato ad una interazione ESA/recettori EPO tumorali. Si sottolinea tuttavia la
necessità di approfondire questo argomento con studi clinici e biologici mirati (17,18).
Rischio di malattia tromboembolica L’uso degli ESA è stato associato ad un aumentato rischio tromboembolico nei pazienti neoplastici. Le cause
del tromboembolismo venoso sono complesse, un aumentato rischio basale è legato sia al tumore stesso che
al trattamento chemioterapico. Altri fattori di rischio nei pazienti neoplastici sono rappresentati da precedenti
episodi di tromboembolia, trombofila su base genetica, ipercoagulabilità, elevata conta piastrinica pre-
chemioterapia, recenti interventi di chirurgia, prolungata ospedalizzazione, steroidi e co-morbilità quali
ipertensione. Tutte le meta-analisi più recenti (12-18) hanno confermato il risultato di meta-analisi
precedenti, evidenziando un aumentato rischio di eventi tromboembolici associato all’utilizzo degli ESA con
RR oscillanti tra 1.48 e 1.66. Il rischio mantenendosi sempre evidente è più pronunciato laddove gli ESA
vengono impiegati al di fuori delle attuali indicazioni (valori Hb > 12).
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L’uso degli ESA deve essere considerato con estrema cautela nei pazienti con rischio elevato di eventi
trombotici. Non ci sono dati sull’efficacia di anticoagulati o aspirina a scopo preventivo.
Ipertensione/convulsioni L’uso degli ESA è controindicato in soggetti con ipertensione arteriosa non controllata.
La pressione arteriosa dovrebbe essere controllata in tutti i pazienti prima di iniziare il trattamento con agenti
eritropoietici e monitorata regolarmente durante il trattamento. Le convulsioni sono state riportate nei
pazienti con insufficienza renale trattati con agenti eritropoietici. Non è chiaro se i pazienti neoplastici che
ricevono ESA siano a rischio di convulsioni, tuttavia i livelli di Hb devono essere monitorati per ridurre il
rischio di ipertensione e convulsioni.
Aplasia pura della serie rossa (Pure Red Cell Aplasia; PRCA) Tra il 1998 ed il 2004, circa 200 casi di PRCA sono statti riportati in pazienti nefropatici trattati con
eritropoietina. Oltre il 90% di questi casi si sono verificati in pazienti trattati con epoetina alfa. I pazienti che
presentano una perdita della iniziale risposta agli agenti eritropoietici con grave peggioramento dello stato di
anemia e bassa conta di reticolociti dovrebbero essere valutati per una possibile PRCA e se confermata, la
terapia con ESA deve essere interrotta (19).
9. Trattamento dell’anemia nei pazienti con neoplasia
Trattamento dei pazienti con anemia correlata al cancro (Algoritmo 2) In pazienti neoplastici non sottoposti a chemioterapia, l’unico trattamento appropriato per l’AMC (escluse
altre cause di anemia che possono essere trattate in modo specifico) è rappresentato dalle trasfusioni di
sangue. Gli ESA non sono indicati in questi pazienti.
Trattamento dell’anemia indotta da chemioterapia (Algoritmo 3, Algoritmo 6) Le trasfusioni di emazie sono raccomandate nei pazienti sottoposti a chemioterapia che necessitano
correzione immediata dell’anemia. I rischi e i benefici delle trasfusioni devono essere discussi col paziente.
Per i pazienti sintomatici che non richiedono correzione immediata le possibili opzioni sono rappresentate
dalle trasfusioni di emazie e dalla terapia con ESA. La terapia con ESA è raccomandata (Livello I) per la
prevenzione delle trasfusioni nei pazienti sintomatici con Hb ≤ 10 g/dL. I pazienti candidati a ricevere terapia
con ESA devono essere informati dei rischi e benefici del trattamento con ESA. In attesa di ulteriori dati
sulla sicurezza, il trattamento con ESA dovrebbe essere evitato nei pazienti trattati con intento guaritivo.
Trattamento dell’anemia nei pazienti asintomatici in trattamento chemioterapico (Algoritmo 4, Algoritmo 5) Nei pazienti asintomatici è necessaria un’attenta valutazione dei fattori di rischio per lo sviluppo di anemia.
Le opzioni per i pazienti asintomatici con fattori di rischio per lo sviluppo di anemia richiedente trasfusioni
includono l’osservazione o la terapia con ESA se i livelli di Hb sono ≤ 10g/dL. I pazienti candidati a ricevere
terapia con ESA devono essere informati dei rischi e benefici del trattamento.
Trattamento dell’anemia in pazienti con sindrome mielodisplastica (SMD) Alcuni studi retrospettivi suggeriscono che la somministrazione di eritropoietina a pazienti con SMD a basso
rischio conferisca un vantaggio di sopravvivenza verosimilmente secondario alla riduzione del fabbisogno
trasfusionale e del sovraccarico marziale. I pazienti per i quali è possibile predire una verosimile risposta al
trattamento con ESA sono quelli con bassi livelli endogeni di eritropoietina (< 500 U/L) e con una bassa
richiesta trasfusionale (< 2 UEC al mese) prima dell’inizio dell’eritropoietina stessa (20).
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10. Modalità di somministrazione degli agenti eritropoietici
(Algoritmo 5, Algoritmo 7)
Prima di iniziare il trattamento con agenti eritropoietici è necessario effettuare valutazione dello stato del
ferro corporeo TSAT e ferritina) questo al fine di poter correggere, tramite adeguato supporto marziale per
via endovenosa (EV), un eventuale carenza funzionale o assoluta di ferro nell’ambito di corretto impiego
degli agenti eritropoietici (8,21) (Algoritmo 8).
In oncologia gli ESA sono somministrati per via sottocutanea.
Le dosi raccomandate sono 10.000 U 3 volte alla settimana per l’eritropoietina alfa e beta, oppure 30.000 U 1
volta alla settimana per l’eritropoietina beta o 40.000 U 1 volta alla settimana per l’eritropoietina alfa oppure
150 mcg alla settimana o 500 mcg ogni 3 settimane per la darboepoetina. L’efficacia dei vari ESA nelle varie
schedule di somministrazione è sovrapponibile (22,23). Non ci sono evidenze che la somministrazione di
ESA a dosi e timing diverse siano maggiormente efficaci. Steensma et al hanno confrontato l’epoetina alfa
40.000 U/settimana vs 120.000 U ogni 3 settimane (24). La somministrazione settimanale sembra avere una
maggiore attività rispetto alla somministrazione di dosi elevate ogni 3 settimane. Questo risultato può essere
spiegato con il meccanismo di down regulation che caratterizza il recettore dell’eritropoietina e che può
essere responsabile di una perdita di sensibilità in presenza di dosi eccessivamente elevate di eritropoietina
(25). Il timing di somministrazione rispetto alla chemioterapia non modifica l’efficacia terapeutica degli ESA
(26). I valori di Hb devono essere misurati settimanalmente sino alla loro stabilizzazione. Se il livello di Hb
subisce un incremento ≥ 1 g/dL in 2 settimane, la dose di ESA deve essere ridotta del 25% - 50%.
Il trattamento con ESA deve essere interrotto al raggiungimento dei 12 g/dl di Hb, quando è indicato giusto
interrompere il trattamento che poi andrà ripreso nel caso di una significativa riduzione dei livelli di Hb.
In assenza di risposta (definita da un incremento ≥ 1 g/dL di Hb dopo 4 settimane di trattamento con epoetina
alfa o 6 settimane con darboepoetina) vi è indicazione ad incrementare la dose secondo lo schema riportato
nell’algoritmo 8, previa valutazione dello stato del ferro corporeo (vedi sotto). Se nonostante l’incremento
della dose non si osserva risposta a 8-12 settimane di trattamento, la terapia con ESA va interrotta e, se
indicata, va effettuata la trasfusione di emazie.
La somministrazione di ESA comporta un’ampia richiesta di ferro come conseguenza della forte spinta
all’eritropoiesi con una produzione di globuli rossi che può risultare superiore alla mobilizzazione di ferro
dai depositi (27). Poiché nel paziente con AMC la capacità di rilascio di ferro dai depositi è ridotta (6), in
corso di terapia con ESA si manifesta spesso una carenza funzionale di ferro. Gli indicatori bioumorali che
vengono oggi ritenuti più affidabili per definire una carenza funzionale di ferro nel paziente oncologico sono
TSAT tra 10 e 20% oppure valori nella norma di ferritina sierica (8). La ferritina è tuttavia considerata un
parametro meno utile della TSAT in quanto i valori possono essere aumentati come conseguenza dello stato
infiammatorio cronico (28).
La valutazione dello stato del ferro ha un’importanza cruciale per una corretta strategia terapeutica. Nei
pazienti con carenza funzionale di ferro, la terapia con ESA è efficace solo se viene associata ad una terapia
marziale per via ev (29; 30). Nel paziente con carenza assoluta di ferro (TSAT <10 o ferritina al di sotto del
range di normalità) è invece necessario anteporre una terapia marziale all’eventuale impiego degli ESA (31).
Vi è indicazione a somministrare terapia sostitutiva con ferro per via endovenosa in tutti i pazienti
neoplastici in trattamento con ESA che abbiano di base o che sviluppino durante il trattamento con ESA
valori di TSAT <20% e ferritinemia < 800 ng/ml.
In nefrologia vi sono chiare evidenze di maggiore efficacia degli ESA se viene associato ferro EV anche in
pazienti con stato del ferro normale (32). Nel campo oncologico numerosi studi clinici (33-36) hanno
evidenziato come appare giustificata la terapia con ferro EV in associazione a ESA non solo nei soggetti con
carenza funzionale ma anche nei pazienti con stato del ferro basale nella norma (TSAT > 20% e ferritina
> 100 ng/mL).
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Un unico studio (37) condotto su circa 500 pazienti affetti da anemia indotta da chemioterapia in terapia con
darbepoetina e trattati con ferro gluconato ev o ferro solfato orale o placebo orale ha evidenziato come il
ferro parenterale non abbia sostanzialmente portato un miglioramento nei termini di risposta emoglobinica,
riduzione nella percentuale di riduzione di emotrasfusione o miglioramento della qualità di vita.
Oltre a migliorare le percentuali di risposta emoglobinica agli ESA, l'uso del ferro EV permette la riduzione
delle dosi di ESA con conseguente potenziale riduzione dei costi (38).
Sempre dalla nefrologia proviene l'indicazione secondo cui la correzione di uno stato di carenza marziale
attraverso la somministrazione di ferro EV sarebbe in grado anche di prevenire e/o diminuire la trombocitosi
in parte indotta dagli agenti eritropoietici e in parte legata alla stessa carenza marziale. Questo avrebbe,
secondo alcuni autori, un possibile impatto positivo sul rischio tromboembolico associato alla
somministrazione di ESA (39).
Il prodotto disponibile in Italia per via parenterale è il sodio ferrigluconato (Ferlixit). La dose di ferro
elementare consigliata in associazione a ESA è di 125 mg (2 fiale di Ferlixit) in infusione breve ripetibile (in
base ad esigenze cliniche) da 2 volte alla settimana a 1 volta ogni 2 settimane fino a raggiungimento di una
dose totale di 750-1000 mg (pazienti con stato del ferro normale) o 2000 mg (carenza funzionale).
Le preparazioni di ferro EV sono sicure e sostanzialmente prive di effetti collaterali gravi. L’incidenza di
reazioni anafilattiche fatali sono estremamente rare (<1:200.000) (34) e prevenibili con una dose test di ferro
somministrata lentamente in occasione dell’avvio della terapia (40).
Il ferro somministrato per via orale è sostanzialmente inefficace nei pazienti con anemia associata a
neoplasia (30,32-35). L’utilizzo del ferro EV è controindicato in pazienti con sovraccarico marziale (TSAT
>50% e ferritina >1000).
Tabella 1: Scale di tossicità per l’anemia (livelli di emoglobina in g/dL)
Grado Gravità Scala National Cancer
Institute
Scala World Health
Organization
0 Nessuna Limiti normali * >11
1 Lieve 10-limite normale 9.5-10
2 Moderata 8-10 8-9.4
3 Severa 6.5-7.9 6.5-7.9
4 Rischio per la vita <6.5 <6.5
* 14-18 g/dL per gli uomini; 12-16 g/dL per le donne
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19
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13. Addendum
G-CSFs ed Eritropoietine biosimilari
I farmaci biosimilari sono farmaci biotecnologici non coperti da brevetto, la cui commercializzazione può
avvenire soltanto alla scadenza della copertura brevettuale del prodotto di riferimento. Recentemente, la
scadenza di numerosi brevetti, tra i quali quelli relativi al filgrastim e all’eritropoietina alfa, ha stimolato
un’accesa discussione sul loro utilizzo clinico e sugli aspetti legali e regolatori.
Secondo la definizione adottata dall’EMA, i biosimilari non sono assimilabili ai medicinali generici dati le
complessità delle molecole e del loro processo di sintesi che rendono impossibile produrre una copia esatta
del biologico di riferimento (originator). Tali farmaci non sono infatti prodotti per sintesi chimica ma da
microrganismi cellulari in coltura utilizzando approcci biotecnologici. Mentre è possibile conoscere la
composizione della molecola finale, il processo di produzione è proprietà intellettuale del produttore.
Considerato che il processo produttivo è particolarmente complesso, farmaci biotecnologici della stessa
categoria prodotti in differenti laboratori presenteranno differenze rispetto all’originator. Il parametro che
viene preso in considerazione per paragonarne l’effetto è la cosiddetta “bioequivalenza”. Questa viene
definita come assenza di significativa differenza nella velocità ed entità alla quale il principio attivo si rende
biodisponibile nel sito d’azione del farmaco, alla stessa dose molare e in condizioni sperimentali simili.
Con Legge 2004 del Parlamento Europeo e a tutela del paziente, la procedura regolatoria di approvazione di
un biosimilare è molto più rigorosa e lunga rispetto ad un farmaco generico, più breve tuttavia rispetto alla
procedura registrativa del suo originator. Per la registrazione, le ditte produttrici di farmaci biosimilari
devono dimostrare affidabilità e consistenza nel processo di produzione e dati di confronto del biosimilare
con l’originator per quanto riguarda farmacocinetica, farmacodinamica, presenza di impurità, efficacia, ed
immunogenicità. In Italia non sono ancora state definite e codificate del tutto le procedure di autorizzazione
dei farmaci biosimilari e in particolare le condizioni di sostituzione dei farmaci biotecnologici originatori con
i biosimilari in corso di terapia, come per esempio la tipologia dei pazienti ammessi alla sostituzione e, cosa
fondamentale, la garanzia di tracciabilità del trattamento a fini di farmacovigilanza, per ogni singolo
paziente.
Attualmente l'utilizzo dei biosimilari nelle pratica clinica è ancora complessivamente limitato, tuttavia il loro
impiego sembra destinato ad ampliarsi in vista della scadenza della copertura brevettuale di numerosi
farmaci biotecnologici, molti dei quali in ambito oncologico.
L'utilizzo appropriato di questi farmaci richiede una conoscenza approfondita che al momento non appare
completamente adeguata, come ha evidenziato il sondaggio promosso dalla Fondazione AIOM da cui è
emerso che, nonostante la maggior parte degli oncologi utilizzi i farmaci biotecnologici, solo il 50% dei
medici conosce realmente questi farmaci.
Gli oncologi appartenenti all’AIOM sono stati i primi a promuovere un importante lavoro di divulgazione
negli anni recenti. Tutto questo ha portato alla stesura di un “position paper”, presentato dall'AIOM alla
Commissione Igiene e Sanità del Senato il 2 Novembre 2010 nel corso dell'audizione relativa ai disegni di
legge sui farmaci biosimilari. Questo documento delinea la posizione degli oncologi italiani in merito ai
diversi aspetti relativi all'utilizzo dei biosimilari, riassunta in cinque parole chiave: sicurezza, efficacia,
estensione d'uso, responsabilità prescrittiva, omogeneità regolatoria su tutto il territorio nazionale (Iacono C.
La posizione dell'AIOM: si ai biosimilari nei pazienti naive ma senza trascurare le altre possibilità di
intervento. Atti del Convegno" Farmaci biotecnologici biosimilari: innovazione e sostenibilità". Milano, 30
Novembre 2010).
L'AIOM ha peraltro deciso di farsi garante sia dell'adeguatezza degli studi clinici condotti, in termini di
numerosità dei pazienti arruolati e di qualità degli end points, sia della loro diffusione a tutti soci. Infine
l'AIOM ritiene auspicabile la continuità terapeutica per ogni paziente già in trattamento con un determinato
farmaco ed ha indicato come la sostituzione di un farmaco originatore con un biosimilare e viceversa
dovrebbe essere evitata. Un altro aspetto importante è quello legato alla farmacovigilanza. La denominazione
di un prodotto farmaceutico ha un ruolo essenziale nel garantire la sua tracciabilità e quindi la sicurezza del
paziente.
LINEE GUIDA GESTIONE DELLA TOSSICITA' EMATOPOIETICA IN ONCOLOGIA
29
Ciò è ancora più importante per i farmaci biosimilari che non sono identici all’originator e non possono
essere intercambiabili. I biosimilari dovrebbero essere identificati con un sistema di denominazione proprio
che possa derivare da un aggiornamento del sistema di denominazione internazionale, INN (in Italia:
Denominazione Comune Internazionale) per il quale sono attualmente in corso revisioni proposte da diverse
realtà del mondo farmaceutico e biotecnologico.
In conclusione, l’introduzione sul mercato dei biosimilari in generale (e nello specifico di G-CSFs ed
Eritropoeitine) ha certamente determinato un progressivo cambiamento dell’approccio dell’autorità
regolatoria relativo alla valutazione della loro efficacia e sicurezza. Al tempo stesso l’ingresso di questi
farmaci sul mercato potrebbe stimolare una positiva tendenza, almeno in alcuni casi, ad una diminuzione del
prezzo dei farmaci originators, con evidenti favorevoli ricadute in termini di sostenibilità della spesa
farmaceutica. Programmi specifici di farmacovigilanza sono peraltro essenziali nell’interesse di pazienti,
medici, industrie produttrici ed autorità regolatorie ed è nel complesso necessaria una maggiore esperienza
clinico-scientifica per codificare l’uso dei biosimilari (concept paper AIFA su famaci biosimilari, 1/8/2012,
http://www.agenziafarmaco.gov.it/it/content/concept-paper-su-farmaci-biosimilari).
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14. Raccomandazioni prodotte con metodologia GRADE
QUESITO 1: Nei pazienti adulti, affetti da tumore solido è raccomandabile l'uso di rG-CSF a una dose
giornaliera per almeno 6 giorni con inizio entro 72 ore dalla chemioterapia vs una dose giornaliera per
meno di 6 giorni dopo la chemioterapia?
VALUTAZIONE COMPLESSIVA QUALITA’ DELLE EVIDENZE: _BASSA_
COMMENTO: Allo stato attuale il numero e la qualità degli studi disponibili non consentono di rispondere
in maniera univoca al quesito.
VOTAZIONE BILANCIO RISCHIO/BENEFICIO
Favorevole Incerto Sfavorevole
2 3
MOTIVAZIONI/COMMENTI: Vi è incertezza circa il bilancio rischi/benefici nell’utilizzo di una
schedula di almeno 6 giorni verso un minor numero di somministrazioni. l’incertezza è legata alla scarsità di
dati.
VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE
Positiva forte Positiva debole Negativa debole Negativa forte
5
RACCOMANDAZIONE: L’USO DI GCSF A DOSE GIORNALIERA NEI PAZIENTI ADULTI
AFFETTI DA TUMORE SOLIDO PUO’ ESSERE RACCOMANDATO ANCHE SECONDO SCHEDULE
INFERIORI AI 6 GIORNI.
FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: POSITIVA DEBOLE
Questa raccomandazione è stata prodotta con metodo GRADE.
In appendice online: quesito clinico all’origine della raccomandazione, votazione della criticità degli
outcome, tabella GRADE completa e caratteristiche del panel.
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QUESITO 2: Nei pazienti affetti da neoplasie trattabili con una chemioterapia con intento curativo è
raccomandabile il trattamento con agenti stimolanti l'eritropoiesi (ESA)?
VALUTAZIONE COMPLESSIVA QUALITA’ DELLE EVIDENZE: _ALTA_
COMMENTO: Il numero e l’elevata qualità dei dati riportati in letteratura possono determinare una risposta
al quesito.
VOTAZIONE BILANCIO RISCHIO/BENEFICIO
Favorevole Incerto Sfavorevole
5
MOTIVAZIONI/COMMENTI: Nei pazienti oncologici trattati con chemioterapia ad intento curativo non
vi sono evidenze significative che controindichino l’impiego di ESA.
VOTAZIONE FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE
Positiva forte Positiva debole Negativa debole Negativa forte
5
RACCOMANDAZIONE: GLI ESA POSSONO ESSERE UTILIZZATI NEI PAZIENTI AFFETTI DA
NEOPLASIE TRATTABILI CON CHEMIOTERAPIA CON INTENTO CURATIVO; UNA ATTENTA
VALUTAZIONE DEL SINGOLO CASO, PER QUANTO RIGUARDA I FATTORI DI RISCHIO BASALI
DI TROMBOEMBOLISMO, E’ NECESSARIA IN CONSIDERAZIONE DELL’INCREMENTO DI TALI
EVENTI LEGATI ALL’IMPIEGO STESSO DEGLI ESA.
FORZA DELLA RACCOMANDAZIONE: POSITIVA DEBOLE
Questa raccomandazione è stata prodotta con metodo GRADE.
In appendice online: quesito clinico all’origine della raccomandazione, votazione della criticità degli
outcome, tabella GRADE completa e caratteristiche del panel.