Dittatore di ricerca

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Google Search g oogle numero 21 12 novembre 2012 I l S e r a l e Settimanale quotidiano Internet non è libero Dittatore di ricerca

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Internet non è libero

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Google Search

google

numero 21 12 novembre 2012

Il SeraleSettimanale quotidiano

Internet non è liberoDittatore di ricerca

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Il colosso “paraculo”Concorrenza sleale, abusi e dati personali rubati

La privacy è il “tallone d’Achille” di Google e l’aziendacontinua a farla franca

Google e privacy, un bino-mio che sembra alquanto

impossibile. L’Antitrust (sia ame-ricana che europea) ha puntato ildito sul colosso di MountainView, il quale potrebbe prestoesser costretto a rispondere delleaccuse di “concorrenza sleale”.Ce lo dicono i principali quoti-diani degli Stati Uniti, soste-nendo che tale accusa è statafatta sulla base di una ricerca ef-fettuata dall’Ftc (Federal TradeCommission). Al momento, icontenuti del lungo memoran-dum redatto risultano riservati,ma i Federali sono pronti a giu-rare che ci siano tutti gli ele-menti per citare il gigante web ingiudizio. Google avrebbe infattiabusato della propria posizionedominante sul mercato della ri-cerca online, con il fine di pro-

muovere i propri servizi a disca-pito della concorrenza. Gli ow-ners della multinazionale hannoprontamente negato le accuse,rendendosi comunque disponi-bili al dialogo con gli investiga-tori. Non solo l’Ftc, ma ancheuna lunga lista di aziende – inparticolare nel settore del com-mercio elettronico, del turismo e

del divertimento – hanno effet-tuato reclami riguardo il soffoca-mento illecito della concorrenzada parte del titano del web.Ma l’azienda pubblica G. non

è nuova di certe accuse.

di Silvia Fiorito

L’Antitrust ha puntato il ditosull’azienda di Mountain View:abuso di posizione dominante, è

l’accusa rivoltale dall’Ftc

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Il 9 febbraio 2010 viene lan-ciato Google Buzz, il socialnetwork creato da Larry Page eimplementato direttamente nelservizio di posta elettronicaGmail. Viene però dismessodopo soli due anni. La piat-taforma sociale non è stata sol-tanto vittima di un disastrosoinsuccesso, ma anche di un pro-cedimento legale. Difatti, nel-l’autunno dello stesso anno,l’azienda statunitense viene que-relata per violazione della pri-vacy. «I contatti mail con cuiciascuno scambiava più frequen-temente messaggi erano stati in-seriti, in maniera piuttostoautomatica, in una sorta di rete àla Facebook – racconta il popo-lare mensile Wired - in cuiognuno poteva vedere l'attività econtatti degli altri». L'obiezionedegli utenti è stata tempestiva einopinabile: e se gli iscritti non

volessero esser spiati mentre in-viano email personali? Del restol’iscrizione a Gmail dovrebbe si-gnificare l’apertura di una caselladi posta e non di un account diun social network o di un micro-

blog. Cosicché Google, per nonpeggiorare la sua situazione e do-versi scontrare con il garantedella privacy, ha accettato di in-viare una mail a tutti i suoi utentiin cui informa di aver raggiuntoun accordo con il giudice e chele impostazioni di Buzz sareb-bero state prontamente modifi-cate. Non soltanto: arriva cosìper il colosso californiano unadelle prime multe, di 8,5 milionidi dollari nello specifico; unacifra piuttosto irrisoria a con-fronto degli otto miliardi emezzo di fatturato nel solo 2010. Più salata, invece, l’ammenda

pagata da Google nel 2011: 500milioni di dollari per aver illegal-mente pubblicizzato online al-cuni farmaci; l'Fda (Food andDrug Administration) ha infattiaccusato la compagnia di aver ac-cettato gli annunci AdWords difarmacie canadesi, nonostante

l'importazione di prescrizionedal Canada sia vietata dalla leggedegli Stati Uniti. Le autorità ri-tengono che Google fosse a co-noscenza di tale legge già dal2003. Il ministero della giustizia

Nel febbraio 2010 la denunciaper Google Buzz: «I contatti mail

con cui ciascuno scambiavamessaggi erano stati inseriti in

maniera automatica: ognuno potevavedere l'attività degli altri».

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ha, inoltre, avviato il sequestro ditutti i fondi derivanti dalla pub-blicità illecita. Il vice procuratoregenerale James Cole ha dichia-rato: «Questo accordo assicurache Google verrà punita per ciòche ha fatto e costretta a pagareuna delle multe più ingenti dellastoria». Difatti la sanzione rap-presenta più del venti per centodei profitti del gruppo nel primotrimestre del 2011.Il confronto e l'importo del pa-

gamento non devono risultaresorprendenti, bensì un costosoescamotage per evitare una con-danna penale più difficile da farpassare in sordina. Senza contarei soldi pubblici impiegati per leindagini sul caso. Quest’anno, con l’arrivo della

primavera, il monopolista dell’e-tere torna a rimediare ai propridanni con sanzioni di facciata. Èil caso dei 25mila dollari versaticome multa per lo scandalodell’opzione panoramica Street

View. Il dito è stato puntatodall’Fcc (Federal Communica-tions Commission), agenzia go-vernativa indipendenteincaricata di regolare tutti i pos-sibili utilizzi dello spettro radio,delle telecomunicazioni e dellecomunicazioni internazionali.Oggetto della controversia sonogli autoveicoli di Google utiliz-zati in tutto il mondo per scat-tare fotografie a 360°, con il finedi migliorare il servizio di Goo-gle Maps. Il software installato su

tali macchine avrebbe, però, cat-turato le posizioni degli “hot-spot” personali e dei routerwireless individuati nei dintorni,sniffando e memorizzando datiprivati come nomi utente, pas-

Nell’agosto 2011 arriva una sanzionedi 500 milioni di dollari: pubblicitàillecita di farmaci canadesi tramitel’utilizzo di AdWords

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sword e email. La multinazionaledi Larry Page si è istantanea-mente giustificata, ammettendol’errore ma sottolineando che laregistrazione di questi dati siaavvenuta in modo accidentalema comunque non illegalmente.Pertanto, l’ammenda di 25miladollari è stata giustificata dal-l’Fcc, come penalty a seguito deldeliberato intralcio delle inda-gini da parte di Google. Roba da

poco, insomma. Ma non finisce qua.

L’Ftc, ad agosto di quest’anno,pare essersi indignata sul serio. Ilcaso Safari è risultato più gravedei precedenti: un ricercatoredella Stanford University avevadenunciato al Wall Street Jour-

nal che l'azienda di MountainView aveva eluso le impostazionisulla privacy degli utenti delbrowser di Apple. Malgrado leimpostazioni di Safari, infatti,Google era riuscito a monitorarela navigazione su internet daMac, iPhone e iPad. Ciò sarebbeaccaduto mediante l’inserimentodi cookies fatti apposta per il mo-nitoraggio di pubblicità sui si-stemi degli utenti Machintoshche hanno navigato nel web tra-mite la rete Doubleclick dellacompagnia. La cosa grave è chetutto questo costituisce una vio-lazione del decreto di consensodel 2011, che Google aveva ne-goziato con la Ftc in occasionedell'annuncio del social networkBuzz. Il Grande Fratello della ri-cerca online è dunque obbligatoa pagare una maxi multa di ben

Aprile 2012: la multa è simbolica, di25 mila euro. Nessuna responsabilitàpenale, ma per l’Fcc Google avrebbeintralciato le indagini su Street View

«Le “Google cars” hanno registrato dati nonconcessi in modo casuale». Così si è giustificata

Google, di fronte all’accusa

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L’azienda di Larry Page (foto) harisposto alla multa ritirandoimmediatemente i “biscotti

avvelenati” e accettando di pagare

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22,5 milioni di dollari. Jon Lei-bowitz, presidente dell’Ftc, hadichiarato «tale multa manda unmessaggio chiaro a tutte le so-cietà riguardo la disciplina sullaprivacy. E non importa quantograndi o piccole siano le aziende,devono obbligatoriamente ri-spettare i nostri regolamenti egarantire un determinato tratta-mento dei dati al consumatore».Con tempestiva puntualità, Goo-gle ha rimosso i “biscotti avvele-nati” dai registri di Safari eaccettato di pagare la multa. Macon una condicio sine qua non:l’accordo con l’Ftc non deve con-tenere alcuna ammissione di col-pevolezza da parte dell’aziendamultinazionale, la quale negaqualsiasi violazione e responsabi-lità contenuta nel richiamo ini-ziale, ad eccezione di quelle

accidentali. Scorciatoia comodaper tutti: i federali si vedrannorecapitare una cifra da capogiroe il motore di ricerca più famosoal mondo non dovrà affrontarealcun contenzioso, né negli StatiUniti, né altrove.

Google: paladino della ricercagratuita e monopolista del web.Un colosso, insomma.

L’ultima sanzione è di 22,5 milioni.Si tratta però di un patto in cuiGoogle accetta di pagare, ma, perl’Ftc ne esce senza colpevolezza

Come to the dark side, we have cookies.Google spiava Safari tramite dei Cookies fatti

apposta per il monitoraggio di dati

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Algoritmi di navigazione

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Il motore di ricerca più famoso del mondo è stato aggiornato daPanda a Penguin, ma dalla ricerca “intelligente” a quellasemantica sono oltre 500 le modifiche che Google opera

durante l’anno. Senza che noi ce ne accorgiamo

“Algoritmo" è una latinizzazione del nome delmatematico persiano al-Khwarizmi. L’ultimo di

Google è andato a vantaggio dei siti di qualità

di Elisabetta Specchioli

Il 24 aprile, a distanza diun anno da Google

Panda, sul blog GoogleWebmaster Central, l’a-zienda statunitense ha an-nunciato l’introduzione diuna nuova modifica al suoalgoritmo, denominataGoogle Penguin.Se sul fatto che anche «chi

non legge Freud può viverecent’anni» ci ha già rassicu-rati Rino Gaetano, è proba-bile che anche ignorarecosa sia un algoritmo noncostituisca un insormonta-bile ostacolo a una prolun-gata senilità. Però èaltrettanto probabile che,nel caso volessero saperequalcosa del padre della psi-canalisi, otto persone sudieci (le due mancanti al-l’appello sono le mie nonne)ricorrerebbero a un motoredi ricerca su internet piutto-sto che a una polverosa en-ciclopedia. E ciò chepermette ai motori di ri-cerca di reperire e gerar-

chizzare dati è proprio unalgoritmo. Etimologicamente, il ter-

mine è la latinizzazione delnome del matematico per-siano al-Khwarizmi, vissutoben prima del mille d.C. econsiderato uno fra i primiad essersi accostato al con-cetto di algoritmo, la cui de-finizione, tuttavia, restatuttora fonte di dibattito fragli specialisti. Poiché però leaule del Massachusetts in-stitute of technology sonolontane, riteniamo suffi-ciente la definizione che neda il dizionario informaticodella The McGraw-HillCompanies, S.r.l., Publi-shing Group Italia, casa edi-trice che si è impostanell’ambito delle pubblica-zioni universitarie e infor-matiche in Italia e che faparte del gruppo americanoThe Mac Graw-Hill Com-panies ( lo stesso di cui èuna sussidiaria la temibileStandard & Poor’s): s’in-

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tende per algoritmo una«sequenza limitata di istru-zioni che devono essere ese-guite per compiere unadeterminata funzione.Spesso il termine è usato perdescrivere le istruzioni diun linguaggio di program-mazione o per indicare laserie di operazioni necessa-rie ad ordinare dei dati, re-perire informazioni opianificare una serie diazioni». In parole spicce eapplicando il concetto allaprassi informatica, po-tremmo dire che è una suc-cessione ordinata dioperazioni che partendo dauna serie di dati immessi ,conduce a un’altra serie didati output che soddisfanoun insieme predefinito di

requisitiIl primo motore di ricerca

ad utilizzare un algoritmofu Aliweb nel 1993. Per-metteva agli utenti di ”sot-toporre” l’indice dei lorositi, in modo tale da inclu-dere nel proprio database lepagine web e di aggiungeresommarie descrizioni della

pagina; i webmaster, sacer-doti del rito algoritmico,potevano così definire le pa-role che avrebbero poi con-dotto i fruitori del motore auna determinata pagina.Aliweb fallì, per rigenerarsicome una fenice metodolo-gica in altri motori, fino al1997, quando Larry Page eSergey Brin, allora studentidella Stanford University,ebbero un’intuizione: ana-lizzare le relazioni tra siti inbase a un criterio topolo-gico, vale a dire in base a unpresupposto omeomorfismotra di essi e privilegiare lepagine citate con il maggiornumero di link. Nel 1998fondarono dunque Google,basato su un nuovo algo-ritmo ribattezzato Page-Rank che indicizzava lepagine in base tanto a uncriterio di rilevanza in rela-zione all’oggetto ricercato,

Il primo motore di ricerca a utilizzare un algoritmo fu Aliwebnel 1993. Gli utenti “sottoponevano” l’indice dei loro siti inmodo che fossero inclusi nel database

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quanto secondo un criteriodi popolarità, stabilito dallaquantità di collegamentiche una determinata paginapoteva vantare in altri siti.L’idea si è rivelata vincentee con i suoi 8 miliardi di pa-gine indicizzate, Google èoggi quasi il detentore asso-luto del monopolio della ri-cerca sul web. Forte diquesta consapevolezza,detta i tempi e i modi dellaricerca, cambiando le regolea suo piacimento. E cam-biare le regole in buona so-stanza vuol dire cambiarel’algoritmo. Nel 2011 Goo-gle lanciava Panda, un ag-giornamento dell’algoritmovolto a favorire quei siti ri-spondenti a determinati pa-rametri qualitativi, quali

cura della grafica, attendibi-lità, produzione di conte-nuti autonomi e velocità. Seda un lato questo censi-mento qualitativo ha por-tato all’eliminazione diquelle pagine trappola, po-vere o totalmente mancantidi contenuto realizzateesclusivamente per attirare

i visitatori sulla pubblicità,dall’altro ha anche decre-tato la fine ad esempio di sitiaggregatori di notizie chenon producono contenutipropri o il declassamento disiti aziendali o istituzionali,come quello di Confindu-stria perché fatti male. Il 24Aprile di quest’anno Googleha annunciato una nuovamodifica dell’algoritmo, de-nominata, sempre ricor-rendo ad animali che nellaconsuetudine iconica fannosimpatia, Penguin. Stavoltal’obiettivo è la penalizza-zione di quei siti che hannoscalato la classifica dell’indi-cizzazione facendokeywords stuffing: hannocioè infarcito la propria pa-gina di parole chiavenient’affatto pertinenti conil tema della pagina stessa.Se fossimo in vena di va-gheggiamenti western,

Cambiare le regole di Google vuol dire cambiare algoritmo:Panda ha premiato nel 2011 i siti di qualità, Penguin penalizzerài siti che scalano l’indicizzazione facendo keyword stuffing

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Una parete coperta inte-ramente da doodles nellasede dell’azienda a Moun-tain view. Poco tempo dopol’uscita del primo doodle,Dennis Hwang, un artistafreelance, divenne l’officialchief doodler. Prendere ingiro il proprio stesso logo èda 12 anni una cosa moltoseria.

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Google sarebbe lo sceriffo,l’algoritmo la sua legge e ipenalizzati i banditi spieta-tamente cacciati dalla città,mentre i doodle continuanoa suonare.

Se Panda e Penguin costi-tuiscono due vistose modi-fiche dell’algoritmo, bisognaperò ricordare che il pro-teiforme motore di ricercane ha subite e continua asubirne di numerosissime:ogni anno apporta circa500-600 cambiamenti, lamaggior parte dei quali mi-nimi, mentre a scadenzamagari bimestrale o trime-strale, apporta quelli più si-gnificativi.

Nel 2003 ad esempio lan-ciò l’update Fitz: da allora ilmotore sarebbe stato ag-

giornato quotidianamenteanziché a scadenza mensile;nel febbraio 2004 l’updateBrandy incrementava l’abi-lità di Google a capire i si-nonimi, mentre nel giugno2005 l’azienda californianaavrebbe cominciato a utiliz-zare la “storia” dell’utenteper regolarsi nei risultati

della ricerca. Paradossalmente, mentre

le mutazioni più ponderosetendono a sfuggire all’u-tente di Google, quelle piùpiccole gli risultano più evi-denti. Ad esempio nel 2011ad un utente medio non dif-ficilmente sarà sfuggito ildeclassamento di Leggo.it ,ghigliottinato da Panda 2.5,ma avrà sicuramente notatoche Google istant search siarricchiva di una nuova

Il motore di ricerca subisce all’anno in media tra le 500 e le 600modifiche: le più grosse (come il declassamento di alcuni siti)non vengono notate al contrario di quelle più piccole

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funzione: l’autocompleta-mento delle parole di unafrase inserita nel box di ri-cerca, che da allora si è gua-dagnata l’attributo“intelligente”. E che oggiGoogle vuole far diventareaddirittura geniale. Nei can-tieri di Mountain View,Page e soci hanno da tempoun progetto che porterebbeil motore a operare le ricer-che non più utilizzando unalgoritmo sintattico chesfrutta le parole chiave e ibacklink (il collegamentoipertestuale che punta a unapagina web), bensì impie-gandone uno semantico,spostando dunque i terminidella ricerca dal significanteal significato e collegandonon più solo parole, maconcetti. Collegare entità invece

che semplici parole chiaveporterebbe a risultati più ef-

ficaci e attinenti alla ricercalanciata, con l’ampliamentodello spettro d’informazionicongruamente correlate.Certo è che anche Google.Inc otterrebbe i suoi van-taggi, come ad esempio por-tarsi a casa un bel numero dinuovi siti affiliati o incre-mentare la permanenza sulproprio sito degli utenti,strappandoli a Facebook .Così tutti saranno con-

tenti, forse anche il giorna-

lista americano Nicolas C.Garr che nel 2008 ha preco-nizzato in un suo articoloche l’uso di Google ci ren-derà stupidi, data la facilità,ma anche la limitatezza,scevra da qualunque ap-profondimento, con cuisazia la nostra fame di ri-cerca.

Collegare non parole, ma concetti, essere piùche “intelligenti”: nei progetti di Page e soci la

ricerca semantica è la nuova frontiera dellosviluppo di Google

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La curva che non si piegaCome cresce il fatturato di Mountain View? Questi sono i

numeri di Google e le perplessità di un gigante che non avràmai i conti in rosso di Nicola Chiappinelli

Pochi giorni fa il governo irakeno haannunciato che prevede introiti derivanti

dall’estrazione dell’oro nero per oltre 200miliardi di dollari. Google si stima valga oraattorno ai 250 miliardi di dollari. Una cifraenorme. Eppure. Eppure le ultime analisiraccontano di un momento di rallentamento. Sipossono chiamare così infatti, senza eccessi dalogorio del termine “crisi”, il passaggio in unanno da 2,73 a 2,18 miliardi di dollari di utilenetto, e la crescita del fatturato dai 7,51miliardi del 2011 ai “soli” 11,33 del 2012, al disotto quindi del consensus di 11,8 miliardiprevisto dagli esperti di finanza, registrati loscorso ottobre nei dati di trimestre. In sintesi,un po’ come dire che si è delusi dall’esseretornati dalla pesca senza il caviale. A guardarein modo perplesso i numeri di Google sono statiperò soprattutto gli analisti, che si aspettavanoun utile per azione di 10,65 dollari e invecehanno dovuto prendere atto dei 9,03 dollarieffettivi. In una presentazione oltretuttointaccata dal pasticcio compiuto dell’azienda,che pubblicato la trimestrale sul sito dellaConsob americana prima del previsto, comedimostrato dalla nota a margine "pending onLarry quote" (‘ovvero in attesa della citazionedi Larry’). Ossia si doveva aspettare ilcommento del ceo e fondatore di Google, LarryPage, che infatti si è poi scusato con gliazionisti vista la naturale risposta “nervosa”della borsa a quanto annunciato, in manierainaspettata, dal mercato.

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L’amministratore delegato ha comunque volutoribadire di essere felice dei “solidi” contidell’azienda, e vorremmo vedere che così nonfosse, visto che i risultati hanno sempre un piùdavanti. Ma evidentemente, poiché se ne parla,una questione c’è. Ed è soprattutto inprospettiva che gli analisti stanno cercando dicapire se davvero si può iniziare ad immaginareil culmine della parabola ascendente della “bigG”. A leggere banalmente i numeri,sembrerebbe proprio di no. Ad inizio ottobre lacompagnia fondata da Page e Sergej Brin èdiventata infatti la seconda potenza tecnologicadel mondo, superando Microsoft e piazzandosidietro al gigante Apple, che ha una quotacapitale di 632,7 miliardi di dollari, ossia quasitre volte più grande. Ma soltanto nel 2010, inquesta classifica, Google era ancora decima, e la“mela” di Steve Jobs, grazie al boom di venditedi iPhone e iPad, aveva solo da pocosoppiantato al vertice la creatura di Bill Gates.La crescita inarrestabile del motore di ricerca

è dipesa naturalmente non solo dalla perfezionedell’usabilità e della penetrabilità del motorestesso, ma anche da una gestioneimprenditoriale ben attenta ad espandere ilmarchio attraverso il controllo e l’ideazione dinuove piattaforme. Partendo quasi dalla fine, adesempio, non si può non rilevare il successo diAndroid, il sistema operativo open sourcebasato su Linux, o per molti semplicemente ilrivale di Windows Mobile. La startupcaliforniana di nome Android Inc., fondata nel2003 da Andy Rubin, Rich Miner, NickSears e Chris White, venne infatti sostenuta efinanziata proprio da Google che nell’agosto del2005, con una cifra vicina ai 50 milioni didollari, acquistò Android Inc., trasformandolanella Google Mobile Division, così da fornire a

Perplessi soprattuttogli analisti, che si

aspettavano un utileper azione di 10,65

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Rubin i fondi e gli strumenti per portare avantiil suo progetto che vedrà, nel settembre 2008,l’uscita sul mercato americano del primosmartphone con sistema operativo Android.Dal 2001 ad oggi comunque la lista degliacquisti è lunghissima, e va da piccoli motori diricerca a piattaforme per blog, organizzatori diimmagini e strumenti per la pubblicità online,tecniche di mappatura del web e degli accessialla rete, social network, spazi per lacondivisione musicale, videogiochi online, etc.Poi, a parte, la regina di tutte le acquisizioni,

ciò che fa di Google il re del 2.0: YouTube.Fondato nel febbraio 2005 da tre ex dipendentidi PayPal: Chad Hurley, Steve Chen e JawedKarim, è inutile descriverlo, chiunque abbiauna connessione Internet ha passatosicuramente almeno un minuto della sua vita aguardare il “tubo”. È semplicemente il terzosito più visitato al mondo (dopo Google eFacebook), e a maggio si è riusciti a stabilireche vi vengono caricati su addirittura 72 ore difilmati al minuto. Ecco: il 10 ottobre 2006Google ha comprato YouTube per 1,65 miliardidi dollari pagati in azioni proprie.Tra le ultime compere ecco nell’estate 2011 la

Motorola Mobility, famosa compagniaproduttrice di telefoni cellulari, per un totale di12,5 miliardi di dollari di azioni, e poi Meebo:una piattaforma social, nata 7 anni fa comeservizio di web chat, focalizzatasulla condivisione e sulla catalogazione dicontenuti, e acquistata per qualcosa come 100milioni di dollari. Tutti si sono subito chiesti,come sempre, la ragione di una simileoperazione: magari che Google avesse deciso dimigliorare il proprio Google Plus? In realtàMeebo non è solo un posto dove condividerecontenuti, ma anche una sorta di ufficio

Dalle piattaforme aiblog: la lista degliacquisti fatti nel 2011 èlunghissima

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contabile: controlla quali condivisioni hannoriscosso il successo maggiore, quante voltecondividi qualcosa, quante volte e dove clicchi, edalla tua attività stabilisce in quali campi sei piùferrato. Inoltre, nel panorama Social, Meebo èpraticamente l’unico sito ad esser riuscitoa monetizzare seriamente le web chat, con unsistema di strisce pubblicitarie in calce alleconversazioni. La notizia ha fatto pensare cheanche Google si fosse per questo impegnata pertoglierli al rivale Facebook. Ma in verità non si èmai vista alcuna azienda di successo tirarsiindietro di fronte ad una possibile fonte diincassi: l’accumulazione di ricchezza ha regoleelementari, ma molto precise. La possibileragione della cautela con sui si studiano in effettii conti di Mountain View va allora ricercataaltrove. E l’occhio va alla pubblicità; ma nonquella sui pc: secondo eMarketer, il ricavatodella pubblicità in rete per Google, a tutto il2012, si aggirerebbe attorno ai 2,31 miliardi didollari; poco meglio di Facebook, che registra2,16 miliardi di dollari; parecchio indietro tuttigli altri. Il punto interrogativo riguarda invecele inserzioni sui dispositivi mobili. Sia perchécostano meno di quelle del pc, e sia perché èqui che in molti hanno preso a bypassare Googleper loro ricerche: le applicazioni sui cellulari tiportano direttamente al servizio richiesto, senzapassare per il link sponsorizzato dal motore diricerca: così chi vuole acquistare un prodotto vasulla app del primo sito di e-commerce che èAmazon, come chi cerca un ristorante o unalbergo consulta subito Tripadvisor o affini. Forse questo potrà essere un serio problema

per Google, dove ogni clic vuol dire pubblicità equindi guadagno. Ma si tratta davvero soltantodell’analisi negativa di un particolare; o di unpossibile ostacolo in una marcia di successiche dura ormai da 14 anni.

La regina di tutte leacquisizioni, ciò che fadi Google il re del 2.0:l’acquisto di YouTube

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Google

Accetti i termini e le condizioni?Utilizzare, memorizzare, riprodurre, modificare, pubblicare:

i contratti di Google fanno degli utenti ciò che vogliono

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Non importaIl primo marzo 2012 Googleha dato annuncio d'aver

modificato la propria disciplinain materia di privacy, creandouna normativa unica, valida pergli oltri 60 servizi offerti dallasocietà. Scopo dichiarato di que-sta piccola rivoluzione, è stato losnellimento dei termini contrat-tuali al riguardo, che avrebbedovuto aumentarne la traspa-renza, nonché la comprensiblitàper l'utente. Obiettivo non pro-priamente raggiunto, a giudicaredalle polemiche suscitate da al-cuni passaggi del nuovo testo. Inparticolare, grosse perplessitàsono sorte in relazione al puntoriguardante il possibile invio dicontenuti personali e come talicoperti da proprietà intellet-tuale: «Quando carica o invia inaltro modo dei contenuti ai no-stri Servizi, l’utente concede aGoogle (e a coloro che lavoranocon Google) una licenza mon-diale per utilizzare, ospitare,memorizzare, riprodurre, modi-ficare, creare opere derivate(come quelle derivanti da tradu-zioni, adattamenti o modificheche apportiamo in modo che icontenuti dell’utente si adattinomeglio ai nostri Servizi), comu-nicare, pubblicare, rappresen-tare pubblicamente, visualizzare

pubblicamente e distribuire talicontenuti. I diritti che concedecon questa licenza riguardano loscopo limitato di utilizzare, pro-muovere e migliorare i nostriServizi e di svilupparne dinuovi. Questa licenza permaneanche qualora l’utente smettessedi utilizzare i nostri Servizi». La prima cosa che salta all'oc-

chio è come per poter usufruiredi tali servizi, sia necessario con-cedere una licenza estrema-mente estesa per l'utilizzazionedei propri dati e documenti, nonsolo a Google, ma anche a tuttequelle società che con esso col-laborano a fini commerciali opubblicitari,cosa che rende in-credibilmente ampi i confinientro i quali i contenuti perso-nali dell'utente verranno tra-

sportati e riutilizzati. Tanto piùche appare assai fumosa la suc-cessiva limitazione introdotta,in quanto risulta vago ed estesoil concetto di «utilizzo, promo-zione, miglioramento ed inno-vazione» di tali servizi,dal

di Daniele Di Corcia

I diritti che concede con questa licenzariguardano lo scopo limitato di utilizzare,

promuovere e migliorare i nostri Servizi e disvilupparne di nuovi.

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momento che è Google stesso avalutare la congruità del pro-prio operato rispetto agli scopidichiarati. Inoltre non pare nel-l'interesse dell'utente neppure ilfatto che la licenza conservi lapropria validità anche dopo larinuncia al servizio che l'avevagenerata,rendendola di fatto ir-revocabile.Questo genere di problemi,

purtroppo, non riguardano af-

fatto solo il colosso di Moun-tain View, ma sono comuni adaltre società operanti in settoricontigui e che quindi utilizzanomodelli contrattuali molto si-mili, caratterizzati anch'essidalla possibilità per i fornitori diservizi di modificare i termini

dell'accordo in maniera unila-terale, concedendo come unicacontropartita al cliente la possi-bilità di recedere dal contrattoin qualunque momento.Ottimo esempio di quanto ap-

pena detto è Facebook. Infattiandando a leggere fra le condi-zioni d'utilizzo da accettare perpotersi iscrivere al socialnetwork, si può notare la pre-senza di una parte dedicata aicontenuti coperti da diritto dipropretà (denominati “conte-nuti ip”), che recita testual-mente : «l'utente concede aFacebook una licenza non esclu-siva, trasferibile, che può essereconcessa come sottolicenza, li-bera da royalty e valida in tuttoil mondo, per l'utilizzo di qual-siasi Contenuto IP pubblicato suFacebook o in connessione conFacebook ("Licenza IP")». La Li-cenza IP termina nel momentoin cui l'utente elimina il suo ac-count o i Contenuti IP presentisul suo account, a meno che talicontenuti non siano stati condi-visi con terzi e che questi non liabbiano eliminati.Quando l'utente elimina Con-

tenuti IP, questi vengono elimi-nati in modo simile a quando sisvuota il cestino del computer.Tuttavia, è possibile che i conte-nuti rimossi vengano conservaticome copie di backup per un de-terminato periodo di tempo (purnon essendo visibili ad altri).

«L'utente concede a Facebook una licenzanon esclusiva, trasferibile, che può essereconcessa come sottolicenza, per l'utilizzo diqualsiasi Contenuto IP»

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Anche qui ci troviamo di fronteall'obbligo di concessione di unalicenza, utilizzabile sia da Face-book che da società terze ad essoconnesse, riguardante i conte-nuti personali dell'utente. L'u-nica differenza fra questomodello e quello elaborato daGoogle, riguarda la possibiltà diinvalidare o meno tale licenza.Infatti in seguito a violente po-lemiche, la società di MenloPark ha reso revocabile la li-cenza tramite la cancellazionedell'account, limitando quindil’utilizzo commerciale dei con-tenuti forniti dagli utenti al soloperiodo di permanenza deglistessi all'interno del socialnetwork. Così parrebbe. Infattiqualora tali contenuti siano staticondivisi con altri utenti e que-sti ultimi non li abbiano succes-sivamente rimossi, la licenzanon perde i propri effetti. E con-siderando la viralità del sistemaè presumibile che questa condi-zione si verifichi con una fre-quenza elevata, andando ainficiare la possibilità per l'u-tente di recuperare effettiva-mente la piena proprietà diquanto condiviso in precedenza.Inoltre anche qualora ciò non siverificasse e quindi la rimozionesia effettiva, Facebook si riservacomunque la possibilità di te-nere “copie di backup”, per un“determinato” lasso di temponon meglio specificato e quindi

privo di reali limiti prestabiliti.Ciò che emerge dal confronto

fra le discipline contrattuali deidue colossi è una situazionepreoccupante. L’importanza as-sunta da questi servizi ha per-messo una loro intrusionemassiccia all'interno della nostravita privata, comportando unforte ridimensionamento delconcetto di “privacy”. E il tuttoin maniera legale. Il processo è

in moto e non sembra intenzio-nato a fermarsi, a meno cheognuno di noi non decida di se-dersi un attimo, riflettere e va-lutare. Oppure postare lapropria angoscia su facebook.

La differenza fra Facebook e il modello diGoogle, è la possibiltà di invalidare o meno la

licenza. Menlo Park ha reso revocabile lalicenza tramite la cancellazione dell'account

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Dittature contro

La galassia Google è impe-gnata quotidianamente sul-

l'insidioso e instabile terreno deirapporti politici internazionali.Da una parte le diatribe sulla pri-vacy degli utenti e sul tratta-mento dei loro dati personali,capitolo ricco di sanzioni aidanni del colosso californiano daparte di vari organismi di vigi-lanza statunitensi ed europei;dall'altra rapporti con le ditta-ture mondiali sempre traballantie complicati da gestire. Il caso

più noto è quello delle relazionifortemente confittuali con laCina. Il peculiare quadro censo-rio cinese fa in modo che, men-tre oltreconfine anche la cadutadi uno spillo sia in grado di mo-

bilitare i mezzi di informazioneglobali, l'opinione pubblica in-terna di rado viene a conoscenzadi simili polveroni. Non fa ecce-zione la questione della "rete li-bera", tornata ancora al centrodell'attenzione in tempi recenti.Venerdì scorso, diversi utenti ci-nesi hanno segnalato l'impossibi-lità di raggiungere il proprioaccount Gmail, la pagina del mo-tore di ricerca Google.cn e i varisottodomini come Google Docu-ments e Google Maps, sebbene

da Mountain View siano giunterassicurazioni sul corretto fun-zionamento dei sistemi e delleconnessioni. Malgrado l'assenzadi una conferma ufficiale daparte di Pechino, l'indiziato nu-

In Cina, la questione della “retelibera” torna al centro

dell’attenzione. Diversi utenti sisono visti oscurare i propri account

Gmail , la pagina principale diGoogle.cn e i vari sottodomini.

Cina, Iran e Google. Eterno scontrofra colossi totalitari. La regola dei“pesi e dei contrappesi” per evitarele censure.

di Pasquale Raffaele

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mero uno pare essere lo stessopartito comunista cinese, non acaso occupato in quei giorni inun evento di capitale impor-tanza, il XVIII congresso che harinnovato la nomenklatura e hapromosso a segretario l'ex vice XiJinping. Il colosso della SiliconValley era arrivato ai ferri corticon l'esecutivo cinese già nel

2010 per via del mutato atteggia-mento nei confronti delle arbi-trarie attività censorie portateavanti grazie al "great firewall",la Grande Muraglia virtuale rea-lizzata per impedire la divulga-zione di notizie e ideeconsiderate pericolose per la sta-bilità del quadro politico e so-ciale. La frattura definitiva eraemersa a gennaio quando Goo-gle, tramite un comunicato uffi-ciale firmato dal vicepresidenteDavid C. Drummond, annunciò

che non si sarebbe più attenutoalle direttive di Pechino, quindinon avrebbe più censurato i ri-sultati delle ricerche sulla ver-sione cinese del motore diricerca. Pochi giorni prima eraterminata l'Operazione Aurora,ovvero l'attacco cibernetico con-tro Big G e altri colossi del web– Adobe Systems, Symantec eYahoo! fra gli altri – iniziato ametà 2009, attacco secondoMountain View riconducibileproprio agli hacker al soldo delgoverno cinese, intenzionato acarpire informazioni aziendalitop secret e a violare diversi ac-count di posta elettronica, comeè avvenuto per due indirizziemail dell'artista e attivista AiWeiwei, già da tempo nel mirinodelle autorità a causa della sua at-tività di dissidente. Da qui la de-cisione di lasciare la sede diPechino, ma non il fiorente mer-cato cinese. Per aggirare l'oscu-ramento dei risultati di ricerca,

Quella fra Big G e la Cina èun’eterna lotta. Il “great firewall”può considerarsi la Grande Muragliavirtuale per irretire l’informazione.

Operazione Aurora: l’attacco ciberneticocontro Google e altri colossi del web da parte di

hacker al soldo deil governo cinese.

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l'azienda californiana aveva fattoricorso a un semplice espedientetecnico: in pratica, reindirizzavagli utenti della pagina Google.cnsu Google.com.hk, la versioneper Honk Kong del motore di ri-cerca, in modo da fornire risul-tati non censurati in cinesesemplificato. Una pratica, mancoa dirlo, osteggiata dal governo,che ha così minacciato di nonrinnovare a Google la licenzaICP (Internet Content Provider),atto fondamentale per la gestionee l'esistenza stessa di un sitocommerciale nel paese del Dra-gone e vicino alla scadenza. Lasoluzione trovata dal colosso sta-tunitense è stata compromisso-ria: Google ha rinunciato alreindirizzamento diretto sullaversione di Hong Kong, deci-dendo di "dirottare" i propri

utenti su una pagina cinese delmotore che permetteva di acce-dere ad una gamma di servizi li-mitati oppure di passare aGoogle.com.hk per le normali ri-cerche. Soluzione evidente-mente apprezzata dal governo,che a luglio rinnova la licenza,come annunciato dalla compa-gnia in uno scarno comunicatoprivo di qualunque dettagliosulle clausole dell'accordo rag-giunto – del resto, la trasparenzanon ha mai rappresentato un

cruccio per l'azienda fondata dalduo Page-Brin. Dopo un anno direlativa quiete, Google sceglie diintraprendere una diversa poli-tica nei confronti dell'ingerenzagovernativa e introduce una no-

Il governo ha minacciato di nonrinnovare al colosso di MountainView la licenza ICP in scadenza.

Big G ha tentanto invano di reinderizzare gliutenti di Google.cn sulla pagina

Google.com.hk, la versione per Honk Kong.

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tifica "anti-censura", vale a direun messaggio automatico che av-verte l'utente quando effettua ri-cerche "proibite", spiegandogliche la ricerca di quella parolapuò comportare un'interruzionetemporanea della connessione almotore "non controllabile daGoogle". Qualcuno legge ilnuovo approccio in chiave die-trologica. Secondo EthanZuckermann, blogger e attivistastatunitense, lo scopo principaledella strategia post-2010 sarebbeun restyling della propria imma-gine al cospetto di una stampainternazionale che spesso ha as-

sunto posizioni ec-cessivamente durenei confronti degliaccordi stipulati colgoverno cinese,adottando un dop-piopesismo tutt'altroche motivato: «Nonho mai capito beneperchè Google hasempre ricevuto più

critiche di Microsoft o di Yahoo,che ha addirittura passato al go-verno cinese alcune informa-zioni su un suo utente, Shi Tao,che è stato condannato a diecianni di prigione». Non solo,qualcun altro interpreta il disim-pegno di Google come la direttaconseguenza dei timore legatialla presenza sul mercato cinesedi un competitor che non haeguali in nessun altro paese:

Baidu. Si tratta di un motore diricerca "governativo" ideato daRobin Li, studente di informaticatrasferitosi per un master negliStati Uniti che, dopo essersi of-feso per una battuta di un do-cente sull'arretratezzatecnologica cinese (il professorechiese ironicamente se esistes-sero i computer in Cina), iniziò alavorare al progetto dal qualenacque Baidu nel 2000 - più omeno in contemporanea alla na-scita di Google. Sebbene "inno-cua" su scala mondiale, lacreatura di Li è il motore di ri-cerca più adoperato nel propriopaese: attualmente,l'85% degli inter-nauti cinesi lo ado-pera e può cosìvantare circa 400milioni di utenti, afronte dei 425 mi-lioni di Google intutto il mondo. No-nostante il raffrontoeconomico sia an-cora impietosamente favorevoleal colosso di Mountain View (BigG lo scorso anno ha fatturatooltre sette miliardi di dollari,Baidu "soltanto" 500 milioni), bi-sogna tenere conto delle poten-zialità di un mercato inpantagruelica espansione che nel2000 registrava meno di un mi-lione di utenti: se la crescita do-vesse mantenersi sui ritmiattuali, l'incremento su base

Google introduceun messaggioautomatico cheavverte l’utentequando effettuaricerche proibite.

In Cina, ilmotore di ricercapiù usato rimaneperò “Baidu”, un

competitorgovernativo.

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mere le potenzialità della reteglobale – in particolare di Twit-ter – durante la Green revolu-tion, l'ondata di manifestazionipopolari del giugno 2009 controla rielezione alla presidenza diMahmoud Ahmadinejad ritenutairregolare da diversi osservatori,internazionali e non. Il ruolocruciale dei social network du-rante la primavera araba è statoconsiderato come una più che si-nistra conferma dei timori di re-gime e, in tal senso, non sonoaffatto casuali le dichiarazioni ri-lasciate proprio nel dicembre2010 dal ministro delle Comuni-cazioni Reza Taghipour, il qualeha auspicato una rete "pulita e li-bera da contenuti immorali econtroversie in grado di divi-derci". Il pretesto per un primoassaggio della ricetta iraniana

l'ha fornito "The innocence ofMuslims", il trailer consideratooffensivo nei confronti del pro-feta Maometto che ha destatoenorme indignazione nel mondoislamico, immediatamente sfo-ciata in violente manifestazionidi piazza. Così lo scorso 24 set-tembre, al rifiuto di rimuovere ilvideo da parte di Youtube, le au-torità iraniane hanno disposto lasospensione sine die degli accessia Google e a tutta la sua galassiadi servizi, il tutto nonostante lo

scarso interesse apparentementemostrato dagli iraniani per ilvideo, che nella Repubblica isla-mica non ha innescato alcunaforma di protesta sanguinosa omeno. Il blocco totale è durato

Lo scorso 24 settembre le autoritàiraniane hanno sospeso a tempoindeterminato gli accessi a Google.

Anche il regime iraniano mina alla libertàvirtuale, considerando i social network e icompetitor di ricerca lesivi per il governo.

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una settimana, finché il primoottobre gli utenti iraniani hannoavuto di nuovo accesso ai propriaccount Gmail, ma sulla que-stione continua ad aleggiare unenorme alone di incertezza. Gliunici ostacoli al progetto ira-niano – sebbene non di pococonto – sono rappresentati daimostruosi costi di realizzazioneper un simile progetto e da un'o-pinione pubblica imparagonabilea quella immatura e ghettizzatadella Corea del Nord. L'Iran è ilsecondo paese mediorientale perpenetrazione di internet, dietrosoltanto a Israele. Un altro mer-

cato non da pocoper Big G che, comedi consueto, deveandarci con i piedidi piombo, magariingoiando più di unboccone amaro.

Big G è obbligatoa sottostare,poiché l’Iran puòconsiderarsi unagallina dalle uovad’oro, dati inumerosi utenti.

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Settimanale quotidiano*

Lorenzo Ligas, Silvia Fiorito

Chiara Esposito

I’m feeling lucky