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-1- “ARRIVANO I NOSTRI ” Distribuzione gratuita Bollettino periodico dei giovani da 8 a 98 anni S.Pio X - Balduina www.sanpiodecimo.it Numero 29 Febbraio 2010 Anno V° d o n n e d o n n e d o e n n

Transcript of Distribuzione gratuita “ARRIVANO - sanpiodecimo.it · ne di Marinella (F.De Andrè), Margherita...

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“ARRIVANO I NOSTRI ”

Distribuzione gratuita

Bollettino periodico deigiovani da 8 a 98 anni

S . P i o X - Balduinawww.sanpiodecimo.it

Numero 29

Febbraio 2010

A n n o V °

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LE DONNE NELLECANZONI

ITALIANE DEGLIULTIMI ANNI

Anna (Mogol-Battisti), Annada dimenticare (NuoviAngeli), Perdendo Anna(Umberto Tozzi), Anna eMarco (Lucio Dalla), Annaverrà (Pino Daniele), Anna(Michele Zarrillo), Canzoneper Anna (FrancescoGuccini), Anna e il freddo che fa (Enrico Ruggeri), Anna sulcalendario (Neri per caso), Non ammazzate Anna(Edoardo De Angelis), Giulia(Gianni Togni), Giulia(Antonello Venditti), Brava Giulia (Vasco Rossi), Memoriedi Giulia (Franco Battiato), Icaro e Giulia (Massimo DiCataldo), Giulia si sposa (Pooh), La mia canzone per Maria(Mogol-Battisti), Mamma Maria (Ricchi e poveri), Silvia losai (Luca Carboni), Rosalina (Fabio Concato), Giovannad’Arco (Fabrizio De Andrè), Marylin (Riccardo Cocciante),Lara (Eugenio Finardi), Patrizia (Eugenio Finardi), Gianna(Rino Gaetano), Ciao Lulù (Umberto Tozzi), Marta(A.Venditti), Balla Linda (Mogol-Battisti), Luisa Rossi(Mogol-Battisti), Alice (F.De Gregori), Deborah (FaustoLeali), Sofia (Pino Daniele), Piccola Katy (Pooh), La canzo-ne di Marinella (F.De Andrè), Margherita (R.Cocciante),Gloria (Umberto Tozzi), Agnese (Ivan Graziani), CaraValentina (Max Gazzè), Iris (Biagio Antonacci), Barbara(Enzo Carella), Irene (F.De Gregori), Roberta (Peppino DiCapri), Natalina (Mimmo Locasciulli), IperCarmela (F.DeGregori), Mimì ( Gino Paoli), Margherita (Bruno Lauzi),Wanda (Paolo Conte), Chiedo scusa se parlo di Maria(Giorgio Gaber), Margherita si sposa (G.Kuzminac), Futura(L.Dalla), Valentina (Stefano Rosso), Cicerenella (NuovaCompagnia di canto popolare), Silvia (Renzo Zenobi), Lacanzone di Barbara (F.De Andrè), Elena no (Mogol-Battisti), Non è Francesca (Mogol-Battisti).

"DONNA" (Gorni Kramer)

Donna, tutto si fa per tetutto, pur di piacere a teTutto, per un tuo bacioper un si, per un no, per te!Perche' sei donna,gioia di viveredonna, favola splendida...sei tu, solo tu quel desiderio che l'uomochiama amor !Donna, tutto si fa per te...Tutto, pur di riavere tePerche' sei donna..nata per farti amardonna, nata per dominarperche' vive in te,quel desiderio che l'uomo chiama amor !

FILM SULLE DONNESperiamo che sia femmina (M.Monicelli), Erin Brockovich(S.Soderbergh), Viaggio a Kandahar (M.Makhamalbaf), Twinsisters (B.Sombogaart), La ragazza con l’orecchino di perla(P.Webber), Chocolat (L.Hallstrom), Thelma e Louise (R. Scott),Eva contro Eva (L.Mankiewicz), Gli uomini preferiscono le bion-de (H.Hawks), La ciociara (V. De Sica), Mignon è partita(F.Archibugi), Hannah e le sue sorelle (W.Allen), Il colore viola(S.Spielberg), Tootsie (S.Pollack), Due partite (E.Monteleone),L’amore velato (A.Salmy), Segreti e bugie (M.Leigh), 8 donne eun mistero (F.Ozon), La donna della domenica (L.Comencini),Cielo sulla palude (A.Genina), Il marito della parrucchiera(P.Leconte), Un cuore in inverno (C.Sautet), Il segreto di Esna (J.Zbanic), Bread and roses ( K.Loach), La sconosciuta(G.Tornatore), La lettrice (M.Deville),Giulia (F.Zinnemann), Il pran-zo di Babette (G.Axel), Gloria (J.Cassavetes).

LA DONNA PIU’ POTENTE DEL MONDO DAL 2006 AD OGGI, SECONDO LA RIVISTA

AMERICANA FORBES E’:

ANGELAMERK E L

Premi Nobel 2009Da sinistra a destra:

Ada Yonath (Chimica), Elinor Ostrom (Economia),Herta Muller (Letteratura), Carol Greider (Medicina)

La donna piùfamosa nella

Storia dell’Arte di tutti i tempi

DONNE NELLO SPORT:Federica Pellegrini- Valentina Vezzali - Flavia Pennetta

MONNALISA

GRANDI SCRITTRICIIsabel Allende (nella foto)- MargueriteDuras- Simone de Beauvoir- CatherineDunne- Karen Blixen- Virginia Woolf-

Margaret Atwood- Agatha Christie- ElsaMorante- Mary Shelly- Marguerite

Yourcenar- Alice Munro- Gallant Mavis-Banana Yoshimoto- Anita Desai-Kamala Markandaya- MargaretMazzantini- Jane Austen- Toni

Morrison- Azar Nafisi- Natalia Ginzburg-Shahrnush Parsipur-

DONNE IN POLITICAAngela Merkel, Hilary Clinton,Nancy Pelosi, Condoleeza Price,Segolene Royal, Tarja K. Halonen,Michelle Bachelet, Ellen J.Sirleaf,Wu Yi, Han Meyong-Sook, IndiraGandhi, Sonia Gandhi, BenazirBhutto, Aung San Sun Kyi, MartineAubry

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CHE FAREMMO SENZA DONNE?don Paolo Tammi

Donne in cerca di guai, come ci ha ricordatoZucchero Fornaciari, ce ne sono tante. Di donneche amano troppo ci ha parlato Robin Norwoodqualche anno fa, indicando alle donne modi perrecuperare l’equilibrio degli amori insensati. Di donne “malefemmene” sentiamo cantarespesso Gigi D’Alessio. Prospettiva assai diversadalla precedente, perché qui si dice che “si tupeggio ‘e na vipera, m’hai ‘ntussicato l’anima,nun pozzo cchiu campà”. Ce n’è davvero pertutti. Di donne che cercano Dio ci parlano iVangeli. Di un Gesù, anzitutto, che delle donne paura non aveva. Lo seguivano tantedonne nella sua itineranza. Insieme a sua madre, lo seguivano Maria diMàgdala, dalla quale aveva cacciato sette demòni, Giovanna, che era lamoglie dell’amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che lo assisteva-no con i loro beni ( cfr Lc 8,2). Insomma, un bel seguito che dimostra la liber-tà affettiva del Signore e il fatto che non disdegnasse di essere un po’ cocco-lato e comunque trattato con normale decoro. Molti anni dopo Francesco d’Assisi , qualche giorno prima di morire, scrisseuna lettera a donna Giacomina, da lui amichevolmente chiamata frateJacopa, alla quale chiese di portare un panno scuro per avvolgere il suocorpo morto ma chiese anche di portargli i dolcetti che era solita cucinare perlui quando era malato a Roma. Oggi questa Jacopa de Settesoli ha il privile-gio di far riposare le sue ossa proprio di fronte a dove riposano quelle diFrancesco, nella cripta della stupenda basilica di S. Francesco ad Assisi.Teresa di Gesù, la grande, grandissima Teresa, che cambiò a fondo l’ordinecarmelitano, era amica e viaggiava spesso con Giovanni della Croce, immen-so mistico, com’era d’altronde lei, capace di lasciarci una bellissima dottrinaspirituale, maturata anche nei colloqui con Teresa. Scolastica, sorella carna-le di Benedetto, vinse la “contesa” con lui, con uno straordinario femminismospirituale, quando, volendo rimanere la notte col fratello a parlare di Dio, eavendo ricevuto il suo diniego perché la cosa non era conforme alla Regola,si mise a pregare e ottenne da Dio la pioggia scrosciante che, impedendoledi rientrare al convento femminile, costrinse Benedetto ad accettare la com-pagnia della sorella e delle altre monache per tutta lanotte. E quandoBenedetto la rimproverò di aver “pregato” Dio, l’autore della biografia com-mentò in una maniera meravigliosa: vinse Scolastica perché potè di piùdavanti a Dio chi amò di più. Che bellezza! Proprio vero! Le donne sanno amare di più. Sanno cogliere l’at-timo, hanno l’intuito di comprendere quando serve amore e non una regola.Amano il corpo dei loro figli, lo conoscono più dei mariti, ne vivono la rela-zione in modo sapiente, talora forse eccessivo e invadente, ma di certo piùefficace delle prudenze affettive dei maschi, solitamente sempre più gelidi eadatti ai climi freddi. Donne! Che faremmo senza donne? Gesù amava le donne. Amava Marta, per-ché cucinava bene e intercettava ottimamente il suo bisogno di essere amatocosì. Amava la sorella di Marta, Maria, perché si sedeva ad ascoltarlo e costi-tuiva per lui il modello di chi comprende non solo i bisogni ma matura gliideali, quelli che sono la parte migliore, il cui frutto – lo dice Lui stesso – nonci sarà mai tolto. Donne ! Alcuni rinunciano alle donne ma non alla parte fem-minile che è in loro. I preti non si sposano, i frati fanno voto di verginità.Eppure quando li vedi e li senti, ti accorgi subito se sono maschi o sono unasottospecie di caratterialità mascofemminile. Preti e frati non hanno dichia-rato guerra al matrimonio, ma fanno un matrimonio mistico con Gesù il Figliodi Dio. E siccome il Figlio, nella sua carne umana assunta anni fa, era maschio, chilo sposa è per Lui la sposa. Dunque il celibe, il vergine è sposa. Ed essendomaschio, ha bisogno di tutta la sua parte femminile e materna, per sentirsiamato da Gesù ed esserne l’amante. Si ama Gesù con passione, si tocca ilsuo santo Corpo risorto con emozione, lo si dona alla gente con generosità,si benedice solennemente il popolo nel Suo nome quasi con un amore che tispezza il cuore. Il prete è uno di quelli che può dire “ il mio Gesù”. Non èl’unico ma lui sa bene perché. Ha rinunciato per avere il centuplo. Cento donne, cento madri, cento figli, cento figlie, cento case, cento caminiscoppiettanti, cento pranzi e cento cene. Cento amori anzi cento milioni diamori. Donne come Maria madre di Gesù sono l’abisso dello straordinario. La Chiesa ha lottato e fatto persino un concilio ecumenico perché si avessela libertà di chiamarla Madre di Dio. Ma lei ha fatto la gavetta, ha incontratole prostitute sentendo il Figlio dire che saranno tra le prime nel Regno di Dio. Lei ha ricevuto sette spade di dolore sotto la croce. Un canto bellissimo ledice: “ io vorrei tanto sapere che cosa provavi...”. Donne come lei sono la garanzia che Dio è padre e madre, maschio e femmi-na e che nel Regno eterno di Dio le donne che abbiamo amato e che ci hannoamato le ritroveremo tutte. Forse avverrà come scrisse a sua madreGiuseppe Ungaretti: “ Ricorderai d’avermi atteso tanto e avrai negli occhi unrapido sospiro”.

In questo numero :

CHE FAREMMO SENZA DONNE?

UNA RAGAZZA NORMALE

DONNA D’AFRICA

SANTA CHIARA

UNA CATECHISTA RACCONTA

UNA VOLONTARIA RACCONTA

IL DIARIO DI GIORGIA

LA RAGAZZA DEL BATANGAS

LA NONNA

LE AMMANTATE

CHE PALPITO VIENE

IO TIFO PER LE DONNE

RICORDANDO MIA MADRE

DONNE IN IRAQ

REALTA’ AL FEMMINILE

EDITH STEIN

SANT’AGATA

JANE CLACSON

LE DONNE DEL WYOMING

ARRIVANO I NOSTRI Autorizzazione del Tribunale n°89 del 6 marzo 2008

Direttore responsabileGiulia BondolfiTerza pagina

don Paolo Tammi Direttore editoriale

Marco Di Tillo

Collaboratori:

Lùcia e Miriam Aiello, Bianca Maria Alfieri,Renato Ammannati, Alessandra e MarcoAngeli, Giancarlo e Fabrizio Bianconi,Tommaso Carratelli, Cesare Catarinozzi,Laura, Giuseppe e Rosa Del Coiro,Gabriella Ambrosio De Luca, AnnaGaribaldi, Massimo Gatti, Paola Giorgetti,Pietro Gregori, Giampiero Guadagni,Lucio, Rossella e Silvia Laurita Longo,Giuliana Lilli, don Nico Lugli, don RobertoMaccioni, Maria Pia Maglia, LucianoMilani, Cristian Molella, Alfonso Molinaro,Sandro Morici, Alfredo Palieri, GregorioPaparatti, Giorgia Pergolini, Maria Rossi,Eugenia Rugolo, Maria Lucia Saraceni,Elena Scurpa, Francesco Tani, StefanoValariano, Gabriele, Roberto e ValerioVecchione, Celina e Giuseppe Zingale.

I numeri arretrati li trovate online sul sito della parrocchia :

www.sanpiodecimo.it

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LE AMMANTATE

Giancarlo Bianconi

La vicenda è andatacosì: seduto nell’auto-bus in attesa della par-tenza, mentre sfoglia-vo il mio quotidiano,una signora non piùgiovane dall’aria moltodistinta si è sedutavicino a me, seguitasubito dopo da duealtre signore alquantopiacenti ma altrettantochiacchierine che,senza smettere di par-lare, si son sedute difronte a noi.Improvvisamente lasignora proprio di fron-te a me, rivolta alla sua amica, con un mezzo urlettoha esclamato: «A proposito!... L’altro giorno, sai, ho letto che aRoma, da prima del 1600, ci sono suore di cui ignora-vo completamente l’esistenza: le Ammantate». «Ammantate? Bah! neanche io, a dire la verità, ho maisentito parlare di questo ordine».«E sino a neanche tanto tempo fa sembra pure chebeneficiassero ogni anno di aiuti finanziari dalVaticano. Però, debbo dire, ho dato proprio una scorsaveloce all’articolo sull’argomento, ripromettendomi unapprofondimento appena possibile. Solo che poi mi èpassato di mente e … addio giornale e articolo. Per cui,sai …».«Scusate la mia intrusione – è intervenuta a questopunto con un sorriso dolce e molta signorilità la signo-ra seduta vicino a me – ma ho udito, sia pure nonintenzionalmente, la vostra conversazione, e avvertitaalquanta confusione sull’argomento, non ho resistito:e col vostro permesso, quindi, vorrei fornire in propo-sito talune precisazioni a chiarimento. Posso?».«Ma certamente!» ha esclamato con slancio la signo-ra di fronte a me.«Allora: Ammantate, non è un ordine monastico ben-sìl’appellativo dato, sin verso la fine dell’Ottocento, aquelle ragazze in età da marito - le zitelle, comeall’epoca erano chiamate dal popolino - le quali, senzamezzi finanziari ma desiderose di sposarsi o di farsisuore, ricevevano dall’Arciconfraternitadell’Annunziata una dote di una certa consistenza».«E che cos’è questa arciconfraternita?» ha domanda-to allora la signora.«Era un’associazione di fedeli costituita, come delresto tante altre del genere, per l’esercizio di opere dicarità. E …»«Scusi, eh! Ma i mezzi per provvedere alla dote perqueste “povere zitelle”, come se li procuraval’Arciconfraternita? - è intervenuta a questo punto,con molto spirito pratico, l’amica – perché nello StatoPontificio, se non ricordo male, non esisteva alcunaforma di industrializzazione o altro, in grado di pro-durre ricchezza collettiva».«Giusta osservazione! L’arciconfraternita si procuravai mezzi di cui aveva necessità unicamente con lasciti,eredità, offerte e altre liberalità provenienti da bene-fattori vari. Infatti è proprio per supplire alle carenzeconnaturate al sistema economico da lei ora evocatoche proliferarono varie istituzioni benefiche, tra lequali, appunto, l’Arciconfraternita dell’Annunziata, tral’altro costituita nel 1460 dal cardinale GiovanniTorquemada»

«Ma chi? Lo spietato primo Grande Inquisitore spa-gnolo?» ha reagito stupita.«Non lui, ma suo zio! E uno di questi benefattori, pen-sate un po’, fu un papa che non riuscì a .... essereeffettivamente papa, per così dire».«O che significa un papa che non è stato papa?» hadomandato la signora di fronte a me.«Significa semplicemente che Urbano VII, il ponteficedi cui stiamo parlando, poiché regnò per soli 13 gior-ni, ebbe solo il tempo di essere eletto papa, nel 1590,ma non anche quello di essere consacrato tale conquella solenne cerimonia in S. Pietro che conosciamotutti. Ciò nondimeno, anche nel così poco tempo avutoa disposizione, ha avuto la premura di lasciare in ere-dità le proprie cospicue sostanze personaliall’Arciconfraternita dell’Annunziata affinché con esseprovvedesse alle zitelle bisognose».«E chi sceglieva queste “povere zitelle bisognose”?»si è allora informata.«La scelta delle “povere zitelle” meritevoli della doteveniva fatta fra quelle segnalate da ciascun parrocoche aveva previamente accertato il possesso da parteloro di appositi requisiti, quali quello di essere roma-na, povera, vergine e … altri. Erano in ogni caso esclu-se le attrici, le frequentatrici di teatri, quelle che vive-vano in locande e quelle che praticavano i sarti. Non lesarte eh! bensì le ragazze che praticavano i sarti.Chissà perché!».«E perché si chiamavano Ammantate?» ha incalzatol’amica.«Venivano così chiamate per via dell’insolito abbiglia-mento che le ragazze in processione indossavano il 25marzo, festa dell’Annunciazione e giorno della conse-gna della dote in S. Maria sopra Minerva alla presenzadel papa. E di questa cerimonia Antoniazzo Romano ciha lasciato una bella tavola conservata sull’altare dellaquarta cappella destra di questa chiesa». «E scusi la domanda un po’… osé per così dire, ma c’èmai stata nessuna che abbia imbrogliato? Nel sensocioè che magari era ciociara invece che romana, oppu-re che non era.... come posso dire? che nun era più....» ha proseguito sommessamente la signora di fron-te a me.«Sì-sì ho capito cosa intende dire! Eh-eh, cosa vuoleche le dica signora mia?! Certamente sarà pure acca-duto che qualcuna non avesse tutti i requisiti necessa-ri. Anzi, a dover dar credito a Belli, forse ce n’è statapiù di una che ha imbrogliato. E alla grande pure!».«Perché, che diceva Belli?» ha domandato allora contono inquisitorio.«Nel sonetto, intitolato appunto Le Ammantate, Bellicosì descrive la cerimonia: Ah fu un gran ride e ungran cascerro gusto/ quer de vede’ passa’ tante zitel-le/ co la bocca cuperta, er manto, er busto/, le spille,er sottogola, e le pianelle./Tutte co l’occhi bassi erenogiusto/ da pjialle pe tante monichelle,/ chi nun sapes-si quer che sa sto fusto/ di che carne ce sta sotto lapelle./ Nerbigrazia, Luscia l’ho fregat’io; Nèna? hafatto tre anni la puttana;/ e Tota è mantienuta da ungiudìo./ E la sora Lugrezzia la mammana/ n’ariconob-be due de Borgo-Pio;/ insomma, una ogni sei nun erasana».«Hai capito!?! Altro che monachelle come avevo equi-vocato io! E così anche allora... eh!».«Eh sì, anche allora! Nihil sub sole novi cara signora!Ed ora chiedo scusa ma è tempo che raggiunga l’usci-ta perché sono quasi giunta a destinazione. Buonagiornata a loro».«Grazie tante e buona giornata anche a lei» hannorisposto all’unisono le due signore.Soddisfatto per la cosa nuova appresa, mentre davosommessamente piena ragione a quella famosa vec-china che si doleva di dover morire, perché – sostene-va – ogni giorno imparava una cosa nuova, ho ripresola lettura del mio quotidiano.

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“AFRICA EXPRESS”Lucio Laurita Longo

DONNAD’AFRICA

(L’uomo è il capo dellafamiglia, ma la donna

è il collo che muove il capo)

Parlare della donnad’Africa, della suacondizione, del suostatus sociale, delsuo inserimentonella realtà quoti-diana non è facileperché le molteplicisfaccettature che caratterizzano questocontinente ne impediscono una generalizzazione. In tutto ilmondo le condizioni di vita della donna sono, molto spesso,tutt’altro che facili, ma nella realtà africana tali condizionisono estremizzate tanto che in gran parte di questo conti-nente essa è ancora vista come un essere inferiore, comemerce di scambio se non come una schiava da sfruttare finoalla morte. Eppure le donne africane sono da sempre, e sem-pre di più, mogli, madri, lavoratrici instancabili ed insostitui-bili che gestiscono, molte volte in prima persona e senzaalcun aiuto, la vita della intera comunità in cui vivono.Nonostante ciò, però, restano vittime indifese di numerosediscriminazioni che ne segnano in modo profondo la stessavita. Le più comuni possono essere individuate nella priva-zione della libertà personale (intesa come mancanza di dirit-ti individuali e sociali), nel maggior grado, rispetto agliuomini, di povertà, nella maggior violenza cui devono sotto-stare, nell’obbligo di accettare un matrimonio precoce deci-so dalle famiglie e non liberamente scelto e nella violenzasessuale cui vengono sistematicamente sottoposte e chetroppo spesso le porta a contrarre ogni tipo di malattia, tal-volta anche mortale.Privazione della libertà significa non avere mai alcuna vocein capitolo, né in ambito sociale e comunitario né all’internodella famiglia. La donna africana, infatti, non può influiresulle scelte del marito (o del capo della comunità in cui vive)nella organizzazione della vita privata o pubblica, nellaistruzione, propria e/o dei propri figli, e nell’ambiente dilavoro. Paradossalmente queste limitazioni sono più fortinelle donne di città rispetto a quelle che vivono in campa-gna, dove tendono ad avere un maggior benessere e unamaggiore considerazione in funzione del ruolo che rivesto-no. La vita nelle città, infatti, porta all’appiattimento verso ilbasso (o al totale annullamento) di molti valori e tradizioniche continuano a sopravvivere nelle campagne. Nelle campagne, infatti, una donna, madre, moglie o figliache sia, pur non avendo, come detto, alcun potere decisio-nale, deve affrontare la gestione della vita quotidiana (curadella casa e della famiglia), andare quotidianamente a pren-dere l’acqua al pozzo (che spesso dista chilometri) o procu-rare la legna per il fuoco, curare l’educazione dei figli e l’as-sistenza agli anziani. Queste situazioni la rendono pratica-mente insostituibile garantendogli una sorta di “assicurazio-ne sulla vita”. Nell’ambito urbano, invece, dove troppo spes-so si è costretti a vivere da soli o al di fuori di un nucleosociale comune, la donna rimane praticamente abbandonataa se stessa ed in balia di ogni tipo di violenza.Anche sotto l’aspetto economico una donna africana vive incondizioni peggiori rispetto alle altre donne nel mondo. Inun ambiente dove le possibilità di lavoro, per la maggiorparte della popolazione, sono estremamente limitate onulle, è evidente che le rare occasioni che si presentanosono appannaggio quasi del tutto esclusivo degli uomini. Daciò deriva una assoluta dipendenza economica delle donneche così non avranno mai la possibilità di affrancarsi dallostrapotere degli uomini. Occorre sottolineare che il valore diuna donna, quello per cui essa viene data in sposa e per laquale suo padre riceve una dote dal marito è, oltre alla suaforza-lavoro, la sua possibilità di procreare e, quindi, di

garantire la continuità della comunità. La maggior partedelle donne vengono date in sposa in età giovanissima equindi quando il loro fisico è ancora in crescita. Fino a quan-do sono in grado di procreare e di lavorare costituiranno unvalore aggiunto per il marito e per la comunità ma quandonon sono più in grado di fare quello per cui sono state “com-prata” ecco che il valore si azzera. Da questo momentodiventeranno un peso e molto spesso verranno abbandona-te al loro destino (facilmente immaginabile). Discorso aparte è quello sulla salute e sulle sciagurate condizioni igie-niche che interessano la quasi totalità della popolazione e dicui sono le donne le prime a farne le spese. Sotto questoaspetto, il problema principale che colpisce la donna africa-na è quello delle malattie e delle complicazioni da parto che,molto spesso le porta alla morte. Una recente ricerca haaccertato che ogni anno circa 175.000 donne africane muo-iono durante il parto o per problemi ad esso connessi. Lecause di tale situazione sono varie ma le più importantivanno attribuite alla fatica del lavoro ed alla denutrizione.Molte donne giungono al parto senza essere in grado disostenerlo fisicamente. A tutto ciò si aggiunge la malaria,che è endemica in gran parte del continente, e che provo-cando, tra l’altro, forti anemie, accentua i rischi connessi alparto. Per non parlare dell’ulteriore impatto che certe cre-denze popolari possono avere sulla loro salute: una delle piùdiffuse, tanto da esser contrastata con manifesti pubblici delgoverno, è la credenza che un malato di AIDS possa guarireavendo rapporti con una ragazza vergine. La mutilazionegenitale (praticata ogni anno su circa 2 milioni di donne), ladiscriminazione sul posto di lavoro (mediamente le donneafricane guadagnano il 78% in meno del salario di un uomoche svolge lo stesso lavoro) e la esclusione quasi sistemati-ca dall’accesso alla istruzione, sono le altre piaghe piùcomuni. Per quest’ultimo aspetto, nel continente africano, ildivario tra uomini e donne è ancora molto ampio e, anche senegli ultimi anni la tendenza è verso un graduale annulla-mento di tale distanza, il tasso di analfabetismo delle donneresta ancora maggiore rispetto agli uomini. Naturalmentetale disparità aumenta con il livello di istruzione tanto che,nell’Africa sub-sahariana, la frequenza scolastica femminiletra i 10 ed i 14 anni è pari all’80% di quella maschile men-tre all’età di 18 anni tale percentuale scende a meno del40%. All’università il rapporto scende sotto il 10%.Ovviamente il poco spazio concessomi in questa rubrica e lacomplessità dell’argomento, non possono aggiungere alcun-chè a quanto si è già detto, scritto e studiato sull’argomen-to. Concludo, quindi, affermando che dietro l’apparentedebolezza della figura femminile africana si nasconde unaforza e determinazione che non ha eguali. A piccoli passiessa avanza verso una maggiore democrazia e partecipazio-ne, consapevole della propria forza, dignità e orgogliosa delproprio essere donna, determinata nel far sentire la propriavoce per rivendicare il posto che gli compete nella costruzio-ne di un nuovo paese. Dare più potere alle donne africane,quindi, significa avere più possibilità di pace, democrazia esperanza in un mondo migliore. Un proverbio del Mali, inpoche parole, racchiude tutto ciò: “Se vuoi raccogliere traqualche mese, semina del miglio; se vuoi raccogliere traqualche anno, pianta degli alberi ma se vuoi raccogliereall’infinito, istruisci una donna”.

L’ANGOLO DELLA CUCINAKAKRO (Bignè di banane)

(Ghana)

750 gr. di banane plantain benmature - 5/6 grani di pepe - 100 gr. difarina - 1 cipolla

1 pizzico di paprika in polvere1 cucchiaino di zenzerosale e pepe-olio di oliva

Versate la farina in una pentola.Ate schiacciate bene le bananee aggiungete lo zenzero, i grani

di pepe sbriciolati, la cipolla, lapaprika, il sale ed il pepe. Unitela farina ed amalgamate il tuttocon acqua tiepida fino ad otte-nere un impasto morbido macompatto. Riempite una padellacon olio per friggere e scaldate-lo bene. Formate con l’impastodelle palline e friggetele nell’oliobollente fino a che non raggiun-gono un colore dorato. Scolatele e servitele ben caldecon spicchi di limone fresco ocon una salsa piccante.

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SANTA CHIARA:UNA DONNA ESEMPLARE

Cesare Catarinozzi

Santa Chiara d’Assisi, per umiltà, amavadefinirsi “la pianticella di San Francesco”,ma in realtà fu ella stessa, con la sua fortepersonalità, ad imprimere molte caratteri-stiche del movimento religioso, che fudetto appunto “francescano-clariano”. Una volta lo stesso S. Francesco, che vole-va sapere se Dio chiedesse da lui soltantola meditazione o anche la predicazione, lasupplicò di pregare lei il Signore per avereuna risposta. Santa Chiara gli indicò la via della predicazione, dadiscepola divenne maestra. Ma l’intera sua esistenza manifestala ricchezza interiore che ella possiede.Appartenente ad un’alta classe sociale, dimostra forza d’animonelle sue scelte radicali che la inducono a sfuggire il matrimoniopredisposto dalla famiglia di origine, per seguire il desiderio didedicare la vita a Dio. La notte del 28 marzo 1211 (è la sera delladomenica delle Palme: Chiara ha solo 18 anni), stando alle testi-monianze del processo di canonizzazione, fugge da una portasecondaria della casa paterna, situata nei pressi della cattedra-le di Assisi, San Rufino. Subito raggiunge Francesco d’Assisi e iprimi frati minori presso la chiesetta di Santa Maria degli Angeli,già da allora comunemente detta la Porziuncola, dipendente dalmonastero di San Benedetto al Subasio. A sottolineare la suacondizione di penitente, Francesco le taglia i capelli, le dà unatunica e la fa entrare nel monastero benedettino di San Paolodelle Badesse presso Bastia Umbra a 4 chilometri da Assisi, perpoi cercarle ricovero presso un altro monastero benedettino allependici del monte Subasio: Sant’Angelo di Panzo. Qui, al riparodalle ire familiari, viene presto raggiunta dalla sorella Agnese.Infine Chiara prese dimora nel piccolo fabbricato annesso allachiesa di San Damiano, che era stata restaurata da Francesco,sotto le dipendenze del vescovo Guido. Qui Chiara fu raggiuntadall’altra sorella Beatrice e dalla madre Ortolana, oltre a gruppidi ragazze e donne, e presto furono una cinquantina. Qui tra-scorre quarantadue anni di cui ventinove cadenzati dalla malat-tia. Affascinata dalla predicazione e dall’esempio diFrancesco,Chiara volle dare vita a una famiglia di claustralipovere, immerse nella preghiera per sé e per gli altri. Chiamatepopolarmente “Damianite” e da Francesco “Povere Dame”,saranno poi per sempre note come “Clarisse”.Ottenne daFrancesco una prima regola fondata sulla povertà. Il carismadella donna si manifesta entro le mura del monastero in contem-plazione e preghiera, seguendo in parte il modello benedettinoda cui si differenzia per la ferma e coraggiosa difesa della pover-tà. Questo è il tema centrale della sua esperienza mistica, lasequela Cristi, da cui Chiara non vuole essere dispensata nem-meno dal Papa (il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia e protetto-re dei Minori, le diede una nuova regola che attenuava la pover-tà, ma lei non accettò sconti: così Ugolino, diventato papaGregorio IX (1227-1241) le concesse il privilegio della povertà),poi confermato da Innocenzo IV con una solenne bolla del 1253,presentata a Chiara pochi giorni prima della morte. Solo abban-donando i beni materiali e affidandosi a Dio, Chiara si sente libe-ra di percorrere il suo cammino religioso. E’ questo l’argomentoprincipale su cui vertono i rari scritti, da cui emerge una donnadecisa e fiduciosa (quattro lettere ad Agnese di Boemia, figliadel re Ottokar e la Regola, e altri scritti di cui non si ha certezzadi autenticità) che non aiutano però a ricostruirne la figura sto-rica. Soltanto dopo la sua morte, una Leggenda scritta daTommaso da Celano ne narra la vita scandita dal silenzio, dallapreghiera, dalla ricerca continua di “altissima povertà”. Vollesempre essere umilmente al servizio delle consorelle; non dirado baciava i piedi delle “servigiali” (le suore che svolgevanomansioni esterne al convento), preferendo, nei limiti del possi-bile, ubbidire piuttosto che comandare. Una volta si accostò aduna servigiale per baciarle i piedi, ma quella, volendo rispar-miarle una simile umiliazione, cercò di scansarsi e senza volerlole diede un calcio in faccia. Chiara abbracciò e baciò quel piedeche l’aveva colpita in pieno viso. Passò la seconda metà dellavita quasi sempre a letto perché ammalata, pur partecipandosovente ai Divini uffici. Portando l’Eucaristia sull’ostensorio,avrebbe salvato, secondo la tradizione religiosa, il convento daun attacco di Saraceni nel 1240.Morì a San Damiano, fuori lemura di Assisi, l’11 agosto del 1253, a sessant’anni. A soli dueanni dalla morte, Papa Alessandro IV la proclamò Santa. Io sonofrancescano secolare e trovo in Santa Chiara, non meno che inSan Francesco, un modello da imitare.

UNA RAGAZZANORMALEMaria Rossi

Chiara, una ragazzanormale. Due grandiocchi scuri, vivacissi-ma, piena di vogliad’imparare. Arrivò altriennio del liceoscientifico con il trau-ma di una bocciaturaalle spalle: al biennio, si era fermata per “colpa” dellematerie letterarie. Qualche anno fa; forse aveva stu-diato poco, forse doveva maturare, forse i professorierano stati molto severi. A volte capita. Al trienniovenne fuori alla grande, in italiano e in latino, in ingle-se, nella storia e filosofia, dove avevo allora come col-lega (e la ricordo con un po’ di rimpianto) una donna– appunto – molto in gamba, preparata, che amavainsegnare e sapeva trasmettere il piacere della cultu-ra. Chiara si entusiasmò, si appassionò, maturò. Uscìcon un bel voto all’esame di stato. Voleva fare teatro,aveva già fatto esperienza nel Laboratorio teatrale delliceo, si iscrisse alla Facoltà di lettere dallo scientifico.Succede anche questo, come ottimi ingegneri, mate-matici e fisici escono ancora oggi dal liceo classico. Civeniva a trovare, felice ed entusiasta, gli occhi le bril-lavano.Una ragazza normale, una bella ragazza piena di pro-getti e di sogni per la vita, ed è morta in una settima-na in una luminosa giornata di giugno.Avvenimenti di questo tipo pongono a noi adulti tantiinterrogativi perché ci sembrano contro natura, con-trari al “progetto” di Dio. Fin dall’antichità i poetihanno cantato il “fiore reciso” troppo presto; tuttiricordiamo la Silvia di Leopardi, o l’amico di giochi diPascoli “eppur felice te, che al vento non vedesti caderche gli aquiloni” (L’aquilone). E’ un privilegio, sosteneva Seneca, nel consolareMarcia per la perdita del figlio, un’ingiustizia pensia-mo noi spesso, sarebbe meglio dire che questo era ilprogetto di Dio per loro. Quanti ragazzi, che ho avutoin classe in tanti anni, oggi non ci sono più; per malat-tie fulminanti, per lunghi calvari, per incidenti strada-li di cui sono stati vittime o colpevoli. Ragazzi che,magari, hanno pianto per un insuccesso scolastico osportivo, per un amore finito e poco dopo erano vola-ti via.Per questo oggi ho pensato di scrivere di Chiara, per-ché lei insieme a Giulia, Raffaele, Alessandro, Gabrielee Sofia e tanti altri, mi sono ancora vicini e nel cuoreogni volta che entro in una classe. Oggi sarebbero rea-lizzati nel lavoro, come professionisti, avrebbero fami-glia e figli, ma hanno il privilegio di restare sempreragazzi nei nostri cuori e nel ricordo. Ragazzi belli enormali, pieni di sogni. Ogni anno nelle scuole l’8 marzo le ragazze portanomimose e le regalano alle insegnanti; è ormai uno ste-reotipo, una tradizione, un rituale. Ci sono state, e cisono, donne straordinarie e geniali, sante e peccatri-ci, scienziate e scrittrici, artiste, medici e matematici,premi Nobel e oscure suore di clausura o missionarie.I nomi sono tantissimi. E tanti sono stati ugualmentegli uomini straordinari. Non per le opportunità diverse(che – è vero- nei secoli, nelle culture, nelle religionila storia ha dato loro più che alle donne) ma per laVita in assoluto, che è straordinaria.Anche la vita breve di un ragazzo o di una ragazzanormale, che hanno lasciato solo il ricordo di un sor-riso e di uno scintillio nello sguardo, è meravigliosa.Forse filosofi e poeti avevano ragione: per certi versimorire da giovani è un privilegio; non hanno conosciu-to amarezze, delusioni, abbandoni, non sono statidepressi, arrabbiati con il mondo e i propri simili, nonhanno provato noia e sofferenza.E ora ci sorridono e ci aspettano lassù, nella luce enella pace: ragazzi e ragazze normali. Perché, e diquesto sono certa, nella vita non serve realizzare coseeccezionali ma solo ringraziare di averla, viverla sere-namente e saper sorridere.

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UNA CATECHISTA RACCONTA Eugenia Rugolo

Soltanto qualche settimama fa nell’ora di catechismoMatteo mi chiese: Dimmi, che cos’è un prete? Al momentofui colta di sorpresa, poi mitornò in mente la letterapastorale del nostro Parroco ela Sua citazione sul curatod’Ars e risposi: ”Un prete ègrande grande nell’amore.Dopo Dio è l’uomo più impor-tante sulla terra. “Se soltanto noi riuscissimo acapire la grandezza del donoaffidato a una creatura umana;pronuncia due parole e nostroSignore scende dal cielo allaSua voce e si racchiude in unapiccola ostia. Nell’incontroprecedente di catechismo,avevo parlato loro dell’impor-tanza dei Sacramenti nellanostra vita, e così potei aaggiungere: tolto il Sacramentodell’Ordine noi, non avremmo il Signore. Pensateci. Chi hariposto Gesu’ nel tabernacolo in Chiesa? Il Sacedote. E chi ha accolto la vostra anima al primo entrare nella vita?Il Sacerdote. Chi nutre questa vita per darle la forza e com-piere il suo pellegrinaggio? Il Sacerdote. Chi la prepara acomparire innanzi a Dio, lavandola per l’ultima volta inGesu’ Cristo? Il Sacerdote, sempre il Sacerdote. E se poi quest’anima viene a morire per il peccato chi larisusciterà, chi le renderà la calma e la pace? Ancora ilSacerdote. Vedete, senza il prete la morte e la Resurrezionedi nostro Signore non servirebbe a niente, perchè è il preteche continua l’opera di redenzione sulla terra.Bisognerebbe che essi comprendessero, in quanto preti,consapevoli di essere un dono immenso per la propriagente. Un Buon Pastore, secondo il cuore di Dio, è il piùgrande tesoro che il Buon Gesu’ possa accordare ad unaparrocchia, ed è uno dei doni più preziosi dellaMisweericordia Divina. Credo che per iniziare bene la pro-pria missione un Parroco deve pregare con tutte le sueenergie per la conversione della sua parrocchia, ponendo incima ad ogni pensiero la formazione cristiana del popolo aLui affidato. Quanto alla vita sacerdotale direi che è essenziale per unsacerdote il tempo che si riservi per la preghiera, pregareanche per gli altri. Questo è proprio del Pastore: che sia unuomo di preghiera , che stia dinnanzi al Signore, sostituen-do anche gli altri, che forse non sanno pregare, non voglio-no pregare, non trovano il termpo di pregare. Queste mieaffermazioni possono apparire eccessive, in esse tuttavia sirivela l’altissima considerazione per il servizio del sacerdo-zio. Certo se comprendessimo anche noi che cos’è un pretesulla terra, moriremmo: non di spavento, ma di amore.

Devo dire che Matteo sembrava soddisfatto, quandoVirginia e Andrea incalzarono domandando: “Perchè il pretenon si può sposare?” Feci un lungo respiro e con la mente chiesi aiuto alloSpiritoSanto: “Signore, io la voce e Tu la Parola”, poi dissiloro: “Sappiate che il Sacerdote è una generosa e gioiosadonazione di se stesso, che lo rende libero dalla sollecitudi-ne personale per la famiglia, per potersi dedicare con tuttoil cuore alla Sua missione pastorale. Essi sono uomini scel-ti da Dio per essere il sale della terra e la luce del mondo.”Personalmente penso che il celibato sacerdotale(così sichiama), è una questione di coscienza, è abbracciato e scel-to per sempre da coloro che si preparano al sacerdoziodopo avere raggiunto la piena convinzione che si tratti di unDono concesso dal Signore a se, un Dono delle Spirito, peridentificarsi meglio con Lui e per servire la Chiesa e il pros-simo. Credo però, che non basti la comprensione e il desi-derio di essere casti ci vuole il paziente lavoro di dominarele passioni, esposte alle tentazioni. Tale dominio richiedeper tutta la vita la vigilanza costante e la perseveranzanella preghiera: da una parte , bisogna evitare gli stimoliche provocano le reazioni delle passioni; Se però, si lasciaandare agli affetti e innamoramenti, non sarà capace dimaturare, nel proprio amore intenso, esclusivo per Cristo.La natura ha le proprie leggi che bisogna saper riconosceree rispettare: in tal caso il buon senso è essenziale. Riconoscere però, che esistono le tentazioni non significa lachiusura in una torre d’avorio. La maturazione della perso-nalità non consiste in una repressione, ma è frutto di unlavoro positivo, aperto e gioioso in funzione dell’amore. Il Sacerdote è chiamato ad amare più intensamente e piùpersone, proprio grazie alla Sua consacrazione alla vergi-

nità. Così facendo esso aderisce più facilmente a Dio con uncuore non diviso, si dedica più liberamente al servizio di Dioe degli uomini. Perciò chi segue la propria vocazione sacer-dotale e, nella preghiera, e nella vera umiltà, rende servizioall’umanità, annuncia il Vangelo e vive la propria missionenella piena realizzazione di se stesso e potrà difendersi daqueste minacce con lo sgardo rivolto al Regno dei Cieli. Il Sacerdote nella Chiesa di rito latino è chiamato a offrireil Suo corpo, tutto se stesso per l’azione salvifica di Dio.Tuttavia, sottolineo, che senza Fede non è possibile com-prendere la natura e l’efficacia del celibato sacerdotale,così come senza Fede non risulta comprensibile lo stessosacerdozio. Ecco perchè tutto questo per molti è ancoraoggetto di continue discussioni o di dibattiti. Per la Chiesa no, non è così. Essa ha sempre ribadito, anchedopo il Concilio Vaticano secondo, la validità dei principi edelle ragioni su cui si fonda il calibato sacerdotale. A noi cri-stiani non resta che dire il nostro Amen.Risultato dell’incontro inatteso: buono, a testimonianza deiloro visi e dei loro occhi attenti. A tal punto che mi piacepensare che da grande forse qualcuno di loro diventerà.......Ah dimenticavo..... e i difetti dei Sacerdoti?.: pochi, pochis-simi, essi scompaiano dinnanzi a tali grandezze e fattezze.Il Giudizio lasciamolo a Dio— Unico Giudice Giusto—, perchècome dice il Signore: “A chi più ha dato, più sarà richiesto”.

UNA VOLONTARIARACCONTAElena Scurpa

Non avrei mai immaginatoche al termine della miafatica scolastica e cioè dopo36 anni di insegnamentonella scuola media, mi sareitrovata a prestare servizionell’Associazione Volontaridell’ospedale Gemelli. A volte mi chiedo quali siano state le motivazioni che mihanno spinto a svolgere questa attività e cerco le risposte.Sicuramente la principale è stata la mia esigenza a noninterrompere i rapporti umani con il prossimo, rapporti cheavevo coltivato con buoni risultati per tanti anni nella scuo-la e che avrei potuto ancora sfruttare, mettendomi al servi-zio di fratelli sofferenti, stimolata anche da una profonda

riconoscenza a Dio per gli innumerevoli doni ricevuti in ogniattività da me intrapresa. Perché quindi non mettere adisposizione dei malati le mie modeste capacità di assisten-za, dopo l’esperienza acquisita durante i 15 anni dellamalattia di mia madre? Perché non soddisfare il mio innatobisogno di espandermi, di dare quanto era nelle mie possi-bilità, praticando la carità disinteressata, vissuta in Cristocuratore e servitore dei sofferenti? Dopo aver speso lemigliori energie in un’altra attività altrettanto nobile, avreisicuramente sperimentato la validità dell’affermazione che“la vita comincia quando ti metti al servizio degli altri”. Ebbene, dopo svariati anni di impiego in questo servizio,non posso fare a meno di esprimere tutta la mia personalesoddisfazione per i benefici che ne ho ricevuto, sperimen-tando in pieno quanto siano vere le parole di San Paolo che“si ha più gioia nel dare che nel ricevere”. Infatti espressioni come “Il Signore ti benedica per il con-forto che mi hai arrecato, possa tu realizzare tutto quelloche desideri”, sono un valido sostegno ad affrontare la gior-nata serenamente con la consapevolezza che, anche inmisura minima, si è rivolto il pensiero a Dio, ravvisato sulvolto dei fratelli sofferenti.

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IL DIARIO DI GIORGIAGiorgia Pergolini

Caro diario,

mi capita sempre di notare che nei libri distoria raramente vengono menzionatinomi di donne, eppure di donne famosenella storia ce ne sono! Se dobbiamolimitarci allo studio nel libro di testo iprofessori si accontentano dei solitiquattro nomi di re o generali. Invece, perapprofondire davvero un evento e trova-re una qualche donna in particolare chene fu protagonista, dobbiamo spessopassare le ore intere su internet. Nella storia italiana si inizia a par-lare seriamente di noi donne solo dal 31 gennaio 1945, quando ildiritto di voto venne esteso anche a noi, ma quello che molti nonsanno è che anche prima del diritto al voto c’erano le donne e chehanno sempre fatto grandi cose che spesso sottovalutiamo.Recentemente nel mio liceo c’è stata una conferenza tenuta da unastudiosa del periodo mazziniano. La mia classe ha partecipato ed èstata una conferenza davvero molto interessante. La nostra ospite ciha parlato della vita di una donna mazziniana che ha fatto grandicose in quel periodo: Cristina Trivulzio di Belgioioso.Mi è rimasta particolarmente impressa la sua vita perchè, nonostan-te venisse da una casata nobile, è riuscita a dire la sua, a scappare ea fare quello che più desiderava, ossia lottare per l’unità d’Italia. Ovviamente fare una cosa del genere a quei tempi comportava unvero e proprio scandalo! Immagina, caro diario, una nobile che dipunto in bianco lascia tutte le sue richezze, rifiuta di sposare l’uomoa cui era destinata fin da piccola, fugge di casa per frequentare isalotti liberali mazziniani e finanzia il movimento insurrezionalemodenese di Menotti. Le sue idee “moderne” sono in netto contrasto con quella parte ari-stocratica che ha caratterizzato per vent’anni la sua vita ma, nono-stante questo, non è sola, ha ancora molte conoscenze importanti,tra cui la mamma di Alessandro Manzoni. Pensa, caro diario, che quando Cristina volle vedere la madre diManzoni ormai morente lui glielo impedì dicendo che non voleva chesua madre fosse amica di una tale donna “ribelle”. Nel 1844 finanzia la nascita della Gazzetta Italiana però subitosequestrata dalla Polizia. Allo scoppio della rivolta delle 5 giornateCristina ritorna a Milano accompagnata dai patrioti napoletani e quisi dedica al giornalismo con un altro foglio “Il Crociato”. Dopo la sconfitta di Novara si reca a Roma con Mazzini, pur non con-dividendone l’avventurismo insurrezionale sempre fallimentare. Leistessa aveva cercato di mediare con Carlo Alberto un avvicinamentofra i due. Il 20 aprile 1849 le viene dato l’incarico di formare uncomitato di soccorso ai feriti e viene nominarta direttrice delle ambu-lanze. Dato che il corpo medico non era dei migliori e soprattutto eracarente di personale, Cristina decide di chiedere aiuto a delle prosti-tute. Questo suo atto da un lato fece aumentare la sua già cattivareputazione ma dall’altro, aumentando il corpo medico, salvò la vitaa molti feriti in seguito alla guerra. La cosa che mi è rimasta piùimpressa è che Cristina non curò solo i feriti mazziniani ma anchequelli francesi. Non le importava chi fossero i pazienti, se fosserosuoi amici o acerrimi nemici, lei li curava lo stesso senza pregiudizi.Ovviamente, come ho già scritto, l’assunzione di prostitute comeaiuto-infermiere creò un forte scandalo tant’è che Papa Pio IX lescrisse una lettera accusandola di essere una “sfacciata meretrice”.La Belgioioso replicherà: «Non sosterrò che tra la moltitudine didonne che, durante il maggio e giugno del 1849, si dedicarono allacura dei feriti non ve ne fosse neppure una di costumi irreprensibili:Vostra Santità si degnerà sicuramente di considerare che non dispo-nevo della Polizia Sacerdotale per indagare nei segreti delle lorofamiglie, o meglio ancora dei loro cuori. Tuttavia di una sola cosa sipoteva essere certi, che esse erano state per giorni e giorni al capez-zale dei feriti; non si ritraevano davanti alle fatiche più estenuanti,né agli spettacoli o alle funzioni più ripugnanti, né dinnanzi al peri-colo, dato che gli ospedali erano bersaglio [proprio per continuo cri-minale incitamento papale, ndr] delle bombe francesi». Quindi, carodiario, prova a immaginare una donna nobile, ricca e colta che lasciatutto per andare in guerra sostenendo il movimento patriottico libe-rale, in più si offre volontaria per curare i feriti di entrambe le spon-de e, come se non bastasse, si “permette” di scrivere una lettera alPapa rivolgendosi in quel modo schietto e non proprio adatto a unadonna del suo rango. Pensa che coraggio! Per me questa è una cosada ammirare: il coraggio di una donna, nonostante i tempi duri e rigi-di, di dire quello che pensa. Oggi studiamo che nel 1848 il re CarloAlberto utilizzò per la prima volta la bandiera italiana con al centrolo stemma della corona Sabauda. Sai, caro diario, chi è stata a rica-mare quella bandiera? Proprio Cristina Trivulzio di Belgioioso.

LA “NONNA”Paola Giorgetti

Io e i miei numerosi fratelli la chiamavamo così,ma in effetti era soltanto la sorella della nostranonna materna che non avevamo conosciuto per-ché morta prima delle nostre nascite. Si chiamava Elide ed era una vecchietta dolcissi-ma con gli occhi cerulei e i capelli grigi raccolti inuna “crocchia”. Di statura non molto alta, era pur-troppo claudicante in quanto la sua gamba destra,in gioventù, aveva subìto un incidente in seguitoal quale il ginocchio le era rimasto bloccato. Non si era sposata e, non avendo figli, aveva “affi-liato” sentimentalmente tanto nostra madre, cheaveva il suo stesso nome, quanto una nostra zia.Naturalmente tutto ciò la portò ad amare moltis-simo anche noi. Eravamo i suoi nipotini diletti ericordo che prendeva sempre le nostre difese con-tro chiunque ci rimproverasse. Un po’ ci viziava: non ci diceva mai di no. Quando veniva a trovarci a Rifredi, alla periferia diFirenze, dove abitavamo prima del 1940, la rico-noscevamo da lontano dal suo modo di cammina-re, con quella sua gamba diritta, e dalla sua bor-setta immancabilmente scaturiva un pacchetto didolci ghiottonerie. Per noi era una festa perchécerte cose allora non si mangiavano abitualmente.Si tratteneva a raccontarci fiabe, a giocare e,quando rimaneva a pranzo, se uno di noi eramalato, lei non stava a tavola, ma prendeva il suopiatto e mangiava in compagnia del piccolo infer-mo. Rammento che, nelle sue visite, la nonnaElide ci ripeteva tante belle piccole filastrocche(anche suoi ricordi di gioventù), quelle che,penso, venivano “snocciolate” dagli adulti ai bam-bini quando venivano pregati di raccontar lorouna novella, ma ci venivano insegnate anche peresercitare la memoria. Normalmente viveva conun cugino, l’austero e burbero signor Tertullianoche possedeva un appartamento in piazza SanGiovanni, proprio di fronte al Battistero. Lei aveva però anche un piccolo “pied a terre” inuna delle vie della vecchia Firenze, e ogni tanto visoggiornava, forse (penso io) per avere un po’ dilibertà e “sganciarsi” dalla compagnia del “carocugino”. Io e mia sorella maggiore qualche volta l’accom-pagnavamo quando vi si recava, magari per anda-re a prendere qualche oggetto che le serviva e chelì si trovava. Aveva in affitto una cameretta conuso di cucina ma il resto dell’appartamento eraquasi sempre vuoto. Rivedo questo piccolo localearredato con un semplice letto di ferro (comeusava allora) discretamente decorato, un armadiodi noce scuro e un bel cassettone, col ripiano dimarmo grigio e un grande specchio nonché alcunicassetti contenenti il suo corredo, il primo deiquali era colmo di tutto un po’: vecchi ricordi,bigiotteria, ammennicoli vari, foto, roba religiosa,ecc. Oggetti che sarebbero stati, ad averlo saputoprima, molto interessanti per le mie collezioni, edanche i mobili erano veri pezzi di antiquariato. Maquello, invece, che attirava di più, allora, la miaattenzione era un piccolo vecchio armadietto dilegno laccato bianco, che, veramente, non avevaniente a che vedere con il resto dell’arredamentoe che conteneva utensili che evidentemente leoccorrevano quando aveva bisogno di servirsidella cucina e cioè: piatti, tazzine, bicchieri, vaset-ti di porcellana, magari scompagnati ma di buonafattura, posate, piccoli pentoli di alluminio, bric-chetti e qualche riserva alimentare. Sembrava unpiccolo armadietto da bambola. Naturalmente non vi mancavano delle belle scato-le metalliche litografate contenenti biscotti, cara-melle e altri dolcetti, trattenuti proprio per noi ericordo che li sgranocchiavamo affacciate allafinestra, anch’essa per noi una curiosità perchéera alta, senza terrazzino, ma con una ringhieradalla quale ci sporgevamo per ammirare un parcodove la “nonna” ci prometteva di condurci ungiorno, ma non lo ha mai fatto, perché andavamosempre di fretta…

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LA RAGAZZA DEL BATANGASMarco Di Tillo

Debbie oggi ha 39 anni. E’ nata in un villag-gio poverissimo del Batangas, una provin-cia delle Isole Filippine nell’isola di Luzon,un’area di circa tremila chilometri quadra-ti, con una popolazione di due milioni emezzo di anime. E’ seconda di sette figli. Suo padre facevail pescatore sul lago Taal e quando tornavadal lavoro lei ed i suo fratelli maggioridovevano andare a vendere il pesce almercato di zona. Ma spesso non c’era nes-sun pesce da vendere e Debbie doveva restare a casa a badare ai fra-telli più piccoli. La mattina andava a scuola ma non potè finire glistudi, anche se le piaceva moltissimo studiare, soprattutto l’inglese.A sedici anni la famiglia le trovò un lavoro in una fabbrica di scarpea Manila, tre ore e mezza di distanza da lì. Stava seduta tutto il gior-no a confezionare calzature.Non poteva alzarsi neanche per mangia-re. Consumava i pasti direttamente sul tavolo da lavoro. Quando compì 20 anni, nel marzo del 1991, una mattina i suoi geni-tori la svegliarono all’alba con una valigia già pronta. “Oggi vai a rag-giungere tua cugina Tassie in Europa. E comportati bene perché que-sto tuo viaggio è costato migliaia di dollari di debiti con i parenti !”le dissero e l’accompagnarono all’aereoporto. La staccarono a forzadall’abbraccio di sua madre, entrambe non avevano più lacrime daspendere perché sapevano che sarebbe passato moltissimo tempoprima di rivedersi. All’interno dell’aereo si trovò insieme ad un’altraventina di ragazze provenienti da tutte le regioni. Le guidava unostrano ceffo, comandandole a bacchetta. “Tu siediti lì e stai zitta.Cercate di dormire e non rompete le scatole. Il viaggio sarà lungo.”In effetti il viaggio fu molto lungo, non finiva mai. Ci fu anche unoscalo a Madrid, che strano nome per una città. Ma ancora più stranofu il nome dell’altra città, quella in cui atterrarono: Praga.L’organizzazione a cui furono affidate aveva previsto tutto nei mini-mi particolari. Un pulmino le venne a prendere direttamente sullapista e le accompagnò in una sottospecie di alberghetto di periferia.Restarono lì chiuse per una settimana intera, senza poter mettere ilnaso fuori. Nelle stanze faceva un freddo terribile e dovevano strin-gersi una all’altra per riscaldarsi un po’. Alla fine della settimana levenne a prendere il solito pulmino ed iniziò un altro viaggio, anchequesto lunghissimo. Debbie notò che mancavano alcune ragazzerispetto a quando erano arrivate, le gemelle Bessie e Marisa ad esem-pio non c’erano più. Erano le più carine di tutte e una notte le sem-brava di aver visto entrare alcuni uomini nella loro stanza. Il pulmi-no attraversò città, paesi e montagne ancora innevate. Loro poteva-no scendere solo per fare i bisogni, direttamente sulla strada o,quando andava bene, dietro ad un cespuglio. Dormivano e mangiava-no sul pulmino, senza mai potersi cambiare né lavare. Il viaggio duròtre giorni. La terza notte arrivarono sotto ad una grande montagna. Si trovava in Jugoslavia ma lei non lo sapeva. Un gruppo di uomini leaspettava. Erano tutti incappucciati ed armati fino ai denti. Faceva unfreddo incredibile e loro erano ancora vestite come nelle Filippine, inabiti leggeri di cotone. Ognuna trascinava una borsa pesante oppu-re aveva uno zaino sulle spalle. Iniziarono a camminare su per i pen-dii scoscesi, in fila indiana, in silenzio. Ogni tanto qualcuno dei loroaccompagnatori faceva segno di fermarsi e di non fiatare perchèc’era gente nei dintorni e non dovevano vederle. Camminarono perore. Allo spuntare del sole, finalmente, si trovarono dall’altraparte…in Italia ! Un nuovo pulmino le aspettava e nuovi accompa-gnatori. Salirono tutte a bordo. La prima città italiana che attraver-sarono si chiamava Trieste e poi, via via, tutte le altre…fino a quellapiù grande, Roma ! Sua cugina Tassie la aspettava alla StazioneTiburtina, il luogo dove il pulmino si fermò e tutte le ragazze sceseroverso la loro nuova vita. Oggi Debbie lavora ad ore in una delle nostre case, come tante sueconnazionali. E’ bravissima e cucina la pasta alla carbonara e l’ab-bacchio meglio di Vissani. Si è sposata ed ha un figlio nato in Italia eche frequenta le scuole della nostra Balduina. Ha fatto venire quitutti i suoi fratelli e anche la madre che ha lasciato con un po’ di fati-ca la sua casa nel Batangas. Probabilmente nessuno di loro torneràpiù a vivere nelle Filippine. I figli del figlio di Debbie cresceranno inItalia e saranno la terza generazione, quella che si integrerà definiti-vamente nel nostro tessuto sociale così com’è sempre stato in tutti ipaesi occidentali e com’è avvenuto anche per noi italiani quando,poverissimi, andavamo a cercarci una nuova vita negli Stati Uniti, nelsud America, in Australia. Ce ne sono tantissime di Debbie nel nostropaese. Hanno lasciato tutto ed hanno trovato noi. Ognuna di questedonne ha una storia diversa ma in fondo simile. Vengono da un paesecon un’altissima percentuale di cattolici, che ci ha dato tantissimisacerdoti e suore. Ognuna di queste donne crede fermamente nellaProvvidenza, la stessa Provvidenza che ha a cuore il destino dellagente di Fede, in ogni parte del mondo.

IO TIFODONNEGiulia

Bondolfi

Ho sempre amato le donne. Nonne, mamme, ami-che a volte nemiche e, un po’ più avanti nella miavita, anche le sante. Ma nel mio futuro c’eranosolo uomini: capi ufficio, fratelli, marito e tre figlimaschi.Poiché non credo nei casi penso che il buon Dio miabbia mandato un segno dal cielo: ”visto che conle donne vai bene, vedi di imparare a rapportartiora in avanti soprattutto con gli uomini.”E per me non è stata una cosa facile. Io con ledonne giocavo in casa, ho sempre avuto grandefacilità di dialogo, qualcosa che mi permetteva dicapirle dal primo sguardo. Sarà stata la scuolafemminile che ho frequentato fino alla fine delleelementari o il meraviglioso coro di sole donne chemi ha accompagnato fino ai miei vent’anni. Chissà!Credo che grande merito di questo mio smisuratoamore per le donne sia da attribuire prima fra tuttea mia nonna paterna, una donna all’avanguardiaper essere nata nel 1899 che ha sempre capito igiovani e quindi un po’ anche me a vent’anni. Ma il vero pezzo forte della mia passione per ledonne lo attribuisco quasi totalmente a miamadre: una donna degli anni Trenta con splendidiocchi verdi, bionda, sportiva, dinamica, bella den-tro, che per la sua vitalità e modernità ancora oggifarebbe invidia a tante ragazze.E a lei che devo la mia spinta a studiare, a render-mi autonoma e indipendente senza mai tralasciareperò il mio essere donna, moglie e madre. Nel corso del mio matrimonio, quando tendevo unpo’ a tralasciare i miei doveri familiari a favore dellavoro o del divertimento, lei c’è sempre stata: eralì dietro di me, pronta con dolcezza a ricordarmiche la mia prima realizzazione, l’avevo scelta ilgiorno in cui mi ero sposata. E anche se miamamma a tutt’oggi non si può proprio definireuna cristiana perfettamente osservante ( facciofatica a trascinarla a messa), credo che il suoesempio nell’essere prima moglie e poi madre misia stata di grande aiuto in tanti momenti del miomatrimonio.In questa prima fase dell’anno liturgico mi trovosempre di più a soffermarmi sulla figura di Marianostra madre e madre del Signore Dio nostro. Che meraviglia le sue parole all’Annunciodell’Arcangelo Gabriele” Eccomi, sono la serva delSignore, avvenga di me quello che hai detto». E più avanti quando Gesù dodicenne scompare aGerusalemme, il suo essere madre in manieradiscreta, probabilmente non capendo fino in fondocosa sta accadendo a suo figlio, ma affidandosisempre alla volontà di Dio. Chissà se noi donne delDuemila saremo minimamente capaci di avvicinar-ci a tanto amore per nostro Signore e aver tantorispetto per i nostri figli. Da quello che vedo in gironon mi sembra proprio. Noi donne moderne tutteindipendenti ed autonome dobbiamo fare moltastrada per emulare solo un pochino la santità diMaria. Ripensando a tutte le donne della mia vita enon solo nonne, mamme, sorelle, amiche, santefino ad arrivare a Maria, la donna per eccelenza, micapita di “innamorarmi” sempre di più del gene-re femminile che è capace di donare la vita e diconservarla a fronte di tanti sacrifici.Quindi Signore anche se hai messo sulla mia stra-da di adulta praticamente solo uomini, io continuoa fare il tifo per tutte le donne.

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CHE PALPITOVIENE

SE ASCOLTI LA PREDICA!

Mir iam Aie l lo

(Pensieri tratti dalleomelie di Don Paolo)

Una donna speciale:Maria Immacolata,

Madre di Dio, MadreNostra

Il Signore ci proteggecon la sua ombra, nonabbiamo bisogno sol-tanto della sua luce, maanche della sua ombra.La preghiera è passeg-giare fianco a fianco conil Signore. Anche noi,così come la Chiesa,possiamo diventaregrembo fecondo, sor-preso, stupito, allo stes-so modo dellaMadonna.

Maria sa aspettare…Niente è impossibile aDio! Maria è vaso ricol-mo della Grazia di Dio.

Anche noi possiamoessere pieni di grazia,

benedetti da Dio ebenedetti possonoessere i frutti delle

nostre opere, perché ilSignore è con noi!

Siamo felici perché Dio ciha scelti. Dio è con te,Dio è imprevedibile,Dio dà più di quanto

chiede, Dio è la miglio-re assicurazione sulla

vita e per di più gratui-ta!

Santa Madre di Dio

Il primo giorno dell’an-no è dedicato alla

Madonna

2010 Maria, Madredi Dio, prega per noi!La nostra vita si basa

su certezzeassolute:siamo bene-detti da Dio, siamoeredi di Dio, di una

magnifica eredità chenon si divide, ma simoltiplica; siamo

custodi del bene cheabbiamo ricevuto. Pernoi è possibile credere,

così come ha fattoMaria di fronte al

misterodell’Incarnazione.

2009 Maria custodi-va queste cose medi-tandole in cuor suo

Straordinario è custodi-re ciò che è ordinario,straordinario è custodi-re la memoria di Dio,

straordinario è serbare,trattenere, non dimen-ticare il bene ricevuto.

2008 Il tutto inun frammento

Cerchiamo di sintetiz-zare, di essenzializzarela nostra vita; la sintesi

è il contrario delladispersione, l’essenzia-le è ordine e certezza.La Madonna è per noi

esempio di vita.2007 Mater

misericordiaeMettiamoci sotto la

protezione dellaMadonna e saremo forti

nella fede, pazientinella speranza, perse-

veranti nella carità.Dio è pace, giustizia,

misericordia!2006 Percorrerò i

tuoi passiAuguriamoci di voler

bene a noi stessi.Abbandoniamoci a Dio,

anche nella nostradebolezza ed ogni voltaricominciamo con gioia,ottimismo, speranza.Maria, la Madre di

Dio, è con noi!

Le nozze di Cana

Non hanno più vino…

Immaginiamo Mariache strattona Gesù, èinfatti la Madonna chetira Gesù per la tunica,

anticipando l’ora deimiracoli.

Rivolgiamoci a Lei!

Quale vino mi manca?Il vino della gioia, ilvino della fiducia?

Che cosa bevo? La vitapuò “andare avanti”

anche senza vino, solocon l’acqua o altre

bevande, ma va avantistancamente, senzagioia. Quali sono i

miracoli che chiedo alSignore? Chiediamo

al Signore di colmare lemancanze dell’anima!Gesù è lo sposo fedelenella buona e nella cat-tiva sorte, nella gioia enel dolore, nella salutee nella malattia, è Coluiche non ci abbandone-rà mai, ma noi siamo

altrettanto fedeli?

Immaginiamo il ban-chetto delle nozze: noiin quale posto starem-mo? Tra i servi, tra i

testimoni, tra gli amicioppure sentiamo di

poter essere al postodella

sposa?Ricordiamoci chenell’anello nuziale Gesù

ha scritto il nostronome e la data del

nostro incontro con Lui!

FEDE E COLFAlessandra Angeli

Ogni tanto, girando per casa, ritrovo letteredi denuncia, mai terminate né spedite, sulladifficile situazione in cui vertono le famiglieitaliane circa il rapporto di lavoro domesti-co. Le colf, ora si chiamano così, sono dif-ficili da trovare e, per contro, hanno lacapacità di dissolversi all’istante da casatua. Se hai figli ancora piccoli, assisti ad un“fuggi fuggi” preventivo, nel senso che lepersone disponibili sono una rarità. Io misono spesso rivolta ai centri Caritas:“Come, tre bambini? Ah, signora mia! Nonho nessuno che accetti questo tipo di lavo-ro! “ E con bonaria commiserazione ti dico-no che tutte cercano occupazioni più sem-plici, persone anziane o case con genitoried un figlio solo. Col signor Vittorio, chesegue veramente bene il centro dellanostra parrocchia, tante volte ci domandia-mo sconsolati quante di queste personeabbiano veramente voglia di lavorare.Perché indubbiamente una famiglia di cin-que persone dà più da fare. Insomma, nonsiamo competitivi, anche perché la crisisociale della famiglia è una realtà, la natali-tà è bassa e quindi per i collaboratoridomestici non è più la normalità supporta-re la vita di nuclei familiari “numerosi”. Etalvolta sono anche giustificati visto chel’educazione dei ragazzini di oggi moltospesso lascia a desiderare. Perciò passanomesi prima di trovare la signora giusta,dopo innumerevoli telefonate e tam tam;appuntamenti a cui molte volte non si pre-senta nessuno senza il minimo preavviso;prove di qualche giorno che poi finisconoin fumo. Non ti puoi mettere in casa laprima persona che ti capita, specie se haidei bambini; una volta c’era il libretto dilavoro con i pregressi datori che fungeva-no da referenti. Ora sei costretto ad affidar-ti alle referenze che ti presenta la personadi turno e che spesso ti lasciano interdetta,perchè risalgono a due anni prima. Ti sfor-zi di capire chi hai veramente di fronte, cer-cando di decifrare discorsi in un italiano incorso di apprendimento. Ed una volta tro-vata, quanto tempo ancora passa perché siabbia una sufficiente affidabilità! Già aglialbori dei primi rapporti di lavoro mio mari-to ed io ci accorgemmo che ci stavamoaddentrando in una “giungla”: perciò deci-demmo di iscriverci all’Assindatcolf, un’as-sociazione che tutela i datori di lavoro for-nendo consulenza e svolgendo tutte le pra-tiche di legge. E fu una scelta che neglianni ha dato i suoi frutti, perché tra tutti iproblemi che le colf ci hanno procuratonon c’è mai stato un contenzioso. E’ un’oc-cupazione che va rispettata, remunerata eregolata al pari di tutte le altre, ma che pur-troppo ha un’enorme handicap: il preavvi-so del lavoratore è praticamente ridicolo. Afronte di un contratto di lavoro con tuttauna serie di obblighi e costi (che appesan-tiscono notevolmente il bilancio familiare),consta di soli 8 giorni. In molte realtà lavo-rative, con più personale pronto a tampo-nare, sono previsti mesi di preavviso; nellefamiglie, cellule base della società, l’unicosostegno può abbandonare il suo posto inun tempo talmente insignificante, che lostesso lavoratore spesso vi rinuncia, perun sovvenuto maggior interesse, andando-sene da un giorno all’altro. Ricordo Ligiache, guarda caso, poco dopo averle rinno-vato il permesso di soggiorno, mi comuni-cò che andava via perché era in arrivo ilfidanzato e avevano già trovato lavoro peruna coppia. E tu cosa fai? Come reggi gliimpegni di ogni tipo che hai preso e la rou-tine di vita quotidiana, familiare e lavorati-

va, quando la “spalla di casa”, nel pienodiritto conferitole dalla legge italiana, timolla in così breve tempo? Quanto sei“ricattabile”, quanto timore hai quandodevi riprenderla perchè ha svolto male ilsuo lavoro? Quante di noi abbozzano perpoter mandare avanti il “menage”? Se sitrattasse solamente di “fare le pulizie”,tutto sommato sarebbe sempre un proble-ma, ma meno grave. Quando hai bambininon è così facile sostituire una personacon un’altra, nonché colmare il loro dispia-cere per la sparizione della signora a cui sierano affezionati. Non avendo un lavorodipendente io mi sono sempre rimessa atempo pieno in casa, spesse volte ancheper l’insofferenza di vedermi circolareintorno altra gente. Ma poi non ce la face-vo, la vita è molto più complicata di untempo: bastava un piccolo imprevisto e gliequilibrismi con cui mio marito ed io regge-vamo il tutto venivano giù. Il lavoro, da cuicomunque non potevo completamente pre-scindere, chiaramente ne è stato danneg-giato: risorse umane, ricchezza italianaandata in fumo invece che in circolazione.Non tutti hanno i nonni sempre disponibili:tra una ritrovata gioventù, le distanze ed ildividersi tra più figli e nipoti, non ci si puòcontare a sufficienza. E quando loro stessihanno bisogno di assistenza si rimaneschiacciati tra due fronti. E poi ci si chiedeperché tante separazioni e così pochi figli;perché molti non mettono su famiglia, per-ché tanti giovani sono allo sbando: ancheper questi motivi. In buona parte tutto ciò èimputabile a noi donne che non dedichia-mo più tutte le energie alla famiglia: ma èanche vero che sempre più spesso lo si faper necessità, non più per scelta. Col pas-sar degli anni la mia esperienza in fatto dilavoro domestico si è affinata; il motto dicasa ormai è: “finchè dura siamo a galla”. Ifigli stanno crescendo, danno una mano esi accorgono loro stessi se in casa qualco-sa non va. Di pari passo con la mia conver-sione ho imparato a gestire il tutto alla lucedella fede: a portare pazienza, a riprenderecon amabilità, talvolta con una battuta; agratificare il lavoro ben fatto; ad usarecalma e fermezza quando è necessario,pregando prima perché la mia mente siailluminata; a farmi l’esame di coscienzaper evitare di essere troppo esigente o ditrovarmi in torto; a pregare per la signoradi turno e per quelle pregresse, condivi-dendo con loro Rosari e pellegrinaggi. Ho accettato mesi e mesi di “salti mortali”come penitenza, dicendoGli: “Va be’,aspetto il momento che tu vorrai per rien-trare nella normalità e, per favore, quandosarà, fammi trovare la persona giusta, tieniil male lontano da casa mia”. E non posso fare a meno di pensare a chista “nella stessa barca”, perché tanti geni-tori saranno stati più bravi e fortunati dinoi, ma tanti altri potranno raccontareesperienze simili alle nostre. E chi, ignaro,sta mettendo su famiglia ora? L’equivoco di fondo sta nel pensare che ilsostegno alla famiglia sia una mansione diserie “z”, quando di fatto ogni suo squili-brio si ripercuote negativamente sullasocietà. Non è necessario essere credentiper accorgersi che viviamo in un clima diforte decadenza un po’ in tutti i settori.Ma per chi lo è, anche questo genere di

problemi si trasforma in una croce, pur senon delle più pesanti, con cui alleviare losforzo di Colui che la croce l’ha portataveramente; da abbinare all’impegno, cheva al di là del dovere civico, di sforzarsi peril bene comune. Per questo voglio, in tempi migliori e conun briciolo di pazzia, terminare quelle lette-re e spedirle a chi di dovere, confidandonel Signore.

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RICORDANDO MIA MADREPietro Gregori

Parlare della propria genitrice quando la stessa è deceduta da ben settantot-to anni, non è un evento che capita facilmente, ma io sono purtroppo tra coloro chehanno avuto la sciagura di vivere una esperienza di questo genere in quanto rima-sto orfano a soli nove anni. Infatti una malattia del sistema linfatico se l’è portata viadopo oltre un anno di sofferenze, lasciando anche due figli di me più piccoli.

Il suo nome era Adele. Nativa di Bagnaia, un paese del viterbese, facevaparte di una famiglia piuttosto in vista, anche se non facoltosa, di quella località. Lasua nonna materna, Isabella Ojetti, era sorella dell’architetto Raffaele, a sua voltapadre del noto giornalista e scrittore, Ugo. La loro madre, Maria Boncompagni,discendeva nientemeno, secondo una mia tesi suffragata da un documento dialquanta rilevanza, dal papa Gregorio XIII, al secolo Ugo Boncompagni. Non moltoso della vita di mia madre anteriormente al matrimonio. Fu comunque lei a raccon-tarmi un episodio che costituisce una prova della sua sensibilità: accadde infatti ungiorno, che, trovandosi a scuola, una sua sorella fu punita dalla propria maestra, pernon so quale mancanza, mediante l’applicazione sulla faccia di una lingua posticciae fu obbligata in tali condizioni a fare il giro delle varie aule.

Inutile dire che mia madre a vedere l’umiliazione cui era stata sottoposta lasorella, scoppiò in un pianto dirotto, mentre l’altra, per nulla turbata, rideva... Mi haanche raccontato che, quando aveva 19 anni, partecipò ad uno spettacolo organiz-zato dalle suore che aveva per soggetto la vita di S. Agnese. Lei stessa interpretò ilpersonaggio della santa ed al momento del “martirio”, mentre un angelo interpreta-to da un’altra sua sorella stendeva su di lei un grande velo nero, molta fu la commo-zione degli altri suoi familiari, alcuni dei quali non seppero trattenere le lacrime.Qualche tempo prima del 1915 mia madre trovò un’occupazione presso le Poste diBagnaia dove tra l’altro imparò poi molto bene ad usare il telegrafo. Nei momenti dicalma, e credo che ce ne fossero parecchi, ella era solita sedere a ricamare fuori dellaporta dell’ufficio. Con una sua collega di cui era molto amica prese l’abitudine direcarsi, per diversi anni, a recitare il rosario -tutti i pomeriggi del mese di maggio-presso una cappelletta, la cosiddetta “Chiesola”, posizionata sullo spartiacque di unacollina a un buon chilometro di distanza dal paese. Il suo modo di parlare senza alcu-na inflessione dialettale non lasciava affatto trapelare le sue origini paesane, al con-trario di quanto invece avviene per molte signore della buona borghesia locale. Anzil’ho sentita più volte criticare, e piuttosto aspramente, il “vernacolo” di Bagnaia.Parlare del carattere dei miei genitori è per me una impresa molto ardua soprattut-to per la mia innata difficoltà ad esprimere certi concetti e a descrivere con proprie-tà un determinato tipo di sensazioni. Quello che comunque mi sentirei di affermareè di essere convinto che tra i due chi aveva un temperamento più forte e volitivo,seppure in qualche caso apprensivo, era senza meno mia madre, che fra l’altro simostrava in genere molto più dura ed esigente con noi bambini di quanto non lofosse, almeno finché lei è vissuta, mio padre. Certo, se, da una parte, la sua lungamalattia ha forse in qualche modo accentuato quella sua rigidità, la sua precocemorte mi ha per contro impedito di avere una conferma nel tempo di quanto mi sem-bra di poter asserire. Comunque i loro rapporti furono, per quanto mi è stato dato dicapire, sempre ottimi ed impostati alla migliore reciproca comprensione. Nei momen-ti felici, li ho sentiti talvolta canticchiare qualche canzone del loro tempo come adesempio quella, di cui non mi sovviene il titolo, che iniziava “Quando di maggio leciliege sono nere...”, oppure accennare a festose arie di operette, il che mi lascia sup-porre che debbono aver assistito a più di uno spettacolo del genere. Mi ha peraltrostupito, quando in seguito me ne resi conto, il ricordo di averli più volte sentiti ripe-tere alcuni motivi di “Turlupineide”, la celebre rivista che fece epoca nei primi annidel secolo scorso, in cui si prendevano in giro personaggi politici di quei tempi comeGiolitti e don Romolo Murri. Quanto alla religione, di fronte ad una fede intensa checaratterizzava mio padre, credo di poter dire che quella di mia madre risentiva lie-vemente dell’ambiente familiare piuttosto tiepido in cui era vissuta, anche se gli epi-sodi cui ho accennato potrebbero far credere il contrario. Mi piace ricordare al riguar-do che a noi bambini, da piccolissimi, per un motivo difficilmente spiegabile conpoche parole, faceva fare il segno della Croce sostituendo il nome di “Gesù”all’espressione “Così sia!”. Altre abitudini particolari e modi di dire? Posso accennare al fatto che mia madre erasolita dividere le persone del suo stesso sesso in due categorie: quelle che portava-no e quelle che non portavano il cappello, le prime delle quali non dovevano per leicompiere taluni atti che invece si potevano perdonare alle seconde.Come già detto, mia madre, da signorina, si applicava molto al ricamo, tanto che per-mangono ancora alcuni manufatti da lei confezionati o guarniti. Questa capacità lamise in pratica anche dopo il matrimonio. Ricordo infatti di averla vista ricamare invarie occasioni tende e tendine per finestre, fodere di cuscini, nonché alcuni vestiti-ni per noi bambini.Tra le varie pratiche che ci inculcò, ricordo che la sera, prima di coricarci, dovevamoandare a baciare la mano tanto a lei quanto a nostro padre, chiedendo la loro “santabenedizione”, che ci veniva concessa da entrambi con la sgrammaticata formula “Tibenedica Dio e la Madonnina”, spesso pronunciata a mezza bocca.Per quanto riguarda i miei rapporti con lei, debbo riferire che in più di una occasio-ne, prendendo spunto, credo, da miei supposti successi scolastici, la sentii pronun-ciare, con malcelato orgoglio ma con evidente convinzione, queste tre parole: “E’molto intelligente”. La cosa mi ha sempre lasciato piuttosto perplesso.

DONNE CRISTIANE IN IRAQRoberto Cavallo

In Iraq ogni donna non completamentecoperta dal hijab rischia di andareincontro all’ira degli estremisti, che nondisdegnano rapimenti, fustigazione. Le donne della minoranza cristianarisultano essere le più colpite. Non a caso l’agenzia di informazioneAsia News sul suo sito internet da spa-zio alla notizia secondo cui “Formazioniestremiste sunnite e sciite in Iraq sonoin lotta su tutto, ma su un aspetto sem-brano concordare: la persecuzione deicristiani”. Così raccontano alcuni fedelida Baghdad. Nella capitale circola unalettera, che intima alle donne cristianedi indossare il velo pena la segregazio-ne domestica. La firma è dell’Esercitodel Mahdi, la milizia di Moqtada al-Sadr,l’imam radicale sciita iracheno, che gliUsa considerano la più grande minacciaalla sicurezza del Paese. Finora era stato il gruppo sunnita dello“Stato islamico dell’Iraq” a siglare leazioni più violente contro la comunitàcristiana: dall’imposizione della jizya -la tassa di “compensazione” chiesta dalCorano ai sudditi non-musulmani - agliespropri di case e possedimenti, alleconversioni forzate all’islam…” Quindi non stupisce che quelle ragazze,considerate poco osservanti in base alloro abbigliamento, vengano rapite. In qualche caso il rapimento finisce inuno stupro di gruppo, e comunque sem-pre con insulti, botte e lividi. La polizia irachena non sempre ha leforze o la volontà di occuparsene. Le testimonianze sui rapimenti delleragazze di Baghdad avvenuti negli anniscorsi sono però vere e numerose; oltreche un business criminale costituisconouno strumento di islamizzazione, spe-cialmente se praticato nei confronti diragazze appartenenti alle minoranzecristiane. In un articolo pubblicato sullarivista “Io Donna” (cfr. “Il ratto diHasma”, di Andrea Nicastro, pagg. 143-144), leggiamo: “Si parla anche di trat-ta delle schiave, di vergini vendute agliharem che viaggiano a dorso di cam-mello nel deserto. Una sarebbe tornatadopo tre giorni, “intoccata” grazie alpagamento di un riscatto. Un’altra èscomparsa e non se ne sa più nulla”. Anche nel Kurdistan iracheno la condi-zione sociale delle donne lascia molto adesiderare, con aspetti talora racca-priccianti. Per sfuggire ad una vita fattadi matrimoni imposti e di schiavitùfamiliari molte ragazze kurde (si parladi centinaia ogni anno) si levano la vitadandosi fuoco.

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JANE CLACSON: UNA RAGAZZA AMERICANA

11/9/ 2001: Come ha potu-to Dio permet-

tere che avvenisseuna sciaguradel genere?

La risposta cheha dato Jane Clacson, ragazza orfana a causa della trage-dia delle Twin Towers, ad una Tv americana è estrema-mente profonda e intelligente ed è anche valida anche

per tutte le tragedie terrestri.

“Io credo che Dio sia profondamente rattristato da questo,proprio come lo siamo noi, ma per anni noi gli abbiamodetto di andarsene dalle nostre scuole, di andarsene dalnostro governo, di andarsene dalle nostre vite. Ed essen-do Lui quel gentiluomo che è, io credo che Egli con calmasi sia fatto da parte, anche se continua ad amarci, nono-stante tutto! Come possiamo sperare di notare che Dio cidona ogni giorno la Sua benedizione e la Sua protezione seGli diciamo: “lasciaci soli”? Considerando i recenti avveni-menti: attacchi terroristici, sparatorie nelle scuole... ecc.penso che tutto sia cominciato quando 15 anni fa MadelineMurray O’Hare ha ottenuto che non fosse più consentitaalcuna preghiera nelle nostre scuole americane e le abbia-mo detto OK. Poi qualcuno ha detto: “è meglio non legge-re la Bibbia nelle scuole” (la stessa Bibbia che dice, Tu nonucciderai, Tu non ruberai, ama il tuo prossimo come testesso) e noi gli abbiamo detto OK. Poi, il dottor BenjaminSpock ha detto che noi non dovremmo sculacciare i nostrifigli se si comportano male perché la loro personalitàviene deviata e potremmo arrecare danno alla loro auto-stima, e noi abbiamo detto “un esperto sa di cosa sta par-lando” e così abbiamo detto OK. Poi, qualcuno ha detto chesarebbe opportuno che gli insegnanti e i presidi non puni-scano i nostri figli quando si comportano male, e noiabbiamo detto OK. Poi alcuni politici hanno detto: “Non èimportante ciò che facciamo in privato purché facciamo ilnostro lavoro” e d’accordo con loro, noi abbiamo detto OK.Poi qualcuno ha detto: “Il presepe non deve offendere leminoranze”, così nel famoso museo Madame Tussaud diLondra al posto di Maria e Giuseppe hanno messo la Spicegirl Victoria e Beckham e noi abbiamo detto OK. Poi qual-cuno ha detto: “Stampiamo riviste con fotografie di donnenude e chiamiamo tutto ciò “salutare apprezzamento perla bellezza del corpo femminile””. E noi gli abbiamo dettoOK. Ora ci chiediamo come mai i nostri figli non hannocoscienza e non sanno distinguere ciò che è giusto da ciòche è sbagliato. Probabilmente, se ci pensiamo bene noiraccogliamo ciò che abbiamo seminato”. Buffo come èsemplice per la gente gettare Dio nell’immondizia e mera-vigliarsi perché il mondo stia andando alla rovina! Buffo ...come crediamo a quello che dicono i giornali, ma conte-stiamo ciò che dice la Bibbia. Buffo come tutti voglionoandare in Paradiso, ma al tempo stesso non vogliono cre-dere, pensare e fare niente di ciò che dice la Bibbia. Buffocome si mandino migliaia di barzellette che si propaganocome un incendio, ma quando si incomincia a mandaremessaggi che riguardano il Signore, le persone ci pensanodue volte a scambiarseli. Buffo come tutto ciò che è inde-cente, scabroso, volgare e osceno circoli liberamenteovunque mentre le discussioni pubblicate su Dio sianostate soppresse a scuola o sul posto di lavoro. Buffo come a Natale nelle scuole la recita per i genitori nonpossa più essere sulla natività ed al suo posto venga pro-posta una favola di Walt Disney. Buffo come si stia a casadal lavoro per una festività religiosa e non si conosca nem-meno quale sia la ricorrenza. Buffo come qualcuno possainfervorarsi tanto per Cristo la domenica, mentre è di fattoun cristiano invisibile durante il resto della settimana.Buffo che quando inoltri questo messaggio tu non ne diauna copia a molti di quelli che sono nella tua lista degliindirizzi perché non sei sicuro del loro credo o di cosa pen-seranno di te per il fatto di averglielo mandato. Buffocome posso essere più preoccupato di ciò che pensa lagente di me piuttosto che di ciò che Dio pensa di me. Lo disse un giorno anche Don Bosco ad un gruppo di semi-naristi di Roma...”

UNA DONNA: EDITH STEIN

Roberto Vecchione

Predisporre un articolo sulledonne in una visione cristia-na,sociale, etica e moralepuò costituire l’occasioneper pensare alla figura diEdith Stein, cioè di SantaTeresa Benedetta dellaCroce, nata il 12/10/1891 aBreslavia ed uccisa nellecamere a gas del campo diconcentramento di Auschwitz il 9/08/1942, canonizza-ta dal Papa Giovanni Paolo II l’11/10/1998 e nomi-nata compatrona d’Europa. Edith Stein s’interessò molto anche di questioniriguardanti le donne e nei suoi numerosi scritti analiz-zò la situazione femminile, con particolare riferimentoall’aspetto filosofico e a quello teologico. Nel primocaso la Stein affrontò il problema dell’alterità, cioè delrapporto fra la propia soggettività e quella altrui,tenendo conto delle tre dimensioni dell’essereumano:1) quella corporea, 2) quella della psiche,3)quella dello spirito.L’uomo e la donna sono uguali perchè entrambi esseriumani,ma diversi, oltre che nel corpo, nel loro rappor-to con l’anima e con lo spirito; nella specie femminilevi è unità e sviluppo armonico delle funzioni, in quellamaschile è presente generalmente una più accentuataelevazione delle singole energie. La Stein vuole dire che la donna per sua natura ha unaparticolare sensibilità a conoscere ogni oggetto nel suovalore specifico, l’uomo ha un innato impulso a cono-scere fino al punto di impossessarsi dell’oggetto cono-sciuto per adattarlo secondo i suoi desideri. Nel suo volume “La donna” la Stein affrontò ed analiz-zò il tema della vocazione, cioè della chiamata di Dio, lascoperta e l’individuazione della cosiddetta anima spi-rituale; la ragione dell’uomo può arrivare a capire quasitotalmente il significato della natura umana, ma le que-stioni ultime non possono essere risolte se non conl’ausilio della Rivelazione; la questione femminile puòessere compresa anche e soprattutto attraveso l’inter-pretazione delle Scritture; sotto il profilo teologicol’aspetto intellettuale, morale e religioso sono tuttideterminanti per comprendere l’essere umano nel suorapporto con Dio, che può essere solo di amore esecondo il dogma trinitario. Un funzionario che conobbe Edith Stein nei campi diconcentramento nazisti disse che durante una conver-sazione Lei sostenne che se anche il mondo è forma-to di opposti, alla fine nulla resterà di tali contrasti per-chè solo un amore grande resterà. Nei suoi scrittiEdith Stein ci fa comprendere come il reale nella suanatura ontologica non è che una successione dimomenti discendenti da Dio alle creature e dal creato aDio. Il dibattito filosofico fra chi sostiene l’antropocentri-smo (secondo cui l’universo è stato creato in funzionedell’uomo,che pertanto ne costituisce il centro) o inve-ce il teocentrismo (che pone Dio come centro e fine diogni pensiero e attività umana) è questione che puònon riguardare la mente dell’uomo, mentre è essen-ziale per il cristiano la grazia di Dio; per raggiungerlal’essere umano deve ipegnarsi nelle operebuone,senza aspettare la contropartita, deve essereutile a se stesso e agli altri, deve sentire la creazionecome un mezzo per approfondire il suo rapporto conDio e deve essere infine in grado di difendere la suaanima spirituale dal male esistente in se stessi e nellasocietà, sforzandosi di rimanere puro sempre e comun-que, soprattutto di fronte alle ingiustizie, ai soprusi,alle meschinità e alle idolatrie della vita quotidiana.

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REALTA’ AL FEMMINILESandro Morici

Questo numero di Arrivano i Nostri èdedicato alle “donne” o, come vorrem-mo interpretare, in omaggio “alla fem-minilità”. Sicuramente tante amiche edamici hanno messo per iscritto i loropunti di vista, dicendoci delle loro belleesperienze con nonne, mamme, mogli e(forse) suocere. Lascio a loro le oppor-tune confessioni sull’eterno femminino,magari in compagnia delle attuali“Donne di cuori” di Bruno Vespa, men-tre io, con un piccolo e azzardato saltodi fantasia, vorrei parlarvi di immagini femminili immateriali, di astrazio-ni concettuali, che però ci sono alquanto abituali.E tra questi soggetti di genere femminile vorrei soffermarmi, così a caso,su tre nomi-simbolo della nostra società: la casa, la famiglia, la Chiesa,tutti appunto di genere femminile.La casa è forse l’icona più cara della nostra esistenza, il centro dove ilvissuto ha trovato tenerezza, calore, affetto, ma anche condivisione didolore e qualvolta anche tristezza. La casa come luogo primordiale disolidarietà, perché da sempre lì si procrea e si crea la famiglia. La casacome bene primario, da conquistare appena si raggiunge la maturità el’indipendenza economica, ma anche da tutelare e da conservare, maga-ri a costo di pesanti sacrifici per pagare le rate del mutuo bancario o lerichieste esagerate di un idraulico poco onesto. Alla casa siamo attacca-ti, anche se oggi è fatta con tanti materiali e prodotti della più avanzatachimica industriale (in nome della cosiddetta eco-compatibilità….) e nonpiù con calce e mattoni, e non più arredata con grezzi mobili in legnomassiccio ma con qualche bel laminato “made in Sweden”. Ci piace cosìla casa, la riempiamo di oggetti di ogni genere e forma, mentre arredia-mo cucine con sofisticati robot e luccicanti attrezzi, ma poi….paradossal-mente, appena si può…si scappa per andare fuori”, magari in qualchelocalino dalle dubbie condizioni igieniche. Certo, la casa è e dovrebberestare simbolo di unione, anche se in circostanze spesso frequenti l’ar-monia si spezza e scoppiano le guerre coniugali, magari in presenza dibambini.E già, perché proprio a quei momenti di devastanti scossoni all’immagi-ne della parola “famiglia” va associata ineluttabilmente quella di vittimeinnocenti. Minori ai quali vengono inferte profonde ferite psicologiche eche nel migliore dei casi vengono di fatto allevati da nonni amorevoli, maspesso rattristati. Bambini e ragazzi confusi per eventi più grandi di loro,ai quali vengono meno certezze e trasmissione di valori. E qui si apre uncapitolo tanto controverso della nostra società, relativo all’emergenzaeducativa, che investe i rapporti intergenerazionali e che coinvolge l’isti-tuzione familiare in toto, anche dove si respira un’atmosfera apparente-mente pacifica. La famiglia oggi, nell’opulento e sonnacchioso Occidente,viene subdolamente distolta dai grandi compiti che la storia le ha asse-gnato: formare coscienze critiche e responsabili riguardo limiti e regole;indicare chiari criteri etici di distinzione tra il vero e il falso, tra il bene eil male; creare, sviluppare e trasferire un clima di autentico amore den-tro e fuori le mura domestiche. Quali potrebbero essere le possibilicause? Probabilmente l’eccesso di indifferenza o di ricerca effimera delnuovo, i diffusi stati depressivi, le autoaffermazioni esasperate. Eppureprenderne atto, reagire propositivamente, dare fiducia all’intelligenzaumana e alla sensibilità dei giovani, sono tutti elementi che fanno bensperare. E poi, siamo ancora convinti di parlare di “crisi della famiglia”? E se ci fosse una “crisi del divorzio”, con tutti i problemi affettivi, i disa-gi economici, le crisi di coscienza, le difficoltà nella gestione della quoti-dianità che esso comporta?L’uomo, in questo suo forsennato stato confusionale, che Ehrenberg defi-nisce “allarme da non sapere più chi è chi”, va forse in cerca di un po’ dipace nel cuore.E chi da oltre duemila anni ha parlato e continua a predicare pace e giu-stizia alle genti? E’ l’altra faccia della società, è l’umanità buona che siraccoglie in comunità nella Chiesa, con tutti i suoi titoli di “cattolica,apostolica, romana e Santa Madre”.E così il cerchio delle tre parole-simbolo si chiude. Si chiude nella realtàdi una Chiesa che apre tutti i giorni le porte delle sue parrocchie e dellesue strutture a grandi e a piccoli, a bisognosi e a malati. La Chiesa che va in giro per il mondo ad incontrare il prossimo attraver-so le opere propositive dei missionari, che organizza le Giornate Mondialidella Gioventù, che fa sentire la sua voce quotidiana con l’OsservatoreRomano ed Avvenire, che scrive in innumerevoli pubblicazioni , libri,encicliche e lettere pastorali, che parla ogni giorno a Radio Vaticana o aRadio Maria, che ha i suoi siti web e network globali comewww.ewtn.com, che fa riferimento a certi sani programmi trasmessi suTelepace, TV 2000 e Telepace International (i nostri antidoti al GrandeFratello e similari). Mi fermo qui: a voi, care/i amiche/ci, lascio il doveroso spazio per levostre ulteriori, attente e lucide riflessioni. Fatele liberamente, al femmi-nile e/o al maschile!

SURFANDO SU INTERNET

Articoli, frasi, notizie, citazioni ed altri piccoli furti sul web

DONNE, DIRITTI, STORIA E VIOLENZA

I tempi sono cambiati ma la donna a volteè ancora succube dell’uomo. Nella Genesi,anche se in modo semplificato e biblico,viene spiegata l’uguaglianza tra l’uomo edonna : “Dio tolse una costola all’uomo eplasmò la donna”. L’uomo allora disse:“Ella è carne della mia carne, ossa dellemie ossa.” Eppure nella storia la donna èsempre stata considerata inferiore edoveva occuparsi dei lavori domestici edell’allevamento dei figli, non aveva dirit-to alla vita politica e nel medioevo venivaperfino accusata (senza prove concrete)di magia e bruciata sui roghi. Nell’800 ledonne erano solo belle cose da protegge-re e amare, ma non erano al pari degliuomini. In un noto romanzo dell’epoca(Dracula) era scritto (la frase è simile)“Ella ha cervello da uomo” , come se ladonne fossero più stupide. A fine ‘800 einizio ‘900, le donne iniziarono ad opporsia queste ingiustizie, basti pensare alle“suffragette” , nomignolo dispregiativoalle donne inglesi che chiedevano il voto,o suffragio, (con manifestazioni e a voltecon battaglie violente) ma solo nel 1946poterono votare. In molti pensano che didonne importanti nella storia ce ne sonopoche. Sono meno degli uomini ma nessu-no si ricorda mai di Cleopatra, Giovannad’Arco, Amelia Earhart (la prima donna avolare nel 1928) , Anna Kuliscioff (guida-va il partito socialista all’epoca delle “suf-fragette”), Valentina Tereshkova (laprima donna nello spazio nel 1963). Moltehanno anche vinto premi Nobel: MadreTeresa di Calcutta per la pace, Rita LeviMontalcini che scoprì il fattore di crescitanervoso negli anni ‘50, Marie Curie, duevolte Nobel per la fisica e per la chimica,fu anche la prima professoressa in un’uni-veristà francese. Queste sono solo alcunetra le più conosciute ma la lista è lunga.Ancora oggi molte continuano a subireviolenza, sia domestica che sessuale. Il69% degli stupri sono opera di partner,mariti o fidanzati. In Europa il 12-15%subisce quotidianamente violenze dome-stiche la prima causa di morte ancoraprima di cancro, guerre e incidenti. Iocredo che la gente debba sapere questecose, la donne non sono oggetti, chi lopensa è un ignorante. Senza la presenzadelle donne con diritti al pari degli uomininella vita sociale, mancherebbe qualcosa.

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Lettere alla Redazione

LA “MAMMA”, UNA “DONNA”

Ho aperto a caso, l’agenda del 1993, strapiena di annota-zioni e riflessioni. Mi è capitato il foglio datato «8 maggio»,sul quale leggo una sola annotazione: «Mamma, come vor-rei averti vicino...!!!». Mi soffermo su quanto scritto, quel-l’ormai lontano giorno, con rinnovata tristezza, mentre mivengono in mente, non soltanto il ricordo della mia adora-ta Mamma, ma anche, riflessioni sulle tematiche delladonna nella società dì oggi, nei confronti di un tempo. Oggila donna viene a far pane della società, in maniera piùdiretta, e, cioè occupando posti di lavoro, anche importan-ti, e, affiancando gli uomini in settori che un tempo erano«strettamente» a loro riservati. Ma è, altrettanto vero,anzi indubbio, che la «DONNA», ha avuto sempre, e. conti-nuerà sempre, ad affrontare, quotidianamente, con corag-gio e dignirà.che nel suo significato etmoiogico. vuoi dire«padrona di casa», dal latino «domina», ed. anche«sposa». ed, aggiungo «MAMMA», un ruolo oltremodo im-portante nella nostra vita: ruolo, mai cambiato nei corsodei secoli. Il «centro» della donna, infatti, sia essa casalin-ga. impiegata o inserita nel contesto economico-in-dustria-le della società, è, e rimarrà, sempre quello attorno alquale è organizzata la vita familiare.Infatti, senza alcun dubbio, la donna svolge, nella fami-

glia, la funzione di perno, di continua coesione: è, lei, chedeve educare i figli, gestire l’andamento della casa e far siche tutto funzioni nell’ambito delle pareti domestiche, nonpermettendo, per quanto possibile, che forze esterne ven-gano a turbare l’equilibrio familiare stesso. Anche l’uomo,è pur vero, ha un ruolo determinante nella famiglia, ma, gliuomini, i padri, i figli, vivono e ragionano, a volte, in baseal principio del vivere e perdere e i migliori si battono perrestituire dignità ai perdenti. Le «donne», invece, nonvogliono vincere e perdere: esse cercano, sempre, di rea-lizzare nella famiglia un rapporto di autentico e duraturoamore, basato su realtà concrete, in nome di una vera cre-scita spirituale e materiale della quale i figli sono i legitti-mi fruitori . Tutto questo, ha origine, senza alcun dubbio,dal privilegio che ha la donna di essere «Madre». Ed è, aquesta «MADRE», ossia a colei, alla quale diamo il belnome di «MAMMA», che, oggi desidero dedicare questemie amorevoli riflessioni. Il nome «MAMMA», ridesta,infatti, in ciascuno di noi, tanti piacevoli e nostalgici ricor-di. «MAMMA», è la prima parola pronunciata da ogni bam-bino, e forse, da ogni essere umano, l’ultima della sua vita.Poeti, scrittori, musicisti, da sempre, hanno scritto. parlan-do e ricordando, con parole piene di tenerezza, questa carafigura, ed ognuno di noi, quando vede una donna, dovreb-be riflettere e «vedere» in lei, una «mamma», o «in fieri»,o attuale, o passata: tutti dovremmo contribuire per dareapporto ed un sostegno, in ogni stagione, a questa«mamma». Il giovane ragazzo, il figlio adolescente, losposo maturo o i figli adulti: il primo che si appresta allagiovane per sceglierla, con serenità e consapevolezza,quale sposa e mamma della sua futura famiglia; il secondoche deve esprimere il suo amore verso la sua mamma, conle opere più che con le parole, allietando con il sorriso l’am-biente familiare e dando conforto e sostegno a lei che deveaffrontare i non pochi sacrifici in seno alla famiglia; e glialtri, in particolare, quando, la mamma, diventata«NONNA», dopo un’esistenza «donata», alla famigliatutta, ha bisogno di maggior affetto e comprensione daparte dei suoi beneficiati. Queste ed altre cose potreiaggiungere pensando a questa dolce creatura: sulla «miamammina» (che vorrei avere ancora vicino) e su tutte le«MAMME-del mondo. Ritengo, invece, di concludere, conuna invocazione, un augurio, e cioè: che Dio benedica, ognimamma, che si sforza di compiere il suo dovere in seno allapropria famiglia, trascinando sempre, con il suo esempio ela sua saggezza, tutti i membri che la compongono.

Ludovico Perroni

DAL WYOMING ALLE NOZZE

DI CANAAlfredo Palieri

Lo stato del Wyoming, quellodel famoso parco diYellowstone dove vive l’orsoYoghi, è stato il primo degliStati Uniti a concedere il votoalle donne, nel lontano 1924,anno importantissimo ancheperchè è quello in cui è natoil sottoscritto. Ma quantebattaglie per arrivarci ! Molte donne nei secoli passati hanno vissuto in schia-vitù e molte ci vivono ancora oggi, in tanti paesisoprattutto orientali. Non è incredibile solo pensarlo ? I Germani, invece, che venivano chiamati barbari, inquesto settore non erano barbari proprio per nientepoiché hanno riconosciuto da subito grande importan-za alle donne perché da esse discendeva la vita. Tante donne hanno lasciato impronte fantastiche neisecoli. Le cito a casaccio. Caterina da Siena, patronad’Italia, pur illetterata, è invece ”dottore dellaChiesa” per la qualità dei suoi interventi presso ilPapa, quando ne sollecitava il ritorno ad Avignone.Teresa d’Avila, nel tormentato periodo dellaControriforma. Giovanna d’Arco, santa e patrona diFrancia. Boudicca, regina della Britannia, che siimmolò con le figlie combattendo contro i Romani.Maria Festa, madre di famiglia numerosa, alla qualeaccudiva in parallelo alla professione forense a Trani.Eleonora d’Arborea, gli importanti “Giudicati” sonoopera sua. Madame Curie, Levi Montalcini, MargheritaHack, donne dedite alla scienza. E infine la più impor-tante di tutte le donne, Maria. “Tu sei colei che l’uma-na natura nobilitasti si che il tuo Fattore non disdegnòdi farsi Tua creatura !” Esempio di altissima umiltà eintelligente sensibilità. Ha scoperto la sua missionegradualmente. Il figlio dodicenne le aveva detto cheLui doveva occuparsi delle cose del Padre suo. Ma, diciotto anni dopo, alle nozze di Cana, come èstato spiegato nell’omelia di qualche domenica fa,quando disse “fate tutto quello che Gesù vi dirà”ebbene, oltre al fatto di accontentare quegli sposidisorientati per la mancanza del vino, Maria avevaveramente capito che la missione di Gesù sarebbeandata ben oltre il semplice miracolo del vino…

SORRISIGregorio Paparatti

Per errore una segretaria hacancellato il testo di unalunga lettera che avevaappena finito di scrivere alcomputer. Sapendo che ilCapo voleva la lettera conurgenza,tenta di cavarselacon una battuta umoristica:“Signor Direttore” – gli dicesorridendo .–” lei non ha maicommesso una grossa scioc-chezza?”“Come ha fatto a saperlo?

Grazie per avermelo ricorda-to. domani è il mio anniver-sario di matrimonio.”

Durante un’interrogazionedi italiano il professoredomanda ad un alunno: “Chedifferenza c’è tra l’ignoranzae l’indiferenza?”“Professore, personalmentenon lo so e non me ne impor-ta!”

Un tale in visita ad un amicomalato, si stupisce nel vede-re sul comodino due bicchie-ri,uno pieno d’acqua e l’altrovuoto.“Be’, sai “ – spiega il malato– è che quando mi risvegliola notte a volte ho sete ed avolte no!”.

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AGATA, LA DONNACHE OGNI

CATANESE AMA!Celina Mastrandrea

Agata, il nome che risuona

tra i sette di donna inseriti

nel Canone romano, la princi-

pale preghiera eucaristica in

uso nella Chiesa cattolica,

insieme a Lucia, Agnese,

Cecilia , Anastasia, e ancor

prima Felicita e Perpetua! Che

donne! Che sante! Gloria di

Dio nel Cielo e sulla terra!

Di loro conosciamo forse troppo poco, ma certo è che la

loro vita ha tanto da dirci dell’Amore di Dio per tutti e per

ciascuno. Sono le “modelle” a cui ogni donna dovrebbe

guardare ,a cui dovremmo voler assomigliare ogni giorno di

più! Girando per le vie della città di Catania tra il 3 e il 5

febbraio il nome di Agata risuona con una attualità straor-

dinaria! E’ una memoria che si fa presente , una storia di cui

tutta la città conosce il mistero e la grandezza, la storia di

una santa che ha salvato più e più volte gli abitanti di que-

sta città a cui appartiene. E’Infatti il 5 febbraio la solenni-

tà di Sant’Agata, giovane martire che offrì tutta se stessa

a Dio affrontando coraggiosamente torture e martirio. La

città è in festa, un’indescrivibile euforia serpeggia per ogni

dove. Colori, luci, suoni, animano vie e vicoli, profumi si

spandono, attrazioni di ogni genere catturano l’attenzione

senza che più nessuno faccia caso se sia ancora giorno o

notte inoltrata. Importante è andare dietro S. Agata! Il

busto che la rappresenta e il reliquario vengono portate per

le vie del centro e della periferia dai “devoti”, una proces-

sione interminabile di gente di ogni età, uomini, donne,

bambini che vestono il “sacco” bianco cinto ai fianchi, un

berretto nero in testa e l’ effige della santa sul petto.

Sicuramente c’è tanto folklore e leggenda olltre la quale

però è possibile respirare una certezza : l’amore dei citta-

dini catanesi per questa Santa assunta a simbolo di una sici-

lia che non vuole arrendersi al male. E a dispetto forse di

quanto di negativo è stato esasperatamente portato in luce

dalla trasmissione televisiva “Report” proprio lo scorso

anno in coincidenza di questa ricorrenza, sono testimone

che la festa di questa santa va assolutamente oltre quella

che sembra essere solo un sorta di “follia” collettiva che

asservirebbe esclusivamente i capricci della mafia per

ingraziarsela. Dopo aver respirato per anni quell’aria anche

quest’anno ne ho voluto rivivere la bellezza e ho ritrovato

ancora quella sana espressione di fede della gente che

respiravo da bambina. Sì, perchè Agata è la santa patro-

na della città che vigila lassù per le nostra sorte. E se Lei

sta a cuore a noi, noi stiamo sicramente nel suo cuore!

Diversamnete questo culto si sarebbe spento nel tempo e

sbiadito nelle sue manifestazioni rimaste invece sempre

ferventi. La liturgia ne esalta la grandezza esaltandone le

eroiche virtù. Della sua vita si hanno notizie certe come

attestano fonti storicamnete attendibili. Per questo vale

davvero la pena, a proposito di donne, conoscerLa almeno

un po’! Agata il cui nome dal greco significa la buona, ebbe

i natali appunto a Catania da una famiglia ricca e nobile

intorno al 230 d.C. Secondo la tradizione cattolica

sant’Agata si consacrò a Dio già all’età di 15 anni .Intorno

all’anno 250 il proconsole Quinziano giunto alla sede di

Catania anche con l’intento di far rispettare l’editto dell’im-

peratore Decio che chiedeva a tutti i cristiani di abiurare

pubblicamente la loro fede, si invaghì della giovane e bella

Agata e, saputo della consacrazione, le ordinò, senza suc-

cesso, di ripudiare la sua fede e di adorare gli dei pagani.

Al rifiuto deciso di Agata, il proconsole la affidò per un mese

alla custodia rieducativa della cortigiana Afrodisia e delle

sue figlie, persone molto corrotte. Il fine di tale affidamen-

to era la corruzione morale di Agata, attraverso una conti-

nua pressione psicologica, fatta di allettamenti e minacce,

per sottometterla alle voglie di Quinziano. Ma Agata a que-

sti attacchi perversi che le venivano sferrati, contrappose

l’assoluta fede in Dio; e pertanto uscì da quella lotta vitto-

riosa e sicuramente più forte di prima, tanto da scoraggia-

re le sue stesse tentatrici, le quali rinunciarono all’impegno

assuntosi, riconsegnando Agata a Quinziano.

Rivelatosi inutile il tentativo di corromperne i princìpiQuinziano diede avvio ad un processo e convocò Agata alpalazzo pretorio. Memorabili sono i dialoghi tra il proconso-le e la santa che la tradizione conserva, dialoghi da cui sievince senza dubbio come Agata fosse edotta in dialetticae retorica. Breve fu il passaggio dal processo al carcere ealle violenze con l’intento di piegare questa forte donna..Inizialmente venne fustigata e sottoposta al violento strap-po di una mammella. La tradizione indica che nella nottevenne visitata da San Pietro che la rassicurò e ne risanò leferite. Infine venne sottoposta al supplizio dei carboniardenti. La notte seguente l’ultima violenza, il 5 febbraio251 Agata spirò nella sua cella. Da quel giorno la storia diS.Agarta e quella della città di Catania son rimaste un’unicastoria che continua. Più e più volte infatti la città ha fattoricorso alla sua protettrice dinanzi alle minacce di mortedell’eruzione dell’Etna e del flagello dei terremoti. La devo-zione alla santa ha intenerito il cuore di Dio che , provvido,per intercessione della Santa ha concesso a questa città eai suoi abitanti di sopravvivere. Ci sarebbe da raccontaremolto sui miracoli noti di questa santa e chissà quanti neottiene ancora a nostra insaputa!

In Italia la devozione a questa santa è diffusissima:Cremona, Firenze, Roma, dove a Lei sono dedicate duechiese:S.Agata dei Goti e S.Agata alla Suburra, a Trasteveree in molte altre città, è tra l’altro patrona anche dellaRepubblica di S. Marino.

Mi piace concludere riportando le espressioni che nel solen-ne pontificale di giorno 5 ha pronunciato qust’anno il car-dinale Giovan Battista Re: La giovane Agata ha testimonia-to la fede, l’onesta della vita, l’amore a Dio, i valori più altie per essi fu disposta a morire pur di non rinnegarli.

Nei nostri giorni c’è una forma più indiretta e sottile di per-secuzione!

Oggi è richiesto il martirio della coerenza e dei valori cri-stiani”. A tutte le donne dunque l’invito a guardare a lei checi insegna a vincere il male con il bene perchè il Signorerisorto vivo ce ne dà la forza! E allora come si grida aCatania per tre lunghi giorni; “Cittadini, Viva S.Agata!”

Tu che splendi in Paradiso,

coronata di vittoria,

Oh Sant’Agata la gloria,

per noi prega, prega di lassù »

(Canto a Sant’Agata):

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Nel prossimo numero:

LA MUSICA PER NOI

Canzoni, cantanti, cantautori, direttorid’orchestra, compositori, concerti, radio,mangiadischi, cassette, CD, MP3, opera,operetta, musica classica, chitarre, piano-forti, organi, percussioni, clarinetti, cantiin Chiesa, in gita, in pellegrinaggio, sotto ladoccia, in montagna, canti d’Africa,Festival di Sanremo, Canzonissima,Cantagiro, Juxe Box, balli, balletti, balleri-ni, etc..etc....

TANTI AUGURI LAURA E VALERIO !!!

Sabato 30 gennaio 2010, alle ore 11, i nostri amici e catechisti LauraSantoli e Valerio Vecchione si sonouniti in matrimonio. Il rito è statocelebrato nella nostra parrocchia diS. Pio X alla presenza di numerosiamici e parenti. Alla coppia e ai lorogenitori vanno gli auguri di tutti noidi “Arrivano i Nostri”.

Evviva gli sposi !

La fotografa americana Margaret Bourke-White in cima al Chrysler Building nel 1930.

La torre dell’Università di Hong Kong progettatadall’iraquena Zaha Hadid, vincitrice del prestigioso

premio di architettura Pritzker Prize.

SuorFrancescaPittarello, da 18 anni

missionarianel Burkina

Faso.Lo scorso

anno, con 9mila euro

ricevuti dallaCaritas, ha

comprato 15 carrozzelle per neonati, 3 carri, 4 asini, 2 buoi,1 aratro, 1 protesi per un portatore d’handicap.

In più ha donato denaro a 13 famiglie bisognose.

Elisabeth Garrett

Combattendo contro ilperbenismo e l’ostracismo

maschile dominante dei suoitempi, divenne il primo medico

donna della Gran Bretagna, il 28 settembre 1865. Fondò in seguito il

New Hospital for Women.

Narges MohammadiIraniana, laureata in Fisica

e in Ingegneria. Ha sempre svolto un’intensa

attività culturale e giornalisticaper il rispetto dei diritti delle

donne. Le è stato attribuito il premio internazionale

Alexander Langer nel 2009. Non ha potuto ritirare il premioperchè, nello stesso anno, le èstato ritirato il passaporto persospetta propaganda negativacontro lo Stato e suo marito

Taghi Rahmani è stato arrestato.