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Su Cassirer. Lezioni Pri mo Semestre 200 8-09 Giuseppe Saponaro 1

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Su Cassirer. Lezioni Primo Semestre 2008-09

Giuseppe Saponaro

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1 Lezione Prima (06.10.2008): Preliminari sul

corso

Buona sera a tutti,

questo e il corso di storia della filosofia moderna, io sono Giuseppe Saponaro equesta che comincio e la prima lezione del primo semestre. Oggi, vista questapresenza cosı numerosa di studenti — spero di ottenere da parte vostra anchel’attenzione dovuta, poiche immagino che molti di voi siano matricole [si pro-cede ad una rapida verifica per alzata di mano] — oggi, dicevo, mi limiteroad una semplice esposizione dei miei propositi. Vi diro quello che voglio fare,

soprattutto come intendo farlo e perche lo faccio. Anticipero anche qualcosasui criteri con cui valutero il lavoro che avro svolto io stesso, ma soprattuttosu come valutero il lavoro che avremo svolto insieme, dunque anche il vostrolavoro.

Essendo voi in maggior parte matricole, persone dunque non avvezze an-cora ai corsi universitari, cerchero anche, in queste mie prime esposizioni,di procedere nel modo piu piano ed elementare possibile. Immagino che voisiate qui perche avete letto il programma del corso e lo abbiate scelto perchesiete in qualche modo interessati o almeno incuriositi dall’argomento. Comeavrete ormai gia capito, in questa Facolta di filosofia i corsi non sono ne rigo-rosamente propedeutici, ne obbligatori: cio assicura allo studente un’ampia

possibilita di scelta nella elaborazione del piano di studi. Ovviamente ci sonoanche dei vincoli, dei limiti dovuti alla programmazione del Corso di laureaal quale ciascuno di voi si iscrive, sicche taluni corsi di insegnamento ed irispettivi esami saranno magari ritenuti complementari, altri fondamentali,corsi che prima o poi si dovranno frequentare. Pero si puo dire che per tutti icorsi, a parte l’obbligo di frequenza, non sussista un obbligo assoluto di scelta.In ogni modo, se ora voi siete qui, e perche vi avra incuriosito, immagino,almeno il titolo e l’argomento di questo corso.

La prima cosa che ora io vi voglio chiarire — poiche, se gia non lo e stato,sara certo oggetto di interrogazione da parte vostra, nonche di curiosita — e

come sia possibile impartire e, prima ancora, pianificare un corso piuttostoavanzato di storia della filosofia, quale e il presente, destinandolo nondimenoalle cosiddette “matricole”, ovvero a studenti principianti, che si presume nonabbiano dimestichezza alcuna con questi oggetti ed argomenti filosofici e, perquanto eccellente possa essere stato il liceo o l’istituto scolastico di prove-nienza, non dispongano certo di una preparazione sufficiente gia al primoanno di studi universitari e magari alla loro prima esperienza in qualit a distudenti frequentanti.

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Questo giovane studente si presenta qui per frequentare un corso sulla

“Filosofia delle forme simboliche” di Ernst Cassirer, pensatore del Nove-cento non particolarmente famoso e neppure facilmente accessibile; non gia,dunque, un corso elementare, genericamente divulgativo su un illustre sco-nosciuto, e neppure un corso istituzionale sulla sua vita e sulle sue opere, deltipo:

•  “Chi e veramente Tizio?”;

•  “Cosa ha veramente detto?”;

•   “Cosa ha pubblicato?”;

•   “Dove, Quando, Come, Perche?”.

Queste informazioni “giornalistiche” o, se preferite, questi “dati storiografici”ciascuno di voi sara in grado benissimo di procurarsi da solo e non avra certobisogno a tale scopo di frequentare un apposito corso universitario. Esistonoal riguardo eccellenti strumenti: enciclopedie filosofiche, lessici, dizionari,manuali, storie della filosofia, repertori bio-bibliografici e altre utili opere diconsultazione, facilmente accessibili nelle biblioteche universitarie o anchedisponibili nelle librerie in edizione economica. Uno studente di filosofia,lavori egli in casa, in biblioteca o sul computer, deve poter allineare sullapropria scrivania o altrove, tenendoli comunque a portata di mano, accanto ai

comuni dizionari linguistici (italiano, latino, greco, francese, tedesco, inglese,ecc.), soprattutto i suddetti strumenti, che egli usera con una certa frequenzae trattera anche con il dovuto rispetto, come farebbe un qualsiasi umileartigiano nei confronti degli attrezzi necessari per il proprio lavoro. Moltialtri suggerimenti, aiuti e supporti di vario genere sono oggi reperibili ancheattraverso un oculato uso dei mezzi informatici, ivi compresa la cosiddetta“navigazione in rete”.

In breve, dovrete attrezzarvi in modo autonomo per queste specificheesigenze ed anche abituarvi a soddisfarle con aggiornamenti progressivi nelcorso di tutta la vostra carriera, non solo della attuale, che vi vede nei panni

di “giovani studenti” universitari, bensı anche della futura, quando saretediventati in permanenza “maturi studiosi” di questioni filosofiche. Su questopiano potremmo e dovremmo considerarci tutti degli eterni autodidatti. Solol’assidua ricerca e la frequentazione quotidiana potranno far sedimentarenella memoria di ciascuno di noi questo tipo di bagaglio informativo, peraltronecessario e nondimeno secondario, semplicemente presupposto nel presenteinsegnamento. Apparterra forse alla specifica, anzi unica competenza delfilosofo conoscere meglio di chiunque altro le date esatte della prima e della

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seconda edizione della   Critica della ragione pura   di Immanuel Kant, ma

non sara certo questo tipo di sapere a stabilire il grado della sua maturitafilosofica.

Di conseguenza ciascuno di noi maturera nel corso del suo itinerario for-mativo una propria idea della storia della filosofia, di questa egli privilegeradeterminati autori, frequentera con maggiore assiduita tale o talaltro luogoe indirizzo, seguira tale o talaltra corrente di pensiero. La filosofia e la sto-ria della filosofia potrebbero essere raffigurate come un immenso continente,che ciascuno percorre seguendo una particolare direzione, in base ad un de-terminato sistema di orientamento ed in una maniera assolutamente per-sonale. Alla fine del percorso ciascun viaggiatore avra totalizzato una suavisione delle cose, avra fatto tesoro della sua esperienza e magari potra an-che scrivere una propria storia della filosofia. Grazie a questa particolaritae possibile ancora oggi continuare a pubblicare ulteriori storie del pensierofilosofico, essendo queste ultime non soltanto opere che pretendono una certa“novita”, ma possono piuttosto avanzare tale pretesa e meritare anche di es-sere conosciute, diventando pubbliche, proprio perche sono il frutto di questiitinerari originali, di queste molteplici visioni soggettive, personali, possibil-mente ricche e varie.

Queste indagini ci permetteranno di scoprire cose che, magari, chi si ac-contentasse di ripetere nozioni stantie, verita gia belle e pronte, non sarebbeforse neppure in grado di cogliere. Se tutti dovessimo appiattirci su un unico

dizionario o limitarci a compitare un solo manuale ufficiale, a ripetere e tra-mandare un’unica verita filosofica, allora subentrerebbe nel migliore dei casianche il “sonno dogmatico”, per usare una caratteristica espressione kan-tiana, svanirebbe ogni genuina interrogazione filosofica e non avrebbe alcunsenso tenere il presente corso sulla filosofia di Cassirer.

In conclusione, consultate quanto e come vi pare, servitevi pure libera-mente di tutti gli strumenti disponibili, ma non scambiate mai i mezzi con ilfine. Certo, strada facendo, si puo diventare anche dei buoni “tecnici dellaragione” o semplicemente dei “cronisti del pensiero”, ma le abilita che qui,nel presente corso, vengono innanzitutto richieste non si limitano a questotipo di competenze.

Dunque, per tornare al punto, sarebbe forse legittimo da parte vostrasollevare qui una prima serie di questioni:

1.   E sensato destinare il presente corso sulla filosofia cassireriana a stu-denti del primo anno, ossia a persone che si presume non conoscanoquasi nulla dell’argomento, dei suoi presupposti teoretici e soprattuttostorici?

2. Prima ancora di affrontare i problemi specifici della filosofia moderna

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e contemporanea, non sarebbe opportuno seguire un corso generale

di storia della filosofia? Prima ancora di affrontare un pensatore comeCassirer, che a suo modo e un interprete e un continuatore della filosofiacritica kantiana, non sarebbe piu saggio approfondire la conoscenza diKant?

3. Ma sarebbe davvero giusto cominciare da Kant? Si potrebbe compren-dere Kant, senza prima ripercorrere le tappe della filosofia moderna,dei cui contenuti scientifici e delle cui forme problematiche si nutre lafilosofia di Kant?

4. La filosofia moderna a sua volta — come ci hanno insegnato fin dal liceo

e come ogni manuale puntualmente ripete — comincia con il cosiddettoUmanesimo, il cui concetto presuppone la rinascita del mondo antico.Come potrei dunque apprezzare questo “rinascere”, senza in qualchemodo avere gia un’idea ben precisa della “cosa” che rinasce, ovvero, inquesto caso, della cultura classica? Come potrei comprendere le varieistanze della “modernita storica”, ignorando il termine di confronto aquesto correlato, senza dunque una conoscenza concreta del “passatostorico”? Non dovrei, innanzitutto, io stesso rinascere come umanistaalla stregua degli umanisti, seguirne in qualche modo le orme? Nondovrei anch’io ricominciare con severi studi filologici per poter accederealla filosofia latina, e prima ancora alla filosofia greca?

5. Ci si potrebbe infine domandare: la stessa filosofia greca, ritenuta “clas-sica” ed “originaria”, verrebbe forse dal nulla? Non nascerebbe forseanch’essa dal conflitto con il pensiero mitico? Si vagheggia spesso diun mondo mitico, inteso come una sorta di brodo primordiale di ognipossibile cultura e storia. Dovremmo dunque anche noi rituffarci inquesto brodo, prima ancora di iniziare a filosofare?

Di questo passo, e evidente, si rischia di impelagarsi nei paradossi di un“cominciamento” che non puo mai cominciare. Qualcuno potrebbe sostenereche proprio in cio si manifesterebbe il piu genuino e radicale filosofare, al-

tri sospettare, con un pizzico di modestia, che forse era sbagliato il puntodi partenza, anzi ironicamente provocatoria l’impostazione del problema, laserie stessa delle domande.

Sospendo qui il mio giudizio, lasciando anche che ciascuno di voi ma-turi liberamente una sua opinione in proposito. Per il momento vorrei soloconsiderare che forse in filosofia non c’e un prima e un dopo solo in sensotemporale. Si puo facilmente comprendere che, in qualsiasi suo punto e mo-mento ci si collochi, sara sempre legittimo riproporre, sia pure in altra forma,

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la medesima domanda gia sollevata sopra a proposito di Cassirer: Potrei io

capire Platone, Talete, i primi filosofi, se non avessi gi a un’idea pur vagadella filosofia? Tra tante testimonianze storiche, tra tante fonti e discorsi at-tribuibili al pensiero antico, tra artisti, matematici, indagatori della natura,religiosi, mistici, medici, politici, storiografi, come potrei altrimenti stabilire,per es., che Pitagora e Platone sono da ritenersi filosofi, mentre Omero edEschilo sarebbero invece poeti? Per poter capire perche Tizio e un filosofo eCaio invece un poeta, dovrei avere  a priori , per cosı dire, un’idea della poesiae un’idea della filosofia.

Per non parlare infine degli strumenti filologici, delle competenze lin-guistiche, dei problemi connessi alla tradizione delle fonti filosofiche e allatraduzione dei singoli testi. Se non sono padrone della lingua originale, dovrocerto affidarmi ad una qualche traduzione in altra lingua, il cui risultato sar acomunque un’interpretazione, anche nel caso di una versione scrupolosa eletterale. Si suol dire che ogni traduzione implica necessariamente un “tradi-mento”, per taluni anche — nel caso, per es., del binomio Socrate-Platone,gia ambiguo in origine — un “allontanamento” dalla voce viva, dalla parolaparlante del filosofo, il quale, gia di per se necessariamente assente, scrive an-che in una lingua per noi morta, segno tremendo di una perdita culturale, cheda questo punto di vista e per questi aspetti ci dovrebbe apparire definitivaed irrimediabile. Anche in questo caso riaffiorerebbe, in un senso leggermentediverso e da un altro versante, l’impossibilita o, se preferite, il paradosso del

cominciamento, poiche dietro lo scetticismo si cela spesso l’assunto metafisicodi un sapere assoluto, magari negato all’uomo in quanto ente finito, ma in see per se non necessariamente impossibile.

In compenso, come ci insegna Socrate, padre del pensiero filosofico, ilprimo atto della filosofia consisterebbe, in modo non meno paradossale, nellametodica professione della propria ignoranza. Il sapere di non sapere costi-tuirebbe un tratto caratteristico e distintivo del filosofo, benche non neces-sariamente il suo scopo ultimo. Noi qui ci stiamo occupando ovviamente solodel possibile inizio del filosofare. Se cosı non fosse, alla fine di questa mo-desta lezione potremmo tutti ben ritenerci laureati in filosofia: basterebbe,uscendo dall’aula, riconoscere solennemente di non aver capito nulla di nulla,

professando in tal modo la propria ignoranza. In verita e un vezzo del nostrotempo, o forse una semplice moda destinata a lasciare il tempo che trova,l’ostentazione talora anche “militante” della nullita e inutilita della filosofia,soprattutto da parte dei giovanissimi laureati in questa disciplina. Riconoscoin cio un supremo atto d’orgoglio di fronte alla penosa prospettiva della di-soccupazione intellettuale, non sono tuttavia disposto a rassegnarmi a questo“andazzo”. Mi limito a constatare che le cose purtroppo vanno “anche” cosı,ma, per quanto personalmente mi riguarda e nel mio piccolo, mi sforzero

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perche le cose non vadano “anche” cosı.

Torniamo di nuovo al nostro punto iniziale. Che senso ha che io tenga quiun corso su questo autore? Non si tratta, peraltro, di un corso di caratteregenerale, e neppure di un argomento riducibile a nozioni che sia facile reperiresui manuali di filosofia e sulle le enciclopedie filosofiche, di cui ho gia dettoprima, bensı, come recita l’argomento del corso, esattamente della

Filosofia delle forme simboliche   (Volume III, Parte III:   La fun-zione significativa e la struttura della conoscenza scientifica ).

Vi chiedo ora un piccolo sforzo di immedesimazione. Mettetevi nei mieipanni, nei panni di un professore, meglio ancora nei panni di voi stessi,quando un giorno sarete professori — come io stesso mi sono messo nei vostri,allorche mi sono dovuto chiedere: Cosa si aspetta uno studente da me? —e cercate di rispondere al seguente interrogativo: Come puo un professoredi filosofia superare tutte le difficolta iniziali, di cui vi ho parlato finora?Come si puo  sic et simpliciter  cominciare ad affrontare questi problemi, giaabbastanza complessi e difficili per noi, con altre “persone”, che si presumeli ignorino del tutto?

Piu che alle “persone”, in verita, io ora intendo qui rivolgermi alle “menti”,alla “ragione purificata”. Questo nostro sara uno scambio tra “puri intel-letti”, una volta che saranno stati messi tra parentesi e, per cosı dire, tenuti

provvisoriamente in sospeso i piani e le faccende personali di ciascuno di noi,le nostre personalita, a cominciare dal nostro caro “Io”, il quale, cosı inteso,poco o nulla ha a che fare con la filosofia. Noi qui non stiamo confrontando ilnostro genio individuale, i nostri particolari gusti, i nostri caratteri, i tempe-ramenti, i sessi, ecc. Al contrario — lo ripeto — io qui intendo indirizzarmi inprimo luogo alla mente di ciascuno, la quale, come sostiene Descartes, rappre-senta esattamente cio che tutti ci accomuna, nel senso che da questo punto divista siamo tutti equamente dotati. Il semplice fatto che io possa gia parlarecon voi e che voi possiate non solo ascoltare, ma anche comprendere questemie parole, significa che abbiamo tutti quanti noi in questo momento messoin moto le nostre facolta mentali, le cui funzioni possono essere assolte in

forma “pura” e “disinteressata”, nella misura in cui esse non vengano frenateo accelerate, infiammate o congelate da alcun fattore di carattere personaleed ambientale.

Lo studente ideale ma anche il docente ideale dovrebbero entrambi eserci-tarsi in questa paradossale “arte dell’autosospensione”, che insieme umiliae nobilita, ci impone dei limiti e nello stesso tempo ci predispone ad unabreve ascesi filosofica. Entrando in quest’aula, ciascuno di noi dovrebbe, perun’oretta almeno, dimenticare tutte le faccende personali, le sue abilit a, i

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suoi turbamenti, presentarsi dunque nudo e puro, come una mente disposta

ad interloquire con la mente dell’altro, a riconoscersi appunto come mentein e mediante questo confronto. Cio dovrebbe valere innanzitutto per me, inquanto docente. Da questo punto di vita, ed in riferimento soprattutto agliobiettivi che io stesso qui perseguo, non dovrei certo ritenermi piu esperto opiu competente di voi: nell’ambito delle faccende personali che dovrei tenerein sospeso (o mettere momentaneamente tra parentesi) rientrerebbero variecircostanze, per esempio il fatto che io ho il doppio, se non il triplo della vo-stra eta, che ho gia seguito da studente dei corsi di storia della filosofia, che hoanche una certa esperienza come insegnante. Tutto cio potra sicuramente pe-sare, tuttavia non su questo punto dovra fare leva il mio insegnamento. Primaancora di rapportarmi alle vostre menti, io dovro soprattutto confrontarmi,durante l’intero corso, con la mente di Cassirer. Non potrei nulla insegnaredi questo pensatore, senza prima avere appreso tutto da lui. Si tratta di uncompito e di un dialogo infiniti. Non sara dunque sufficiente comprendereil suo pensiero, ma occorrera nello stesso tempo trovare il giusto “metodo”didattico (ovvero il “mezzo”, il “modo”, la “via”), affinche questa mia com-prensione possa essere trasmessa ad un’altra mente e da questa efficacementeaccolta.

Cio richiede un lavoro necessariamente comune, una certa convergenza ereciprocita di intenti, perche, come avrete gia capito, qui la “mente”, benche“purificata” ed “autosospesa”, non va tuttavia intesa come un recipiente pas-

sivo e vuoto (come una “tabula rasa ”), bensı come una forza rappresentativasempre attiva, un centro di energia spirituale. Non siamo qui solo per ap-prendere nuove conoscenze, ma per metterle alla prova nelle nostre reciprocheesperienze filosofiche. Si dovrebbe cosı attivare un circolo virtuoso anche trastudente e studente, qualora ciascuno fosse davvero disposto a praticare lapreliminare sospensione di se, appunto in quanto mero “studente”. In questasede almeno, e per il breve arco di questa lezione, noi dovremmo, per es.,smettere di pensarci innanzitutto come individui l’un contro l’altro armati,come avversari in reciproca competizione sul mercato del lavoro. O di badaresolo al calcolo dei crediti, al curriculum, al trenta e lode, alla laurea. Si trattasenza dubbio di fattori e di preoccupazioni molto importanti nella carriera di

uno studente, ma appunto per questa ragione forse e bene lasciarli momen-taneamente fuori di quest’aula. Qui, certo, noi parleremo di faccende che cicoinvolgono e ci interessano direttamente, ma non per i suddetti aspetti. Esseci riguardano solo perche possono rappresentare un problema per il nostropensiero.

Se ora per esempio mi chiedo: “Cosa e la verita?”, io mi pongo una do-manda talmente universale da non apparire minimamente condizionata nep-pure sul piano storico. Se io la prendo sul serio, in senso filosofico e storico,

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mi rendo subito conto che a questa domanda hanno tentato di dare risposta

i filosofi di tutti i tempi. Magari non avranno formulato la questione esatta-mente in questi termini, ma il suo senso e l’intenzione sono rimasti identici evalgono dunque anche per me ancora oggi. Mi sto cosı ponendo il problemadella conoscenza in quanto problema schiettamente filosofico, prima ancoradi determinarlo in senso storico-filosofico. Non voglio sapere come sia stataimpostata la questione, poniamo, nell’Atene dei secoli V e IV a. C., a Romanel I e II d. C., oppure ancora in Germania nel Settecento, nel Novecento,ecc. Mi sto invece chiedendo se possa essere sensato e plausibile svincolareil problema del conoscere da ogni ancoraggio temporale, se, cioe, messe traparentesi le contingenze storiche, rimanga poi qualcosa della necessita delladomanda in quanto interrogazione puramente filosofica.

Potremmo magari scoprire che, cosı formulata, essa e semplicemente cam-pata in aria e senza senso. Oppure legittimarla, e trovare pero anche il corag-gio di balbettare una prima risposta, facendo leva solo sulle nostre proprieforze. La difficolta dell’impresa non ci deve scoraggiare, ma neppure inor-goglire fino al punto di disdegnare l’ausilio altrui. L’autonomia della ragioneva di pari passo con la consapevolezza del proprio limite. Proprio questaparadossale dialettica, questa tensione continua tra la potenza e la modestiadello spirito, potrebbe forse ben rappresentare il primo insegnamento dellafilosofia di Cassirer.

Cosı, avendo assunto solo per un momento il vostro punto di vista, ho

anche potuto individuare una prima buona ragione per frequentare un corsodedicato a questo pensatore. Vi inviterei dunque ancora una volta a tentarel’esperimento inverso: mettetevi voi stessi al mio posto, proprio ora, mentrecerco di illustrare i contenuti e soprattutto le difficolta del mio programma.

Troverete affisso in bacheca, oppure sulla rete telematica, il programmadel corso, con informazioni piu dettagliate riguardanti:

1. l’argomento del corso (il suo titolo, a cui gia ho accennato);

2. una presentazione generale del corso (una sintetica definizione dellaFilosofia delle forme simboliche , su cui ritornero piu tardi);

3. i cosiddetti obiettivi formativi, a loro volta suddivisi in:

•   (a) obiettivi generali (relativi alla tipologia del corso ed al gruppodisciplinare di appartenenza; ossia cosa si propone il corso, cosain particolare mi aspetto io stesso da ogni studente, senza con ciodistinguermi da altri miei colleghi, da altri corsi appartenenti allostesso gruppo o a gruppi disciplinari magari affini),

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•  (b) contenuti specifici (specifici di questo corso; ci saranno ma-

gari altri miei colleghi che perseguono gli stessi obiettivi formativigenerali, ma raggiungono questi obiettivi non necessariamente at-traverso il metodo didattico e i contenuti specifici miei; questiultimi sono soltanto i miei e ciascuno poi avra i suoi);

4. i prerequisiti (anche a cio ho gia accennato sopra).

Cosa sono i prerequisiti? Cio che si presume lo studente debba giaconoscere e padroneggiare per poter frequentare con profitto il presente in-segnamento. Possiamo intanto leggere ed illustrare questo punto, trattandosidi requisiti abbastanza semplici:

E richiesta la preparazione di base garantita dalla scuola secon-daria superiore.

Vi siete presentati come matricole, quindi presumo veniate dalla nostra scuolasuperiore, dal liceo classico, scientifico o altro liceo [da una rapida verifica peralzata di mano risulta prevalente la provenienza dai licei classico e scientifico].

E anche consigliata una conoscenza generale della storia della filosofiaed in particolare della filosofia moderna, dall’Umanesimo a Kant.

Se venite in prevalenza dal classico e dallo scientifico, presumo che vi ab-

biano insegnato la storia della filosofia sulla base di un qualche manualegenerale, anche se qui esplicitamente si delimita e si sottolinea il percorsodall’Umanesimo a Kant. E, ovviamente, si mette un punto fermo. Io doper scontato che voi abbiate queste conoscenze, pero vorrei aggiungere an-cora qualcosa su questo punto, riallacciandomi a quanto vi ho gi a anticipatoprima. Le informazioni manualistiche sono informazioni necessarie, che ioposso certo presupporre in ciascuno di voi, ma che non e detto debbano opossano essere anche acquisite da parte vostra tutte in una volta e definitiva-mente. Dire che qui il prerequisito e la conoscenza della storia della filosofiamoderna puo anche suonare come una sorta di imbroglio, come una truffa chetacitamente passi sottobanco tra di noi, nel senso che, senza mai dichiararlo

apertamente, io stesso sospetterei, al pari forse di qualcuno di voi, che nes-suno al mondo possa avere una conoscenza “assolutamente adeguata” dellastoria della filosofia e in particolare di quella moderna, perche solo una Mentesomma ed infinita conoscerebbe tutto in modo assoluto e perfetto.

In verita ciascuno conquistera solo il livello e la qualita di conoscenze cheavra saputo di volta in volta totalizzare con la propria esperienza. Ribadiscoin breve quanto ho gia detto sopra: non bisogna confondere la formazionecon l’informazione, ne surrogare la lettura diretta delle opere filosofiche con

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troppi;

2. perche tutti questi sensi pretendono di esprimere “la” verita pur essendotra di loro diversi e forse anche contraddittori;

3. perche ciascuno aspira ad una sorta di superiorita rispetto agli altri;

4. perche volerli tutti veri e insieme tollerarli come tali implicherebbe unasorta di relativismo, se non di scetticismo.

Dunque per amor di verita si rischierebbe di annullare ogni senso dellaverita.

Il primo compito della critica filosofica sara di conseguenza il chiarimento

e la dissoluzione di siffatti paradossi. Il secondo compito, come gia accen-nato, sara il passaggio dal caos al cosmo, al sistema armonico dei possibili“mondi della verita”. Partendo dal dato problematico, dal molteplice caoticodi tutti i possibili sensi della verita, la mente filosofica non soltanto lo passain rassegna, ma presume anche di poterlo ordinare in un sistema, di daresenso a tale molteplice in quanto molteplice e di giustificarlo come una to-talita. Per ottenere tale risultato essa deve individuarne il fondamento logicoe metodologico — che potra di volta in volta presentarsi come una sempliceipotesi o come un postulato, oppure ancora come una legge, un principio —,in modo che il dato iniziale, in apparenza caotico ed inintelligibile, possa viavia tramutarsi in un tutto sensato ed ordinato.

Quando il filosofo sara riuscito a risalire dalle “primitive conseguenze”(ossia, da cio che all’inizio egli stesso aveva dovuto assumere come dati pro-blematici) al loro “principio”, ovvero alla ragione o almeno alle condizionidella loro possibilita, dovra infine poter far ritorno per via dimostrativa alpunto di partenza, che gli apparira allora in una luce e in un significatodel tutto nuovi. E forse il nostro mondo riprendera a colmarci ancora dimeraviglia e di stupore.

In tal senso l’opera del filosofo si spinge oltre il lavoro del “giornalista”o anche del puro “investigatore” della verita. Tutti possiamo sapere comestanno le cose, essere informati dei fatti: questo e peraltro il compito del

giornalista, il quale ci informa dell’evento, ma in qualita di giornalista non etenuto ad esporre anche una sua teoria dell’evento. Spetta invece al filosofoo, se preferite, all’uomo di scienza farsene una ragione. Possibilmente unfilosofo deve innanzitutto essere anche un uomo di scienza. Per me i due ter-mini coincidono abbastanza. Ritengo che il lavoro filosofico non possa esserecondotto se non in concomitanza con il lavoro scientifico; di conseguenza,l’atteggiamento di chi, per amor della sapienza, si senta innanzitutto in do-vere di denigrare le scienze — come non di rado anche accade — rappresenta

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un esempio da prendere con le pinze, qualcosa di cui sospettare; almeno dal

mio punto di vista, che rischia al contrario di apparire fin troppo legato allatradizione. Platone, si sa, non ammetteva nella sua Accademia allievi prividi cognizioni matematiche. A cio potremmo anche aggiungere la conoscenzaelementare della logica, una certa padronanza del linguaggio ed un natu-rale spirito di osservazione. Ebbene, se non e avvertita da parte del filosofol’esigenza di ordinare i dati puramente descrittivi in un sistema e di trovarela ragione dei fenomeni, allora la filosofia diventa una faccenda poco seria,rischia di risolversi ed anche di dissolversi in una sorta di “chiacchiera”, e vaad aggiungersi come filosofia al guazzabuglio, se non al mercato delle futilita,le quali lasciano di solito il tempo che trovano.

Ben altra cosa sarebbe invece la pretesa, o almeno l’intenzione propedeu-tica — metodica — di “prendere le distanze” da questo caos, in maniera chealmeno lo si possa con un colpo d’occhio padroneggiare dall’esterno, nella suaforma, ed in tal modo oggettivarlo, nel senso appunto di renderlo, per cosıdire, afferrabile, come oggetto di fronte ad un soggetto, il quale non si limitia rispecchiarlo o a rispecchiarsi in esso. Un po’ come, secondo l’attestazionedella Bibbia, avrebbe fatto il Primo Autore in persona, il quale, creato ilmondo in sette giorni, ritenne opportuno in corso d’opera di fermarsi un at-timo per contemplarlo da una certa distanza, ossia per giudicare e valutareil proprio operato: “E Dio vide che era cosa buona” [Genesi , 1, 24). Si puodunque sperare — potrebbe essere questo l’ideale di ogni mente filosofica —

di ottenere anche noi un risultato simile.Ora, mutatis mutandis , cosa mi aspetto io da voi? Che alla fine di questosemestre o del semestre successivo, chi abbia deciso di mettersi alla prova,mi presenti un lavoro scritto che sia all’altezza degli obiettivi formativi delcorso. Con la sua frequenza e soprattutto mediante il suo lavoro finale egliavra oggettivato se stesso, avra proiettato di fronte a se, nelle vesti di filosofo,se stesso. I nostri pensieri, che prima di ogni lavoro e di ogni riflessione cisembrano rappresentazioni piu o meno gratuite, quelle appunto che sempreciascuno di noi porta con se nella propria mente, che ciascuno pensa e ripensa,magari anche sogna, senza un ordine o un metodo ben preciso; questi pensierie queste idee, appunto, ciascuno di noi non puo opportunamente conoscere,

se non nella misura in cui sia anche capace di porseli in qualche modo da-vanti. Ed il modo che qui viene in particolare richiesto e il lavoro teoretico,l’espressione e la rappresentazione concettuali: nella fattispecie si tratta discrivere un piccolo saggio filosofico, di leggerlo e di valutarlo. Ciascuno dinoi e non solo l’autore ma anche il primo giudice della propria opera. Saraperaltro abbastanza difficile barare con se stessi. Potremmo magari essere ec-cessivamente severi o, al contrario, eccessivamente indulgenti verso noi stessi.Di solito corriamo questo rischio. Ma per mitigarlo, possiamo sempre sotto-

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porre la nostra opera al giudizio di un altro.

Abbiamo dunque due tribunali da affrontare. Tuttavia, in prima istanza,deve poter pesare il foro della propria coscienza, il primo giudizio. Ciascunodi voi, avendo oggettivato il suo pensiero in un lavoro scritto, avr a motivoed occasione di valutarlo, di giudicarlo innanzitutto da se, come suo primorisultato. Ed e augurabile che in tale sede, prima di esporlo al giudizio di unaltro (dell’insegnante, di un collega di studi, di un esperto, ecc.), egli stessopossa trovarlo onestamente “buono”, sulla scorta del Primo Creatore, il quale,essendo stato appunto il solo e l’unico, non ebbe altri termini di confronto. Inbreve, il vero obiettivo, diciamo anzi, l’ideale educativo e esattamente questamaturita di giudizio. Certo, trattandosi di un “ideale”, non si potra neppurepretendere di realizzarlo in pieno.

Io stesso, del resto, come insegnante di filosofia, non presumero di poterformare dei perfetti filosofi. Anzi, una delle prime cose che scoprirete eappunto che, cosı intesi, i filosofi e la filosofia non possono esistere, essendoentrambi dei puri ideali. Si potrebbe dire, con un bisticcio, che essi sussistono“solo” in quanto ideali, ossia come entita irreali ed irrealizzabili. In che sensonondimeno sussisterebbero come ideali? Si potrebbe forse scoprire che ancheil pensiero della non esistenza, in quanto pura idea, e lı per assolvere aduna qualche funzione. Grazie a questo ideale irrealizzabile, io potro magariavere un “valore” invariabile, un saldo termine di paragone, un criterio o uncanone per la mia capacita di giudizio, per valutare in che misura io stesso

nella realta mi saro avvicinato o allontanato da tale valore, che in quantoideale non e soggetto ad alcuna contingenza, variabilita, incostanza.Potro cosı valutare me stesso, questo mio primo saggio, questa mia tesina

reale, solo commisurandola alla tesina ideale. Anche con la migliore delle mieprestazioni io non avro realizzato l’ideale, ma proprio questa sua necessariaimperfezione sara per me motivo di sprone e di miglioramento. Lo stessodicasi per la figura del filosofo, del “saggio” per eccellenza. Se questo fosseun corso di filosofia pratica, o di etica filosofica, non pretenderei certo difare di voi dei “santi” o dei perfetti “stoici”, e neppure semplicemente direndervi “buoni” dal punto di vista morale. Mi basterebbe viceversa che inciascuno di voi si risvegliasse almeno l’ideale della saggezza, in misura tale

da permettervi di confrontare con esso anche la vostra piu intima intenzionemorale. E cio, in etica, spetta propriamente a ciascun individuo in primapersona. In effetti, come ci fa osservare Kant, il comportamento esterno,apparente, non necessariamente coincide con la vera intenzione dell’agentemorale.

Per esempio, sarei piu propenso a credere che voi siate ora, qui, in questasede universitaria, non per ragioni schiettamente morali, ma piuttosto perun vostro ben determinato interesse, che non e neppure lo stesso per tutti.

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Qualcuno di voi sara sinceramente interessato alla filosofia sul piano stretta-

mente teoretico, un altro sara forse maggiormente motivato da un interessepragmatico, sara magari spinto dall’ambizione o dall’utile, dalla convenienza,dalla necessita, da obblighi contratti in famiglia, in societa, o anche dal puropiacere, da una inclinazione caratteriale, in breve da mille altri validissimimotivi, ma non necessariamente dal “puro dovere di andare a lezione”, intesocome un dovere assolutamente incondizionato. Un dovere del genere sarebbeperaltro un classico esempio di cio che e discutibile in filosofia.

Riallacciandoci ora al punto specifico dei prerequisiti, io non rendero certoobbligatoria la mia personale introduzione ai problemi della filosofia moderna,anche se e facile presumere che per la sua impostazione in base a problemi,per lo stile, quella trattazione sia piu consona al modo con cui io faccio quilezione. Da cio tuttavia non deriva che voi siete in qualche modo tenuti aleggere e a studiare proprio quel libro. Dunque, per quanto riguarda i suddettiprerequisiti, siete liberi di scegliere qualunque altro manuale e strumento cheriteniate idoneo allo scopo.

Di seguito si dice:

E infine auspicabile, oltre alla padronanza della lingua italiana, laconoscenza di almeno una lingua straniera, preferibilmente il tedescoe il francese.

In verita, anche l’inglese, o altra lingua utile allo scopo. Forse potrebbe

suonare strano il richiamo alla padronanza della lingua italiana, essendonoi in Italia. Purtroppo il sottoscritto da professore di filosofia, quale vor-rebbe essere, rischia talvolta di trasformarsi in maestro elementare, vedendosicostretto ad emendare soprattutto le forme della espressione scritta, a cor-reggere ancora l’ortografia, le virgole, la grammatica, la sintassi. Non dirado un elaborato presentato come tesina scritta suona invece come un lin-guaggio parlato. Cio e forse ammissibile ancora nelle scuola secondaria, manon all’universita. Quanto poi alla padronanza della lingua italiana orale,qui non si deve intendere la “loquacita”. Certo, potranno esserci studentiparticolarmente chiacchieroni, ma non e il dono della parlantina cio che quideve prevalere. Quanto si ha da dire, poco o molto che sia, venga possi-

bilmente espresso in una forma “corretta”, rispettosa, per es., delle regoledella sintassi italiana, non gia di una sintassi arbitraria, escogitata lı per lı,spacciata magari come una “sintassi creativa”. In breve, non e un segreto eforse neppure un male che si debbano fronteggiare anche problemi di questotipo. Come sia poi possibile che uno studente italiano approdi all’universitacon carenze linguistiche persino in lingua italiana, e questione assai seria,che pero esula da questo corso. Essa tocca responsabilita che vanno al di ladelle mie, e forse anche delle vostre. Possiamo limitarci a constatare che il

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sistema educativo nel suo complesso ci pone di fronte anche a questo tipo

di problemi. Cio detto, quando essi sussistano, dobbiamo insieme trovare ilmodo piu efficace per risolverli.

Per quanto concerne le altre lingue, si trattera intanto di rispolveraree di valorizzare le competenze acquisite nella scuola secondaria superiore.Rispetto al mondo delle lingue straniere e al loro studio, avrete ora un ap-proccio ed una motivazione del tutto diversi, soprattutto, direi, piu maturi.Infatti queste conoscenze linguistiche saranno ora strettamente correlate aivostri interessi filosofici, a cominciare dai testi primari (“originali”), sui qualidovrete imparare a lavorare e della cui importanza vi renderete ben prestoconto. Io stesso, entro i limiti dei miei obiettivi formativi, vi stimolero ad im-boccare questa direzione, vi introdurro a questo tipo di esperienza. Capiteraspesso, nel commentare un testo cassireriano tradotto in lingua italiana, cheio mi soffermi su tale o talaltra parola, la confronti con l’originale tedescoo con altre possibili traduzioni italiane. Cio avverra non per un eccesso dipedanteria, ma per esigenze ermeneutiche e, in definitiva, profondamentefilosofiche. Ogni pensiero ha la sua lingua, ed ogni lingua un suo pensiero.Nel caso di Cassirer la lingua e il tedesco.

Cio comporta forse che tutti noi dovremmo padroneggiare anche questalingua straniera? Non necessariamente, benche lo studente “ideale” non esi-terebbe ad includere questo obiettivo formativo tra i suoi compiti ed i suoidoveri. Anche in questo caso, tuttavia, tra il nulla e la perfezione si estende la

scala infinita dell’esperienza possibile. Del resto, sarebbe pretendere troppo ilvolerci dispensare da questa necessaria fatica, senza della quale non sarebbestata possibile alcuna traduzione e neppure la stessa tradizione filosofica,la quale — si potrebbe sintetizzare in una sola battuta — altro non e chel’arte di preservare il medesimo nel diverso. Non sempre cio e possibile. Iproblemi linguistici non riguardano solo gli specialisti del linguaggio e nep-pure i rapporti tra le lingue moderne. Come vedremo, essi sono centralied importanti nel pensiero di Cassirer, ma anche nello stesso Kant, il qualeha dovuto tradurre nel suo tedesco settecentesco dei pensieri o dei concettiche hanno una lunghissima storia, che sono a loro volta stati veicolati dallatino accademico e prima ancora dal greco classico. Lavoro improbo, ma

non impossibile.In verita, cio che in comune hanno le lingue, oltre alla insuperabile di-

versita, che ce le rende cosı ostiche, e la loro forma simbolica, grazie allaquale esse possono sussistere per noi, felicemente e provvidenzialmente, comepuro linguaggio. Ne consegue, da questo punto di vista, che la conoscenzaadeguata delle principali strutture della propria lingua — nel nostro casodell’italiano, della sua morfologia, grammatica e sintassi — puo diventare lachiave di accesso ad ogni altra lingua. Dal loro costante e continuo confronto

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— dovremmo fare di tale frequenza il nostro pane quotidiano — emergera

con chiarezza quale particolare direzione ciascuna lingua abbia dovuto per-correre per applicare la logica alla realta, per assicurare alle pure categoriedel pensiero una loro concrezione nell’universo della espressione e della rap-presentazione linguistica.

Da tutto cio consegue che l’apprendimento di una lingua straniera nonsi risolvera mai in una passiva imitazione o riproduzione di suoni e gesti lin-guistici, alla maniera del pappagallo e della scimmia, anche se queste abilit apotranno talvolta rivelarsi utili e necessarie. Si trattera piuttosto di com-prendere, per esempio, in quali modi il tedesco, il francese, l’inglese, a dif-ferenza dell’italiano, abbiano affrontato il problema della rappresentazionedelle relazioni spaziali e temporali, tentato di fissare le determinazioni quan-titative e qualitative degli oggetti, di consolidare i rapporti “cosa-proprieta”,“causa-effetto”, ecc.; come ciascuna di quelle lingue interpreti ed esprimai valori modali, i piani del possibile, del reale, del necessario. In breve,l’apprendimento di una lingua straniera, non e solo questione di lessico (listeinfinite di parole e di espressioni da memorizzare in modo passivo o mec-canico), bensı piuttosto questione di logica applicata all’espressione (anchequi, soluzione attiva e creativa di problemi). Se e vero che ogni filosofo nonpotra che pensare nella propria lingua, un’attenta ed assidua frequentazionedel suo modo di pensare ci consentira allora di ricreare con facilita, magaridi anticipare, di “indovinare” anche il suo modo di parlare e di scrivere.

Ultimo punto:Indispensabile e invece una competenza informatica minima, per

un uso del computer e della videoscrittura adeguato agli obiettivi for-mativi del corso.

Qui si tratta di conoscere i programmi di scrittura (Word o altro), lemodalita di stampa, l’uso delle tecniche di impaginazione, la formattazione(creazione di paragrafi, allineamento e giustificazione del testo, note a pie dipagina, numeri di pagina, corsivi, caratteri speciali, tipi di “font”). In breve,la padronanza richiesta per il rilascio del “Patentino europeo”.

Per oggi mi fermo qui. Riprenderemo domani l’illustrazione generale degliobiettivi formativi e dei contenuti del corso.

Vi informo, infine, che anche quest’anno, come gia ho fatto nel recentepassato, intendo registrare tutte le mie lezioni. Queste verranno raccolte inun apposito dischetto e rese pubbliche alla fine di ogni semestre.

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2 Lezione Seconda (07.10.2008): Preliminari

sulla Filosofia delle forme simboliche

Ho cercato ieri di presentare i propositi di questo insegnamento. Non e statopossibile farlo in maniera esauriente in una sola ora. Mi propongo nellalezione odierna di completare questo mio intento di ieri. Mi sono ieri dilun-gato a sufficienza sui prerequisiti, dunque non ritornero su questo punto. Oggivorrei innanzitutto dire qualcosa sul primo punto del programma, riguardantela “presentazione generale del corso”. Mi soffermero dapprima sul contenutovero e proprio di esso. In seguito vedremo come questo contenuto si svilup-pera: si trattera di capire quale forma dare a tale contenuto. Come potete voi

stessi constatare, comincio col separare un contenuto da una forma, ma nellostesso tempo non ignoro che questa distinzione e fissata in modo analitico,a un certo livello di astrazione. In effetti, sul piano strettamente fenomeno-logico — nell’atto concreto di questo mio discorrere qui con voi —, risultaimpossibile parlare di un contenuto senza gia dargli una certa forma, cosıcome altrettanto impossibile parlare di una forma, se questa forma e comple-tamente vuota. Ci dovra sempre essere un contenuto capace di dare corpo auna forma; e, viceversa, una forma capace di dare senso a un contenuto. Giada questa prima distinzione — e da questa mia stessa difficolta nell’avviareil discorso — ci accorgiamo che il nostro parlare e alquanto metaforico, nelsenso che esso non si riferisce alla cosa cosı come questa effettivamente e

o vorrebbe essere. Su questa questione del rapporto tra materia e formaci dovremo intrattenere piu in la. Al momento vi sto facendo notare comesubito, fin dalle prime battute di queste mie lezioni, io mi imbatta nel pro-blema di associare alla trasmissione dei contenuti una certa forma. Dunqueil mio problema all’inizio di un corso — come il vostro nel progettare unatesina — potrebbe essere cosı formulato:

Nella presente occasione, quale forma e preferibile dare al contenuto deimiei pensieri, in modo che la loro esposizione risulti il piu possibile opportunaed efficace?

In breve, scelgo la soluzione piu semplice: dovro accontentarmi, nella pre-

sente occasione, di un banale riassunto. Ora, non si puo ottenere un riassuntosenza disporre di capacita sintetiche. Ma, se operare una sintesi e certamentenecessario, cio non e tuttavia sufficiente per ottenere il riassunto. Occor-rerebbe infatti poter distinguere dapprima i contenuti principali, gli elementidegni di essere evidenziati e riferiti, dai contenuti secondari, trascurabili omeno importanti ai fini della sintesi. Ma ogni distinzione di questo tipo pre-suppone l’uso delle funzioni analitiche e della riflessione. L’arte dell’analisiconsiste appunto nel distinguere una cosa dall’altra all’interno di un tutto

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dato e nel giudicare, ai fini del discorso che si vuole presentare, quale possa

essere la parte indispensabile e quale la parte trascurabile. Questo e cio chemi accingo a fare io adesso, e questo e anche cio che — presumo — faretevoi stessi alla fine del corso, quando, passando in rassegna la totalita disor-ganica delle conoscenze acquisite (i vostri appunti mentali), dovrete definireanaliticamente quali sono le piu significative ai fini dell’argomento scelto peril vostro lavoro di tesina e quali invece non lo sono. Soltanto sulla base diqueste scomposizione analitica interviene poi la ricomposizione sintetica deltutto. Cio detto, tuttavia, non vi nascondo che sarebbe altrettanto legittimoasserire il contrario, ossia che non e possibile analizzare nulla che prima nonsia stato in qualche modo gia congiunto.

Indugio, all’inizio, su queste nozioni elementari, forse anche scontate permolti di voi, per incoraggiarvi ad un ascolto attento e riflessivo. Se preferite,potete anche prendere appunti durante la lezione; e non esitate ad inter-rompermi con un’alzata di mano, qualora non fosse chiaro cio che vado di-cendo.   E bene dilucidare sul nascere i punti oscuri. Se ora mi soffermoancora sul riassunto, sull’arte dell’analisi e della sintesi, e perche una dellepratiche che io potrei sollecitare in questa sede — se sara opportuno e pos-sibile, magari piu in la, quando il corso sara stato avviato e saremo tuttipiu affiatati — consiste appunto nel riassumere brevemente all’inizio di ogninuova lezione i contenuti essenziali della lezione precedente. In tal modo sarapossibile rimediare in parte al problema della discontinuita nella frequenza

delle lezioni. Questo e un problema mio, ma anche vostro.   E probabile chegli studenti presenti oggi non siano gli stessi di ieri: fenomeno inevitabile egiustificabile, quando gli orari dei differenti corsi si sovrappongono. Comesara allora possibile ricuperare gli assenti, aggiornare i presenti, garantire inpartenza almeno la parita dell’informazione?

Potrei io stesso, certo, iniziare la mia lezione con un breve richiamo dellecose dette in precedenza. Tuttavia sarebbe auspicabile che anche qualcuno divoi, in modo volontario, si assuma di volta in volta l’onere del riassunto. Oltreche un ottimo esercizio personale, sarebbe questo, soprattutto se attuatoa rotazione, un servizio che ciascuno rende liberamente agli altri. Facciodunque appello al vostro senso di responsabilita: sappiate che, all’inizio della

lezione, potra essere qualcuno di voi chiamato a riassumere per tutti — ipresenti, gli assenti, i sordi, i distratti, gli smemorati — i contenuti principalidella lezione precedente, ovvero a fare per cosı dire il punto della situazione.Si tratta, in breve, di acquisire delle buone abitudini con l’esercizio:

•  rimanere il piu possibile attenti durante la lezione;

•   sviluppare le vostre capacita ricettive, le vostre funzioni analitiche esintetiche anche nel prendere appunti scritti o mentali;

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•  potenziare soprattutto la vostra capacita attiva di riassumere in forma

concisa e pertinente, dopo un giorno o dopo una settimana, la trat-tazione precedente.

Pur modesta, questa pratica costituisce gia di per se un esercizio filosofico.Essa vi impegna personalmente e soprattutto vi vincola agli altri, poiche intal modo si mette in moto una sorta di circolazione del pensiero, la quale,peraltro, servira a tenere viva l’attenzione generale e consentira soprattuttoa me di misurare anche in senso qualitativo il grado della vostra presenza.

Oggi pero spetta in primo luogo a me il compito, non facile in verita,di illustrarvi in poche parole, e tuttavia in maniera efficace e pertinente, incosa consista la “Filosofia delle forme simboliche” fondata e sviluppata da

Ernst Cassirer. A tal fine non potro far di meglio che leggere e commentareuna breve parafrasi di un testo redatto dallo stesso Cassirer, il quale hadovuto, anche lui, affrontare e risolvere il medesimo problema del riassunto.Gli e capitato piu volte nel corso della sua lunga esperienza, in veste sia diprofessore (nelle sedi universitarie), sia di intellettuale mondano, di filosoforiconosciuto ed affermato, che espone al pubblico giudizio le proprie idee (neisuoi libri, in innumerevoli articoli, saggi, conferenze, in Germania, in Europa,in America). Dovendosi spesso rivolgere ad un uditorio che, al pari di voi,non necessariamente e gia al corrente delle sue ricerche in campo filosofico,egli stesso avverte il dovere di riassumerne in poche parole, a chi lo ignori,il contenuto ed il senso essenziali. Compito, come si e detto, non affattosemplice e facile. Leggiamo dunque direttamente una delle risposte forniteda Cassirer:

La Filosofia delle forme simboliche  tenta di seguire la strada della“filosofia critica” indicata da Kant. Non vuole partire da una propo-sizione generale e dogmatica sulla natura dell’essere assoluto, ma essapone in modo preliminare la questione su cosa significa in generalel’affermazione su un essere, su un “oggetto” della conoscenza, e perquale via e attraverso quali strumenti puo essere raggiungibile e ac-cessibile in generale l’oggettivita. La superba ontologia deve lasciareun posto, piu modesto, ad una semplice analitica dell’intelletto puro

e ad una fenomenologia della coscienza linguistica, estetica, teoretica.Di fronte al “fatto delle scienze dello spirito”, allo sviluppo prodigiosodelle scienze linguistiche, delle scienze religiose, delle scienze artistiche,la filosofia deve ora assolvere il compito di estendere la sua criticaall’intero ambito della “comprensione del mondo” [Weltverstehen ], didistinguerne le possibili “modalita”, di scoprire le diverse potenze, lefondamentali forze spirituali, che concorrono a renderla possibile.1

1Cfr.   E. Cassirer,  Sulla logica del concetto di simbolo   (1938), in   K. Marc-Wogau

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Riprendiamo ed approfondiamo ora il brano in modo analitico:

La Filosofia delle forme simboliche  tenta di seguire la strada della“filosofia critica” indicata da Kant.

Fin dalla prima frase abbiamo a che fare con un filosofo che si richiamaesplicitamente a Kant. Sarebbe tuttavia opportuno precisare che egli pre-senta se stesso come un filosofo “kantiano”, o “neokantiano”, piu che comeun erudito “kantista” (mi si perdoni questo brutto termine). Chiariamo in-nanzitutto quale potrebbe essere la differenza tra un kantista ed un kantiano.O, se preferite un esempio analogo, tra un marxista e un marxiano. Per amordi coerenza — si sa — il fondatore del marxismo preferı dare testimonianza

di se sempre nel nome di Karl Marx, piuttosto che in nome del “marxismo”,perche chi produce e manifesta la propria identita, nella dialettica del muta-mento, non necessariamente e anche un seguace o un imitatore di se stesso.In tal senso, tutto cio che e attribuibile al pensiero dell’autore, rendendonepossibile l’individuazione, sarebbe da definire a rigore “marxiano” (= propriodi Karl Marx o della sua autentica dottrina), piu che “marxista” (= propriodei suoi seguaci o degli interpreti del suo pensiero). Lo stesso varra ancheper Immanuel Kant.

Cosa implica dunque essere fedele al pensiero di un Autore? Ci potraessere una tradizione scolastica, il cui compito e la conservazione e perpetu-azione delle opere del Maestro, la ripetizione e l’osservanza minuziosa delle

cose dette da Lui, con spirito non necessariamente critico:   ipse dixit ! Ma sipuo anche essere interpreti degni o anche continuatori del lavoro iniziato dalmaestro, appunto perche ogni autentica opera della cultura umana, una voltaoggettivata e licenziata dall’autore, non e piu propria solo dell’autore, bensıpropria di tutti, essendo ora a disposizione di tutti. In tal senso l’“opera cul-turale” diventa un patrimonio universale dell’umanita, di cui ciascuno devepoter liberamente disporre entro i limiti ed i fini del mondo della cultura. Diconseguenza tra i seguaci di Kant si potrebbe ben distinguere tra quelli cheprivilegiano esclusivamente la lettera e quelli che, pur rispettando la lettera,cercano di onorarne innanzitutto lo spirito.

Nel caso di Cassirer, noi abbiamo a che fare con un filosofo che indub-biamente si ricollega alla tradizione della filosofia di Kant, ma non indulgetroppo agli aspetti strettamente filologici. Egli non sacralizza i testi, ne siadagia (“addormenta”) dogmaticamente su di essi. Pur rispettando la let-tera, mira sempre a interpretarne lo spirito. Cassirer e innanzitutto editoredi Kant, ha curato e pubblicato con altri collaboratori una edizione critica

- E. Cassirer,  Disputa sul concetto di simbolo. La discussione sulla rivista “Theoria”(1636-1638), a cura di Annanella d’Atri, Edizioni Unicopli, Milano 2001, pp. 157-159.

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sui cartelli stradali o sui piloni delle nostre autostrade, campeggia la scritta

DIO C’E, potremmo da filosofi domandare: Questa pretesa cosı forte e an-che fondata? A chi spetta decidere? Kant dimostra che l’unica sede, l’unicaistanza competente ed a cio legittimata altro non possa essere che la stessa ra-gione che ha formulato quel giudizio. Ma ad un’unica condizione: sospendereogni contesa metafisica per avviare un’indagine preliminare sull’uso e sui li-miti delle nostre facolta. La strada della “filosofia critica” indicata da Kantdovra di conseguenza ripercorrere in lungo e in largo l’intera sfera del sapere,prima di ritrovare se stessa.

Ora, se il criterio di valutazione di un’opera e l’intenzione (il programma,il progetto) che l’ha resa possibile, si trattera allora di appurare se (e inquale misura) Kant sia riuscito a realizzare cio che si prefiggeva. Quale chepossa essere la risposta, positiva o negativa, si trattera in ogni caso di darneanche una dimostrazione, non solo sul piano storico, ma anche sul pianofenomenologico. In realta, come ogni essere umano, anche il filosofo tende atrascendere la propria esistenza, ovvero persegue spesso obiettivi che vannoben al di la delle sue forze. La nostra mente e tendenzialmente traboccanterispetto alle nostre disposizioni fisico-naturali, alla nostra esistenza spazio-temporale. Apparteniamo tutti, in quanto individui, ad un certo mondostorico, ad una certa epoca, che necessariamente limita e condiziona ogninostra aspirazione. In quanto filosofo critico, Kant era, piu di chiunquealtro, ben consapevole dello scarto esistente tra l’ideale e il reale.

In verita, un filosofo critico si contraddistingue per il fatto che nel corsodel suo fare egli si rende abbastanza conto delle ragioni che possono impedireo incoraggiare gli slanci del pensiero, egli sara pertanto in grado di frenare ifacili entusiasmi, ma anche di superare le difficolta. La vita e le opere di Kantattestano ampiamente questo modo di procedere. La Seconda Critica integraed aggiorna la Prima Critica, la Terza Critica integra e aggiorna la SecondaCritica, la Filosofia della religione integra e aggiorna la Filosofia della storia,l’Antropologia . . . : nel cantiere della filosofia i lavori sono perpetuamente incorso, per definizione l’opera non e mai definitiva. Da questo punto di vistaessere kantiani dopo Kant significa proseguire ed aggiornare il programma diKant.

Sul finire del secolo XVIII la filosofia critica di Kant mira innanzituttoa confrontare la metafisica (la “superba ontologia”) con la scienza esatta. Ilsuo problema di partenza e rappresentato dalla crisi generale della filosofiain quanto tale (primo  Faktum   da giustificare): un tempo la filosofia era laregina di tutti i saperi, mentre oggi — deve amaramente constatare Kant —la vediamo mendicare agli angoli delle strade, vecchia matrona, espulsa dalsuo regno, senza arte ne parte, soprattutto priva di mezzi. Basta guardarsiintorno. Cosa e rimasto del glorioso edificio della filosofia? Rovine, cumuli

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di macerie, castelli distrutti.

Questa penosa situazione rende la filosofia non piu degna del suo stessonome. A causa di una malintesa concezione della pratica filosofica, la nor-male dialettica della conoscenza scientifica, che dovrebbe legittimare e garan-tire la diversita delle opinioni e la molteplicita dei punti di vista, finiscecol degenerare in uno stato permanente di guerra guerreggiata. Primi re-sponsabili di questo generalizzato disastro sono agli occhi di Kant i filosofistessi. Trincerandosi reciprocamente dietro concezioni dogmatiche (spesso“metafisiche”) della verita, le varie scuole filosofiche si delegittimano a vi-cenda e si sentono anche in diritto di cannoneggiare e distruggere le posizionidell’avversario. Il sereno confronto delle idee e la civile disputa scivolanoprogressivamente verso la polemica filosofica. In breve, si potrebbe anchedire — con un caratteristico gioco di parole preso in prestito da Karl Marx— che alle “armi della critica” subentri qui progressivamente la “criticadelle armi”, dove l’uso polemico della ragione viene inteso e praticato nelsenso primario, prefilosofico del termine (p´ olemos  = combattimento, guerra= confutare, invalidare le idee dell’avversario, senza esclusione di colpi econ tutti mezzi possibili, al fine di affermare la presunta verita della pro-pria posizione). Poiche pero, essendo unica, la filosofia non puo distruggereparte alcuna della filosofia, senza distruggere anche se stessa, ecco che l’esitodi ogni guerra condotta in questi termini altro non potr a essere che questadesolazione spettrale di ruderi e di rovine.

Nei primi capoversi della Prefazione alla prima edizione della Critica della ragione pura   (1781), Kant espone con chiarezza ed efficacia i termini delproblema, la sua origine e le sue conseguenze:

In un genere delle sue conoscenze, la ragione umana ha il parti-colare destino di venir assediata da questioni, che essa non pu o re-spingere, poiche le sono assegnate dalla natura della ragione stessa,ma alle quali essa non puo neppure dare risposta, poiche oltrepassanoogni potere della ragione umana.

Essa incorre in questo imbarazzo senza sua colpa. Muove da propo-sizioni fondamentali, il cui uso e inevitabile nel corso dell’esperienza edinsieme e da questa sufficientemente convalidato. Con tali proposizioniessa sale sempre piu in alto (come in verita richiede la sua natura), acondizioni piu remote. Ma poiche si accorge, che a questo modo la suaattivita deve rimanere ognora senza compimento, poiche le questioninon cessano mai di ripresentarsi, essa si vede allora costretta a rifu-giarsi in proposizioni fondamentali, che oltrepassano ogni possibile usodi esperienza e nondimeno sembrano tanto superiori ad ogni sospetto,che anche la comune ragione umana si trova d’accordo su di esse. Cosıfacendo tuttavia essa cade in oscurita e contraddizioni, dalle quali a

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dire il vero puo inferire, che alla base debbono sussistere da qualche

parte errori nascosti; essa non puo tuttavia scoprirli, poiche le propo-sizioni fondamentali, di cui si serve, non riconoscono piu alcuna pietradi paragone nell’esperienza, dal momento che oltrepassano il confinedi ogni esperienza. Ebbene, il campo di battaglia di questi contrastisenza fine si chiama  metafisica.3

Senza preamboli, Kant entra subito nel vivo dell’argomento principaledella   Critica . Il genere di conoscenze e di questioni, cui qui si allude, sonoquelle tradizionali della cosiddetta “metafisica” (= al di la della fisica):

•  Il mondo ha un inizio nel tempo?

•   Riguardo allo spazio, il mondo e racchiuso entro limiti?

•  Le sostanze composte, nel mondo, constano di parti semplici?

•  E possibile trovare da qualche parte, nel mondo, qualcosa di non ulte-riormente scomponibile?

•   La volonta umana e libera?

•  Nel mondo, tutto accade unicamente secondo le leggi della natura?

•  Esiste, nel mondo, o fuori del mondo (come sua causa), un ente asso-

lutamente necessario?

•  Esiste un Dio?

•  L’anima e immortale?

Posta di fonte alla molteplicita, varieta e talvolta anche alla baraondadelle esperienze, la ragione non puo fare a meno di ricercare principı generalie di raccoglierli in teorie scientifiche piu complesse. Cosı, riconducendole adun fondamento il piu possibile unitario, essa spera di introdurre un possi-bile ordine nelle cose del mondo. Finche il principio individuato fa partedell’esperienza, esso puo da questa essere anche convalidato. Tuttavia, nonessendoci nell’esperienza nulla che non sia suscettibile di essere condizionatoa sua volta da qualche altro elemento dell’esperienza stessa, quest’ultimanon potra mai offrire alla ragione un principio esplicativo capace di appagarela sua naturale spinta verso principı assolutamente ultimi, incondizionati,vale a dire principı non piu condizionati da altri principı. Cosı la ragione,

3I. Kant,  Critica della ragione pura , traduzione e note di Giorgio Colli, Adelphi Edi-zioni, Milano, 1976, p. 7.

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spontaneamente, finisce col cercare, e spesso si illude anche di trovare i suoi

principı ultimi, di la dall’esperienza, trascendendola.La ragione — sottolinea Kant — entra in conflitto con se stessa senza

sua colpa. In effetti, se il principio esplicativo dell’esperienza e posto as-solutamente al di la della esperienza stessa, e un controsenso l’appellarsi aquest’ultima al fine di confutarlo o anche di dimostrarlo come vero. Non po-tendo naturalmente aspettarsi mai ne smentite, ne conferme da un eventualericorso all’esperienza, su ciascuna delle grandi questioni metafisiche sopramenzionate, la ragione ha allora, non solo la capacita, ma anche il pienodiritto di rispondere tanto affermativamente, quanto negativamente. Conargomenti in apparenza inoppugnabili la ragione puo ammettere, per esem-pio, tanto la limitatezza, quanto la illimitatezza dell’universo spaziale. Essainoltre sembra dover assistere impotente alle dispute senza fine tra i sosteni-tori degli opposti partiti filosofici, trattandosi essenzialmente di un conflittointerno alla ragione in quanto tale. Di qui il suo senso di impotenza e il suograve imbarazzo.

Di qui anche la crisi della metafisica:

Vi fu un tempo, in cui essa era chiamata la  regina di tutte le scienze,e se si considerano le intenzioni come fatti, essa meritava certo questonome onorifico a causa dell’importanza preminente del suo oggetto.Ora la moda dell’epoca e incline a dimostrarle un totale disprezzo, ela matrona si lamenta, scacciata ed abbandonata, come  Ecuba:   modo

maxima rerum, tot generis natisque potens — nunc trahor exul, inops (Ovid.   Metam .).4

Da principio, sotto il governo dei   dogmatici, il suo dominio eradispotico. Tuttavia, poiche la legislazione conservava in se la tracciadell’antica barbarie, essa degenero man mano attraverso guerre inte-stine sino ad una totale   anarchia, e gli  scettici, una specie di nomadi,che aborriscono da ogni durevole colonizzazione della terra, scompag-inarono di tempo in tempo la consociazione civile. Dato pero checostoro non erano per fortuna se non pochi, essi non poterono im-pedire, che quegli altri tentassero ogni volta di ricostituirla di nuovo,per quanto senza un piano su cui fossero concordi. In tempi piu recenti,

a dire il vero, parve una volta, che tutti questi contrasti dovesserofinire mediante una certa  fisiologia dell’intelletto umano (per opera delfamoso  Locke), e che la legittimita di quelle pretese dovesse venir giu-dicata definitivamente; peraltro, sebbene la nascita di quella presuntaregina venisse derivata dall’origine plebea dell’esperienza comune, enonostante che in tal modo la sua presunzione dovesse a buon diritto

4Fino a poco tempo fa la piu grande fra tutte, di natali cosı nobili e con tanti figli —adesso vengo trascinata via, esule e impotente.

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diventare sospetta, risulto tuttavia che essa manteneva ancor sempre

le sue pretese, dato che questa  genealogia   in realta le era stata at-tribuita falsamente. Cosı tutto ricadde un’altra volta nell’antiquato,tarlato   dogmatismo, e di qui nel discredito, onde si era voluto trarfuori la scienza. Ora, dopo che sono state tentate invano tutte le vie(come si e persuasi), regnano la svogliatezza ed un totale   indifferen-

tismo: il che e madre del caos e della notte nelle scienze, ma e insiemel’origine, per lo meno il preludio, di un vicino mutamento radicale edi un rischiaramento delle medesime, se e vero che esse sono divenuteoscure, confuse ed inservibili, per una diligenza male applicata.5

In questo capoverso, viene delineata da Kant, per grandi linee, la vicendaciclica del pensiero moderno, dalla notte delle scienze al loro “rischiaramento”(illuminismo). Nel campo di battaglia della metafisica, il dispotismo dog-matico (vale a dire, la metafisica razionalistica rappresentata da Descartes,Spinoza, Malebranche, Leibniz e Wolff), a causa delle prolungate dispute in-terne, produce il doppio effetto della “anarchia” e della ricorrente reazione“scettica”, la quale spiana la strada ai primi tentativi di mediazione da partedegli empiristi (gli studi di Locke sulla natura o “fisiologia” dell’intellettoumano, il quale, respinto ogni innatismo, tenta di ricondurre ogni conoscenzaall’esperienza, esterna o interna). Ma i compromessi spiccioli dell’empirismonon fanno che rilanciare le fortune dei dogmatici. E cosı il ciclo ricomin-cia, provocando la diffusa, quanto superficiale reazione antimetafisica tipica

dell’ideologia popolare illuministica (“un totale indifferentismo”).Con la crisi della metafisica viene meno anche l’unita del sistema del

sapere: scienze che per tradizione facevano parte della filosofia (per esempiola logica, la matematica, la fisica, le scienze naturali, per non parlare anchedi altre conoscenze connesse all’esercizio delle arti, come la medicina), presoatto dell’arroganza della filosofia, si sono progressivamente staccate da questae messe in proprio.

Si assiste ad un silenzioso esodo dalla filosofia. Nascono e si sviluppanonuovi saperi, tecniche e metodologie che nulla piu hanno a che fare con iprogrammi e con le intenzioni della filosofia. Il risultato, agli occhi di Kant,e che tali forme di conoscenza hanno saputo conquistare dignita, prestigio, si

sono costituite come scienze, e come tali vengono universalmente riconosciute.Il campo della filosofia invece, rispetto a questi nuovi e floridi edifici, apparecome un deserto di rovine. Kant nella   Critica  si riferisce innanzitutto aglisviluppi della matematica pura e della matematica applicata alla conoscenzadella natura, alla fisica pura e alla fisica applicata — stiamo parlando diquella stagione fortunata che da Galilei conduce fino a Newton.

5Critica della ragione pura , cit., pp. 8-9.

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Cosa dovrebbe fare la filosofia in tale situazione?

1. Accettare lo stato di fatto, smettere di pensare come filosofia, rinun-ciando cosı alla propria dignita?

2. Assoggettarsi ai nuovi saperi, mutuare da questi (in particolare dallamatematica) le tecniche d’indagine ed il metodo, rinunciando cosı allapropria autonomia?

Kant scartera con decisione entrambe le alternative: le rirerra imprati-cabili, sbagliate e, soprattutto, subalterne, non adeguate alla dignita dellafilosofia. Dov’e dunque il merito di Kant? Nell’aver saputo ridare vigore e

slancio alla filosofia, rifondandone dall’interno il campo, il metodo ed il fine.In breve: nell’avere non solo indicato e percorso, bensı aperto per primo,tracciato per la prima volta la strada della “filosofia critica”:

Filosofia   critica   e quella che non inizia   tentando   di erigere o diabbattere sistemi, o (come fa il moderatismo) tentando di limitarsi adappoggiare sui pilastri un tetto senza una casa, al fine di cercarvi unoccasionale riparo; e quella, invece, che inizia a fare la sua conquista(qualunque ne sia l’intento) muovendo dall’analisi del  potere  della ra-gione umana, e che non si mette a ragionare a vanvera quando s’haa che fare con filosofemi che non possono trovare la loro conferma innessuna esperienza possibile.6

Come viene dal kantiano Cassirer interpretata e valutata questa impor-tante rinascita filosofica?

La Filosofia delle forme simboliche  [. . . ] non vuole partire da unaproposizione generale, di tipo dogmatico, sulla natura dell’essere as-soluto, ma essa pone preliminarmente la questione su cosa significa ingenerale l’affermazione su un essere, su un “oggetto” della conoscenza,e per quale via e attraverso quali strumenti puo essere raggiungibilee accessibile in generale l’oggettivita. Kant lo ha cosı espresso: ifondamenti dell’intelletto sono puri principı dell’esposizione delle ap-parenze: “il superbo nome di ontologia che si arroga il diritto di fornirein generale una conoscenza sintetica a priori delle cose in una dottrinasistematica . . . deve lasciar un posto, piu modesto, ad una sempliceanalitica dell’intelletto puro”.7 Questa analitica, secondo lo stato dellascienza che Kant aveva davanti, e che egli assume come situazione

6I. Kant,   Annuncio dell’imminente conclusione d’un trattato per la pace perpetua in 

 filosofia   (1796), in   I. Kant,   Scritti sul criticismo, a cura di Giuseppe De Flaviis, EditoriLaterza, Bari, 1991, p. 280.

7Critica della ragione pura , cit. p. 320.

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di base, era in prima linea riferita alla scienza esatta, al fatto della

matematica, ed alla scienza matematica della natura. Per essa er-ano valide le prime e fondamentali ricerche della  Critica della ragione pura . Questa sfera progressivamente si allargo fino a quando, con laCritica della facolta di giudizio, vennero ad occupare il centro dellatrattazione, con il problema della vita, i concetti fondamentali e lepremesse della conoscenza biologica.8

Essenziale dal punto di vista di Cassirer e stata, nell’epoca di Kant,l’applicazione del metodo critico (del “metodo trascendentale”) al duplicefatto

1. della crisi della ontologia;

2. del progresso delle scienze matematiche e fisiche.

A tali fatti corrispondono i due problemi filosofici, complementari ed in-scindibili, con cui si apre la  Critica della ragione pura :

1. Come e possibile la metafisica in quanto scienza?

2. Come e possibile la matematica pura? Come e possibile la scienzanaturale pura?

La filosofia critica non mette in discussione il fatto (quid facti ), ovverole pretese di verita accampate rispettivamente dalla metafisica da un lato,dalla matematica e dalla scienza naturale dall’altro lato, bensı, preso attodel fatto, essa si interroga sulle condizioni logico-trascendentali che lo hannoreso possibile (quid iuris ): l’indagine critico-trascendentale vuole stabilire sequelle pretese sono anche fondate e giustificabili sul piano giuridico, ovveronel foro della ragione pura.

Non bisogna tuttavia confondere le condizioni empiriche di un fatto (lasua origine, le cause che lo hanno realmente occasionato nel tempo e nellospazio) con le condizioni trascendentali del medesimo (i principı logici che nedeterminano la pura possibilita, indipendentemente dalla sua realizzazioneeffettiva). Questa distinzione e indispensabile per delimitare il terreno ed il

livello specifici su cui opera la riflessione critico-trascendentale, la quale none riducibile ne al piano empirico-psicologico, ne alla dimensione metafisico-speculativa.

Prima di chiarire con un semplice esempio questa importante distinzionee questo intreccio di relazioni tra i diversi piani della considerazione filosofica,consentitemi di citare le parole con cui Kant inizia la sua Prefazione ai  Pro-

legomeni :

8E. Cassirer,  Sulla logica del concetto di simbolo, cit., pp. 157-158.

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Questi Prolegomeni non sono fatti ad uso di scolari, ma di futuri

maestri; ed anche per questi ultimi non devono servire affatto ad in-quadrare l’esposizione di una scienza gia esistente, ma proprio a farlatrovare.

Vi sono dei dotti che hanno come propria filosofia la storia dellafilosofia (sia antica che moderna); non sono scritti per loro i presentiProlegomeni. Essi devono attendere che coloro che si studiano di at-tingere alle fonti stesse della ragione, abbian conclusa l’opera loro;allora tocchera ad essi di dare al mondo notizia dell’accaduto. [. . . ]

Mio proposito e persuadere tutti coloro che credono valga la penadi occuparsi di metafisica, che e assolutamente necessario sospendereprovvisoriamente il loro lavoro e considerare come non avvenuto tutto

cio che finora si e fatto in metafisica, per porre innanzitutto la qui-stione: “se qualcosa come la metafisica sia, in generale, anche soltantopossibile”.9

Un giornalista della ragione, direbbe Kant, non produce alcun fatto diragione, si limita ad attendere che l’opera dell’autentico filosofo e del verouomo di scienza sia compiuta, per annunciarne al mondo il semplice evento:per es., la pubblicazione dei  Principia  di Newton.10

Uno storico o un biografo cercherebbero le condizioni che hanno resopossibile l’evento culturale in qualche altro fattore concomitante della vitae della formazione dell’autore, ovvero nella serie dei fatti spazio-temporali

precedenti, come farebbe l’indagatore della natura, per il quale ogni effetto(E) ha senso solo se correlato alla serie causale (C) che lo ha determinato. Unsociologo della cultura includerebbe nella sfera di indagine anche i fattori am-bientali, nazionali, socio-economici, ecc. Uno psicologo farebbe ovviamentevalere anche le particolari doti intellettive e il carattere personale del SignorIsaac Newton.

Avremmo in questo modo compreso il significato ed il valore strettamentefilosofico dei  Principia  di Newton? Certamente no!

Il metodo trascendentale, certo, non disdegna questo tipo di indagini, lequali possono talvolta risultare necessarie ed utili per l’esatta determinazionee definizione dei fatti. Esso tuttavia non puo ritenerle anche sufficienti, perche

quelle indagini si limitano a dedurre empiricamente il  quid facti  da un altroquid facti . Si tratta, invece, di risalire al  quid iuris , ossia a una condizione apriori puramente trascendentale, la quale, in quanto tale, non e riducibile ad

9I. Kant,   Prolegomeni ad ogni futura metafisica che potra presentarsi come scienza ,

traduzione di Pantaleo Carabellese, introduzione di Hansmichael Hohenegger, EdizioniLaterza, Roma-Bari, 2006, p. 3.

10Cfr.   I. Newton,  Philosophiae naturalis principia mathematica , 1687; 17132. Trad it.di A. Pala, in  Opere , vol. I, Torino, Utet, 1978.

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alcuna limitazione empirica, spaziale, temporale o anche meramente causale.

In questo senso le leggi della gravitazione universale formulate da Newtonnon sarebbero leggi “esclusivamente inglesi”, ne di per se sarebbero validesoltanto “a partire dal 1687”!

Kant direbbe che ogni “deduzione empirica” deve essere completata egiustificata da una “deduzione trascendentale”.

E dunque chiaro che i fatti di cui ci stiamo occupando possono certa-mente essere storicamente condizionati, ma il loro significato trascende lacircostanza contingente che essi siano potuti accadere in Inghilterra, in Ger-mania o in Grecia in un dato tempo. In questo nuovo senso, essi ci appaionocome pure creazioni dello spirito, le quali pretendono di valere per noi sem-pre, ed in modo necessario ed universale. Pretese cosı forti, appunto, primadi spacciarsi come moneta corrente, meriterebbero secondo Kant di esseresottoposte al vaglio preliminare di una deduzione trascendentale ad operadella ragione.

Prendiamo, ad esempio, il teorema di Pitagora. Esso e dalla tradizioneattribuito a questo matematico, benche gli storici della matematica potreb-bero dubitare di questa attribuzione, cosı come si e dubitato dell’attribuzionedei poemi omerici ad Omero, e persino della personale esistenza del poeta.Lo stesso dicasi per gli Elementi di Euclide, per la Sacra Bibbia, e per al-tre opere monumentali non attribuibili ad un solo individuo e ad una dataprecisa. Conoscenze analoghe al teorema di Pitagora potrebbero essere rin-

venute o attestate presso gli antichi Egizi, i Babilonesi, gli Indiani, magari informulazioni differenti da quella proposta dai matematici greci.Si potrebbe ora domandare:Il teorema di Pitagora e una verita matematica valida solo per l’epoca di

Pitagora o continua a valere per noi ancora oggi?Per un matematico questa domanda sarebbe priva di senso, dunque im-

proponibile. Per il matematico puro non ha rilevanza alcuna la disputasull’attribuzione delle invenzioni matematiche, ne quella sulla datazione dellescoperte. Ai fini del significato strettamente matematico di un teorema, contala forma teoretica interna di quel teorema, ovvero la sua relazione con il si-stema dei principı razionali che lo rende possibile come oggetto matematico,

appartenente dunque con pieno diritto al mondo degli oggetti matematici.La sua verita vale sempre e in ogni luogo, proprio perche essa e indipendenteda qualsiasi circostanza di tempo e di luogo, dunque anche da ogni altrotipo di contingenza storica. Per es., possiamo essere sicuri che la tremendacrisi economica e finanziaria, di cui in queste settimane leggiamo le cronacheed il puntuale resoconto su tutti i giornali del mondo, non intacchera di unmillimetro la validita del teorema di Pitagora. Non e necessario essere mate-matici per ritenerlo immune: e facile capire che gli oggetti della matematica

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e gli oggetti dell’economia monetaria, della finanza appartengono a sfere di

significato e ad universi simbolici del tutto distinti ed indipendenti l’unodall’altro.

La stessa cosa varra per i principı matematici applicati alla natura. Inquanto fatti della ragione, essi dipendono innanzitutto dalla ragione stessa,la quale, se ha generato il fatto, deve allora poter rendere conto a se stessadei principı fondamentali che lo hanno reso possibile. Questo e un compitoche la ragione pura non puo delegare alla ragione empirica. Di conseguenza,per rendere conto dei   Principia   di Newton o della   Philosophia prima sive 

Ontologia  (1729) di Christian Wolff, Kant non si improvvisa giornalista dellaragione, bensı parte dal presupposto che, chiunque abbia scoperto dei principırazionali, non abbia potuto farlo se non per mezzo della ragione. Essendoquest’ultima un bene spirituale di cui godiamo e disponiamo in pari misuratutti — Newton, Kant, voi ed io —, ne possiamo insieme parlare e farneanche uso, indipendentemente dai meriti di Kant e di Newton, le cui opere ciforniscono qui, nel presente corso, solo l’occasione contingente per discuterne.

Nelle opere della scienza e della filosofia viene in un certo senso fissato persempre il significato oggettivo degli oggetti scientifici e filosofici. Leggendoe studiando quelle opere, noi ci muoviamo liberamente nell’ambito del puropensiero, o — come potremo vedere in seguito — nel sistema dei puri signi-ficati. Cosı, per Kant, non e possibile risolvere il problema della metafisica,senza un serrato confronto delle sue pretese con i diritti consolidati della

matematica pura e della scienza naturale pura. Solo con il metodo criticola filosofia potra assolvere la sua funzione, senza dover rinunciare alla suadignita ed alla sua autonomia.

Kant avvia questo originale programma, ma scopre ben presto che la puradimensione teoretica — che vorrebbe da sola ordinare ed abbracciare in un si-stema unitario la logica formale, la matematica, la fisica e la metafisica — nonrende di per se giustizia alle altre prestazioni della ragione, pur suscettibili diconsiderazione e di critica: per esempio, il giudizio morale, l’apprezzamentoestetico, la credenza religiosa, il puro opinare, il profetare.

Al progetto di una

metafisica della natura   (il sistema di tutti i principı puri della ragionederivanti da semplici concetti — con esclusione quindi della scienzamatematica, che procede invece per costruzione di concetti — principıriguardanti la conoscenza teoretica di tutte le cose, di tutto ci o che e,in particolare le leggi della natura fisica e psichica) dovra ben prestofar seguito una fondazione della

metafisica dei costumi   (il sistema dei principı che determinano a priori,e rendono necessario, il fare e non fare, e riguardanti in particolare

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le leggi che governano la comunita degli esseri razionali, intesi come

persone, esseri portatori di fini incondizionati e dotati di liberta).

Sara dunque possibile distinguere dall’universo dei corpi fisici l’universoetico (il regno dei fini e della liberta), attestato dal   Faktum   della ragionepratica, ossia dalla coscienza della legge morale.

Se fondato sulla ragione pura pratica, un giudizio morale e a suo modosaldo ed indiscutibile. Non meno di quanto possa esserlo un giudizio teoreticoin campo matematico (per es., 7 + 5 = 12; il teorema di Pitagora) o in campofisico (le leggi fisiche che regolano la caduta dei gravi).

Anche in campo pratico entrano in gioco dei principı forti, senza dei qualisarebbe impossibile stabilire un criterio universale per orientare le azioni e le

valutazioni morali.Non testimoniare mai il falso!Rispetta i patti!Se la massima del mio comportamento e conforme alla legge morale, non

c’e da discutere se un’obbligazione sia giusta o ingiusta, buona o cattiva, nesi tratta di calcolare le probabilita di successo o insuccesso di un’azione. LaCritica della ragione pratica  dimostra che un imperativo morale comanda ilfare e il non fare in modo apodittico, senza discutere e senza calcolare — oggidiremmo, senza sondaggi e senza opzioni maggioritarie — e senza neppurecercare conferme nell’esperienza. Non e lecito in etica ricavare il dover essere

dall’essere. Se io — sostiene Kant — dovessi ricavare il mio comportamentodall’esperienza, se dovessi dedurre cio che idealmente si dovrebbe fare dacio che realmente fa la maggioranza delle persone o anche da cio che fannomagari tutti, salvo io, allora cio significherebbe la fine dell’etica. Io invecedevo trovare un principio che valga di per se, indipendentemente dal fattoche altri, maggioranza o minoranza che sia, lo osservi o meno. Io voglioinnanzitutto sapere che cosa e buono e che cosa e giusto in se, e solo in basea cio potro anche valutare se e buona o giusta l’azione effettiva. Lo stessocriterio dovra valere anche in ambito giuridico.

Ora, se vigono principı forti nei campi dell’etica e del diritto, ci si potrebbeaspettare di reperirne di analoghi in campo estetico, per ci o che concerne in

particolare i fenomeni del bello e i nostri giudizi di gusto. Per esempio, a mepuo piacere (o non piacere) un paesaggio naturale, un’opera d’arte o altro;poiche la cosa piace a me, ritengo che debba piacere nello stesso modo anchea chiunque altro; di cio mi sento cosı certo e convinto, che non sono dispostoneppure a discuterne. In breve, pretendo che un mio sentimento soggettivodebba necessariamente essere anche oggettivo, possa e debba valere per tuttinello stesso modo.

Questa mia pretesa estetica e giustificabile?

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Sara legittimo collocarla sullo stesso piano della pretesa teoretica e della

pretesa etica?La risposta di Kant a questi interrogativi si puo leggere nelle prime sezioni

della Critica della facolta di giudizio.Ma non e tutto qui. Nelle sezioni finali di questa terza   Critica , Kant

estende l’indagine alla sfera ancor piu delicata e complessa dei nostri giudiziteleologici, che riguardano le possibili relazioni finalistiche tra i fenomeni, sianel mondo naturale sia nel mondo storico ed anche nella vita individuale.Con tali giudizi, cosiddetti “riflettenti”, noi cerchiamo il significato di unacosa nello scopo (telos ) verso cui essa tenderebbe, indipendentemente dallanostra soggettiva volonta. Pretendiamo cosı di determinare il fine oggettivodelle cose, pur conoscendole solo come fenomeni empirici. In effetti, datoil fenomeno x, potrebbe sorgere tra gli indagatori della natura un conflittoermeneutico e metodologico tra chi cerchi la comprensione del fenomeno datonella

relazione causale   (C e causa di x, dove la ragion d’essere di x va cercatanella causa C, che precede nel tempo) e chi viceversa nella

relazione finalistica  (x tende a F, dove il senso di x va cercato nel fine F,che segue nel tempo).

Il nostro stesso comportamento quotidiano non e necessariamente sempre

determinato da cause meccaniche, ma neppure da scopi o fini a noi sconosciutie del tutto indipendenti dalla nostra volonta. Se cosı fosse, noi saremmo as-similabili a bruti, ad automi, al limite a dei semplici oggetti fisici, comequesto intero e intonso cilindro di gesso, che ora vedo in stato di riposo quisulla lavagna, che ora io lancio verso l’alto, che ora osservo volteggiare inaria prima che vada in frantumi al suolo: prima era intero, ora e in pezzi,ma non certo per sua decisione, per sua volonta, ne per suo fatale destino.Richiederebbe un estremo coraggio filosofico, al limite dell’incoscienza teme-raria o all’opposto — se preferite — della pigra vilta, il voler valutare il nostroquotidiano comportamento di uomini del mondo, di “esseri-nel-mondo”, alla

stregua di questo pezzo di gesso “gettato” in aria e in terra. Eppure nonmancano le spinte e le tentazioni che rendono molti aspiranti pensatori ab-bastanza vulnerabili alle seduzioni esercitate da questo comodo radicalismofilosofico. Basterebbe ispirarsi alle tristi testate dei nostri giornali e telegior-nali:

•  “giovane uccide a colpi di fucile il professore e dieci suoi compagni discuola”;

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•  “branco di quartiere da fuoco a barbone addormentato in una stazione

metropolitana”.

Editoriale in prima pagina   : Irresponsabili!

Verdetto del sociologo   : Colpa della societa, colpa della scuola, colpadella famiglia!

Verdetto dello psicoanalista   : Colpa dell’ “Es”!

Verdetto dello psichiatra  : Colpa del cervelletto!

Denuncia del capo dell’opposizione politica   : Colpa del Governo!

Omelia del parroco   : Colpa del demonio!

Ma — per fortuna, o per sfortuna — per circa il 99,9 percento dei casi,soprattutto quando si parla di vita culturale, noi non siamo giustificabili allastregua di questo passivo pezzo di gesso, e neppure di una pianta espostaa tutti i venti. In verita il grande Pascal, in una celebre metafora, assimilal’uomo al genere della “canna erbacea”, ma lo determina come canna “pen-sante”, dove la differenza specifica copre appunto quel 99,9 percento. Sesi volesse invertire tale percentuale, allora si cancellerebbe in modo defini-tivo l’idea stessa della responsabilita e soprattutto l’idea della liberta, ovvero

l’idea di una causalita indipendente dal determinismo naturale, identificabilecon la facolta di essere e di ritenersi con pieno diritto l’autore — nel benee nel male — delle proprie azioni. Si cancellerebbe, in altri termini, il fon-damento della nostra dignita. Perderemmo di conseguenza anche il dirittodi lamentarci e di protestare, se venissimo trattati come numeri, come coseinanimate, come bestie, usati solo come strumenti. L’essere libero invece eun fine in se, e portatore di fini, non soltanto ha degli scopi di tipo etico,ma anche altri scopi. Si dovra allora poter procedere ad una critica di questiscopi e dei giudizi ad essi relativi, come aveva preannunciato lo stesso Kantgia nell’“Architettonica della ragione pura” e come egli continuera a fareanche dopo la terza grande  Critica .

Vi e tuttavia ancora un concetto cosmico (conceptus cosmicus ), chee sempre stato posto alla base di questa denominazione [del concettodi filosofia], soprattutto quando, per cosı dire, lo si e personificato erappresentato come un modello nell’ideale del  filosofo. Sotto questopunto di vista, la filosofia e la scienza della relazione di ogni conoscenzacon i fini essenziali della ragione umana (teleologia rationis humanae ),ed il filosofo non e un artista della ragione, bensı il legislatore della

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ragione umana. In tale significato, sarebbe vanaglorioso prendere il

nome di filosofo, e presumere di avere uguagliato un modello che esistesoltanto nell’idea.11

Non si potra certo accusare Kant di vanagloria, proprio perche il primoe duraturo risultato della filosofia critica e la consapevolezza dei limiti dellaumana ragione. Come si e visto, sia per Kant sia per Cassirer, la mode-stia filosofica e, al contrario della rassegnazione, la virtu del commisurare inun progresso infinito i risultati ottenuti (reali) al compito da assolvere, alprogetto (ideale).

Da quest’ultimo punto di vista (“in sensu cosmico”), secondo Kant,l’intero campo della filosofia puo ricondursi ai seguenti grandi problemi:

1. Che cosa posso sapere?

2. Che cosa devo fare?

3. Che cosa mi e lecito sperare?

4. Che cos’e l’uomo?

Alla prima domanda, che richiede da parte del filosofo una indagine pre-liminare sulle fonti del sapere umano, deve rispondere, secondo Kant, la“metafisica”. Alla seconda, che presuppone, oltre alla liberta del volere edell’agire, anche una definizione precisa della sfera in cui un uso utile esensato di ogni conoscenza sia possibile, risponde la “morale”. Alla terzadomanda, la piu impellente e insieme la piu difficile da risolvere, poiche im-plica l’autodelimitazione della ragione, risponde la “religione“. La quarta do-manda, infine, cui le prime tre sono in fondo riconducibili, dovrebbe spettarealla “antropologia”, poiche, come si e visto, non solo si tratta di questioni cheinteressano necessariamente ogni uomo, ma ad esse la ragione puo risponderesolo come ragione umana finita , nonostante le sue manifeste quanto orgogliosepretese di onnipotenza.

Proprio questo responsabile senso del limite, indice simbolico della ten-

sione ineliminabile tra immanenza e trascendenza, caratterizza il filo rossoche lega l’architettonica dei problemi filosofici di Kant al progetto di Cas-sirer. Dell’intenzione kantiana il filosofo delle forme simboliche si dichiarainterprete ma anche continuatore, come testimonia il brano seguente, che siricollega al nostro problema di partenza e con cui termino la lezione odierna.

11Critica della ragione pura , cit. p. 811.

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Kant non ha tuttavia conosciuto il “fatto delle scienze dello spi-

rito”, come ci sta oggi davanti agli occhi, ne poteva ancora presupporlonella sua forma attuale. Queste si sono per prima costituite nel corsodel diciannovesimo secolo, e sono solo lentamente divenute consapevolidelle problematiche filosofiche loro proprie. Su questo punto cerca diintervenire la Filosofia delle forme simboliche . Anche la sua domandanon si indirizza sull’essere assoluto, ma sulla conoscenza dell’essere;la ontologia dogmatica viene anche in questo caso abbandonata edal suo posto deve subentrare il piu modesto compito di una anali-tica. Ma questa analitica non e piu rivolta solamente sull’“intelletto”,sulle condizioni del sapere puro. Essa vuole abbracciare l’intero cir-colo della “comprensione del mondo” e scoprire le diverse potenze,

le fondamentali forze spirituali, che in esso cooperano. Un tale com-pito, come mi sembra, e posto alla filosofia in maniera imperiosa dallosviluppo che le singole scienze dello spirito, le scienze linguistiche, lescienze religiose, le scienze artistiche hanno avuto dopo Kant. Ma echiaro che questo compito non puo essere portato a termine in un solcolpo — e che oggi non si tratta di risolvere il problema nella sua in-terezza, ma piuttosto di trovare la giusta  impostazione   del problema.La  Filosofia delle forme simboliche  non puo e non vuole essere percioaffatto un “sistema” filosofico nel tradizionale significato del termine.Cio che solamente ha cercato di dare erano i “prolegomeni ad unafutura filosofia della cultura”. Non tentava di erigere un edificio com-piuto, si proponeva di disegnare uno schizzo. In questo disegno non

solo manca al momento lo svolgimento di molte e difficili parti, masi presentano anche una serie di fondamentali questioni di principio,che ancora cercano una soluzione. Solo da un costante lavoro comunefra la filosofia e le altre scienze dello spirito si pu o sperare che arriviquesta soluzione.12