Dispense Storia prof. Stefano Miani · angioina aveva delle mire sul regno di Napoli, allora sotto...

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Dispense Storia prof. Stefano Miani 1. L'Italia tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento: Le guerre d'Italia. Dopo la morte di Lorenzo de' Medici (1492) svanisce l'equilibrio che si era creato tra i vari stati regionali italiani (concretizzatosi con la pace di Lodi (1454) e la creazione della Lega italica. Con la discesa in Italia del re francese Carlo VIII (1494) iniziano una serie di avvenimenti che passeranno alla storia con Guerre d'Italia. Ma perché Carlo VIII decide di muovere il suo esercito oltre le Alpi? In realtà il re francese approfittò di guerre dinastiche e lotte per la supremazia tutte interne al nostro paese (che ricordiamolo non era un'unità statale, ma un insieme di tanti stati). In particolare Carlo fu chiamato da Ludovico il Moro, intenzionato a sottrarre il Ducato di Milano a suo nipote Gian Galeazzo Sforza. Ben presto il Re capì che avrebbe potuto sfruttare i fattori di debolezza all'interno di ciascuno stato e il riemergere di reciproche rivalità per i suoi disegni espansionistici (il re, di origine angioina aveva delle mire sul regno di Napoli, allora sotto il controlla degli Aragona, cioè spagnoli). Non appena il re iniziò la sua discesa Ludovico fece uccidere il nipote e prese il controllo del Ducato di Milano. A Firenze Piero de' Medici (subentrato a Lorenzo) lasciò libero il passaggio all'esercito francese senza opporre la minima resistenza. Questo, se da un lato evitò uno 1

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Dispense Storia

prof. Stefano Miani

1. L'Italia tra la fine del Quattrocento e la prima metà del Cinquecento: Le

guerre d'Italia.

Dopo la morte di Lorenzo de' Medici (1492) svanisce l'equilibrio che si era creato

tra i vari stati regionali italiani (concretizzatosi con la pace di Lodi (1454) e la creazione

della Lega italica.

Con la discesa in Italia del re francese Carlo VIII (1494) iniziano una serie di

avvenimenti che passeranno alla storia con Guerre d'Italia.

Ma perché Carlo VIII decide di muovere il suo esercito

oltre le Alpi? In realtà il re francese approfittò di guerre

dinastiche e lotte per la supremazia tutte interne al nostro

paese (che ricordiamolo non era un'unità statale, ma un

insieme di tanti stati). In particolare Carlo fu chiamato da

Ludovico il Moro, intenzionato a sottrarre il Ducato di

Milano a suo nipote Gian Galeazzo Sforza. Ben presto il

Re capì che avrebbe potuto sfruttare i fattori di debolezza

all'interno di ciascuno stato e il riemergere di reciproche

rivalità per i suoi disegni espansionistici (il re, di origine

angioina aveva delle mire sul regno di Napoli, allora sotto il controlla degli Aragona, cioè

spagnoli).

Non appena il re iniziò la sua discesa Ludovico fece uccidere il nipote e prese il controllo

del Ducato di Milano.

A Firenze Piero de' Medici (subentrato a Lorenzo) lasciò libero il passaggio

all'esercito francese senza opporre la minima resistenza. Questo, se da un lato evitò uno

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scontro, dall'altro gli costò la Signoria. I Medici, considerati traditori, furono esiliati e fu

dichiarata la Repubblica Fiorentina.

Anche il Papa, Alessandro VI Borgia, lasciò libero il passaggio ai francesi che

puntarono a Napoli ne conquistarono il regno spodestando gli aragonesi.

Tuttavia la potenza francese mise in allarme non solo il Papa (che temeva

l'accerchiamento francese, a nord Milano e a sud Napoli), ma anche altri stati (perfino lo

stesso Ludovico il Moro voleva liberarsi dal controllo francese). Questi si coalizzarono

nella Lega Santa e sconfissero Carlo VIII nella battaglia di Fornovo, costringendolo a

rientrare in patria. La prima guerra era terminata con un sostanziale nulla di fatto.

Tuttavia aveva dimostrato la fragilità del sistema italiano.

Vi furono molte altre guerre. Non ci interessa in questa sede studiarle tutte

approfonditamente. Basterà capire che queste guerre furono combattute tra Francia e

Spagna (che con l'imperatore Carlo V diventerà finalmente uno stato unitario). Come

tutte le guerre esse risultarono sostanzialmente inutili e fiaccarono non solo le grandi

potenze che si sfidavano, quanto gli stati e le popolazioni italiane che subirono vere e

proprie invasioni e occupazioni da parte di questi eserciti. Il ping pong tra Francia e

Spagna può così essere riassunto.

Con la seconda (1499) i francesi ottennero il controllo sul ducato di Milano. Con

la terza guerra (1509) i francesi ottennero anche il regno di Napoli. Tuttavia nella quarta

guerra (1521-1525) i francesi furono sconfitti e il re (Francesco I) fu addirittura catturato

in battaglia a Pavia) e con la quinta guerra gli spagnoli conquistarono il ducato di Milano.

Nel 1527 per ordine dell'imperatore Carlo V Roma fu razziata e depredata dagli uomini

del suo esercito, i Lanzichenecchi: questo evento passerà alla storia come «sacco di

Roma», richiamandosi ai precedenti sacchi della città ad opera delle popolazione

germaniche. Al termine della sesta guerra l'Italia era ormai una succursale spagnola. La

situazione fu sancita definitivamente dopo l'ottava guerra, nel 1559 con il trattato di

Cateau-Cambrésis: la Spagna che aveva regno di Napoli, Sicilia e Sardegna, il Ducato di

Milano e controllava sostanzialmente Genova e Firenze (dove i Medici erano tornati a

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regnare ed erano diventati Granduchi grazie all'appoggio spagnolo).

Personaggi: Carlo V e Papa Alessandro VI Borgia.

Sembra opportuna soffermarci brevemente su due personaggi, Carlo V e

Alessandro VI Borgia, in quanto protagonisti di questa epoca. Alessando VI ha

incarnato nell'immaginario collettivo la corruzione della Chiesa, il nepotismo e la

spregiudicatezza politica.

Carlo V ha avuto l'onere e l'onore di essere a capo di un impero smisurato, ha

vissuto in pieno la crisi dovuta alla frattura tra la chiesa Cattolica e la nuova Chiesa

Protestante e, con una mossa a sorpresa, ha abbandonato il potere e ha terminato i suoi

giorni in un ritiro spirituale.

Alessandro VI Borgia

[scheda biografica tratta da http://www.treccani.it]

La vita e il papato di

Alessandro VI Borgia furono

improntati alla dissolutezza,

all'accumulo delle ricchezze e

al nepotismo, e per questo

venne duramente attaccato da

Girolamo Savonarola. Fu però

anche mecenate di umanisti e

artisti.

Don Rodrigo de Borja y Doms (Játiva forse 1431 - 1503); creato cardinale

diacono nel 1456 e vice cancelliere della Chiesa dallo zio Callisto III, dal cumulo dei

benefici ritrasse grandi ricchezze, grazie alle quali (dopo esservi quasi riuscito già nel

1484, aiutato dagli Sforza contro il partito aragonese-mediceo) fu eletto simoniacamente

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papa (11 ag. 1492). Notoriamente dissoluto (da una sua amante, Vannozza Catanei, aveva

avuto i figli Giovanni, Cesare, Lucrezia [con la quale, si disse, ebbe rapporti incestuosi e

che comunque coinvolse in intrighi, avvelenamenti e matrimoni politici], Jofré e, pur

pontefice, continuò la sua relazione con la bella Giulia Farnese, moglie di Orsino Orsini),

fu sfacciatamente nepotista, [tanto] da dare a sei dei suoi congiunti il cardinalato.

Politicamente dapprima oscillò, appoggiandosi ora agli Sforza, ora agli Aragonesi; di

fronte alla calata in di Carlo VIII di Francia, sollecitò l'aiuto di Venezia e perfino dei

Turchi e si alleò con Alfonso II di Napoli; ma, minacciato in Roma stessa, aprì la città,

accettando durissimi patti, ai Francesi (1494), contro i quali poi strinse lega con Venezia,

Milano, Spagna e Impero (1495) [...] La sua vita licenziosa veniva intanto bollata in

Firenze da G. Savonarola, che invocava un concilio per deporre il papa «simoniaco,

eretico, infedele». Si giunse così [...] al processo e al rogo del Savonarola. Ma sulla debole

volontà di A. [...] influiva ora il figlio Cesare Borgia, e la politica papale fu allora tutta tesa

a creargli uno stato, con alleanze, con confische di ricchezze a personaggi soppressi col

veleno, e col denaro del giubileo e forse della crociata, per cui A. pubblicò, senza

successo, una bolla (1501). Il tentativo di Cesare pareva avviato al successo, quando

Alessandro VI, mentre anche il figlio era malato, morì improvvisamente (non, come si

disse, per veleno). Contemporaneamente, la costruzione politica di A. e di Cesare

crollava. Ebbe fama di mecenate per aver protetto umanisti (Pomponio Leto, Aldo

Manuzio, il Lascaris) e artisti, quali Antonio da Sangallo e il Pinturicchio (che affrescò tra

l'altro il celebre appartamento in Vaticano).

Carlo V e il suo impero “su cui non tramonta mai il sole”.

Come vedremo Carlo V e il suo impero furono il prodotto di quel che si suol dire

un matrimonio politico, come da sempre si è soliti fare tra le famiglie reali.

L'imperatore Massimiliano I d'Asburgo (regnante dal 1493 al 1519) aveva dato suo

figlio Filippo il Bello (morto nel 1506) in sposo a una delle figlie di Isabella di Castiglia,

Giovanna (poi detta «la pazza». Da questo matrimonio, nel 1500, nacque Carlo.

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Dal nonno, Ferdinando d'Aragona (ricordiamo che era marito di Isabella di Castiglia),

ereditò nel 1516 la corona di Aragona e di Napoli. La follia della madre Giovanna (che

avrebbe dovuto ereditare la Castiglia) gli permise di unire Aragona e Castiglia in uno

stato che corrisponde all'odierna Spagna (anche se di fatto ciò avvenne solo alla morte

della madre nel 1555).

Nel 1519, alla morte dell'altro nonno Massimiliano, si candidò al trono imperiale

(che era elettivo e non dinastico). La sua vittoria sembrava scontata, ma il re francese

Francesco I, temendo che un'elezione di Carlo, avrebbe comportato gravi rischi per il

suo regno (che si sarebbe trovato tutto sommato accerchiato), tentò di contrapporglisi.

Ma grazie agli aiuti di potenti banchieri tedeschi, i Fugger, e fiamminghi, Carlo riuscì

sostanzialmente a comprasi il titolo imperiale.

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Come abbiamo visto Carlo V si inserì nelle guerre d'Italia e nel 1527 fu il

mandante del Sacco di Roma. I suoi soldati erano chiamati lanzichenecchi. Questo nome

deriva da un termine tedesco (“servo della terra, della patria”) e indica la fanteria

mercenaria imperiale formata per lo più dai servi della gleba che, liberati dai vincoli

feudali, cercavano di vivere e ottenere fortune materiali dall'arte della guerra.

L'imperatore si occupò anche dell'ascesa della religione protestante. Date le sue

origini, nonni cattolicissimi difensori della cristianità contro i musulmani in Spagna, egli

tentò inizialmente di combattere il protestantesimo. Tuttavia capì che ormai non c'era

più nulla da fare. Dato che molti principi tedeschi erano protestanti egli decise di stabilire

il principio del cuius regius eius religio (la religione di colui che regna). Questo principio

sanciva che ogni stato seguiva la religione del suo regnante. Il principio, se possibile,

complicò la situazione. Infatti bastava che a un re cattolico succedesse un protestante o

viceversa e tutti i sudditi dovevano cambiare credo. Vi furono frequenti migrazioni di

massa di credenti che, non volendo cambiare la propria fede, si spostavano verso regni

dove erano accetti. Questo principio fu sancito dalla Pace di Augusta (1555).

Carlo V fu a capo di un impero vastissimo “su cui non tramonta mai il sole” (sono

sue parole). Il suo impero comprendeva la Spagna e le colonie in America, Napoli, la

Sardegna, la Sicilia, Austria, Germania, Paese bassi, Ungheria e Boemia.

Tuttavia nel 1556 Carlo V si ritirò in un monastero e divise l'impero tra suo

fratello Ferdinando (Impero e territori asburgici) e suo figlio Filippo II (Spagna con tutte

le colonie, Italia, Paesi Bassi).

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2. La controriforma Cattolica.

Come abbiamo visto la ribellione di Lutero nei confronti della Chiesa cattolica

rappresenta l'inizio di una serie di riforme che nel giro di qualche decennio

trasformarono completamente il panorama religioso europeo.

Il luteranesimo divenne religione di stato in molti stati tedeschi, in Danimarca, in

Svezia, in Norvegia e in Islanda. In Svizzera nacque e attecchì il Calvinismo che ebbe

molti proseliti in Francia (dove gli adepti presero il nome di Ugonotti), Nei Paes Bassi, in

Scozia, Polonia, Boemia e Ungheria. In Inghilterra, con Enrico VIII, ci fu lo scisma

anglicano.

Dinnanzi al dilagare della riforma la Chiesa di Roma si divise in due scuole di

pensiero che si sarebbero ben presto scontrate in una disputa da cui solo una sarebbe

uscita vincitrice.

Da un lato c'erano gli evangelici o transigenti. Questi si rifacevano al messaggio di

tolleranza religiosa lanciato dall'umanista Erasmo da Rotterdam (1466-1536). Secondo il

grande filosofo (autore anche del bellissimo Elogio della pazzia, 1509) adnavano

abbandonati il formalismo liturgico, la corruzione dei costumi e l'intolleranza religiosa.

Secondo i transigenti era quindi necessaria una rifomra interna alla Chiesa.

Dall'altro lato c'erano gli intransigenti. Questi erano contrari a qualsiasi deroga alla

dottrina ufficiali. Per loro l'unica via praticabile era avversare la Riforma luterana con

un'energica attività di controriforma.

Fu indetto nel 1545 un concilio ecumenico a Trento (città considerata a metà

strada tra Roma e la Germania). I lavori videro contrapposti transigenti e intransigenti e

si protrassero a singhiozzo fino al 1563, durante il pontificato di Paolo IV. La linea

intransigente aveva trionfato e le conclusioni furono queste:

• Il magistero della Chiesa era l'unico in grado di interpretare correttamente le Sacre

Scritture, al contrario di quanto affermavano i protestanti col principio del libero

esame.

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• Il culto dei santi è fatto salvo, così come la dottrina del Purgatorio e la

conseguente necessità delle indulgenze.

• Le opere e i sacramenti sono necessari per la salvezza dell'anima, mentre secondo

il protestantesimo solo la fede salva.

• Il pontefice è l'autorità più grande della Chiesa romana.

Negli anni successivi vi furono anche dei tentativi di Riforma della Chiesa, ma

l'azione di Controriforma fu molto più vistosa e incisiva. La solidità organizzativa, la

centralizzazione del potere, la riorganizzazione del tribunale dell'Inquisizione, la caccia

agli eretici e alle streghe, i controlli sulla cultura e sull'arte, la promulgazione dell'Indice

dei Libri Proibiti (1559) – cioè l'elenco di quei libri religiosi e non contrari alla dottrina

cattolica –, gli arresti e le persecuzioni verso quei prelati e laici appartenenti all'area

transigente, la pervasiva attività di evangelizzazione in America Latina e in Oriente erano

tutti segnali inequivocabili della preminenza della Controriforma sulla Riforma.

Approfondimento: la storia degli Indici dei libri proibiti

[tratto e accomodato da http://www.storiadellastampa.unibo.it/noframes/indici.html]

Gli indici dei libri proibiti nascono dall'esigenza di avere una bibliografia delle

opere considerate non idonee alla stampa e alla lettura. Si tratta di liste di libri, autori,

generi, argomenti, proibiti perché lesivi degli interessi della Chiesa o dello Stato. Gli

indici sono compilati dagli organismi preposti al controllo e diventano presto la

principale arma nelle mani dei censori.

Tra il 1544 e il 1556 la Sorbona redige sei cataloghi di libri proibiti, mentre

all'Università di Lovanio ne vengono stilati tre tra il 1546 e il 1558, su ordine di Carlo V e

Filippo II. Il primo indice italiano viene stampato a Venezia nel 1549. Il catalogo suscita

un'immediata reazione presso librai e tipografi e non verrà mai promulgato. Ma gli indici

più celebri sono quelli romani del 1559 e 1564, che stabiliscono le regole di lettura per

l'intera cristianità.

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L'indice paolino

Promulgato nel 1559 da papa Paolo IV, l'indice paolino è l'unico compilato

dall'inquisizione romana e di gran lunga il più radicale e severo della storia. Nella sua

politica repressiva rientra la decisione di mettere da parte i vescovi per accentrare il

potere censorio nelle mani del Sant'Uffizio e della sua rete periferica, a cui i fedeli

devono consegnare i libri proibiti direttamente.

La struttura dell'indice, che rimarrà immutata fino a metà del XVII secolo,

merita uno sguardo approfondito. Le proibizioni sono circa mille, ripartite in tre gruppi.

Il primo gruppo comprende gli autori non cattolici dei quali si proibisce l'intera opera,

inclusi i testi di carattere non religioso. Il secondo gruppo racchiude 126 titoli di 117

autori, 332 titoli anonimi e due liste aggiuntive: 45 Bibbie e Nuovi Testamenti vietati e 61

tipografi la cui produzione è interamente bandita (tutti di area svizzero-tedesca, se si

esclude il veneziano Francesco Brucioli). Il terzo gruppo, per finire, quello dei cosiddetti

"libri omnes", comprende intere categorie di libri, ad esempio quelli che non riportano

l'indicazione dell'autore o dello stampatore, quelli senza data e luogo di pubblicazione,

quelli usciti senza permesso o presso stampatori eretici, o ancora le opere di astrologia e

magia. Per leggere le Bibbie e i Nuovi Testamenti in volgare, infine, è necessaria la

licenza del Sant'Uffizio che in nessun caso viene rilasciata alle donne o a chi non conosce

il latino.

L'indice intende controllare tutta la produzione scritta, e non solo in ambito

religioso. Le sue severe regole portano alla proibizione del Decameron di Boccaccio e di

molte altri testi famosi, così come dell'intera opera di Machiavelli, di Rabelais e di

Erasmo da Rotterdam. Le rimostranze sono immediate: non solo i librai lamentano

l'impossibilità di vendere i volumi a magazzino, ma molti eruditi si vedono proibiti i testi

su cui avevano sempre studiato, stampati per lo più in area tedesca. Città come Venezia,

Roma e Firenze cercano un compromesso. Molte sono le perplessità, al punto che se in

un primo tempo l'indice viene adottato, pur con qualche concessione, la morte di Paolo

IV nell'agosto del 1559 ne rallenta decisamente la diffusione.

L'indice tridentino

Il nuovo papa, Pio IV, è un riformatore moderato e si mostra da subito disposto

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a rivedere l'indice in modo che colpisca solo i libri eretici. Le proibizioni rimangono le

stesse, ma lo spirito e le norme generali si fanno più tollerant i e rimangono in

vigore per moltissimo tempo. Viene inoltre istituita la possibilità di espurgare i libri che

contengono solo brevi passaggi criticabili, operazione che pur permettendo ai librai di

salvare numerosi volumi, stravolge spesso il senso dell'opera.

L'applicazione delle norme

La censura, introdotta per combattere l'eresia, si estende molto presto oltre i limiti

che si era imposta. Inizialmente ci si concentra sui libri di carattere religioso. Più tardi,

sconfitta la Riforma, la censura viene applicata soprattutto ai libri di magia, ma anche ad

opere di letteratura e scienza.

Ufficialmente la censura non si è mai occupata delle opere popolari in volgare,

ma in realtà il diffuso desiderio di leggere e il proliferare di occasioni d'istruzione

autodidattica preoccupano le autorità. È proprio attraverso opere in volgare che la

Riforma ha cercato di far breccia, e la detenzione di libri, la sola detenzione anche di libri

non proibiti, è una delle accuse più frequenti nei processi per eresia. Se si può tollerare la

diffusione di testi pericolosi in latino, la letteratura popolare è suscettibile di sviluppi

imprevedibili e va quindi controllata. Proprio per questo la Chiesa cerca di disciplinare

rigorosamente l'alfabetizzazione: una bolla di Pio IV, del 1564, impone un giuramento a

tutti gli insegnanti, i quali devono dichiarare davanti al vescovo chi sono, dove insegnano

e quali libri usano.

Oltre all'indice, grazie al quale i libri vengono bloccati e sequestrati, ci sono

metodi più sottili di censura, interventi più nascosti, come le espurgazioni: correzioni

nascoste e non sempre dichiarate dei passi sconvenienti. L'irrigidimento nei confronti

della letteratura popolare porta espurgatori professionisti ad occuparsi di molti dei libri

in circolazione. In alcuni casi il frontespizio viene corretto e reca l'indicazione

dell'operazione compiuta; in altri al massimo si trova la dicitura "edizione corretta", che

non prevede solo una revisione di tipo testuale, ma anche ideologica. Il Decameron

"rassettato" da Lionardo Salviati (1573) rimane un manifesto di questo tipo di

operazione per i pesanti interventi dell'espurgatore, che sollevano numerose critiche. Il

correttore si sente spesso padre dell'opera, come e più dell'autore stesso, con la

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conseguenza che non di rado il pensiero di quest'ultimo viene completamente stravolto.

Il XVII secolo

Nel corso del '600 gli indici perdono il loro valore normativo e diventano sempre

più strumenti nelle mani degli Inquisitori che si fanno giudici e li usano a loro

discrezione. Per una migliore consultazione non sono più divisi in sezioni, ma vengono

stilati in ordine alfabetico. Aumentano, inoltre, le proscrizioni generiche.

Dopo la metà del '600 non si registrano persecuzioni per chi semplicemente

detiene libri proibiti; si passa invece alla repressione di pratiche socialmente

pericolose, quali la stregoneria, la chiromanzia, la magia. Fra i più perseguitati i libertini.

Le proibizioni nella realtà hanno uno scarsissimo valore, soprattutto dove lo Stato laico

si contrappone al potere religioso. Il controllo si fa più stretto nelle zone al confine con

la Germania, ma in generale più un libro è proibito e più è richiesto. Le patenti di lettura

infatti sono molto diffuse e la circolazione dei cataloghi assume proporzioni incredibili.

Il XVIII secolo e il declino degli indici

Durante il pontificato di Benedetto XIV (1740-1758) il pensiero illuminato

raggiunge anche i vertici della Chiesa e si pensa ad una revisione delle norme che vada

nella direzione delle proposte di riforma sociale del periodo. Più comodo ed affidabile,

corretto negli errori e nelle incongruenze, il nuovo indice del 1758 rivede alcune

proibizioni e, in particolare, elimina il divieto di lettura della Bibbia nelle lingue nazionali.

L'epoca delle grandi repressioni sta per finire, ma l'indice continua ad essere

considerato uno strumento necessario fino quasi ai nostri giorni. Viene infatti abolito

solo nel 1966, da papa Paolo VI, nel Concilio Vaticano II.

3. La Francia e le guerre di religione (1562-1598).

Nel corso del Cinquecento le lotte religiose assunsero in Francia sempre più peso,

tanto da proseguire pressoché ininterrottamente fino alla fine del secolo.

A partire dal 1534, Francesco I (1494-1547) e poi suo figlio Enrico II avevano

adottato misure sempre più dure contro gli ugonotti, come venivano chiamati i calvinisti

francesi. Nonostante le persecuzioni, però, le comunità protestanti continuarono a

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crescere in numero e importanza, grazie anche al flusso di missionari e predicatori che

arrivavano dalla vicina Ginevra, patria di Giovanni Calvino, tanto che nel maggio 1559 si

tenne il primo sinodo generale delle Chiese riformate di Francia.

La morte improvvisa e prematura di Enrico II, mortalmente ferito nel luglio 1559

durante un torneo, complicò notevolmente le cose, indebolendo la posizione della

monarchia.

Data la giovane età dell'erede al trono, Fraancesco II, la reggenza fu assunta dalla

madre, Caterina de' Medici.

I problemi che affliggevano la Francia erano i seguenti:

• La guerra contro Carlo V e l'Impero aveva svuotato le casse dello stato.

• C'era stata in tutta Europa, durante il Cinquecento, una rivoluzione dei

prezzi che aveva messo alle corde l'economia francese e il malumore

poplare era in crescendo.

• Come detto, il protestantesimo aveva trovato in Francia un terreno

particolarmente fertile a causa del malcontento sociale e del governo

sempre più centralizzato e assolutistico della famiglia reale. La riforma

aveva attecchito tra gli strati più produttivi della popolazione, la borghesia

della Francia orientale e centrale. Gli strati popolari, specilamente quelli

urbani, spalleggiavano il cattolicesimo, anche perché le opere assistenziali

prestate dai cattolici erano indispensabili in quel momento di crisi.

A Francesco II successe il fratello decenne Carlo IX (1550-74), ma il potere venne

di fatto esercitato da Caterina de’ Medici. Caterina fu sempre malvista dai sudditi

francesi, in quanto donna e in quanto straniera, e su di lei si costruì ben presto una vera e

propria “leggenda nera”, che la dipingeva come ambiziosa, assetata di potere, abilissima

nelle arti della finzione e del tradimento, insomma degna allieva di Machiavelli e delle

dottrine immorali del suo Principe. Si trattava in realtà di insinuazione largamente

infondate ed esagerate: essa operò per tutelare il prestigio e la centralità della monarchia

francese in un periodo di crisi e cercò di imporre la propria politica destreggiandosi

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abilmente tra le opposte fazioni. Nei primi anni di regno di Carlo IX, Caterina tentò di

sedare i dissidi e i conflitti religiosi, inaugurando una politica di distensione e cauta

apertura verso gli ugonotti; mentre venivano conferiti incarichi di rilievo a nobili

protestanti, ottenevano credito crescente le posizioni del cancelliere Michel de l’Hôpital,

fautore della tolleranza religiosa e della riconciliazione interconfessionale.

Nel tentativo di superare pacificamente le differenze dottrinali, nell’ottobre 1561

fu riunita a Poissy, alla presenza del re e della regina-madre, una conferenza religiosa, alla

quale presero parte ecclesiastici e teologi sia cattolici che calvinisti. La conferenza fu un

fallimento e acutizzò le reciproche incomprensioni, ma Caterina fece comunque emanare

dal re un Editto di tolleranza (17 gennaio 1562) che riconosceva ai protestanti la libertà

di culto pubblico fuori dalle città e, all’interno di quelle, il permesso di praticare il culto

in forma privata.

Il riconoscimento, seppur parziale, della libertà religiosa innescò la violenta

reazione dei cattolici e spinse i principali esponenti aristocratici del partito cattolico, il

duca di Guisa, il connestabile Anne di Montmorency (1493-1567) e il maresciallo

Giacomo di Saint-André (1505-62), a creare un triumvirato per opporsi alla politica di

Caterina e ai protestanti. Essi ottennero il sostegno di Filippo II di Spagna, che vedeva

con inquietudine l’evolversi della situazione religiosa in Francia. Mentre in tutto il paese

crescevano le tensioni e si verificavano i primi scontri tra cattolici e ugonotti, le due parti

si preparavano alla guerra. Il casus belli non si fece attendere: il 1° marzo 1562, il duca di

Guisa, rientrando con le sue truppe dalla Lorena, scoprì che i protestanti di Wassy, nello

Champagne, celebravano i loro riti dentro la città in contravvenzione all’editto di

gennaio, li attaccò con i suoi soldati e ne uccise una settantina.

Con il massacro di Wassy presero avvio le guerre di religione, che sarebbero

proseguite a fasi alterne per più di trent’anni. Gli storici tendono a identificare in questo

periodo otto guerre, o per meglio dire, otto fasi di una stessa guerra, tra le quali

intercorsero periodi di pace o di tregua dichiarata più o meno lunghi. In realtà la società

francese fu travagliata in maniera pressoché ininterrotta da violenze private, vendette,

massacri tra cattolici e protestanti, che non andavano di pari passo con la guerra “reale”

e rispondevano a uno stato di conflittualità diffusa e permanente, di vera e propria

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lacerazione sociale.

Il 18 agosto 1572 fu celebrato a Parigi il matrimonio tra il protestante Enrico di

Navarra e Margherita di Valois (figlia di Caterina de' Medici); per l’occasione giunsero

nella capitale molti nobili e dignitari ugonotti, contribuendo ad esasperare il risentimento

della popolazione parigina, continuamente infiammata dai predicatori cattolici. In questo

clima surriscaldato si inserì una complessa congiura di corte che portò al ferimento

dell'ammiragio Gaspard de Coligny, esponente di spicco degli ugnotti. Probabilmente fu

la stessa Caterina a organizzare il fallito omicidio. Questo attentato provocò grandi

proteste da parte degli ugonotti a cui si contrapposero ben presto i cattolici.

Nella notte tra il 23 e il 24 agosto, alla vigilia della festa di San Bartolomeo, le

autorità municipali ricevettero l’ordine di sbarrare le porte di Parigi, le milizie cittadine

furono allertate e il massacro poté cominciare. I nobili ugonotti furono uccisi nel sonno,

i loro cadaveri trascinati per le strade e buttati nella Senna; Coligny fu ucciso nel suo

letto, mentre al Louvre gli ospiti del re vennero ugualmente trucidati; il giovane sposo,

Enrico di Navarra, costretto a scegliere tra la morte e la conversione al cattolicesimo,

preferì quest’ultima. Questo truce e sanguinario massacro passò alla storia come la

Strage di San Bartolomeo. La situazione sfuggì di mano agli organizzatori del complotto:

svegliati dalle campane a martello, i parigini si abbandonarono a una strage sempre più

immane e sanguinosa, a una vera e propria caccia all’ugonotto e all’eretico alla quale si

mescolarono vendette e saccheggi. Servirono due giorni per riuscire a riportare una

parvenza di ordine nella capitale; il 26 agosto i cadaveri si contavano a migliaia a Parigi.

Nel frattempo le violenze si diffusero in altre città della Francia (a Orléans, Meaux,

Angers, Lione, Bourges, Bordeaux, Rouen, Tolosa, Albi), in alcuni casi incoraggiate, in

altri frenate dagli agenti della monarchia e dalle autorità locali.

Le guerre di religione continuarono e si arrivò alla cosiddetta «guerra dei tre

Enrichi» poiché si videro contrapposti tre Enrichi: Enrico III ed Enrico di Guisa contro

Enrico di Navarra (lo stesso Re che era sopravvissuto alla strage di San Bartolomeo e

che si era convertito al cattolicesimo) che vinse e salì al trono con il nome di Enrico IV.

L'aneddoto più noto su Enrico IV è la frase che avrebbe pronunciato al monento

di abiurare il protestantesimo e convertirsi al cattolicesimo: «Parigi val bene una messa».

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Aveva deciso di convertirsi per poter ambire al trono di Francia. Tuttavia Enrico IV,

proprio per il suo passato protestante, riuscì a porre un freno alle guerre di religione in

Francia, promulgando un editto importantissimo, simbolo della tolleranza e della libertà

religiosa: ’Editto di Nantes (1598)

Questo fu l’atto che chiuse davvero questa sanguinosa stagione di guerre religiose .

Con l'Editto di Nantes Enrico IV riconobbe piena libertà di coscienza e di culto

pubblico in tutto il regno, con la sola eccezione Parigi, e attribuì pari diritti civili a

cattolici e protestanti; fu inoltre concesso ai protestanti di conservare a spese dello Stato

un centinaio di piazzeforti, per loro tutela, il che permise loro di conservare una struttura

politico-militare autonoma e parallela rispetto a quella della corona. Si apriva per la

Francia un’inedita stagione di sostanziale tolleranza religiosa che sarebbe ufficialmente

durata, nonostante interruzioni e scontri, per quasi un secolo (fino alla revoca dell’editto

di Nantes da parte di Luigi XIV nel 1685).

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