Dispense Lezione 2 Strade

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Lezione del 4 marzo, territorio e viabilità Testi tratti dalla ricerca : LA VIA ROMANA A TURRE: RICOSTRUZIONE DEL PERCORSO FINO A MOLARIA ATTRAVERSO LA TOPONOMASTICA, LA DOCUMENTAZIONE TOPOGRAFICA E ARCHEOLOGICA NADIA CANU, 2007 I INTRODUZIONE METODOLOGICA E INQUADRAMENTO DELLA PROBLEMATICA 1-Cenni metodologici La viabilità della Sardegna romana fu il frutto di una lenta evoluzione, originata in età preistorica e protostorica sulla base dei percorsi segnati dalla natura e sviluppata in età punica, quando i conquistatori dell’isola avevano adattato ai propri scopi le piste dei protosardi 1 . In età romana il sistema viario raggiunse un apice ineguagliato fino all’età contemporanea, tanto che i percorsi fissati in quest’epoca segnano notevolmente il paesaggio ancora oggi 2 . Infatti la rete stradale era eccezionalmente sviluppata e percorreva praticamente l’intera isola, costituendo il principale canale della romanizzazione 3 , tanto che Meloni auspica un più approfondito studio delle strade romane proprio al fine di comprendere in maniera più chiara e definita le dinamiche di penetrazione dell’elemento romano in Sardegna 4 . In ciò la situazione riscontrabile nell’isola è raffrontabile con quella delle altre province dell’Impero: 1 TETTI 1985, p.74. 2 MASTINO 2005, p.333. 3 MELONI 1975, p.265. 4 MELONI 1975, p.298. 1

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Lo studio della viabilità romana in sardegna, documentazione e metodi

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Lezione del 4 marzo, territorio e viabilità

Testi tratti dalla ricerca : LA VIA ROMANA A TURRE: RICOSTRUZIONE DEL PERCORSO FINO A MOLARIA ATTRAVERSO LA TOPONOMASTICA, LA DOCUMENTAZIONE TOPOGRAFICA E ARCHEOLOGICA

NADIA CANU, 2007

I

INTRODUZIONE METODOLOGICA E INQUADRAMENTO DELLA PROBLEMATICA

1-Cenni metodologiciLa viabilità della Sardegna romana fu il frutto di una lenta evoluzione, originata in età preistorica e protostorica sulla base dei percorsi segnati dalla natura e sviluppata in età punica, quando i conquistatori dell’isola avevano adattato ai propri scopi le piste dei protosardi1. In età romana il sistema viario raggiunse un apice ineguagliato fino all’età contemporanea, tanto che i percorsi fissati in quest’epoca segnano notevolmente il paesaggio ancora oggi2. Infatti la rete stradale era eccezionalmente sviluppata e percorreva praticamente l’intera isola, costituendo il principale canale della romanizzazione3, tanto che Meloni auspica un più approfondito studio delle strade romane proprio al fine di comprendere in maniera più chiara e definita le dinamiche di penetrazione dell’elemento romano in Sardegna4.In ciò la situazione riscontrabile nell’isola è raffrontabile con quella delle altre province dell’Impero: le vie sono i manufatti che hanno impresso maggiormente un segno indelebile e un condizionamento costante al paesaggio antropizzato. La costruzione della rete viaria procedeva parallelamente alla conquista dei territori e alla deduzione delle colonie, che dovevano essere collegate con la capitale. Inizialmente si provvedeva a sfruttare e valorizzare tracciati e piste esistenti, rettificandoli e sistemandoli; a differenza dei percorsi precedenti si trattava di strutture quasi interamente artificiali, la cui costruzione e manutenzione richiedevano grandi capacità organizzative5.

I problemi relativi alla viabilità romana in Sardegna sono stati discussi in una serie abbastanza numerosa di studi, molti dei quali hanno però privilegiato l’aspetto prettamente epigrafico, o utilizzato metodologie storiche e archeologiche di tipo

1 TETTI 1985, p.74.2 MASTINO 2005, p.333.3 MELONI 1975, p.265. 4 MELONI 1975, p.298.5 UGGERI 2000 D, pp.207-210

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tradizionale, senza soffermarsi su proposte di ricostruzione aventi come base la topografia dei luoghi indagati. Recentemente, anche grazie all’ausilio di nuove metodologie e strumenti messi a disposizione dall’informatica, l’impegno di giovani studiosi si è concentrato sullo studio di tali problematiche, mostrando come dall’analisi della globalità della documentazione e attraverso l’archeologia dei paesaggi sia possibile fornire importanti contributi. Esempi di questo approccio si trovano nel recente volume di Stefania Atzori sulla strada a Karalibus Sulcos6 e nella tesi di dottorato di Rosita Giannottu sulla pertica di Turris Libisonis7.…

2-Cenni sulle tipologie di strade romane in SardegnaLa conquista romana della Sardegna venne accompagnata da una razionalizzazione del sistema di percorsi eredità dell’epoca nuragica, sia per finalità militari, per mantenere il controllo sul territorio assicurando il pronto spostamento delle legioni nelle varie zone, sia per convogliare verso gli scali portuali le merci dirette a Roma e favorire i traffici economici. Questa funzione strategica è evidenziata dal fatto che nelle varie zone dell’Impero le strade venivano aperte proprio dalle legioni; inoltre, quando si impiantava una colonia, il tracciamento delle strade era effettuato contestualmente alla centuriazione del territorio8.I requisiti fondamentali della strada romana sono enucleati da Vitruvio9: firmitas, utilitas, ma anche venustas. Il tracciato era progettato in base a considerazioni geometriche, morfologiche e di carattere pratico. Veniva effettuato uno studio preliminare del terreno e del sottosuolo onde verificarne la stabilità e prevenire il pericolo di frane e inondazioni: ove possibile si sfruttavano le condizioni naturali, ma quando necessario si provvedeva alla costruzione di opere imponenti. Quindi per materializzare il tracciato erano necessarie operazioni topografiche e geodetiche di rilevamento, veniva fissato l’asse e si stabilivano sul suolo i punti per i quali doveva passare la via.In base alla loro importanza le strade erano classificate gerarchicamente, secondo quanto tramandatoci da un documento amministrativo del I secolo redatto dal geometra Siculus Flaccus10:

Strade pubbliche (viae publicae), costruite a spese dello stato e recanti il nome del costruttore, corrispondenti alle nostre autostrade;

Strade con funzione strategica (viae militares), costruite dall’esercito con i propri fondi all’atto della conquista, destinate a diventare viae publicae;

Vie minori (actus), costruite e mantenute dai pagi, corrispondenti alle attuali vie comunali;

Strade private (privatae), costruite e mantenute dai proprietari all’interno dei propri possedimenti.

Le strade erano percorse dal servizio a cavallo del cursus publicus, ovvero il servizio postale, istituito in età augustea, che con i veredi era in grado di percorrere velocemente ampie distanze, e dal cursus clabularis, ovvero il traffico pesante deputato principalmente al trasporto del frumento e dei prodotti minerari (in Sardegna il piombo, il rame e l’argento del Sulcis e della Nurra) verso le coste e i principali porti, dai quali le navi onerarie li imbarcavano.

6 ATZORI 2006.7 GIANNOTTU 20058 ADAM 1996, p.300.9 Vitr. De Arch. I, 3, 2.10 CHEVALLIER 1972, p.68, nota 1.

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I Romani utilizzarono per la costruzione delle strade una tecnica rispondente alle esigenze della viabilità e dei veicoli dell’epoca, ma anche all’insegna della massima economia, consistente in tracciati per quanto possibile rettilinei: la finalità era infatti quella di ottenere un percorso che fosse più breve possibile tra il punto di partenza e la meta, non con la finalità di collegare i vari centri che si trovavano sulla direttrice, che erano invece serviti dalla rete della viabilità secondaria, ma per il rapido raggiungimento dell’obiettivo strategico11. In taluni casi si inerpicavano su terreni montuosi con pendenze fino al 20%; le strade che seguivano i fianchi dei rilievi o che attraversavano depressioni erano sostenute da terrapieni poggianti su uno o entrambe i lati su muri di sostegno. Il modo più semplice per superare un ostacolo consisteva nel tagliare la roccia per il passaggio della via, espediente che si utilizzava nelle zone montane o scoscese: nei limiti del possibile il taglio veniva effettuato su un solo fianco della roccia, e in tal modo risultava a sbalzo, poiché la sede stradale veniva realizzata sbancando in forma di gradino il pendio. Se la roccia era tenera, venivano direttamente scavate trincee o tagliate12. Solo quando necessario venivano realizzati ponti o, in casi eccezionali (solo quando non potevano essere utilizzati altri espedienti quali tagli e trincee), trafori (cryptae)13. I ponti erano inizialmente in legno, poi in pietra: la parte più difficile nella realizzazione del ponte era la costruzione delle fondazioni e dei piloni, soprattutto se si trattava di attraversare corsi d’acqua: in questo caso, anche per diminuire la forza erosiva della corrente sui piloni, si cercava di diminuirne il numero, attraverso la costruzione di arcate più ampie possibile.La costruzione di un piano stradale prevedeva l’apertura di due fossi paralleli con distanza pari alla larghezza della strada, nei quali si ponevano di taglio le pietre che costituivano i margini dei marciapiedi (crepidines); lo spazio intermedio (agger) veniva scavato ad una profondità compresa in genere tra 0,6 e 1 m, comunque fino ad incontrare il terreno sodo; quindi veniva posta la massicciata (statumen), costituita da ciottoli con la duplice funzione di rendere compatto il terreno ed evitare il ristagno dell’acqua; su questa veniva posto uno strato di ghiaia e sabbia (ruderatio) che veniva compresso e battuto con le mazzeranghe; seguiva uno strato di sabbia (nucleus) consistente nel piano di posa dei lastroni poligonali levigati in superficie che, nelle strade principali, costituivano la pavimentazione della strada; nelle strade secondarie il summum dorsum era invece costituito da una massicciata formata da ciottoli e pietrame posta direttamente sulla ruderatio, contenuto da margines realizzati in blocchi14. È stato osservato che nella costruzione delle strade romane non compare la malta di calce15. Tito Livio, riferendosi al 174 a.C., afferma che le strade erano lastricate solo nei tratti urbani, mentre in campagna erano semplicemente rivestite di sabbia e ciottoli16.Le strade avevano carreggiata variabile in base al traffico e all’importanza della via, in genere compresa tra 3 e 5 metri, ai quali si devono aggiungere da 0,60 a 1 m per parte per costituire i marciapiedi. Poiché le vie secondarie dovevano comunque garantire il passaggio di due carri affiancati, si stima che larghezza minima dovesse aggirarsi

11 UGGERI 2000 D, p.211.12 Alcune sono anche ricordate da iscrizioni: CIL XI 1524, a Sisteron, in Gallia Narbonese, CIL III, 1698, iscrizioni rupestri di Tiberio e la Tavola Traiana alle Porte di Ferro, in Romania; le tabelle traianee sulla parete del Pisco Montano a Terracina indiacano di 10 in 10 piedi l’altezza della tagliata che semplificò il tracciato della via Appia evitando una forte salita. UGGERI 2000 B, p.100.13 Esempio quello flavio della via Flaminia al Furlo (CIL XI 60).14 Già Lucr. I, 315, distingueva nella costruzione delle strade tre strati: statumen, nucleus, summum dorsum. Vedi anche la descrizione della costruzione della via Domiziana in Stat., Silv. IV, 3, 40-59. Sulla tecnica costruttiva delle strade romane CHEVALLIER 1972; ADAM 1996, pp.299-316; sulla tecnica costruttiva delle strade in Sardegna FOIS 1964, pp.8-9; BELLI 1988, pp.380-381; ATZORI 2006, pp.12-13.15 ADAM 1996, p.301.16 Liv. XLI, 32.

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intorno ai 3 m, mentre strade più strette di 3 m e con considerevole pendenza (oltre il 15%) erano probabilmente destinate soltanto al passaggio di animali da soma17. Spesso i marciapiedi erano rialzati o delimitati da fossati; la strada aveva poi una superficie leggermente convessa ed era fornita di canalette di drenaggio ai lati, per impedire all’acqua piovana di riversarsi sulla carreggiata. In Sardegna (ma anche nelle varie province dell’Impero) una minima parte delle strade, alcuni tratti delle arterie più importanti o, di norma, all’interno dei principali centri urbani, era silicae strata, cioè con il summum dorsum lastricato per mezzo di un basolato, la maggior parte invece era glarea stratae, con il summum dorsum costituito da una massicciata formata da ciottoli e pietrame18. Questa seconda tecnica, la glareatio, non garantiva la stessa solidità delle vie basolate: il continuo passaggio di mezzi pesanti, quali i carri carichi di merci e i convogli militari, ne provocavano una rapida usura. Pertanto erano necessari continui restauri e riparazioni, anche a distanza di brevi intervalli di tempo, per mantenere efficiente il sistema viario, problema che del resto si verifica anche ai giorni nostri. I vari restauri e rifacimenti subiti nel corso degli anni dalle strade romane sono ovviamente leggibili negli strati più superficiali.In base all’analisi dei tratti di massicciata esistenti sull’altopiano di Abbasanta, a Planu Maiore (Fordongianus) e a Tanca Melchiorre Morenu (Macomer) effettuata da Belli19, si può affermare che anche la strada a Turre, la principale arteria della Sardegna romana, era glareata: infatti nei luoghi citati, dove la larghezza totale della strada raggiunge gli 8 m, la massicciata è costituita da pietre tondeggianti, mentre lungo i margines e al centro della strada sono presenti tre filari di blocchi sbozzati, che costituiscono l’ossatura della strada; a distanza di 10-15 m si osservano inoltre dei raccordi trasversali per conferire maggiore solidità; il piano di carraggio è leggermente ricurvo per favorire il deflusso delle acque. La ruderatio a Planu Maiore è profonda intorno a 0,45 m e composta da terra frammista a pietrame, da un vespaio di blocchi di medie dimensioni appena sbozzati e ricoperta da un nucleus sabbioso; a Tanca Melchiorre Morenu la fondazione è profonda intorno a 0,6 m, e vi si individuano una base di pietre frammiste a terra, un vespaio di grossi massi, un sottile strato di terra per la posa della glareatio. Si tratta di una tipologia molto compatta, diffusa in varie zone dell’Impero, sulla quale esistono però dubbi circa la percorribilità tramite carri. Carbonazzi, il costruttore della strada Reale, descrivendo il sistema costruttivo del percorso romano afferma: “Quanto sarebbe incomodo per noi il correre su una strada in tal modo ciottolata! se ne ha una nel tragitto da Abbasanta a San Lussorio, dove si corre l’antica di fresco ristaurata strada romana20”. Belli non esclude che per favorire la percorribilità fossero adottate soluzioni similari a quella del restauratore della strada citata da Carbonazzi, Boyl, il quale, oltre a ripristinare la massicciata, la fece anche ricoprire di uno strato di sabbione ben compattato per favorirne la percorribilità da parte dei carri.Sembra difficile che la strada a Turre mantenesse per tutto il percorso fino a Carales una larghezza intorno agli 8 m: altre attestazioni (Meriaga a Macomer e Margangionis a Uras) fanno presumere una larghezza media intorno ai 6 m, mentre in altre zone, per esempio a Su Crocifissu Mannu, la larghezza, probabilmente per adattarsi al bancone di roccia, doveva ulteriormente restringersi fino a 4,5 m21.Altre attestazioni, pertinenti a deverticula, sono utili per chiarire la tecnica costruttiva delle strade in forte pendenza, dove si riscontra una tipologia peculiare della Sardegna, che Rebuffat ha definito “à barres transversales”22, contraddistinta da bordi laterali realizzati con grosse pietre, pavimentazione che utilizza sia pietre piatte e irregolari che 17 ADAM 1996, p.303.18 BELLI 1988, p.380; MASTINO 2005, p.334.19 BELLI 1988, pp.380-381.20 CARBONAZZI 1832, p.76.21 BELLI 1988, p.381.

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piccoli ciottoli (presenti in maggior percentuale nelle zone a maggior pendenza), barre trasversali perpendicolari alla strada, che assumono la forma di gradino. Per il passaggio dei carri è stato ipotizzato l’utilizzo di piani inclinati in legno.Lungo la strada si trovavano sia le mansiones, luoghi di sosta attrezzati con locande, alloggi e scuderie, posti ad una distanza di una giornata di viaggio o all’ingresso dei principali centri abitati, sia, a distanze minori, le mutationes, presso le quali era possibile sostare e cambiare le cavalcature o gli animali da traino e dove bisognava esibire un passaporto recante il sigillo imperiale23.Le distanze erano indicate da monoliti di forma normalmente cilindrica (miliaria), nei quali veniva indicato il nome del percorso e la distanza dal caput viae, espressa in passi (passus) o in miglia; il passo (in realtà un doppio passo) corrispondeva a 5 piedi, ovvero 1,48 m; un miglio conteneva mille passi, ed era pari a 1480 m24. I miliari sono la principale fonte diretta sui rifacimenti e i restauri della strada, perché in essi viene spesso riportato il nome dell’imperatore o del governatore sotto il quale avvenne il posizionamento del segnale stradale e i lavori correlati. La cura viarum, affidata a magistrati appositamente preposti, era un elemento importantissimo per l’assetto territoriale delle province, perché la funzionalità delle strade garantiva maggiore controllo e coesione dell’impero: in Sardegna la cura viarum ricadeva sotto le competenze del governatore25.

22 REBUFFAT 1984, pp.131-134, descrive una strada in territorio di Pattada, proponendo raffronti con un esempio algerino da Cirta a Rusicade, ma anche su un tronco della stessa via Appia in pendenza. Questa particolare tecnica costruttiva sarebbe volta a impedire lo slittamento del lastricato. Cfr. con attestazione da Cargeghe in MANCA DI MORES 1996, pp.767-770. 23 CHEVALLIER 1972, pp.210-211.24 ADAM 1996, p.312.25 ATZORI 2006, p.13.

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DOCUMENTAZIONE

1- Fonti anticheTutta la letteratura antica ci ha tramandato indicazioni utili per la ricostruzione del mondo classico, anche sotto il punto di vista topografico26.Le fonti letterarie relative alla Sardegna settentrionale in età romana non sono molte. Per quanto riguarda la viabilità abbiamo alcune attestazioni da parte dei geografi, che nominano le principali stazioni di sosta di ambito rurale (mansiones), le città, i porti e le principali direttrici utilizzate per il trasporto delle merci27.Gaio Plinio Secondo, vissuto tra il 23 e il 79, fu l’autore dell’opera enciclopedica Naturalis Historia, che si occupa di geografia descrittiva dal III al VI libro. La formula provinciae28 contiene i nomi degli oppida e dei populi della Sardegna e in particolare riferisce che l’unica colonia presente nell’isola era quella di Turris Libisonis29.Tolomeo, il massimo geografo dell’antichità vissuto ad Alessandria d’Egitto, operante nel periodo degli Antonini, scrisse la Geografia in otto libri. Si tratta del manuale più vasto ed accurato fino all’età moderna, corredato da un atlante munito di reticolo geografico30, con l’elencazione di oltre 7000 nomi geografici accompagnati dalle rispettive coordinate: infatti fornisce relativamente alla Sardegna alcuni nomi di località31: in particolare segna come estremo centro occidentale della costa settentrionale della Sardegna Pýrgos Libísonos32. In alcuni codici medievali sono presenti carte regionali che costituiscono un atlante dell’intero mondo conosciuto, anche se rimane accesa la diatriba sia sulla paternità di queste carte che sulla ricostruzione filologica del testo.Nel periodo romano esistevano poi dei catasti relativi al territorio conquistato, alle colonie e alla pertica di pertinenza, dove erano registrate le singole particelle: una copia era depositata presso il caput provinciae, una presso il Tabularium a Roma. Purtroppo di essi è pervenuto solo il catasto della forma coloniarum di Aurasium (Orange), ma documenti simili dovevano esistere anche in tutte le altre provincie. In Sardegna la sua esistenza è documentata dalla Tavola di Esterzili33.

26 UGGERI 2000 A.27 MASTINO 2005, pp.333.28 Plin. N. H. III, 7, 85.29 Colonia una autem quae vocatur Turris Libisonis.30 L’opera è derivata principalmente da Marino di Tiro e da itinerari romani. Mentre la stima delle latitudini è abbastanza esatta, quella delle longitudini dei punti di riferimento principali sono spesso ricavate da indicazioni approssimative dei viaggiatori. Inoltre si basa sulla misura erronea della circonferenza della terra ricavata da Posidonio anziché su quella corretta di Eratostene, perciò lo sviluppo della terra nel senso E-W risulta esagerato. UGGERI 2000 A, p.53; BONORA 2000, p.137.31 Sull’opera di Tolomeo in relazione alla Sardegna MELONI 1986.32 Ptol. III, 3, 5.33 Nella Tavola di Esterzili, il più importante documento epigrafico rinvenuto in Sardegna, è infatti trascritta una sentenza con la quale il proconsole Lucio Elvio Agrippa condannava i Gallilenses a lasciare il territorio dei Patulcenses; in essa si dice che i Gallilenses intendevano produrre come prova in loro favore una tavola catastale depositata a Roma, essendo scaduto il termine di tre mesi a loro concesso dal

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Le conquiste militari e l’allargamento dei commerci con paesi lontani fecero nascere la necessità di creare forme di documentazione che potessero avere un’utilità pratica, soprattutto nel corso delle campagne militari: si tratta degli itinerari, che sono comunemente distinti in itineraria scripta o adnotata e itineraria picta34. I primi riportavano in forma letteraria la descrizione della posizione di luoghi, le distanze tra essi, le condizioni delle strade e altre indicazioni utili per il viaggio, come la presenza di stazioni del cursus publicus, distinte in mansiones (con alloggio) e mutationes (per il cambio dei cavalli). I secondi erano rappresentazioni grafiche a colori che supportavano gli itineraria scripta, con una simbologia che indicava schematicamente i percorsi. Con il tempo questi strumenti non vennero più usati solo per scopi militari, ma anche civili.Tra gli itineraria scripta un posto di primo piano spetta all’Itinerarium Provinciarum Antonini Augusti35, una vasta raccolta di itinerari, predisposti in tempi e occasioni differenti ma ordinati secondo un criterio geografico, contenente la descrizione delle principali vie delle province dell’impero. I dati risalgono probabilmente alla carta di Agrippa e a documenti ufficiali del cursus publicus, anche se il titolo dell’opera ricorda, a quanto sembra, Caracalla e nel testo sono presenti interpolazioni e aggiunte successive fino almeno al IV secolo. Non è un documento ufficiale, come si osserva dal fatto che le strade non iniziano da Roma e in alcuni casi sono spezzate o incomplete36.L’Itinerario stesso ci è giunto incompleto e attraverso un’incerta tradizione manoscritta37. Nell’iter Sardiniae sono distinti sette percorsi, che possono schematicamente essere ridotti a quattro, ordinati da est a ovest, con le stazioni citate sempre da nord verso sud, percorsi più brevi nelle aree intensamente romanizzate e maggiore distanza tra le mansiones nelle aree interne38:

1. La litoranea orientale, chiamata a portu Tibulas Caralis, comprendente 14 stazioni e lunga 246 miglia;

2. La strada interna della Barbagia, chiamata aliud iter ab Ulbia Caralis, comprendente 5 stazioni e lunga 172 miglia;

3. La strada centrale sarda, chiamata a Tibulas Caralis, comprendente 10 stazioni e lunga 213 miglia;

4. La litoranea occidentale, chiamata a Tibulas Sulcis, comprendente 14 stazioni e lunga 260 miglia.

Poiché vengono omesse strade di capitale importanza, tra le quali quella che portava da Turris Libisonis, La Marmora ipotizzò che l’Itinerario indicasse esclusivamente strade importanti per la funzione militare, omettendo le altre, ovvero le strade dirette e più trafficate39. Poiché le stazioni vengono sempre citate da nord verso sud, secondo un andamento parallelo e in direzione del principale porto, come avviene anche in altre province, è stato ipotizzato un diretto collegamento tra l’Itinerario e l’annona40. Rebuffat, che si è occupato dello specifico problema proprio in relazione alla Sardegna, pensa che non si tratti di un documento dipendente dal servizio annonario, ma che abbia parzialmente attinto a documenti relativi all’annona e databili all’età compresa tra Comodo e Severo Alessandro; proprio il suo carattere eterogeneo indica fonti e utilizzi differenti.

senatore Cecilio Semplice, sarebbe stata usata la copia catastale conservata presso l’archivio provinciale a Carales. Sulla tavola MASTINO 2005, pp.137-144 con bibliografia precedente.34 L’esistenza di itinerari non tantum adnotata sed etiam picta ad uso militare è attestata da Vegezio nel De re militari (III, 6).35 CALZOLARI 1996.36 UGGERI 2000 D, p.221.37 MELONI 1975, p.265.38 REBUFFAT 1990, pp.719-722; MASTINO 2005, pp.338-339.39 LA MARMORA 1840, pp.180-181; TETTI 1985, p.75.40 REED 1978, p.243.

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Innanzitutto, se si trattasse di un documento ufficiale, specchio del cursus publicus, le distanze indicate fra le mansiones dovrebbero essere a suo parere più omogenee e inoltre sarebbe inspiegabile l’importanza conferita a Tibula. Egli vede nelle mansiones i collettori di derrate, centrali rispetto a piccole aree economiche dove potevano con maggiore facilità confluire i prodotti, con destinazione ultima verso il collettore principale, ovvero il polo portuale di Carales. Il numero di mansiones citate dall’Itinerario non sarebbe quindi in funzione del popolamento, ma della capacità produttiva di ogni microregione41. Il geografo utilizza comunque fonti posteriori all’età traianea, in quanto le Aquae Ypsitanae hanno già cambiato il nome in Forum Traiani. In tutto sono citate 40 diverse stazioni. La strada centrale sarda è chiamata a Tibulas Caralis: lunga 213 miglia (circa 315 km) collegava la Gallura con il Campidano, toccando 10 stazioni distanti da 12 a 39 miglia: Tibula (Castelsardo); Gemellae (probabilmente Perfugas), a 25 miglia; Luguidonis castra (Oschiri), a 25 miglia; Hafa (Mores), a 24 miglia; Molaria (Mulargia), a 24 miglia; Ad Medias (Abbasanta), a 12 miglia; Forum Traiani (Fordongianus), a 15 miglia; Othoca (Santa Gusta), a 16 miglia; Aquae Neapolitanae (Sardara), a 36 miglia; Caralis, a 36 miglia.

Mentre l’Itinerario cita la a Tibulas Caralis i miliari non riportano questo nome ma a Karalibus Turrem o a Turre. Secondo Mastino, la datazione della strada ivi descritta risale probabilmente ad epoca repubblicana, come testimonia il caput viae Tibula (quindi forse Turris Libisonis non era ancora stata fondata) e i restauri effettuati già sotto Vespasiano, ma concepita in senso unitario solo con Claudio, con i due tronchi, uno proveniente da Turris e uno da Carales che si incontravano alle Aquae Ypsitanae42. Viene però ignorato in questo itinerario il ruolo di Turris Libisonis, che non viene citata nell’ambito della strada centrale, ma per la litoranea occidentale (a Tibula Sulcos), come stazione Ad Turrem.

Il maggiore esempio di itinerarium pictum è la Tabula Peutingeriana, costituita da un rotolo di pergamena lunga 6,82 m e larga 34 cm e attualmente conservata presso la Biblioteca Nazionale di Vienna. Tutti i territori rappresentati si sviluppano in senso longitudinale, con una sensibile alterazione della posizione assoluta dei centri urbani. Vi è raffigurato tutto il mondo noto, strade per una percorrenza di oltre 100.000 km e oltre 3000 stazioni stradali, con denominazione e distanze dai centri attigui, indicazioni su orografia, idrografia e altri elementi del paesaggio, con una specifica simbologia per i luoghi di sosta, le città, i porti, le terme e rappresentazioni allegoriche per i centri maggiori. Si tratta di una copia medievale datata al XII-XIII secolo di una carta datata probabilmente al IV secolo, che si ritiene a sua volta basata per la gran parte su dati della carta di Agrippa e dei documenti del cursus publicus43. Per la Sardegna vengono annoverati sette centri (Turribus, Caralis, Nura, Uttea, Sulci, Neapoli, Crucis), forse disposti su due itinerari, uno centrale (Turribus Caralis) e l’altro occidentale (Caralis, Nura, Uttea, Sulci, Nespoli, Crucis, Turribus)44. Turribus è identificata con Turris Libisonis, ed è, a parere degli studiosi, l’unica tra le citta indicata da due torri, per alcuni a simboleggiare lo status di colonia45, per altri semplicemente a indicare un luogo di tappa dove era possibile l’allogio e il cambio dei cavalli46.

41 REBUFFAT 1990, pp.723-729.42 ZUCCA 2002; MASTINO 2005, pp.338-339.43 Sulla Tabula Peutingeriana BOSIO 1983; BONORA 2000, pp.139-140; UGGERI 2000 D, pp.222-223. In relazione alla Sardegna DIDU 1982. 44 ZUCCA 1999, p.221.45 Interpretazione seguita anche da MASTINO 1992.46 MELONI 1975, p.224.

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Comunque, per quanto attiene la presente ricerca, purtroppo non raffigura né l’assetto viario né alcun elemento geografico utile alle nostre finalità.

Alla stessa tradizione della Tabula Peutingeriana attingono due tardi epigoni, Guidone e l’Anonimo Ravennate. Nella Cosmographia dell’Anonimo Ravennate, in cinque libri e datata al VII secolo, sono elencate altre stazioni sarde, ordinate secondo tre percorsi con origine a Caralis47, ma senza l’indicazione delle distanze:

1. Da Caralis a Turris fino al sito non identificato di Bibium;2. Da Caralis a Nora, alle Aquae calidae Neapolitanorum, ai Castra Felicia;3. Da Caralis a Ignovi, lungo la costa orientale.

Nell’elencazione delle città sarde viene ricordata la Turris Librisonis colonia Iulia, indicazione che ha ristretto al periodo compreso tra Cesare e Ottaviano la deduzione della stessa48. Oltre che nell’Anonimo Ravennate, anche in Guidone la città è chiamata Turris Librisonis con il cognomen Iulia.Infatti la costruzione della via a Turre è stata posta in relazione con la deduzione della colonia, anche se è impossibile che prima di questa data non esistesse un sistema viario già in grado di convogliare verso le città portuali i prodotti agricoli e le risorse minerarie dell’isola. Non ci sono ancora attestazioni certe sull’anno di fondazione, infatti una parte degli studiosi propende per il 46 a.C., anno in cui Cesare sostò in Sardegna dopo la battaglia di Tapso49, un’altra per una data intorno al 42, ad opera di Ottaviano50. Si trattava probabilmente di una deduzione proletaria, come prova l’iscrizione dei suoi cittadini nella tribù Collina51; a questa prima deduzione nel 42 ne sarebbe seguita una di carattere veterano, relativa ai soldati di Antonio, in seguito alla battaglia di Azio, spiegando in questo modo l’abbondanza di monete del triumviro sconfitto e la precoce attestazione di culti egizi52.

2.Attestazioni epigraficheLe iscrizioni rivestono una particolare importanza negli studi di topografia antica e sul mondo antico in generale, perché costituiscono una fonte diretta in quanto non c’è nessuna mediazione tra lo studioso e il documento, essendo in ciò molto simile ad un’altra fonte, quella archeologica, che però resta muta e da sola non può indicarci ethnos, lingua, nomi e termini, mentre l’epigrafia rivela lingua, nomi di persone e cose, informazioni sulla costruzione, la funzione e la cronologia di un dato monumento ecc.53.Nel Terzo Congrsso di Topografia Antica, intitolato “La viabilità romana in Italia” Marangio sottolinea l’importante contributo dell’epigrafia nella ricerca topografica, in relazione alle evidenze che si ricollegano alla viabilità: indubbiamente le attestazioni più importanti sono quelle offerte dai miliari, anche se è ovvia l’importanza dei riscontri archeologici e delle fonti itinerarie classiche. Diverse vie hanno potuto essere ricostruite nel concreto tracciato sul terreno grazie al rinvenimento delle pietre miliari. Ne sono noti circa 6000, pubblicati in fondo ai volumi del CIL, e che saranno ripubblicati da soli nel CIL XVII: si presentano in genere come colonne di pietra e come dice il nome hanno lo scopo di segnare le distanze di un 47 DIDU 1982, p.203.48 MELONI 1975, p.225.49 Così viene spiegato l’appellativo Iulia riportato dall’Anonimo Ravennate e l’assenza della città nel capitolo 28 delle Res Gestae di Augusto, dove vengono elencate le città di fondazione augustea da MELONI 1990, pp.254-255; MASTINO 1984, p.39; MASTINO 1992, pp.14-16; MASTINO-VISMARA 1994, pp.13-15; AZZENA 1999, pp.369-370; MASTINO 2005, p.273.50 Propende per questa ipostesi Zucca in Mare sardum, p.192, sulla base dell’attestazione del legato di Ottaviano Marcus Lurius come probabile patronus coloniae.51 MASTINO 2005, p.274.52 MASTINO 2005, pp.273-274.53 UGGERI 2000 B, p.85.

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percorso ogni mille passi; il passus (in realtà un doppio passo) corrispondeva a 5 piedi, ovvero 1,48 m; un miglio conteneva mille passi, ed era pari a 1480 m54. Il più famoso è il Milliarium Aureum, che in occasione dell’istituzione del cursus publicus nel 20 a.C., venne eretto da Augusto nel Foro Romano, presso i Rostra, dove resta solo parte del basamento circolare: era considerato l’ideale punto di irradiazione di tutte le strade dell’impero. Nei miliari sono spesso riportati gli elogi rivolti ai magistrati e agli imperatori in seguito alla costruzione o al restauro di una strada, il suo costo o il finanziatore dell’opera, a volte con l’esplicito riferimento al caput viae e anche alla località di arrivo, informazioni particolarmente preziose per la ricerca topografica. In epoca tarda i miliari sono usati come un capillare strumento di propaganda sulle strade da parte degli imperatori, che non necessariamente vi sono intervenuti con restauri, anzi in molti casi riutilizzano per le loro titolature miliari preesistenti55.Oltre ai miliari esistono anche iscrizioni di differente categoria che possono fornire indicazioni relative alla viabilità: “i tituli pertinenti a magistrati addetti alla viabilità, a indicazioni di stationes pubbliche e private, a costruzioni di ponti e viadotti, a restauri a strade secondarie, ed a volte perfino epigrafi funerarie, soprattutto quelle collocate alla vista dei passanti lungo le arterie di maggior traffico56”, sempre poste con il lato iscritto verso la strada per poter essere lette.Bisogna anche sottolineare l’importanza del contributo offerto dalla topografia per la retta grafia dei toponimi rispetto alla tradizione manoscritta, spesso corrotta.Ovviamente, ai fini topografici, il documento epigrafico riveste un enorme interesse soltanto se si ritrova in situ o ne è certa la provenienza: per questo motivo molte attestazioni rimossi dal luogo d’origine e collocate nelle collezioni pubbliche o private possono mantenere un’importanza dal punto di vista antiquario, storico o letterario, ma spesso a causa della decontestualizzazione, sono destituiti di significato per il topografo, con la conseguente perdita di un patrimonio documentario inestimabile57.

2.1. I miliari in SardegnaSono quasi 150 i miliari stradali rinvenuti nell’isola, che ci permettono, in parte, di seguire il percorso delle strade, conservando spesso il numero delle miglia e in molti casi il nome dell’imperatore e del governatore relativi ai lavori di costruzione o restauro delle varie arterie stradali.La cronologia è compresa tra il I e il IV secolo, con una maggiore concentrazione nell’età dell’anarchia militare. Infatti 13 sono datati al III secolo, confermando anche per questa strada quanto risulta per altri contesti, cioè la frequenza di restauri eseguiti in questo turbolento periodo, e mostrando l’intensità delle esigenze di natura economica e il carattere anche politico che i miliari assumono: infatti alle opere di sistemazione di cui la rete viaria dell’isola aveva effettivamente necessità, si affiancava la professione di devozione e di riconoscimento ufficiale da parte dei governatori isolani nei confronti dell’imperatore di turno58. Pertanto non è sempre detto che a un restauro citato su un miliario ne corrispondesse uno reale: poteva anche trattarsi solo di una forma di propaganda dell’imperatore di turno.La diffusione dei ritrovamenti non è omogenea: gran parte dei miliari proviene dal retroterra di Olbia e, per quanto riguarda la strada in esame e la biforcazione per Olbia, dal nord della Campeda. È stato ipotizzato che la sezione centrale, che passava tra le zone montagnose e maggiormente esposta al pericolo del brigantaggio, abbia richiesto 54 ADAM 1996, p.312.55 UGGERI 2000 B, p.99.56 MARANGIO 1999, pp.7-8.57 UGGERI 2000 B, p.86.58 MELONI 1953, p.39.

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manutenzione più assidua, mentre nelle pianure coltivate, in particolare il retroterra turritano e il Campidano, l’intenso sfruttamento agricolo e il frequente riutilizzo di materiale lapideo per le recinzioni, possa giustificare l’esiguità dei miliari in quelle zone59. Naturalmente bisogna anche tenere in considerazione la disomogeneità delle ricerche archeologiche e dei relativi ritrovamenti.Normalmente i miliari sono realizzati con il materiale lapideo reperibile nei luoghi attraversati dalle strade, o da diverse officine operanti sul territorio o da lapicidi itineranti60. Secondo Stilow, un esame globale dei miliari consente di notare differenze distinte nella redazione del formulario, quali grafie, abbreviazioni, divisioni di righe, elemento che conferma l’impressione che nella produzione dei miliari in Sardegna esisteva un alto grado di decentralizzazione, riscontrabile talvolta anche nel territorio di un singolo comune61.

3. Documentazione archeologicaLe attestazioni archeologiche sono una fonte indispensabile nella ricerca topografica: per i periodi storici possono accrescere enormemente il nostro bagaglio di informazioni rispetto a quanto si desume dalle fonti scritte. Per quanto riguarda l’individuazione di infrastrutture e nello specifico campo della viabilità possono portare all’identificazione di un manufatto stradale o delle sue tracce (basoli, ghiaia, costipamenti, palificazioni, canalette), terrapieni e viadotti, ponti, tagliate, sepolcreti allineati, attrezzature di servizio (stationes, balnea, cisterne)62. Bisogna inoltre tenere conto della situazione geomorfologica e delle variazioni intervenute all’interno del quadro fisiografico: infatti come per le scelte insediamentali, anche per il tracciamento degli assi viari l’uomo ha dovuto confrontarsi con la realtà territoriale, adattandola ai propri fini o adattandosi ad essa. Esigenza primaria è comunque quella di creare percorsi economici, tali da richiedere la realizzazione del minor numero possibile di opere d’arte quali viadotti, ponti, gallerie, ma anche di ridotti interventi di manutenzione. Perciò in caso di versanti instabili gli assi stradali sono realizzati di norma sui crinali per evitare il pericolo di smottamenti. Nel settore collinare l’uomo ha dovuto tenere conto di una molteplicità di fattori, che vanno dalla pendenza alla stabilità dei versanti: la strada romana in genere preferisce mantenersi sull’unghia delle colline, mentre il tracciato collinare procede a spezzata, per tratti rettilinei, congiungendo via via i vari ostacoli naturali. In pianura vengono evitate le aree più basse rispetto al piano circostante, perché soggette ad inondazione, a favore di zone soprelevate come dossi, settori centrali dei coniodi e terrazzi di fondovalle più alti. Nelle zone montuose vengono affrontate forti pendenze, con piccoli raggi di curvatura, nel tentativo di adattarsi al suolo e seguendo la sinuosità dei rilievi, così da ridurre al minimo la costruzione di opere impegnative. Quando la strada segue un tracciato pre-romano è possibile riscontrare percorsi alternativi, dovuti alle successive migliorie apportate. La viabilità è anche condizionata dalla presenza dei fiumi, soprattutto di quelli più importanti, perché il loro attraversamento costituiva un ostacolo e dunque venivano cercati i luoghi più idonei per il guado o la costruzione di un ponte,

59 MELONI 1953, p.39.60 MASTINO 2005, p.333.61 In BONINU-STILOW 1982, pp.55-56. Il riferimento specifico è ai miliari ritrovati nel territorio di Mores.62 PATITUCCI 2000, p.105-106.

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provocando spesso disassamenti e il tracciamento di ampie curve tra il rettifilo stradale e il ponte63.

4.ToponomasticaLa toponomastica o riflessione sui nomi di luogo è stata sentita come una disciplina indispensabile nella ricerca topografica sin dall’Umanesimo; nell’ultimo secolo si è notevolmente accresciuta la quantità di dati a disposizione e contemporaneamente si è evoluta la metodologia, grazie ai progressi nel campo della glottologia e della linguistica storica. L’utilizzo più immediato è quello etimologico, ma i toponimi possono essere utili indicatori per l’individuazione di un sito, grazie alla loro persistenza.Circa la viabilità è opportuno distinguere le testimonianze che rimandano senz’altro all’antichità da quelle che attestano soltanto il passaggio di una strada ma senza suggerirne l’epoca. Può essere indicata la denominazione ufficiale, antica o medievale, la denominazione generica, la sede stradale e la pavimentazione, l’esistenza di manufatti, quali viadotti, tagliate, ponti, l’andamento del tracciato, le distanze e le colonne miliari (spesso è tramandata la distanza dal centro urbano più vicino), la presenza di di stazioni, di incroci o bivi.…Bisogna comunque tenere conto delle difficoltà oggettive della disciplina e usare molta cautela. Innanzitutto è opportuno assicurarsi dell’antichità del toponimo, cercando di risalire il più indietro possibile nella documentazione scritta e acquisendone le attestazioni più antiche sulla base delle pubblicazioni delle fonti antiche e medievali e sui relativi repertori; spesso la forma antica è fossilizzata in epiteti di chiese. Le serie sono più affidabili, perché le varie testimonianze si confermano o si correggono a vicenda, mentre un caso isolato può dar luogo a interpretazioni errate. Altro accorgimento è dare maggior credito alle forme volgari e corrotte piuttosto che a quelle trasparenti e corrette, che possono derivare da restituzioni erudite o paretimologie, derivate da fraintendimenti e banalizzazioni popolari64.

Da un punto di vista generale, i toponimi della Sardegna sono analizzati nei lavori di Paulis e Pittau.Paulis65 ha inteso fornire un repertorio di toponimi sardi, raccolgliendo più di 100.000 toponimi IGM, nei Quadri d’Unione del Catasto e delle Tavole Censuarie e ordinandoli per Comuni. Particolarmente utile risulta il glossario in calce al volume.

Pittau66 ha censito 882 macrotoponimi, ovvero nomi di paesi, città, regioni, monti e fiumi della Sardegna. A 313 di essi assegna una radice nuragica.

La toponomastica viaria in Sardegna ha suscitato pochi contributi, come sottolinea Zucca67. Da un punto di vista generale, in considerazione anche delle condizioni storiche e geografiche, è stato trattato da Tetti nello studio del 1985. Alcune delle osservazioni sono poi riprese e sviluppate da Belli68. “Molti centri rurali di epoca romana sono scomparsi già nel medioevo o nell’alto medioevo; molti però continuano nei nostri paesi di oggi. Perciò la rete di “bia carru”, “carrugalza”, “bia manna”, “bia maiore”, “bia ‘e logu”, che li collegava fino ai primi

63 DALL’AGLIO 2000, pp.190-191; UGGERI 2000 D, pp.210-211.64 UGGERI 2000 C, pp.129-131.65 PAULIS 1987.66 PITTAU 1997.67 ZUCCA 1999, p.224.68 Vedi Cap.III, § 4.5.1.

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decenni dell’Ottocento, era ciò che restava della viabilità romana; era, in massima parte, come il sistema capillare che conferiva vitalità al sistema delle grandi arterie, quale nelle linee essenziali ci è stato tramandato dall’Itinerario di Antonino69”.L’utilità di questo tipo di ricerca è evidente in particolare nella fase preliminare dello studio.Isidoro ci informa che le viae comprendevano anche semitae, tramites, divortia, diverticula, bivia, conpeta, ambitus, orbitae70: di questi nomi sono rimasti in sardo “semida” e “urbidu”: indicano sentieri, perciò non rivestono particolare importanza per la ricerca. Toponimi che possono essere considerati preziosi indizi sono “badu, bia, istrada, ponte, iscala, masone”, anche in considerazione della persistenza della toponomastica antica in Sardegna: Tetti ha indicato alcuni esempi e ha ricercato la presenza degli stessi nelle fonti archivistiche, in particolare nei Condaghi71.…

5- Documentazione dell’assetto territorialeLa documentazione cartografica è indispensabile per comprendere l’assetto ambientale e paesaggistico della zona in esame: la lettura del territorio può fornire importanti indizi e indirizzi per la valutazione e la formulazione delle varie ipotesi.

5.1-Cartografia storicaTra la cartografia storica a disposizione, consultabile, anche se non nella sua globalità presso l’Archivio di Stato di Sassari, si può citare il Catasto Decandia e il Cessato Catasto Terreni, risalenti alla prima e alla seconda metà del 1800, consistenti nei Fogli d’Unione comunali e nelle tavolette contenenti le singole frazioni, nei quali vengono indicate le particelle catastali. Inoltre possono risultare utili i relativi Processi di delimitazione, gli atti dei processi effettuati per la delimitazione dei confini comunali, nei quali vengono indicati numerosi toponimi e elementi archeologici o punti di riferimento territoriale, e il Sommarione, il registro dei proprietari terrieri nel quale vengono indicati, oltre al proprietario, la particella catastale, il toponimo e spesso l’uso del suolo. Grazie all’analisi comparata del Sommarione e del Cessato Catasto è quindi possibile localizzare con estrema precisione i singoli toponimi.Tali documenti possono fornire utili informazioni circa la viabilità, la suddivisione delle proprietà, l’uso del suolo, la situazione idrografica precedente alle bonifiche, i toponimi, i vecchi confini comunali72.Alla cartografia storica possono essere riferite anche le prime levate dell’IGM, nelle varie scale:

Levata del 1895, in scala 1:25000; Levata del 1907, in scala 1:100000; Levata del 1957, in scala 1:50000 Levata del 1958, in scala 1:25000 e 1:100000.

5.2-Cartografia attualeLa principale base cartografica è costituita dalla cartografia attuale, consistente nelle sezioni IGM in scala 1:25000, basate sulla levata del 1995, e sulla Carta Tecnica Regionale, derivata da voli del 1998 e disponibile in formato vettoriale (dwg).

69 TETTI 1985, pp.73-74.70 Isid. Or. XV, 16, 9.71 TETTI 1985, pp.94-113.72 GIANNOTTU 2005, p.26.

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Recentemente si è aggiunto uno strumento molto utile ma ancora in fase di rodaggio, consistente nella cartografia del Piano Paesaggistico Regionale, derivata dal relativo GIS. Si tratta di un sistema di dati utile a livello generale, ma ancora molto impreciso per quanto riguarda il particolare. In esso, su appositi livelli informativi, è stato inserito l’assetto storico-culturale, che tra le altre informazioni, contiene anche quelle relative ai siti archeologici. I punti deboli di quello che nei prossimi anni diventerà uno strumento imprescindibile per ricerche di questo tipo sono vari, in primo luogo la minore presenza di siti rispetto a quelli effettivamente noti in bibliografia o censiti dai singoli enti locali; il tipo di georeferenziazione, effettuata spesso sulla sola base del toponimo IGM senza verifiche sulle fotografie aeree o in posto e con un modello di dati puntuale piuttosto che lineare e areale. Si auspica che in tempi ragionevoli i singoli comuni provvedano all’adeguamento dei Piani Urbanistici Comunali al Piano Paesaggistico Regionale, con il controllo dei dati già inseriti e l’aggiornamento e l’implementazione di nuovi. Per quanto riguarda i singoli siti archeologici ogni comune dovrà fornire l’elenco dei siti censiti, completo di esatta georeferenziazione.

5.3-Fotografie aeree e immagini da satelliteCosì come la cartografia, anche la fotografia aerea fornisce dati di tipo storico e attuale, in base alla data delle diverse levate.Nell’ambito dell’imponente progetto del PPR, sono state inserite anche le ortofotocarte (dal 2000, a colori, e del 2003, in bianco e nero), che sono consultabili su internet all’interno del sito SardegnaTerritorio, rendendo pubblica la consultazione di questa importante fonte di documentazione sul territorio73.Fino a qualche anno fa era impensabile servirsi delle immagini da satellite per una ricerca di questo tipo, a causa dell’altissimo costo.Attualmente invece tale documentazione è accessibile a tutti grazie ad uno strumento disponibile gratuitamente su internet, Google Earth, che permette la visualizzazione di immagini da satellite che riprendono, con diverse fasce di precisione, l’intero globo. La zona in esame è abbastanza ben coperta intorno a Sassari, con un po’ meno di risoluzione nella zona di Macomer e del nuorese in generale.Rispetto alle fotografie aeree le immagini da satellite hanno in generale una risoluzione minore, anche se esistono satelliti che forniscono immagini con risoluzioni altissime (per esempio l’Ikonos, con risoluzione geometrica di 1 m in pancromatico e 4 m in multispettrale e il Quickbird, con risoluzione geometrica di 0,61 m in pancromatico e di 2,44 m in multispettrale)74.La Regione Sardegna, nell’ambito delle attività connesse all’implementazione del Piano Paesaggistico, ha recentemente acquisito la copertura Ikonos per l’intero territorio: si spera che oltre che a disposizione degli enti locali, questo materiale venga anche fornito agli istituti di ricerca operanti su base territoriale.

73 Sull’utilizzo delle fotografie aeree in archeologia PICCARRETA 1987, COSCI 1988; SCHMIEDT 1970; SCHMIEDT 1989; Lo sguardo di Icaro.74 GOMARASCA 2000, pp.21-40

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