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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO

PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA

DA DARWIN A GOULD: 150 ANNI DI EVOLUZIONISMO 9 di Telmo Pievani LA «FILOSOFIA» DI DARWIN 11 di Fabrizio Lomonaco LO STUDIO SCIENTIFICO DELLE EMOZIONI: UNA NUOVA RIVOLUZIONE DARWINIANA 13 di Bernardino Fantini EVOLUZIONE E PROGRESSO 15 di Edoardo Massimilla CHARLES DARWIN E ANTON DOHRN 17 di Giorgio Bernardi GOULD E GLI EQUILIBRI PUNTEGGIATI 19 di Luciano Gaudio

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“Gli animali sono nostri compagni, fratelli in dolore, malattia, morte e sofferenza e fame; nostri schiavi nel lavoro più faticoso, nostri compagni

negli svaghi; dalla nostra origine essi probabilmente condividono un comune antenato; potremmo essere tutti legati in un’unica rete”

Taccuino B, 1837, pp. 231-232

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Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo

www.comeallacorte.unina.it

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Telmo Pievani

Telmo Pievani è professore associato di Filosofia della

Scienza presso l’Università degli Studi di Milano

Bicocca, dove è vice-Presidente del Corso di laurea in

Scienze dell’Educazione. È segretario del Consiglio

Scientifico del Festival della Scienza di Genova e co-

Direttore Scientifico del Festival delle Scienze di Roma

presso l’Auditorium Parco della Musica. È autore di 94

pubblicazioni, internazionali e italiane, fra le quali:

Homo sapiens e altre catastrofi (Meltemi, Roma,

2002); Introduzione alla filosofia della biologia

(Laterza, Roma-Bari, 2005); La teoria dell’evoluzione (Il Mulino, Bologna, 2006); Creazione

senza Dio (Einaudi, Torino, 2006, finalista Premio Galileo e Premio Fermi; edizione spagnola

2009); In difesa di Darwin (Bompiani, Milano, 2007); Nati per credere (Codice Edizioni, Torino,

2008, con V. Girotto e G. Vallortigara). Alcuni di questi volumi sono in corso di traduzione in

lingue straniere, fra le quali inglese, spagnolo e portoghese. Socio corrispondente dell’Istituto

Veneto di Scienze, Lettere e Arti per la classe di Scienze, membro della Società Italiana di

Biologia Evoluzionistica, è coordinatore nazionale di un Progetto di ricerca di interesse

nazionale (PRIN 2007) sul comportamento adattativo dei sistemi biologici. È membro

dell’editorial board delle riviste scientifiche internazionali Evolutionary Biology e Evolution:

Education and Outreach. È direttore di Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione, e coordinatore

scientifico del Darwin Day di Milano. Insieme a Niles Eldredge, è direttore scientifico del

progetto enciclopedico “Il futuro del pianeta” di UTET Grandi Opere. Insieme a Niles Eldredge e

Ian Tattersall, è il curatore scientifico dell’edizione italiana della mostra internazionale

“Darwin.1809-2009” (Roma-Milano-Bari 2009-2010). Ha curato: nel 2003 la prima edizione

italiana dell’opera di Stephen J. Gould “La struttura della teoria dell’evoluzione”, per Codice

Edizioni (Torino); nel 2008 la prima edizione italiana di tre dei Taccuini giovanili inediti di

Charles Darwin, per Laterza (Roma-Bari); nel 2008 la prima edizione italiana dei saggi di

Stephen J. Gould ed Elisabeth Vrba sul concetto di “exaptation”, per Bollati Boringhieri

(Torino); nel 2009 una nuova edizione italiana dello “Sketch” del 1842 di Darwin, per Einaudi

(Torino). Collabora regolarmente con Il Corriere della Sera e con le riviste Le Scienze,

Micromega e L’Indice dei Libri.

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Da Darwin a Gould: 150 anni di evoluzionismo

Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

DA DARWIN A GOULD: 150 ANNI DI EVOLUZIONISMO Telmo Pievani Professore di Filosofia della scienza Università degli Studi di Milano - Bicocca

La teoria dell’evoluzione evolve, benché i

fraintendimenti circa la sua salute scientifica non

siano mancati nemmeno in occasione delle

celebrazioni del bicentenario darwiniano del

2009, peraltro molto apprezzate dal pubblico nel

nostro paese. Sono state avanzate

interpretazioni secondo cui attualmente

esisterebbero più “teorie dell’evoluzione” in

contrasto l’una all’altra. Altri sostengono tesi

secondo cui la teoria sarebbe entrata in crisi e

non verrebbe sostituita da una nuova soltanto

per un attaccamento dogmatico dei biologi

all’“ortodossia” darwiniana.

Queste letture del dibattito

evoluzionistico in corso sembrano ignorare le

regole attraverso le quali la scienza aggiorna le

proprie spiegazioni e rivede i propri risultati,

com’è normale che sia. La teoria è rappresentata

oggi da un programma di ricerca articolato,

composto da un “nucleo” centrale darwiniano e

da una “cintura” di problemi aperti e di

assunzioni ausiliarie in via di affinamento. Il dato

emblematico, posto in evidenza già dall’opera

dei fondatori della genetica delle popolazioni, è

che la selezione naturale è il meccanismo

indispensabile per comprendere le

trasformazioni delle specie, anche se forse non

l’unico. Darwin, pur non sapendo che cosa fosse

un gene, aveva capito che all’interno delle

popolazioni vi è una continua produzione di

diversità ereditaria e non direzionata, sottoposta

poi al filtro ambientale della selezione: è il

nocciolo esplicativo ancora al centro del

programma di ricerca evoluzionistico.

Oggi altri “motori” importanti di

cambiamento si aggiungono a quel nucleo,

restando coerenti con esso, come la deriva

genetica, la migrazione, l’endosimbiosi e i

fenomeni macroevolutivi su larga scala come le

estinzioni di massa. Rispetto alle forme

precedenti di darwinismo – fortemente centrate

sui principi del gradualismo e del funzionalismo

– si sta configurando oggi un programma di

ricerca più flessibile.

Stiamo scoprendo che forse l’evoluzione

ha ritmi diversificati, che non si ereditano solo

geni, che la selezione agisce a più livelli, facendo

i conti con i vincoli interni (fisici e di sviluppo)

degli organismi. Alcuni biologi propongono di

chiamarla “teoria evoluzionistica estesa” ed è

interessante scoprire, sul piano storico, che

Darwin stesso aveva anticipato in alcuni suoi

scritti queste aperture.

Gli avanzamenti della genomica

evoluzionistica, della biologia evolutiva dello

sviluppo e dell’epigenetica possono essere

efficacemente inquadrati in questa cornice. Ne

risulta che è infondato parlare di “teorie

dell’evoluzione” o di un superamento

dell’impianto esplicativo darwiniano. Si prefigura

piuttosto quella visione del processo

evoluzionistico che il paleontologo Stephen J.

Gould aveva definito “pluralismo darwiniano”.

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Da Darwin a Gould: 150 anni di evoluzionismo

Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

Quando una teoria si trasforma e ingloba nuovi

dati in una cornice coerente, precedentemente

corroborata, è segno che continua a godere di

ottima salute.

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Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

LA «FILOSOFIA» DI DARWIN Fabrizio Lomonaco Professore di Storia della filosofia Università degli Studi di Napoli Federico II

Non è inutile ritornare su Darwin per

porre il senso del fare filosofia oggi che, caduti i

vecchi codici di conoscenza e di comportamento,

originali problemi di teoria e di metodo sono

proposti dai nuovi saperi positivi. Del suo modo

di fare scienza colpisce, innanzitutto, il richiamo

all’estesa documentazione, raccolta nel lungo

viaggio (tra il 1831 e il 1836). Il problema del

divenire in natura è studiato prima nel fenomeno

che lo rende possibile (le «variazioni»

intenzionali e quelle «accidentali»), poi nella sua

causa (la «selezione naturale»). È il mondo

moderno dinamico quello che lo scienziato

inglese spiega, identificando il fondamento di

una teoria generale della realtà naturale nel

concetto biologico di evoluzione ramificata e

progressiva, sostenuta dalla categoria romantica

dell’infinito, visto realizzato nel finito, nella

graduale e imperitura trasformazione dell’unica

specie originaria. Da tale prospettiva è esclusa

ogni causa soprannaturale e/o «teologia

naturale», per contrapporre alla tradizionale

concezione dell’invarianza dei tipi o essenze di

generi naturali il concetto di «popolazione», di

raggruppamenti di organismi viventi (esseri

umani compresi), costituiti da individui unici

nella loro reciproca diversità. Questa relazione

dinamica tra individualità e variabilità, sia pure

teorizzata dall’invariabile fondamento

naturalistico, segna l’abbandono definitivo del

vecchio finalismo cosmico, coerente con una

concezione essenzialistica del reale solo

qualitativamente significativo ed eternamente

uguale a se stesso. Il fatto dell’evoluzione porta,

invece, alle estreme conseguenze la «filosofia»

sperimentale di Bacone e di Locke, la critica ad

ogni sostanzialismo, recuperando il valore

dell’universalità del caso e della necessità. Ma la

nuova «filosofia» di Darwin - che pure non è una

filosofia senza natura - fa, a suo modo, i conti

con un approccio storico alla scienza, se è vero

che la biologia (con la paleontologia e la

biogeografia), a differenza della fisica e della

chimica, cerca di spiegare fatti e processi che

hanno già avuto luogo. Da qui lo studio dei

cambiamenti nel tempo da una generazione

all’altra, nel variare delle circostanze ambientali,

per spiegare la successione delle forme viventi,

e la ricerca di una legge (la «selezione

naturale») che, valorizzate le cause motrici della

storia naturale, sancisca la caduta di ogni

determinismo. E, per tutto ciò, cade anche il

tradizionale antropocentrismo, giacché all’uomo

è applicata la teoria della «discendenza comune»

agli altri esseri viventi che, com’è noto, ha

suscitato molte riserve tra i difensori del

creazionismo. Essa torna nel nostro tempo,

richiamata dai successi della biologia

sperimentale e criticamente rivisitata dalla

concezione pluralista dell’evoluzione biologica,

quando favorisce, con la genetica

evoluzionistica, intersezioni di etica e di politica,

e induce a interrogativi ancora degni di essere

posti: Su cosa si fonda la riconoscibile specificità

della specie umana dal punto di vista dei

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processi di trasmissione dei caratteri ereditari?

Che significa, in termini di razionalità

progettante, di libertà di scelta, di diritto alla

vita e alla morte, appartenere a una specie

nell’età della globalizzazione con tutti i rischi

della strisciante competizione egoistica e

dell’insocievole socievolezza che non sempre

persegue l’aspirazione kantiana a passare da un’

«unione patologica forzata» a «un tutto

morale».

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LO STUDIO SCIENTIFICO DELLE EMOZIONI: UNA NUOVA RIVOLUZIONE DARWINIANA Bernardino Fantini Istituto di Storia della medicina Università di Ginevra

Le emozioni hanno da sempre costituito

un centro di interesse per la filosofia, la

medicina, la retorica e l’arte, ma solo a partire

dall’Ottocento le emozioni sono divenute un

oggetto studiato dalla scienza. Charles Darwin,

dopo aver a lungo riflettuto su tale argomento e

realizzato molteplici osservazioni, nel 1872

pubblica il libro L’espression delle emozioni

nell’uomo e negli animali, che ha

immediatamente un grande successo, ma che

viene successivamente dimenticato per quasi un

secolo. L’importanza e la forza innovativa di

questo testo si è percepita solo con la vera e

propria ‘rivoluzione emozionale’, che negli ultimi

decenni sta modificando in profondità la

neurobiologia, le scienze del comportamento e le

scienze cognitive.

Tale rivoluzione si rifà esplicitamente a

Darwin e riprende quasi senza modificazioni le

idee fondamentali espresse nel libro del 1872. Si

può quindi dire che dopo l’Evo-Devo, lo studio

genetico ed evoluzionistico dello sviluppo

ontogenetico, si sta sviluppando l’Evo-Emo, che

fonda la spiegazione scientifica delle emozioni

sulla teoria darwiniana dell’evoluzione. Nel suo

libro Darwin vuole quindi dimostrare che le

emozioni e le loro espressioni, esattamente

come le strutture corporali, sono ‘oggetti

naturali’, sono il prodotto dell’evoluzione per

selezione naturale, sono innate, determinate

biologicamente, anche se la cultura svolge un

ruolo fondamentale nella loro modulazione e

controllo. In questo modo Darwin compléta

l’edificio teorico dell’evoluzione, riaffermando il

legame evolutivo fra gli animali e l’uomo, anche

per i fenomeni mentali e in questo modo

togliendo di mezzo, come egli afferma con forza

nelle prime pagine del libro, l’ultimo bastione

delle ipotesi creazioniste e l’idea di un ‘disegno

intelligente’ della natura.

L’interesse di Darwin per l’espressione

delle emozioni era iniziato molto presto, dato

che si ritrovano delle annotazioni su questo

tema nei suoi Taccuini del 1838. Negli anni

successivi, egli aveva osservato con grande

attenzione lo sviluppo emozionale del primo

figlio, William, aveva letto i testi pubblicati in

quegli anni sull’anatomia e fisiologia

dell’espressione delle emozioni, aveva anche

fatto molte osservazioni sul comportamento

animale allo zoo di Londra ed aveva chiesto

notizie a medici e psichiatri sull’espressione

normale e patologica delle emozioni. Inoltre, nel

1867 aveva inviato a diverse centinaia di

corrispondenti che si trovavano nei diversi

continenti, un questionario con una serie di

precise domande sul modo in cui nelle diverse

culture vengono espresse le emozioni. La prima

domanda era la seguente: «È la sorpresa

espressa sbarrando gli occhi e sollevando le

sopracciglia?». La terza : «Quando un uomo è

indignato o fa un atto di sfida, aggrotta le

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sopracciglia, mantiene il corpo e la testa eretti,

squadra le spalle e stringe i pugni?». Ed un

ultimo esempio: « È il disgusto manifestato

abbassando il labbro inferiore, alzando

leggermente il labbro superiore, con una rapida

espirazione, qualcosa come il vomito incipiente,

o come per sputare qualcosa fuori dalla bocca?».

Queste domande già mostrano l’idea

fondamentale di Darwin : le emozioni sono

espresse utilizzando meccanismi sviluppatisi per

evoluzione per altri scopi e utilizzati come mezzi

di comunicazione degli stati emozionali. Il gesto

simbolico dello sputare è così divenuto

l’espressione del disgusto, anche morale, e il

gesto dell’attacco ad una preda il simbolo della

collera, dell’ira. Le emozioni esistono e sono

adattativamente utili in quanto vengono

espresse, comunicate, comprese e questo

spiega il ruolo centrale svolto dalle emozioni

nell’evoluzione biologia e culturale della specie

umana. Nell’ottica darwiniana, le emozioni sono

fenomeni al tempo stesso corporali e cognitivi,

risultato di fenomeni biologici, storici (evolutivi),

sociali (comunicazione) e culturali (rappresenta-

zione). Ed è proprio questa ottica che l’opera di

Darwin è stata ripresa dagli studiosi delle

emozioni negli ultimi decenni, riconducendo le

scienze affettive lontano dai riduzionismi fisica-

listi e dalle concezioni delle emozioni come puri

fatti cognitivi.

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EVOLUZIONE E PROGRESSO Edoardo Massimilla Professore di Storia della filosofia Università degli Studi di Napoli Federico II

Immaginiamo di scrivere una storia

dell’evoluzione dal punto di vista degli uccelli. Gli

abitanti dell’aria collocherebbero i pipistrelli al

vertice della classe dei mammiferi e non

accetterebbero l’idea che un essere che non si

solleva da terra ed è a lungo incapace di

procurarsi il cibo da solo come l’uomo sia dotato

di un’organizzazione superiore alla loro. L’ironico

esperimento mentale dell’embriologo Karl Ernst

von Baer risale al 1828, ma smaschera

efficacemente i presupposti antropomorfici di

una filosofia naturalistica della storia che, dagli

anni ’60 dell’800, ha per decenni accompagnato

l’affermazione scientifica dell’idea di evoluzione

intesa come trasformazione del mondo organico

in base alla legge della selezione naturale. In

riferimento ad essa apparve infatti possibile

enucleare la nozione di un “progresso naturale”

(non più fondata su punti di vista arbitrari ma

sulle salde acquisizioni della scienza) che

consentisse di guardare al percorso che mena

dai protisti degli albori all’uomo e alle diverse

società umane succedutesi nel tempo come a un

ininterrotto processo di perfezionamento.

Una simile concezione filosofico - storica,

suscettibile di diverse e anche opposte

declinazioni politiche, è in palese contraddizione

con i suoi presupposti. Non si può collocare

l’uomo sullo stesso piano degli altri esseri viventi

per farne poi il risultato “più alto” di un processo

evolutivo che, juxta propria principia, non

conosce organismi “superiori” o “inferiori”,

almeno se con ciò si vuol intendere che alcuni

organismi hanno un valore maggiore di altri. Più

in generale: non si può recepire il significato

scientifico-naturale della teoria darwiniana, che

fornisce una spiegazione “meccanicistica” d’ogni

evoluzione apparentemente teleologica e

dell’elemento teleologico in qualche modo

costitutivo del concetto stesso di organismo, ed

affermare poi che la selezione naturale,

eliminando chi non è adatto a conservare la

propria esistenza entro certe condizioni

ambientali date (ed esse stesse mutevoli),

produce una sempre più compiuta realizzazione

dei “valori naturali”.

Certo il termine “evoluzione”, adoperato

per designare la trasformazione delle specie

viventi l’una nell’altra, contiene una notevole

carica d’ambiguità. Non a caso Darwin lo usò con

molta parsimonia preferendo il sintagma

«discendenza con modificazione» (il suo grande

promotore fu invece Spencer, che lo impiegò

significativamente per la prima volta nel 1857 in

un saggio Sul progresso). Ma se si vuol

penetrare a fondo la genesi dell’erronea ma

sempre risorgente commistione tra “evoluzione”

e “progresso”, conviene ripensare a quanto

affermava nel 1902 il filosofo neokantiano

Heinrich Rickert. «Nell’analisi di certe formazioni

organiche non possiamo fare liberamente

astrazione da quei valori che siamo abituati a

collegare con la loro esistenza. Quindi non solo

manteniamo valori che si sono consolidati prima

di ogni ricerca scientifico-naturale, ma li

vogliamo anche ravvisare in quei concetti con cui

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cerchiamo di spiegare la nascita degli oggetti

che vengono valutati. In questo modo il principio

di selezione naturale è divenuto un principio di

progresso: si è creduto che esso conducesse a

ciò che è valido per noi, ossia l’uomo, e quindi lo

si è trasformato in un principio di valore. In

realtà non si è ottenuto alcun criterio di valore

dai concetti della scienza della natura, ma si

sono solo trasferiti valori umani già acquisiti ai

concetti della scienza della natura. Certamente è

comprensibile che, per noi uomini, tutto ciò che

è umano o simile all’umano sia ritenuto valido, e

anche nella storia non possiamo prescindere dal

significato specifico che l’umano possiede. Ma

credere che una serie evolutiva sia un progresso

perché conduce all’uomo, significa non pensare

più in modo scientifico-naturale».

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CHARLES DARWIN E ANTON DOHRN Giorgio Bernardi Presidente Unione Internazionale Scienze Biologiche

Tutte le 1250 copie della “Origine delle

Specie per mezzo della Selezione Naturale”

furono vendute il 24 novembre 1859 appena

pubblicate. Questo aprì una lunga serie di accesi

dibattiti a nessuno dei quali l’autore, Charles

Darwin, poté partecipare a causa della malattia

(forse il morbo di Chagas) che lo affliggeva da

quando era tornato dai cinque anni di viaggio

intorno al mondo sul brigantino Beagle (1831-

1836). La diffusione iniziale della teoria di

Darwin riposò perciò sull’attività di quattro

“evangelisti”: due inglesi, Thomas Huxley, “il

bulldog di Darwin” e Alfred Wallace, il co-

scopritore della selezione naturale, nonché il

creatore del termine “darwinismo”, e due

tedeschi, Ernst Haeckel, il grande propagandista

di Darwin in Europa continentale e Anton Dohrn,

il fondatore della Stazione Zoologica di Napoli.

L’opera di Anton Dohrn (1840 - 1909)

partì da una serie di idee geniali. La prima fu

quella di un Istituto unicamente dedicato alla

ricerca e creato con lo scopo di dimostrare una

teoria, la teoria di Darwin (un caso unico nella

storia della scienza). La costruzione della

Stazione Zoologica, iniziata nel 1872 (quando

Anton Dohrn aveva solo trentadue anni), fu

essenzialmente finanziata dalla famiglia Dohrn,

una famiglia di industriali con grandi interessi

culturali e scientifici, su un terreno in riva al

mare donato dalla città di Napoli. La seconda

idea era che arte e scienza dovevano convivere.

Pertanto il lato mare della Stazione fu dedicato

all’arte, soprattutto alla musica che era eseguita

in una bellissima sala affrescata da Hans von

Marées, mentre il lato terra era riservato alla

scienza. I due busti di Darwin e von Baer nella

sala degli affreschi rappresentavano i due poli di

interesse della Stazione: l’evoluzione e lo

sviluppo degli organismi viventi.

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Le altre idee originali che presiedettero alla

fondazione della Stazione furono quelle di

sfruttare l’enorme biodiversità marina, di avere

la migliore strumentazione e documentazione

possibili, la localizzazione in una città anziché in

un sito isolato sulla costa e un finanziamento

proveniente dai “tavoli di studio” provveduti da

molti paesi per i loro ricercatori e dall’Acquario, il

più importante dell’epoca (ancora attivo

oggigiorno). Il successo della Stazione fu imme-

diato. Ricercatori affluirono da ogni parte del

mondo stabilendo un’atmosfera internazionale.

Risultati fondamentali furono ottenuti in molti

campi, ma soprattutto in quello della biologia

dello sviluppo e premi Nobel coronarono diversi

ricercatori della Stazione. Per l’evoluzione,

invece, i tempi non erano ancora maturi, e il

sogno di Anton Dohrn fu realizzato solo decenni

dopo la sua morte. Nel 1998 fu creato un

Laboratorio di Evoluzione Molecolare che nel

2007 propose una teoria “neo-selezionista”

dell’evoluzione, una teoria ultra-darwiniana che

avrebbe soddisfatto il fondatore della Stazione.

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GOULD E GLI EQUILIBRI PUNTEGGIATI Luciano Gaudio Professore di Genetica Università degli Studi di Napoli Federico II

Con il 31 dicembre 2009 è terminato

l’anno di celebrazioni darwiniane. Il bicentenario

della nascita di Charles Darwin ed il

centocinquantenario della pubblicazione de

“L’Origine delle specie”. A breve vi sarà la

celebrazione del Darwin day. Il 12 febbraio. Nel

giorno della nascita. Ancora una volta la

comunità scientifica renderà onore alla grande

figura del naturalista, alla sua intuizione, alla sua

puntigliosa e meticolosa costruzione scientifica

ed al trionfo della sua teoria. Sempre più al di la

di ogni ragionevole dubbio. Anche se nel corso

dell’anno si sono svolti vari convegni

creazionisti, non ultimo quello organizzato sotto

l’egida del CNR che ha suscitato ovviamente

molto scalpore... Ma non parliamo ancora di

Darwin! Interessiamoci dell’altro scienziato citato

nel titolo della conferenza di oggi. Stephen Jay

Gould, scomparso da qualche anno. La sua

biografia recita: biologo, zoologo, paleontologo e

storico della scienza. Il suo record di libri di

divulgazione scientifica è alto. Circa 300. Ma

l’ultimo “La struttura della Teoria

dell’evoluzione” è quello nel quale si riversa la

sua visione complessiva dell’evoluzione.

Integrando ed emendando l’opera darwiniana.

Anche alla luce delle nuove conoscenze. Di

questi aspetti diamo uno sguardo al cosiddetto

gradualismo. Peraltro sempre considerato

criticamente quando si è di fronte all’origine di

nuove specie. Il concetto di accumulo di piccoli

cambiamenti nel tempo non ha sempre

soddisfatto. Semplificando molto e facendo un

esempio banale: se il braccio e l’ala sono derivati

l’uno dall’altra, in tutto il tempo di transizione

dall’uno all’altro, le strutture intermedie

sarebbero state imperfette e gli individui non

avrebbero avuto la “qualità superiore” per

essere selezionati positivamente. Certi fenomeni

si spiegherebbero meglio con la comparsa

improvvisa di nuove strutture anatomiche e

quindi con la comparsa di nuove specie. Ecco la

Teoria degli equilibri punteggiati. Che si deve

alla collaborazione scientifica tra lo stesso Gould

e Niles Eldredge. Con questa visione l’evoluzione

non procederebbe in modo lento e costante ma

alternerebbe a questi momenti altri di repentini

cambiamenti, a volte dovuti a grandi

sconvolgimenti ambientali (come per esempio

pensando alle ipotesi sulla scomparsa dei

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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Da Darwin a Gould: 150 anni di evoluzionismo

Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

dinosauri). Le nostre conoscenze attuali ci

dicono però che il cambiamento avviene

attraverso l’accumulo di mutazioni, minime

variazioni nella nostra sequenza nucleotidica che

sono per il loro modo di agire più in sintonia con

il gradualismo.

Però se consideriamo che alcuni geni

attraverso i loro prodotti possono presiedere

all’espressione coordinata di molti altri geni

oppure che sono noti meccanismi di mutazioni

plurime come quelle dovute all’improvviso e

contemporaneo salto di posizione di alcuni

elementi “mobili” presenti nel genoma di tutti gli

organismi dai batteri all’uomo abbiamo anche la

capacità di immaginare che in alcuni momenti

della vita evolutiva di una specie vi possano

essere esplosioni mutazionali. Gli studi futuri

forse riusciranno a chiarirci meglio l’evoluzione. I

convegni sul creazionismo, no.

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