Luce delle Stelle IV incontro Un Universo che evolve: dagli spettri alla composizione del cosmo.
DISPENSA 21 01 2010 PIEVANI RIDOTTA · Telmo Pievani Professore di Filosofia della scienza...
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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO
PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA
DA DARWIN A GOULD: 150 ANNI DI EVOLUZIONISMO 9 di Telmo Pievani LA «FILOSOFIA» DI DARWIN 11 di Fabrizio Lomonaco LO STUDIO SCIENTIFICO DELLE EMOZIONI: UNA NUOVA RIVOLUZIONE DARWINIANA 13 di Bernardino Fantini EVOLUZIONE E PROGRESSO 15 di Edoardo Massimilla CHARLES DARWIN E ANTON DOHRN 17 di Giorgio Bernardi GOULD E GLI EQUILIBRI PUNTEGGIATI 19 di Luciano Gaudio
“Gli animali sono nostri compagni, fratelli in dolore, malattia, morte e sofferenza e fame; nostri schiavi nel lavoro più faticoso, nostri compagni
negli svaghi; dalla nostra origine essi probabilmente condividono un comune antenato; potremmo essere tutti legati in un’unica rete”
Taccuino B, 1837, pp. 231-232
Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo
www.comeallacorte.unina.it
Telmo Pievani
Telmo Pievani è professore associato di Filosofia della
Scienza presso l’Università degli Studi di Milano
Bicocca, dove è vice-Presidente del Corso di laurea in
Scienze dell’Educazione. È segretario del Consiglio
Scientifico del Festival della Scienza di Genova e co-
Direttore Scientifico del Festival delle Scienze di Roma
presso l’Auditorium Parco della Musica. È autore di 94
pubblicazioni, internazionali e italiane, fra le quali:
Homo sapiens e altre catastrofi (Meltemi, Roma,
2002); Introduzione alla filosofia della biologia
(Laterza, Roma-Bari, 2005); La teoria dell’evoluzione (Il Mulino, Bologna, 2006); Creazione
senza Dio (Einaudi, Torino, 2006, finalista Premio Galileo e Premio Fermi; edizione spagnola
2009); In difesa di Darwin (Bompiani, Milano, 2007); Nati per credere (Codice Edizioni, Torino,
2008, con V. Girotto e G. Vallortigara). Alcuni di questi volumi sono in corso di traduzione in
lingue straniere, fra le quali inglese, spagnolo e portoghese. Socio corrispondente dell’Istituto
Veneto di Scienze, Lettere e Arti per la classe di Scienze, membro della Società Italiana di
Biologia Evoluzionistica, è coordinatore nazionale di un Progetto di ricerca di interesse
nazionale (PRIN 2007) sul comportamento adattativo dei sistemi biologici. È membro
dell’editorial board delle riviste scientifiche internazionali Evolutionary Biology e Evolution:
Education and Outreach. È direttore di Pikaia, il portale italiano dell’evoluzione, e coordinatore
scientifico del Darwin Day di Milano. Insieme a Niles Eldredge, è direttore scientifico del
progetto enciclopedico “Il futuro del pianeta” di UTET Grandi Opere. Insieme a Niles Eldredge e
Ian Tattersall, è il curatore scientifico dell’edizione italiana della mostra internazionale
“Darwin.1809-2009” (Roma-Milano-Bari 2009-2010). Ha curato: nel 2003 la prima edizione
italiana dell’opera di Stephen J. Gould “La struttura della teoria dell’evoluzione”, per Codice
Edizioni (Torino); nel 2008 la prima edizione italiana di tre dei Taccuini giovanili inediti di
Charles Darwin, per Laterza (Roma-Bari); nel 2008 la prima edizione italiana dei saggi di
Stephen J. Gould ed Elisabeth Vrba sul concetto di “exaptation”, per Bollati Boringhieri
(Torino); nel 2009 una nuova edizione italiana dello “Sketch” del 1842 di Darwin, per Einaudi
(Torino). Collabora regolarmente con Il Corriere della Sera e con le riviste Le Scienze,
Micromega e L’Indice dei Libri.
COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Da Darwin a Gould: 150 anni di evoluzionismo
Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II
DA DARWIN A GOULD: 150 ANNI DI EVOLUZIONISMO Telmo Pievani Professore di Filosofia della scienza Università degli Studi di Milano - Bicocca
La teoria dell’evoluzione evolve, benché i
fraintendimenti circa la sua salute scientifica non
siano mancati nemmeno in occasione delle
celebrazioni del bicentenario darwiniano del
2009, peraltro molto apprezzate dal pubblico nel
nostro paese. Sono state avanzate
interpretazioni secondo cui attualmente
esisterebbero più “teorie dell’evoluzione” in
contrasto l’una all’altra. Altri sostengono tesi
secondo cui la teoria sarebbe entrata in crisi e
non verrebbe sostituita da una nuova soltanto
per un attaccamento dogmatico dei biologi
all’“ortodossia” darwiniana.
Queste letture del dibattito
evoluzionistico in corso sembrano ignorare le
regole attraverso le quali la scienza aggiorna le
proprie spiegazioni e rivede i propri risultati,
com’è normale che sia. La teoria è rappresentata
oggi da un programma di ricerca articolato,
composto da un “nucleo” centrale darwiniano e
da una “cintura” di problemi aperti e di
assunzioni ausiliarie in via di affinamento. Il dato
emblematico, posto in evidenza già dall’opera
dei fondatori della genetica delle popolazioni, è
che la selezione naturale è il meccanismo
indispensabile per comprendere le
trasformazioni delle specie, anche se forse non
l’unico. Darwin, pur non sapendo che cosa fosse
un gene, aveva capito che all’interno delle
popolazioni vi è una continua produzione di
diversità ereditaria e non direzionata, sottoposta
poi al filtro ambientale della selezione: è il
nocciolo esplicativo ancora al centro del
programma di ricerca evoluzionistico.
Oggi altri “motori” importanti di
cambiamento si aggiungono a quel nucleo,
restando coerenti con esso, come la deriva
genetica, la migrazione, l’endosimbiosi e i
fenomeni macroevolutivi su larga scala come le
estinzioni di massa. Rispetto alle forme
precedenti di darwinismo – fortemente centrate
sui principi del gradualismo e del funzionalismo
– si sta configurando oggi un programma di
ricerca più flessibile.
Stiamo scoprendo che forse l’evoluzione
ha ritmi diversificati, che non si ereditano solo
geni, che la selezione agisce a più livelli, facendo
i conti con i vincoli interni (fisici e di sviluppo)
degli organismi. Alcuni biologi propongono di
chiamarla “teoria evoluzionistica estesa” ed è
interessante scoprire, sul piano storico, che
Darwin stesso aveva anticipato in alcuni suoi
scritti queste aperture.
Gli avanzamenti della genomica
evoluzionistica, della biologia evolutiva dello
sviluppo e dell’epigenetica possono essere
efficacemente inquadrati in questa cornice. Ne
risulta che è infondato parlare di “teorie
dell’evoluzione” o di un superamento
dell’impianto esplicativo darwiniano. Si prefigura
piuttosto quella visione del processo
evoluzionistico che il paleontologo Stephen J.
Gould aveva definito “pluralismo darwiniano”.
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Quando una teoria si trasforma e ingloba nuovi
dati in una cornice coerente, precedentemente
corroborata, è segno che continua a godere di
ottima salute.
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LA «FILOSOFIA» DI DARWIN Fabrizio Lomonaco Professore di Storia della filosofia Università degli Studi di Napoli Federico II
Non è inutile ritornare su Darwin per
porre il senso del fare filosofia oggi che, caduti i
vecchi codici di conoscenza e di comportamento,
originali problemi di teoria e di metodo sono
proposti dai nuovi saperi positivi. Del suo modo
di fare scienza colpisce, innanzitutto, il richiamo
all’estesa documentazione, raccolta nel lungo
viaggio (tra il 1831 e il 1836). Il problema del
divenire in natura è studiato prima nel fenomeno
che lo rende possibile (le «variazioni»
intenzionali e quelle «accidentali»), poi nella sua
causa (la «selezione naturale»). È il mondo
moderno dinamico quello che lo scienziato
inglese spiega, identificando il fondamento di
una teoria generale della realtà naturale nel
concetto biologico di evoluzione ramificata e
progressiva, sostenuta dalla categoria romantica
dell’infinito, visto realizzato nel finito, nella
graduale e imperitura trasformazione dell’unica
specie originaria. Da tale prospettiva è esclusa
ogni causa soprannaturale e/o «teologia
naturale», per contrapporre alla tradizionale
concezione dell’invarianza dei tipi o essenze di
generi naturali il concetto di «popolazione», di
raggruppamenti di organismi viventi (esseri
umani compresi), costituiti da individui unici
nella loro reciproca diversità. Questa relazione
dinamica tra individualità e variabilità, sia pure
teorizzata dall’invariabile fondamento
naturalistico, segna l’abbandono definitivo del
vecchio finalismo cosmico, coerente con una
concezione essenzialistica del reale solo
qualitativamente significativo ed eternamente
uguale a se stesso. Il fatto dell’evoluzione porta,
invece, alle estreme conseguenze la «filosofia»
sperimentale di Bacone e di Locke, la critica ad
ogni sostanzialismo, recuperando il valore
dell’universalità del caso e della necessità. Ma la
nuova «filosofia» di Darwin - che pure non è una
filosofia senza natura - fa, a suo modo, i conti
con un approccio storico alla scienza, se è vero
che la biologia (con la paleontologia e la
biogeografia), a differenza della fisica e della
chimica, cerca di spiegare fatti e processi che
hanno già avuto luogo. Da qui lo studio dei
cambiamenti nel tempo da una generazione
all’altra, nel variare delle circostanze ambientali,
per spiegare la successione delle forme viventi,
e la ricerca di una legge (la «selezione
naturale») che, valorizzate le cause motrici della
storia naturale, sancisca la caduta di ogni
determinismo. E, per tutto ciò, cade anche il
tradizionale antropocentrismo, giacché all’uomo
è applicata la teoria della «discendenza comune»
agli altri esseri viventi che, com’è noto, ha
suscitato molte riserve tra i difensori del
creazionismo. Essa torna nel nostro tempo,
richiamata dai successi della biologia
sperimentale e criticamente rivisitata dalla
concezione pluralista dell’evoluzione biologica,
quando favorisce, con la genetica
evoluzionistica, intersezioni di etica e di politica,
e induce a interrogativi ancora degni di essere
posti: Su cosa si fonda la riconoscibile specificità
della specie umana dal punto di vista dei
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processi di trasmissione dei caratteri ereditari?
Che significa, in termini di razionalità
progettante, di libertà di scelta, di diritto alla
vita e alla morte, appartenere a una specie
nell’età della globalizzazione con tutti i rischi
della strisciante competizione egoistica e
dell’insocievole socievolezza che non sempre
persegue l’aspirazione kantiana a passare da un’
«unione patologica forzata» a «un tutto
morale».
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LO STUDIO SCIENTIFICO DELLE EMOZIONI: UNA NUOVA RIVOLUZIONE DARWINIANA Bernardino Fantini Istituto di Storia della medicina Università di Ginevra
Le emozioni hanno da sempre costituito
un centro di interesse per la filosofia, la
medicina, la retorica e l’arte, ma solo a partire
dall’Ottocento le emozioni sono divenute un
oggetto studiato dalla scienza. Charles Darwin,
dopo aver a lungo riflettuto su tale argomento e
realizzato molteplici osservazioni, nel 1872
pubblica il libro L’espression delle emozioni
nell’uomo e negli animali, che ha
immediatamente un grande successo, ma che
viene successivamente dimenticato per quasi un
secolo. L’importanza e la forza innovativa di
questo testo si è percepita solo con la vera e
propria ‘rivoluzione emozionale’, che negli ultimi
decenni sta modificando in profondità la
neurobiologia, le scienze del comportamento e le
scienze cognitive.
Tale rivoluzione si rifà esplicitamente a
Darwin e riprende quasi senza modificazioni le
idee fondamentali espresse nel libro del 1872. Si
può quindi dire che dopo l’Evo-Devo, lo studio
genetico ed evoluzionistico dello sviluppo
ontogenetico, si sta sviluppando l’Evo-Emo, che
fonda la spiegazione scientifica delle emozioni
sulla teoria darwiniana dell’evoluzione. Nel suo
libro Darwin vuole quindi dimostrare che le
emozioni e le loro espressioni, esattamente
come le strutture corporali, sono ‘oggetti
naturali’, sono il prodotto dell’evoluzione per
selezione naturale, sono innate, determinate
biologicamente, anche se la cultura svolge un
ruolo fondamentale nella loro modulazione e
controllo. In questo modo Darwin compléta
l’edificio teorico dell’evoluzione, riaffermando il
legame evolutivo fra gli animali e l’uomo, anche
per i fenomeni mentali e in questo modo
togliendo di mezzo, come egli afferma con forza
nelle prime pagine del libro, l’ultimo bastione
delle ipotesi creazioniste e l’idea di un ‘disegno
intelligente’ della natura.
L’interesse di Darwin per l’espressione
delle emozioni era iniziato molto presto, dato
che si ritrovano delle annotazioni su questo
tema nei suoi Taccuini del 1838. Negli anni
successivi, egli aveva osservato con grande
attenzione lo sviluppo emozionale del primo
figlio, William, aveva letto i testi pubblicati in
quegli anni sull’anatomia e fisiologia
dell’espressione delle emozioni, aveva anche
fatto molte osservazioni sul comportamento
animale allo zoo di Londra ed aveva chiesto
notizie a medici e psichiatri sull’espressione
normale e patologica delle emozioni. Inoltre, nel
1867 aveva inviato a diverse centinaia di
corrispondenti che si trovavano nei diversi
continenti, un questionario con una serie di
precise domande sul modo in cui nelle diverse
culture vengono espresse le emozioni. La prima
domanda era la seguente: «È la sorpresa
espressa sbarrando gli occhi e sollevando le
sopracciglia?». La terza : «Quando un uomo è
indignato o fa un atto di sfida, aggrotta le
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sopracciglia, mantiene il corpo e la testa eretti,
squadra le spalle e stringe i pugni?». Ed un
ultimo esempio: « È il disgusto manifestato
abbassando il labbro inferiore, alzando
leggermente il labbro superiore, con una rapida
espirazione, qualcosa come il vomito incipiente,
o come per sputare qualcosa fuori dalla bocca?».
Queste domande già mostrano l’idea
fondamentale di Darwin : le emozioni sono
espresse utilizzando meccanismi sviluppatisi per
evoluzione per altri scopi e utilizzati come mezzi
di comunicazione degli stati emozionali. Il gesto
simbolico dello sputare è così divenuto
l’espressione del disgusto, anche morale, e il
gesto dell’attacco ad una preda il simbolo della
collera, dell’ira. Le emozioni esistono e sono
adattativamente utili in quanto vengono
espresse, comunicate, comprese e questo
spiega il ruolo centrale svolto dalle emozioni
nell’evoluzione biologia e culturale della specie
umana. Nell’ottica darwiniana, le emozioni sono
fenomeni al tempo stesso corporali e cognitivi,
risultato di fenomeni biologici, storici (evolutivi),
sociali (comunicazione) e culturali (rappresenta-
zione). Ed è proprio questa ottica che l’opera di
Darwin è stata ripresa dagli studiosi delle
emozioni negli ultimi decenni, riconducendo le
scienze affettive lontano dai riduzionismi fisica-
listi e dalle concezioni delle emozioni come puri
fatti cognitivi.
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EVOLUZIONE E PROGRESSO Edoardo Massimilla Professore di Storia della filosofia Università degli Studi di Napoli Federico II
Immaginiamo di scrivere una storia
dell’evoluzione dal punto di vista degli uccelli. Gli
abitanti dell’aria collocherebbero i pipistrelli al
vertice della classe dei mammiferi e non
accetterebbero l’idea che un essere che non si
solleva da terra ed è a lungo incapace di
procurarsi il cibo da solo come l’uomo sia dotato
di un’organizzazione superiore alla loro. L’ironico
esperimento mentale dell’embriologo Karl Ernst
von Baer risale al 1828, ma smaschera
efficacemente i presupposti antropomorfici di
una filosofia naturalistica della storia che, dagli
anni ’60 dell’800, ha per decenni accompagnato
l’affermazione scientifica dell’idea di evoluzione
intesa come trasformazione del mondo organico
in base alla legge della selezione naturale. In
riferimento ad essa apparve infatti possibile
enucleare la nozione di un “progresso naturale”
(non più fondata su punti di vista arbitrari ma
sulle salde acquisizioni della scienza) che
consentisse di guardare al percorso che mena
dai protisti degli albori all’uomo e alle diverse
società umane succedutesi nel tempo come a un
ininterrotto processo di perfezionamento.
Una simile concezione filosofico - storica,
suscettibile di diverse e anche opposte
declinazioni politiche, è in palese contraddizione
con i suoi presupposti. Non si può collocare
l’uomo sullo stesso piano degli altri esseri viventi
per farne poi il risultato “più alto” di un processo
evolutivo che, juxta propria principia, non
conosce organismi “superiori” o “inferiori”,
almeno se con ciò si vuol intendere che alcuni
organismi hanno un valore maggiore di altri. Più
in generale: non si può recepire il significato
scientifico-naturale della teoria darwiniana, che
fornisce una spiegazione “meccanicistica” d’ogni
evoluzione apparentemente teleologica e
dell’elemento teleologico in qualche modo
costitutivo del concetto stesso di organismo, ed
affermare poi che la selezione naturale,
eliminando chi non è adatto a conservare la
propria esistenza entro certe condizioni
ambientali date (ed esse stesse mutevoli),
produce una sempre più compiuta realizzazione
dei “valori naturali”.
Certo il termine “evoluzione”, adoperato
per designare la trasformazione delle specie
viventi l’una nell’altra, contiene una notevole
carica d’ambiguità. Non a caso Darwin lo usò con
molta parsimonia preferendo il sintagma
«discendenza con modificazione» (il suo grande
promotore fu invece Spencer, che lo impiegò
significativamente per la prima volta nel 1857 in
un saggio Sul progresso). Ma se si vuol
penetrare a fondo la genesi dell’erronea ma
sempre risorgente commistione tra “evoluzione”
e “progresso”, conviene ripensare a quanto
affermava nel 1902 il filosofo neokantiano
Heinrich Rickert. «Nell’analisi di certe formazioni
organiche non possiamo fare liberamente
astrazione da quei valori che siamo abituati a
collegare con la loro esistenza. Quindi non solo
manteniamo valori che si sono consolidati prima
di ogni ricerca scientifico-naturale, ma li
vogliamo anche ravvisare in quei concetti con cui
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cerchiamo di spiegare la nascita degli oggetti
che vengono valutati. In questo modo il principio
di selezione naturale è divenuto un principio di
progresso: si è creduto che esso conducesse a
ciò che è valido per noi, ossia l’uomo, e quindi lo
si è trasformato in un principio di valore. In
realtà non si è ottenuto alcun criterio di valore
dai concetti della scienza della natura, ma si
sono solo trasferiti valori umani già acquisiti ai
concetti della scienza della natura. Certamente è
comprensibile che, per noi uomini, tutto ciò che
è umano o simile all’umano sia ritenuto valido, e
anche nella storia non possiamo prescindere dal
significato specifico che l’umano possiede. Ma
credere che una serie evolutiva sia un progresso
perché conduce all’uomo, significa non pensare
più in modo scientifico-naturale».
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CHARLES DARWIN E ANTON DOHRN Giorgio Bernardi Presidente Unione Internazionale Scienze Biologiche
Tutte le 1250 copie della “Origine delle
Specie per mezzo della Selezione Naturale”
furono vendute il 24 novembre 1859 appena
pubblicate. Questo aprì una lunga serie di accesi
dibattiti a nessuno dei quali l’autore, Charles
Darwin, poté partecipare a causa della malattia
(forse il morbo di Chagas) che lo affliggeva da
quando era tornato dai cinque anni di viaggio
intorno al mondo sul brigantino Beagle (1831-
1836). La diffusione iniziale della teoria di
Darwin riposò perciò sull’attività di quattro
“evangelisti”: due inglesi, Thomas Huxley, “il
bulldog di Darwin” e Alfred Wallace, il co-
scopritore della selezione naturale, nonché il
creatore del termine “darwinismo”, e due
tedeschi, Ernst Haeckel, il grande propagandista
di Darwin in Europa continentale e Anton Dohrn,
il fondatore della Stazione Zoologica di Napoli.
L’opera di Anton Dohrn (1840 - 1909)
partì da una serie di idee geniali. La prima fu
quella di un Istituto unicamente dedicato alla
ricerca e creato con lo scopo di dimostrare una
teoria, la teoria di Darwin (un caso unico nella
storia della scienza). La costruzione della
Stazione Zoologica, iniziata nel 1872 (quando
Anton Dohrn aveva solo trentadue anni), fu
essenzialmente finanziata dalla famiglia Dohrn,
una famiglia di industriali con grandi interessi
culturali e scientifici, su un terreno in riva al
mare donato dalla città di Napoli. La seconda
idea era che arte e scienza dovevano convivere.
Pertanto il lato mare della Stazione fu dedicato
all’arte, soprattutto alla musica che era eseguita
in una bellissima sala affrescata da Hans von
Marées, mentre il lato terra era riservato alla
scienza. I due busti di Darwin e von Baer nella
sala degli affreschi rappresentavano i due poli di
interesse della Stazione: l’evoluzione e lo
sviluppo degli organismi viventi.
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Le altre idee originali che presiedettero alla
fondazione della Stazione furono quelle di
sfruttare l’enorme biodiversità marina, di avere
la migliore strumentazione e documentazione
possibili, la localizzazione in una città anziché in
un sito isolato sulla costa e un finanziamento
proveniente dai “tavoli di studio” provveduti da
molti paesi per i loro ricercatori e dall’Acquario, il
più importante dell’epoca (ancora attivo
oggigiorno). Il successo della Stazione fu imme-
diato. Ricercatori affluirono da ogni parte del
mondo stabilendo un’atmosfera internazionale.
Risultati fondamentali furono ottenuti in molti
campi, ma soprattutto in quello della biologia
dello sviluppo e premi Nobel coronarono diversi
ricercatori della Stazione. Per l’evoluzione,
invece, i tempi non erano ancora maturi, e il
sogno di Anton Dohrn fu realizzato solo decenni
dopo la sua morte. Nel 1998 fu creato un
Laboratorio di Evoluzione Molecolare che nel
2007 propose una teoria “neo-selezionista”
dell’evoluzione, una teoria ultra-darwiniana che
avrebbe soddisfatto il fondatore della Stazione.
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GOULD E GLI EQUILIBRI PUNTEGGIATI Luciano Gaudio Professore di Genetica Università degli Studi di Napoli Federico II
Con il 31 dicembre 2009 è terminato
l’anno di celebrazioni darwiniane. Il bicentenario
della nascita di Charles Darwin ed il
centocinquantenario della pubblicazione de
“L’Origine delle specie”. A breve vi sarà la
celebrazione del Darwin day. Il 12 febbraio. Nel
giorno della nascita. Ancora una volta la
comunità scientifica renderà onore alla grande
figura del naturalista, alla sua intuizione, alla sua
puntigliosa e meticolosa costruzione scientifica
ed al trionfo della sua teoria. Sempre più al di la
di ogni ragionevole dubbio. Anche se nel corso
dell’anno si sono svolti vari convegni
creazionisti, non ultimo quello organizzato sotto
l’egida del CNR che ha suscitato ovviamente
molto scalpore... Ma non parliamo ancora di
Darwin! Interessiamoci dell’altro scienziato citato
nel titolo della conferenza di oggi. Stephen Jay
Gould, scomparso da qualche anno. La sua
biografia recita: biologo, zoologo, paleontologo e
storico della scienza. Il suo record di libri di
divulgazione scientifica è alto. Circa 300. Ma
l’ultimo “La struttura della Teoria
dell’evoluzione” è quello nel quale si riversa la
sua visione complessiva dell’evoluzione.
Integrando ed emendando l’opera darwiniana.
Anche alla luce delle nuove conoscenze. Di
questi aspetti diamo uno sguardo al cosiddetto
gradualismo. Peraltro sempre considerato
criticamente quando si è di fronte all’origine di
nuove specie. Il concetto di accumulo di piccoli
cambiamenti nel tempo non ha sempre
soddisfatto. Semplificando molto e facendo un
esempio banale: se il braccio e l’ala sono derivati
l’uno dall’altra, in tutto il tempo di transizione
dall’uno all’altro, le strutture intermedie
sarebbero state imperfette e gli individui non
avrebbero avuto la “qualità superiore” per
essere selezionati positivamente. Certi fenomeni
si spiegherebbero meglio con la comparsa
improvvisa di nuove strutture anatomiche e
quindi con la comparsa di nuove specie. Ecco la
Teoria degli equilibri punteggiati. Che si deve
alla collaborazione scientifica tra lo stesso Gould
e Niles Eldredge. Con questa visione l’evoluzione
non procederebbe in modo lento e costante ma
alternerebbe a questi momenti altri di repentini
cambiamenti, a volte dovuti a grandi
sconvolgimenti ambientali (come per esempio
pensando alle ipotesi sulla scomparsa dei
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dinosauri). Le nostre conoscenze attuali ci
dicono però che il cambiamento avviene
attraverso l’accumulo di mutazioni, minime
variazioni nella nostra sequenza nucleotidica che
sono per il loro modo di agire più in sintonia con
il gradualismo.
Però se consideriamo che alcuni geni
attraverso i loro prodotti possono presiedere
all’espressione coordinata di molti altri geni
oppure che sono noti meccanismi di mutazioni
plurime come quelle dovute all’improvviso e
contemporaneo salto di posizione di alcuni
elementi “mobili” presenti nel genoma di tutti gli
organismi dai batteri all’uomo abbiamo anche la
capacità di immaginare che in alcuni momenti
della vita evolutiva di una specie vi possano
essere esplosioni mutazionali. Gli studi futuri
forse riusciranno a chiarirci meglio l’evoluzione. I
convegni sul creazionismo, no.
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