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COME ALLA CORTE DI FEDERICO II OVVERO

PARLANDO E RIPARLANDO DI SCIENZA

NEURONI SPECCHIO. DALL’AZIONE AL LINGUAGGIO 9 di Luciano Fadiga NEURONI SPECCHIO. VOLONTÀ DI AGIRE ED INTENZIONE 11 di Dario Grossi I “NEURONI SPECCHIO”: UNA SFIDA PER LA FILOSOFIA 13 di Rocco Pititto SPECCHIO, SPECCHIO DELLE MIE BRAME, CHI È IL NEURONE PIÙ SPECCHIO DEL REAME? 15 di Umberto di Porzio e Carla Perrone Capano NEURONI SPECCHIO 17 di Alessandro Filla IL RUOLO DEI NEURONI SPECCHIO NELLE INTERAZIONI TRA PERCEZIONE E AZIONE 19 di Roberto Prevete

“Saper fare vuol dire capire”

Gli articoli degli incontri si trovano all’indirizzo

www.comeallacorte.unina.it

Luciano Fadiga

Luciano Fadiga è nato a Bologna nel 1961 dove si è

laureato con lode in Medicina e Chirurgia.

Successivamente ha conseguito a Parma il titolo di

Dottore di Ricerca in Neuroscienze. Presso

quell’Università, con il gruppo di Giacomo Rizzolatti,

inizia a studiare la neurofisiologia della corteccia

premotoria, contribuendo in prima persona alla

scoperta dei neuroni specchio nella scimmia ed

estendendo poi successivamente la scoperta

nell’uomo. All’inizio degli anni 2000 si è trasferito a

Ferrara dove ha ottenuto la Cattedra di Fisiologia umana e dove continua le sue ricerche,

dedicandosi più in particolare allo studio delle relazioni tra azione e linguaggio. Luciano Fadiga

riveste anche un ruolo di rilievo presso l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, dove

coordina un progetto sulle interfacce cervello-macchina.

Ha coordinato e coordina numerosi progetti finanziati da vari Enti, tra cui la Commissione

Europea, ha ricevuto il Premio della Società Italiana di Fisiologia, è membro dell’Advisory

Council di “Attention and Performance”, è socio onorario della Società Italiana di Biologia

Sperimentale nonché della New York Academy of Sciences. È revisore delle principali riviste

internazionali di Neuroscienze, con cui in alcuni casi collabora come membro dell’Editorial

Board. La produzione scientifica di Luciano Fadiga è attestata da numerose pubblicazioni su

riviste internazionali, alcune delle quali ad altissimo impatto. L’interesse delle sue ricerche è

attestato dalle migliaia di citazioni ottenute dai suoi lavori.

COME ALLA CORTE DI FEDERICO II Neuroni specchio. dall’azione al linguaggio

Centro di Ateneo per la Comunicazione e l’Innovazione Organizzativa Università degli Studi di Napoli Federico II

NEURONI SPECCHIO. DALL’AZIONE AL LINGUAGGIO Luciano Fadiga Professore di Fisiologia umana Università degli Studi di Ferrara

Tutti siamo abituati a pensare al cervello

come formato da compartimenti distinti, ognuno

specializzato per un determinato compito:

visione, udito, tatto, movimenti, emozioni,

linguaggio. Se da un lato è sicuramente vero che

la corteccia cerebrale è suddivisa in aree

diverse, è però altrettanto vero che a questa

suddivisione anatomica non corrisponde

un’altrettanto rigida suddivisione funzionale.

Infatti, moltissimi neuroni del cervello si attivano

per più di una modalità. Esistono così neuroni

sensoriali che sono modulati anche dall’attività

motoria e viceversa neuroni motori attivati da

stimoli sensoriali. Questa è, a mio avviso, la

grande novità delle neuroscienze contemporanee

perché ci costringe a considerare il cervello in

modo nuovo. Una possibile ragione di

quest’apparente confusione è che, in realtà, quel

processo che noi chiamiamo percezione - la

sensazione consapevole della presenza di uno

stimolo - non avviene passivamente, ma è il

risultato di un processo attivo in cui il cervello

‘intenzionale’ è in grado di modulare la rilevanza

degli stimoli sensoriali. Questo si traduce,

ovviamente, in attivazioni ‘sensorimotorie’

complesse, in cui lo stesso neurone (ad esempio

un neurone che controlla i movimenti oculari,

coinvolto anche nell’orientamento dell’attenzione

visiva) si attiva sia durante il movimento, sia

all’arrivo di uno stimolo visivo in una

determinata regione del campo visivo.

Anche i cosiddetti ‘neuroni specchio’

sono neuroni multimodali. Li abbiamo scoperti

nel macaco, un po’ per caso, in una regione di

corteccia motoria che comanda le azioni della

mano. Si tratta quindi di neuroni motori che

hanno però una particolarità: si attivano anche

quando l’animale osserva un altro individuo fare

la stessa cosa. Per dirla con un termine tecnico,

sono neuroni ‘visuomotori’ che rispondono sia

durante l’esecuzione di un’azione (ad esempio

afferrare una nocciolina), che durante

l’osservazione di un’azione molto simile, ma

eseguita da altri. Da subito abbiamo proposto

che questi neuroni specchio potessero spiegare il

meccanismo alla base della ‘comprensione’ delle

azioni: capisco quello che fanno gli altri perché

so fare la stessa cosa.

Successivamente a questa scoperta,

abbiamo visto che i neuroni specchio esistono

anche nell’uomo. Siamo riusciti a far questo

grazie alla stimolazione magnetica transcranica,

una tecnica nuova che permette di ‘fotografare’

l’eccitabilità del sistema motorio stimolando

elettricamente in modo non pericoloso la

corteccia cerebrale e registrando dai muscoli i

potenziali elettrici prodotti dallo stimolo. In

questo modo, abbiamo potuto dimostrare che

tutte le volte in cui osserviamo un’altra persona

eseguire un’azione, l’eccitabilità del nostro

sistema motorio aumenta e riproduce

fedelmente, istante per istante, ciò che succede

nell’altro. Ciò è vero sia per le azioni eseguite

con la mano, che per il linguaggio. In

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quest’ultimo caso, tutte le volte in cui ascoltiamo

un nostro simile parlare, la nostra corteccia

motoria che controlla l’apparato fonoarticolatorio

viene facilitata in modo congruente.

Molto più di recente, abbiamo dimostrato empi-

ricamente che queste attività ‘specchio’ sono

davvero necessarie a capire. Ciò è vero in

particolare per il linguaggio dove gli aspetti

‘motori’ che concorrono alla comprensione

forniscono contri-buti importanti non solo nel

dominio della fonologia, ma anche in quelli

lessicale e sintattico.

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NEURONI SPECCHIO. VOLONTÀ DI AGIRE ED INTENZIONE Dario Grossi Professore di Neuropsicologia Seconda Università degli Studi di Napoli

La nostra vita sociale si fonda per larga

parte sulla capacità di comprendere le intenzioni

degli altri. Quale è la base di questa abilità? Un

plausibile punto di vista è che comprendiamo le

intenzioni degli altri perché siamo in grado di

rappresentarcele mentalmente. Ad esempio vedo

una persona che saluta, me lo rappresento nella

mente e ne riconosco il gesto. Il comportamento

degli altri potrebbe apparirci senza senso in

assenza di questa capacità mentale. Negli ultimi

anni questo punto di vista è stato contraddetto

da alcune rilevanti ricerche neurofisiologiche e in

particolare dalla scoperta dei neuroni specchio

da parte di Giacomo Rizzolatti e il suo gruppo.

Le proprietà funzionali di questi neuroni indicano

che la comprensione delle intenzioni altrui è

basata primariamente su un meccanismo che

confronta direttamente le rappresentazioni

derivate dalle informazioni che provengono dai

sensi - vedo una persona che saluta e me lo

rappresento nella mente - con la

rappresentazione di quando il soggetto, che

osserva l’azione, compie egli stesso proprio

quell’azione - cioè di me stesso che sto

salutando, anche se in quel momento sono

assolutamente fermo. Queste ricerche svelano

come gli aspetti intenzionali di un’azione siano

intrecciati profondamente con gli aspetti

specificamente motori e che l’uno aspetto serve

a comprendere l’altro. I neuroni specchio,

dunque, si attivano quando un soggetto osserva

l’azione di un altro per consentire la

comprensione di questa attraverso la

“riproduzione virtuale” dell’azione che si sta

vedendo eseguire nel cervello dell’osservatore

stesso; questi neuroni si attivano anche

specificamente quando l’osservatore vede solo

l’atto iniziale di un’azione complessa come

afferrare del cibo. L’osservatore è così in grado

di cogliere l’intenzione di un altro in quanto si

attiva nel suo cervello la copia interna dell’intera

azione prima della sua esecuzione, si consente

così ad un osservatore di comprendere

l’intenzione di un altro. È inutile sottolineare

l’importanza in termini evolutivi e sociali di

questo processo, e quanto rilevante sia stata

questa scoperta per le neuroscienze e per le

comuni conoscenze. Il gruppo di Rizzolatti, ha

potuto dimostrare che nei bambini normali

questo sistema di neuroni mirror è ben

funzionante, mentre nei bambini artistici questo

processo di riconoscimento è alterato. Gli autori

propongono che come conseguenza del disturbo

funzionale i bambini autistici ad alto

funzionamento possono comprendere le

intenzioni degli altri in termini cognitivi

(razionali), ma non comprenderli in termini

esperienziali, in altre parole capiscono le altrui

azioni, ma non le possono riferire alla propria

esperienza. La scoperta dei neuroni specchio ha

aperto molte nuove strade alla ricerca ed ha

consentito avanzate applicazioni; ha permesso di

comprendere anche il processo di

riconoscimento delle emozioni altrui attraverso

una simulazione che riproduce virtualmente i

processi neurofunzionali attivi quando il soggetto

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osservante prova un’emozione. Le possibilità

applicative in campo clinico sono ancora da

esplorare, ma la teoria dei neuroni mirror rap-

presenta la più grande prospettiva di conoscenza

degli ultimi venti anni.

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I “NEURONI SPECCHIO”: UNA SFIDA PER LA FILOSOFIA Rocco Pititto

Professore di Filosofia della mente Università degli Studi di Napoli Federico II

La scoperta dei “neuroni specchio”

(mirror neurons) ha comportato dei cambiamenti

sul piano della comprensione dei processi

mentali. Da una parte si dà allo studio della

mente e del linguaggio un fondamento di tipo

neurobiologico, dall’altra si evidenzia un

approccio diverso per la comprensione dei

meccanismi che presiedono all’origine e al

funzionamento della mente e del linguaggio, al

manifestarsi di patologie di ordine linguistico e di

ordine mentale, tra cui l’autismo, e allo

strutturarsi del comportamento sociale degli

individui e del riconoscimento dell’altro.

La presenza dei “neuroni specchio”

consentirebbe al cervello dell’essere di correlare

i movimenti osservati in altri esseri a quelli

propri e di riconoscerne così il significato e,

ancora, di mostrare come il riconoscimento degli

altri, delle loro azioni e perfino delle loro

intenzioni, dipenda in gran parte dal patrimonio

motorio dell’uomo. La stessa costruzione

dell’identità dell’individuo come essere umano

potrebbe essere legata all’attività di questi

neuroni, che metterebbero in relazione tra loro

schemi motori, schemi cognitivi e schemi

linguistici in una sorta di riconoscimento, che

avviene all’interno della mente. La capacità di

pensare e di parlare dell’essere dell’uomo

troverebbe la sua origine da uno schema di tipo

motorio, comune a molti primati.

Una delle proprietà principali di questo

tipo di neuroni è di rispondere, attivandosi, sia

quando è l’agente stesso a eseguire delle azioni,

sia quando è il soggetto osservato a “vedere” le

stesse azioni compiute da altri. Secondo

quest’ipotesi, sul piano dell’attività della mente,

il fare un’azione o il vederla fare comporterebbe

per il soggetto osservante e per quello osservato

lo stesso risultato. Il fenomeno, riscontrato nelle

scimmie e nell’uomo, è in se stesso

straordinario, perché eseguire personalmente

un’azione è altra cosa rispetto al vederla fare da

un altro: una cosa è, infatti, l’immagine che uno

si fa dell’azione che compie di persona, un’altra

cosa è l’immagine ottica che uno si fa dell’azione

compiuta da un altro. Poiché si tratta di cose

diverse, il cervello deve compiere nel secondo

caso una trasformazione mentale interna, quasi

fosse una risimbolizzazione della rappresenta-

zione visiva. Solo a questa condizione i neuroni

possono attivarsi come risposta al medesimo

movimento compiuto da qualcun altro.

Senza caricare questa scoperta di attese

miracolistiche, quasi che i mirror neurons

possano rappresentare di per sé la soluzione a

problemi sull’origine dell’uomo e delle sue

facoltà, si può legittimamente presumere che

essa possa rappresentare una prospettiva

interessante, dalla quale poter esaminare il

“fenomeno” uomo, anche nelle sue implicazioni

etiche, oltre che antropologiche e filosofiche.

Rispetto a certi esiti del dibattito sulle neuro-

scienze, le scienze umane, però, non possono

non interrogarsi sulla valenza etica, che la

scoperta dei “neuroni specchio” comporta. Che

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cosa rimane dell’idea di uomo, propria

dell’eredità occidentale, dopo questa scoperta?

L’uomo è ancora un essere libero, responsabile

delle sue azioni, soggetto di giudizio, di castigo o

di premio? Fin dove è possibile spingersi nello

spazio di discorso, aperto dai neuroni specchio,

senza dover rinunciare a ciò che costituisce la

“specialità” dell’essere dell’uomo? La “nicchia

cognitiva”, cui l’essere dell’uomo è giunto nel

corso dell’evoluzione, rimane ancora la dimora

dell’uomo, o bisogna cercarne un’altra, ancora

più piccola, da poter condividere con altri esseri

animali? Se le azioni dell’uomo, - le sue scelte,

le sue volizioni, le sue passioni, i suoi desideri -,

sono determinate in assoluto dai suoi neuroni,

l’uomo è ancora un essere libero e “speciale”? O,

forse, è un essere meno libero e ancor meno

“speciale”?

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SPECCHIO, SPECCHIO DELLE MIE BRAME, CHI È IL NEURONE PIÙ SPECCHIO DEL REAME? Umberto di Porzio Direttore di Ricerca in Neuroscienze IGB ‘Adriano Buzzati Traverso’ - CNR Napoli Carla Perrone Capano Professore di Fisiologia Università degli Studi di Napoli Federico II

Quando osserviamo l’azione compiuta da

un altro individuo, cerchiamo di capire cosa

l’altro stia facendo ed il perché. Quest’attività

cerebrale è processata da una categoria di

neuroni, detti “neuroni specchio” individuati nella

metà degli anni ‘90 dal gruppo di G. Rizzolatti

dell’Università di Parma attraverso una serie di

esperimenti eseguiti sul cervello della scimmia. I

risultati di questi lavori hanno rivoluzionato le

teorie della mente e gettato nuova luce sulla

comprensione delle azioni compiute da altri,

sull’apprendimento per imitazione, sull’evoluzio-

ne del comportamento sociale e del linguaggio.

Questi scienziati avevano individuato una

classe funzionale di neuroni della corteccia

cerebrale che non solo si attivano quando

l’animale compie un’azione, ma anche quando

vedono un altro soggetto compierla, cioè

“rispecchiano” l’azione motoria. Inizialmente

identificati mediante registrazioni elettrofisiolo-

giche nelle aree motorie e premotorie dei

primati, i neuroni specchio sono stati poi

localizzati nell’uomo con metodi non invasivi ed

anche in uccelli canterini, dove sono coinvolti

nell’apprendimento del canto.

I neuroni specchio si attivano anche

quando l’animale può prevedere la finalità delle

azioni svolte da un altro pur senza vederle

come, ad esempio, quando ascolta il suono

evocativo dell’azione (il rumore del guscio di

un’arachide, della carta strappata). In effetti,

l’azione compiuta da un altro provoca

nell’osservatore l’attivazione dello stesso circuito

nervoso deputato ad eseguirla, cioè induce la

“simulazione mentale” di quell’azione. Questo

meccanismo non solo consente di comprendere

le azioni altrui, ma anche di riconoscere le

intenzioni dell’individuo che le compie.

Inoltre esistono neuroni specchio

“comunicativi” che si attivano quando la scimmia

osserva gesti eseguiti con le labbra, la lingua o

entrambi, che esprimono un invito ad entrare in

relazione e non sono finalizzati all’esecuzione di

un’azione motoria (mangiare). Da queste

osservazioni e dall’esistenza di omologia tra le

aree “comunicative” della scimmia e quella del

linguaggio nell’uomo, nasce l’ipotesi che i

neuroni specchio possano essere alla base

dell’insorgere della parola.

Nell’uomo sono stati localizzati anche

neuroni specchio in aree corticali implicate nelle

emozioni, che sono attivati quando un individuo

sperimenta, o osserva in altri, reazioni causate

da stimoli che provocano disgusto o dolore. Cioè

la possibilità di cogliere reazioni emotive negli

altri, e di condividerle, è correlata ad aree con

proprietà specchio.

Infine recenti studi suggeriscono che

alterazioni nello sviluppo dei neuroni specchio

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potrebbero essere associate all’autismo. Questa

malattia si accompagna a varie disfunzioni

comportamentali che alterano le interazioni

sociali e la comunicazione linguistica e gestuale,

sintomi riconducibili a disfunzioni del sistema dei

neuroni specchio. Ma, a tutt’oggi, questa ipotesi

non è stata ancora definitivamente confermata.

In conclusione, il sistema dei neuroni

specchio fornisce un'esperienza diretta, quindi

una diretta comprensione, di azioni, intenzioni

ed emozioni altrui, distinguendo tra atti simili

ma con finalità differenti. Possiamo quindi dire

con Rizzolatti che “…il sistema dei neuroni

specchio appare decisivo per l'insorgere di quel

terreno d'esperienza comune che è all'origine

della nostra capacità di agire come soggetti non

soltanto individuali ma anche e soprattutto

sociali”.

L’incomprensione si potrà dunque

risolvere con una semplice lucidata dei nostri

neuroni specchio?

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NEURONI SPECCHIO Alessandro Filla Professore di Neurologia Università degli Studi di Napoli Federico II

Quando osserviamo un’azione compiuta

da altri, questa è da noi riconosciuta perché

l’informazione visiva viene percepita e poi

inviata ad aree associative corticali dove è

elaborata da complessi meccanismi cognitivi e

paragonata con dati precedenti. Sono stati

recentemente identificati altri inattesi

meccanismi di comprensione delle azioni

compiute da altri. Verso la metà degli anni '90 il

gruppo di ricercatori dell'Università di Parma

coordinato da Giacomo Rizzolatti e composto da

Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, Vittorio

Gallese e Giuseppe di Pellegrino, utilizzando

come soggetti sperimentali dei macachi, ha

osservato che alcuni gruppi di neuroni dell’area

motoria si attivavano non solo quando gli

animali eseguivano determinate azioni, ma a

anche quando osservavano un altro individuo

compiere le stesse azioni: di qui il nome di

“neuroni specchio”, per rendere conto di questa

reazione speculare del sistema nervoso.

I “neuroni specchio” sono stati localizzati

nella corteccia premotoria del lobo frontale e nel

lobulo parietale inferiore delle scimmie con

tecniche invasive di registrazione del singolo

neurone. La prima caratteristica di questi

neuroni è che si attivano non per la semplice

percezione di oggetti, bensì di altri esseri viventi

che compiono atti motori. La seconda

caratteristica è il fatto che si attivano in

relazione non a semplici movimenti bensì a atti

motori finalizzati (ad esempio afferrare un

oggetto).

Le funzioni dei “neuroni specchio” non

sarebbero però limitate solo ad una simulazione

silenziosa del movimento ma anche ad una

capacità di capire le intenzioni al di là delle

azioni osservate e finanche nel riconoscimento

delle emozioni (empatia). È stato possibile

studiare sperimentalmente il ruolo dei “neuroni

specchio” in alcune emozioni primarie. I risultati

mostrano che quando osserviamo negli altri una

manifestazione di disgusto, si attiva il medesimo

substrato neuronale collegato al manifestarsi in

noi stessi dello stesso tipo di emozione.

Grazie all’impiego di tecniche non

invasive di neuroimaging come la tomografia a

emissione di positroni o la risonanza magnetica

funzionale, si è descritto un sistema analogo

anche nell’uomo, in cui oltre alle funzioni

osservate nell’animale avrebbe anche un ruolo

nell’apprendimento imitativo e nella

comunicazione verbale.

La scoperta dei “neuroni specchio”

potrebbe offrire una spiegazione biologica per

l’autismo, un disturbo infantile caratterizzato da

una marcata compromissione dell’interazione

sociale e della comunicazione. I bambini con tale

sindrome sembrano tra l’altro mancare della

capacità di leggere le intenzioni e le emozioni

degli altri sulla base del comportamento. Le

persone autistiche non partecipano alla vita degli

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altri, non riescono ad entrare in sintonia con il

mondo che li circonda, non capiscono il

significato dei gesti e delle azioni altrui.

L’identificazione dei “neuroni specchio” ha avuto

un profondo impatto in una varietà di discipline

che vanno dalle neuroscienze cognitive alla

sociologia e filosofia, tanto da essere paragonata

a quella del DNA per la biologia.

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IL RUOLO DEI NEURONI SPECCHIO NELLE INTERAZIONI TRA PERCEZIONE E AZIONE Roberto Prevete Ricercatore di Informatica Università degli Studi di Napoli Federico II

Nella vita di tutti i giorni abbiamo la

naturale capacità di interagire con gli altri e di

riconoscere spesso le azioni che osserviamo,

intuendone anche le intenzioni e le motivazioni

soggiacenti. Da dove nasce questa capacità? La

scoperta di un particolare gruppo di neuroni del

cervello dei primati, detti neuroni specchio,

sembra fornire un tassello fondamentale per

dare una risposta a tale domanda. I neuroni

specchio sono stati identificati per la prima volta

da Giacomo Rizzolatti e collaboratori presso

l’Università di Parma, attraverso una serie di

studi neurofisiologici che coinvolgono un’area

pre-motoria della corteccia cerebrale della

scimmia macaco, denominata area F5. L’area F5,

in quanto area “motoria” del cervello, si attiva

fortemente durante l'esecuzione di azioni dirette

ad un oggetto, cioè di movimenti del tipo

“prendere un pezzo di cibo”, “mantenere una

tazza” e così via.

La grande novità è stata, allora, la

scoperta che una parte dei neuroni di F5 non si

attiva solo quando la scimmia compie delle

azioni dirette a un oggetto, ma anche quando la

scimmia osserva simili azioni compiute da altre

scimmie o da esseri umani. Proprietà simili sono

state scoperte anche nel cervello dell'uomo

tramite tecniche non invasive come la Risonanza

Magnetica Funzionale.

Il comportamento dei neuroni specchio

suggerisce l’idea che la comprensione di

un’azione osservata richiede da parte

dell’osservatore la capacità di “immedesimarsi”,

e cioè di collegare le informazioni percettive

sull’azione osservata alla propria capacità di

compiere la stessa azione. Per articolare questa

idea generale in un preciso processo di

elaborazione dell’informazione sono stati

proposti vari modelli computazionali. Nella

maggioranza dei modelli proposti, però, l'attività

dei neuroni specchio è vista solo come il risultato

finale di una catena di processi di percezione

visiva. Attribuendo al sistema visivo tutto il peso

dell’elaborazione dell’informazione, questi

modelli relegano i neuroni specchio e il sistema

motorio a un ruolo del tutto secondario nel

processo di riconoscimento delle azioni.

Questa considerazione, insieme

all’accumularsi di sempre nuovi dati sperimentali

sul coinvolgimento del sistema motorio nel

riconoscimento delle azioni osservate, apre la

porta a nuove ipotesi interpretative, volte a

comprendere meglio sia le relazioni funzionali

dei neuroni specchio con altre aree del cervello

sia i processi computazionali che si trovano alla

base dei collegamenti tra percezione e azione. In

una tale prospettiva si sta orientando anche il

lavoro modellistico di un gruppo di ricerca

dell’Ateneo federiciano (ViNe Lab, Laboratorio di

visione e reti neurali del Dipartimento di Scienze

Fisiche): l'attività dei neuroni specchio viene,

infatti, vista come “sintomo” di un più profondo

coinvolgimento delle abilità motorie nei processi

di elaborazione sensoriale e di riconoscimento

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delle azioni eseguite da un altro. In altre parole,

quando osserviamo un'azione riusciamo a

comprenderla tanto meglio quanto più siamo

abili nel compiere la stessa azione.

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